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di Rei Hino
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** 1 ***


Alò, a rieccola, sempre per il medesimo motivo del fandom ormai alla deriva e della promessa che ci siamo fatte di postare ogni atrocità che ci viene in mente, ho deciso in fine di postare questa cosa oscena. Anche perché Maya me lo ripete di continuo, perciò eventualmente prendetevela con lei!
L'ho scritta mesi e mesi fa, scritta, riscritta e riscritta ancora, e non mi ha mai soddisfatta proprio, non so perché, eppure dovrebbe, essendo la storia di come Jim e Bones si sono conosciuti e innamorati dovrebbe essere in cima alle mie preferenze D: Principalmente c'è da dire che è nata per dare un carattere, un motivo, insomma un'esistenza al personaggio di Gary Mitchell, che purtroppo non abbiamo mai conosciuto se non attraverso qualche romanzo, ed essendo io una fanatica di Kirk, questa cosa la trovo una grossa mancanza personale XD
Non so quando saranno pronti i prossimi capitoli, ho anche paura di rileggerli XDDD
Ah credo che in seguito il raiting si alzerà ad arancione e il livello di patetismo dei personaggi raggiungerà proporzioni bibliche!

1

 
-Diario personale, data stellare 2721 punto 3, diario del tenente Mitchell.
La Ferragut è approdata alla base stellare sette in pessime condizioni dopo l’incidente di una settimana fa, in data stellare 2324 punto 6. I lavori procedono a rilento data la lontananza di questo avamposto rispetto al quartier generale di Starfleet e in questo sistema solare giungono poche navi, i pezzi di ricambio stanno richiedendo molto più tempo per giungere fino a noi. Di questo passo le riparazioni richiederanno minimo sei settimane.
Le condizioni di salute dei trenta uomini dell’equipaggio situati nei pressi dell’esplosione principale al momento dell’incidente, stanno lentamente migliorando, ciascuno secondo i propri ritmi.
Il ferito più grave, il tenente James T. Kirk, dopo essere rimasto in coma per quasi una settimana, sembra ora sulla via di un completo recupero. Il medico che lo sta seguendo, primario del piccolo ospedale della base stellare, dottor McCoy, ritiene che entro otto settimane si sarà completamente ristabilito e sarà in grado di riprendere i suoi doveri. Non gli sarò mai abbastanza grato per aver salvato la vita del mio compagno.
Il capitano Garrovich sembra contrariato dalla nostra ‘licenza’ forzata, molti membri dell’equipaggio non essenziali alle riparazioni e in ottimo stato di salute, hanno approfittato dell’occasione per riposarsi su questa piccola base, o per raggiungere i vari mondi di questo sperduto sistema planetario.
Personalmente, dopo aver passato una settimana in ospedale, per le mie leggere ferite e la preoccupazione per il mio amico sopracitato, ora ne sto approfittando per riposare e portarmi avanti con del lavoro arretrato.-
 
“E’ nero! Dovresti vederlo!”
Esclamò Gary con un sorriso smagliante, senza preoccuparsi di nascondere un lampante divertimento al solo ricordo dell’espressione imbronciata e urlante del capitano Garrovich, impegnato da quasi una settimana a sbraitare, in primis contro Starfleet per la lentezza dei soccorsi, e poi con il suo equipaggio, per l’evidente sollievo che sembrava trarre da quella vacanza fuori programma.
“Addirittura?”
Jim cercò di apparire sereno e altrettanto divertito, nonostante sentisse un grande dolore alla schiena, l’immagine del capitano sbraitante faceva sempre il suo effetto.
Il giovane e biondo tenente Kirk era sdraiato in quel letto bianco d’ospedale già da una settimana intera, e ce ne avrebbe dovute passare altre sette probabilmente, almeno queste erano le intenzioni del suo dottore.
Erano nella camera d’ospedale dove Jim era ricoverato da quando erano giunti alla colonia, un ambiente semplice e ben arieggiato, illuminato da forti lampade. Oltre il letto vi era un piccolo mobile, un armadio e una scrivania, tutto rigorosamente bianco e immacolato. Un ambiente che a Jim risultava più claustrofobico ogni giorno che vi passava rinchiuso.
Inutile dire quanto il giovane tenente trovasse tutta quella situazione del tutto opprimente. Al solo pensiero di dover stare lontano dai suoi doveri, dalla nave, dallo spazio, per così tanto tempo, si sentiva ribollire nelle vene e tutto quel bianco nel quale era immerso sembrava potesse soffocarlo.
Da quando era uscito dall’accademia non aveva passato più di una settimana lontano dal suo lavoro, che a conti fatti, era tutta la sua vita, tutto ciò che desiderava, che lo faceva alzare la mattina, sempre di buon umore. Era tutto ciò che aveva e voleva per sé.
 
“Beh, è costretto a ritardare tutte le missioni di due mesi quasi, la Ferragut è in pessimo stato, ci vorranno almeno altre cinque o sei settimane per riparare tutti i danni, sempre che ci arrivino i pezzi! E per riparare te ce ne vorranno anche di più!”
Gary non si era mosso dal suo capezzale per tutta la settimana che Jim era rimasto tra la vita e la morte, e anche se in quel momento il suo amico era ormai pienamente fuori pericolo, il tenente Mitchell rimaneva costantemente preoccupato, assalito da una paura che ancora doveva fare il suo corso prima di essere definitivamente abbandonata dietro di sé.
Passava con Jim ogni secondo libero che riusciva a ritagliarsi, il vederlo sveglio, attivo e sorridente era ciò di cui necessitava per convincersi, una volta per tutte, che quell’incubo fosse finalmente giunto a termine e che tutto si era concluso per il meglio.
“Ma io mi sento bene! Se il capitano vuole tirarmi fuori da qua mi farebbe un gran favore!”
Kirk fece per alzarsi dal letto ma si bloccò istantaneamente e la smorfia che apparve sul suo bel viso lasciò trasparire tutto il dolore che aveva completamente attraversato il suo fisico in quell’istante. Gary sbuffò contrariato e si alzò in piedi facendolo mettere di nuovo sdraiato
“Sei un cretino…”
Aveva già assistito Jim malato in altre situazioni ed era quindi perfettamente consapevole di tutta la sua insofferenza in simili circostanze, sempre troppo attivo ed energico per riuscire a stare fermo tutto quel tempo.
“Smettila di agitarti, dai”
Mormorò, armato di infinita pazienza
“Fiato sprecato signor Mitchell, sono giorni che glielo dico e giorni che mi ignora!”
Sentirono entrambi l’allegro accento americano del dottore che teneva in cura Jim, il dottor McCoy, appena entrato dalla porta automatica che si affacciava su un lungo corridoio bianco e spazioso.
Quel ragazzo, giovane ma estremamente competente, gli aveva salvato la vita, contro ogni probabilità di riuscita.
Gary lo aveva visto prodigarsi molto per Jim in quella settimana, e se lui non era riuscito a chiudere occhio, il dottor McCoy non era stato da meno.
 
“Prima o poi ce lo legherò al letto!”
Esclamò il dottor McCoy avvicinandosi ai due con un tricorder stretto nella mano destra
“Promesse, Doc, solo promesse…”
Rispose il tenente Kirk con un bel sorriso smagliante, il ragazzo moro seduto accanto a lui esplose in una bella risata divertita mentre il dottore si gelò un attimo sul posto per poi sciogliere l’espressione sbigottita anche lui in un bel sorriso
“Fa sempre così?”
Chiese a Gary scuotendo la testa, il tenente Mitchell alzò le spalle tirandosi su dal letto per lasciar lavorare il medico
“Oh beh, lo fa spesso”
“Bene, ora stai fermo James, vediamo un po’ queste fratture”.
 
Si sedette sul letto e cominciò a passare il tricorder medico lungo tutto il corpo atletico del giovane ragazzo, che continuava a sorridergli e a fissarlo con quegli occhi chiari, brillanti e ricolmi di vita
“Ha mai visto tante ossa rotte tutte insieme, Doc?”
Chiese Gary sarcasticamente lanciando un’occhiata di rimprovero a Jim per tutta la paura che gli aveva fatto provare, McCoy scosse la testa alzandosi in piedi per controllare i dati che apparivano nello schermo nero dietro la testata del letto
“E mi auguro di non vederle più!”
Esclamò scrivendo i dati osservati sul suo padd.
Il comunicatore di Gary iniziò a suonare insistentemente
“E’ il capitano?”
Chiese Kirk, il ragazzo bruno scosse la testa
“No, devo andare!”
Si avvicinò all’amico, baciò la sua testa biondo scuro e uscì dalla stanza a piena velocità.
Jim sorrise e incrociò le braccia al petto
“Mi lascia qui per correre dietro a una ragazza, che roba”
Mormorò ironico, McCoy sorrise e si avvicinò al letto trascinando con sé un mobiletto dotato di piccole rotelle, recante garze e quant’altro per cambiare la fasciatura che stringeva gli addominali del giovane, escoriati e bruciati a causa dell’incontro ravvicinato con l’esplosione principale dell’incidente sulla Ferragut
“Quel ragazzo non ha né dormito né mangiato per una settimana, ti è stato vicino tutto il tempo, non mi lamenterei della sua amicizia se fossi in te”
Borbottò, concentrato nel preparare un hypospray. Si avvicinò col busto al ragazzo, aiutandolo a togliersi la camicia bianca dell’ospedale
“Piano…”
Raccomandò nessun movimento brusco a quel corpo ancora sulla via della guarigione
“E’ la prima volta che qualcuno mi dice di spogliarmi piano…”
Mormorò il tenente Kirk con una tale naturalezza e disinvoltura da lasciare il dottore alquanto interdetto, come spesso gli capitava di rimanere con quel ragazzo impertinente e piacevole al tempo stesso, in un matrimonio curioso di mille sfaccettature che lo costituivano all’unisono e che il dottore trovava tremendamente intrigante e, in qualche modo, intimorente.
 
Aveva visto il tenente flirtare con ogni infermiera vagamente piacente che aveva la fortuna di incrociare il ragazzo in qualsiasi luogo e in qualsiasi momento. Spesso le giovani cercavano appositamente ogni ridicola scusa pur di dare un’occhiata, anche fugace a quel Kirk, e non era certo difficile capirne il motivo, né il dottor McCoy si sentiva di poter biasimare il loro comportamento; il sorriso di quel ragazzo, in certe pessime giornate, era un antidepressivo naturale.
Lo aveva visto in simili atteggiamenti anche con i membri femminili dell’equipaggio della Ferragut che erano andati a trovarlo in quei giorni, dopo il suo risveglio, ma il dottore non riusciva a smettere di pensare e ripensare e a chiedersi, quotidianamente, perché mai quel ragazzo dovesse flirtare con lui, con una tale ostentazione, in quel modo assolutamente sfrontato e arrogante… e maledettamente provocante che lo faceva diventare matto.
 
“Tutto bene, Bones?”
Chiese il giovane con quel suo sorriso delizioso, McCoy non tardò un minuto a costatare quanto fosse, semplicemente, bello. Aggrottò le sopracciglia
“Bones?”
Domandò curioso, Jim alzò le spalle, non cambiando espressione
“E’ per quelle che ti ricorderai di me immagino… E’ un soprannome appropriato per un dottore, no?”
“Ah beh, meglio di Plum…”
Mormorò McCoy, togliendogli lentamente il bendaggio
“Plum?”
“Lascia stare…”
Non era il caso di fornire alcuna spiegazione riguardo quello stupido soprannome affibbiatogli da Nancy qualche tempo prima.
“Se non ti piace ne cerco un altro”
“Mi piace… Jim”
Si affrettò a rispondergli, alzando gli occhi al suo volto, con un bel sorriso che il giovane ricambiò prontamente.
Jim non indagò minimamente sul perché quel piccolo e semplice gesto, quello stupido scambio di nomignoli, gli provocò tanto calore alle guance.
“Begl’occhi, Bones…”
Mormorò il tenente, il dottore aggrottò ancora le sopracciglia e scosse impercettibilmente il capo, distogliendo l’attenzione da quel volto, si sentì lievemente arrossire, probabilmente lo aveva fissato troppo a lungo.
 
Finì in assoluto silenzio il cambio della fasciatura, Jim nemmeno parlò, ma Bones percepiva lo sguardo chiaro e curioso del giovane su di sé. Uno sguardo attratto e tentatore, forse era solo una sua impressione, constatò tra sé, o peggio, un suo desiderio.
Così il medico si alzò e aiutò il ragazzo a sdraiarsi di nuovo sul materasso, sistemandogli bene i cuscini dietro la schiena
“Prova a dormire un po’, fra un’oretta arriverà l’infermiera con la cena”
Borbottò assestandogli coperte e guanciali
“Preferirei che me la portassi tu…”
Ammise Jim con quanta più schiettezza possibile, asserzione che suonava tanto come una richiesta, richiesta assolutamente accattivante alle orecchie del dottore
“E’ una ragazza molto carina Jim, vedrai che la troverai molto più interessante di me!”
Il tenente sorrise
“No, io non credo… ci vediamo tra un’oretta, Bones…”
Sbadigliò sonoramente e girò il collo dall’altro lato.
 
Leonard McCoy si ritrovò a sorridere tra sé e a scuotere, divertito, lusingato e allettato, la testa. Quel ragazzino biondo era davvero un affascinante problema.
 
§§§
 
“Ahia! Fa piano, cavolo!”
Continuava a sibilare Jim tra i denti, cercando di mantenere i lamenti doloranti, mentre Gary lo aiutava con uno dei suoi esercizi di riabilitazione.
Tanto per cambiare era sdraiato nel suo letto in ospedale, cosa che ormai lo mandava totalmente fuori di testa, ma le sue gambe facevano ancora fatica a camminare per più di qualche metro. Le uniche cose che gli evitavano di impazzire del tutto erano le costanti visite di Gary e le lunghe chiacchierate con il dottor McCoy.
Era steso supino con le gambe in aria, posizionate ad angolo retto, e stava cercando di farle girare in senso orario, Gary ogni tanto gli afferrava le caviglie costringendolo ad accelerare i tempi, o a rallentarli in caso di uno sforzo eccessivo, nell’ingenua speranza di giungere a una più veloce guarigione.
“Uh come piagnucoli!”
“Ti diverti? Io per niente”
“Spero ti serva da lezione per la prossima volta!”
Anche nel mentre diceva quella frase Gary era del tutto consapevole che tale avvertimento sarebbe caduto, inesorabilmente, nel vuoto. Jim sospirò, l’amico gli avrebbe rinfacciato la paura che gli aveva fatto provare in quella settimana per ancora molto, molto tempo, e lo comprendeva perfettamente.
 
“Non ti lamenti così tanto con il bel dottorino dagli occhi azzurri però, ti devi far vedere forte e coraggioso da lui penso…”
Sorrise Gary con lampante malizia, rallentando i giri delle gambe di Jim, il biondo ragazzo tirò leggermente su il collo per fissare l’amico, accigliato, fingendo di non capire tale insinuazione o non volendo dargli alcuna soddisfazione.
“Eh? Che stai blaterando?”
“Ti piace…”
Cantilenò il ragazzo bruno sorridendo divertito, con tutta la buona volontà Jim non poté impedire ai suoi zigomi di diventare leggermente rossi, e scostò il viso, ancora più corrucciato
“E allora?”
“E allora l’ultima volta che ti sei perso dietro qualcuno volevi mollare tutto e…”
“Non tirare fuori Carol per favore… e non esagerare. E’ un ragazzo simpatico e intelligente, mi ci trovo bene a parlare, tutto qui”
“Oh, quindi per ora vi limitate a parlare?”
Domandò Gary alzando le sopracciglia, con aria di sufficienza
“E piantala di insinuare cose del genere, non è detto che debba accadere qualcosa di diverso!”
“Ma ci stai pensando…”
Il moro sorrise ancora e scosse la testa ricominciando a fargli girare le gambe, preferendo lasciar cadere ogni questione.
Eppure, non si seppe spiegare il motivo, provò una lieve irrequietezza in quel momento. Quell’interesse del tutto irrazionale che Jim nutriva gli parve, in un certo senso, disonesto.
Non seppe darsi un’interpretazione di quella sensazione in quel momento, d’altronde neppure la cercò, non riuscì ad avvertire alcuna complicazione in quel bizzarro fastidio inaspettato e immotivato.
 
“E la tua ragazza settimanale?”
La voce maliziosa di Jim lo ridestò dai suoi pensieri, il ragazzo bruno alzò le spalle e tirò più forte le caviglie dell’amico, cercando di distrarlo dalla sua domanda
“Ahia! Cavolo, Gary!”
“Oh scusami, dicevi?”
Chiese ostentando una falsa innocenza
“Sei andato in bianc… AH!”
Nonostante gli avesse fatto discretamente male, pur di non fargli finire la frase, Jim non seppe trattenere una risata divertita, appurando da quel comportamento che la sua supposizione sulla serata di Gary fosse del tutto corretta, e traendo da ciò un notevole, e lievemente sadico, divertimento che sapeva di leggera vendetta per l’imbarazzo di poco prima.
“Stupidaggini! Era indisposta!”
“Certo, ogni volta che esce con te è sempre indispos… Oddio! Così mi ammazzi!”
Urlò ancora dopo un’altra stretta, ma il suo bel viso disteso e sereno continuava a ridere
“Allora smettila di sfottermi!”
Ma nonostante le sue parole, Gary non riusciva a non rispondere alla risata allegra di Jim, l’aveva sempre trovata adorabile, contagiosa, e la cosa più straordinaria era poterla di nuovo vedere e udire, dopo quei tetri giorni passati a sperare che si ridestasse dal suo sonno costretto. Ai piedi del suo corpo inerme e sfinito, mentre la speranza di vederlo di nuovo aprire quegli occhi chiari e brillanti scivolava lentamente via da lui, sebbene tentasse strenuamente di trattenerla a sé.
Ed ora, vedere Jim desto, energico, gioioso e lamentoso, deliziosamente capriccioso come l’incantevole ragazzino che era, lo rendeva felice sopra ogni limite.
 
E con ancora la mente assillata dall’irragionevole angoscia di quell’orrendo incubo appena chiuso, il ragazzo bruno fissava il compagno, non smettendo di rendere tacitamente grazie al suo Dio di poterne ancora ascoltare la spensierata risata.

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Capitolo 2
*** 2 ***


Ok, qui servono due piccoli avvertimenti;
1) Non slasho Gary e Jim, ve lo dico perché me lo hanno già chiesto. La gelosia di Gary non è da vedere in quel senso, esiste anche la gelosia tra amici, che è anche peggio e molto spesso può anche essere confusa, dopotutto l'amicizia è un tipo di amore. Spero di essere riuscita a esprimere questo concetto ma in caso (probabile) che non ci fossi riuscita ve lo dico prima XD Poi vabbé libera interpretazione!
2) Vi avverto anche che è incredibilmente palloso e sentimentale, una specie di Dawson's Creek Trek XD Uomo avvisato...
Buona lettura, in caso vogliate continuare XD

2

 
Non era mai capitato.
Erano sempre stati loro due, al liceo, all’accademia, nello spazio.
Loro due contro il mondo, contro l’universo, pronti a conquistarlo con la loro bella nave.
Uno affianco all’altro, sempre, da sempre e per sempre.
Nulla, nulla poteva opporsi a quella tacita promessa, nulla poteva mettersi tra loro, creare quella distanza, porre in secondo piano ciò che loro erano e rappresentavano.
Eppure Gary non riusciva a eliminare dalla mente il sorriso che Jim rivelava solo in presenza del dottor McCoy, quel ragazzo con l’aria da uomo vissuto e distrutto, maturo di una consapevolezza che nei loro animi di ventenni non sarebbe affiorata per molti anni ancora. Intelligente e pacato, calmo, fiero di un’autorità che traspariva da quegli occhi celesti profondi e velati di un’amarezza malcelata. Amarezza che si scioglieva, letteralmente spazzata via, ogni volta che si posavano su Jim.
Dall’istante in cui i due si erano visti. Quando Jamie si era ripreso dal coma, dopo aver passato giorni in terapia intensiva solo con quell’uomo, quando Gary lo aveva rivisto, c’era qualcosa di diverso in lui.
Non ci fece caso, cercò, Jamie era appena rinvenuto da un terribile incidente e Gary ringraziò tutte le stelle del cielo che non gliel’avessero portato via, che fosse ancora vivo, davanti a lui, sorridente e sornione, come al solito, i suoi occhi che brillavano vivaci, ancora… non con lui.
Quegli occhi tanto particolari e tanto belli che solo lui era in grado di far sorridere a quel modo, ora non sorridevano a lui. Quel sorriso, quella luce dorata non era per lui.
Si accorse di come quello sguardo seguiva con attenzione ogni gesto di quel dottore, come ne rubava gelosamente l’immagine ogni qualvolta l’uomo si voltasse. Si accorse di un timido rossore sulle belle gote di quel viso giovane e perfetto ogni volta che il dottore alzava gli occhi su di lui, lo sfiorava, o anche solo gli parlava da lontano.
 
Quel ragazzo strafottente e spavaldo che non si era mai piegato a nessuno, che continuava ad andare dritto per la sua strada, che non si faceva problemi nel prendere e divertirsi con ogni persona che desiderava vagamente, si ritrovava ora ad arrossire imbarazzato, come una timida ragazzina alla sua prima cotta, davanti a quell’uomo… E vi era qualcosa in lui che non riusciva a sopportarlo.
Era come se avesse davanti un'altra persona, qualcuno che non era il suo Jamie, qualcuno che non conosceva.
Si ritrovò a pensare che se Jim doveva interessarsi a qualcuno seriamente, in quel modo delizioso e puro, quel qualcuno doveva essere lui, ne aveva ogni diritto.
Aveva certamente più diritto di quel dottore al quale di Jim non importava, se non a un livello meramente professionale.
Aveva certamente più diritto di quel dottore che passati quei due mesi non avrebbe neppure ricordato il nome di quell’ennesimo tenente arrivato da lui moribondo.
Gary aveva con Jim un rapporto speciale e privilegiato, non voleva rinunciarvi, non voleva che passasse in secondo piano, non voleva vederlo affezionato ad un altro come lo era di lui.
Questa possessività che sentiva di poter pretendere su Jim non si era mai acuita come in quei giorni. Non era mai subentrata tra loro minaccia alcuna all’equilibrio del loro rapporto.
Le donne, le tante donne che spesso apparivano nel loro cammino per poi ritrarsi prontamente, non avevano mai costituito alcun problema.
Ma ora, il profilarsi all’orizzonte di un altro uomo che avrebbe potuto prendere il suo posto, rimetteva in discussione il suo rapporto con Jamie, minacciando di portargli via quanto di più caro aveva costruito.
Jim doveva continuare ad essere suo, come era sempre stato… E se doveva proprio rivolgere quello sguardo, quel sorriso, a qualcuno… ad un uomo… Quell’uomo doveva essere lui.
Una paura irrazionale di poter perdere l’esclusività del loro affetto lo portava quasi a confondere i sentimenti che nutriva per il suo migliore amico, svegliando un’inquieta e incompresa gelosia.
Perché quell’esclusività che non era mai stata minacciata, ora la stava vedendo scivolare fra le dita, incrinata da ogni sguardo e sorriso che Jim e il dottore si scambiavano.
 
 
“Grazie di avermi tirato fuori da quel posto almeno per una sera!”
Jim era più che grato che Bones lo avesse fatto uscire dall’ospedale per una serata, e ovviamente decisamente felice che lo avesse invitato a cena a casa sua. McCoy abitava in un bell’appartamento, pulito, su due piani, piccolo, profumato, essenziale nel suo mobilio, non sembrava essere molto vissuto in verità e come il dottore aveva confermato, era più un posto per dormire, quelle rare volte che non decideva di restare in ospedale, che una casa vera e propria.
“Se non vuoi ritrovarti in ospedale Jim, devi solo evitare di ridurti in quelle condizioni!”
Erano seduti su un piccolo divanetto a due posti che divideva l’angolo cottura dalla sala da pranzo
“Non ho scelto un lavoro facile. Tutto quel bianco mi stava soffocando!”
“Sì, anche a me…”
McCoy si abbandonò stancamente sullo schienale, Jim pensò che in effetti, da quando era stato ricoverato, o meglio, da quando si ricordava, aveva sempre visto Bones in ospedale, insieme a lui o da altri pazienti. Sorrise, non si seppe spiegare il motivo ma era più felice di quanto normale fosse, essere lì con lui, sul suo divano, aver cenato per la prima volta decentemente insieme a lui - seduto al suo stesso tavolo, e non semi sdraiato in un letto d’ospedale con un pigiama addosso- lo rendeva, in qualche modo, entusiasta. Era estremamente elettrizzato, e il dottore si era anche rivelato un ottimo cuoco.
“Era da troppo tempo che non mangiavo qualcosa di non replicato e…”
Girò il collo e lanciò un’occhiata all’angolo cottura dietro di loro
“...l’unica cucina che avevo mai visto è quella nella fattoria dei miei!”
Si rigirò verso il dottore, che aveva la testa abbandonata sullo schienale del divanetto e gli occhi chiusi, la leggera barba era incolta da un paio di giorni e appariva effettivamente stanco e spossato, eppure risultava incredibilmente piacevole da guardare.
 
Gary aveva ragione, era incredibilmente attratto da quel ragazzo, dal suo bel viso onesto e gentile, che nonostante la giovane età rivelava una maturità che forse lui non avrebbe mai raggiunto.
Era strano ciò che provava quando lo guardava, quando gli sorrideva, quando si trovava insieme a lui, si sentiva… bene, come non lo era mai stato in vista sua, con nessuno. Sentiva di poter essere se stesso con quell’uomo, lui, che non era se stesso nemmeno da solo, con lui si sentiva, in qualche modo, al sicuro.
Aveva una gran voglia di protendersi verso di lui e carezzargli il viso, portare un po’ di sollievo in quegli occhi sempre adombrati, aveva una gran voglia di essere accarezzato da quelle mani, e non nel modo in cui un medico usa toccare il suo paziente.
Bones sorrise
“Povera mamma, nessun genitore dovrebbe avere un figlio nello spazio!”
“I genitori devono lasciare liberi i figli di scegliere la propria strada, penso”
Notò sul piccolo comodino accanto al divano una bellissima fotografia di Bones insieme a una deliziosa bambina con grandi occhi celesti, che non poteva avere più di quattro anni. Sorrise
“Se lei volesse iscriversi alla Flotta non potresti impedirglielo…”
Mormorò indicando la foto con un dito, il dottore tirò su la testa e vide che Jim fissava la fotografia di Joanna
“Tua figlia?”
Annuì
“Ti somiglia”
“Lei è più bella”
“Dov’è?”
Bones alzò le spalle
“Con sua madre, tra qualche mese la rimanderà qui…”
Una flebile luce gli oltrepassò lo sguardo, McCoy non riusciva a contenere un lieve rancore ogni qual volta pensasse alla sua bambina, costretta ad essere spedita avanti e indietro alla stregua di un pacco postale, a causa sua, a causa del suo più grande fallimento.
Jim gli si avvicinò impercettibilmente, desideroso come non mai di spegnere quel dolore che gli leggeva chiaramente negli occhi. Cercò di abbozzare un sorriso
“Trent’anni, già sposato, con una figlia, divorziato…”
“E quasi risposato di nuovo!”
Aggiunse con una nota di miserevole ironia
“Non ti sei fatto mancare nulla!”
Anche Bones sorrise leggermente. Ora Jim era perfettamente in grado di capire perché quel ragazzo sembrava essere già tanto adulto.
Era così diverso da lui, si sentì incredibilmente inferiore innanzi a quegli occhi, carichi di esperienze, di dolore, di una vita che lui ignorava del tutto, e che probabilmente avrebbe sempre ignorato.
Si sentì così piccolo, ingenuo, quell’alone ossequioso che avvertiva verso quell’uomo si acuì ancora di più, in una specie di reverenza incondizionata che mai più lo avrebbe abbandonato.
 
“Possiamo cambiare argomento?”
Mormorò il dottore, massaggiandosi stancamente le tempie
“Non pensavo fosse un tasto dolente…”
“Non lo è…”
Si affrettò a rispondere, troppo in fretta
“…semplicemente non c’è altro da dire al riguardo…”
Jim annuì, un po’ intimidito. Seguirono interminabili istanti di assoluto silenzio, poi il dottore sospirò e girò il volto verso di lui
“Scusami, davvero, non sono mai stato molto affabile, ed è molto che non sono in compagnia”
Il ragazzo sorrise e gli si avvicinò ancora
“Spero vivamente che non abbandonerai la pratica, Bones…”
Gli soffiò sulle labbra, con quel suo bel sorriso e quella bocca devastantemente vicina alla sua. Sentì un calore allo stomaco che non sentiva da molto, troppo, di un’intensità che forse non aveva mai provato. Non riuscì a distogliere lo sguardo da quella bellissima bocca che sostava a pochi centimetri dalla sua, e che gli parve improvvisamente ancora troppo lontana. Quando sentì la mano del ragazzo carezzargli la coscia, in quello che, probabilmente a causa della sua immaginazione, non era affatto un movimento casuale, gliela bloccò all’istante, prendendola tra le sue, e si allontanò di scatto
“Ora è meglio che ti riaccompagni, Jim…”
Mormorò cercando di apparire quanto più calmo possibile mentre il cuore sembrava volergli saltare in gola. Il tenente Kirk sorrise dolcemente e annuì
“Va bene, niente pratica per oggi…”
Aggiunse sottovoce, ma sicuro che Bones lo avesse udito alla perfezione. Difatti il dottore avvampò ma non diede alcuna risposta.
Jim lo seguì fuori dall’appartamento, fino in ospedale, sorridente.
 
Quell’attesa rendeva tutto più interessante, la sfida era ora intrigante, e quella squisita timidezza non faceva altro che renderlo ancora più irresistibile ai suoi occhi e al suo cuore, che ancora non si era accorto, ma che già batteva solo per lui.
 
§§§
 
“Molto bene, hai una grande capacità di ripresa ragazzo mio, magari tutti i miei pazienti fossero in così buona salute!”
Esclamò il dottor McCoy trascrivendo i dati del tricorder su un padd, Jim si alzò in piedi dal lettino sul quale era disteso, continuò a fissare le mani di quell’uomo, che fino a qualche secondo prima toccavano e tastavano il suo torace e il suo addome. Metodi tradizionali… certo… la scusa più stupida dell’universo…
“Non vedo l’ora di uscire un po’ da qui dentro, è un mese che ci sono rinchiuso! Finalmente posso visitare questa base!”
Jim sorrise, guardò Gary, in piedi sullo stipite della porta con le braccia conserte, Mitchell non poté evitare di sorridere di cuore al suo amico.
“Sì, stanotte sei libero, ma domani torni qui!”
McCoy guardò il tenente Kirk alzando un sopracciglio, Jim annuì e si rimise la maglia
“Arrivederci signor Mitchell”
Il medico salutò educatamente uscendo dalla stanza, lasciando soli i due ragazzi, Gary gli sorrise forzatamente, con educazione. Chiuse la porta dietro al dottore e si avvicinò a Jim spalancando le braccia
“Anche stavolta sei sopravvissuto, Jamie!”
“Ho la pelle dura, lo sai”
Gary gli mise le mani sulle spalle e strinse un po’ la presa. Jim si preoccupò leggermente, sapeva di aver rischiato grosso quella volta, molto più di altre volte, e sapeva quanto Gary fosse stato in pena per lui
“Ehi, sto bene, davvero! Mai stato meglio!”
Lo rassicurò e gli regalò uno dei suoi più luminosi sorrisi, e l’amico annuì
“Sì… andiamo a cena? Ho conosciuto una ragazza qui alla base, le dico di portare un’amica e facciamo una delle nostre solite uscite a quattro! Di solito finiscono molto bene, e sei stato per un mese qui dentro, direi che ne hai proprio bis…”
“Mi piacerebbe Gary, ma stasera proprio non è possibile”
Jim si allontanò per risedersi sul lettino e infilarsi le scarpe nere, Gary mantenne il suo sorriso sornione, così simile a quello di Jim. I due ragazzi erano, a conti fatti, molto simili l’uno all’altro
“Paura di non avere abbastanza forza?”
Kirk rise
“Ti piacerebbe averne metà della mia! No, devo cenare con il dottor McCoy”
Probabilmente era una sua impressione, dovuta alla morsa allo stomaco che lo assalì in quel preciso istante, ma gli parve di vedere il viso di Jim leggermente arrossato. Si ritrovò a stringere forte i pugni e portò le mani dietro la schiena per non darlo a vedere.
Sorrise, cercando di ingoiare quel rospo che gli era salito in gola, e tentò di assumere un’aria spensierata
“Vuoi che tasti il terreno?”
Il ragazzo biondo aggrottò le sopracciglia, incuriosito
“Che vuoi dire?”
Gary alzò le spalle e gli si sedette accanto, rifiutandosi però di guardarlo, sperando di riuscire a non tradire la minima emozione
“Posso… cercare di capire se il dottor McCoy sia interessato o meno… Insomma non vorrai sprecare un altro mese appresso a qualcuno, senza avere la minima possibilità di riuscita! Ti stai perdendo un mucchio di ragazze mio caro, e non è da te!”
Ancora Jim si sentì arrossire, si alzò in piedi e sorrise spavaldo
“Oh non preoccuparti, su quel terreno ti recupero sempre! C’è sempre tempo per le ragazze, Gary… e per favore non aprire bocca con Bones!”
“Bones?”
Gary si morse un labbro ma abbassò il volto, si alzò lentamente in piedi raggiungendo l’amico
“Siamo già ai soprannomi?”
Jim alzò le spalle e si grattò la nuca, in una posa imbarazzata e squisita che Gary non gli aveva mai visto assumere
“Beh, mi ha rimesso insieme tutte le ossa del corpo… è un nome appropriato per un chirurgo… e a lui fa piacere che lo chiamo così…”
Difficile descrivere le numerose emozioni che si agitavano nell’animo di Gary, erano del tutto nuove anche a lui. Chi era quel ragazzo che aveva davanti? Non era Jamie.
Non poteva esserlo, non poteva comportarsi in quel modo così dannatamente adolescenziale, e in un certo qual modo, adorabile…
Non doveva…
Si ritrovò a scuotere la testa, incapace di portare a termine un solo pensiero coerente, sapeva solo di provare rancore, sapeva di voler andare da… Bones… per gridargli in faccia, su quella bella faccia tanto altolocata, che Jim non gli apparteneva, che non poteva prenderselo così, senza nessuno sforzo, senza nessun perché.
Non poteva maledizione!
 
E sapeva di non poter restare oltre in quella stanza con lui.
Sorrise e annuì, gli poggiò una mano sulla spalla
“Allora buona serata Jim…”
Gli carezzò i capelli chiari e si allontanò verso la porta
“Anche a te! Ci vediamo domattina così mi racconti tutto! Facciamo colazione insieme!”
“Non fai colazione con… Bones?
Continuò a dargli ostinatamente le spalle e cercò di pronunciare quelle parole con quanta noncuranza possibile
“No, voglio farla con te”
Gary sorrise ancora davanti a quella semplice e ingenua sincerità
“Ok, a domattina allora…”
E uscì dalla stanza, spiazzato, e amareggiato.
 
 
§§§
 
“Ti capita spesso?”
Chiese sorridendo il dottor McCoy asciugandosi la bocca dal vino rosso appena bevuto, Jim aggrottò le sopracciglia, alzando lo sguardo dalla sua bistecca
“Arrivare mezzo morto in una base stellare!”
Spiegò Leonard riprendendo in mano forchetta e coltello, il tenente Kirk sorrise
“Non così tante quante ne diresti!”
I suoi occhi erano brillanti e così vivi, e la sua espressione furbetta e divertita. Il viso di quel ragazzo era talmente adorabile che al dottore bastava guardarlo per sorridere di rimando a quello sguardo luminoso. Scosse la testa sconsolato
“Tutti uguali voi cow-boy dello spazio! Sempre felici e contenti di rischiare l’osso del collo ogni giorno!”
“Beh…”
Jim si pulì le labbra col tovagliolo che aveva poggiato sulle gambe e riempì di nuovo il proprio calice e quello del dottore di quel vino replicato che a lui sembrava buono ma che l’amico non smetteva di criticare
“…non propriamente tutti i giorni”
“Grazie… Ogni volta che entri in un maledetto spargi-molecole rischi la vita, Jim!”
Lo ‘spargi-molecole’ era il nome che Bones dava al teletrasporto, mentre il ‘maledetto assembla-atomi’ era il replicatore alimentare. Quell’uomo e la tecnologia, o tutto ciò che riguardava lo spazio, non andavano affatto d’accordo. Bones era sempre pronto ad attaccare e a sparare a zero su qualunque argomento concernesse una nave stellare, o in più in generale, l’universo!
Sempre con la risposta pronta e una buona argomentazione per sostenerla, poteva andare avanti a borbottare per ore.
In quelle settimane Jim ne aveva sentite tante, sapeva ormai a memoria ‘il discorso contro il tricorder’, macchina accusata di non riconoscere i sintomi medici come solo l’occhio esperto di un medico sa fare. Poteva sentirlo blaterare per ore in verità, era divertente, brillante, intelligente, assennato, e perché no, buffo.
Essendo costretto a non uscire dalla corsia dell’ospedale lo aveva visto visitare, operare, risolvere situazioni critiche e disperate, con una risolutezza e una decisione, una forza d’animo che mai lo abbandonavano. Non lo aveva mai visto gettare la spugna con nessun paziente, in nessun caso.
Aveva conosciuto e ammirato la sua tenerezza, la sua forza e il suo dolore quando qualcosa non andava come doveva.
Aveva visto la sua disperazione e la sua colpa, che mai si vergognava di nascondere. Non aveva mai conosciuto un uomo così in contatto e in pace con le sue emozioni, e non aveva mai provato quello che stava sentendo in quel momento, per lui.
 
“Sai che è davvero curioso trovare una persona come te nello spazio?”
Jim sorrise, non riuscendo a distogliere lo sguardo dal suo
“Odio lo spazio!”
Il ragazzo biondo gli si avvicinò leggermente, era sull’angolo del tavolo, accanto all’amico
“E la domanda successiva quindi sarebbe, che ci fai in una base stellare allora?”
Mormorò con la sua bella bocca rosea e carnosa mentre quegli occhi d’oro, allegri e sicuri, non smettevano di esaminare ogni minimo segno sul viso del dottore.
Leonard non si ritrasse né si scostò, sentiva il proprio cuore battere più forte, era chiaro che fosse un po’ imbarazzato, ma anche se il suo volto fosse diventato bordeaux non trovò la forza né la volontà di allontanarsi da quel bel viso ambrato, delicato e perfettamente liscio.
Si girò verso di lui e alzò il suo bicchiere
“La vita non va mai come uno se l’aspetta ragazzo mio, ti sballotta qua e là, l’unica cosa che puoi fare è subirla”
Oh non direi affatto, amico mio. Io so esattamente dove sono e dove sarò tra dieci anni!”
“E dove sarai?”
Jim gonfiò il petto
“Sulla mia nave! L’USS Enterprise!”
E i suoi occhi emanarono una tale sicurezza e decisione che sembrava stesse parlando semplicemente di un dato di fatto. E questa sua incredibile fiducia, questa certezza, che quel ragazzino ostentava sulla sua vita, sulla sua carriera, assolutamente certo di quello che stava facendo, senza alcun dubbio, alcun ripensamento, lo attraeva da impazzire, perché era qualcosa che lui non aveva, che non aveva mai avuto.
 
Jim sapeva quello che voleva, sapeva come ottenerlo, stava lavorando sodo per realizzare quel sogno, senza distrazioni, senza inciampi.
Leonard non era mai stato così, anche lui aveva sempre saputo cosa voleva diventare, ma oltre alla laurea in medicina, tutto il resto era andato storto.
Non aveva avuto intenzione di sposarsi, ce l’aveva portato la vita, non aveva avuto certo intenzione di divorziare, non aveva avuto intenzione di perdere suo padre a quel modo, non aveva mai avuto l’intenzione di abbandonare i verdi campi della sua amata Georgia, ma tutto era andato irrimediabilmente storto.
La vita lo aveva preso, ne aveva fatto quello che voleva, e lui non era stato in grado di opporsi a lei, non era stato in grado di prenderla e domarla.
Ed ora l’aveva abbandonato in quell’avamposto sperduto nell’universo, da solo, con mille rimpianti, dopo avergli rubato tutti i suoi sogni.
“L’Enterprise? Punti in alto, ragazzo”
Jim alzò le spalle
“Bisogna sempre puntare in alto Bones, se devo avere un sogno che sia perfetto!”
Disse con un’estrema semplicità e genuina intraprendenza che lasciò il dottore senza nulla da poter dire. Se quel ragazzo stava lavorando per diventare capitano dell’Enterprise, non era difficile credere che prima o poi ci sarebbe riuscito.
Ed era questa sua straordinaria capacità di trasmettere entusiasmo e coraggio, allegria, che il dottor McCoy ammirava più di ogni altra cosa e che necessitava.
Stare vicino a quel ragazzo era una medicina naturale, alla quale Leonard non riusciva a credere di dover rinunciare per rivederlo partire nello spazio, in mezzo ai pericoli, ai guai…
Probabilmente non lo avrebbe più rivisto, forse gli sarebbe accaduto qualcosa e lui non sarebbe stato lì a proteggerlo, né ad aiutarlo.
Una morsa gli strinse lo stomaco ma non lo diede a vedere, alzò il calice
“All’Enterprise allora, e… al futuro capitano Kirk”
Propose il brindisi, Jim lo fece incontrare con il suo bicchiere e con l’altra mano raggiunse quella dell’amico, abbandonata scompostamente sul tavolo, Bones trasalì ma non poté fare altro che stringergliela
“E al dottor McCoy che riprenderà in mano la sua vita!”
“Ne sei certo?”
Scherzò Leonard alzando un sopracciglio
“Se non la prendi tu, me ne approprio io…”
Gli soffiò sulle labbra con quel respiro dolce e bollente, McCoy rimase spiazzato e immobile sul posto, con la mente completamente in bianco, pregando solo che non gli si avvicinasse ancora, ma al tempo stesso sperando morbosamente che Jim posasse quella perfetta bocca sulla sua, talmente desideroso di assaggiarla, da ormai troppo tempo.
Ma Jim si allontanò d’improvviso, fece scontrare i bicchieri e vuotò il suo tutto d’un fiato.
 
 
Nemmeno un’oretta dopo si ritrovarono a camminare tranquillamente sul ponte d’osservazione, era una zona molto silenziosa e serafica della base stellare, frequentata per lo più da coppie, ma anche persone in cerca di un po’ di pace per pensare, o semplicemente godersi lo spettacolo dello spazio.
“Guarda…”
Il ragazzo biondo tirò a sé il dottore per la mano e si avvicinarono alla grande finestra che illuminava la stanza con il magnifico spettacolo dell’universo
“Non puoi dirmi di odiarlo… è meraviglioso…”
Gli disse con un bel sorriso, mentre le stelle illuminavano i suoi occhi rendendo lucido il suo sguardo.
Jim amava lo spazio, era per lui qualcosa di vitale, quando ne parlava, quando l’universo si rifletteva sul suo viso, quel ragazzo brillava. L’universo faceva parte di lui e lui di esso, una predestinazione evidente che non era difficile da comprendere.
“Davvero meraviglioso…”
Mormorò Leonard non staccando gli occhi dal viso di Jim, era sempre bello e incantevole da osservare, molto spesso non era riuscito ad evitare di guardarlo quando lo aveva trovato addormentato nella stanza dell’ospedale in quei due mesi ormai agli sgoccioli. Ma ora, mentre osservava il suo amato e indispensabile cielo, brillava di una luce particolare, il che lo rendeva, semplicemente, splendido.
 
“Tu dove ti vedi tra dieci anni, Bones?”
Chiese Jim, serio, girandosi verso di lui e prendendogli entrambe le mani tra le sue, il dottore scosse la testa
“Io non riesco a vedermi nemmeno tra dieci giorni, Jim…”
Lo guardò, sorridendo con quel riso triste e rassegnato, sconfitto, che Jim tanto detestava vedergli in volto.
“Bones…”
Il ragazzo si alzò lentamente sulle punte dei piedi e, con delicatezza, poggiò le sue labbra su quelle del dottore, un semplice tocco, una carezza accennata.
Non trovò ritrosia, né resistenza da parte dell’amico, ne sentì il respiro accelerato, gli portò le mani al viso, era bollente. Carezzò di nuovo quelle labbra con le proprie, quelle labbra che lo stavano disperatamente chiamando e che lo pretendevano a sé
“Jim…”
E si sentì stringere forte dalle braccia del dottore, lo schiacciava contro il suo corpo mentre quella tanto agognata bocca finalmente catturava la sua.
Lo strinse per le spalle, inconsciamente spaventato che l’uomo potesse andarsene da un momento all’altro.
Si agitavano diversi pensieri nelle loro menti, per quanto coerenti potessero essere in quel momento, la strana sensazione iniziale provata da entrambi, nell’accorgersi di non aver mai baciato un uomo prima di quel momento, lasciò ben presto il posto a una felicità mai raggiunta, alla consapevolezza che quello fosse il più bel bacio della loro vita.
 
 
“Jim…”
Mormorò infine Bones, staccandosi a malincuore da quella bocca deliziosa, desiderata come mai aveva desiderato qualcosa in vita sua
“…scusami Jim…”
Gli prese le mani e si allontanò da quel corpo caldo e sensuale
“Scusa di cosa?”
Il ragazzo biondo sorrise, portandogli le mani al viso, il dottore gliele prese di nuovo, le baciò, con dolcezza, recriminazione
“Devo… devo andare, è meglio così”
Cercò di allontanarsi ma il ragazzo gli si avvicinò ancora, aggrottò le sopracciglia, senza capire il perché di quel comportamento
“Bones…”
McCoy deglutì, non era sua intenzione far soffrire Jim in alcun modo, ma quel bacio lo aveva più destabilizzato di quanto avesse mai creduto possibile.
Ciononostante sorrise dolcemente
“Va tutto bene Jim, non hai fatto nulla di sbagliato, è tutto ok…”
Ci tenne a rassicurare quegli occhi confusi, che non avevano alcuna colpa, che non avevano commesso alcun errore, se non quello di posarsi sulla persona sbagliata.
“Ci vediamo domani mattina”
essere lui. Baciò ancora quelle morbide e profumate mani prima di allontanarsi da lui, nella sua confusione, nella sua angoscia, in quel timore che altro non era che una semplice e stupida paura di mettersi di nuovo in gioco sul terreno dei sentimenti.



**********




-non ho la più pallida idea di quando arriverà il terzo capitolo perché non so proprio dove voglio andare a parare °_° Perdonatemi, devo un attimo fare pace col cervello °_°

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Capitolo 3
*** 3 ***


Vi giuro, di nuovo, che NON slasho Gary e Jim, nonostante ciò che sta per succedere, ve lo giuro ahahahahahahah X°DD  
Per il resto, boh, non chiedetemi, non ne ho idea, non lo so che ho scritto, boh! *espatria*

Credo saranno altri due capitoli e un epilogo, o un capitolo e un epilogo o forse è meglio che mi fermo qui prima di sparare altre min****te dato che sta sola sembra solo che peggiorare XD

3
 
Jim non riusciva a capire cosa fosse accaduto, perché Bones avesse reagito in quel modo, in quella sua logicamente immatura esperienza in quel campo che gli rendeva impossibile comprendere il tumulto che si agitava nel dottore, e continuava a chiedersi dove avesse sbagliato.
Eppure non aveva confuso nessun segnale e di sicuro quel meraviglioso bacio non se lo era dato da solo. Allora cosa era accaduto? Perché si ritrovava a tornare in ospedale, da solo e agitato invece di stare ancora con lui?
La mente impegnata in questi pensieri non gli fece rendere conto della mano di Gary sull’avambraccio che con forza lo fece sbattere contro il muro di uno dei tanti piccoli corridoietti della base stellare.
“Ahia! Sei impazzito?! Sono ancora convalescente!”
Ma Gary non rispose e si impossessò prepotentemente della bella bocca del suo amico, senza un reale motivo, guidato da puro istinto.
Gary non aveva mai avuto simili desideri per il compagno di sempre, non gli era mai venuto alla mente che potesse esserci anche solo una semplice attrazione fisica per lui. Eppure, dopo quello che aveva visto sul ponte d’osservazione, dopo aver visto Jim stretto tra le braccia di un altro uomo, in quel modo, come se gli appartenesse, non aveva avuto in mente altro che riappropriarsi di ciò che era suo, e che suo doveva rimanere. Come a voler pareggiare il conto e prendersi anche lui quello che Jim aveva concesso a un altro.
“Mmm… nghn…”
Jim mugugnò nella sua bocca, tentando di liberarsi dalla presa, ma la morsa di Gary gli teneva le braccia ancorate saldamente dietro la schiena e si sentiva soffocare da quell’abbraccio prepotente e costretto che lo schiacciava contro il freddo muro metallico.
Una mano di Gary si spostò sulla sua delicata mascella, tenendogli fermo il viso contro il suo, obbligandolo a ricambiare quel contatto sbagliato. Jim riuscì a spostare le labbra quanto occorreva per mordergli forte il labbro inferiore, e il dolore improvviso fece allentare la presa a Gary, Kirk ne approfittò per spingerlo via da sé
“Sei impazzito?! Che accidenti ti dice il cervello?!”
Sbraitò, pulendosi il labbro dal sangue di Gary, mentre l’amico faceva altrettanto, mantenendo lo sguardo basso. Entrambi avevano il respiro veloce e il viso arrossato, Jim sentiva il proprio cuore battergli forte in gola, si avvicinò lentamente al compagno, mantenendo la guardia alta, nonostante, di Gary, non aveva il benché minimo timore
“Ti ho fatto male?”
Chiese preoccupato, alzando una mano verso il suo viso, Mitchell si tirò indietro inconsciamente, quasi sentendosi indegno di quella carezza. Scosse la bruna testa
“Hai fatto bene…”
“Che ti è preso?”
“Io… non lo so… lui non… non lo so…”
Si ritrovò a mormorare, apparendo molto più miserabile di quanto avesse voluto, non riuscendo neppure a dar corpo ai suoi pensieri, ma Jim, che lo conosceva meglio di quanto conoscesse se stesso, comprese. Comprese e sorrise
“Sei uno scemo…”
Sussurrò con dolcezza e, nonostante la reticenza di Gary, riuscì a stringerlo in un abbraccio
“…nessuno può portarmi via da te…”
Gli sussurrò all’orecchio. Il ragazzo bruno socchiuse gli occhi, Jim aveva, semplicemente, capito, forse meglio di lui, forse anche prima, ciò che stava provando, grazie alla sua speciale empatia.
Lo strinse forte a sé, non percepiva alcuna rabbia, rancore o qualsivoglia paura provenire da Jamie, era sereno, affettuoso, come sempre, come sempre era, anche con coloro che non lo meritavano affatto.
 
**
 
-Diario personale del dottor McCoy. Data stellare 48… 8… 4898 punto… quattro…-
 
Bones sbuffò sonoramente non riuscendo a fare mente locale neppure per ricordarsi che giorno fosse, diede velocemente la colpa al lavoro, la stanchezza, ben sapendo che la sua mente era settata su tutt’altro.
 
-…il paziente numero… non me lo ricordo, Kirk, James T., si è ripreso molto bene e molto più in fretta di quanto credevo, non posso prendermi tutto il merito della sua guarigione, ha un fisico forte e una mente sveglia. Sono felice che stia ormai bene, è così giovane e di così belle speranze che…-
 
Sospirò ancora e spense quell’aggeggio infernale, aveva sperato che ‘mettere nero su bianco’ per così dire, i suoi pensieri e le sue emozioni, avrebbe potuto servire a qualcosa, se non altro a confrontarsi con se stesso, una volta oggettivati i suoi stessi turbamenti, ma non era possibile, non ancora. Non aveva ancora del resto capito, né tantomeno accettato quel che era naturalmente nato, così velocemente e quasi in sordina che non se n’era neppure reso conto.
Era qualcosa che non gli serviva, che non voleva, non più, perché sempre era stato solo causa di problemi. E si ritrovò a stringere forte nella mano la penna del padd e a chiedersi perché diavolo se quel qualcosa doveva tornare a tormentarlo avesse scelto proprio le vesti di quel giovane.
Quel giovane soldato che sarebbe presto ripartito e fin troppo presto lo avrebbe dimenticato, sarebbe scomparso da un momento all’altro, mentre lui sarebbe rimasto in quel maledetto e angusto angolo del Creato, ancora una volta da solo, ancora una volta sconfitto.
Si chiese per quanto ancora la vita aveva intenzione di prendersi gioco di lui e si chiese che cosa potesse fare per evitarlo.
 
**
 
Il dottor McCoy entrò mestamente nella camera della corsia dove si trovava il tenente Kirk, era passata una settimana dall’ultima volta che lo aveva visto, si teneva in costante informazione circa la sua salute e la sua ripresa, ma la totale confusione che aleggiava nella sua mente e soprattutto nel suo cuore gli intimava di tenersi lontano da quel ragazzo, nonostante non desiderasse altro che vederlo e accarezzarlo ogni istante della giornata, e quel maledetto bacio, e ciò che poteva seguirlo, erano ormai il suo costante pensiero.
Fu lieto di trovarlo addormentato, si avvicinò senza fare rumore, il ragazzo aveva un’espressione serena, accese il monitor dietro di lui e ne osservò i dati per qualche minuto, concentrandosi solo sul suo lavoro di medico al momento.
Il tenente si era ripreso più che bene, se solo osava pensare alle condizioni nelle quali era giunto da lui, come lo aveva visto la prima volta, gli tremavano le gambe, aveva rischiato di morirgli tra le braccia, e la cosa peggiore era che se così fosse stato non avrebbe conosciuto quella meravigliosa creatura che lo aveva completamente rapito riplasmandogli l’esistenza.
“Finalmente…”
Sentì Jim sussurrare con una voce assonnata, ma ne colse lo stesso il tono ferito e infuriato, al quale non poteva dar torto di sussistere
“Pensavo dormissi…”
“Io pensavo mi stessi evitando…”
“Sciocchezze…”
Si allontanò sedendosi alla piccola scrivania vicino al letto, fingendosi occupato e distratto nel trascrivere dati e dati sulla cartella di Jim. Il ragazzo sorrise e scosse la testa
“Dici? E’ da una settimana che ti cerco, che chiedo di te, niente… per favore non prendermi in giro almeno”
Si rigirò sotto le lenzuola dandogli le spalle, Bones deglutì pesantemente, non era quello che voleva, non voleva ferirlo, quel ragazzo non lo meritava
“Non è così Jim, sai che non è così…”
Il tenente esplose in un’amara risata e si alzò seduto sul materasso
“Già, certo! Allora dimmi che cavolo è successo! Che cavolo Bones, non mi pare di averti obbligato a baciarmi! Ed è da allora che non ti vedo più! Merito una maledettissima spiegazione, non ti pare?!”
Stringeva forte il lenzuolo bianco nella mano, e la cosa che più feriva il dottore era che quel ragazzo avesse perfettamente ragione, la sua frustrazione era del tutto giustificata. McCoy alzò le spalle
“Che vuoi che ti dica Jim? Che vuoi sentirti dire?”
“Mi stavi evitando?”
“Jim…”
“Dimmelo Bones, ammettilo!”
“Per l’amor del cielo…”
“Bones!”
“Sì! Ti stavo evitando!”
Sbraitò, fissandolo per interminabili secondi di assoluto silenzio, per poi distogliere ancora lo sguardo mentre il viso gli bruciava di dolorosa rassegnazione.
 
“Di che hai paura Bones?”
Mormorò il ragazzo scendendo dal letto e avvicinandosi a lui lentamente, McCoy sorrise e scosse la testa, dunque infine Jim era arrivato al nocciolo della questione
“E di cosa dovrei aver paura, illustre psicologo?”
Lo disse con una leggerissima punta di amaro sarcasmo non intenzionale. Jim alzò le spalle
“Hai amato, hai sofferto, e ora hai paura… è tutto qua, non riesci a vederlo?”
“Non parlare di queste cose Jim, tu non le conosci, non ne hai la più pallida idea, non conosci il significato della parola a…”
“Amore?”
Bones lo guardò, riacquistando baldanza e coraggio, tipica di quando si conosce perfettamente la materia della quale si discorre e si è sicuri al cento per cento delle proprie posizioni
“Sì Jim, non parlare di cose che non conosci, non a me”
Kirk sorrise sprezzante, con la medesima baldanza nello sguardo
“Credi di avere l’esclusiva sulla sofferenza e sulla conoscenza, Bones? Non è così! Non sei l’unico ad aver sofferto né l’unico a conoscere di cosa sta parlando maledizione!”
“Tornatene a letto Jim, è meglio che io me ne vada”
Fece per allontanarsi ma il ragazzo gli afferrò con forza un braccio, Jim non si rese neppure conto del suo movimento, del tutto istintivo
“Scappi di nuovo?”
“Non sto scappando…”
“Stai scappando invece… Io sarò anche uno stupido ragazzino immaturo ma accidenti a te so quello che provo! Non voglio che ti allontani da me! Non scappare da me, maledizione!”
 
La voce non era ferma e non occorreva guardarlo in viso per captare il suo sguardo lucido, di dolore e rabbia, da lui causate, e questo McCoy non lo sopportava. Jim era un ragazzo giovane, ingenuo, dedito ai piaceri, rincorreva i suoi sentimenti senza porsi particolari domande o dubbi, sul futuro, sulla natura delle sue emozioni, semplicemente le viveva. Con quell’entusiasmo tipico della sua giovane età e della sua totale inesperienza.
Non poteva andare a confondersi la vita con quel ragazzo, non poteva permettersi altri giochi di questo genere, non dopo quello che aveva passato. Di qualunque natura fosse quello strano legame che captava con quel giovane, era forte, gli faceva male, dunque doveva allontanarsi.
Ma allo stesso tempo, non sopportava che quel ragazzo ne soffrisse, non era il caso, non ne valeva la pena, non per lui. E non capiva come Jim potesse continuare a volerlo.
Non comprendeva perché quel giovane perdesse il suo tempo e le sue energie con un insulso medico di campagna. Perché non c’era altro da vedere in lui.
Ma Jim vi aveva visto invece la colonna, la forza, la sicurezza e la maturità che non trovava in se stesso, perché probabilmente in lui non vi era posto per quelle caratteristiche. Aveva visto questo e molto di più.
Aveva visto qualcosa che sapeva di lui, qualcosa di unico e insostituibile che avrebbe protetto, custodito e tenuto stretto per tutta la vita.
Bones non poté impedirsi di stringere a sé quel ragazzo, che non aveva ancora capito quanto fragile in realtà fosse dietro tutta quella strafottenza ostentata. Un abbraccio riparatore, offrendogli a quel modo, le sue tacite scuse e la sua colpa.
Jim affondò il viso sulla sua spalla, nel suo bianco camice e si avvinghiò forte con le dita alla sua schiena
“Non sei uno stupido ragazzino immaturo Jim… non ho mai pensato questo…”
Gli prese il bel volto tra le mani per osservare quegli occhi inquieti che non smettevano di brillare
“…sei semplicemente un ragazzo, con la sua vita e i suoi sogni da portare avanti, le sue avventure che lo attendono… Tra due settimane ripartirai, e io resterò qui… qualunque cosa sia, tra te e me, capisci che non ha futuro? Dimmi che lo capisci”
Jim respirò profondamente, si strinse a lui di più e gli prese le mani tra le sue
“Tu non riesci a vedere il tuo futuro, Bones… ma non vuol dire che questo non ci sia…”
Il dottore sorrise dolcemente e gli baciò la fronte e facendo appello a tutta la forza di volontà che possedeva, si allontanò da lui, pregando che non parlasse né lo fermasse, perché sapeva quanto gli sarebbe stato impossibile andarsene, e chiuse la porta dietro di sé.
 
**
 
-Diario del tenente Mitchell, data stellare 4849 punto sette.
I due mesi di obbligata licenza che siamo stati costretti a prendere sono quasi conclusi. Le riparazioni alla Ferragut sono ormai ultimate, nonostante la mancanza di alcuni pezzi di ricambio, data la posizione di questa base stellare, saremo benissimo in grado di giungere sul sistema di Centauri, dove riceveremo riparazioni più adeguate.
Questa è stata la decisione del capitano Garrovich, oramai del tutto inasprito da tale situazione. Il capitano ha più volte espresso a Starfleet la sua volontà di ripartire al più presto e riprendere la sua missione e ora che tutti i membri dell’equipaggio feriti si sono rimessi in salute, l’ammiragliato ha acconsentito.
Dal canto mio sono ben felice di ripartire e seguitare la missione che abbiamo dovuto bruscamente interrompere causa il nostro incidente e spero che tutto vada per il meglio…-
 
Non trovò decisamente opportuno aggiungere le sue personali angosce, nemmeno nel suo diario personale, perché più le ripeteva, più ci pensava, più apparivano così incredibilmente stupide da non voler neppure essere considerate.
Eppure, non era servito chissà quanto tempo per rendersi conto di quanto Jim stesse soffrendo in quel periodo, nonostante la sua solita ostentata spavalderia.
Gary conosceva Jim da troppi anni, avevano passato insieme quella che, in età così giovane, sembra quasi una vita intera, soprattutto alla luce di tutte le avventure e tutte le brutte e belle situazioni che avevano insieme affrontato e superato.
Lo conosceva bene, lo conosceva fin dentro l’animo perché condivideva con lui buona parte del suo carattere. Erano indissolubilmente simili e per questo si erano ritrovati ad essere così vicini, e per questo, eppure, non si capivano fino in fondo.
Balenò nella sua mente il pensiero che Jamie ricercasse qualcosa che non trovava in se stesso, e che quindi non trovava nemmeno in lui.
Quel qualcosa che Jim necessitava era tutto ciò che aveva trovato nel dottor McCoy.
 
**
 
I giorni continuavano a passare ognuno uguale al precedente, identici, nel silenzio e nella lontananza, in quell’indifferenza apparente e costretta, imposta, che non faceva altro che accrescere i sentimenti potenti e contrastanti che il dottore e il tenente sentivano.
Il tenente Kirk quella sera era riuscito a strappare a un’infermiera il permesso per uscire un paio d’ore da quelle bianche camere che tanto lo opprimevano, con la promessa di stare attento, di tornare presto. Promesse alle quali Jim aveva distrattamente annuito, non sentendo neanche una delle parole uscite dalle labbra rosse della ragazza, desideroso solo di uscire da quel posto, di fare due passi, da solo, con i suoi pensieri, cercando una minima distrazione, cercando solo di respirare e stare un po’ in pace con se stesso, dopo settimane che non ci riusciva.
Aveva seguito stretti cunicoli e corridoi, distrattamente, aveva deciso di scendere agli ultimi livelli della stazione, un po’ per la curiosità di vedere cosa ci fosse in quello strano e curioso mondo artificiale, un po’ perché sperava di trovare un po’ di solitudine.
Non aveva considerato che scendere ai livelli infimi di una colonia orbitante equivaleva a scendere nei quartieri malfamati di una qualsiasi città, di un qualsiasi pianeta, di un qualsiasi sistema solare.
Quartieri che seguono di pari passo il genere umano, che necessitano di nascondersi da sguardi indiscreti, perché la gente che vi si aggira non desidera essere vista. Zone che si tengono al nascosto e al riparo, al segreto, quelle zone delle quali si nega l’esistenza, che si tenta di estirpare e che eppure vengono costantemente tenute in vita dal bisogno intrinseco della loro funzione.
Serve ovunque una pattumiera…
Fu il primo pensiero che attraversò la mente del ragazzo non appena si ritrovò in quel freddo spiazzo metallico gremito di strani e differenti umanoidi, ognuno intento nelle proprie consuete e consumanti attività.
Il ragazzo biondo si strinse nelle spalle e proseguì fino a un piccolo interno dal quale proveniva una calda luce e un vociare indistinto, che altro non era che un semplice bar.
Le luci scure e l’atmosfera ovattata del locale erano opprimenti e soffocavano quasi l’aria, ma in quel momento quel buio era ciò che necessitava. Decise che era meglio evitare di guardarsi troppo intorno, lo spettacolo molto probabilmente non sarebbe stato edificante, e l’ultima cosa che voleva in quel momento era creare guai, quei guai che sembravano seguirlo di pari passo ovunque e che sempre l’avrebbero seguito.
Si avvicinò al bancone, dietro il quale un uomo, con strani lineamenti e caratteristiche aliene ereditate da chissà quale incrocio genetico, gli diede immediatamente un’occhiata curiosa, squadrandolo dalla testa ai piedi
“E tu che ci fai qua ragazzino? Sei scappato di casa?”
Jim sbuffò e si sedette su uno degli alti sgabelli, l’occhio gli cadde sul tizio accanto a lui che sembrava svenuto con la testa tra le mani
“Sì sono scappato di casa, ora posso bere qualcosa?”
Rispose con sufficienza, il barista sospirò e si girò per prendere una bottiglia
“Non che mi importi, ma credimi, non è un luogo adatto a uno come te...”
Il tenente non rispose in alcun modo, l’uomo non seppe neppure dire se avesse udito le sue parole.
 
Con il bicchiere tra le mani, e sorseggiando quella bevanda che non seppe identificare, non che gli importasse realmente di farlo, Jim si chiese dove diavolo fosse e che diavolo gli fosse accaduto per ridurlo in quelle condizioni. Perché il silenzio e la lontananza di Bones lo facessero soffrire così tanto, che senso aveva?
Forse Gary aveva ragione, l’unica spiegazione era che, infine, anche lui fosse capitolato all’amore, aveva una sua logica, se così si poteva chiamare. Gli era accaduto altre volte, ne era stato convinto, ma mai era stato così forte e improvviso, così lancinante, così maledettamente potente.
Perché lui? Perché adesso?
Per lui che l’amore non era mai stato nulla di essenziale, mai nulla di più di un incontro, mai nulla… Non lo voleva, non ne aveva bisogno, l’aveva sempre respinto laddove aveva rischiato di diventare qualcosa di pericoloso, era sempre scappato…
E non perché ne avesse paura, ma perché semplicemente quello non era il suo destino, non era la strada che aveva scelto, non voleva legami nella sua vita, non ne aveva il tempo, non ne aveva lo spazio.
Aveva altre priorità, il futuro che si era scelto, semplicemente, non lo prevedeva.
Forse anche Bones aveva ragione, è la vita a decidere per te e a sballottarti a destra e a manca… e la sua vita l’aveva adesso portato lì, a quell’uomo… distraendolo dal suo cammino predisposto, e ora lo stava consumando lentamente…
Alla volontà di mettere fine a tutto e riafferrare la vita per le corna si opponeva la terribile volontà di stringersi a lui, di sentirsi ancora protetto in quell’abbraccio, di sentire di nuovo quella completezza, quella perfezione, che aveva sentito unendo le proprie labbra alle sue…
 
“Ehi, bambino…”
Una voce roca e vagamente metallica, a pochi centimetri dal suo orecchio, lo fece destare. Jim girò il volto e trovò lo sgraziato viso di un uomo alto e ben piazzato, con lo sguardo vacuo e le guance arrossate, che lo fissava con un mezzo sgradevole sorriso
“Bel visetto…”
Continuò a blaterare quella voce maleodorante di alcol da quella pochissima distanza. Jim alzò gli occhi al soffitto, l’ultima cosa che voleva era scatenare una rissa… anche se forse, almeno lo avrebbe distratto dai suoi pensieri. Improvvisamente il pensiero di prendere a pugni qualcuno divenne stranamente attraente.
“Ti consiglio di lasciarmi stare, non è proprio giornata”
Ammonì l’uomo, che per tutta risposta sorrise ancora di più
“Ha anche un bel caratterino…”
Jim lo vide guardare davanti a sé, istintivamente girò il volto in quella direzione, e si accorse solo adesso di essere preso tra due fuochi. L’altro tizio aveva il medesimo insolente sorriso, sembrava più giovane e fisicamente debole, ma la stretta che subito mostrò, afferrando la sua delicata mascella, gli fece cambiare rapidamente opinione al riguardo
“Dovremo insegnargli modi migliori di usare questa bella bocca…”
Gracchiò passandogli un dito sulle labbra, Jim fece per sferrargli un colpo ma una terza voce alle sue spalle bloccò i due uomini
“Toglili quelle mani di dosso, Bob…”
La riconobbe subito, nonostante fosse leggermente contorta da quella che era facile individuare come una sbronza
“Buonasera, Doc”
Mormorò la voce dell’uomo identificato come ‘Bob’
“Mi hai sentito?”
Bones ripeté, si avvicinò e strattonò il braccio di Jim, tirando il ragazzo a sé
“Prova anche solo a guardarlo di nuovo e la prossima volta che finirai in ospedale avrò l’immenso piacere di pensare a te personalmente!”
Buttò fuori tutto d’un fiato, non smettendo di fissarlo con due occhi brillanti e furenti che lasciavano trasparire quella identificabile solo come l’immensa collera che si può provare davanti al più grande degli oltraggi.
I due uomini alzarono le spalle con noncuranza, abbozzando un sorriso innocente
“Si calmi Doc, non sapevamo fosse roba sua!”
“Beh ora lo sapete, levatevi di torno, subito!
I due ridacchiarono tra loro e si allontanarono dal bancone senza lasciarsi ripetere due volte il ‘cortese’ invito.
 
“Che diavolo sei venuto a fare qui?!”
Bones ringhiò all’orecchio di Jim strattonandolo ancora per il braccio
“Mi stai facendo male!”
“Cammina fuori!”
Lo spinse verso l’uscita non smettendo di stringergli forte le carni.
“E lasciami, maledizione!”
Esclamò Jim furioso liberandosi dalla presa dell’amico, una volta che furono entrambi fuori dal locale
“Che razza di postaccio è questo?! Non dovrebbe neppure esistere su una base stellare!”
Urlò indicando la bettola dalla quale erano appena usciti
“Sono ovunque questi posti, Jim…”
Borbottò il medico accasciandosi con la schiena sul muro di quella zona in ombra dello spiazzo silenzioso, ora che era rimasto semivuoto
“E tu li frequenti?!”
Esclamò ancora
“Andiamo, ti riporto nella tua camera”
Fece per afferrarlo di nuovo ma la sua postura sbilenca lo fece scontrare contro il muro, Jim sorrise amaramente
“Ma se sei completamente ubriaco…”
Mormorò tristemente, provava un certo fastidio nel vedere il dottore ridotto a quel modo, provava un certo malessere nel sapere che luoghi frequentasse. Ne provava un indubbio dolore, ma il fastidio era ad esso superiore, che fosse gelosia per ciò che il dottore poteva lì incontrare o frustrazione data dal non conoscere nulla di quella vita che tanto gli era cara, ancora non riuscì a capirlo.
Si avvicinò al medico allargando le braccia e indicandolo
“Ma guardati… perché ti riduci così? Non ha alcun senso, Bones…”
“Oh tu invece sai cosa ha senso, vero?”
“Bones…”
“Che diavolo vuoi da me, Jim?!”
Esclamò il dottore afferrandolo di nuovo per le spalle e incatenando gli occhi celesti e confusi nei suoi, vagamente intimoriti
“Io non ti ho mai chiesto nulla! Non ti ho mai chiesto di entrare nella mia vita e sconvolgermela così! Non ti ho mai chiesto di farmi provare questi sentimenti… di nuovo! Io stavo bene qui, con me stesso e me soltanto… Avevo chiuso quella pagina! Non ti ho chiesto di apparire e rimettere tutto in discussione!”
Gli gridava continuando a stringerlo, con il viso a pochi millimetri di distanza dal suo
“Maledizione Jim…”
Mormorò poggiando la fronte sulla sua e scuotendo freneticamente la testa
“…perché non riesco a toglierti dalla mente? Perché continuo a sognarmi le tue labbra, i tuoi occhi, il tuo profumo, questo dannato bellissimo sorriso con il quale mi guardi… Non ti ho mai chiesto nulla di tutto questo… Che diavolo vuoi da me?”
“Io… solo te…”
Dichiarò Jim con quella dolce espressione, carezzandogli il volto, con quell’ingenuità meravigliosa che McCoy non riusciva più a tollerare; la sua luce non faceva altro che rimarcare le tenebre nelle quali si era imposto di vivere.
 
Sorrise, un sorriso arcigno, crudele, che Jim non gli aveva mai visto
“Certo… Il cacciatore ha scelto la sua ennesima preda, vero?”
Jim aggrottò le sopracciglia
“Cosa? No, Bon…”
“Sono solo l’ultima conquista da mettere nell’elenco, un altro degli innumerevoli sfizi che vuoi soddisfare…”
“Ti giuro che non è que…”
“E una volta che ti sarai tolto la curiosità, ti metterai l’anima in pace, dico bene?”
“Perché ti rifiuti di ascoltarmi?”
Mormorò Jim, quasi fosse un pensiero tra sé, con la consapevolezza che Bones non avrebbe mai prestato attenzione alle sue parole, non si sarebbe mai fidato di lui.
“Allora togliamoci questo sfizio Jim, così mi lascerai in pace finalmente…”
Jim cercò di trattenere il respiro, ma l’odore dell’alcol nel soffio di Bones gli si era già insinuato fin dentro i polmoni, non fu difficile rendersi conto dell’eccitazione dell’amico, che sfregava in quel modo maledettamente osceno su di lui, addossati su quel muro, in quel pubblico spiazzo.
 
Kirk si rifiutò di focalizzare l’attenzione su quel dannato particolare riportando lo sguardo sul volto del dottore, era arrossato, e bollente, vagamente sudato.
Ma mentre i loro inguini continuavano a strofinarsi, pressati l’uno contro l’altro, l’unica cosa alla quale Jim riusciva a pensare era quel desiderio intossicante che si stava impadronendo di lui istante dopo istante, fino a fargli perdere completamente la ragione.
 
Jim non osava minimamente muoversi di un centimetro, sopraffatto dall’inquietudine e da una leggera angoscia, il dottore mosse le mani dalle sue spalle giungendo ad afferrargli la nuca e i capelli chiari, tirando il volto del ragazzo in avanti e verso l’alto. 
Sopraffatto dal profumo di Bones, dalla sensazione di quel viso sudato premuto contro il suo, la bocca di Jim si schiuse, lasciando il posto all'assalto, quasi famelico, di McCoy, e la lingua del dottore si lanciò immediatamente ad esplorare ogni centimetro di quella bellissima bocca che aveva appena violato. 
 
Pensare era diventato impossibile e senza importanza, come del resto respirare e le mani del ragazzo raggiunsero il petto dell’uomo, avvinghiandosi forte alla sua maglia scura.
La mano di Bones si spostò con un movimento veloce e improvviso all’inguine del tenente, premendo quell’erezione già accennata con il palmo e carezzandola con forza attraverso il tessuto dei jeans.
Il respiro di Jim si ruppe in rantoli e tutto il suo corpo rabbrividì, stretto contro quello dell’amico. Kirk doveva porre fine a tutto quello, c’era qualcosa di terribilmente sbagliato, non doveva andare così, non con Bones in quelle condizioni, non addossati contro quel muro, non con quell’impeto. Ma la mano del dottore che gli abbassava la cerniera dei pantaloni e l’altra che vagava sul suo petto, fattasi strada sotto la maglia, lo lasciavano del tutto inebetito e incapace di fare qualsiasi cosa, bramoso solo che quel meraviglioso contatto non smettesse.
“E’ solo questo vero? E’ questo ciò che cerchi da me, che cerchi da tutti…”
Mormorava il medico scandendo bene le parole, mentre la sua mano si era insinuata oltre i tessuti della biancheria, spingendo ulteriormente contro il ventre del ragazzo.
A Jim sfuggì un singhiozzo che non lo sorprese ma che non avrebbe mai voluto lasciar andare, ma il controllo non era una possibilità al momento. La mano di Bones era ora gentile, e carezzava su e giù la sua intera lunghezza, tenendola saldamente tra le dita, e Jim continuò a stringersi a lui e completamente in balia di quelle sensazioni, premette di più il bacino verso la sua mano, alla disperata ricerca di qualcosa di più.
 
Gli strinse le braccia al collo e si schiacciò ancora più verso di lui e verso quel tocco tanto sospirato che proseguiva nelle sue sfrontate carezze, e affondò il viso nella spalla dell’uomo, strinse forte la sua maglia tra le dita, mentre lottava per soffocare gemiti convulsi e delle stupide lacrime di frustrazione che pungevano agli angoli degli occhi. Spinse e spinse ancora con i fianchi, intrappolato in quella morsa, fino all’ultima spinta e all’ultimo soffocato uggiolio di liberazione.
 
Non si mosse di un millimetro, mentre il respiro tornava normale e la sua mente capace di mettere due parole in fila. Sentì le braccia di Bones muoversi, ma il corpo del dottore non si allontanava dal suo.
McCoy continuava a deglutire pesantemente, la mente ovattata e confusa dall’alcol, da Jim, da ciò che stava facendo e che era riuscito a fermare, per chissà quale miracolo.
Si pulì la mano con un fazzoletto che teneva in tasca e rivestì velocemente il ragazzo, lottò con tutto se stesso per non stringerlo forte tra le braccia, per non carezzarlo e ricoprire di baci quel bellissimo corpo che ancora tremava nel suo abbraccio.
Si allontanò, lo coprì con la sua giacca e lo trascinò via.
 
**
 
“E’ troppo tardi per riportarti in corsia…”
Mormorò quando furono entrati nel suo saloncino
“Fa come se fossi a casa tua… vado a dormire…”
Non attese alcuna risposta, non ebbe nemmeno il coraggio di alzare lo sguardo su di lui e si recò nella sua stanza.
Jim rimase qualche istante in assoluto silenzio, con la mente completamente vuota di ogni pensiero.
Il gesto di Bones lo aveva agitato, inutile negarlo, era stato azzardato e improvviso, e per quanto assolutamente piacevole, o per quanto avesse disperatamente sognato il suo tocco, quel modo lo aveva del tutto interdetto. Forse era lo stato d’animo nel quale si trovava Bones, o peggio, era il proprio stato d’animo… perché se non fosse stato altro che puro e superficiale desiderio, non si sarebbe trovato ora con quel magone nello stomaco e nel cuore.
Jim era ormai certo che fosse ben altro, o tutto quello non sarebbe stato minimamente importante…
Alzò il volto sulle scale del piccolo appartamento che davano alle due camere da letto, dove poco prima era salito il dottore. Forse inconsciamente, Jim si avviò a quei gradini.
Immaginava come potesse sentirsi McCoy, da quel che di lui aveva avuto l’onore di conoscere, probabile che il dottore si sentisse in qualche modo colpevole di ciò che aveva appena fatto, e nessuna parola sarebbe servita a convincerlo che non avesse fatto nulla di male o di non voluto.
 
Difatti lo trovò sul letto, steso supino con gli occhi spalancati e le braccia lungo i fianchi. Jim si sedette sul materasso, senza guardarlo, Bones si scostò facendogli un po’ di posto accanto a lui, il volto del ragazzo si illuminò, e finalmente gli tornò quel dolce sorriso felice che il dottore non riusciva a non ammirare.
“Non so cosa dire, Jim…”
Mormorò impercettibilmente McCoy, dopo qualche infinito secondo di assoluto silenzio, il ragazzo continuò a sorridere, e sdraiatogli accanto, gli strinse una mano
“Non dire niente, va tutto bene… dormiamo…”
Sussurrò girandosi su un lato, verso di lui. La tensione di McCoy si sciolse, senza riuscire a trovare una motivazione specifica, forse era la sua vicinanza, il suo sorriso, la sua voce serena, il suo animo quieto… o semplicemente il fatto che non lo temesse.
“Sì, sarà meglio…”
Con la testa pulsante a quel modo non ci mise molto a cadere profondamente addormentato.

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Capitolo 4
*** 4 ***



4
 
“Avanti”
Mormorò Gary con noncuranza sentendo il cicalino del suo alloggio, mentre continuava a piegare pigramente le maglie gialle della sua uniforme
“Ehi”
Il tenente Mitchell si bloccò un attimo sul posto, prima di poter fare mente locale, quando la porta grigia si richiuse dietro Jim
“Che ci fai qui?!”
L’amico dai capelli chiari alzò le spalle, sulla sua espressione stanca era presente un mezzo sorriso
“Mi hanno dimesso”
“E non mi hai detto niente?! Ti sarei venuto a prendere!”
Gary quasi si accigliò ma Jim per tutta risposta ridacchiò tra sé
“Grazie ma so salire sul teletrasporto da solo!”
Esclamò avvicinandosi al letto dell’amico, sul quale si lasciò stancamente cadere sulla schiena, stirando abbondantemente braccia e gambe. Gary sospirò molto rumorosamente, per farsi sentire, seccato di come non fosse stato avvertito al momento, e Jim sorrise ancora di più
“Ti ho disturbato?”
“No, stavo solo mettendo un po’ in ordine…”
Mormorò aprendo il cassetto delle uniformi per sistemarvi le maglie fresche di bucato e ben piegate
“Strano…”
Bofonchiò Jim, abituato al sempre totale caos nel quale viveva Gary, da che ricordava, era sempre stato così. Il suo piccolo alloggio, come prima di esso era stata la camera all’accademia, era colmo dei più svariati oggetti, utili o meno che fossero. Ninnoli, sopramobili, libri e quant’altro, posizionati più o meno alla rinfusa su tutte le superfici, costituivano il mondo disordinato del suo migliore amico.
In questo era quanto di più diverso da lui ci fosse, per Jim, abituato ai suoi alloggi spartani, con pochi oggetti ai suoi occhi preziosi, quel piccolo mondo appariva fin troppo saturo. Si chiedeva spesso come facesse Gary a non sentirsi soffocare da tutti quegli arnesi.
 
“Aspetti qualcuno?”
Chiese ancora, non era da Gary riassettare la sua stanza, a meno che non ci fosse un’ispezione del capitano, ma anche in quel caso non era da lui comunque.
“No, è appena andato via qualcuno…”
Rispose Gary con un languido sorriso soddisfatto che Jim contraccambiò
“Oh… spero tu abbia cambiato le lenzuola…”
Aggiunse sottovoce, non che gli interessasse particolarmente, si sentiva talmente stanco che non si sarebbe alzato da quel materasso per nessun motivo al mondo al momento.
“Hai portato a bordo tutta la tua roba?”
Jim annuì
“Non potevo certo lasciarla in ospedale… E’ stato bello rivedere la faccia del capitano, mi era mancato!”
“Oh beh tu a lui sì, e molto!”
“Immagino…”
In realtà la nave gli era molto mancata, e, in un certo qual modo, anche il capitano Garrovich, che dal canto suo era stato costantemente in pensiero per il suo miglior tenente, per quanto scavezzacollo fosse.
Anche se, Jim doveva ammetterlo, con tutto quello che gli era accaduto in quelle settimane passate alla base, la nave, il capitano, le missioni, nemmeno lo spazio erano stati nei suoi pensieri.
Per la prima volta in tutta la sua vita il suo lavoro non era restato al primo posto, qualcos’altro aveva occupato la sua mente e soprattutto il suo cuore.
E fu proprio il realizzare tutto questo che lo aiutò a dare finalmente un nome a ciò che provava per quell’uomo dagli occhi celesti che gli aveva salvato la vita.
 
Gary si sedette sul materasso e finalmente poté osservarlo. Jim aveva l’aria stanca, spossata in qualche modo. Delle leggere occhiaie gli segnavano gli occhi e il suo sguardo era decisamente altrove e Gary sapeva fin troppo bene dove.
Sapeva perché Jamie non dormiva serenamente, sapeva quali pensieri lo tenevano occupato. Altre volte aveva visto quell’espressione, ma mai era stata così torva, mai era durata tanto a lungo.
“Come stai?”
Domandò sorridendo, dolcemente. Il ragazzo biondo alzò le spalle
“Bene, altrimenti non mi avrebbero dimesso”
“Non intendevo fisicamente”
Jim girò il viso, cominciando a fissare il muro e aggrottò impercettibilmente le sopracciglia chiare
“Sto bene”
Mormorò, e fu appena percettibile la sua voce, Gary sorrise e scosse la testa
“Non è vero”
Gli diede una pacca sulla gamba facendogli cenno di spostarsi qualche centimetro per fargli spazio e si sdraiò accanto a lui. Jim girò il viso nella sua direzione
“Che ne sai?”
“So sempre quando non stai bene”
Era fin troppo palese il malessere di Jim, ogni malessere. Ogni più piccola cosa che non andava si palesava in quello sguardo chiaro dal colore indefinito, ogni più piccolo dispiacere era lì, per chiunque volesse vederlo. E Gary ne aveva visti molti, fin troppi.
 
Conosceva il modo che aveva Jim di chiudersi in sé, ingoiando ogni problema, evitandolo, ed anche in questo era identico a lui.
Conosceva alla perfezione il modo che aveva Jim di arrivare al massimo sopportabile e di liberare poi, di conseguenza, ogni emozione trattenuta in sfuriate quasi violente, per poi ricominciare da capo a immagazzinare ogni cosa, fino al nuovo riempimento e fino alla nuova rottura.
E anche in questo erano simili.
E in virtù del loro tacito accordo non verbale, sopportavano questa situazione, nessuno affrontava i propri problemi e nessuno aiutava l’altro ad affrontarli, perché non ne erano in grado; nessuno dei due aveva il carattere e la maturità necessaria per essere di un maggiore aiuto all’altro in quel campo.
E perciò l’unico aiuto che aveva sempre potuto dare a Jamie era quello di sopportare le sue sfuriate, portarlo fuori a bere una birra, presentargli l’amica di una propria ragazza. Nulla di più, nulla di realmente utile.
Lui che avrebbe fatto qualsiasi cosa per il suo migliore amico di sempre, lui che avrebbe volentieri sacrificato ogni cosa, anche la vita, come molte volte aveva messo a repentaglio e molte altre volte avrebbe fatto in futuro, non riusciva, concretamente, ad aiutarlo. E questa sua incapacità, a cui non aveva mai pensato, di cui non si era neppure mai reso conto, pesava adesso come il più forte dei rimorsi.
Non si era mai reso conto di quanto fosse inadeguato, non se n’era reso conto fino a quando l’animo di Jim non aveva trovato quello, a lui complementare, del dottor McCoy.
 
“Lo dimenticherai prima di quanto immagini…”
Mormorò, guardando il compagno sdraiato accanto a lui, che fissava ora il soffitto, con aria assente. E non era un augurio puramente egoistico, o almeno sperava davvero che così non fosse, che non fosse così meschino. Era semplicemente una costatazione, era una logica affermazione. Era la vita.
Jim avrebbe dimenticato anche quella storia, non appena la sua missione nello spazio fosse ripresa, il lavoro sarebbe tornato al primo posto, il suo futuro e la sua carriera sarebbero tornati ad essere la sua preoccupazione principale, perché era sempre stato così.
E anche se quella volta era tutto un po’ diverso, tornare a viaggiare avrebbe sortito ugualmente il suo effetto, anche se ci sarebbe voluto forse più tempo.
Jim sarebbe stato bene, contava solo questo.
“Non lo voglio dimenticare…”
Mugugnò Kirk, di nuovo aggrottando le sopracciglia, Gary guardò il suo volto, non era certo che Jim si fosse reso conto di averlo detto o fosse convinto di averlo solo pensato, la sua espressione era fissa e quasi sperduta, i suoi occhi puntavano il soffitto del suo alloggio ma vedevano tutt’altro
“… non voglio dimenticare i suoi baci…”
Mormorò ancora e Gary fu certo che l’amico non si fosse accorto di averlo davvero pronunciato quando, tiratosi su col busto per osservarlo meglio, Jim gli lanciò un’occhiata curiosa e il ragazzo bruno sorrise
“Sono qui Jim, per qualsiasi cosa…”
Era l’unica frase che potesse dirgli in quel momento e il bel viso dell’amico si rasserenò lievemente, lasciando comparire un delizioso sorriso
“Lo so…”
Batté il palmo della mano sul materasso facendogli cenno di sdraiarsi di nuovo accanto a sé
“… tu sei sempre qui, ho imparato a sopportarti!”
Esclamò sorridendo poggiando la testa chiara sulla sua spalla, Gary ricambiò l’ironica espressione
“Ah dovrai fartene un’abitudine mio caro, perché sulla tua bella Enterprise ci salirò anche io!”
“Non ho alcuna intenzione di salirci da solo”
Fu l’immediata a mormorata risposta di Jim.
Fin da quando erano due ragazzini avevano sempre immaginato le loro avventure spaziali, non avevano parlato di altro argomento per lungo tempo.
Avevano sempre saputo, entrambi, quale sarebbe stato il loro futuro, e avevano lavorato sodo, insieme, per costruirselo. E finalmente vi erano giunti, stavano vivendo quelle avventure che si erano sempre immaginati, fianco a fianco, com’era sempre stato.
E, sognando il proprio futuro, le proprie future missioni sull’ammiraglia della Flotta, come capitano e primo ufficiale, con la testa sulla spalla del suo migliore amico, Jim si addormentò, serenamente, dopo settimane che non vi riusciva.
 
**
 
-Diario personale del tenente Kirk. Data stellare 5546 punto sette. Le otto settimane che siamo stati costretti a trascorrere in questa base sono ormai finite e tra due giorni ripartiremo e riprenderemo la missione, come Starfleet ha ordinato, seppur sotto richiesta del mio capitano.
Le mie condizioni fisiche sono ottime, non risento di alcuno strascico, anche se per i primi tempi mi hanno raccomandato di non fare alcuno sforzo, ci proverò.
Una parte di me è molto felice di ripartire finalmente, è stata la mia più lunga permanenza in un luogo da quando ho iniziato a prestare servizio nella Flotta, e non credo di essere fatto per rimanere a lungo in un porto, non adesso almeno, non prima di aver esplorato questa galassia.
 
In realtà questo tempo mi è volato… Sono state settimane… intense.
Non ho più avuto modo di parlare con il dottor McCoy, né di vederlo, se non per uno sporadico saluto, sembra essere costantemente impegnato, molto più del solito, senza contare la sua impostata freddezza nei miei confronti…
Vorrei parlargli, devo farlo prima di ripartire…-
 
**
 
“Signor Mitchell…”
Il dottor McCoy rimase stupito quando, aprendo la porta, si trovò davanti il volto del giovane tenente amico di Jim, nel cuore della notte, o meglio, di quella che per pura convenzione alla base stellare veniva definita tale.
“Posso entrare?”
In realtà l’ultima cosa di cui Leonard aveva bisogno era una discussione notturna a rubargli il suo già risicato e disturbato riposo, ma non poté fare altro che scostarsi dalla porta facendo cenno a Gary di entrare in casa.
“Come sta Jim?”
Chiese Bones non appena il giovane si accomodò sul divano, preoccupato per la leggera agitazione del ragazzo, che poteva voler dire molte cose
“Perché non lo chiede a lui?”
“Non penso di voler parlare di questo…”
“Lei non si rende nemmeno conto di quanto sia eccezionale Jim, né di quanto stia soffrendo”
Il dottore sospirò e si massaggiò le tempie
“Me ne rendo conto signor Mitchell, ma sul serio, non è il cas…”
“Conosco Jim da una vita, e mi creda, per quanto banale le possa sembrare, non l’ho mai visto così. Oh, l’ho visto innamorato, stava per mollare tutto e sposare una ragazza tempo fa, era folle di… non ricordo nemmeno il nome, ma mi creda, non gli ho mai visto lo sguardo e il sorriso che rivolge a lei, o quando parla di lei. E dovrebbe vederlo adesso, se solo lo guardasse bene, se riuscisse ad accettare quello che Jim prova lo vedrebbe… Perché è oltremodo palese… e non è giusto che lei lo faccia stare così…”
Mormorò infine abbassando lo sguardo, una frase che sfuggì alle sue labbra, stanca e satura del dolore che vedeva nello sguardo dell’amico e, forse, velata ancora da una punta di gelosia. Punta che il dottore vide.
Bones gli si sedette accanto, sul divano del piccolo saloncino
“Io non te l’ho rubato, Gary…”
Non aveva mai parlato con quel ragazzo moro dagli occhi chiari, lo aveva visto per settimane al capezzale di Jim, muto e scostante, chiuso in un dolore che raramente aveva visto nei confronti di un amico, e questo glielo aveva fatto apprezzare da subito. Sorrise
“Jim non fa altro che parlare di te, ‘io e Gary di qua, io e Gary di là’… qualsiasi cosa lui provi per me, non altera in nessun modo il rapporto che ha con te…”
Alzò le spalle
“…ogni rapporto è diverso, un nuovo affetto non cancella né modifica quelli vecchi. Jim ti adora, sei il suo migliore amico, questo non cambierà mai. Non fa altro che fantasticare su quando sarai il suo primo ufficiale sull’USS Enterprise!”
Una leggera risata di entrambi allentò la tensione
“Sono dieci anni che lo ripete…”
Annuì Gary, poi tornò serio
“Io… lo so, davvero, come… tu devi sapere che Jim si è legato a te, molto… Devi pur saperlo!”
Sospirò e si passò una mano tra i capelli, se non riusciva Jim a parlare con il dottore, nessuna sua parola avrebbe scalfito quel muro che sembrava circondare quell’uomo, per ragioni di cui Gary non era a conoscenza ma che nemmeno gli sarebbero importate.
Quella discussione rischiava solo di protrarsi per ore, inutilmente. Perciò annuì, chiedendo l’unica cosa che gli stava veramente a cuore
“Vorrei solo che lo venissi a salutare dopodomani alla nostra partenza, si merita almeno questo”
Disse con decisione, non avrebbe accettato una risposta negativa in alcun modo, non avrebbe visto lo sguardo di Jim ancora più deluso e ferito di quanto già quell’uomo non avesse fatto.
Non gli avrebbe causato altro dolore.
 
Bones annuì e, vedendo il ragazzo avviarsi alla porta, lo seguì
“Verrò…”
“Sì? Beh eviterò di dirglielo comunque…”
Mormorò Gary, fissandolo ancora, lanciando il suo ultimo attacco con quello sguardo adirato
“…non voglio alimentare false speranze, non si sa mai… buonanotte dottore…”
Non attese alcuna risposta e uscì dalla casa di quell’uomo.
 
**
 
Il giorno dopo la Ferragut sarebbe finalmente ripartita, avrebbe lasciato quella base in quell’angolo sperduto dell’universo che, in appena due mesi, era divenuta per Jim così dannatamente importante.
Poche ore mancavano ormai a quel fatidico momento, e ogni cosa sarebbe ricominciata, interrompendo quella surreale stasi nella quale si era ritrovato a vivere per quelle settimane.
Certo non si sarebbe mai aspettato di trovare il suo destino in quel luogo, incontrato per pura coincidenza a causa di un incidente banale e pericoloso nel quale era quasi morto. Eppure quel fatto aveva messo in moto una catena di eventi che avrebbero segnato per sempre la sua vita.
Ma tutte queste cose ancora non le sapeva, forse le sentiva, nonostante tutta la confusione e l’amarezza che aleggiavano sulla sua testa mentre camminava avanti e indietro per quei corridoi grigi e freddi della base, senza una reale meta, semplicemente per tentare di prendere sonno.
I suoi passi distratti lo avevano condotto proprio sul ponte di osservazione, un amaro sorriso gli comparve sul volto mentre si avvicinava alla balaustra, proprio su quell’esatta mattonella in cui aveva baciato Bones, per la prima volta.
Momenti preziosi e dolcissimi che avrebbe sempre tenuto stretti ma che si legavano a tutto ciò che poi era seguito e che lo faceva soffrire, come non riteneva nemmeno possibile che si potesse, non lui.
“Ciao”
La voce bassa e calda di Leonard lo fece gelare sul posto, non si aspettava di trovarlo lì, non si aspettava di trovarlo affatto, per quanto il suo inconscio potesse sperarlo, ma evidentemente non era il solo a non riuscire a dormire quella notte, e non era il solo ad essere stato trascinato in quel luogo dai propri, traditori, passi.
“Ciao…”
Rispose a bassa voce, quasi un sussurro, e fu certo che le sue gote furono arrossite mentre il cuore prese a battergli velocemente. Si morse la lingua cercando di darsi un contegno, cercando di sembrare meno stupido di quanto finora avesse fatto, ma non era facile, non con il calore di Bones così vicino, quel calore che aveva provato e dal quale era già dipendente.
“Non vai a dormire?”
Mormorò il dottore portando le mani dietro la schiena, cercando di apparire sereno, tranquillo, mentre il suo sguardo chiaro si perdeva nella profondità senza fine dello spazio aperto.
“Tra un po’… non ho molto sonno”
“Come ti senti? Hai ancora i giramenti di testa?”
“No, sto bene, grazie”
Sospirò e alzò le spalle
“Tu come stai?”
Il dottore ridacchiò e alzò le spalle a sua volta
“Uno schifo!”
Jim girò appena il viso nella sua direzione e i loro occhi si incontrarono per qualche istante
“Mi dispiace”
Mormorò il ragazzo, sentendosi responsabile di quel malessere che li accumunava. Una responsabilità della quale non riusciva proprio a pentirsi. McCoy respirò profondamente, avrebbe voluto dirgli di star tranquillo, che non era affatto colpa sua, invece restò muto, perché non sarebbe stata la verità.
“Potrò scriverti?”
Domandò Jim ma non attese una risposta del dottore
“O magari è meglio di no”
Aggiunse sottovoce, Bones sorrise dolcemente, di nuovo non poteva resistere a quella inconscia tenerezza
“Avrai talmente tante cose da fare lassù Jim, che non avrai nemmeno il tempo di dedicarmi un pensiero”
“Ne sei proprio convinto eh? Poi dicono che il testardo sono io…”
Bones non avrebbe mai ascoltato le sue parole, non avrebbe mai creduto alla sincerità dei suoi sentimenti, non si sarebbe mai fidato di lui, e, sinceramente, non poteva dargli torto.
Nonostante dai suoi occhi trasparisse ogni cosa, traspariva una verità che Bones non accettava, una verità della quale aveva ancora paura.
“Mi sono innamorato… una volta…”
Mormorò Jim, fissando ancora dritto davanti a sé, mentre i miliardi di stelle del cosmo si riflettevano nel suo sguardo
“… o forse due, o almeno così credevo, ma era un’altra cosa invece…”
O forse era un’altra cosa quella che provava in quel momento, vicino a lui, qualcosa di più forte, qualcosa che non aveva nome.
“Come lo sai?”
Domandò ingenuamente l’uomo e Jim alzò le spalle
“Te lo direi, ma non mi crederesti…”
Girò il bel viso di nuovo roseo verso di lui, incatenando gli occhi nei suoi, quegli occhi così dolci e sinceri che non chiedevano altro che di essere letti e fu McCoy a distogliere lo sguardo per primo.
Jim sorrise
“Beh, buonanotte Bones…”
Sussurrò e si voltò verso il corridoio, ma la mano dell’uomo incontrò la sua.
 
A giudicare dall’espressione stupita di Bones stesso, doveva essere stato un movimento del tutto istintivo che non aveva controllato. I suoi occhi celesti fissavano la propria mano stretta in quella del ragazzo, e al momento null’altro era importante, solo che Jim non se ne andasse.
Lo avrebbe perso il giorno successivo, lo avrebbe perduto in poche ore, e questo pensiero lo faceva impazzire come mai gli era accaduto prima.
Perché se quel sentimento era del tutto nuovo per Jim lo era anche per Bones, nonostante lui conoscesse l’amore, forse più nei suoi difetti che nelle sue qualità, non aveva ancora conosciuto quel calore unico, quella pace interiore, che solo il viso di quel ragazzo, il suo sorriso e le sue mani gli provocavano.
E nonostante sapesse bene che era sbagliato, perché il giorno dopo avrebbe fatto ancora più male, perché lo avrebbe perso in ogni caso, non poté impedirsi di stringere forte a sé quel ragazzino.
Fu quella sensazione, mentre Jim artigliava forte le sue dita sulla sua maglia e affondava il viso nella sua spalla, quella terribile sensazione di vuoto che lo colse d’improvviso quando la consapevolezza che entro poche ore lo avrebbe lasciato si impadronì di lui, a fargli comprendere che quel ragazzo era divenuto per lui ormai fondamentale. La sua luce era ormai fondamentale.
Gli carezzò dolcemente quel viso dai lineamenti delicati e perfetti e si chinò su di lui, aspettando che fosse Jim a posare le sue labbra sulle sue, solo allora le catturò con le proprie.
Ancora, e ancora, perché era più di un bisogno.
Aveva bisogno delle sensazioni che quel giovane gli faceva provare, sensazioni che aveva dimenticato perfino esistessero. Sensazioni meravigliose che in qualche modo significavano, semplicemente, essere vivi.
 
Vivo, si sentiva vivo, come non lo era stato per molto tempo, giungendo quasi a dimenticare l’importanza di quelle emozioni. Emozioni senza le quali la vita non ha alcun senso.
Giurò, in quel momento, stringendo la vita di quel ragazzo, che non avrebbe mai più dimenticato questa semplice verità.
 
“Alla prossima licenza tornerò qui, da te…”
Soffiò Jim, sulle labbra dell’uomo, non smettendo di stringersi a lui. Leonard sorrise
“Sappiamo entrambi che non lo farai”
Mormorò, lambendo ancora quelle labbra del cui sapore era ormai assoggettato, Jim scosse la testa, decise di non discutere ancora, inutilmente, con Bones, appigliandosi all’ironia, e così aggrottò le sopracciglia, in una finta espressione offesa. Non voleva separarsi da lui con quel magone sullo stomaco, non lo avrebbe sopportato
“Ah no? Allora, se vinco io mi crederai, ti fiderai di me… almeno un po’…”
Aggiunse con serietà e una punta di amarezza, Bones, non smettendo di stringerlo a sé, alzò un sopracciglio
“E se vinco io?”
“Non vincerai mai”
“Non è una risposta”
“Non è una scommessa”
Jim si alzò in punta di piedi e gli prese il volto tra le mani
“Io tornerò qui, è un’affermazione e… ci sarà tutto più chiaro…”
Mormorò con un dolce sorriso, Bones annuì, cercando di non crearsi alcuna aspettativa ma, una parte di lui, credette istintivamente e senza riserve a quelle parole.
Non si seppe mai spiegare come e perché ma fu come captare, in quel momento, una sorta di eco di ciò che sarebbe accaduto, di ciò che la vita avrebbe loro portato.
 
 
**
 
E la mattina dopo, dopo quei due eterni mesi, era alla fine giunto il giorno tanto decantato della partenza della Ferragut da quella base spaziale.
L’equipaggio, in parte sempre rimasto a bordo, in parte sulla base, e anche quelli che avevano approfittato per raggiungere qualsivoglia meta in quella licenza obbligata da cause di forza maggiore, erano tutti tornati al proprio posto.
O quasi.                                                                                          
Gary e Jim attendevano ancora pazientemente nella sala del teletrasporto della base stellare, di essere riportati a bordo. Attorno a Gary si erano aggirate, per svariati minuti, uno stormo di ragazze urlanti, Jim si chiese dove diavolo l’amico avesse trovato tutte quelle belle ragazze in una base stellare. O dove avesse anche solo trovato il tempo da dedicare a tutte loro, ma era una storia che sicuramente Gary si sarebbe deliziato a raccontargli.
“Jim…”
“Verrà…”
Gary raggiunse l’amico, fuori dalla pedana del teletrasporto, intento a fissare il corridoio, continuando a sperare testardamente di veder apparire il dottor McCoy da un momento all’altro. Il ragazzo bruno gli strizzò una spalla
“E’ un dottore Jim, sarà stato trattenuto, lo sai, quando vengono chiamati loro devono andare…”
Gary cercava di rincuorarlo e di parlare con tranquillità, il compagno annuì
“Sì… sarà così…”
“Ragazzi, la nave mi sta continuando a chiamare, dovete andare…”
Disse il tecnico dietro la console del teletrasporto
“Dobbiamo andare, Jim…”
Gli prese una mano e Jim si lasciò tirare inerme verso la pedana rialzata del macchinario.
 
“Jim…”
Girò di scatto il viso verso il corridoio, pregando di non averlo solo immaginato, e quando vide Bones avanzare a passo svelto verso di lui, il volto gli si illuminò e corse incontro al dottore, gettandogli le braccia al collo, proprio come un bambino, ma non se ne vergognò minimamente.
Gary sorrise mentre il comunicatore del teletrasporto continuava a suonare.
“Lo sapevo!”
Jim continuava a stringere il dottore a sé, aveva davvero avuto paura che potesse, per un motivo o per un altro, lasciarlo partire senza un ultimo saluto.
“Sono stato trattenuto”
La pura e semplice verità era che, nonostante ci avesse provato, non era riuscito ad impedirsi di rivederlo. Aveva avuto oltremodo paura che se lo avesse rivisto a pochi minuti prima della partenza, non avrebbe più potuto lasciarlo andare, e la tentazione di impedirgli di ripartire, in un modo o nell’altro, era tuttora molto forte.
Ma alla fine, non aveva resistito al desiderio di vedere di nuovo il suo volto, il suo sorriso, in quella che poteva essere l’ultima volta. Un ricordo e un’immagine che avrebbe tenuto stretta.
Gli prese il viso tra le mani cercando di fissare nella mente ogni suo singolo dettaglio.
Il cicalino del comunicatore della console continuava a suonare, Gary guardò l’addetto al teletrasporto unendo le mani in una tacita preghiera, questo sbuffò e rispose alla chiamata, dicendo la prima cosa che gli venne in mente su due piedi
“Necessito di qualche minuto per risettare il teletrasporto, c’è stato un… un’interferenza nel segnale…”
Non attese di sentire la voce alterata del capitano e spense la comunicazione
“Grazie”
Mormorò il tenente Mitchell.
 
“Ti scriverò Bones, se mai vorrai rispondermi saprai dove farlo…”
L’unica cosa che si sentì di poter fare McCoy fu annuire mestamente, senza allentare la presa su di lui
“Stai sempre attento Jim ti prego, non cacciarti nei guai, evita i pericoli, fa attenzione, ti prego…”
Improvvisamente il terrore che quella fosse l’ultima volta che vedeva quel ragazzo semplicemente perché poteva capitargli qualcosa di male lo assalì prepotentemente, ma Jim manteneva il suo bellissimo sorriso
“Devi stare tranquillo, non mi succederà niente…”
“Sei sempre sicuro di tutto tu”
“Sì, perché voglio rivederti ancora, e ancora…”
Mormorò con un sorriso languido e dolce al tempo stesso, quell’espressione così tipica di Jim che aveva del tutto scombussolato la mente di Leonard non appena lo aveva conosciuto.
Gli catturò la bocca in un bacio profondo che il dottore non poté interrompere, ritrovandosi ancora una volta a ricambiarlo con passione, stringendo quel bel corpo al proprio.
Non sapeva come avrebbe fatto a lasciarlo adesso, ad allentare la presa e vederlo sparire nel teletrasporto, l’unico desiderio che aveva in quel momento era che restasse tra le sue braccia, dove poteva proteggerlo, da ogni male.
“Bones…”
Sussurrò infine Jim restando con le labbra poggiate sulle sue
“…sai dove sarai tra dieci anni?”
Aveva un sorriso bellissimo che McCoy si trovò costretto a ricambiare, intuendo dove Jim volesse andare a parare
“Fammi indovinare…”
“CMO sull’Enterprise, che te ne pare?”
“Un po’ prematuro”
“Scommetti?”
E quella sicurezza era ancora lì, a brillare in quei bellissimi occhi luminosi
“Jim, dobbiamo andare o finiamo nei guai…”
Mormorò Gary alle sue spalle, Bones gli porse la mano
“State attenti tutti e due, mi raccomando…”
Il ragazzo bruno gliela strinse sorridente e annuì, scompigliando i capelli di Jim affettuosamente
“Non preoccuparti, ci bado io a questo qui, come sempre!”
“Ehi!”
Si lamentò Kirk, adorabilmente imbronciato.
 
La mano di Jim scivolò lentamente via dalle sue e Leonard restò finché non lo vide sparire nel teletrasporto e non sentì la conferma che i due ragazzi fossero arrivati sulla Ferragut, sani e salvi.
Si avviò poi al suo appartamento, che non gli era mai sembrato così vuoto. Bevve un bicchiere di brandy sauriano e si sedette sul divano cercando di fare mente locale e ordine nei suoi confusi pensieri. Bevve un altro bicchiere, prese una penna e un foglio di carta e buttò giù tutto d’un fiato quel tumulto che gli si agitava in mente.
 
Non pensava che Jim avrebbe risposto alla sua lettera, non pensava che sarebbe tornato da lui come aveva promesso…
Non pensava minimamente che quella corrispondenza sarebbe durata dieci anni…
E l’ultima cosa che credeva possibile, in quel momento, era che Jim avrebbe infine vinto, pienamente, la loro scommessa.

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Seguirà un piccolo epilogo (appena ho qualche ora per scriverlo) e poi mi levo dalle balle XD

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Capitolo 5
*** Epilogo ***


 

5 – Epilogo
 
Il dottor McCoy, nella sua bella uniforme a maniche corte da infermeria, entrò a passo lento nell’alloggio del capitano, sbadigliando sonoramente e stirando le braccia. Il turno lo aveva abbastanza provato, prima o poi si sarebbe fermato ad analizzare i motivi, pseudo scientifici o mistici che fossero, secondi i quali l’intero equipaggio era portato a fratturarsi ed escoriarsi le più svariate zone del corpo sempre durante le ore del suo turno, sempre e costantemente, quasi lo aspettassero appositamente.
Si tolse le scarpe con un movimento dei piedi distratto mentre gli sovvenne la voce vispa di Jim dal letto
“Ciao Bones”
Mormorò Kirk, sdraiato a pancia in sotto sul materasso, con i piedi sul cuscino e la testa di Spock adagiata sulla sua schiena, anche lui sdraiato, di traverso, sul lettone.
“Leonard…”
Salutò anche il vulcaniano, McCoy rimase qualche secondo spiazzato; tutta la sovraccoperta rossa del letto era invasa da centinaia di fogli scritti, uno dei quali il capitano era anche molto intento ad osservare.
Non ci volle più di qualche secondo per rendersi conto che fossero lettere. Le sue lettere, anzi, le loro.
Aggrottò le sopracciglia e si avvicinò, sorrise
“Come mai state leggendo questa corrispondenza?”
Kirk alzò le spalle
“Mi è tornato in mente quel periodo, Spock si è fatto raccontare un po’ di cose e così…”
“Leonard, vorrei precisare che non ho letto le tue lettere”
Il dottore si sedette su un angolo del materasso e cominciò ad osservare quei fogli, con rinnovata curiosità
“Perché?”
Spock alzò un sopracciglio
“Ho ritenuto opportuno chiedertene prima il permesso, non vorrei risultare irrispettoso per la tua privacy”
Bones ridacchiò
“Quando sei legato telepaticamente a due persone la parola privacy perde un po’ del suo significato!”
Il vulcaniano si alzò seduto, Kirk sembrava non ascoltare nemmeno, troppo concentrato nella lettura di una sua vecchia lettera, a giudicare dalla calligrafia.
“Leonard, come ben sai non ho mai ascoltato le vostre menti se n…”
“Spock era per dire! Non ti serve il mio permesso, ora ne sei parte, siamo parte l’uno dell’altro no?”
Si alzò in piedi e sbadigliò di nuovo
“Ma sei stato molto carino a chiedermelo”
Aggiunse baciandolo delicatamente sulle sottili labbra prima di recarsi nel piccolo bagno
“A me niente? Anche io sono carino!”
Bofonchiò Jim senza alzare gli occhi dalla sua lettera, datata oramai quasi sette anni prima. Il vulcaniano, con la sua tipica curiosità da scienziato, rafforzata dalla volontà di conoscere quelle parole, quei pensieri e quei sentimenti indelebilmente segnati su quella corrispondenza durata quasi dieci anni, cominciò a spulciare tutti quei fogli sommariamente, non sapendo esattamente nemmeno da dove cominciare.
“Uh, questa la devi assolutamente leggere Spock… ho un talento naturale per il sesso, sia a farlo che a scriverlo…”
Jim continuava a mormorare tra sé, racchiuso in un mondo tutto suo. Il vulcaniano alzò un sopracciglio abbozzando un sorriso, non era difficile immaginarsi il contenuto sicuramente vietato ai minori di alcune lettere –un numero sostanzioso di lettere- inviate dal suo T’hy’la a Leonard. Sarebbe stato normale anche adesso, ma dieci anni prima, con Jim ancora così giovane, al suo primo vero innamoramento, con il proprio uomo così lontano, Spock poteva benissimo immaginare, in tale situazione, che cosa dovessero contenere quei fogli di carta e, francamente, era molto ‘curioso’ di leggerli.
 
Lo sguardo tagliente e scuro del vulcaniano si posò poi su delle parole, viste di sfuggita, parole delicate e profonde, vergate dalla mano inconfondibile di Jim.
Era una delle sue prime lettere, all’inizio di quella corrispondenza, Jim era ancora un ragazzino, più giovane di quanto lo lui avesse mai conosciuto.
Eppure, in quelle frasi, in quelle dolci emozioni segretamente rivelate, non trovò nulla che non conoscesse alla perfezione, e sorrise. Non si accorse, stranamente, dell’avvicinamento di Jim sulla sua spalla, ne udì solo la voce
“Disgustosamente sdolcinata…”
Bofonchiò il capitano con una pantomimica smorfia sul viso, ma il vulcaniano scosse il capo
“Stavo per dire profondamente… devota, Jim”
“Oh beh se lo dici tu…”
“Sono parole… è una lettera molto… bella”
Il capitano rimase piacevolmente stupito del sincero complimento da Spock, e in special modo, rimase alquanto deliziato dall’espressione dolce del suo vulcaniano
“Grazie Spock, sei gentile”
Mormorò avvicinando le sue labbra carnose alla guancia spigolosa del suo primo ufficiale
“Io sono sempre gentile…”
Rispose questi cercando di non abbandonarsi troppo facilmente alle lusinghe del Compagno, compito quanto mai difficile –se non impossibile- mentre la bocca di Jim scendeva sul suo collo depositando piccoli baci, intervallati a lievi morsi.
“Sarà stato molto gratificante per Leonard leggere queste parole…”
“Mh…”
Jim non era più molto partecipe della discussione mentre la sua mano, insinuatasi sotto la maglietta nera del vulcaniano, carezzava bramosa quella pelle bollente e le sue labbra erano ora impegnate a intrattenersi con quel meraviglioso lobo appuntito che aveva giudicato sempre troppo appetitoso.
Il primo ufficiale alzò un sopracciglio pensoso
“…e le successive, una corrispondenza di dieci anni avrà dato luogo a molte altre occasioni gratificanti…”
Jim si tirò indietro qualche centimetro e puntò il suo sguardo chiaro in quello tagliente del Compagno, aggrottando le sopracciglia bionde e non riuscì a non sorridere divertito
“Sei geloso, Spock?!”
Il vulcaniano gonfiò il petto
“Non capisco come ti sia venuta in mente una simile idea, Jim”
“Non devi essere geloso, io e Bones abbiamo avuto una... storia a distanza per un decennio, ci vedevamo poco, mentre con te da quando ci conosciamo non ci siamo mai separati per più di qualche giorno!”
Spock sospirò profondamente
“Jim, innanzitutto lasciami dire quanto sia illogica la tua convinzione di una mia gelosia, proprio per i motivi da te appena citati. In secondo luogo permettimi di farti notare che questa tua affermazione non sia esattamente veritiera, in quanto capitò, l’anno scorso, che non ci vedemmo per una settimana…”
“Lo so, è stata terribile, i giorni più bui e tetri della mia intera esistenza…”
Mormorò Jim colto da un’improvvisa quanto teatrale disperazione oltremodo caricata, ma Spock non diede peso all’ironia del Compagno
“Se, come tu sei convinto, la mia fosse gelosia, ti rammenterei infastidito di come in quella settimana non mi scrivesti, né tu né Leonard, nemmeno una lettera. Ma la tua è un’illogica assurda affermazione e quindi non proseguirò tale discussione”.
Jim non poté fare a meno di ridacchiare scuotendo la testa, quasi non ci credeva. Ogni volta che era convinto di conoscere il suo vulcaniano oramai alla perfezione, qualcosa lo stupiva sempre. Era anche oltremodo lusingato da tutto ciò.
 
“Che ridi? Trovato qualche vena poetica imbarazzante?”
Domandò Bones uscendo dal bagno in accappatoio mentre si strofinava un asciugamano bianco sui capelli bagnati, Kirk scosse la testa e afferrò, con un rapido movimento, il suo padd dal comodino
“Meglio, Spock è geloso perché non gli ho mai scritto una lettera d’amore!”
“Ribadisco di non aver mai detto nulla del genere”
“Non serve, hai anche ragione, io sarei geloso!”
Mormorò McCoy, ridacchiando insieme a Jim e andando a sedersi sul letto
“Ok, adesso ti scrivo la più melensa e sdolcinata lettera d’amore che sia mai stata scritta. Ti verranno le carie ai denti!”
Il vulcaniano alzò un sopracciglio, non capendo per quale motivo la sua dentatura dovesse sviluppare una simile infezione a causa di una qualsivoglia lettura, ma non ritenne opportuno chiedere nulla, la conversazione era divenuta già abbastanza surreale.
“Infilaci qualcosa di erotico”
Consigliò Bones sfogliando quei fogli che ornavano il materasso, Jim annuì
“Oh quello nelle mie lettere non manca mai, lo sai bene”
“Oh sì, decisamente…”
“Mi serve un po’ di solitudine, mi ci devo concentrare, torno per cena!”
Disse Jim distrattamente e, senza attendere alcuna risposta, uscì dall’alloggio.
 
 
“E’ andato alla serra?”
Domandò Spock, sapendo già perfettamente la risposta, difatti il dottore annuì
“Già, è oggi l’anniversario”
Lo sguardo celeste scorreva ancora su quei fogli che gli riportavano alla mente mille ricordi e sensazioni
“Crede ancora che non lo sappiamo”
Mormorò il vulcaniano e Leonard sorrise
“Gli piace pensare che sia così…”
Come sempre, da sempre, il capitano stava costantemente bene. In ogni situazione.
Jim andava sempre avanti, con un sorriso in viso e il cuore in pezzi.
 
C’era un’altra ricorrente emozione che scorreva tra i pensieri di Jim segnati su quei fogli bianchi, c’era un altro nome che compariva spesso, spessissimo, fino alla fine di quella corrispondenza. Un nome che per entrambi loro, Spock e Leonard, continuava a rappresentare un quasi mistero.
Entrambi sapevano poco, troppo poco, di Gary Mitchell, una figura che per Jim era stata, ed era ancora, molto importante.
Bones ricordava quei due mesi di dieci anni prima alla base stellare, aveva avuto modo di conoscere quel bruno ragazzo molto poco, ma gli era bastato per apprezzarlo.
Vi si era poi affezionato per via indiretta, per tutte le belle parole che Jim spendeva ogni volta su di lui, lodando le sue qualità, raccontandogli le loro avventure, riportando per filo e per segno tutti i fatti, e tutte le volte che Gary gli aveva salvato la vita.
Lo aveva rivisto forse un paio di volte, di sfuggita, purtroppo non aveva avuto l’onore di poter lavorare con lui, perché quando il dottor McCoy aveva finalmente preso il suo posto sull’Enterprise Gary se n’era già andato.
Jim non ne aveva mai più parlato di quell’incidente e Bones si era ritrovato, in silenzio, a raccogliere i pezzi del suo ragazzo.
 
Spock era stato più a contatto con il signor Mitchell, aveva avuto modo di prestare servizio insieme a lui, seppur per poco tempo, e non era stato difficile notare il legame che aveva con Jim. Non aveva dimenticato nessuno sguardo, nessun sorriso, nessuna parola dei due.
Non aveva dimenticato quanto avesse tentato il Compagno, fino all’ultimo, a salvare l’amico e non poteva dimenticare lo sguardo furioso e ferito di Jim quando lui, Spock, gli aveva comunicato di doverlo uccidere. Non avrebbe mai potuto scordarlo.
Si chiese se Jim lo avesse mai tacitamente incolpato di quanto accaduto, se lo accusasse in qualche modo di non aver fatto qualcosa, lui che era sempre in grado di trovare delle soluzioni, la prima e l’unica soluzione che aveva trovato in quel frangente era stata quella di uccidere il migliore amico del suo T’hy’la.
Senza nessuna difficoltà, perché era la soluzione logica, perché Spock era ancora all’inizio del proprio percorso e non conosceva ancora nemmeno il significato di quelle emozioni.
Non aveva compreso Jim in quella situazione, non gli era potuto essere utile, nemmeno dopo. Ma quel piccolo abbozzo di sentimento che già, eppure, si affacciava dentro di lui, per Jim, gli permise di sentirsi per la prima volta colpevole, gli permise di capire che l’unica cosa che desiderava, che avesse mai desiderato così tanto, era quella di riuscire a comprendere Kirk, il suo nuovo capitano.
 
“Oh guarda un po’…”
Mormorò McCoy porgendogli una lettera, con un dolce sorriso
“…questa è relativamente recente, è la prima volta che mi ha scritto di te…”
Spock osservò il foglio non trattenendo un lampo di curiosità nello sguardo scuro, Bones continuava a sorridere
“Il suo primo giorno da capitano, ti aveva appena visto, e già era… totalmente perso…”
Il viso magro del bel primo ufficiale gli regalò un delizioso sorriso vulcaniano appena accennato, non rispose, continuando a leggere, ma non era necessario; Bones sapeva benissimo che da parte di Spock era stata la stessa identica cosa. E glielo lesse nello sguardo scuro, in quell’esatto momento.
 
**
 
La serra, a dispetto di ciò che si poteva pensare, non era molto frequentata di solito. Era oltremodo raro non trovarci Sulu, questo sì, quel ragazzo aveva una vera passione per la botanica extraterreste e un vero talento per il mondo vegetale in generale. Il giovane giapponese si rinchiudeva sempre in quelle quattro mura appena staccava il turno, o almeno, così capitava prima dell’arrivo a bordo di quel nuovo ragazzo russo.
Jim sorrise tra sé, stringendo tra le mani il padd nero e sedendosi in fondo alla sala.
Vi erano straordinari colori in quel giardino artificiale, fiori e piante di tutti i tipi, provenienti dai più svariati luoghi, frutti prelibati e dolci profumi originari dei più disparati angoli della galassia si amalgamavano perfettamente e contribuivano a creare un’atmosfera rarefatta e delicata.
Un piccolo bosco quasi surreale che respirava nelle profondità dello spazio.
Il capitano vi si recava poche volte in verità, ma quel giorno era particolare.
Si sedette sul freddo pavimento grigio, a gambe incrociate, poggiando la schiena al muro dietro di lui. Sorrise alzando lo sguardo su quel piccolo alberello dalle foglie bluastre che si stagliava innanzi a lui, con i suoi piccoli rami abbelliti da graziosi fiori argentati inodore.
Non rammentava da quale pianeta provenisse, nonostante Gary gliel’avesse ripetuto tante di quelle volte, non riusciva proprio ad entrargli in testa quel nome curioso composto da fin troppe consonanti per essere pronunciabile. Rammentava solo che a Gary piaceva moltissimo ed era l’unica cosa che di lui gli era rimasta. Non aveva neppure potuto recuperare il corpo del suo migliore amico, era stato costretto ad abbandonarlo su quel pianeta sperduto.
Non era facile non pensare a quel disastroso incidente, non era facile non versare qualche lacrima in quella giornata particolare, quando tutto ritornava a galla prepotentemente.
Vi era rabbia, vi era tristezza, ma non vi era senso di colpa, e non perché avesse agito semplicemente nell’unico modo possibile, non perché fosse stato logico, non perché non vi erano state alternative.
Non vi era senso di colpa perché qualsiasi creatura si nascondesse dietro quegli occhi argentati e inquietanti che aveva combattuto, semplicemente, non era Gary, non più.
Qualsiasi cosa avesse ucciso su quel pianeta non era il suo migliore amico, suo fratello, la persona che sarebbe morta volentieri per proteggerlo, come tante volte aveva dimostrato.
Dovunque fosse stato Gary, il vero Gary, in quei momenti, mentre il suo corpo veniva usato per ferirlo, tutto ciò che era Gary era dalla sua parte, e lo aveva protetto, come aveva sempre fatto.
Come, forse, tutt’ora continuava a fare, dovunque fosse.
 
Un piccolo bocciolo argentato, sul ramo più alto del giovane albero, si schiuse quasi timidamente, davanti allo sguardo chiaro del capitano e Jim sorrise di nuovo, annuendo
“Lo so, sei sempre qui…”
Mormorò, quasi tra sé, raccogliendo il padd e la penna da terra.
E ci credeva davvero, dovunque Gary fosse non sarebbe mai venuto meno alla sua promessa; sarebbe stato al suo fianco, in ogni avventura, come avevano sempre immaginato, fin da ragazzini.







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Mamma mia quanto cavolo sono sentimentale, e lo so, ho dovuto inventare questa cosa  abominevole e banale perché dovevo cercare di chiudere, non dico col lieto fine, perché sappiamo che fine ha fatto Gary, ma almeno in maniera un po' positiva, o avrei perso il sonno!  
Ok volevo fare la 'prima volta' di Jim e Bones ma ho avuto paura di me stessa e del risultato disturbante che poteva uscire XD Altro che carie ai denti, avrei provocato una grave forma di diabete, non era il caso!
La smetto di sparare ca**ate e chiudo con i doverosi ringraziamenti a tutti coloro che hanno letto, hanno messo la storia tra i preferiti, i seguiti (queste due cose proprio NON me le aspettavo XD), un grazie speciale alle commentatrici (unite dalla voglia di sbattermi la testa sulla tastiera XD). Un bacio a tutto il fandom e a risentirci presto! ^^

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