Strange new teacher

di Emerald Liz
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Kakashi ***
Capitolo 2: *** Sakura ***
Capitolo 3: *** Ino ***
Capitolo 4: *** Kakashi - una nuova settimana ***
Capitolo 5: *** Sakura - Ginnastica ***
Capitolo 6: *** Tsunade ***
Capitolo 7: *** Ino - Patti. ***
Capitolo 8: *** Kakashi - caffè ***
Capitolo 9: *** Sakura - punizioni ***
Capitolo 10: *** Ino - arriva Sasori! ***
Capitolo 11: *** Kakashi - biblioteca ***
Capitolo 12: *** Sakura - delusioni ***
Capitolo 13: *** Ino - shopping! ***
Capitolo 14: *** Tsunade - conversazioni origliate ***
Capitolo 15: *** Kakashi - incontri ***
Capitolo 16: *** Sakura - discoteca ***
Capitolo 17: *** Tsunade - una serata perfetta? ***
Capitolo 18: *** Kakashi - il giorno dopo ***
Capitolo 19: *** Sakura - disillusioni ***
Capitolo 20: *** Tsunade - rabbia ***
Capitolo 21: *** Kakashi ***
Capitolo 22: *** Sakura ***
Capitolo 23: *** Ino ***



Capitolo 1
*** Kakashi ***


“Non c’è nulla di strano in un gruppo di ragazzine che parlano tra loro. Proprio niente.” Cerco di rassicurarmi. “Dopotutto, sono in una scuola femminile.”
La mia convinzione stava rapidamente crollando.
Al contrario, l’ansia saliva sempre di più.
Era la prima volta in assoluto che mi recavo in una scuola in veste di insegnante.
«Signor Kakashi!»
Una voce che mi chiamava mi distolse dai pensieri.
Mi voltai, e vidi una signora di mezza età che agitava una mano nella mia direzione. Mi avvicinai.
«Signor Kakashi, buongiorno. Io sono la segretaria, il preside la sta aspettando nel suo ufficio.»
Riuscii a balbettare un “grazie” –non ero nemmeno sicuro che fosse la risposta adatta- e la seguii nell’ufficio del preside; era un uomo dall’aspetto mite, e apprezzai il suo gesto di alzarsi per stringermi la mano. Naturalmente, ci eravamo già conosciuti: era stato proprio lui ad accettare la mia candidatura per il posto di supplente.
Il preside stava parlando, ma a causa del nervosismo non riuscii a seguire nemmeno mezza parola.
«…ma ora basta parlare, vieni, ti accompagno in classe!»
Questa frase riaccese la mia attenzione.
Cercando di non mostrarmi troppo impaurito, lo seguii lungo i corridoi del vasto istituto.
“Su, Kakashi, non c’è ragione di essere così spaventato!” cercavo di convincere me stesso. “Sono solo ragazzine, cosa vuoi che ti facciano?!” paradossalmente, il pensiero mi fece sorridere.
La morsa allo stomaco si allentò un poco, per poi tornare, più forte di prima, alla mia entrata in classe.
Avevo perso, ovviamente, tutto il discorso introduttivo del preside, e non avevo idea di cosa avesse detto, né tantomeno di cosa avrei dovuto fare in quel momento.
Restai in piedi a contemplare la classe, in silenzio.
Fu uno dei momenti più imbarazzanti della mia vita: una quindicina di ragazze (scoprii in seguito che erano diciotto) erano intente a fissarmi incuriosite, in attesa che io facessi qualcosa.
Il problema era: cosa?
Alcune ragazze avevano già un’aria perplessa, qua e là sentii qualche risolino.
Poi, come dal profondo delle tenebre, scorsi un sorriso incoraggiante sul volto di una ragazza, che riuscì a scuotermi dalla mia paralisi.
Accennai un sorriso e mi presentai.
«Mi chiamo Kakashi Hatake. Come ha detto il preside, sarò il vostro supplente di lettere fino alla fine dell’anno.» “Ma il preside l’avrà detto?” mi soffermai un attimo a pensare, decidendo infine che non aveva importanza.
«Cercherò di imparare i vostri nomi al più presto, ma dovrete avere un po’ di pazienza per i primi giorni.» abbozzai un sorriso di scusa.
Ecco, ora avevo finito tutto quello che mi era venuto in mente di dire.
“Professore di lettere e metto in fila al massimo due frasi, fantastico.”
Il preside, fortunatamente, si accorse del mio smarrimento e prese in mano la situazione: disse che forse avrei voluto parlare del programma di lettere con la classe e fare degli accordi, poi si congedò.
Tuttavia, ero sollevato: avevo un nuovo argomento di cui parlare per evitare scene imbarazzanti.
Presi posto alla cattedra e incominciai la prima lezione della mia vita.

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Capitolo 2
*** Sakura ***


«Ino, sbrigati, o arriveremo tardi anche oggi!»
Spazientita, uscii dal bagno, nella speranza che la mia amica mi seguisse.
Inutile.
Lo specchio la incantava irrimediabilmente, sarebbe potuta rimanere a guardarsi per ore.
«Ino! Se non ti muovi ti lascio qui, non voglio un’altra punizione! Ne abbiamo prese già tre questa settimana, e siamo solo a giovedì!»
«Quanto sei pallosa, Saku. Arrivo, mi metto solo un po’ di gloss!»
Era già l’ottavo strato.
«E comunque…» continuò lei «Non abbiamo preso tre punizioni. Riordinare i libri non è una punizione, almeno per te. A te piacciono tanto i libri…» alzò il sopracciglio, guardando l’amica riflessa nello specchio.
«E quindi? A te piacciono gli specchi, ma non dirmi che non vedi l’ora di pulire tutti quelli dell’istituto!» la rimbeccai.
«Ma a me piacciono gli specchi solo quando c’è la mia immagine riflessa.» fece Ino, a metà tra lo scherzoso e il serio.
“Ecco che parte con un altro dei suoi deliri narcisistici.”
In effetti, la sua amica aveva ben ragione di apprezzare la sua immagine, anche se a volte –spesso- esagerava.
Ino era il prototipo della ragazza perfetta, quelle che pensi esistano solo sulle riviste di moda: alta e slanciata, aveva un fisico praticamente perfetto. I suoi lineamenti erano delicati e il viso illuminato da due grandi occhi azzurri. Ma quello che catturava di più l’attenzione erano i suoi capelli: lunghissimi e biondi, di un biondo così chiaro da sembrare non vero, erano il vanto di Ino, che li curava in tutti i modi possibili.
Spesso mi sentivo fuori posto accanto a lei, così bella; infatti, non avevo una grande autostima: l’unica cosa che veramente mi piaceva in me erano i miei capelli, lunghi e rosa chiaro.
Già, rosa.
Avevo passato recentemente un periodo di ribellione, per così dire, in cui tra l’altro avevo commesso diverse sciocchezze.
Ora, anche per merito della mia amicizia con Ino, le cose erano cambiate, ma, da ostinata e piena di ideali romantici quale ero, non volevo rinunciare totalmente al mio passato, per cui ero arrivata a un compromesso, lasciando intatto il colore dei miei capelli.
Inoltre, bisognava ammettere che quel colore, sebbene particolare, mi stava bene.
Finalmente Ino si era convinta ad uscire dal bagno.
«Finalmente!» commentai sarcastica, e insieme ci avviammo verso la nostra classe.
Stavamo per entrare –come sempre in ritardo- quando vedemmo una figura minuta davanti a noi.
«Ma guarda chi c’è!» esclamò Ino strafottente.
La ragazzina la ignorò, accelerando il passo.
«Cosa fai, mi ignori?» con uno scatto, Ino la raggiunse.
“Ci risiamo.” Pensai.
«Ino… cosa c’è? Lasciami stare…» piagnucolò l’altra ragazza.
«Cosa? Ma ce l’hai un po’ di voce, Sfigata-Hinata? Ehi, Sakura, tu l’hai sentita?»
Sebbene odiassi Hinata, quella mattina non ero proprio dell’umore giusto per il bullismo.
Mentre cercavo di dissuadere Ino, il preside, a sua insaputa, mi salvò.
«Ino, smettila, arriva il preside! E non è da solo…» mormorai l’ultima parte della frase mentre guardavo lo sconosciuto che accompagnava il preside.
Era un ragazzo alto e muscoloso, con l’aria timida e un po’ spaesata. Seguiva il preside restando leggermente indietro, e apparentemente non stava ascoltando una parola di ciò che diceva.
“Bè, in fondo, chi lo fa?” pensai, sorridendo leggermente.
L’ultima cosa che notai prima di spingere Ino in classe per non essere segnate in ritardo per l’ennesima volta, fu che lo strano sconosciuto aveva dei capelli abbastanza assurdi, da fare concorrenza ai miei: spettinati e color grigio-argento, sembravano dotati di vita propria.
“In fondo non è male. Chissà chi è…”

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Capitolo 3
*** Ino ***


“Sakura si preoccupa troppo. Dovrebbe sapere che tanto non ci sarebbe stato nessuno a segnarci assenti stamattina!”
Presi posto in ultimo banco accanto alla mia amica.
“Chissà perché questa mattina non mi ha appoggiato con Hinata… per una volta che Miss Perfezione era in ritardo, avremmo potuto gustarci il momento!” sogghignai.
Odiavo Hinata.
C’era qualcosa in lei che mi faceva venire voglia di urlare e picchiarla, ma mi ero sempre trattenuta.
Di solito, io e Sakura ci limitavamo a prenderla in giro, più o meno pesantemente.
Mi venne da sorridere pensando al motivo per cui Sakura odiava Hinata.
“Rivaleggiare così tanto da odiarsi, tutto per quel mezzo delinquente di mio fratello!” non riuscii a trattenere un altro sogghigno.
Persa nei miei pensieri, mi accorsi dell’entrata del preside solo quando vidi che tutta la classe si stava alzando in piedi.
“Sarà un’altra comunicazione… che palle!”
Mi alzai svogliata, e, solo quando riuscii a vedere tra le teste dei miei compagni, mi accorsi che il preside non era solo.
Con lui c’era uno strano ragazzo, con degli assurdi capelli argentei.
“E questo? Scommetto quello che volete che non ha nemmeno trent’anni!”
Incuriosita, prestai attenzione al discorso del preside.
«…Kakashi Hatake. Ma si presenterà meglio da sé, e vi spiegherà perché è qui nella vostra classe.»
Il preside tacque, e l’attenzione della classe si spostò immediatamente sul ragazzo.
Il quale aveva un’espressione impagabile: visibilmente imbarazzato, era leggermente arrossito e ci fissava come se si sentisse una preda.
Il silenzio regnò per qualche secondo, mentre le mie compagne di classe lo guardavano perplesse.
Non resistetti alla comicità della scena, e mi sfuggì un risolino, che risuonò chiaro nel silenzio.
Sakura mi tirò una gomitata, senza voltarsi a guardarmi.
Io la guardai, e vidi che stava indirizzando un sorriso incoraggiante allo sconosciuto, il quale era arrossito ancora di più, ma sembrava essersi scosso dalla paralisi.
Cominciò a parlare.
«Mi chiamo Kakashi Hatake. Come ha detto il preside, sarò il vostro supplente di lettere fino alla fine dell’anno.»
Trattenni a stento un altro risolino: il preside non l’aveva affatto detto.
“Se non altro, ha già capito come comportarsi col preside!” pensai, ridacchiando leggermente per non attirare altre gomitate da Sakura.
«Cercherò di imparare i vostri nomi al più presto, ma dovrete avere un po’ di pazienza per i primi giorni.»
Terminata la frase, abbozzò un sorriso, e questo cambiò tutto: la sua espressione si rilassò e il suo sguardo si illuminò.
“Wow.” Pensai.
Per quanto strano potesse sembrare, bisognava ammettere che era davvero bello.
Pensai alla vecchia arpia che era la nostra professoressa di lettere, con la sua faccia acida e modi da zitella: non c’era davvero paragone.
“Credo che d’ora in poi comincerò a seguire le lezioni di lettere con molto interesse…” sogghignai.
Prima che lui ricominciasse a parlare, guardai di sfuggita Sakura: anche lei sembrava incantata dallo sconosciuto, ma a differenza di me non si era ancora ripresa.
Oh, conoscevo quello sguardo.
Il mio sorriso si allargò sempre di più.
“Penso proprio che un certo fratello dovrebbe stare attento… improvvisamente la scuola si sta facendo più interessante di quanto non sia mai stata!”

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Capitolo 4
*** Kakashi - una nuova settimana ***


Era passata una settimana dal mio imbarazzantissimo arrivo in classe, e le cose sembravano lentamente migliorare.
Mi ero informato sullo stato del programma -un disastro- e chiesi notizie della professoressa che dovevo sostituire -un altro disastro, a quanto pareva.
Eppure, tutto sommato la mia era una bella classe.
Le ragazze sembravano partecipi e attente, il che per un neo-professore come me era un bel sollievo.
Tuttavia sentivo, seppure leggera come un’intuizione, la presenza di un problema di fondo, e mi ero convinto che la causa di questo problema fosse fondamentalmente una persona sola.
Si chiamava Ino Yamanaka ed era senza dubbio la ragazza più bella della sua classe, forse addirittura della scuola stessa.
Purtroppo, sembrava che ne fosse perfettamente consapevole: la vedevo aggirarsi per la scuola con aria superba, sempre seguita da quella che pensavo fosse la sua migliore amica.
Ecco, lei era un altro elemento… particolare.
“Sakura Haruno” pensai, come un riflesso.
Era lei che il primo giorno, invece di ridere di me, mi aveva sorriso incoraggiante, facendo così in modo che io riuscissi a spiccicare qualche parola.
All’inizio mi ero preoccupato della sua presenza: di certo i suoi capelli tinti di rosa non erano rassicuranti per un insegnante alle prime armi.
Poi, conoscendola, mi accorsi che era una ragazza molto dolce e tranquilla, e davvero intelligente.
Perciò, non riuscivo a capire come potesse essere così legata a Ino: erano diverse come il giorno e la notte, eppure persino un estraneo avrebbe potuto vedere che tra loro c’era un’amicizia vera.
Il fatto che più mi preoccupava era la relazione che c’era tra loro due e un’altra ragazza della classe, Hinata Hyuga.
Hinata era la classica ragazza schiva e solitaria, eccezionalmente brava a scuola e con pochi amici.
Sembrava che Ino e Sakura l’avessero presa di mira per qualche ragione, ed ero intenzionato a fermarle.
La campanella interruppe le mie riflessioni.
Mentre mi recavo in una classe per la lezione successiva, incrociai proprio Sakura e Ino: correvano lungo il corridoio in pantaloncini e maglietta da ginnastica, cercando disperatamente di arrivare in tempo alla lezione di ginnastica.
«’Giorno prof!» gridarono in coro quando mi passarono accanto, quasi travolgendomi con la loro corsa.
Sorrisi leggermente, fermandomi per un attimo a guardarle scomparire dietro l’angolo, verso la palestra.
“Fanno bene a correre. Da quello che ho sentito, la professoressa di ginnastica è un vero tiranno!”
Ridacchiai, quelle due sembravano avere una capacità innata di attirare punizioni.
Ancora sorridendo, entrai in classe e cominciai la prima lezione della nuova settimana.

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Capitolo 5
*** Sakura - Ginnastica ***


Ino mi trascinava per un braccio, correndo come una pazza per i corridoi.
«Sakura muoviti! Arriveremo in ritardo!»
Sogghignai: quelle parole di solito venivano da me.
Ad ogni modo, aveva ragione: la professoressa di ginnastica non era certo una da prendere alla leggera.
Una volta eravamo arrivate in ritardo e lei per punizione ci fece restare a scuola tutto il pomeriggio, obbligandoci a pulire la palestra in ogni angolo.
Ino ancora tremava al pensiero delle sue mani rovinate irrimediabilmente –a detta sua- dal sapone.
Nella nostra folle corsa tra i corridoi incontrammo il professore nuovo, Kakashi.
Ci salutò sorridendo, senza preoccuparsi di sgridarci perché stavamo correndo.
Ebbi appena il tempo di riflettere sul fatto che mi stava simpatico, quando arrivammo in palestra, già stanche e col fiatone.
«Haruno, Yamanaka! Fingerò di non vedere che siete le ultime, come al solito! Per questa volta la scampate.» ci rimproverò la professoressa appena ci scorse.
«Grazie, signorina Tsunade!» rispondemmo in coro, cercando di sembrare il più possibile dispiaciute.
Lei si allontanò, con un sorriso appena accennato che contrastava con la sua solita espressione severa.
Come al solito, non potei fare a meno di notare la sua bellezza.
Sebbene avesse un fisico a dir poco perfetto, magro ma formoso, ciò che catturava sempre la mia attenzione era il suo viso: aveva lineamenti delicati e armoniosi, bocca e naso piccoli e ben proporzionati e due grandi occhi nocciola contornati da ciglia folte.
Il suo viso era spesso atteggiato in un’espressione seria e determinata, riflesso del suo carattere, ma quando sorrideva i lineamenti si distendevano, mostrando tutta la sua bellezza.
Fui distolta da questi pensieri da un suo ordine imperioso: quel giorno avremmo fatto la prima lezione di Karate, e dovevamo metterci in coppie.
Io, ovviamente, mi misi in coppia con Ino, e guardandomi intorno vidi che Hinata, al solito, era rimasta sola.
Se ne stava in un angolo con gli occhi bassi, senza neanche cercare di relazionarsi con qualcuno.
Tutta la sua figura esprimeva il desiderio di essere ignorata.
La guardai con disprezzo.
“Cosa ci troverà mai Deidara di così speciale in lei, non riuscirò mai a spiegarmelo.” Scossi la testa sovrappensiero.
Deidara, il bellissimo fratello di Ino, era il ragazzo di cui ero innamorata da tempo immemore.
Per un po’ uscimmo insieme, e sembrava che stessi quasi per farcela, quando era arrivata lei.
Hinata.
Non sapevo come si fossero conosciuti, ma ne conoscevo molto bene le conseguenze.
Da quel giorno, Deidara tagliò quasi completamente i ponti con me.
O meglio, iniziò semplicemente a considerarmi solo un’amica della sorella minore.
Questo mi sarebbe anche andato giù, se non fosse che mi sostituì –o almeno la vedevo così- con lei.
Conoscevo Hinata sin dall’infanzia, e non l’avevo mai considerata.
Semplicemente, mi limitavo ad ignorarla, assecondando il suo desiderio.
Segretamente, però, mi ero sempre sentita un po’ superiore a lei, e il fatto che Deidara sembrasse preferirla a me mi aveva fatto scattare.
Ora, ogni volta che la vedevo, non potevo fare a meno di pensare a quei fatti, e la sua espressione sottomessa mi dava sempre più sui nervi.
«Haruno!»
Un urlo mi risvegliò dalle riflessioni.
«Smettila di stare lì a fissare il vuoto! Vieni qui!»
Tsunade mi stava sgridando per la seconda volta, e la lezione era cominciata da soli dieci minuti.
Mi avvicinai.
Quando mi accorsi che la professoressa teneva una mano sulla spalla di Hinata in una stretta energica, fu troppo tardi.
«Haruno, per tutte le lezioni di Karate starai in coppia con Hyuga.»
«Ma… ma… io veramente avevo già scelto Ino come compagna!» balbettai, incredula.
«Proprio no. Tu e Yamanaka insieme non combinate niente. Sarai in coppia con Hyuga per le prossime sei settimane, Haruno, e niente storie. Impegnatevi.» concluse, voltandosi per andarsene.
Rivolsi lo sguardo verso Hinata.
Ogni volta che la guardavo il pensiero di Deidara tornava, assillante come il primo giorno.
“Sei settimane di Karate con Hinata? Potrebbe finire male…” pensai, a metà tra il divertimento lo sconforto.
Hinata scambiò il mio sorriso sarcastico per un sorriso vero, e timidamente me ne fece uno in risposta.
Era troppo.
La guardai in cagnesco, e lei fece istintivamente un passo indietro, con un’espressione confusa.
Improvvisamente, mi fece pena.
La odiavo, ma a questo sentimento se ne stava mescolando un altro diverso, meno definito.
Sospirai.
Tentare di discutere con Tsunade era inutile, e infondo non ne valeva la pena.
Erano solo due ore a settimana, e Hinata non sembrava voler creare troppi problemi.
Senza contare che, magari, avrei potuto approfittarne per carpire delle informazioni su Deidara.
Quando Tsunade terminò di spiegare il primo esercizio, guardai Hinata con un’espressione neutra.
«Su, cominciamo.» le dissi.
Lei annuì.
Ci mettemmo in posizione, e per le due ore successive nessuna delle due aprì più bocca.

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Capitolo 6
*** Tsunade ***


Continuavo a chiedermi se avessi fatto la cosa giusta.
E se mettere Haruno con Hyuga fosse stato un errore?
Del resto, non si possono forzare due persone ad essere amiche.
La mia convinzione riguardo alla genialità del piano stava vacillando.
“No.” Pensai con determinazione “Haruno e Hyuga si consoceranno e faranno amicizia. Dopotutto, non vedo perché no. E così forse Haruno smetterà di frequentare quella Yamanaka…”
Immersa in queste riflessioni, non mi accorsi che la sala professori non era vuota.
Mi resi conto di non essere sola soltanto quando, dopo aver lanciato energicamente la mia borsa su una sedia, sentii una voce che mi salutava timidamente.
Mi voltai nella direzione da cui proveniva la voce e mi accorsi che, seduto ad un tavolo, c’era il nuovo supplente, che mi sorrideva da dietro ad una pila di libri, con i quali stava presumibilmente preparando la sua prossima lezione.
“Che progressi! Non avevo mai visto la vecchia strega preparare una singola lezione.” Pensai sarcastica, mentre ricambiavo il saluto.
Lui si rimise al lavoro, dandomi così l’occasione di osservarlo.
Era un ragazzo giovane, non doveva avere più di venticinque anni. Ciò che colpiva maggiormente erano, ovvio, i suoi capelli argentei.
Ero tentata di chiedergli se fossero naturali, ma riuscii a trattenermi, cosa di solito non facile per me.
C’era qualcosa in lui che mi faceva provare degli scrupoli anche solo nel parlare, come se temessi di offenderlo e quindi di veder scomparire il suo sorriso aperto.
“Che razza di pensieri! Avrà come minimo tre anni meno di me!” pensai stizzita.
Lasciai da parte le riflessioni sul nuovo supplente per tornare alla questione su cui mi arrovellavo da tempo: Haruno e Hyuga. Con contorno di Yamanaka.
Sospirai, scuotendo la testa: non potevo fingere di non vedere.
All’inizio, mi sembrava solo che tra loro ci fosse antipatia, cosa in fondo normale per delle ragazze adolescenti.
Ma poi l’antipatia si era trasformata in altro, e la tensione tra loro era palpabile.
Nella nostra scuola non avevamo mai avuto molti casi di bullismo, ma questo era uno di quelli.
E io non sapevo davvero come comportarmi.
Spesso mi era capitato di scorgere Hyuga in cortile, durante le pause, che piangeva.
La prima volta le avevo chiesto cosa le fosse successo e lei mi rispose che era caduta e si era fatta male.
Ma da quel giorno avevo cominciato a fare attenzione, e presto le azioni di Haruno e Yamanaka non furono più un segreto per me.
Certo, avrei potuto convincere Hyuga a denunciarle al preside, o addirittura portarcele io di persona, ma sarebbe realmente servito?
Non credevo.
Anzi, ciò che temevo era che se la prendessero con Hyuga, peggiorando la situazione.
Quindi, ero arrivata ad una conclusione: avrei lavorato su Haruno, che mi sembrava la più ragionevole.
Se il tentativo di avvicinarla a Hyuga fosse andato in porto, bene, se no le due bullette mi avrebbero sentito.
Cercai di tranquillizzarmi con questa conclusione, ma la verità era che non sapevo cosa fare.
Qualcosa nel mio aspetto doveva aver lasciato trapelare il mio smarrimento, perché il supplente mi guardò leggermente perplesso, chiedendomi: «Va tutto bene, signorina?»
Non potei fare a meno di ridacchiare.
Lui arrossì.
«”Signorina” mi fa sentire così vecchia!» risi come spiegazione.
Sorrise anche lui.
«Chiamami Tsunade, sarà più che sufficiente.» continuai a ridacchiare.
«Accetterò solamente se anche tu mi chiamerai solo Kakashi.» affermò, sorridendo convinto.
Aveva una buffa espressione, e non potei fare a meno di continuare a sorridergli.
“Le mie alunne non ci crederebbero, Tsunade il tiranno che sorride per quasi un minuto!”
Proprio in quel momento, suonò la campanella.
Anche per quel giorno, la scuola era finita, potevo sentire la gioia degli studenti che pervadeva l’aria.
Salutai il supplente, e mi incamminai verso casa.
Mentre camminavo, continuai a pensare a questo incontro così strano.
“Kakashi… davvero un bel tipo.” Non potei fare a meno di sorridere di nuovo.

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Capitolo 7
*** Ino - Patti. ***


Ero sopravvissuta ad un’altra giornata di scuola, wow.
«Sono a casa!» urlai, non appena varcai la soglia.
Un grugnito in lontananza mi accolse.
“Quindi quel cavernicolo di mio fratello è a casa. Fantastico.” Pensai sarcastica.
Andai in cucina a prendere qualcosa da bere, ed ecco mio fratello in tutto il suo splendore: era in boxer e nient’altro, probabilmente si era svegliato da pochi minuti –le gioie della vita universitaria!- e sulla faccia semiaddormentata aveva ancora i segni del cuscino.
Per completare il quadro, i suoi capelli lunghissimi e biondi, di solito pettinati perfettamente, erano arruffati sparati in tutte le direzioni.
“Se solo Sakura lo vedesse in questo momento la sua fissa per lui sparirebbe immediatamente!”
Improvvisamente, mi venne in mente che mio fratello sarebbe dovuto essere a chilometri da lì, nella sua casa da universitario e con il suo coinquilino da universitario.
Solo al pensiero del suo coinquilino mi sentivo sciogliere.
L’avevo conosciuto a una festa del college nella quale Deidara mi aveva imbucato, ed era… wow.
Semplicemente bellissimo.
Avevamo ballato un po’, poi, all’improvviso, era scomparso senza lasciare traccia.
Una specie di Cenerentola al contrario.
Ma non avrei mai potuto scordare quegli occhi ambrati e quel viso da bambino, così dolce.
Ero ben determinata a incontrarlo di nuovo, prima o poi.
Per questo, cercando di mantenere un tono neutro, domandai a Deidara il motivo del suo ritorno a casa fuori programma.
«Oh, niente di che. Hinata mi ha invitato ad una festa, e mi andava di partecipare.»
Alla parola “festa” il mio livello di attenzione si alzò notevolmente.
«Una festa? Dove?»
«Se ricordo bene, dovrebbe essere la festa di inaugurazione di una nuova discoteca, Stomping Ground mi pare…» fece lui con aria pensierosa.
“Oh, già. Lo Stomping Ground” pensai, delusa.
Io e Sakura l’avevamo già bollata come festa da bambini, ma ora mio fratello mi aveva incuriosito.
«E poi…» continuò lui «per ora siamo in vacanza, quindi Sasori verrà a stare qui per un paio di giorni. Giusto in tempo per la festa.»
“Oh. Mio. Dio.”
Per un attimo mi sentii svenire.
Sasori.
Il meraviglioso coinquilino misterioso sarebbe stato per un paio di giorni sotto il mio stesso tetto.
«Tra quanto arriverà?!» feci con voce strozzata.
«Mmh, vediamo… oggi è il 4 maggio… la festa è il 9… sì, mi sembra di ricordare che arriverà il 7.»
«E… dove pensi che lo metteremo a dormire?»
«Bè, a meno che tu non voglia invitare Sakura a dormire, sei l’unica con un letto doppio in camera. Quindi, ci sono due possibilità: o ci lasci camera tua o… dormirai con Sasori!» rise lui.
Io diventai viola.
Deidara continuò a ridere mentre io cercavo oggetti più o meno pesanti da scagliargli contro.
«Credevi che non me ne fossi accorto? È dal giorno della festa al college che ogni volta che nomino Sasori ti comporti in modo strano! Ora potrei anche ricattarti, sorellina!» ghignò.
Ero livida di rabbia e imbarazzo, ma non raccolsi la provocazione.
Cercai, invece, di cambiare discorso.
«Piuttosto, dimmi un po’ Deidara, cosa pensi di fare con Hinata? Credevo che l’avessi lasciata perdere.» lo accusai.
«Bè, non si sa mai, giusto? Per il momento io ho solo accettato un invito…»
Riuscivo a vedere, però, che dietro alla sua sicurezza di facciata nascondeva molti dubbi.
«Deidara, Hinata ti interessa davvero?»
«Oh, non lo so Ino!» sbottò lui «Non so cosa fare! Mi sembra così fragile, tanto da farmi scrupoli a rifiutarla, ma dire che mi interessa… davvero non lo so!»
«…e Sakura?»
«Sakura cosa?» mi fissò truce.
Ahi.
Tasto dolente, a quanto pareva.
Non ero mai riuscita a capire cosa fosse successo tra loro, e sembrava che non ci fosse riuscita neanche la mia amica.
Questa era un’occasione per chiarire un po’ di dubbi.
«Senti, Dei. Dovresti come minimo chiedere scusa a Sakura. Le piaci, e l’essere scomparso così è stato… bè, una carognata.»
«Forse tornare per una festa non è stata una grande idea dopo tutto.»
Ancora una volta, toccava a me essere la sorella maggiore.
Cercando di mantenere la calma, provai a far ragionare mio fratello.
«Che ne dici di un patto?» dissi, nel tentativo di catturare la sua attenzione.
«Di che genere?» disse lui, sospettoso.
«Io ti aiuterò a capire cosa vuoi fare –parlo di Sakura, Hinata o chiunque altra- e tu in cambio mi aiuterai con Sasori. Niente ricatti, niente doppie facce. Ci uniamo.»
Deidara sembrava riflettere seriamente.
Incrociai le dita, avevo bisogno di tutto l’aiuto possibile.
«Va bene, Ino. Accetto.» disse solennemente.
Tirai un sospiro di sollievo.
«Perfetto! Vedrai che non te ne pentirai, fratellone!»
Gli sorrisi, prima di scomparire in camera mia.
La camera dove, tra qualche giorno, avrebbe dormito Sasori.
Afferrai il telefono.
Non vedevo l’ora di dirlo a Sakura!

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Capitolo 8
*** Kakashi - caffè ***


Era già la seconda volta in tre giorni che vedevo l’insegnante di ginnastica («Chiamami Tsunade!») assorta nei suoi pensieri ad un tavolo della sala professori.
Da come me l’avevano descritta i miei colleghi, la immaginavo molto diversa: pensavo che fosse una specie di vecchia zitella con l’hobby di intromettersi negli affari della gente.
A quanto pareva, invece, non era affatto così.
Per prima cosa, non era vecchia: doveva avere sì e no la mia età, probabilmente qualche anno in più, due o tre al massimo.
Inoltre, era molto bella, con lunghi capelli biondi e grandi occhi nocciola.
Con il suo fisico formoso, sembrava più una modella da rivista di moda che un’insegnante di ginnastica, e riguardo al suo carattere, la trovavo piuttosto riservata e gentile.
L’esatto opposto, insomma, di ciò che mi era stato detto.
Anche oggi, entrando in sala professori, la trovai lì seduta, apparentemente persa dietro questioni importanti che sembravano non lasciare la sua mente neanche per un attimo.
Mi dava le spalle, per cui, sicuro di non essere visto, la osservai per qualche secondo.
Teneva un gomito appoggiato sul tavolo, e con una mano si reggeva la testa, mentre con l’altra si tormentava una ciocca di capelli color grano.
Aveva le spalle leggermente curvate, e sembrava triste.
La sentii emettere un leggero sospiro, e questo mi convinse a manifestare la mia presenza.
«Tsunade…» iniziai.
«Oh, ciao Kakashi.» mi rispose lei distrattamente.
«Ehm… forse ti sembrerò un po’ indiscreto ma… ecco… c’è per caso qualcosa che, bè, ti… turba?»
Mi sentivo un idiota.
Fortunatamente, lei mi accennò un sorriso.
«A dire la verità, sì. E pensavo di chiederti aiuto, prima o poi. Vedi…»
Il suono della campanella la interruppe.
«Hai lezione?» mi chiese.
«Sì, mi dispiace. Ho tutta la mattinata impegnata oggi.» feci con disappunto.
Volevo sapere per quale motivo lei credesse che potessi esserle utile.
«Non ti preoccupare.» mi sorrise lei. «Che ne dici di vederci durante la pausa pranzo? Potremmo discuterne davanti a un caffè.»
«Ehm… certo, va bene!» accettai, un po’ confuso.
“Discutere di cosa?”
«Ci vediamo dopo allora. Ora vai, o arriverai tardi alla lezione!» mi congedò lei.
Annuii, e, salutandola, uscii dalla sala professori.
Non avevo ancora ben capito cos’era successo, quando il professore di matematica mi diede spontaneamente una sua versione dei fatti.
Era appena sulla soglia della sala, e, quando gli passai accanto, mi strizzò l’occhio ridacchiando.
«Un appuntamento con Tsunade, eh? Wow, io sono anni che ci provo! Fortuna sfacciata!»
«Signor Jiraya, non è così!» mi affrettai a rispondere, arrossendo. «Noi…»
«Certo, certo, solo per lavoro! Dicono tutti così… approfittane, ragazzino, fidati!» rise lui, facendo arrivare il mio imbarazzo alle stelle.
Non so come, riuscii ad arrivare in classe e presentare una lezione decente, anche se non riuscivo a togliermi dalla testa l’appuntamento con Tsunade.
Inoltre, tanto per rendere le cose più difficili, ogni volta che la parola “appuntamento” si presentava nella mia mente, non potevo non pensare al professor Jiraya, rischiando di andare fuori di testa per l’imbarazzo e la confusione.
Sicuramente, Tsunade non aveva in mente niente di simile, ma il fatto che Jiraya ci avesse sentito significava che entro l’ora di pranzo tutta la scuola ne sarebbe stata al corrente.
Perso dietro a queste preoccupazioni, quasi non mi accorsi che l’ora di pranzo ormai era arrivata.
Entrando nella parte della mensa riservata ai professori, mi resi conto che la notizia, opportunamente condita da Jiraya con particolari scabrosi, doveva avere realmente fatto il giro della scuola: al mio passaggio, i colleghi si giravano a guardarmi ammiccando, mentre le donne scuotevano la testa lanciandomi occhiate di rimprovero.
Cominciavo a credere che le voci che avevo sentito su Tsunade fossero semplicemente il frutto di anni di gelosia.
Quando la scorsi seduta ad un tavolo, che mi faceva segno di avvicinarmi, avevo ormai attraversato tutta la mensa, implorando ad ogni passo che il pavimento mi inghiottisse.
Mi sedetti, e mi accorsi che lei aveva già preso un caffè per entrambi.
“Per fortuna. Non riuscirei ad attraversare la sala un’altra volta.”
Cercando di darmi un contegno, le domandai in che modo potessi aiutarla.
«Tu insegni nella classe di Sakura Haruno, giusto?» chiese lei seria.
«Sì, sì, Haruno. Una brava alunna, no?» sorrisi.
Sakura era certamente una delle mie alunne più brillanti, aveva un’intelligenza pronta e una spiccata sensibilità. Inoltre era educata e tranquilla, esattamente quello che un professore, soprattutto uno alle prime armi, vorrebbe.
«Una brava alunna, già.» fece una pausa. «Rischia di finire davanti al preside per bullismo.»
Sgranai gli occhi.
«Cosa?!»
«È così, Kakashi. Mi dispiace essere stata così brutale, ma era proprio di questo che ti volevo parlare.»
Le feci segno di continuare.
«Vedi, lei e Yamanaka ultimamente hanno preso di mira un’altra ragazza, Hinata Hyuga. Hyuga è timida, fragile, un bersaglio perfetto. Quello che non capisco è perché una ragazza equilibrata come Haruno dovrebbe ricorrere al bullismo. All’inizio pensavo che si trattasse dell’influenza di Yamanaka, ma sarebbe una spiegazione troppo semplice. Deve esserci sotto qualcosa.»
La pensavo così anche io: per quanto potessero essere amiche, Sakura era intelligente, non credevo che avrebbe seguito il volere di Yamanaka ad occhi chiusi.
Quindi, doveva esserci per forza una volontà da parte sua.
“Il che, se possibile, è anche peggio.” Pensai, scuotendo la testa.
Tsunade mi raccontò del suo piano per le ore di ginnastica, ma anche dei suoi dubbi al riguardo.
Non potevo che essere d’accordo: mi sembrava piuttosto difficile obbligare due persone ad essere amiche, soprattutto in questo contesto.
Tsunade mi strappò dalle mie riflessioni.
«Kakashi, ho bisogno di aiuto. Voglio risolvere questo problema assolutamente, ma non posso farlo da sola.»
«Cosa pensi che potrei fare?» chiesi, insicuro.
«In realtà non lo so.» sospirò.
Sembrava così rassegnata che mi sentii in dovere di rassicurarla.
«Tsunade, io… troveremo un modo per farle legare, vedrai. Ti assicuro che penserò al modo migliore.»
Mi rivolse un sorriso appena accennato.
«È bello vedere una professoressa che si preoccupa davvero per le sue alunne, davvero. Cercherò di aiutarti in tutti i modi, promesso.» conclusi.
Parlando, ci eravamo avvicinati al di sopra del tavolo, e mi accorsi che avevamo progressivamente abbassato il tono di voce fino a sussurrare.
La guardai negli occhi e, improvvisamente, mi resi conto che non eravamo soli, ma in una mensa affollata di gente che sicuramente ci stava guardando con interesse.
Mi tirai indietro bruscamente, imbarazzato.
Lei rise, spezzando la tensione.
«Grazie, Kakashi. Sapevo di poter contare su di te.» disse con un ampio sorriso.
Uscimmo dalla mensa e ci incamminammo verso le rispettive lezioni pomeridiane.
Quel pomeriggio non riuscii a pensare ad altro che alla conversazione in mensa, lambiccandomi sul modo migliore per far legare Sakura e Hinata.
Non me ne veniva in mente nemmeno uno.
Inoltre, l’immagine del sorriso di Tsunade e dei suoi occhi continuava a danzare nella mia mente, distraendomi da qualunque pensiero.
Ero ancora perso in questa sorta di ipnosi quando mi incamminai verso casa.

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Capitolo 9
*** Sakura - punizioni ***


«Haruno! Di nuovo in ritardo!»
Ero ancora sulla soglia e già il professore di storia mi urlava contro.
“Cosa ci sarà da sbraitare tanto? Di prima mattina poi…” ancora sconvolta dalle poche ore di sonno, mi accasciai sul banco.
La notte prima ero stata al telefono con Ino fino a tardi, e anche dopo aver chiuso avevo fatto fatica ad addormentarmi.
Deidara era a casa!
La notizia mi aveva sconvolto, ma non ero sicura di essere contenta.
Riuscivo a vedere solo il fatto che Hinata l’aveva invitato ad una festa, e che lui aveva accettato.
Assurdo!
Voglio dire, una festa!
Con Hinata!
“Il massimo del divertimento!” pensai sarcastica.
Persa nelle mie riflessioni, captai solo la fine della ramanzina del prof.
«…giovedì pomeriggio, fino alle sei!» diceva, puntandomi minaccioso un indice contro.
«Cosa?!» dissi spaesata, mi aveva presa alla sprovvista.
Le mie compagne ridacchiarono.
«Arrivi in ritardo e non mi stai neanche a sentire! Sei in punizione, resterai tutto giovedì pomeriggio a mettere in ordine nella biblioteca. E fa’ in modo che sia l’ultima volta che ti riprendo, Haruno!»
Fantastico.
E ovviamente ero sola, visto che Ino, da furba quale era, quel giorno si era data malata, ed ora era sicuramente sotto le coperte a poltrire e sognare il Coinquilino Misterioso.
Imprecai sottovoce, tirando fuori il libro di storia.
“Perlomeno, si tratta solo della biblioteca. In fondo mi piace quel posto.” Cercavo di consolarmi.
Decisi di smettere di pensarci, per non rovinarmi ancora di più la giornata.
Senza Ino le ore trascorsero più lente del solito, e quando tornai a casa mi sembrava di essere invecchiata di millenni.
Stavo cercando di tirarmi su con un po’ di cioccolata quando squillò il telefono.
Era Ino.
«Saku! Come è andata oggi nella gabbia di matti?» fece lei tutta allegra quando risposi.
«Oh, meravigliosamente. Ho fatto a botte con Hinata e ho baciato il professor Kakashi davanti a tutta la scuola. Non sai cosa ti sei persa.»
«…»
«Sul serio, dovevi esserci!»
«Saku, hai bevuto?»
«Magari. In realtà mi sono trascinata ora dopo ora cercando di convincermi che prima o poi sarebbe finita. Ah, e ho anche beccato una punizione.»
«Cosa?! E perché?»
«Ritardo di dieci minuti in prima ora, lavori forzati per tutto giovedì pomeriggio.»
«Oh, di nuovo quello là. Che palle, Saku! Vuoi che venga ad aiutarti?»
Sorrisi.
Sì, era quello che volevo, ma non glielo avrei mai chiesto.
A volte semplicemente la adoravo.
«Magari, Ino. In questo momento stavo cercando di affogarmi nella cioccolata. Potresti essere la mia salvezza.»
«Non ti preoccupare. Solo… che giorno è giovedì?»
«Mmh… il sette, mi sembra. Perché?»
«AAH! OH NO!»
Il suo urlo improvviso mi tramortì.
«Ino che succede?» chiesi allarmata.
«Saku, mi dispiace tanto!» fece con voce lamentosa. «Il sette è il giorno dell’arrivo di Sasori…»
«Uff, già, me n’ero dimenticata.»
«Scusa Saku, non posso proprio venire! Mio fratello mi ha assegnato la cena di benvenuto e tutto il resto dei compiti assurdi che lui non vuole fare.»
Ridacchiai.
Tipico di Deidara.
«Non ti preoccupare, Ino. Farò da sola, ma ad una condizione.»
«Uh?»
«Appena hai un momento, chiamami! Voglio assolutamente sapere ogni cosa!»
Ino scoppiò a ridere, promettendomi che l’avrebbe fatto.
Ci salutammo, e io andai a fare un bagno.
Mi sentii meglio già dopo un minuto, e mi rilassai completamente nell’acqua bollente.
Una volta uscita, mi sentivo come rinata.
Mi misi a fare i compiti, eccezionalmente pochi dati gli standard della scuola.
Tenni per ultimo quello che volevo fare con più attenzione: un tema di letteratura, un saggio breve su un libro che avevamo appena finito di leggere con il professor Kakashi.
Volevo fare quel tema al meglio, perché amavo la sua materia e apprezzavo molto il professore: era diverso da chiunque altro, e volevo capire per bene che persona fosse.
Cominciai a scrivere, e per due ore abbondanti non sentii altro che il rumore –suono, per me era un suono- della penna che scorreva leggera sulla carta.

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Capitolo 10
*** Ino - arriva Sasori! ***


Guardai la sveglia sul comodino.
Le sei di mattina.
Tra dodici ore sarebbe arrivato Sasori, ed io ero già nervosa.
Mi rigirai nel letto finché non suonò la sveglia, e un quarto d’ora dopo ero già pronta per andare a scuola.
Non ero mai stata così in anticipo, e decisi di andare a chiamare Sakura a casa sua.
Venne ad aprirmi la porta ancora in pigiama.
«Ino… ma lo sai che ore sono?» mi disse sbadigliando.
«Certo che lo so, lo so dalle sei di stamattina! Dai preparati Saku!» ero piuttosto petulante per essere soltanto l’alba.
«Ah già… oggi è il grande giorno!» mi prese in giro Sakura.
Entrai e la aspettai mentre si vestiva.
Dopo mezz’ora era pronta, e, ancora in netto anticipo, ci avviammo verso la scuola.
«Saku, senti… come faccio se c’è qualcosa che a Sasori non piace?»
«Mh? Cosa intendi?»
«Bè, sai, se non gli piace la casa, o come ho sistemato la camera, o il cibo, o non si ricorda di me…»
«Lo butti fuori di casa e gli dici di cercarsi un albergo.»
«Cosa?» dissi, confusa.
Sakura scoppiò a ridere.
«Ino, ma cosa stai dicendo? Intanto lo ospiti, oltretutto in camera tua, quindi se si lamenta di qualcosa lo prendi a schiaffi poi lo cacci.»
“Questa è la Sakura che conosco!” sorrisi.
«E per quanto riguarda il fatto che non si ricordi di te» continuò «Non mi pare proprio, no? Sei stata tu a dirmi che lui stesso ha detto a Deidara di salutarti da parte sua. Non farti prendere dall’ansia e andrà tutto benissimo.»
Ci pensai un attimo, Sakura era sempre la voce della coscienza per me.
Dopo averci riflettuto, capii che aveva ragione.
Sì, Sasori aveva fatto chiaramente capire che si ricordava di me, e solo a ripensarci un enorme sorriso mi si stampò sul viso, sebbene in quel momento stessimo entrando a scuola.
Per tutta la mattinata il mio umore fu alle stelle, senza essere scalfito neanche dalla vista di quell’insopportabile Hinata, alla quale non rivolsi nemmeno una battutina acida.
Riuscii però ad accorgermi che il professor Kakashi non aveva fatto altro che guardare me, Sakura e a volte Hinata con sguardo concentrato per tutta la durata della lezione.
Mi girai verso Sakura e vidi che le sue guance stavano diventando sempre più rosse, mentre cercava in tutti i modi di non incrociare lo sguardo del prof.
“Ma che diavolo sta succedendo qui?” mi sentivo come se fossi appena atterrata da un altro pianeta.
«Saku… perché il prof continua a guardarti?» le sussurrai.
«Te ne sei accorta anche tu! Non lo so Ino, secondo te ho fatto qualcosa di male?»
Ci pensai.
No, non mi sembrava proprio.
A parte la punizione, ma quella le era stata data dallo psicopatico che insegnava storia, e per un motivo banale come un ritardo.
Quando glielo dissi, annuì, affermando che era la stessa cosa che aveva pensato lei.
«Magari è solo la nostra impressione…» fece, poco convinta.
«Lascialo perdere, Saku. Se è qualcosa di importante, prima o poi ce lo dirà.» adesso toccava a me fare la voce della coscienza.
«Sì, forse hai ragione. Lasciamo stare…»
Continuava a sembrarmi poco convinta, ma lasciammo cadere la questione.
L’ora di Kakashi passò senza nessun altro inconveniente, e io mi resi conto con orrore che si trattava dell’ultima ora.
Quando suonò la campanella, schizzai fuori della porta, ed ero già in cortile quando vidi che Sakura non mi stava seguendo.
«La punizione!» esclamai forte, battendomi una mano sulla fronte.
Il gesto fece girare a guardarmi diversi ragazzi, ma non ci feci caso.
Tornai dentro e incrociai Sakura in mezzo al corridoio, che nel frattempo aveva tentato di inseguirmi.
«Ino, io devo rimanere qui oggi…» borbottò mentre mi raggiungeva.
«Lo so, scusa! Ero troppo nervosa!»
Mi sorrise.
«Tranquilla. Vai adesso, scommetto che devi ancora sistemare tutta la camera, per non parlare della casa!» ridacchiò.
La guardai male, ma aveva ragione.
Risi anche io, la abbracciai e mi voltai per andarmene.
«Chiamami in qualunque momento!» mi urlò. «Di certo, i libri non si offenderanno…»
Risi di nuovo, e le promisi che l’avrei chiamata.
Corsi come una pazza fino a casa.
Mangiai alla velocità della luce, poi presi tutto ciò che mi serviva e cominciai a fare le pulizie come una forsennata.
Deidara intanto mi osservava e rideva sotto i baffi.
“Ma aiutare no, eh?” pensavo.
In realtà però non mi fidavo di lui, considerando che la sua idea di fare pulizia era tracciare un sentiero in mezzo ai vestiti sparsi a terra che andasse dalla porta della sua camera al letto.
Volevo che fosse tutto perfetto per l’arrivo di Sasori, e fargli trovare mutande sotto il materasso non sarebbe stato di grande aiuto.
Alle quattro avevo finalmente terminato le pulizie, e, stremata, mi buttai sul divano.
Ero soddisfatta: la casa splendeva come non mai, ed ero sicura di aver rimosso e nascosto tutto quello che poteva esserci di imbarazzante –foto di me da piccola, reggiseni imbottiti, un diario segreto che scrivevo di tanto in tanto e cose del genere.
«Ino perché ti stai rilassando tanto? Vuoi venire in stazione così?» rise Deidara.
Mi guardai: portavo un pigiama a pallini rosa con sopra vecchio grembiule sporco, ero struccata, sudata, con i capelli raccolti e pieni di polvere.
Con un balzo scesi dal divano e mi fiondai in bagno, aprendo l’acqua della doccia al massimo.
Dopo un’ora, finalmente ero pronta.
Arrivammo in stazione in anticipo, e io non riuscivo a stare ferma: mi sistemavo i capelli, tamburellavo con le dita su qualunque superficie trovassi, facevo qualche passo in direzioni a caso, come se fossi ubriaca.
Quando sentii la voce metallica degli altoparlanti che annunciava l’arrivo del treno di Sasori, temevo che le gambe non mi reggessero e mi appoggiai alla parete.
Deidara, che fino a quel momento mi aveva preso in giro, mi si avvicinò un po’ preoccupato, e mi sostenne mettendomi un braccio attorno alle spalle, cosa che non faceva da anni.
Mi appoggiai a lui, ormai il treno era arrivato e i passeggeri stavano scendendo.
Da lontano scorsi un ragazzo alto, con i capelli rossi, che camminava verso di noi.
Il mio cuore mancò un battito.
«Eccolo.» mi sussurrò Deidara, stringendomi una spalla.
Non mi sarei mai aspettata tutta questa comprensione da lui.
«Sasori!» urlò Deidara, prendendomi alla sprovvista.
Agitò un braccio, e il ragazzo lo salutò in risposta.
Era lui.
I secondi che impiegò per arrivare vicino a noi sembrarono durare secoli.
Alla fine, Deidara prese l’iniziativa, e, trascinandomi, si avvicinò a Sasori.
«Ciao, Saso! Fatto buon viaggio?»
Lui annuì, ricambiando il saluto.
Poi mi guardò, e io cercai di farmi sempre più piccola, senza nessun risultato.
«Ciao, Ino.» mi disse, guardandomi.
Mormorai un saluto.
Non ricordavo quasi più la sua voce, e sentirla mi fece tremare.
Persa in queste riflessioni, non realizzai che mi si era avvicinato, e me ne accorsi solamente quando mi diede due baci sulle guance.
Sentivo che stavo arrossendo violentemente, e per fortuna Deidara mi salvò, cominciando a parlare dell’università.
Potevo cercare di rilassarmi, ma sentivo ancora sulla pelle la sensazione di quei baci.
Non riuscivo a formulare pensieri coerenti, e riuscivo solo a pensare che dovevo parlare con Sakura, assolutamente.
Ma non avevo tempo di chiamarla.
Dovevamo andare a casa, e io mi ero presa il compito di fare tutto: dovevo far vedere a Sasori la sua –la mia!- camera, poi tutta la casa, e servire la cena…
Non sapevo se ne sarei uscita viva.
Mi ripromisi di chiamare Sakura appena avessi potuto, o almeno mandarle un messaggio.
Eravamo arrivati a casa.
Sorrisi nel modo più naturale che potei, facendo un respiro profondo.
«Vieni, Sasori! Ti faccio vedere la tua camera!»
Mi seguì.
“Cominciamo!”

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Capitolo 11
*** Kakashi - biblioteca ***


Haruno… Yamanaka… Hyuga…
Mi ripetevo quella cantilena nella mente mentre facevo scorrere lo sguardo tra le alunne, pochi minuti prima di cominciare la lezione.
Guardandole ora, quello che Tsunade mi aveva detto in proposito mi sembrava assurdo.
Ma, anche se non ci avevo mai fatto realmente caso, dovevo ammettere che a volte avevo notato della tensione tra loro: ogni volta che Sakura o Ino le si avvicinavano, Hinata tendeva a ritrarsi, come se le temesse.
Mi resi conto infine che probabilmente era così.
Decisi di cominciare la lezione, per distrarmi almeno un po’ da quei pensieri che, sin dal famigerato appuntamento in mensa con Tsunade, non mi avevano mai abbandonato del tutto.
Per prima cosa, ritirai il compito che avevo assegnato per casa: le ragazze dovevano scrivere un tema di commento sul libro che avevamo appena finito di leggere in classe, e intendevo correggere quei lavori al più presto.
In quella classe c’erano molte alunne piuttosto intelligenti, ed ero davvero curioso di sapere cosa sarebbe venuto fuori da quei temi.
Una volta ritirati tutti i compiti, iniziai la lezione vera e propria, ma anche mentre spiegavo il mio sguardo vagava sempre tra le solite tre: una volta incrociai gli occhi di Sakura, e vidi che era arrossita.
Distolse subito lo sguardo e sussurrò qualcosa a Ino, che le rispose facendola arrossire ancora di più.
Non avevo capito bene cosa stesse succedendo, ma forse i miei sguardi non erano così discreti come pensavo, per cui evitai di continuare a guardarmi in giro, concentrandomi sul libro e su un punto imprecisato della parete.
Al suono della campanella raccolsi le mie cose, lanciando un’ultima occhiata di sfuggita a Sakura e Ino.
Le quali, a loro volta, mi stavano guardando, causandomi un leggero imbarazzo.
Mi avviai senza fretta verso la mia lezione successiva, e poco a poco riuscii a smettere di assillarmi con il pensiero di cosa avrei potuto fare per Hyuga.
Ma lo facevo veramente per lei?
Certo, ero contrario ad ogni forma di bullismo nelle scuole e ci tenevo ad aiutarla, ma, ogni volta che mi mettevo a pensarci seriamente, tutto quello che riuscivo a vedere era il volto di Tsunade, e la sua espressione preoccupata.
Non l’avrei mai ammesso, ma mi stavo lambiccando il cervello così tanto solo perché volevo smettere di trovarla persa nei suoi pensieri, con lo sguardo preoccupato e cupo, ogni volta che la vedevo.
Se anche una minima parte di quelle preoccupazioni erano causate dalla faccenda di Hyuga e Haruno, avrei fatto di tutto per trovare una soluzione.
Ovviamente, percepivo queste cose solo a livello di inconscio.
Non mi credevo certamente un paladino della giustizia, né tantomeno potevo dire di provare interesse per quella donna.
Tutto quello che sapevo era che vederla così mi turbava.
E poi, c’era la questione di Haruno.
Sebbene un professore non dovrebbe avere predilezione per certi alunni, non posso non ammettere che Sakura era la mia alunna preferita.
Nelle varie classi avevo molte alunne piuttosto brave, intelligenti e piene di spirito, ma mi sembrava sempre che Sakura avesse qualcosa in più.
Sì, ne ero sicuro: aveva davanti a sé un brillante futuro.
A patto che, naturalmente, non si autodistruggesse con la storia del bullismo.
In conclusione, mi ero impegnato in questa impresa per due donne.
Quale fosse esattamente il mio legame con loro, ancora non lo sapevo.
Speravo solo di scoprirlo presto, o per lo meno prima della pazzia.
Finii anche l’ultima lezione della giornata, e, mentre uscivo, mi ricordai del pacco di compiti che dovevo correggere.
Fuori il sole era caldo e brillante, e il clima era tipicamente primaverile.
Al pensiero di chiudermi in casa a leggere temi –per quanto brillanti potessero essere- sentii un tuffo al cuore.
“Non resisterei mai alla tentazione di uscire!” sospirai.
La mia scrivania era proprio davanti alla finestra, e ovviamente dava su un giardino.
Questo significava minima concentrazione durante giornate come quelle.
Feci dietrofront e con risolutezza rientrai a scuola.
Scesi al piano di sotto ed entrai nella biblioteca.
Adoravo quel luogo: c’era sempre un piacevole fresco, e l’aria era impregnata dell’odore dei libri.
Era sempre un po’ in disordine, sebbene una delle punizioni preferite dei miei colleghi fosse far rimanere studenti a scuola nel vano tentativo di riordinarla.
Quel giorno però, sembrava vuota.
Mi sedetti ad un tavolo e tirai fuori i lavori.
Era passata un’ora, forse un’ora e mezzo, ed ero completamente immerso nella correzione.
I temi erano generalmente buoni, alcuni lo erano davvero, ma non ero ancora soddisfatto.
Volevo leggere quello di Sakura, e allo stesso tempo volevo lasciarlo per ultimo.
Sospirai, e presi un nuovo compito dalla pila in cui li avevo disposti.
Proprio mentre cominciavo a leggere, sentii una risatina.
Sobbalzai.
Tesi l’orecchio.
Sentii un fruscio, come di libro che veniva spaginato.
Poi di nuovo una risatina, questa volta più leggera, e un sospiro.
Mi guardai intorno.
La stanza in cui mi trovavo era vuota, ma mi sembrava di essermi accorto solo in quel momento che la biblioteca ne aveva due.
Cautamente, cercando di non fare rumore, mi avvicinai alla porta dell’altra stanza, e sbirciai dentro.
Non riuscii a trattenere un sorriso davanti a quello che vidi, sorriso che si allargava sempre di più man mano che notavo tutti i dettagli.
Sakura, seduta a gambe incrociate sul pavimento, era totalmente immersa nella lettura di un libro, e cambiava espressione ad ogni riga, come se volesse raccontare la storia mimandola.
Intorno a lei erano disposte pile e pile di libri, che presumibilmente aveva tolto da uno scaffale lì accanto, che ora era vuoto e polveroso.
La luce del pomeriggio, che entrava obliqua attraverso le finestre opache, era soffusa e dorata, e illuminava i suoi capelli rosa, facendola sembrare una fata.
Gli occhi verdi scintillavano e ogni tanto, ad un passaggio particolarmente interessante del libro, si spalancavano, facendole assumere un’aria sorpresa ma allo stesso tempo deliziata.
Non so per quanto tempo rimasi a guardarla.
Era così bella che probabilmente sarei rimasto lì incantato fino alla fine del libro.
Ma purtroppo, il trillo del suo cellulare ruppe l’incanto.
Lei lasciò il mondo nella quale si era immersa per tornare nella polverosa biblioteca scolastica, e, alzando lo sguardo, finalmente si accorse di me.
Dovevo avere un’aria di disappunto –causata dall’inopportuno squillo del telefono- perché lei si alzò di scatto, arrossendo.
«Professor Kakashi! Io… ehm…»
«Sakura.» le sorrisi per tranquillizzarla.
Era la prima volta che la chiamavo per nome.
«Si?»
«Cosa stavi leggendo?»
«Oh. Ehm…» diede un’occhiata alla copertina del libro, come se se ne fosse dimenticata, e arrossì di nuovo. «Oh, niente di che, professore, davvero. Una storia stupida.»
«Non sembravi trovarla stupida.» la presi in giro scherzosamente.
«Io… ecco, ho letto questo libro molto tempo fa e quando l’ho visto in mezzo agli altri libri non ho resistito alla tentazione di riaprirlo.» rise nervosamente. «A quanto pare ho preso la cognizione del tempo. In effetti, sono qui per riordinare, non per leggere.»
Abbassò gli occhi con espressione colpevole.
Come se io potessi sgridarla perché leggeva.
«Punizione?» le chiesi, avvicinandomi.
«Già.» fece, contrariata, senza guardarmi.
«E cosa avresti fatto di male?» ormai ero ad un passo da lei, ma sembrava non essersene accorta.
«Ritardo… ehi, professor Kakashi!» esclamò l’ultima parte della frase.
Avevo coperto la distanza che mi separava da lei, e mentre parlava le avevo sfilato il libro dalle mani, ed ora lo tenevo in alto, fuori dalla sua portata, ridendo.
«Professore, me lo ridia!» si lamentò lei, ma sorrideva.
«Non prima di aver guardato di cosa si tratta!» assunsi una voce pomposa «Un bravo professore deve sapere cosa leggono i suoi alunni! Soprattutto se lo fanno durante una punizione!» scherzai.
Sakura arrossì, e smise di tentare di riprendersi il libro.
Osservai il libro.
Non doveva avere più di trecento pagine, ed aveva una semplice copertina color mattone, con il titolo e il nome dell’autrice stampati in nero in un carattere svolazzante.
«”La lettera d’amore” di Cathleen Schine.» declamai.
Sakura arrossì ancora di più, e si appoggiò ad una parete.
«Di cosa parla?» le chiesi.
«Mmh… bè, è una storia d’amore…» rispose di malavoglia.
«E…?»
«C’è un ragazzo che… si innamora. Di una donna.»
Non mi sfuggì la scelta delle parole.
Sakura non parlava a caso.
«Una donna. Quindi lei è più grande del ragazzo.»
«…si.» sembrava ancora riluttante.
«Capisco. Bene, non ti chiederò altro. Credo proprio che sarà una lettura interessante.» sorrisi.
Sakura mi guardò, spalancando gli occhi.
«Lo vuole leggere?!» fece con voce strozzata.
«Certamente. Dopo aver visto la tua espressione mentre lo leggevi, non posso fare altro.»
«Prof… a me piace, ma io ho diciotto anni. Lei non è vecchio, ma, ecco, non ha diciotto anni. Ed è un ragazzo.»
Un ragazzo.
Come quello del libro.
Mi sarei innamorato di una donna più grande?
Scrollai la testa per scacciare quelle domande assurde.
«Sakura. A te piace questo libro, vero?»
«Si.» questa volta me lo disse con risolutezza.
«E quanto, per la precisione?»
Sospirò, poi mi guardò dritto negli occhi.
«È il mio libro preferito. E se vuole leggerlo, poi non venga a dirmi che non le è piaciuto!» mi minacciò sorridendo.
«Ricevuto. Ti farò sapere il prima possibile.» le sorrisi, e andai a mettere il libro nella mia borsa.
«Ah, Haruno.» senza accorgermene, avevo ripreso le distanze.
Il momento magico sembrava finito, ma ero sicuro che non l’avrei dimenticato tanto presto.
«Sì, prof?»
«Se il tuo obiettivo era mettere a posto, sappi che quello scaffale non emana esattamente “ordine”.» la rimproverai ridendo.
Lei sobbalzò, come accorgendosi per la prima volta delle pile di libri sul pavimento.
Si precipitò a rimetterli nello scaffale, e quando mi inginocchiai accanto a lei per aiutarla, mi sorrise con gratitudine.
«Mi beccherò un’altra punizione per non aver svolto la punizione precedente! Sarà un cerchio senza fine!» si lamentò.
Risi, non potei farne a meno.
«Ti aiuterò io, non ti preoccupare. E poi, sono solo le sei e mezzo.»
«Grazie prof!» mi sorrise.
Impiegammo pochi minuti a mettere i libri nello scaffale, ma guardandoci intorno ci prese lo sconforto.
Tutta la biblioteca, ovviamente, era ancora da pulire.
Sakura sospirò.
«Haruno, ho un’idea.»
Mi guardò con aria interrogativa.
«Dirò al professore che ti ha dato la punizione che hai passato queste ore con me ad aiutarmi. Così non potrà lamentarsi della mancata pulizia della biblioteca, e tu avrai scontato la tua punizione.»
Mi sentivo un genio, e probabilmente anche Sakura la pensava così.
Infatti, si illuminò in un sorriso enorme, chiedendomi se fossi davvero disposto a farlo.
«Certo che sì. Non capita tutti i giorni di trovare un’alunna che ti consiglia un libro!» ammiccai.
Sakura mi lanciò un’occhiataccia scherzosa.
Risi, e le dissi che poteva andare.
«Grazie, professor Kakashi! E se non le piace il libro, me lo dica pure. La prossima volta gliene consiglierò uno migliore!»
«Se questo è il tuo preferito, come potrai consigliarmene uno migliore?» la presi in giro.
«Uff. Non migliore per me, migliore per lei.» sottolineò, come se ci fosse una gran bella differenza.
E probabilmente c’era.
Di certo, quella risposta mi spiazzò per un attimo, e lei ne approfittò per congedarsi.
Rimasto solo nella biblioteca, gettai uno sguardo al punto in cui avevo visto Sakura leggere, quelli che mi sembravano millenni prima.
Non riuscii a trattenere un sorriso.
“La lettera d’amore”, eh?”
Non sapevo il perché, ma non vedevo l’ora di leggere quel libro.

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Capitolo 12
*** Sakura - delusioni ***


Camminavo spedita verso casa, senza riuscire a smettere di pensare.
Ogni volta che rivedevo nella mente quello strano, assurdo pomeriggio, arrossivo sempre di più.
Inoltre, ero confusa.
Il professor Kakashi mi aveva beccato ad ignorare una punizione, ma non sembrava importargli.
Al contrario, mi aveva trattata amichevolmente, non sembrava affatto un professore in quel momento.
Era solo… un ragazzo.
Mi chiesi quanta differenza di età doveva esserci tra lui e Deidara.
Non molta apparentemente, probabilmente erano quasi coetanei.
“Deidara!” pensai d’un tratto, battendomi una mano sulla fronte.
Pensando al biondo, mi era venuto in mente che quello era il giorno del fatidico arrivo di Sasori, e io non avevo ancora nessuna notizia da Ino.
“Il cellulare!” di nuovo una manata sulla fronte.
I passanti si voltavano a guardarmi come se stessi eseguendo una specie di danza tribale, o –più probabilmente- come se fossi semplicemente impazzita.
Mi tuffai nella mia borsa alla ricerca del cellulare, che avevo sentito suonare quelli che mi sembravano secoli fa e a cui non avevo mai più dato attenzione.
«Ino sarà arrabbiatissima…» gemetti tra me e me.
Se solo il professor Kakashi non mi avesse preso così alla sprovvista!
Avevo promesso a Ino di tenere il telefono sempre con me per ricevere al volo i suoi messaggi, avevo persino ignorato una certa quantità di regole tenendo deliberatamente la suoneria a tutto volume mentre ero a scuola, e poi?
L’avevo ignorato come se niente fosse.
“Povera Ino, speriamo che non sia successo niente!”
Finalmente, trovai il telefono nella confusione della mia borsa.
“Un nuovo messaggio ricevuto: Ino.” era di circa tre ore prima.
Lo aprii.
“Sakuuu! Appena puoi passa, DEVI vedere Sasori! Neanche io me lo ricordavo così bello! Aaaah!”
Ok, Ino era decisamente sull’orlo di una crisi.
Aumentai la velocità e mi diressi verso casa sua.
In pochi minuti ero arrivata, e suonai il campanello, ansiosa di vedere la meraviglia umana che Ino prometteva.
Nessuno avrebbe potuto prepararmi a ciò che vidi.
La porta si aprì, e davanti a me comparì una ragazza piuttosto bassa, con lunghi capelli corvini e grandi occhi azzurri.
Hinata.
Sbarrai gli occhi, non riuscivo a crederci.
«Sakura…» fece lei timidamente, arrossendo e quasi nascondendosi dietro alla porta.
Un campanello d’allarme suonò nella mia testa.
Ino non poteva averla invitata, per cui l’unico colpevole poteva essere solo Deidara.
Sentii le lacrime salire ai miei occhi, e mi accorsi con orrore che non potevo fare nulla per non farle sgorgare.
Hinata mi guardava preoccupata, e quando vide la mia reazione fece un passo in avanti, avvicinandosi a me.
Non potevo sopportare oltre.
Mi girai di scatto e corsi via, lasciando Hinata sulla soglia con aria colpevole.
Purtroppo, non corsi via abbastanza in fretta da non sentire distintamente la voce di Deidara.
«Chi è, Hina?»
«Oh… nessuno.» rispose lei, chiudendosi la porta alle spalle.
Nessuno.
Bè, per Deidara era sicuramente così.
Dio, quanto ero stupida!
Illudermi per così tanto tempo che gli importasse ancora qualcosa di me, che gli fosse mai importato qualcosa.
Non ce la facevo più, mi trascinai in lacrime verso il parco e crollai su una panchina.
Piansi per quelle che mi sembrarono ore, poi, finalmente, smisi, sentendomi svuotata.
Poi cominciai a pensare seriamente, e la conclusione a cui arrivai stupì persino me stessa.
Ero arrabbiata con Hinata, certo, ma la mia antipatia per lei non era aumentata.
Anzi.
Forse era a causa del dolore, ma mi sembrava di non provare più nulla nei suoi confronti.
Per la prima volta in anni cercai di mettermi nei suoi panni: io e Ino l’avevamo maltrattata in tutti i modi, e Ino l’aveva fatto perché non la sopportava, ma io?
Credevo di odiarla perché si era messa tra me e Deidara, ma era davvero così?
Fu come se gli avvenimenti di quel pomeriggio avessero squarciato il velo di ignoranza davanti ai miei occhi, e riuscii a vedere le cose come stavano veramente.
Deidara non mi aveva lasciato perdere perché gli piaceva Hinata.
Deidara mi aveva lasciato perdere, poi aveva cominciato a piacergli Hinata.
C’era una differenza sostanziale, e io l’avevo sempre deliberatamente ignorata, perché volevo trovare una scusa per il comportamento di Deidara.
“Sono proprio un’idiota.”
A stento riuscivo a credere di aver ignorato una cosa così importante per tutto questo tempo, semplicemente perché volevo farlo.
“Oh, no. Idiota è troppo poco.”
Certo, Deidara mi piaceva ancora.
Nonostante la lucidità del momento, non potevo impedirmelo.
Ma mi sentivo più sollevata adesso, come se, abbattendo anche l’ultima speranza, stessi uscendo dalla dipendenza che provavo nei confronti di quel ragazzo.
Ino mi aveva detto molte volte che dovevo ricominciare a guardarmi in giro, ma non le avevo mai dato ascolto.
Adesso, invece, sentivo che aveva pienamente ragione.
Mi incamminai verso casa, passando per l’ennesima volta davanti alla scuola.
Davanti al cancello, intravedevo due figure che chiacchieravano.
I riflessi argentei sulla chioma di uno dei due mi tolse ogni dubbio sulla sua identità: era il professor Kakashi.
Il mio cuore accelerò i battiti quasi senza che me ne accorgessi, e, come un riflesso incondizionato, mi nascosi dietro ad un cespuglio, per vedere con chi stava parlando.
Un’occhiata più da vicino mi era bastata: riconoscevo i lunghi capelli biondi e la stupenda figura della sua interlocutrice.
Era la professoressa Tsunade.
Kakashi mi dava le spalle, ma potevo vedere il viso di Tsunade aperto in una risata, e provai un tuffo al cuore.
Tutta la magia dell’incontro pomeridiano con Kakashi sparì, mentre si fondava in me la certezza che quello era stato solo il suo modo di prendere un po’ in giro un’alunna che aveva beccato a non svolgere il suo compito, ma che in fondo non faceva nulla di male.
Del resto, perché Kakashi si sarebbe dovuto interessare a me, o io a lui?
Eppure…
Sospirando, me ne andai.
Quella sera andai a letto presto, senza cercare in nessun modo di riempire le ore facendo qualcosa.
Volevo semplicemente porre fine a quella giornata.
Il mio ultimo pensiero prima di addormentarmi fu che non avevo più chiamato Ino.
Mi ripromisi di scusarmi con lei il mattino dopo, e scivolai in un sonno profondo e senza sogni.

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Capitolo 13
*** Ino - shopping! ***


Spensi la sveglia con un gemito, facendo appello a tutta la mia forza di volontà.
Ero distrutta.
Il giorno prima mi ero fatta in quattro per preparare un’accoglienza perfetta per Sasori, e anche dopo essere andata a dormire mi ero rigirata nervosamente nel letto per ore, pensando a quel bellissimo ragazzo che in quel momento stava dormendo sotto il mio stesso tetto.
Ancora annebbiata dal sonno, non potei, tuttavia, fare a meno di sorridere.
Era stata una faticaccia, ma ero assolutamente certa che niente fosse andato storto.
Poi ci pensai meglio, e in verità una cosa c’era.
Appena mi ricordai dell’accaduto, fui subito sveglia, e arrabbiatissima.
Come diavolo era venuto in mente a Deidara di invitare qui Hinata?!
Trovarmela sulla soglia di casa per me era stato uno shock non da poco.
Deidara l’aveva accolta come se niente fosse, mentre io restavo piantata nell’ingresso a bocca aperta.
Lei mi aveva rivolto un timido sorriso e aveva sussurrato un saluto, poi, probabilmente spaventata dal mio sguardo omicida, aveva cercato conforto in mio fratello, andando svelta in salotto.
E, ovviamente, chi c’era in salotto?
Sasori la accolse con un’occhiata sorpresa ma amichevole, forse intenerito dallo sguardo da cucciolo abbandonato di lei.
La sentii mormorare un “ciao” e mi fiondai in salotto, giusto in tempo per vedere Sasori che le si avvicinava, con la mano tesa e un sorriso da far sciogliere un ghiacciaio.
Lei rispose al sorriso fiduciosa, e a quel punto ne avevo abbastanza.
Lanciai la mia migliore occhiataccia a Deidara e sparii al piano di sopra, in camera mia.
Ero livida di rabbia, e non mi spiegavo l’accaduto.
Dovevo parlarne con Sakura, lei avrebbe saputo trovare una spiegazione a tutto.
Mentre formulavo quest’ultimo pensiero, mi ricordai che il giorno prima Sakura non si era fatta viva.
Non aveva neanche risposto al mio messaggio, né tantomeno era passata per venire a conoscere Sasori.
Ero risentita, ma anche un po’ preoccupata.
E non ero decisamente dell’umore giusto per andare a scuola.
Afferrai il cellulare.
«Ino? Che succede?» Sakura rispose dopo due squilli.
«Saku, non credo che andrò a scuola oggi.»
«Come mai? Non stai bene?» sentii una nota di preoccupazione nella sua voce, e mi diedi della stupida per aver pensato che il giorno prima mi avesse ignorato di proposito.
«No, è solo che…»
Non mi lasciò terminare la frase.
«È successo qualcosa con Sasori?»
Ma come faceva a capire sempre tutto al volo?
«Più o meno.» ammisi.
«Senti, Ino, non sono neanche io dell’umore giusto per andare a scuola. Che ne dici di una mattinata intensa di shopping?»
«Sei un genio. Dove possiamo andare?»
«Dovrebbe esserci un mercatino aperto da poco in periferia. Dovremo arrivarci con il treno, ma almeno non correremo il rischio di farci beccare.»
Dovevo aspettarmelo, Sakura aveva una passione per i mercatini.
Sorrisi, rispondendole che per me andava bene.
Terminata la telefonata, mi sentii meglio.
Il mio pessimo umore stava svanendo, e la prospettiva di una giornata di shopping non faceva che migliorarlo.
Scesi per fare colazione, e mi accorsi che Deidara e Sasori dormivano ancora.
“Meglio. Non dovrò dare nessuna spiegazione sul perché sono vestita così.”
Avevo abbandonato la divisa scolastica, troppo appariscente, per un paio di pantaloncini color jeans piuttosto corti e una semplice canottiera verde.
Eravamo solo all’inizio dell’estate, ma il caldo si faceva già sentire, e portare la divisa, con le calze e la camicia a maniche lunghe era sempre un supplizio.
Uscii di casa senza far rumore, e mentre camminavo mi guardavo intorno sospettosa.
Non incontrai nessuno di mia conoscenza, ma quando salii in treno mi sentii comunque sollevata.
Scesi dopo un quarto d’ora, alla stazione che segnava l’inizio della periferia della mia città.
Appena arrivata, potei sentire subito nell’aria che qualcosa era cambiato.
Quelle strade, di solito silenziose e spente, erano animate da musiche in lontananza e da una grandissima folla di persone che camminavano chiacchierando.
Tantissime ragazze andavano in giro cariche di buste e pacchetti, sorridendo, e diverse persone mangiavano da cartocci cibi che non avevo mai visto, ma il cui odore riempiva l’aria e mi faceva venire l’acquolina in bocca, sebbene avessi mangiato da poco.
Tra la gente scorsi Sakura, appena scesa dal treno, e mi affrettai a raggiungerla.
Eravamo stranamente euforiche, dopo esserci guardate intorno per un po’, e non vedevamo l’ora di gettarci nella folla.
Tuttavia, non mi sfuggì un’ombra di tristezza nei suoi occhi.
Mi ripromisi di farla svagare il più possibile quella mattina, cercando di farle dimenticare, almeno per un po’, ciò che la intristiva.
Ma il suo umore sembrava già migliorato, e ne ebbi la certezza quando, ridendo, mi propose di dare un’occhiata ad una bancarella di cappelli.
Ce n’erano tantissimi, ammassati gli uni sugli altri, di tutti i tipi: dai classici cappelli di paglia a quelli in stoffa stile gangster, ma sembravano predominanti quelli assurdi, con piume, fiori enormi, frutta finta e nastri di tutti i colori possibili.
Non so quanto tempo passammo a provarci i modelli più diversi, ridendo e indicandoceli a vicenda.
Ma l’apice fu quando Sakura si provò un cappello relativamente piccolo, a forma di scodella e ricoperto di un folto pelo arancione fluorescente, con tanto di brillantini.
Si stava guardando allo specchio sorridendo, quando il proprietario della bancarella la vide.
«No, no, signorina! Quello non è un cappello!» le disse, sollecito.
Mi voltai a guardarla, e altrettanto fece la folla intorno a noi.
«Cosa?» disse lei confusa, ancora con quell’ammasso di pelo sulla testa.
«Quello non è un cappello!» ripeté. «È un posacenere ricoperto di pelo sintetico!»
Sakura diventò viola in volto, e alla velocità della luce si tolse il cappello –posacenere!- e mi afferrò per un braccio, trascinandomi via dalla folla che rideva.
Io, dal canto mio, non riuscivo a respirare.
Ridevo così tanto che le lacrime avevano cominciato a scendermi sulle guance, mentre annaspavo in cerca d’aria.
Sakura era sempre più rossa, ma pian piano si calmò, vedendo il lato comico della situazione.
Cominciò a ridacchiare, prima sommessamente poi sempre più forte, e alla fine fummo costrette a fermarci e sederci su una panchina, per non cadere dalle risate.
Quando tornammo in noi, avevamo gli occhi lucidi e le guance arrossate, e ci sentivamo spossate.
Restammo un po’ a sedere sulla panchina, guardando la folla.
Improvvisamente, lo stomaco di Sakura cominciò a brontolare sonoramente, causandoci altre risate.
Decidemmo di prendere qualcosa in uno dei banchetti lungo la strada.
Mentre camminavamo, mangiando qualcosa di cui non sapevamo assolutamente nulla, se non che era speziato e assolutamente buonissimo, continuammo a guardare le diverse bancarelle.
Il mercatino sembrava infinito, e avrei voluto comprare tutto ciò che vedevo.
Alla fine, però, i nostri piedi implorarono pietà, e decidemmo di fare una pausa.
Occupammo, con tutte le varie buste e pacchetti, una panchina sul ciglio della strada, senza nemmeno accorgerci dell’altra panchina, appoggiata con lo schienale alla nostra, che era già occupata.
Una volta sedute, Sakura fece una faccia seria guardando la folla, come se tutta l’allegria della mattinata fosse svanita all’improvviso.
Seguii il suo sguardo, e capii il motivo.
Proprio di fronte a noi c’era una bambina con lunghi capelli neri e lucidi e grandi occhi chiari, sorprendentemente simile a Hinata.
Sakura la fissava, mentre il suo sguardo si adombrava sempre di più.
«Saku…» cominciai, tentennante. «C’è qualcosa che non va?»
Scosse la testa.
«No, io… Ino, che cosa c’è di preciso tra Hinata e tuo fratello?»
Sussultai leggermente.
Come faceva a saperlo?
«Non lo so, Saku, sinceramente.» era l’unica risposta che potevo darle.
«Allora perché ieri Hinata era a casa tua?» mi chiese, con tono duro.
«Cosa?! Come lo sai?»
Sorrise amaramente.
«Pensavi che non sarei venuta a conoscere Sasori, ieri? Solo che, quando ho suonato il campanello, chi mi ha aperto la porta? Lei!» appoggiò il mento su una mano. «Non ce l’ho fatta, e sono scappata. Mi dispiace, Ino.»
La vedevo vicina alle lacrime, e la abbracciai.
«Sono sconcertata quanto te, Saku. Ieri sono andata ad aprire la porta, e chi mi ritrovo davanti? Hinata!» pronuncia il nome con evidente disprezzo. «Quando l’ho vista avvicinarsi a Sasori avrei voluto prenderla per i capelli e trascinarla fuori da casa mia immediatamente, ma sono riuscita a trattenermi.» mi rabbuiai, ripensando alla scena e al sorriso di Sasori.
«Mio fratello l’ha invitata, e quando le ho chiesto cosa avesse in mente mi ha risposto soltanto “volevo farle conoscere Sasori!”» la mia imitazione di Deidara, frutto di anni di convivenza forzata, era così perfetta che Sakura non poté fare a meno di sorridere.
«Sai, Ino? Credo che, come mi hai detto un sacco di volte, sia arrivato il momento di una bella svolta!» mi disse lei, risoluta.
«Cosa intendi?» ero confusa, ma vederla sorridere e non scoppiare in lacrime mi aveva rincuorato.
«È evidente che con Deidara sia finita. Tu hai ancora tutte le strade aperte con Sasori, quanto a me, prima o poi qualcuno arriverà.» fece una pausa. «Quindi, direi di segnare questo “nuovo inizio” facendo qualcosa che ce lo ricordi sempre!»
Cominciavo a capire cosa intendesse.
«Che ne dici di comprare qualcosa in ricordo di questa decisione?» proposi.
«Ottima idea. Cosa potremmo prendere?»
«Mah, io pensavo ad un cappello…» ghignai.
Sakura scoppiò a ridere.
«Non so, io preferirei un posacenere!»

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Capitolo 14
*** Tsunade - conversazioni origliate ***


La sveglia suonò come tutti i giorni, ma quel giorno alzarmi non mi pesava.
Era il mio giorno libero, e questo significava niente scuola, niente urla contro ragazzine sfaticate e niente palestra nella quale aleggiava sempre un cattivo odore di sudore e detersivo per pavimenti.
Di solito dormivo fino a tardi quando non dovevo lavorare, ma quel giorno avevo deciso di approfittare del bel tempo per visitare finalmente il nuovo mercatino in periferia.
Adoravo i mercatini, sempre pieni di strani gioielli esotici e vestiti colorati, per non parlare dell’enorme quantità di persone che incontravo ogni volta.
Per questo, ero di buonissimo umore mentre mi preparavo per uscire.
Una volta pronta, decisi di andare a piedi alla stazione, per approfittare ancora di più del bel tempo che preannunciava un’estate torrida.
Dopo un breve viaggio in treno –abitavo più vicina alla periferia che alla scuola- arrivai nel quartiere del mercatino, e fui subito catturata dalla folla che si incrociava in mille direzioni diverse.
Mi diressi verso una bancarella che aveva attirato la mia attenzione grazie ai bagliori delle sue stoffe colorate.
Mi innamorai di un abito lungo e leggerissimo, variopinto e di foggia etnica; non potevo resistere, e lo comprai.
Dopo due ore, ero piena di buste e pacchetti, e relativamente soddisfatta.
Continuai a girovagare, salutando di tanto in tanto qualche conoscente.
La mia sete di shopping si era un po’ placata, e, come ogni volta che uscivo a fare compere, il mio umore era decisamente buono.
Arrivai nella parte del mercatino dedicata alle bancarelle di cibo, e gli odori che sentivo mi fecero venire l’acquolina in bocca.
Decisi che era ora di fermarsi per pranzo, e acquistai un invitante ed enorme kebab da un ragazzo con l’aria simpatica.
Era davvero grande, e sicuramente non avrebbe fatto bene né alla mia pelle né alla mia linea, ma in quel momento mi importava poco: il profumino che la carne e le diverse salse emanavano era tale da sopprimere ogni mia incertezza.
Mi sedetti su una panchina con un sospiro soddisfatto.
Avevo occupato praticamente tutto il posto con le mie buste, ma non me ne preoccupai poiché, attaccata allo schienale della mia panchina, ce n’era un’altra, in quel momento vuota.
Cominciai a mangiare, e in pochi minuti ero sporca di salsa dal naso fino al mento: decisamente la mia tecnica andava rivista.
Mi sfuggì una risata, mentre pensavo a cosa avrebbero potuto dire i miei colleghi alla vista della “terribile Tsunade” che si comportava come una ragazzina.
Probabilmente avrei suscitato in loro ancora più antipatia di quanto già non succedesse.
Mi rabbuiai un attimo a questo pensiero, ma le voci squillanti di due ragazze mi scossero dalle mie riflessioni.
Avevano occupato la panchina dietro di me, e ridacchiavano.
Mi sembrava di conoscere quelle voci, ma non diedi peso a questa impressione: dopotutto, quello era un giorno di scuola, non potevo conoscere nessuna di quelle ragazze presenti al mercato.
Improvvisamente, però, le risatine dietro di me smisero, e, con mia assoluta sorpresa, sentii una delle due ragazze dire: «Saku… C’è qualcosa che non va?»
Mi voltai, e vidi Ino Yamanaka intenta ad accarezzare un braccio della sua amica Sakura Haruno con aria preoccupata.
Non avevano minimamente fatto caso a me.
Arrossii di rabbia, come si permettevano quelle due di saltare le lezioni in questo modo?
Stavo per riprenderle con una scenata di quelle che facevano tremare i muri della palestra, quando la risposta di Haruno mi fece bloccare.
« No, io…» un attimo di esitazione «Ino, che cosa c’è di preciso tra Hinata e tuo fratello?»
“Cosa?!”
Tesi le orecchie, fingendo indifferenza.
Forse quella era l’occasione per capire finalmente cosa stesse succedendo tra quelle tre.
«Non lo so, Saku, sinceramente.» Yamanaka sembrava sincera, ma non mi fidavo di lei.
Haruno continuò con la sua inchiesta, con voce sempre più aspra.
«Allora perché ieri Hinata era a casa tua?»
La cosa mi sbigottì: Hyuga a casa di Yamanaka? Aveva forse delle tendenze masochiste?
Yamanaka sembrava stupita quanto me: «Cosa?! Come lo sai?»
Il tono della domanda era di sincera sorpresa.
«Pensavi che non sarei venuta a conoscere Sasori, ieri? Solo che, quando ho suonato il campanello, chi mi ha aperto la porta? Lei!» sentivo la voce di Haruno prossima alle lacrime «Non ce l’ho fatta, e sono scappata. Mi dispiace, Ino.»
Cominciavo a capirci qualcosa.
Hyuga e Haruno erano in lotta per un ragazzo, e sembrava che Hyuga stesse avendo la meglio.
Ma la chiacchierata non era ancora finita.
«Sono sconcertata quanto te, Saku. Ieri sono andata ad aprire la porta, e chi mi ritrovo davanti? Hinata!» Yamanaka pronunciò quel nome con evidente disprezzo.
«Quando l’ho vista avvicinarsi a Sasori avrei voluto prenderla per i capelli e trascinarla fuori da casa mia immediatamente, ma sono riuscita a trattenermi. Mio fratello l’ha invitata, e quando gli ho chiesto cosa avesse in mente mi ha risposto soltanto “volevo farle conoscere Sasori!”» terminò la bionda, con aria disgustata.
Se avevo capito bene, quindi, c’erano in gioco ben due ragazzi.
Haruno era innamorata di uno, e Yamanaka dell’altro.
E Huyga?
A sentire quelle due, voleva prenderli entrambi per sé.
Ma conoscevo la naturale tendenza ad esagerare delle ragazze di quell’età, e soppesai le parole delle due.
Sembrava che questo Sasori fosse un ragazzo nuovo, neanche Haruno, la gemella siamese di Yamanaka, lo conosceva.
Per cui, potevo escludere che ci fosse realmente qualcosa tra lui e Hyuga.
Ma per quanto riguardava l’altro… sembrava fosse il fratello di Yamanaka, e aveva avuto la pessima idea di invitare Hyuga a casa sua con la sorella presente.
Non solo, la sua presenza aveva anche fatto sì che Haruno fuggisse in lacrime, o almeno così me la immaginavo.
“Ahi. Prevedo molti guai per te, Hyuga.”
Non potevo fare a meno di provare compassione per quella ragazzina introversa.
Sicuramente non la vedevo nel ruolo di mangiatrice di uomini.
Dovevo assolutamente parlarne con qualcuno, e sapevo anche con chi.
Controllai l’ora, era il momento della pausa pranzo a scuola.
Tirai fuori il cellulare e composi il numero.
«Pronto, Tsunade?» mi rispose una voce maschile.
Nonostante la foga del momento, non potei trattenere un sorriso al suono di quella voce che pronunciava il mio nome.
«Kakashi.» dissi, come un saluto «Credo che siamo arrivati a una svolta nel caso Yamanaka-Hyuga-Haruno.» annunciai, copiando le sue parole.
Era lui che aveva ribattezzato così quella questione, come se fossimo agenti segreti di un qualche film americano, per alleggerire un po’ la mia preoccupazione.
Lui si fece subito attento: «Dimmi.»
Gli riferii cosa avevo origliato.
«Si tratta di ragazzi, quindi. Un po’ banale per tutta la confusione che hanno provocato quelle tre, no?» sembrava deluso.
«Bè, io sono molto più sollevata ora, banale o no.»
«Certo.» sembrava distratto, ma si riprese subito «pensi di voler festeggiare questa nuova sensazione, o è troppo presto?» mi disse con voce accattivante.
Sorrisi.
«Magari festeggiare è un po’ troppo, ma potremmo fare un piano per i prossimi sviluppi, no?» a quel punto non sapevo più se stavo parlando di Yamanaka, Haruno e Hyuga, o di me e Kakashi.
Me e Kakashi?
Il pensiero era spuntato dal nulla.
“Sto impazzendo.”
«Posso proporre di discutere questo piano da qualche parte?» continuò lui.
Gettai un’occhiata ai miei acquisti, e mi venne un’idea.
«Che ne dici di provare quel nuovo ristorante indiano aperto da poco, vicino allo Stomping Ground?» proposi.
Conoscevo il nome della discoteca, anch’essa nuova, perché da mesi le mie alunne più giovani non facevano altro che parlare, eccitatissime, della “grandiosa” festa di inaugurazione.
«Per me va benissimo. Che ne dici di domani sera?» mi rispose lui.
“Così presto?” pensai, sorpresa.
Avevo bisogno di prepararmi psicologicamente!
Ma, ovviamente, accettai.
Ci mettemmo d’accordo per l’orario e ci salutammo amichevolmente.
Raccolsi i miei acquisti e mi incamminai verso casa, ringraziando divinità a caso per la mia mania dello shopping: ero sicura che avrei passato il resto del pomeriggio, e il giorno successivo, a provare i miei nuovi vestiti nella speranza di trovare quello giusto per l’occasione.

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Capitolo 15
*** Kakashi - incontri ***


Angolino dell’autrice: scusate per l’orribile ritardo! >.< tra le vacanze incasinate e tutto non ho mai avuto un momento per pensare alla storia per cui mi sono ritrovata ad aggiornare tardissimo (come potete vedere).
Cercherò di aggiornare il più presto possibile con il prossimo capitolo, nel frattempo buona lettura!
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Mi rigirai nel letto per l’ennesima volta.
Inutile: non sarei riuscito a dormire più di così.
Di solito ciò che mi piaceva di più, del sabato, era proprio la mattina: potevo svegliarmi tardi, fare colazione con calma, invece che trangugiare il solito caffè di corsa, come nei giorni di scuola, e poi dedicarmi a fare nulla, ignorando i compiti dei miei alunni che, chiusi in un cassetto, invocavano una correzione.
Li avrei corretti nel pomeriggio –forse- ma la mattina era consacrata al riposo.
Ma non quel giorno.
In quel preciso istante di una radiosa mattinata di sabato di inizio estate volevo solamente che la giornata scorresse il più veloce possibile e arrivasse immediatamente la sera.
La sera del mio appuntamento con Tsunade.
Appuntamento.
Ok, forse stavo esagerando.
Diciamo, cena amichevole.
Speravo che diventasse molto amichevole.
Mi riscossi da questi pensieri come se a farli fosse stato un altro.
Ma cosa mi prendeva?
Io non ero interessato a Tsunade.
O almeno credevo.
E sicuramente a lei non potevo interessare io: come minimo gli facevo tenerezza, forse anche un po’ pena, e sicuramente mi riteneva solo un ragazzino, perso nei meandri dell’insegnamento liceale, nonché un potenziale seduttore delle sue amate alunne.
Mi venne da ridere al pensiero.
Le ragazze a cui insegnavo sembravano così ingenue, e quasi tutte sembravano più piccole della loro età, e stranamente sprovvedute.
Quasi tutte.
Non potevo non pensare a Haruno e Yamanaka: la bionda, soprattutto, ero convinto che fosse tutto tranne che ingenua o sprovveduta.
E sicuramente dimostrava la sua età, se non qualcosa in più.
Non era difficile credere che il branco l’avesse silenziosamente eletta capo incontrastato della scuola.
In quanto ad Haruno… non sapevo cosa pensare.
A parte la sua chiara intelligenza, che trapelava dal suo sguardo e dalle sue parole ogni volta che mi parlava, non riuscivo a capire molto di lei.
Era enigmatica e avevo l’impressione che non si facesse catturare tanto facilmente.
Da quello che mi aveva detto Tsunade, però, qualcuno c’era riuscito.
Il pensiero della telefonata del giorno prima mi riportò alla realtà, e i miei pensieri tornarono a ciò che mi aveva fatto svegliare così presto quella mattina: la cena con Tsunade.
Ero già nervoso.
Conquistare le donne non era certamente il mio forte, e non sapevo neanche se volevo conquistarla.
Poiché la mia speranza di riposarmi era ormai svanita, decisi di uscire e fare qualcosa per distrarmi.
Vista la bella giornata, andai al parco, dove crollai a sedere sulla prima panchina che incontrai.
Stavo guardando oziosamente il panorama, quando il rombo di una moto alle mie spalle mi scosse dal torpore, seguito dal suono acuto di un fischietto e da urla irate.
Incuriosito, mi voltai a guardare: un ragazzo in moto sembrava aver violato completamente tutto il codice della strada, a giudicare dalle urla del vigile che gli stava di fronte, ma sembrava piuttosto tranquillo.
Nonostante non provi molta simpatia per i motociclisti in generale, decisi di avvicinarmi, più che altro per evitare che il vigile continuasse a sbraitare, ma anche perché, motociclista o no, volevo dare una mano al ragazzo.
Mi avvicinai.
«Buongiorno, agente.» iniziai «Cosa sta succedendo?»
Cercavo di tirare fuori la mia aria più autoritaria, ma dal sopracciglio alzato del vigile capii che non mi stava riuscendo affatto.
«Lei chi è?» mi apostrofò lui.
«Sono un insegnante del liceo.» risposi, cercando di darmi un tono.
Queste parole ebbero un effetto insperato sul motociclista: in un lampo parcheggiò alla buona, si tolse il casco e assunse un’aria a metà tra il pentito e lo stupito, espressione che gli studenti erano maestri a fare.
Il problema era che di solito era falsa.
«Credo di… aver superato un po’ il limite di velocità.» comunicò il ragazzo, esitante.
«Un po’? UN PO’?! Andavi ad una velocità mortale!» sbraitò il vigile.
«Ero solo cinque chilometri orari sopra il limite!» si indignò l’altro.
Sembrava una commedia dell’assurdo.
Conciliante, dissi al vigile che era un’infrazione poco grave, e che sembrava che il ragazzo avesse capito il suo errore. Voleva quindi limitarsi ad ammonirlo e lasciarlo andare?
Il vigile ci squadrò sospettoso, soppesò la rinnovata espressione pentita del motociclista e borbottò qualcosa, andandosene.
Quando fu abbastanza lontano, il ragazzo si voltò verso di me.
«Wow! Grazie, l’ho scampata!» sorrise, e io lo guardai davvero per la prima volta.
Quello che vidi mi lasciò a bocca aperta per un attimo.
Era un ragazzo alto, sui vent’anni, con dei lunghi capelli biondi che portava raccolti in una coda ed enormi occhi azzurri.
Il suo sorriso era strafottente e la sua sicurezza di sé trapelava da ogni sua espressione e da ogni suo gesto.
Era una Ino Yamanaka al maschile.
«Tu sei… conosci per caso una certa Ino Yamanaka?» riuscii a boccheggiare dopo qualche secondo.
In risposta, lui scoppiò a ridere.
«Ma certo, Ino è mia sorella! Avrà notato la somiglianza, sicuramente.»
Gli sorrisi, annuendo.
E così era questo il fantomatico ragazzo che aveva causato così tanti problemi a Sakura, per non parlare di Hinata.
Di riflesso, lo guardai con un filo di antipatia.
Stava per dire qualcosa, quando sentimmo una voce in lontananza.
«Deidara! Deidara!»
Hinata correva verso di noi, chiamando quello che presumibilmente ora era il suo ragazzo, per farlo accorgere della sua presenza.
Quando arrivò vicino a noi, e si accorse della mia presenza, arrossì.
«Buongiorno, professor Kakashi.» disse con un filo di voce.
Poi guardò di sfuggita Deidara, come per accertarsi che non fosse nei guai.
Lui la rassicurò subito.
«Hina, il tuo prof è un genio! Mi ha salvato la vita con un vigile, prima!» esclamò.
Hinata lo guardò preoccupata per un attimo, così decisi di intervenire.
«Diciamo che “salvato la vita” è un po’ esagerato. Gli ho solo evitato una piccola multa.» dissi sorridendo.
«Deidara, cosa hai fatto?»
«Ma niente!» si spazientì lui. «Ho solo corso un po’ per arrivare in orario, e alla fine quella che è arrivata tardi sei stata tu!»
Decisi che era ora di eclissarmi, non volevo certo fare il terzo incomodo durante un battibecco di coppia.
Mi congedai velocemente, salutato con un “ci rivediamo, prof!” da parte di Deidara, che mi fece ridacchiare.
Tornai a casa a pranzare, l’avventura mattutina mi aveva fatto venire fame.
Mentre mangiavo, ripensavo a Hinata: era così diversa da quel Deidara che stentavo a credere che si fossero anche solo conosciuti.
Lui sembrava essere esattamente come sua sorella, per cui non mi spiegavo la simpatia tra i due.
Inoltre, ero un po’ preoccupato: Deidara sembrava il prototipo di un piccolo delinquente, e non volevo che a Hinata succedesse qualcosa di male.
Scossi la testa, sorridendo: Tsunade mi aveva contagiato con il suo interesse maniacale per le vicende delle nostre alunne.
E così, mi ritrovai a pensare a Tsunade ancora una volta.
Ora però ero più tranquillo, se non altro quella sera a cena avrei avuto qualcosa di cui parlare.
Dopo pranzo riuscii persino a riposare –sempre ignorando i compiti da correggere, ci sono cose che non cambiano mai- e mi svegliai parecchio dopo, giusto in tempo per cominciare a prepararmi.
Mi ero sentito davvero stupido la sera prima, mentre passavo in rassegna tutto il mio guardaroba per trovare qualcosa di adatto all’occasione, ma quel pomeriggio ero contento di averlo fatto.
Ero andato sul sicuro: pantaloni scuri e camicia, classico.
Quando finii di vestirmi era ormai ora di andare, così scesi e mi incamminai.
Il ristorante era vicino casa mia, per cui potevo benissimo raggiungerlo a piedi; in pochi minuti arrivai, in anticipo.
Dopo una breve attesa, una macchina parcheggiò davanti a me, e ne scese Tsunade.
Per un attimo rimasi a bocca aperta a guardarla, incapace di dire qualsiasi cosa.
Era bellissima: portava un leggero abito di foggia etnica, corto e molto colorato, aveva i capelli sciolti e morbidi sulle spalle e un gran sorriso le illuminava il viso e le faceva risplendere gli occhi, mentre si avvicinava per salutarmi.
Mi riscossi e, preso da non so quale slancio, la salutai con due baci sulle guance.
Lei arrossì leggermente, colta di sorpresa mentre le offrivo il braccio per percorrere i pochi metri che ci separavano dall’entrata del ristorante.
Non potevo negarlo, ero fiero di me stesso: l’incarnazione del perfetto cavaliere.
Sorrisi a questo pensiero, e vidi lei sorridermi in risposta.
Mentre varcavamo la soglia del ristorante, ne ero certo: sarebbe stata una serata perfetta.

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Capitolo 16
*** Sakura - discoteca ***


Alla fine, nonostante tutto, ero lì.
Davanti alla discoteca, aspettando di entrare e cercando disperatamente di ignorare Deidara e Hinata, che ormai sembravano attaccati come gemelli siamesi.
L’atmosfera non era delle migliori: Ino era nera di rabbia per la presenza di Hinata, io ero nera di rabbia per la sfacciataggine di Deidara, e Sasori si guardava intorno con aria confusa, cercando di capire il motivo dei nostri sguardi omicidi.
Deidara, dal canto suo, ci ignorava beatamente, anzi, a volte sembrava che cercasse di mettersi in mostra abbracciando teatralmente Hinata, che diventava rossa e lo scostava.
“Assurdo. Lui la abbraccia e lei cosa fa? Lo scosta! Patetico.” La mia vocina interiore grondava sarcasmo.
Non era decisamente l’atmosfera giusta per una serata in discoteca.
Cercai di calmarmi rivolgendo la mia attenzione a Sasori, impegnato in una conversazione con Ino.
Quei due sembravano già stare su un altro pianeta, e mi chiesi quanto tempo avrei dovuto aspettare prima di trovarli abbracciati su qualche divanetto in un angolo buio della sala.
Sospirai.
E così ero venuta a fare il terzo incomodo non per una, ma per ben due coppie.
Fantastico.
Finalmente riuscimmo a entrare, e per un attimo la vista di quella discoteca nuova fiammante mi lasciò interdetta: non me lo sarei mai aspettato.
Era a due piani, ed era immensa.
Al soffitto erano appesi due maxischermi che permettevano a chi stava di sotto di vedere cosa succedeva di sopra.
Era di forma circolare, e piena di gente.
I bassi già rimbombavano per il locale, e la festa sembrava nel pieno dello svolgimento.
Al pensiero che io e Ino volevamo snobbarla, mi venne da ridere.
C’era gente di tutte le età, e cominciai a passare in rassegna i ragazzi che mi stavano più vicini, imitata da Ino, che cercava però di non farsi notare troppo, cosa inaudita per lei.
Quello per Sasori doveva essere amore vero.
Nessuno di loro colpì particolarmente la mia attenzione, ma mi dissi che la serata era ancora lunga, e poi c’era un sacco di gente.
Mi sentivo rasserenata, ora che non ero più da sola con le coppiette.
Deidara ci lanciò un saluto e corse in pista, trascinandosi dietro Hinata.
Sogghignai vedendo quanto era impacciata a ballare, mentre Deidara attirava l’attenzione di tutte le ragazze lì attorno, facendola sentire, probabilmente, ancora più imbranata.
Volevo correre lì e prenderla per un braccio, urlandole di non fidarsi di lui, e questo impulso mi destabilizzò un attimo.
Che mi prendeva?
Erano affari suoi se voleva fidarsi di Deidara.
Io non c’entravo più niente.
Mi ricordai, risoluta, della promessa fatta ad Ino il giorno dei mercatini, e mi rasserenai un po’.
«Saku! Vieni, prendiamo un tavolo!» Ino dovette urlare per sovrastare la musica e i miei pensieri.
Mi voltai verso di lei, sorridendo, e la seguii.
Prendemmo un tavolo a bordo pista, e vidi che Ino non stava più nella pelle.
Sorrisi: le due cose che amava di più erano attirare l’attenzione e ballare, e lì avrebbe potuto fare entrambe le cose, e le avrebbe fatte alla perfezione.
Lo sguardo malinconico di Sasori mi colpì, e mi ritrovai a pensare che quella sera avrebbe dovuto lottare contro diverse crisi di gelosia.
“Poverino.” Gli rivolsi un sorriso incoraggiante, e lui annuì, con espressione sollevata.
Poi prese per mano Ino e la portò a ballare.
E così ero rimasta sola.
Mi guardai intorno pigramente, pensando che forse sarei dovuta andare in pista da sola invece di restare lì seduta a guardare.
Mi ero quasi convinta, quando sentii una voce accanto a me.
«Ciao!»
Mi voltai sorpresa, e mi ritrovai a fissare un paio di occhi di un verde ultraterreno.
«Ciao…» mormorai confusa.
Ero certa di non aver mai visto quel ragazzo, me ne sarei senza dubbio ricordata: piuttosto alto, con i lineamenti appuntiti e degli strani capelli chiari, quasi argentati, che gli ricadevano sulle spalle.
E poi quegli occhi.
Non avevo mai visto una sfumatura di verde come quella: profonda, ma allo stesso tempo scintillante.
Erano ipnotizzanti.
Lui mi sorrise, e io, forse a causa di quegli strani capelli che mi ricordavano Kakashi, lo presi subito in simpatia.
«Sono Hidan.» disse, porgendomi la mano.
«Sakura.» ricambiai la stretta.
«Ti ho vista qui da sola, e mi è venuta voglia di offrirti da bere.» disse con un sorriso disinvolto, porgendomi un bicchiere.
Leggermente confusa, lo accettai, mentre lui si sedeva accanto a me.
«In realtà questo era solo un pretesto per poterti conoscere.» aggiunse, sfoderando un mezzo sorriso che prometteva chi sa quale “conoscenza”.
Ma quella sera non avevo nessuna voglia, né intenzione, di preoccuparmi, per cui bevetti un sorso del misterioso cocktail che il tipo mi aveva portato, cercando di darmi un tono.
In fondo, mi sentivo lusingata dal fatto che mi avesse addirittura portato da bere, come pretesto per conoscermi.
Parlammo un po’, finché non finimmo di bere.
Lui si offrì di andare a prendere un altro cocktail per entrambi, e mi lasciò per qualche minuto al tavolo da sola.
In quel momento vidi, a pochi metri da me, qualcosa che attirò la mia attenzione: uno strano bagliore argenteo, che rifletteva le luci della discoteca.
Guardai meglio, e mi accorsi, con mia immensa sorpresa, che si trattava dei capelli di Kakashi, illuminati dalle luci stroboscopiche.
Kakashi in discoteca?!
Dopo essermi ripresa dallo shock, vidi che lui guardava dalla mia parte, per cui agitai una mano per salutarlo.
Lui si accorse di me, e si aprì in un sorriso che mi fece quasi sciogliere sulla sedia.
Si stava avvicinando al mio tavolo, e io già cercavo di ricompormi, quando una donna lo afferrò per un braccio, trascinandolo in pista.
Per un attimo, la sua espressione fu di sorpresa, mista a disappunto, ma poi sorrise alla donna e si lasciò condurre.
Riuscii a stento a mascherare la delusione.
Tsunade.
E così il professor Kakashi, nonostante tutti i suoi discorsi sull’interiorità e il valore della personalità, aveva scelto, come tutti, la classica bionda tettona.
Che amarezza.
Quasi non mi accorsi del ritorno di Hidan, finchè lui non mi strinse leggermente il braccio porgendomi da bere.
Lo accettai con riconoscenza: ormai ero decisa a fare di tutto per cancellare quella serata mostruosa, e il mio intento era quello di ubriacarmi, ubriacarmi e ubriacarmi.
Bevemmo, e, stordita dalle sue chiacchiere e dalla musica, quasi non mi accorsi del sapore leggermente amaro del drink: stavolta era molto più alcolico del precedente.
Facemmo anche un terzo giro, e già la testa mi ronzava piacevolmente, e ridacchiavo alle battute di Hidan.
A un certo punto, lui mi portò in pista, e io ballavo come se non esistesse niente intorno a me: finalmente mi sentivo leggera e libera, guardavo il viso sorridente di Hidan e mi perdevo in quegli occhi verdi così profondi, e quando lui mi mise le mani sui fianchi, e mi attirò a sé, mi sentii come se fosse tutto normale, come se le cose stessero seguendo il loro corso naturale.
Hidan mi baciò una, due, tre volte, ogni volta sempre con maggiore passione e impeto, e non trovavo nessun modo per dirgli di smetterla, e a dirla tutta non ne avevo nessuna intenzione: mi piaceva.
Dopo un po’ tornammo al tavolo, lui mi teneva un braccio intorno alle spalle e io, tra la confusione dell’alcol e della musica, mi sentivo bene, quella stretta mi faceva sentire importante: “guarda un po’, signor Kakashi!” pensavo “alla fine, la ragazzina piatta e sfigata si becca il figo di turno!”
Ero soddisfatta, e quando finii il quarto drink mi sentivo ormai la regina del locale.
Fu allora che le cose iniziarono a degenerare.
Il mio stomaco, poco abituato all’alcol, incominciò a reagire alla quantità inusuale che avevo assunto, dandomi la nausea.
Hidan se ne accorse, e mi chiese se volevo andare a prendere un po’ d’aria.
Quando gli risposi di sì, grata, non potei fare a meno di notare il lampo di soddisfazione nei suoi occhi, e un sorrisetto compiaciuto agli angoli della bocca.
Ma il mio stomaco si faceva sentire, e non riflettei oltre su quei segnali.
Quando fummo fuori, con Hidan che mi teneva un braccio attorno alla vita, mi sentii subito meglio.
Dopo qualche minuto il mio stomaco era tornato in condizioni normali, ma non si poteva dire lo stesso di me.
Avevo la vista annebbiata, la testa mi girava ed ero convinta che il giorno dopo non avrei ricordato assolutamente nulla.
Ma Hidan volevo ricordarlo: mi voltai verso di lui, presa da una strana urgenza, e cercai di articolare delle frasi, per farmi dare il suo numero, prima di dimenticarmene.
Lui rise lievemente.
«Il mio numero? Oh, no, piccola.» sfoderò il suo migliore sorriso sexy, e mi prese il mento tra le dita.
Prima che potessi chiedergli altro, mi stava di nuovo baciando, questa volta però in modo più prepotente.
I miei sensi intorpiditi si risvegliarono, mettendosi in allerta.
Hidan continuava a baciarmi, e a un certo punto mi mise una mano sul seno, sopra al vestito.
Cercai di togliergli la mano, mugugnando un “no…” contro le sue labbra, ma l’unico risultato che raggiunsi fu che lui rafforzò la presa con la quale mi teneva bloccata contro il muro, e spostò la mano verso l’orlo del mio vestito.
Stavo andando nel panico.
Sentii la sua mano che si arrampicava sulla mia coscia, sotto al vestito, e cercai di scostarmi.
Inutile: ero bloccata dal suo corpo.
La sua mano era arrivata al bordo dei miei slip, quando, con uno sforzo che mi sembrò sovrumano, riuscii a scostarlo, urlandogli di smetterla.
«E dai, piccola, fammi divertire un po’! Tanto, domani non ti ricorderai niente» sogghignò lui.
Ero riuscita a scostarmi dalla parete, per non essere bloccata di nuovo, ma lui mi afferrò per un polso e mi attirò di nuovo a sé, portando una mano sul mio didietro.
Prima che catturasse di nuovo le mie labbra, gli urlai di nuovo di smetterla, sperando che qualcuno mi sentisse.
Ero troppo debole e confusa per riuscire a spostarlo di nuovo.
Chiusi gli occhi, e mi preparai al peggio.

«Cosa sta succedendo qui? Mi sembra che la signorina ti abbia detto di smetterla.»
Riaprii gli occhi.
«Kakashi!» avrei potuto piangere dalla gioia.
Il mio professore superava in altezza Hidan di circa dieci centimetri, e il suo cipiglio irato era minaccioso almeno quanto la mano che stringeva saldamente sulla spalla del ragazzo.
«Niente, me ne stavo andando.» bofonchiò Hidan, perdendo di colpo tutta la sua baldanza.
«Allora fallo, e in fretta.» ordinò Kakashi.
Non l’avevo mai visto così scuro in volto, né avevo mai sentito quel tono duro e arrabbiato.
Devo confessare che mi fece un po’ paura, ma ero incredibilmente sollevata che fosse arrivato.
Hidan se ne andò, e quando svoltò l’angolo, Kakashi si rivolse a me, sorridendomi dolcemente.
«Stai bene, Sakura?»
Annuii debolmente: non era affatto vero.
Se non fosse arrivato Kakashi… non osavo pensarci.
Rabbrividii.
Il mio stomaco diede di nuovo segni di insofferenza, e mi sentii mancare.
Kakashi mi prese al volo, sostenendomi tra le braccia.
Persino nella confusione del momento, mi accorsi di quanto era diverso il suo tocco da quello di Hidan: Kakashi mi teneva con delicatezza, con cura, come se davvero si preoccupasse per me.
La stretta possessiva di Hidan mi aveva fatto sentire importante, ma quella di Kakashi mi faceva sentire al sicuro, protetta.
Vidi che scuoteva la testa, riflettendo.
«Ce la fai a camminare?»
Di nuovo, annuii.
Continuando a sostenermi con un braccio, ci incamminammo.
Non sapevo dove mi volesse portare, ma non mi importava: di lui mi fidavo.
Dopo pochi passi, però, la mia testa cominciò a ronzare sempre più forte, e una miriade di puntini luminosi mi annebbiò la vista.
Di nuovo, Kakashi mi prese al volo, ma questa volta, tra le nebbie del mio cervello ormai andato, mi sentii sollevare da terra.
Con l’ultimo sprazzo di lucidità, mi accorsi che mi aveva preso in braccio.
Non riuscii a reprimere un sorriso, mentre appoggiavo la testa alla sua spalla e mi addormentavo.
L’ultima cosa che sentii, o forse la immaginai soltanto, fu un lieve, rassicurante, bacio sui miei capelli.

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Capitolo 17
*** Tsunade - una serata perfetta? ***


Stavo trascorrendo una serata magnifica: il locale aveva un’atmosfera rilassata e intima, il cibo era ottimo, e Kakashi era allegro e spensierato come non lo avevo mai visto.
Sembrava un ragazzino, e a volte pensavo che in fondo lo era davvero, almeno rispetto a me.
Questo pensiero mi faceva incupire, per cui cercavo di scacciarlo il più in fretta possibile: volevo godermi la cena.
Era sorprendentemente facile stare in compagnia di Kakashi: al contrario dei miei altri colleghi, ciò che lui diceva mi interessava davvero, e mi ritrovai ad ascoltarlo incantata mentre parlava.
Risi di cuore quando mi raccontò della gaffe del suo primo giorno di scuola, quando aveva completamente ignorato il discorso del preside per poi cercare di commentarlo.
«Non ti preoccupare, facciamo tutti così!» lo rassicurai, e ridemmo insieme.
Finimmo di cenare abbastanza presto, ma non volevo tornare a casa e mettere fine alla serata, mi stavo divertendo troppo.
Mi stavo lambiccando il cervello per trovare qualcosa da fare, quando, una volta usciti dal ristorante, trovai la soluzione: proprio di fronte, c’era un locale enorme, che sembrava si stesse riempiendo di gente.
Mi ricordai dei discorsi eccitati delle mie alunne, e capii che quella doveva essere la nuova discoteca, che veniva inaugurata proprio quella sera.
Cercai di reprimere un moto di contentezza: ecco cosa avremmo fatto!
Kakashi si stava già incamminando fuori del ristorante quando sfoderai la mia migliore espressione affascinante e, cercando di mantenere un tono casuale, gli dissi:
«Quello dovrebbe essere il nuovo locale di cui tutti parlano!» indicai vagamente il posto, agitando un braccio in aria.
L’espressione di Kakashi era di cortese attenzione, ma non sembrava veramente interessato.
Tentai comunque.
«Che ne dici di andare a vedere che genere di posto è? Dopotutto, è ancora presto!»
Troppo presto.”
Kakashi arrossì leggermente e si guardò intorno.
«Bè, io veramente…» cominciò nervosamente «Non sono esattamente un tipo da locali, sai, ballare, bere, tutte quelle cose lì, non sono proprio il mio genere…»
Cercava di schermirsi, ma sapevo che se avessi insistito un po’ alla fine mi avrebbe accontentato.
Ovviamente, colsi al volo l’occasione: continuai a chiacchierare entusiasta della discoteca, e a rassicurarlo sul fatto che neanche io ero una tipa da locali, finché non ci ritrovammo entrambi davanti all’entrata, io che sprizzavo gioia da tutti i pori e Kakashi con un’aria rassegnata che mi fece sentire un po’ in colpa.
Tuttavia il senso di colpa svanì quando finalmente entrammo: era tantissimo tempo che non andavo in discoteca, o in un luogo simile, e mi sentivo elettrizzata.
Per non perderci di vista in mezzo alla confusione, Kakashi mi prese delicatamente per un braccio, e il suo tocco mi fece scendere dei brividi lungo la schiena; la combinazione di quella sensazione con l’eccitazione per la musica altissima e la folla enorme produssero un mix esplosivo in me, portandomi a scatenarmi sulla pista.
Acchiappai Kakashi, che stava puntando verso un tavolino, e lo trascinai a ballare.
Per un secondo mi guardò con un’espressione di disappunto, e credetti di aver esagerato.
Ma poi il suo volto si aprì in un sorriso –apparentemente autentico- e lui mi seguì in pista, cercando di fare del suo meglio.
Era un ballerino terribile, e non aveva assolutamente senso nel seguire il ritmo.
Cercai di non ridere, ma la sua espressione impacciata era così buffa che non riuscii a trattenermi.
Ma non volevo che si sentisse in imbarazzo, per cui gli presi scherzosamente le mani e cominciammo a muoverci a caso, ridendo come matti, mentre la gente intorno a noi ci guardava perplessa.
Sembravamo due bambini, e in quel momento mi sentii bene come non mi era mai successo.
Finalmente Kaskashi aveva abbandonato l’espressione corrucciata, e sembrava si stesse godendo la serata.
Dopo un paio di canzoni, decidemmo di fare una pausa.
Ci sedemmo a un tavolo, e lui si offrì di andare a prendere da bere.
Lo seguii con lo sguardo, pensando che la serata non sarebbe potuta andare meglio.
Ero imbambolata, e sorridevo come una scema, quando vidi che Kakashi, in fila per i drink, era accanto ad un altro ragazzo, che attirò immediatamente la mia attenzione.
Lo osservai, curiosa.
La prima cosa che notai fu la somiglianza impressionante del loro colore di capelli: non credevo che potesse esistere un’altra persona al mondo con quella assurda sfumatura argentea, ma evidentemente mi sbagliavo.
Mi sovvenne l’idea che l’altro ragazzo fosse un suo parente, ma mi sembrava impossibile: mi aveva detto chiaramente di non conoscere nessuno in città a parte i suoi colleghi.
Continuai ad analizzare il ragazzo: era qualche centimetro più basso di Kakashi, ma comunque notevolmente alto, e magrissimo.
Non riuscivo a vederlo in viso, ma sospettavo che fosse piuttosto bello.
I due riuscirono a prendere i loro drink, e a quel punto accadde una cosa strana: Kakashi seguì il ragazzo con lo sguardo, con un’espressione indecifrabile sul viso, finché l’altro non arrivò al suo tavolo.
A quel punto, Kakashi spalancò gli occhi con espressione sorpresa, che venne però immediatamente rimpiazzata da un’aria preoccupata.
Dal mio tavolo non potevo vedere la causa di questo cambiamento così rapido di emozioni, e in un secondo l’espressione di Kakashi era tornata quella di sempre, portandomi a chiedermi se per caso non avessi immaginato tutto, spinta dalla fantasia.
Quando tornò al tavolo e mi offrì il bicchiere, avevo già praticamente dimenticato tutto.
Chiacchierammo per alcuni minuti, e l’atmosfera sembrava rilassata come prima, ma qualcosa era cambiato impercettibilmente.
Kakashi sembrava nervoso, anche se cercava di nasconderlo, e lanciava brevi occhiate continue alla porta.
Stavo per chiedergli se fosse successo qualcosa, quando improvvisamente si alzò.
«Vado a prendere un po’ d’aria.» annunciò, risoluto.
Poi dovette accorgersi della mia espressione perplessa, perché continuò, con tono addolcito:
«Esco solo per un minuto, aspettami pure qui.»
Ciò che mi convinse fu il grande sorriso, dolce ma allo stesso tempo di scuse, che mi rivolse.
Mi fece sentire come se davvero gli dispiacesse allontanarsi da me anche solo per un minuto, per cui sorrisi a mia volta, e lui si allontanò.
Cominciai a guardarmi intorno per ingannare l’attesa, e la mia attenzione cadde su un gruppo di ragazzi poco distante, che sembravano avere la stessa età delle mie alunne.
Erano tutti pieni di energia, e anche quelli che stavano seduti seguivano il ritmo martellante della musica, con naturalezza.
Mi chiesi come sarebbe potuto essere insegnare ginnastica a un gruppo di ragazzi invece che di ragazze, e arrivai alla conclusione che non mi sarebbe piaciuto molto: va bene, nella mia scuola dovevo sopportare un arsenale di giustificazioni per “problemi femminili”, lamentele sulla durezza degli allenamenti e tempi infiniti negli spogliatoi, ma almeno le ragazze erano tranquille e non mi davano problemi.
Probabilmente, non si sarebbe potuto dire lo stesso dei ragazzi: proprio mentre ero persa in queste riflessioni, vidi che uno di loro cercava di salire in piedi su un tavolo; riuscito nell’impresa, si lanciò in una danza sfrenata lì sopra, mentre il resto del suo gruppo, e anche diverse persone lì intorno lo acclamavano ridendo.
Non avrei sopportato scene di questo tipo durante le mie lezioni, e per una volta fui felice di insegnare in un istituto femminile.
Osservando la gente intorno a me, non mi ero resa conto che un minuto era ormai passato da un bel pezzo, e Kakashi ancora non era tornato.
Cominciai a preoccuparmi: si era forse sentito male?
Dopo qualche tentennamento, decisi di andarlo a cercare.
Uscii.
Davanti al locale c’erano diverso gruppi di ragazzi e qualche coppietta, ma di Kakashi neanche l’ombra.
Feci tutto il giro dell’edificio –cosa che prese diverso tempo, date le dimensioni del posto- ma non c’era traccia di Kakashi neanche lì.
Cominciavo a preoccuparmi sul serio.
Un ragazzo mi vide, sola e immobile di fronte al locale, e si avvicinò.
«Cerchi qualcuno?» mi chiese, con torno gentile.
«Io… veramente sì. Un ragazzo, era con me prima. Ha detto che doveva andare un attimo fuori, e non lo vedo da circa mezz’ora.»
Cercando di non sembrare una patetica trentenne scaricata, gli descrissi Kakashi.
Colsi il lampo di consapevolezza nei suoi occhi ancora prima che lui parlasse.
«Credo di averlo visto, non so bene quanto tempo fa. È… ehm… andato via… con una ragazza.» ammise alla fine.
Rimasi a bocca aperta.
Lo sguardo di commiserazione e dispiacere che mi lanciò fu l’ultima goccia.
Lo ringraziai e fuggii via, senza neanche cercare di andarmene con una certa dignità.
Raggiunsi la macchina, entrai, e, non appena chiusi lo sportello, cominciai a singhiozzare.
Le lacrime scendevano  come un fiume in piena, inondandomi il viso.
E la cosa peggiore era che non riuscivo a fermarle.
Mi coprii il volto con le mani, e rimasi lì a lungo.
Non potevo crederci: era andato tutto alla perfezione, la cena era stata stupenda, avevamo ballato, riso, parlato come se non avessimo fatto altro che frequentarci per tutta la vita.
Ma, ricordai a me stessa, non era affatto così: ci conoscevamo da pochissimo, e solo da un punto di vista professionale.
Il brusco ritorno alla realtà mi fece piangere di nuovo.
Quando mi sembrò di aver esaurito tutte le lacrime, restai a fissare il vuoto e a tirare su col naso, cercando di non pensare a nulla.
Poi misi in moto l’auto, e tornai a casa.
Una volta entrata, non mi preoccupai neanche di struccarmi –credevo che le lacrime avessero comunque fatto la maggior parte del lavoro- ma mi svestii e mi buttai sul letto.
La resistenza contro il pianto era ormai diventata inutile, e, quando mi addormentai, le mie lacrime stavano ancora scorrendo.

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Capitolo 18
*** Kakashi - il giorno dopo ***


Mi svegliai con un gemito: ero per metà sdraiato sul pavimento, con la testa e un braccio appoggiati al divano, che decisamente non era un bel posto per addormentarsi.
Mi sedetti a terra, e i miei muscoli protestarono debolmente per il movimento, indolenziti dalla strana posizione in cui avevo dormito.
Già, che ci facevo addormentato sul divano?
Vagai con la mente al giorno prima, e la consapevolezza mi colpì come uno schiaffo: ero sul divano perché in quel momento, nel mio letto, c’era Sakura.
E questo non poteva essere un bene.
Mi sentivo stranamente in colpa, sebbene sapessi che con ogni probabilità l’avevo salvata da una fine ben peggiore dell’essere portata a casa del suo professore di letteratura.
Scossi la testa con disgusto ripensando a quella scena.
Se solo non fossi arrivato… rabbrividii.
Non volevo pensarci.
Sakura mi era sempre sembrata una ragazza forte, capace di badare a sé stessa, e non riuscivo a spiegarmi razionalmente l’iperprotettività che mi aveva preso la sera prima.
Ero solo contento di non averla persa di vista.
Mi ricordai anche delle condizioni in cui era quando eravamo arrivati a casa, e pensai che probabilmente i postumi della sbronza colossale che aveva preso la stavano torturando.
Improvvisamente lucido, mi alzai e preparai un bicchiere di aranciata fresca.
Sapevo per esperienza che era il miglior rimedio contro quel genere di mal di testa, e salii in fretta le scale per portarglielo.
Bussai piano alla porta: nessuna risposta.
Entrai in silenzio, e vidi che dormiva ancora.
Nel sonno aveva gettato via le coperte, ed ora era coperta solo dal lenzuolo, fino alla vita.
Dormiva su un fianco, rannicchiata, come una bambina piccola, e sembrava, effettivamente, più giovane della sua età reale.
I suoi strani capelli rosa erano sparsi sul cuscino e lei respirava piano, con la bocca semichiusa.
Sembrava serena, e, dio mio, era così bella.
Avvicinai il mio viso al suo.
Senza riuscire a reprimere un sorriso, le posai un leggero bacio sulla fronte.
Lei socchiuse gli occhi, e mi dispiacque averla svegliata.
Girò leggermente la testa verso di me, fino a incontrare i miei occhi.
Non mi ero ancora allontanato, ero incantato da quei luminosi occhi verde pallido, schermati appena dalle sue lunghe ciglia.
«Kakashi…?» mormorò, con la voce impastata di sonno.
«Shh... va tutto bene, Sakura. Dormi.» le dissi affettuosamente, accarezzandole la testa.
Prima che potessi anche solo pensare di scostarmi, lei alzò il viso, appoggiando le sue labbra sulle mie.
Spalancai gli occhi dalla sorpresa.
Sakura sorrise dolcemente e sprofondò di nuovo nel cuscino.
Dopo pochi secondi dormiva di nuovo.
Io, invece, ero impietrito.
Non so quanto tempo passai accanto a quel letto, con lo sguardo perso nel vuoto, a chiedermi se mi fossi per caso immaginato tutto; forse solo un minuto, ma mi sembravano passate ore quando finalmente mi ripresi.
A quel punto, la mia mente si scatenò.
Perché l’aveva fatto?
Magari non mi aveva riconosciuto? Impossibile, l’avevo sentita chiaramente dire il mio nome mentre si svegliava.
Il pensiero di Sakura che pronunciava il mio nome appena sveglia mi stordì per un momento, e quasi corsi fuori dalla sua – la mia- stanza.
Quasi con timore, mi passai la lingua sul labbro inferiore.
Sentii un sapore che non mi apparteneva, non sapevo che nome dargli, ma se non altro era una prova che non mi ero immaginato tutto.
Vagavo per casa, in preda alla confusione.
Dopo parecchi minuti, mi accorsi che avevo ancora in mano il bicchiere pieno di succo d’arancia.
Lo appoggiai distrattamente sul tavolo.
Volevo uscire, ma non volevo lasciarla sola.
Dovevo parlarne con qualcuno.
“Tsunade!” pensai, trionfante.
Era la persona perfetta per quel tipo di conversazione.
E a quel punto, arrivò il secondo schiaffo mentale della giornata: avevo lasciato Tsunade sola in una discoteca per salvare Sakura.
Evidentemente, le mie abilità di cavaliere andavano riviste.
Il senso di colpa mi assalì.
Tsunade era sicuramente furiosa, e dubitavo che mi avrebbe rivolto mai più la parola.
Che stupido: rovinare così una serata perfetta.
Ero combattuto tra il sollievo per aver messo al sicuro Sakura e la rabbia per aver sprecato un’occasione con Tsunade.
Però adesso Sakura –cosciente o meno- mi aveva baciato.
E io avevo pensato di chiamare Tsunade per chiederle consiglio.
Quindi…
Quale delle due donne mi interessava davvero?
Entrambe?
Impossibile.
O forse no?
In preda alla frustrazione, mi sedetti con la testa tra le mani.
Dovevo fare qualcosa, o sarei impazzito.
Decisi di partire dalla cosa più facile, quella che senza alcun dubbio non avrebbe portato a nulla: chiamare Tsunade.
I miei peggiori presentimenti furono confermati: non rispose a nessuna delle mie chiamate.
Sbattei giù il telefono in preda alla rabbia, sbuffando per la frustrazione.
«Professor Kakashi?»
Arrossii fino alla punta dei capelli.
Sakura mi aveva praticamente visto sbattere i piedi per terra come un bambino viziato.
Mi voltai a guardarla.
Era in piedi sulla soglia, con addosso una mia t-shirt –grazie al cielo piuttosto lunga- i capelli in disordine e l’aria assonnata e un po’ confusa.
Era… sexy.
“Non pensare queste cose, Kakashi! Non farlo!” mi rimproverai.
Questo pensiero improvviso mi fece arrossire ancora di più, ma cercai di darmi un contegno.
«Sakura. Dormito bene?» risposi con tono casuale.
«Si… credo. Ehm… professor Kakashi, perché sono a casa sua?» chiese timidamente.
“Oh.”
 Già, gli effetti del dopo sbronza.
«Non ti ricordi niente di ieri sera?»
Accidenti, così suonava davvero male.
Lei arrossì «In realtà ricordo molto poco.» disse imbarazzata «Ho fatto qualcosa di stupido?»
«A parte ubriacarti e farti sedurre da sconosciuti poco raccomandabili, no.» risposi, cercando di alleviare la tensione.
Pessimo tentativo.
Sakura era sbiancata.
«Prof, che diavolo è successo ieri sera?» sembrava sull’orlo delle lacrime.
«Sakura, va tutto bene. Non è successo niente.» la raggiunsi in due passi, e senza pensarci la abbracciai.
Lei mi cinse la schiena con le braccia, quasi aggrappandosi a me, e nascose il viso nel mio petto.
«Vieni, ti racconterò tutto. Stai tranquilla, Sakura.» cercai di rendere il mio tono il più rassicurante possibile.
La feci sedere sul divano, ma lei non lasciò la stretta neanche un attimo: mi sedetti accanto a lei e per qualche secondo restammo lì ad abbracciarci, senza dire una parola.
Poi lei cominciò, con voce tremante.
«Ho solo degli sprazzi di ricordi… mi ricordo di essere entrata in discoteca con Ino e Sasori, e di aver pensato che entro la fine della serata lui sarebbe stato tutto suo.» sentii il suo debole sorriso contro il mio petto.
«Poi ricordo che all’improvviso mi sono sentita sola… e c’era un tipo con dei capelli proprio uguali ai suoi, prof! E… c’era anche lei in discoteca ieri!» si sciolse dall’abbraccio e mi piantò lo sguardo dritto negli occhi.
Aveva una buffa espressione contrariata, e non potei trattenere un sorriso.
«Sì, c’ero anche io.»
“Con Tsunade.” Questo pensiero cancellò all’istante il mio sorriso.
Anche l’espressione divertita di Sakura era scomparsa.
Fissava il vuoto davanti a sé, in silenzio.
Capii il genere di ricordo che le era tornato in mente.
Leggermente, le posai una mano sulla schiena, e lei sussultò.
La accarezzai piano.
Scoppiò a piangere.
Rimasi interdetto per un momento, ma a quel punto –per mia fortuna- l’istinto prese il sopravvento.
La attirai verso di me con decisione, abbracciandola protettivo, mentre lei piangeva appoggiata alla mia spalla.
Tra i singhiozzi mi confessò cosa ricordava: il tipo che le offriva da bere, sempre di più, che la baciava, e poi le sue sensazioni, prima l’apprensione, poi una paura vera e propria, e infine qualcuno che la prendeva in braccio -«era lei, prof?»- e poi più niente.
Continuò a piangere per un po’, buttando fuori tutte le sue emozioni, mentre io continuavo a tenerla stretta, cercando di dominare la furia che provavo vedendola così.
Non ricordava le parti più scabrose, e io non gliele avrei sicuramente raccontate: solo il pensiero di quell’uomo che le tirava su il vestito mi faceva venire la nausea.
Quando smise di piangere, sembrava senza forze.
Si accasciò contro il mio corpo e rimanemmo fermi per quelle che mi sembrarono ore.
Poi, lei ruppe il silenzio.
«Sono stata proprio stupida, vero prof?» disse con un sorriso amaro.
«Bè, l’unica cosa stupida che hai fatto è stata fidarti così di uno sconosciuto. E bere. Bere così tanto. E, ehm…» mi resi conto che probabilmente non la stavo rassicurando.
Ma, se non altro, riuscii a strapparle una risatina.
«Insomma sì, sono stata davvero stupida. Non la ringrazierò mai abbastanza, prof. Adesso capisco perché stanotte l’ho sognata.» aggiunse, un po’ imbarazzata.
Decisi di prenderla un po’ in giro.
«Mi hai sognato, Haruno?» chiesi, sorridendo. «Per caso portavo un’armatura scintillante?» finsi di darmi delle arie.
«Niente armatura, ma un molto più utile succo d’arancia!» disse entusiasta, leccandosi le labbra.
La guardai impietrito.
I miei occhi corsero subito al tavolo, su cui il bicchiere di aranciata era stato abbandonato quella mattina.
Lei seguì il mio sguardo, e, vedendo il bicchiere, si voltò a guardarmi con aria interrogativa.
«Che strano, Sakura… avevo giusto pensato di bere un succo d’arancia, prima che ti svegliassi!» abbozzai, sperando di sembrare convincente.
Ci riuscii.
«Lei mi portava il succo d’arancia» continuò «e io…» arrossì, e serrò le labbra.
«E tu…?» la incalzai.
Dovevo sapere.
«Non mi ricordo più.»
Stava chiaramente mentendo, ma non potevo insistere.
«Non mi stai raccontando tutto, Haruno.» le dissi scherzosamente.
Lei scosse la testa sorridendo.
«Si dice che se si raccontano i sogni, non si avverano. E io voglio che questo si avveri.» aggiunse a bassa voce, abbassando lo sguardo.
«Bè, Sakura, spero che si avveri, allora.» non sapevo bene cosa dire.
Mi sorrise distrattamente, lo sguardo distante.
Per uscire da questa situazione, mi proposi di prepararle qualcosa da mangiare.
Lei rifiutò, dicendo che mi aveva disturbato abbastanza.
Era diventata improvvisamente formale.
Salì di sopra per farsi una doccia e cambiarsi, lasciandomi lì a pensare.
Così, lei credeva che fosse stato un sogno.
Non ricordava di avermi baciato.
Il pensiero mi intristì più di quando credessi possibile.
«Professor Kakashi…» Sakura spuntò dalle scale, con addosso solo un asciugamano.
Mi fece un certo effetto.
«Sì?» chiesi, cercando di darmi un contegno.
«Non avrebbe qualcosa da prestarmi?» era arrossita violentemente. «Il mio vestito è in pessimo stato.»
Le sorrisi dolcemente.
«Ci sono delle t-shirt pulite nel primo cassetto e credo che dei pantaloni della tuta potrebbero starti bene, gli altri vestiti sarebbero un po’ troppo grandi per te.» mi divertì il pensiero di Sakura, così minuta, che cercava di mettersi i miei jeans.
«Grazie mille, prof!» sembrava un po’ meno in imbarazzo, ed ero contento.
Scese dopo un quarto d’ora, con un paio di pantaloni della tuta che le arrivavano al ginocchio – io probabilmente non li mettevo da decenni- e una maglietta azzurra a maniche corte.
Erano praticamente i fondi di magazzino del mio armadio, vestiti che neanche mi ricordavo di avere, ma le stavano sorprendentemente bene.
Il look sportivo le donava almeno quanto l’eleganza della sera prima.
Era davvero bella.
La accompagnai a casa –anche se era giorno, non mi fidavo di lasciarla sola- e la salutai sulla soglia di casa sua.
«Domani le riporto i vestiti, prof!» promise lei.
Risi «per quanto mi riguarda, puoi anche tenerli, Sakura. Non mi entrano più da anni.»
«Mmh… allora li terrò.» mi disse, con aria maliziosa.
Questo cambio improvviso di direzione mi disorientò, ma stetti al gioco, ripetendo che ormai erano vestiti suoi.
Il suo entusiasmo mi sembrava esagerato –in fondo si trattava solo di un paio di pantaloncini e di una t-shirt- ma mi faceva piacere che volesse indossare i miei vestiti.
Mentre la salutavo, cambiò atteggiamento ancora una volta.
Mi guardò seria, senza ombra della malizia di pochi secondi prima.
«Grazie per tutto, prof. Non so cosa sarebbe potuto succedere, se lei non fosse stato lì.»
«Ho solo fatto quello che dovevo fare, Sakura.» mi schermii.
Ero a disagio, sembrava così adulta.
«Bè, grazie, comunque. E anche prima, quando piangevo… è stato davvero comprensivo. E dolce. Mi sono sentita al sicuro.»
Le sue guance erano diventate viola, e probabilmente io non ero da meno.
«Sakura…»
Mi guardò, timida, aprendo le braccia verso di me.
Sembrava una bambina e una donna adulta allo stesso tempo, e senza pensarci due volte la abbracciai, appoggiando il mento sulla sua testa e stringendola forte.
Non volevo più lasciarla andare.
Mi sembrava di aver fatto solo questo per tutta la mattina, e ancora non ne avevo abbastanza.
Sakura strofinò il naso sul mio collo, facendomi correre brividi lungo tutta la schiena.
Sciolsi l’abbraccio prima di perdere il controllo, e le posai un bacio sui capelli, salutandola.
Lei mi accarezzò delicatamente una guancia, ed entrò in casa chiudendosi la porta dietro.
Sospirai guardando la porta chiusa, e mi incamminai per tornare a casa.

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Capitolo 19
*** Sakura - disillusioni ***


Mi gettai sul letto a peso morto, chiudendo gli occhi mentre la testa mi pulsava.
Potevo sentire l’odore di Kakashi  sui suoi vestiti, e quando me ne accorsi un brivido mi scese lungo la schiena, mentre un sorriso ebete mi si stampava in faccia.
Mi sentivo mortalmente in imbarazzo pensando a come lo avevo abbracciato, come se non lo volessi mai più lasciare.
Arrossii al ricordo, ma sapevo che, in fondo, era la verità: quando mi aveva abbracciata, avevo solo sperato di poter rimanere così a tempo indeterminato.
Certo, avevo quasi rovinato tutto quando avevo pensato –ma come mi era venuto in mente?- di raccontargli il mio sogno, ma fortunatamente mi ero fermata in tempo.
Sognare di baciare il proprio professore non era esattamente la cosa più normale che potesse capitare, e potevo immaginare l’espressione perplessa e imbarazzata di Kakashi se glielo avessi raccontato.
Probabilmente non mi avrebbe mai più sfiorata, ed era esattamente ciò che non volevo.
Mi rigirai nel letto, mentre il mio sorriso si allargava: la sensazione di sicurezza e protezione che mi aveva trasmesso brillava dentro di me, riscaldandomi e facendomi sentire bene per la prima volta dopo parecchi giorni.
Il mio benessere era scalfito, però, dal pensiero di quanto ero stata stupida la sera prima, e di quello che sarebbe potuto succedere.
Spalancai gli occhi improvvisamente e mi sollevai a sedere, abbracciandomi le ginocchia.
Ci ero andata decisamente troppo vicina.
Se non fosse stato per Kakashi… non volevo pensarci.
Avevo imparato la lezione.
Accolsi con gratitudine lo squillare del mio telefono, che riuscì a distrarmi da questi pensieri.
Era Ino, ed era fuori di sé.
«Sakura!» mi urlò quando risposi.
Non diceva mai il mio nome per intero. Brutto segno.
«Ciao, Ino. Ehm… tutto bene?»
«Tutto bene un cavolo! Dove sei?! Cosa è successo?!» la sua voce si incrinò, e lei scoppiò a piangere.
Rimasi a bocca aperta: non avevo mai sentito Ino piangere.
Fui sopraffatta dal senso di colpa: ero scomparsa senza mandarle neanche un messaggio.
«Ino, va tutto bene. Sul serio. Ieri sera… bè, me la sono vista brutta per un attimo, ma poi Kakashi mi ha tirato fuori dai guai, diciamo.»
«Kakashi?» il tono di Ino era confuso.
«Si, mi ha portata a casa sua, ho passato la notte lì.»
Ok, questo suonava davvero male.
«Tu hai… cosa?!»
Evidentemente anche Ino la pensava così.
Feci un breve riassunto dei fatti della sera prima, e me ne pentii quando Ino, preoccupata, mi chiese di nuovo se stessi bene.
«Non ti preoccupare, Ino, sto bene adesso. Kakashi si è preso cura di me.»
“Non sai quanto.” Il pensiero mi fece avvampare.
Cercai di cambiare discorso.
«E a te come è andata ieri? Sasori sembrava piuttosto preso.» la stuzzicai.
Lei partì in quarta col racconto, annunciando fiera che i suoi sforzi erano stati ripagati: Sasori non l’aveva lasciata sola neanche per un attimo la sera prima.
Ino era al settimo cielo.
Ero contentissima per lei, e decisi di andarla a trovare e farmi raccontare tutti i particolari di persona.
E poi, sebbene non volessi ammetterlo neanche a me stessa, non volevo stare da sola.
Senza neanche pensare a cambiarmi, uscii con i vestiti di Kakashi addosso e mi incamminai verso casa di Ino.
Dopo pochi minuti, ero arrivata; venne ad aprire Ino, e mi abbracciò appena mi vide.
Mi sentii di nuovo in colpa per essere sparita così, e la abbracciai stretta.
Una volta entrata, vidi Hinata seduta in soggiorno accanto a Deidara.
Mi guardò imbarazzata, ma ero così euforica per ciò che era successo con Kakashi che salutai entrambi agitando un braccio e con un sorriso da un orecchio all’altro.
Prima di essere trascinata via da Ino, potei notare l’occhiata perplessa che si scambiarono, cosa che, per motivi ignoti, mi fece sorridere ancora di più.
“Forse Hinata non è così male!” pensai, entusiasta.
Sembravo sotto l’effetto di una qualche droga pesante.
Ci rifugiammo in camera di Ino.
«Dov’è Sasori?» chiesi.
Solo in quel momento mi ero accorta che mancava un rosso all’appello.
«È andato a comprare qualcosa per cucinare la cena.» rispose lei, e dal tono sembrava fosse andato a comprarle un anello di fidanzamento.
“È andata.” Scossi leggermente la testa, prima di ricordarmi che probabilmente anche io ero nelle stesse condizioni.
«Saku, ieri è stato stupendo!»
Senza altri indugi, Ino si lanciò in un racconto dettagliato della sera prima: Sasori era stato sempre con lei e -aggiunse maliziosa- sembrava piuttosto geloso quando qualcuno le si avvicinava.
Era chiaramente al settimo cielo per il comportamento –piuttosto infantile- del ragazzo, e quando mi raccontò di come l’aveva baciata per la prima volta mi aspettavo quasi che si mettesse a ballare in giro per la stanza esultando.
Non riuscivo a non ridacchiare, ma smisi bruscamente quando Ino mi chiese:
«E tu? Passare una notte col prof Kakashi non è da tutti!»
Diventai viola per l’imbarazzo.
«Non è successo niente! Ero così ubriaca che neanche sapevo dove mi trovavo, stamattina!» esclamai.
«Ha dormito sul divano.» aggiunsi, sentendomi in colpa.
Ino mi guardò per un attimo a bocca aperta, poi scoppiò in una risata fragorosa.
«Non c’è niente da ridere!» protestai, picchiandola con un cuscino.
Lei afferrò un orsacchiotto di pezza, col risultato che, in pochi secondi, la sua camera divenne un campo di battaglia: cominciammo a tirarci cuscini e peluche ridendo come pazze, finchè non fummo interrotte da Deidara, che si affacciò alla porta preoccupato.
«Ragazze, state bene? Da sotto sembra che qualcuno vi stia torurando.»
In risposta, Ino gli tirò un peluche in faccia.
Deidara raccolse la provocazione e, afferrando un cuscino, cominciò a inseguirci in giro per la stanza.
Hinata stava sulla soglia a guardarci, leggermente scandalizzata, finchè, nella foga del momento, non le misi in mano una tartaruga di peluche e la trascinai nella camera.
Cominciammo la battaglia più bella che potessi ricordare dalla mia infanzia, e per la prima volta, sentii Hinata ridere.
Mi piaceva quella versione della ragazza, e mi ritrovai a sorriderle e a incoraggiarla, ben presto seguita da Ino.
Dopo un po’ ci fermammo, stremati.
Eravamo accasciati sul pavimento, accaldati e senza fiato in mezzo a un disordine colossale, quando la porta si aprì per la seconda volta, e Sasori fece capolino.
In risposta alla sua espressione perplessa, Deidara gli lanciò fiaccamente un coniglietto di pezza, che Sasori prese al volo e contemplò, sempre più stupito.
Ino a quel punto ebbe pietà di lui, e si alzò per andargli incontro.
Prese una delle buste della spesa che lui teneva in mano e si incamminarono verso la cucina.
Mentre Ino si avvicinava, non potei non notare il sorriso che illuminò il bel viso di Sasori, e sorrisi a mia volta: ero felice per la mia amica.
Scesi al piano di sotto con Hinata e Deidara, continuando a sorprendermi di come non fossi minimamente scalfita dal loro amoreggiare: tutt’al più, mi sentivo contenta per loro.
Deidara si fermò in soggiorno, mentre io e Hinata decidemmo di andare in cucina, per vedere se Ino e Sasori avessero bisogno di aiuto.
Aperta la porta della cucina, però, restammo interdette: i due erano completamente avvinghiati in un bacio appassionato, totalmente persi l’uno nell’altra, tanto da non accorgersi minimamente di noi due, ferme sulla soglia.
Hinata, che probabilmente non aveva mai avuto il minimo sospetto riguardo loro due, li guardava spaesata, con gli occhi spalancati.
La sua espressione era così buffa che scoppiai a ridere, cercando di non fare rumore per non farci scoprire.
Il fatto che dovessi trattenermi, non so per quale motivo, mi faceva ridere ancora di più, e ben presto Hinata mi imitò, sbuffando pesantemente nel tentativo di trattenersi.
Ma quando i nostri sguardi si incrociarono, non ce la facemmo più: scoppiammo in una risata fragorosa –neanche sapevo più perché stessi ridendo- facendo staccare immediatamente Ino e Sasori, che si girarono di scatto verso di noi.
Sasori era diventato dello stesso colore dei suoi capelli, e anche Ino –incredibilmente- non era da meno: entrambi ci guardarono per qualche secondo, mentre noi due continuavamo a ridere.
Poi Ino, con la sua solita compostezza, mi si avvicinò.
«A quanto pare sei ancora ubriaca, Saku.» disse con tono glaciale, spingendomi fuori dalla cucina.
Appena prima di chiudermi la porta in faccia, però, ci strizzò l’occhio, e riconobbi la vecchia Ino: era evidentemente soddisfattissima della sua nuova conquista.
Decisi di tornare a casa mentre era ancora giorno, e salutai Deidara e Hinata, la quale mi abbracciò affettuosamente, lasciandomi piacevolmente sorpresa.
Per la seconda volta in un pomeriggio, mi ritrovai a pensare che forse non era così male.
Uscii, e il mio umore migliorò ancora: era tardo pomeriggio, ma l’aria era calda al punto giusto e il tramonto era spettacolare.
Improvvisamente, mi venne voglia di vedere Kakashi.
Trascinata dal buon umore un po’ allucinato con cui ero uscita da casa di Ino, decisi, senza neanche pensarci, di andare a trovare il mio professore.
Mi incamminai veloce, quasi correndo, ma appena scorsi la casa di Kakashi dovetti bloccarmi, immobile.
Una donna stava percorrendo il vialetto, e, quando bussò alla porta, lui si fece da parte per farla entrare, sorridente.
A quel punto, successe una cosa strana: la donna non entrò, cominciando invece a parlare a voce piuttosto alta, ferma davanti alla porta.
Dalla mia angolazione, non potevo vederla in viso, nonostante mi sembrasse piuttosto familiare.
Cercando di non fare rumore, mi spostai lateralmente, e a quel punto la scorsi.
La professoressa Tsunade.
Di nuovo.
Inaspettatamente, mi salì una gran rabbia: ogni volta che decidevo di incontrare Kakashi, e che in qualche modo cercavo di darmi da fare, arrivava sempre lei a rovinare tutto.
Kakashi la ascoltava con aria contrita, e improvvisamente mi fulminò un pensiero: sembrava proprio un litigio di coppia.
Il mio cervello, impietoso, continuò ad analizzare la situazione, mentre da qualche parte, dentro di me, andavo in pezzi.
Quadrava tutto: la sera prima, sebbene l’avessi dimenticato fino a quel momento, Kakashi era in discoteca con lei.
Quindi, potevo anche continuare ad illudermi pensando che non mi avesse salvato per caso, ma che in qualche modo mi stesse tenendo d’occhio: la verità era che era stato tutto il frutto di un’enorme coincidenza, e probabilmente ora l’avevo anche messo nei guai con la sua ragazza.
“La sua ragazza.”
Gemetti.
Non potevo accettarlo.
La positività di pochi minuti prima svanì, e mi incamminai mestamente verso casa, continuando a darmi dell’idiota per tutti i castelli in aria che avevo costruito e cercando disperatamente di trattenere le lacrime.
Dovevo smetterla di piangere per un uomo quasi sconosciuto, continuavo a pensare.
Ma sapevo che non ci sarei mai riuscita: ormai il danno era fatto, e mi rendevo conto di quanto ero, senza alcuna speranza, innamorata di lui.

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Capitolo 20
*** Tsunade - rabbia ***


Premessa: scusate tantissimo per il ritardo atroce con cui aggiorno, ma dire che non ho più avuto un secondo di tempo neanche per pensare a come continuare la storia sarebbe riduttivo. Comunque, d'ora in poi cercherò di aggiornare il più presto possibile, e sicuramente non lascerò la storia in sospeso, per cui buona lettura e a presto!
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Un raggio di sole che entrava dalla finestra mi colpì in pieno viso, svegliandomi impietosamente.
Mi rigirai, cercando di scivolare di nuovo nel sonno, ma inutilmente.
Socchiusi gli occhi, guardando verso la sveglia: erano le undici di mattina.
Mi tirai su a sedere, contemplando lo stato pietoso della mia camera: durante la notte le coperte erano finite quasi completamente sul pavimento, accanto ai vestiti che avevo indossato la sera prima e alla borsa che, dopo che l’avevo scagliata a terra, aveva riversato tutto il suo contenuto attraverso la stanza.
Tutta quella confusione mi fece tornare in mente, chiarissimo, il ricordo della serata precedente.
Sentii un nodo in gola, e dovetti trattenere di nuovo le lacrime.
Ma, oltre alla tristezza, cominciavo a sentire anche un altro sentimento, sempre più prepotente: la rabbia.
Come si era permesso Kakashi di andarsene e lasciarmi lì, da sola, a farmi prendere in giro dai ragazzini?
Il solo pensiero del ragazzo a cui avevo chiesto aiuto, con quello sguardo di commiserazione, mi faceva montare dentro una rabbia cieca.
Era troppo.
Senza pensare, presi in mano il telefono e composi il numero di Kakashi.
Ma, appena prima del primo squillo, riattaccai istintivamente.
Ero sicura di volerci parlare?
In realtà, no.
Non volevo rischiare di mettermi a piangere per telefono, o di dire cose di cui mi sarei potuta pentire in seguito.
Mi convinsi che, in quel momento, parlare con lui avrebbe fatto più danno che altro.
Per cui rimasi lì, seduta sul letto, a fissare il vuoto, con il cellulare in mano.
Da parte sua, nessuna chiamata, nessun messaggio.
Dovevo tenermi impegnata in qualche modo, non potevo continuare a pensare.
Mi alzai faticosamente, scendendo in cucina.
Mossa inutile: il solo pensiero di mangiare mi faceva venire la nausea.
Mi guardai intorno, disperatamente in cerca di qualcosa che assorbisse la mia attenzione, ma non potevo rimanere in casa, mi sentivo soffocare.
Mi infilai una tuta e uscii a correre.
Correvo velocissima, a testa bassa, quasi travolgendo le poche persone in giro a quell’ora, ma non mi importava, non rallentavo nemmeno.
Mi fermai solo parecchio tempo dopo, quando ormai ero arrivata quasi in aperta campagna.
Mi avvicinai al fiumiciattolo che scorreva tranquillo accanto a me, e mi sedetti, senza fiato.
Era una bellissima giornata di sole, e l’acqua del fiume risplendeva, mandando bagliori che illuminavano tutto intorno. L’erba era di un bellissimo verde primaverile, e stavano spuntando i primi fiori dopo l’inverno.
Di fronte a tutta quella bellezza, non ressi più: scoppiai a piangere disperatamente, abbracciandomi le ginocchia, quasi soffocando nei singhiozzi.
Quando credei di non avere più lacrime, mi stesi sull’erba, sotto al sole, e lì mi addormentai.
Mi svegliai diverse ore dopo, era già tardo pomeriggio.
Mi alzai in piedi indolenzita e con i vestiti bagnati di umidità, ma mi sentivo meglio: ero più calma e mi sembrava di aver ritrovato il controllo di me stessa.
Mi incamminai per tornare a casa, e intanto pensavo a come risolvere quella situazione; alla fine, decisi per la soluzione più ovvia, che era però anche la più difficile: avrei dovuto parlare con Kakashi di persona.
Decisi quindi di passare a casa sua.
Non mi preoccupai neanche di cambiarmi, temendo che un’esitazione avrebbe potuto farmi desistere.
Ero ormai arrivata davanti casa di Kakashi, e, piena di buone intenzioni, mi stampai in faccia il mio migliore sorriso, bussando alla porta.
Kakashi venne ad aprire sorridendo, senza neanche chiedere chi avesse bussato.
«Sakur… Ah! Sei tu, Tsunade!»
Kakashi arrossì.
I miei buoni propositi svanirono in un soffio.
“Sakura?!”
«Scusa, sono solo io, Kakashi.» risposi, col tono più glaciale che riuscii a trovare.
«Si. Scusa. Vieni, entra.» Kakashi era terribilmente imbarazzato.
«No, non c’è bisogno. Non voglio disturbarti, se aspetti visite.» replicai, sorridendo sarcastica.
«Non aspetto nessuno.»
«Non mi sembrava.»
«Senti, perché non entri?»
“Evidentemente è preoccupato di una scenata davanti ai vicini, poverino.”
La mia rabbia aumentava di secondo in secondo.
«Perché dovrei? Così appena mi distrarrò un attimo tu potrai scomparire con un’altra ragazza?» stavo quasi urlando.
«Ho dovuto farlo, Tsunade!» anche Kakashi stava perdendo la calma, ma non ero disposta a cedere di un passo.
«Certo! E hai dovuto staccare il telefono e non fare neanche una chiamata, non mandare neanche un messaggio, neanche per sentire se ero tornata a casa sana e salva oppure…»
«Tsunade! Smettila!»
Kakashi, sempre calmo e pacato, aveva alzato la voce per la prima volta da quando lo conoscevo.
Ammutolii di botto.
«Tsunade, mi dispiace molto per come mi sono comportato.» proseguì, con tono più dolce. «Ma non avevo scelta. Sakura…»
Basta, non ne potevo più.
«Sakura, Sakura! Sempre Sakura! Da quant’è che ti conosco non ha parlato d’altro! Perchè non hai chiesto a lei di uscire a cena, se ti interessa tanto?!»
Ormai non sapevo più neanche cosa stavo dicendo, urlavo e basta.
Mi sentivo di nuovo vicinissima alle lacrime, per cui decisi che era il momento giusto per andarmene: non avrei mai permesso a Kakashi di vedere quanto il suo comportamento mi aveva ferita.
Senza aspettare una risposta, girai i tacchi e me ne andai, lasciando Kakashi sulla soglia ad affrontare lo sguardo di disapprovazione di due vecchiette che passavano lì davanti in quel momento.
Sentii una di loro mormorare un “Brava, ragazza, bisogna fare così!” e mi sentii improvvisamente molto bene: ero accecata dalla rabbia, ma essere arrabbiata mi piaceva, mi faceva sentire forte, non uno straccio come mi ero sentita fino a poco prima.
E così, Sakura, eh?
Molto bene.
Giurai solennemente a me stessa che la mia alunna dai capelli rosa l’avrebbe pagata molto cara.

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Capitolo 21
*** Kakashi ***


“Odio il lunedì” pensai, non appena il trillo della sveglia mi strappò dal sonno.
Mugugnando imbronciato, tastai il comodino fino a quando non riuscii a far smettere quel rumore infernale.
Non ero mai di buon umore appena sveglio, e quel giorno era anche peggio del solito: la cruda verità era che non avevo nessuna voglia di andare a scuola.
Il che può essere comprensibile in un adolescente che debba sorbirsi lezioni interminabili, ma quando a pensarla così è un professore, come nel mio caso, allora è tutta un’altra musica.
Quella mattina, infatti, ogni docente avrebbe dovuto portare la sua classe in aula magna per un incontro con alcuni professori universitari.
All’inizio, quando avevo ricevuto la comunicazione, l’idea mi era piaciuta, soprattutto perché sapevo che Tsunade avrebbe accompagnato un’altra classe alla stessa ora, per cui potevamo ritagliarci un po’ di tempo insieme.
Ma, dopo i fatti degli ultimi due giorni, temevo che la cosa potesse essere solo fonte di un grandissimo imbarazzo: per quanto credevo che non mi avrebbe fatto scenate, Tsunade non era certo il tipo da fare finta di niente, e siccome tutti gli altri insegnanti si erano accorti che c’era un “qualcosa” tra noi due, entro l’ora di pranzo tutta la scuola sarebbe stata informata del fatto che il professor Kakashi aveva lasciato la professoressa Tsunade da sola in discoteca per andarsene con un’altra ragazza.
Fantastico.
Gemetti di disappunto: non potevo farcela.
Era il momento perfetto per darsi malato.
Composi il numero di telefono della scuola, e annunciai alla segretaria che quel giorno non sarei venuto.
La mia voce, ancora roca per il sonno, diede il giusto tono di credibilità alla mia spiegazione, e quando ringraziai la segretaria, lei, di solito insensibile come una roccia, mi disse addirittura di riguardarmi e rimettermi presto, facendomi sorridere debolmente.
Mi sentivo più leggero, anche se provavo un certo senso di colpa per aver disertato così improvvisamente e senza una vera motivazione.
In realtà, c’era un’altra ragione per cui non ero pienamente contento della mia scelta: quel giorno non avrei potuto vedere Sakura.
Il pensiero mi intristì più di quanto credessi, e mi guardai intorno spaesato, finchè non mi accorsi che c’era qualcosa fuori posto, qualcosa che non avrebbe dovuto esserci: il vestito nero con cui Sakura era andata in discoteca due giorni prima pendeva ancora, dimenticato, dalla spalliera della mia sedia.
Vederlo mi lasciò per un attimo sconcertato, come se fosse un’apparizione.
Poi lo raccolsi delicatamente.
La prima cosa che mi colpì fu il lieve profumo che emanava: era il profumo di Sakura, e mi fece venire voglia di averla lì davanti a me per abbracciarla.
Questo pensiero suonò come una rivelazione nella mia mente, obbligandomi a chiedermi perché mi comportavo così nei suoi confronti.
Guardai di nuovo il vestito, quasi a cercare un esso una risposta.
Era semplice, ma ciò che mi colpì di più fu vedere quanto era piccolo.
Certo, Sakura era minuta, ma mi sembrava davvero molto corto.
E scollato.
La mia mente mi bombardò evocando un’immagine di Sakura con addosso quel vestito, e sentii un brivido.
Decisi che era meglio smetterla, e lo posai.
Non potevo permettermi pensieri del genere su una mia alunna.
“Una mia alunna che però mi ha baciato.”
Chiusi gli occhi per scacciare questi pensieri: non volevo crearmi altri problemi, e Sakura sembrava invece il centro di tutti quelli che già avevo, o almeno così pensava Tsunade.
Sospirai.
Non sarei mai stato bravo a capire le ragazze: la maggior parte delle volte, non capivo neanche me stesso.
Tanto valeva tornare a dormire, visto che potevo.
Mi addormentai quasi immediatamente, ma non riuscii a riposarmi: nella mia testa si agitavano sogni confusi di cui ricordavo solo pochi dettagli, e non erano rassicuranti; quasi sempre si trattava del viso, degli occhi, delle labbra o dei capelli di Sakura, a volte credevo di sentire la sua risata allegra, altre volte –e qui il sogno prendeva tinte oscure- credevo di sentirla piangere come la mattina precedente, quando aveva ricordato ciò che aveva rischiato.
Fu in mezzo a uno di questi sogni terribili che la mia mente, esausta, captò il suono del campanello della porta.
Aprii gli occhi a fatica, mentre avevo ancora stampata in testa l’immagine di Sakura che piangeva, e mi ci volle un po’ per scendere dal letto ed andare ad aprire.
Mentre andavo alla porta, notai di sfuggita l’ora: erano le due del pomeriggio.
“Ho dormito per tutto questo tempo? Forse sto davvero male.”
Finalmente, aprii la porta, e rimasi per un attimo accecato dal sole che splendeva fuori.
«Professor Kakashi?» mi chiamò una voce preoccupata.
«Sakura?» ero incredulo, e il fatto che non vedevo ancora nulla non aiutava.
«Prof, l’ho svegliata?»
Avevo recuperato abbastanza vista da poter distinguere la sua espressione preoccupata.
Sembrava triste, ed era assolutamente uguale a come l’avevo immaginata nel mio ultimo, terribile sogno.
Questa somiglianza, forse perché ero ancora in uno stato intermedio tra il sonno e l’essere completamente sveglio, mi fece quasi andare nel panico.
«Sakura!» quasi gridai, e la abbracciai stretta.
La sentii irrigidirsi per la sorpresa, prima di ricambiare la stretta, esitante.
Quando la lasciai andare, mi guardò con aria preoccupata.
«Sta bene, prof? Oggi ci hanno detto che era malato, così ho pensato di venire a vedere come stava…» arrossì, mentre abbassava lo sguardo, rendendosi conto delle sue parole.
Era così dolce, e le posai una mano sulla guancia per tranquillizzarla.
Lei alzò il viso verso il mio.
La baciai.
Non sapevo cosa stavo facendo, e non mi importava: l’unica cosa importante, in quel momento, era la sensazione delle sue labbra sulle mie.
Sakura, sebbene esitante, ricambiò il bacio allacciando le mani dietro al mio collo, e il suo tocco mi fece scendere dei brividi dolcissimi lungo la schiena.
Senza lasciarla andare, mi spostai a sufficienza perché potesse entrare, e chiusi la porta.
Sorrisi quando la sentii alzarsi sulle punte, mentre il bacio si faceva sempre più intenso.
“Ok, adesso dovrei smetterla.”
Sakura fece scivolare le sue mani sui miei fianchi.
“Va bene, ancora qualche secondo…”
Ma quando Sakura, sorridendo contro le mie labbra, mi morse il labbro inferiore, il mio respiro spezzato mi fece capire che era meglio smettere prima che la situazione mi sfuggisse di mano –più di quanto già non fosse successo.
Mi scostai leggermente, e la guardai.
Aprii la bocca per dire qualcosa –neanche io sapevo cosa- ma la sua espressione raggiante fece sciogliere ogni mio proposito: le sorrisi e la abbracciai stretta.
Dopo qualche secondo, ruppe il silenzio.
«Prof…» cominciò, continuando a tenersi stretta a me.
Probabilmente era arrossita, come sempre quando era in imbarazzo, e avrei dato qualunque cosa per vedere quanto era bella in quel momento, ma capivo come si sentiva, e continuai ad abbracciarla.
«Lei… Tsunade non è la sua… fidanzata?» riuscì a formulare la domanda dopo molte esitazioni.
“Oh. Credo di essere un idiota.”
«In realtà no. Non siamo mai stati insieme, e comunque, dopo sabato sera, non credo ci siano molte possibilità che potremo.»
Sakura si scostò e mi guardò accigliata: la risposta non le era piaciuta.
«Perché?» indagò.
Bè, tanto valeva confessare.
«Sabato, quando ti sei sentita male e ti ho portata a casa, ecco… mi ero dimenticato di essere con lei. L’ho lasciata sola in discoteca.»
Dio, quanto suonava stupido.
La guardai, in imbarazzo, e restai sconcertato: Sakura stava sorridendo.
E non era un sorriso accennato, ma un vero e proprio sorriso, enorme e soddisfatto.
 «…Sakura?»
Il suo sorriso si allargò.
«Si?»
«Perché sorridi in quel modo?»
«Bè, ha lasciato da sola Tsunade, una delle donne più belle che io abbia mai visto, per soccorrere me. È un pensiero che farebbe felice ogni ragazza.»
Le posai una mano sulla testa, scompigliandole i capelli.
«Non essere irrispettosa, Haruno.» la ammonii scherzosamente, sorridendo.
«Mi scusi, professor Kakashi.» mormorò, appoggiando le labbra sul mio collo.
Senza preavviso, la presi in braccio e mi spostai verso il divano, facendola sedere sulle mie gambe, mentre lei ridacchiava.
Amavo quel suono.
Questa consapevolezza mi colpì improvvisamente, e mi sentii di colpo più leggero.
Affondai il viso nell’incavo del suo collo, respirando il suo profumo, mentre lei mi abbracciava stretto.
Volevo solo restare così, per ore e ore.
Non potevo più negarlo a me stesso: ero innamorato.

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Capitolo 22
*** Sakura ***


Mi guardai allo specchio del bagno, cercando di ignorare le occhiaie e i capelli arruffati.
“Le sette di mattina dovrebbero essere illegali, soprattutto di lunedì.”
Era il pensiero che mi accompagnava tutti i giorni di scuola da anni, ma quel giorno mi ci riconoscevo ancora di più: non mi ero ancora ripresa dalla scoperta del giorno prima.
Kakashi e Tsunade erano una coppia.

Il pensiero, così chiaro, mi fece sussultare.
Fantastico, ora ero depressa.
Come se il lunedì mattina da solo non potesse bastare.
Neanche capivo perchè me la prendevo tanto: non avevo mai pensato a Kakashi in quel modo.
Improvvisamente, però, il ricordo del tempo passato a casa sua, e di come avevo sognato di baciarlo, mi colpì e mi fece annodare lo stomaco.
Una parte di me sapeva che quel sogno esprimeva un desiderio che avevo tenuto nascosto sin dal primo momento in cui avevo visto il nuovo professore.
A questo pensiero ne seguì subito un altro: Kakashi e Tsunade erano una coppia, e io non potevo farci niente.
Certo, l’ultima volta che li avevo visti insieme stavano litigando, ma era comunque un litigio da coppia.
Di umore sempre peggiore, finii di prepararmi e mi precipitai a scuola: ero in ritardo già di lunedì.
Ino non sarebbe venuta a scuola quel giorno, e, sebbene mi dispiacesse, da una parte ero anche sollevata: non avrei potuto sopportare il resoconto dettagliato della sua perfetta storia con Sasori, non con il turbinio di emozioni e pensieri che mi giravano per la testa come impazziti.
Entrai in aula, rassegnata alla prima ora settimanale di matematica: un supplizio che di solito non mi sarei augurata di passare da sola; quel giorno, invece, ero stranamente a mio agio nella solitudine: potevo far vagare la mente mentre il professor Jiraya in sottofondo cantilenava stupide formule.
Peccato che tutti i pensieri, alla fine, puntassero su Kakashi.
Dopo un’intera ora passata a rivedere con la mente il fatidico sogno del bacio, finalmente la campanella suonò, mettendo fine al mio supplizio.
Ben presto mi resi conto, però, che in realtà il supplizio era appena cominciato: a seguire, avremmo avuto ben due ore di letteratura, ovvero, di Kakashi.
Sussultai: non ci avevo minimamente pensato.
Mentre cercavo di raccogliere le forze e di ricompormi, non riuscivo a non sentirmi in imbarazzo crescente: io e Kakashi ci saremmo rivisti per la prima volta dal fatidico sabato.
Il tutto era reso ancora più imbarazzante dal fatto che avevo appena passato un’ora a immaginare di baciarlo.
“È proprio uno di quei giorni in cui avrei fatto meglio a restare a casa!” pensai tristemente.
Per questo motivo, accolsi con sollievo la notizia, riferita da un bidello, che Kakashi quel giorno non c’era: a quanto pareva, stava molto male.
Nonostante conoscessi la tendenza della segretaria all’esagerazione, non potei evitare di preoccuparmi: cosa intendevano esattamente con “molto male”??
Cercai di archiviare la notizia come non importante, ma non potevo fare a meno di ripensarci, di tanto in tanto, lungo il corso della giornata.
Giornata che, senza le due ore di letteratura, trascorse lenta e grigia.
“Se non altro, non ho ginnastica. Vedere Tsunade mi manderebbe fuori di testa!”
Con questa magra consolazione in mente, mi trascinai fino all’ultima campanella.
Uscita da scuola, vagabondai per le strade vicine: non avevo nessuna voglia di tornare a casa come se niente fosse.
Mi sentivo davvero uno straccio.
Girai per circa un’ora, fino ad arrivare in un luogo che mi sembrava familiare; ad un’occhiata più attenta, mi accorsi che quel posto lo conoscevo eccome: ero arrivata davanti casa di Kakashi.
“Ma cosa sto facendo?!” mi chiesi, irritata.
D’un tratto, però, la voglia che avevo di vederlo, e che avevo messo a tacere per tutto il giorno, tornò a galla impetuosa.
Senza neanche pensare a ciò che stavo facendo, arrivai a passo di marcia davanti alla sua porta, e suonai il campanello.
Aspettai col fiato sospeso per quelle che sembrarono ore, quando finalmente la porta si aprì.
Sulla soglia, c’era un Kakashi con un aspetto piuttosto arruffato, ma nel complesso molto migliore di quanto immaginassi.
Sospettavo che la “grave malattia” fosse solo una scusa per marinare la scuola.
«Professor Kakashi?» dissi, esitante.
«Sakura?» fece lui, con tono incredulo.
Sembrava reduce da una nottata movimentata.
«Prof, l’ho svegliata?» ritentai.
Forse con domande semplici alla fine avrei ricavato qualcosa.
Kakashi restò immobile per un altro secondo, poi sobbalzò.
«Sakura!»
A quel punto, successe ciò che non avrei mai potuto immaginare: Kakashi si sporse in avanti e mi abbracciò stretta, prendendomi alla sprovvista.
Non sapevo cosa fare, ero completamente immobilizzata dalla sorpresa.
“Deve essere un delirio da febbre. Ti prego, fa che non sia un delirio da febbre!”
Esitando, ricambiai a poco a poco la stretta.
Era una situazione strana, imbarazzante, ma anche molto, molto piacevole.
Per questo restai un poco delusa quando, troppo presto, mi lasciò andare.
Lo guardai, e improvvisamente ricordai che avevo una scusa per essere lì: ero molto preoccupata per la sua salute.
Cercando di assumere un’aria contrita, domandai: «Sta bene, prof? Oggi ci hanno detto che era malato, così ho pensato di venire a vedere come stava…»
Arrossii, e abbassai lo sguardo, rendendomi conto delle mie parole.
Dio, era la cosa più stupida che potessi dire.
Improvvisamente, sentii una carezza leggera sulla guancia; alzai il volto.
Lui mi baciò.
Dopo un primo istante, persi il controllo: risposi entusiasta al bacio, e quasi non mi accorsi che eravamo entrati in casa.
Attirai Kakashi contro di me, tenendogli le mani sui fianchi: non avevo intenzione di farlo smettere.
Quando gli mordicchiai il labbro inferiore, però, capii di essermi spinta troppo oltre: Kakashi si allontanò quanto bastava per porre fine al bacio, e fece per dire qualcosa; ma ci ripensò, e mi abbracciò di nuovo.
“Potrei abituarmici!” pensai, raggiante.

Dentro di me sentivo un groviglio di emozioni, dallo sconcerto al timore, ma quella predominante era senza dubbio la felicità, una sensazione pura e meravigliosa.
C’era, però, un pensiero che turbava il mio stato di gioia, e sapevo che avrei potuto esprimerlo solo in quel momento.
«Prof…» cominciai, insicura.
Kakashi non rispose, ma sapevo che stava aspettando il resto.
«Lei… Tsunade non è la sua… fidanzata?» riuscii a formulare la domanda dopo molte esitazioni.
Kakashi si irrigidì a questa domanda, ed ebbi la certezza di aver rovinato tutto.
“Perchè non riesco mai a stare zitta?” pensai sconsolata.
Ma poi, lui parlò.
«In realtà no. Non siamo mai stati insieme, e comunque, dopo sabato sera, non credo ci siano molte possibilità che potremo.»
“Cosa?”
«Perché?» indagai, guardandolo accigliata.
Non avevo gradito la risposta: cosa avevano fatto sabato?
Kakashi sospirò.
«Sabato, quando ti sei sentita male e ti ho portata a casa, ecco… mi ero dimenticato di essere con lei. L’ho lasciata sola in discoteca.»
“Cosa??”
Mi ci volle qualche secondo per metabolizzare l’informazione, ma una volta capita, non riuscii a reprimere un gran sorriso.
Aveva lasciato Tsunade per me?
Era una delle migliori notizie che avrebbe potuto darmi.
Kakashi sembrava imbarazzato, e probabilmente non comprendeva la mia reazione.
«…Sakura?»
«Si?»
«Perché sorridi in quel modo?»
“Momento sincerità.”
«Bè, ha lasciato da sola Tsunade, una delle donne più belle che io abbia mai visto, per soccorrere me. È un pensiero che farebbe felice ogni ragazza.»
Ok, il mio concetto di sincerità in questo caso era una versione edulcorata di quanto il sapere che aveva scelto me e non Tsunade mi rendesse soddisfatta.
Kakashi sorrise, e mi posò una mano sulla testa, scompigliandomi i capelli.
«Non essere irrispettosa, Haruno.» mi ammonì.
«Mi scusi, professor Kakashi.» mormorai, baciandolo sul collo.
Restai ancora qualche ora a casa di Kakashi, e quando tornai a casa mi sembrava di camminare sollevata dal terreno.
Ero felice come non mai, e una parte di me si rifiutava ancora di crederci.
Ma era reale: potevo sentire il profumo di Kakashi sulla mia pelle, ricordavo ogni sensazione di quell’assurdo pomeriggio.
Ma un pensiero aleggiava nei recessi della mia mente: cosa sarebbe successo ora?
Era un pensiero comune, tipico dell’inizio di una storia, ma nel mio caso era diverso: Kakashi era un mio professore.
Ne avrei dovuto assolutamente parlare con Ino, e chiederle consiglio.
Ma non quella sera: per il momento, volevo rimandare tutte le preoccupazioni, e concentrarmi solo su ciò che era successo.
Kakashi mi aveva baciato, e, per il momento, questo mi bastava.

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Capitolo 23
*** Ino ***


Premessa: sono terribilmente dispiaciuta del fatto che è più di un anno che non aggiorno questa storia. Purtroppo, tra università e traslochi vari l'ho completamente persa di vista, e non volevo scrvere capitoli inutili e raffazzonati solo per continuare a pubblicare qualcosa. Ad ogni modo, sembra che ora io abbia un po di tempo in più, per cui rieccomi qui. Non lascerò la storia senza una fine, ma potrei impiegarci più tempo del previsto. Comunque, grazie a chi nonostante tutto la segue ancora! 
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Sasori.
Sasori, Sasori, Sasori.
Non riuscivo a pensare ad altro.
Erano stati due giorni di pura magia, e il pensiero che fosse già lunedì mattina mi stava torturando: Sasori se ne sarebbe andato il pomeriggio stesso.
Mi rigirai nel letto, assolutamente intenzionata a non uscirne mai più.
Cosa mi prendeva? Non ero mai stata così per un ragazzo, ero sempre io quella per cui gli altri si struggevano.
Ora, però, avevo paura; i dubbi mi assalivano: ero disposta a rischiare e imbarcarmi in una relazione a distanza? E lui, lo era?
Per quanto mi riguardava, e per quanto doloroso fosse, credevo di sapere già la risposta.
Sospirai, troppo irritata per riuscire a stare ferma, e mi alzai.
Lo trovai in cucina.
«Ino» mi sorrise, ma la mia espressione corrucciata lo lasciò confuso.
«Va tutto bene?» mi chiese, avvicinandosi.
“Si. No. Non voglio lasciarti.”
Lo abbracciai, senza dire una parola, e lui ricambiò la stretta.
“Ma devo.”
Come se mi avesse letto nel pensiero, mormorò: «Non voglio andarmene»
«Non farlo» sussurrai in risposta, pentendomene subito dopo.
“Quando sono diventata così patetica?” non potei fare a meno di pensare.
Sasori fece un passo indietro, e mi prese una mano.
«Cosa pensi delle relazioni a distanza?»
«Non ci ho mai creduto»
Risposta sbagliata. Sasori aveva la faccia di uno che ha appena ricevuto uno schiaffo.
«Quindi...?»
Non riuscivo a rispondergli.
Non riuscivo a guadarlo.
«Bè, in questo caso...» il suo tono era glaciale.
Mi lasciò la mano: «Sarà meglio che vada a preparare la mia roba.»
In un secondo era già fuori dalla cucina.

Mi accasciai su una sedia; avevo passato tutto quel tempo a fantasticare su di lui senza rendermi minimamente conto di quello che avrebbe comportato lo stare insieme davvero: non vedersi mai, vivere con la paura costante che l’altro potesse incontrare un’altra persona, o semplicemente stancarsi di una relazione di quel tipo.
Già, le relazioni a distanza per me erano solo un mucchio di stupidaggini.
Senza contare che lui era un universitario, mentre io solo una liceale.
Per lui, ero piccola.
Non avrebbe mai potuto funzionare.
Meglio finirla di persona piuttosto che per telefono.
Avrei voluto parlarne con Sakura, la mia voce della ragione, ma ero sicura che lei mi avrebbe detto di provarci, mentre io ero sicura della mia decisione.
Sasori mi ignorò per il resto della mattinata; per la prima volta nella vita, avrei preferito essere a scuola.
Deidara aveva captato lo strano clima, ma saggiamente -cosa inspiegabile per lui- aveva deciso di tacere.
Evidentemente, la sua storia con Hinata lo stava facendo diventare umano.
Pensare a Hinata mi distrasse per un attimo: il nostro rapporto, se così si poteva chiamare, era arrivato ad un punto strano; non la trovavo più così terribilmente amorfa e irritante come prima.
Sebbene non si potesse dire che avessimo legato in qualche modo, la trovavo più tollerabile.
Sakura, da parte sua, sembrava aver sviluppato una strana simpatia per la ragazza, il che era forse la parte più scioccante di tutta la vicenda; mi dissi che doveva essere grazie alla sua recente esperienza, se così si poteva chiamare, con Kakashi.
Già, perchè era inutile che Sakura negasse di provare qualcosa: la conoscevo troppo bene per non accorgermene.
Questo pensiero portò altre, nuove, preoccupazioni: un contro era stare con un universitario, ma un professore... era tutta un’altra storia.
Era proibito.
Va bene, lui era solo un supplente e alla fine dell’anno scolastico non l’avremmo più visto, ma per il momento era un nostro professore.
Sussultai improvvisamente: mancavano solo due settimane alla fine dell’anno scolastico.
Una volta dati gli esami finali, avremmo smesso per sempre di essere liceali.
Questo pensiero aggiunse il carico definitivo di depressione al mio stato d’animo già provato; dopotutto, mi piaceva il liceo: potevo essere spensierata e stupida, e avevo Sakura sempre accanto, per qualunque cosa.
Il pensiero di Saura mi fece sorridere per la prima volta nella giornata: era la migliore amica che potessi desiderare.

Durante il pranzo, il clima fu dei peggiori: Deidara provò a intavolare una conversazione prima con Sasori poi con me, ma le nostre risposte erano per lo più monosillabi, e noi due cercavamo di ignorarci il più possibile.
Potevo quasi sentire le ondate di risentimento che emanavano da Sasori, e vederlo così mi faceva sentire una persona orribile, ma non riuscivo a vedere alcuna soluzione: era stato stupido da parte mia persino iniziare una storia con lui. Questo pensiero mi incupì, se possibile, ancora di più, facendomi perdere l’appetito.
Non che agli altri due andasse meglio: fu il pranzo più breve a cui avevo mai partecipato.
Mi rintanai in camera mia, finchè, poco dopo, Deidara venne a chiamarmi: «Accompagno Sasori alla stazione, tu vieni?»
Dietro di lui, Sasori, già trascinando la valigia, mi osservava; il suo volto era assolutamente impassibile.
Non potevo non salutarlo neanche, dopo il modo in cui l’avevo trattato, così andai con loro.
Il tragitto fino alla stazione fu un altro supplizio, e l’annuncio dell’arrivo del treno fu un sollievo per tutti e tre. A quel punto, però, l’espressione di Sasori si fece strana, quasi dolorante. Salutò Deidara, che avrebbe comunque rivisto da lì a una settimana, e si voltò verso di me.
Deidara, sopraffatto dall’imbarazzo, farfugliò qualcosa sull’uscire dalla stazione e si dileguò.
Il treno era arrivato, non c’era più tempo.
Improvvisamente, Sasori mi abbracciò, così stretta da togliermi il fiato.
«Non mi arrendo» mi sussurrò nell’orecchio.
Poi sciolse la stretta, e, senza aspettare né girarsi indietro, salì sul treno.
Un secondo dopo, era andato.
Rimasi immobile, lasciando finalmente sgorgare le lacrime.
Mi riscossi solo quando sentii il braccio di Deidara attorno alle spalle.
«Preferisci soffrire così piuttosto che provare una relazione a distanza?» mi apostrofò.
«Come fai a saperlo?» singhiozzai.
«Sasori mi ha detto di stamattina. Tipico da parte tua. Ma non si può mai sapere, sorellina...» mi fece un sorriso enigmatico «Vieni, torniamo a casa.»

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