Sognando Marte di Pwhore (/viewuser.php?uid=112194)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
"Buongiorno," dissi, sperando
di sembrare il più tranquillo possibile, nonostante le
scariche d'adrenalina mi stessero scuotendo da cima a fondo da qualche
ora buona, e sfoggiando il migliore dei miei sorrisi circostanziali.
"Salve. Nome, prego," bofonchiò l'altro in tutta risposta,
alzando lo sguardo solo per una decina di secondi.
"Mi chiamo Tomo, Tomo Milicevic," pronunciai con voce forte e chiara,
scandendo bene le sillabe e annuendo con aria fiduciosa. Quello mi
squadrò un attimo, poi scomparve dietro un telo nero e lo
udii parlottare con qualcuno, evidentemente cercava una qualche
conferma della mia presenza lì. Respirai a fondo,
approfittando del momento per calmare i nervi e ripassare mentalmente
il pezzo che avrei dovuto eseguire poche ore più tardi, di
fronte alle persone più importanti della mia ancora
brevissima esistenza, e sospirai. L'uomo ritornò dopo un
paio di minuti, mi guardò dritto negli occhi con freddezza e
annuì, facendomi cenno di proseguire con la mano, senza
perdere troppo tempo in convenevoli. Avanzai velocemente, come se
quell'energumeno avesse potuto ripensarci, spostai la tenda
per farci passare la testa e entrai.
Quella che mi ritrovai davanti
non era la stanza che mi ero immaginato di trovare, proprio per niente.
Era enorme e un po' in penombra -quanto bastava per stare al fresco
senza ricorrere a macchinari-, e c'erano operai da tutte le parti con
tute di tutti i colori possibili e immaginabili. Ognuno di loro era
immerso nel suo lavoro a tal punto che quando uno mi passò
accanto non si rese nemmeno conto della mia presenza;
continuò semplicemente a camminare portando da una parte
all'altra una matassa di cavi e fili di ogni genere, che probabilmente
servivano per le luci. L'aria era piena di brio ed eccitazione, anche
se un evento così importante richiedeva un sacco di
attenzioni e cure da parte dei tecnici, i quali stavano letteralmente
impazzendo pur di sistemare al meglio ogni piccolo dettaglio. Sentivo
gente urlare da tutte le parti in uno slang abbastanza volgare che
però non perdeva la sua ricercatezza, e mi ritrovai a
pensare che forse un giorno sarei stato anch'io tra loro a imprecare
per un cavo lasciato scoperto o per una telecamera scollegata e
piazzata male. Sorrisi e continuai a guardarmi attorno, spostandomi
indietro per non intralciare il lavoro degli operai. Sulla destra e
sulla sinistra c'erano dei divanetti scuri ricoperti da delle specie di
coperte leopardate nere e grigie, accompagnati da un tavolino e un
frigo-bar, rigorosamente ordinati e senza macchie. Ma del resto mi
sarei dovuto aspettare una cosa del genere, il mio idolo è
un maniaco dell'ordine e ama far impazzire gli altri a suo piacimento,
anche se non è una cosa di cui andare particolarmente fieri.
All'epoca, però, non conoscevo questo lato del suo carattere
e tutto quel viavai continuo di gente mi aveva lasciato particolarmente
impressionato, visto che pensavo che sarebbe stato qualcosa di molto
spartano e modesto, in uno stile completamente diverso, a essere
sincero. Mi aspettavo un palco, delle sedie in legno, qualche
riflettore puntato su uno sfondo bianco e loro, in prima fila, con un
block notes tra le mani, pronti ad appuntarsi ogni minimo errore o
distrazione da parte dell'esecutore. A pensarci bene, in effetti, il
palco c'era e le luci stavano venendo installate, quindi una parte
delle mie aspettative si era rivelata corretta. E poi il soffitto
brulicava di operai vestiti di bianco, che da dove mi trovavo io
sembravano delle formiche sporche di borotalco più che
esseri umani in carne e ossa, e che si muovevano trafficando con gesti
veloci ed esperti, come se quelle mani avessero svolto quel lavoro
centinaia e centinaia di volte in precendenza, fino al punto di saperlo
fare ad occhi chiusi. Era un bello spettacolo comunque, lasciava senza
fiato per l'organizzazione e l'ordine manifestati da ogni singolo
individuo, e per la loro concentrazione eccezionale. Chissà,
forse avevano un modo tutto loro per tranquillizzarsi e procedere con
estrema calma in ogni situazione, senza mai perdere l'aria di
professionalità che si portavano dietro da un'impalcatura
all'altra. Mi sarebbe piaciuto saperlo, ma il pensiero di fermare uno
di loro e chiederglielo m'imbarazzava troppo, quindi mi limitai ad
osservarli e cercare di capire dove dovevo andare per raggiungere gli
altri musicisti.
Avevo scrutato gli addetti lavorare per quella che mi era parsa un'ora,
ma in realtà erano passati poco più di dieci
minuti, quindi se avessi aspettato un altro po' sarebbe arrivato un
altro ragazzo e avremmo cercato la strada insieme.. no? No. Scossi la
testa e avanzai verso il centro della stanza, deciso a fare da me.
Adocchiai una porta verso il lato sinistro del palco e mi diressi verso
di lei, inciampando su un cavo lasciato scoperto. Recuperai
l'equilibrio e il controllo dei miei movimenti dopo pochi istanti,
attaccandomi al pomello dorato della porticina. Tesi le orecchie in
avanti, nel vano tentativo di sentire qualcosa, ma il silenzio
più profondo mi spinse a accerchiare la maniglia e a
spingere più forte, giusto per capire che cosa c'era
lì dentro. La porta si aprì con un
cigolìo inquietante e la prima cosa che vidi entrando fu un
corridoio lungo e brillante, che mi accinsi a percorrere senza farmi
troppe domande. I miei passi risuonavano e rimbombavano in quel vuoto
ombroso, ma continuai comunque a camminare, sperando che nessuno si
accorgesse della mia presenza lì, o sarebbero stati guai
grossi. Mi guardai intorno e notai che più avanti
cominciavano a comparire dei quadri sulle pareti lisce, anche se
sarebbero potuti essere benissimo degli specchi di piccole dimensioni.
Decisi di affrettare il passo e cominciai a sentirmi notevolmente a
disagio, man mano che mi spingevo sempre più oltre, notando
che le luci si accendevano e si spegnevano con un meccanismo segreto e
silenzioso. Cominciai a correre, il sudore che mi scendeva lungo il
collo e che m'imperlava la fronte, e sentii il mio cuore accellerare il
suo battito fino a stabilizzarsi, lentamente. Percepii dei movimenti
più avanti e, deglutendo, ripresi a camminare. Riuscivo a
sentire l'umidità aumentare e il terreno si faceva pian
piano sempre più pendente, come se stesse scendendo verso il
centro del pianeta. Ormai la paura era sparita ed ero animato da uno
strano sentimento di curiosità e stupore; volevo solo
arrivare in fondo a quella storia e scoprire che c'era dietro, poi
basta, sarei tornato indietro e avrei chiesto a qualcuno la strada
corretta. A un certo punto realizzai che, voltandomi indietro, non
riuscivo più a vedere l'inizio del corridoio, quindi mi
sentii doppiamente motivato a proseguire e trovare un'altra uscita.
Dopo una decina di minuti, notai che il terreno aveva ricominciato a
salire e che il fruscio di prima era diventato un rimbombo lordo e
forte, che veniva amplificato dalle pareti nuovamente spoglie fino a
raggiungere un livello sconfortante. Decisi di farmi quegli ultimi
metri di cammino di corsa, in modo da diminuire le distanze tra me e il
rumore, e di dare una sbirciata prima di aprire completamente la porta
- sempre che ce ne fosse stata una. Con mio notevole disappunto,
però, il suono cessò tutto d'un tratto, quando
ormai ero abbastanza vicino da poter capire qual'era la cosa che lo
creava. Avevo fatto in tempo a capire che proveniva da una parete di
roccia all'apparenza indistruttibile e che era da lì che
sarei dovuto passare, in un modo o nell'altro; quindi cominciai a
tastarla con le mani nella speranza di trovare un passaggio segreto o
qualcosa che avrebbe potuto darmi un qualche indizio per proseguire.
"Andiamo, Tomo, andiamo," mi spronai. "Possibile che non ci sia proprio
niente?"
Non feci in tempo a dirlo che un rumore metallico fece scattare un
meccanismo nascosto e il rombo di prima ricominciò,
più forte e rimbombante che mai. Strinsi gli occhi e mi
tappai le orecchie con i palmi, nella speranza di scacciare il dolore,
e dopo qualche secondo trovai il coraggio di alzare lo sguardo e dare
un'occhiata a quello che stava succedendo. La parete si stava
spostando, lentamente, per dare spazio a una stanza arredata piena di
graffiti, con delle finestre enormi e un divano basso e largo. Entrai
cautamente, guardandomi attorno, e notai che c'era un'altra porta.
Provai ad aprirla, ma quest'ultima era chiusa a chiave dall'esterno e
una semplice girata di maniglia non poteva fare molto.
"Che c'è, vuoi sapere che c'è di là?"
mi domandò una voce.
Sobbalzai, colto di sorpresa, e mi voltai velocemente. Un uomo
uscì tranquillamente dalla penombra, seguito da un'altra
figura, più grande e muscolosa, poi si spostò i
capelli dal viso con naturalezza e mi tese una mano.
"Non c'è assolutamente nulla," sorrise.
"Mi spiace averti deluso, ma è solo il magazzino attrezzi.
Io sono Jared, comunque," si presentò, muovendo leggermente
la mano per farsela stringere; dettaglio che notai solo dopo una bella
manciata di secondi. Mi affrettai a chiuderci le dita sopra e a
scuoterla senza sembrare troppo teso, cosa che in realtà ero
tantissimo.
"Io.. io sono Tomo," mormorai.
"Bene, Tomo," cominciò. "Che ne dici di spiegarmi come sei
arrivato qui?"
Lo guardai con aria persa, non mi aspettavo proprio una domanda del
genere, tantomeno da lui. Voglio dire, ero arrivato dal suo stesso
corridoio, ero passato dalla sua stessa porta, avevo fatto la sua
stessa identica strada, non aveva senso chiedermi come ero arrivato
lì. Lui notò il mio stupore e rise, come se si
fosse aspettato una reazione simile da parte mia.
"Già, hai ragione, sono un idiota," commentò,
scuotendo la testa.
"La strada è una sola, e la conosco bene - tacque per
qualche secondo. - Però credevo che io e mio fratello
fossimo gli unici a impicciarci così spudoratamente in cose
che non ci riguardano affatto," osservò.
"Beh, sì, in effetti avrei dovuto farmi gli affari miei,"
ammisi, massaggiandomi il collo per alleviare la tensione.
"E' che ero curioso, e questo corridoio proprio non finiva, quindi ho
pensato bene di vedere fin dove arrivava."
Jared annuì e un sorriso si dipinse sulle sue labbra fine,
arrivava a sembrare quasi un angelo.
"Capisco. Beh, è stata la stessa cosa per noi, vero, Shan?"
"In effetti," ridacchiò l'omone, scuotendo leggermente la
testa.
"Però sta tranquillo perché ora sei con noi, e
finché rimarrai al nostro fianco non s'incazzerà
nessuno," mi strizzò l'occhio.
"Sarebbe il colmo se si mettessero a farci la morale,"
scherzò Jared, come se stesse parlando di qualcosa di
assurdo.
"Woah, ragazzi, siete veramente gentili, davvero, ma io non posso
restare," mi affrettai a chiarire.
"Come, perché no?" chiese Shannon, visibilmente dispiaciuto.
"Vedete, oggi ci sono le audizioni della mia band preferita e io mi
sono allenato come un pazzo per poterci partecipare e, non so, vorrei
almeno provarci visto che so che non vincerò. Sono stato
davvero tanto tempo a prepararmi e non vorrei buttare tutto all'aria
all'ultimo secondo.. Spero possiate capirmi," mormorai con occhi
imploranti. Jared annuì e Shan mise su un sorriso.
"Ah, capisco.. E come sono fatti, quelli della band?"
domandò con tono curioso.
"In tutta sincerità, non lo so. In tutti questi anni non ho
mai sentito il bisogno di guardarli in faccia per riuscire ad
apprezzare la loro musica, tutto quello che conosco di loro si limita
alla loro musica; però ho come l'impressione che siano delle
persone magnifiche in tutti i sensi, non solo nell'anima. Il cantante,
per esempio, non si ferma semplicemente a scrivere dei testi da paura,
ma ha una voce che ti accarezza dentro, sembra riscaldarti e cullarti
in una realtà alternativa, dove tutto è migliore,
dove tutto è Marte," cercai di spiegare, gesticolando
leggermente con le mani.
"E il batterista, il batterista sembra davvero sentire dentro il
battito cardiaco dei pianeti, è qualcosa di fenomenale,
davvero! E poi sono due geni e non so come possano essere rimasti a
corto di musicisti; non so cosa darei anche solo per trasmettere una
singola emozione a uno di loro come loro hanno fatto con me durante
tutti questi anni," continuai.
"E la cosa più bella di tutte è che non sto
nemmeno esagerando, perché la bellezza del loro animo
eclissa tutto il resto in modo sconcertante, ed è per questo
che non ho mai avuto bisogno di guardarli in faccia. Per me tutto
quello che conta è questo strano rapporto che si
è creato tra me e la loro musica, non m'interessa sapere che
siano belli o brutti, perché dentro di me so perfettamente
che sono due persone magnifiche, fighi o non fighi," conclusi,
sentendomi le mani tremare. Non avevo mai confidato i miei sentimenti
riguardo loro a qualcuno, pensavo che quelli attorno a me mi avrebbero
preso per pazzo e che mi avrebbero preso in giro a vita, se solo avessi
parlato. Eppure quei due ragazzi sprizzavano fiducia da tutti i pori e
non avevo potuto fare a meno di mettermi a parlare di quanto quei
musicisti fossero meravigliosi per me, e una volta fatto non mi sentivo
neanche così stupido. Alzai lo sguardo dalle mie mani e
trovai Jared a fissarmi, sorridente.
"Secondo me ti meriti di vincere," commentò. L'altro
annuì, convinto, e si fece da parte.
"Se corri dovresti arrivare in venti minuti," m'informò
Shannon, incando il corridoio col capo.
"Sono sicuro che ce la farai," annuì Jared.
Li ringraziai con gli occhi e cominciai a correre il più
velocemente possibile, col cuore che mi saltava nel petto a ogni
singolo passo che posavo. Avevo parlato a quei due solo per poco
più di cinque minuti, ma mi sentivo carico come non ero mai
stato nella mia intera vita, e la cosa mi aveva lasciato parecchio
stupito e contento. Le mie preoccupazioni erano sparite e l'unica cosa
a cui riuscivo a pensare era la gara, quindi focalizzai la mia mente
sul palco e mi diedi un ulteriore sprint.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Shannon
aveva ragione, raggiunsi il palco dopo una ventina di minuti, giusto in
tempo per riprendere fiato e poi infiltrarmi nel camerino, agguantare
un numero e aspettare che mi chiamassero da dietro le quinte. Tuttavia
non c'era tensione e mi sentivo totalmente rilassato, fino al punto di
stupirmi nel vedere quanto fossero in ansia gli altri concorrenti.
Avevo voglia di mettergli una mano sulla spalla e aiutarli a calmarsi,
ma se l'avessi fatto avrei probabilmente perso la mia occasione d'oro,
e quello non doveva assolutamente succedere mai e poi mai. Mi sedetti
su uno sgabello rosso e chiusi gli occhi, tirando fuori il mio violino
dalla custodia. Lo accordai e riscaldai velocemente le corde, facendo
scorrere le mani lungo il manico, poi tirai fuori lo spartito. Sapevo
di non poterlo portare sul palco, quindi lo ripassai altre due volte,
piegai il foglio e lo rimisi a posto, nella tasca posteriore dei jeans.
Respirai a fondo, pensando ai due ragazzi, e mi sentii carico di una
strana energia che non avevo mai provato prima di fare la loro
conoscenza. Sorrisi e scossi la testa, abbracciando il mio strumento.
Erano proprio speciali.
"Miliv- Milish- Milicevic, Tomo Milicevic," mi chiamò una
voce da fuori. Mi feci coraggio e uscii sul palco.
Era
tutto buio, le uniche luci della sala erano puntate dritte su di me e
non riuscivo a vedere assolutamente nessuno dal punto in cui mi
trovavo, però non ero in ansia. Pronunciai lentamente il
nome del pezzo
e mi portai il violino sotto il mento, accingendomi a suonarlo. Mi
fermai un attimo e cercai di capire dov'erano seduti gli spettatori, ma
loro erano troppo distanti per riuscire a distinguerne bene il respiro,
così me ne feci una ragione e cominciai a suonare. Le mie
mani
guidavano esperte lo strumento, che emanava una melodia armoniosa e
dolce, e mi sentii improvvisamente a mio agio, come se potessi davvero
avere una possibilità di vittoria. Finii il pezzo tra uno
scroscio di
applausi, m'inchinai e tornai dietro le quinte.
Mi vennero a
chiamare un'ora dopo, quando le altre esibizioni erano finite. Il
gruppo non aveva ascoltato molti altri musicisti dopo la mia
performance, aveva già selezionato quelli che potevano
rivelarsi
interessanti e utili al loro stile e alle loro canzoni. Mi venne un
mezzo infarto quando lo venni a sapere, lì, su due piedi, e
a momenti
non crollai in ginocchio. Seguii una ragazza di circa vent'anni fino a
una stanzetta con scritto, "Pericolo, non entrare." La donna
ignorò
completamente il cartello e girò il pomello della porta,
facendomi
cenno di entrare con un sorriso forzato e stanco. Evidentemente l'aveva
già fatto parecchie altre volte, in quell'ultima ora. La
ringraziai ed
entrai, chiudendomi nervosamente la porta alle spalle.
"E così ci rincontriamo," esclamò una voce
allegra prima ancora che potessi girarmi.
"Ehilà, Tomo," mi salutò un altra, dal divanetto.
Mi voltai di scatto con un gesto meccanico e sgranai gli occhi, stupito.
"Ciao.. ma, ma voi..?" mormorai, confuso.
"Che ci facciamo qui?" Jared terminò la mia domanda.
"Beh, semplice, per una volta ci facciamo i cazzi nostri," rispose in
tutta tranquillità.
Continuavo
a non capire e mi voltai indietro per riaprire la porta e chiamare la
donna, probabilmente si era sbagliata di stanza.
"Lascia stare, tanto Evelyn non tornerà presto,"
m'informò Shannon.
"Non prima di aver trovato un caffè ed essersi presa
un'aspirina, almeno," aggiunse con una scrollata di spalle.
"Ah, capisco," annuii, pensieroso.
"Benone, -commentò Jared con aria radiosa.- Allora possiamo
passare direttamente al sodo!"
"Che cosa intendi con 'passare direttamente al sodo'?" chiesi, cercando
di mettere a fuoco le idee.
"Beh, semplice, che sei nella band," rispose quello con nonchalance,
sorridendo.
"Eh?" boccheggiai, colto alla sprovvista.
"Massì, abbiamo sentito la tua esibizione, devi essere dei
nostri," continuò Shannon.
"Sei una bomba col violino, amico," si giustificò Jared.
"E poi ci avevi già convinti prima, nella stanza segreta,"
aggiunse.
"Cioè, volete dire che voi..?" sussurrai, sentendomi mancare
il terreno sotto i piedi.
"Sì, noi siamo i Thirty Seconds To Mars," concluse Shannon,
rilassato.
"Sono il batterista, piacere," rise, tendendomi nuovamente la mano.
Gliela
strinsi senza essere davvero lì - ancora non riuscivo a
realizzare di
essere davanti ai miei idoli e di essere effettivamente entrato a far
parte della mia band preferita dai tempi del liceo. Sbattei le palpebre
un paio di volte come se dovessi svegliarmi da un sogno e cominciai a
tremare, gli occhi che mi si appannavano sempre più
velocemente.
"Occazzo, ora piango," scherzai, coprendomi la bocca con il dorso della
mano. Mi morsi un dito e ricacciai indietro le lacrime.
"Benvenuto in famiglia, ragazzo," mi salutò nuovamene Jared,
dandomi una pacca sulla spalla.
"Da
ora in poi, sei un membro dei Mars a tutti gli effetti," sorrise,
abbracciandomi. Mi rilassai e lo strinsi a me con tutte le mie forze,
la sua pelle morbida e pallida che risaltava contro la mia barba appena
pronunciata, poi affondai il viso nella sua spalla. Shannon
arrivò da
dietro e ci circondò entrambi con le sue braccia possenti e
muscolose,
poi ci staccammo dall'abbraccio e ci guardammo tutti quanti negli occhi.
"It's not a matter of luck, it's just a matter of time," sussurrai.
Jared sorrise e Shan seguì il suo esempio.
"Andiamo, ragazzo, è ora di presentarti agli Echelon."
Il
più giovane mi prese per la mano e mi trascinò
fuori dalla stanza e,
mentre camminavo velocemente al suo fianco, capii di aver finalmente
raggiunto il mio nirvana.
Sono passati anni da quel giorno, ma la sensazione non è
ancora cambiata.
I
Mars sono tutto quello che voglio e tutto ciò di cui ho
bisogno, e
ringrazio tutti gli dei possibili ed immaginabili per aver fatto
sì che
il mio sogno potesse avverarsi. Grazie di cuore, davvero. Non
finirò
mai di ringraziarvi.
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=1052422
|