Controluce

di SparkingJester
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte1 ***
Capitolo 2: *** Parte2 ***
Capitolo 3: *** Parte3 ***



Capitolo 1
*** Parte1 ***


«Astor!»
Mi sentii chiamare.
«Astor, per gli Dei! Vieni subito qua!»
Corsi lungo il corridoio che portava alle stanze private del mio signore. L'armatura pesava, ma nonostante tutto mi teneva al caldo, riparandomi da quella fresca serata primaverile.
Aprii la porta, scostai le tende e giunsi dal mio condottiero, Alessandro Il Macedone. Avevamo appena vinto la battaglia di Gaugamela e superato i Fuochi Eterni di Gugan per giungere in questa splendida metropoli: Babilonia. Una città immensa e lussureggiante, ma al mio signore non era importato molto. Certo era stato soddisfatto d’aver assoggettato il satrapo Mazeo senza perdite di tempo, aveva goduto della splendida visione dei Giardini Pensili e aveva già assaporato una compagnia ben più... intima. In quel momento era lì, semi-sdraiato su un comodo mucchio di cuscini, circondato da arazzi, vino e cibo, caraffe d'oro e d'argento, tappeti pregiati e, alle spalle un enorme, letto circolare. La sala era drappeggiata di rosso ed oro, le uniche chiazze di colore contrastante erano le grigie armature delle sue guardie personali in piedi come cani, o meglio come statue.
«Astor, mi sto davvero annoiando. Sono troppo stanco per alzarmi e ho troppe energie per dormire. Mi sento come quando ero fanciullo... Prima di dormire, mia madre mi narrava sempre una storia. Leggende sulle antiche divinità greche, sulle loro gesta o sulla loro nascita. Stasera voglio sentire una leggenda. Fa portare qua uno schiavo babilonese, uno qualsiasi.»
Non potei che chinare il capo e uscire dalla camera da letto. Mi guardai attorno ma il corridoio era vuoto. A parte le sentinelle sulla porta, nessuno. Mi voltai e ordinai ad una delle guardie di correre a chiamare uno dei servitori, di portarlo con la forza se necessario.
La guardia rispose con un freddo: «Si, Comandante.»
E corse via.

Tornò dopo qualche minuto trascinando per un braccio un giovane.
«Non potete farmi questo nel bel mezzo della notte! Devo riposare o non potrò servire Il Grande domani! Lasciatemi andare, vi supplico!»
Mi venne compassione per quel ragazzo e lo tranquillizzai con tono pacato.
«Sta calmo figliolo, nessuno ti farà del male. Non sei qui per rispondere di alcun crimine, né verrai usato per soddisfare qualche oscuro istinto. Sei qui solo per raccontare una storia.»
«Una storia?»
Annuii e ordinai alle guardie di condurlo nella stanza.
Venne portato di fronte ad Alessandro e costretto con forza ad inginocchiarsi e a chinare il capo in segno di rispetto. Il Conquistatore fece un vago gesto con la mano e ordinò a tutti i suoi uomini di abbandonare la camera. Feci per andarmene ma mi sentii chiamare ancora.
«Tu no, Astor. Resta, fammi compagnia. Non ho voglia di stare da solo.» Disse con tono freddo e stanco.
«Allora, schiavo. Qual è il tuo nome?»
Il servo rispose con voce spezzata:
«Tolias, Mio Signore»
Aveva paura, si sentiva la puzza della paura. D'altronde, era questo che provavano tutti coloro i quali stavano intorno ad Alessandro. Se aveva domato Bucefalo, poteva domare chiunque.
«Bene, Tolias. Hai moglie?»
«Si, Mio Signore.»
«E figli?»
«Uno signore, una femmina.»
«Oh, spero cresca bene e spero diventi una graziosa fanciulla.»
«La ringrazio per la sua benedizione, Conquistatore.»
«Racconti mai qualche storia alla tua bambina? Magari prima che si addormenti, per facilitarle il sonno.»
«Si, Mio Signore. Molte storie.»
«Vorrei sentirne una anch'io. Adesso.»
«Ma, signore... sono storie per fanciulli. Non sono adatte ad un grande condottiero quale siete voi...»
Iniziava a gesticolare e ad agitarsi. Lo assalì il timore di una punizione per non aver saputo intrattenere il Magno Alessandro.
«Dovrai pur conoscere qualche leggenda... Magari una leggenda babilonese.»
Alessandro iniziava ad essere inquieto. Si voltava di qua e di là e il tono della sua voce aumentava ad ogni frase. Stava perdendo la pazienza.
«Volete conoscere le origini della città mio signore? Una storia sui Giardini Pensili, forse? Conoscere le gesta del grande Gilgamesh?»
«NO!»
Il Grande gridò, e il silenzio calò. Momenti interminabili ma infine Alessandro riprese:
«Voglio una leggenda. Una qualsiasi ma che non tratti dei giardini o del tuo dio. Qualcosa di diverso.»
Il volto del servo divenne cupo. Si mordeva continuamente il labbro inferiore e fissava il pavimento con insistenza.
«Proprio niente? Così sia. Astor, uccidilo.»
Ebbi un momento di esitazione nell'estrarre la spada ma ringraziai quell'attimo. Il servo levò la testa e con occhi tremanti supplicò pietà.
«Signore, no! Chiedo perdono! C'è, c'è una leggenda. Una leggenda che ormai pochi ricordano ancora.»
«Che razza di leggenda è se sono in pochi a conoscerla? Sarà una favoletta inventata sul momento... Astor!»
Estrassi la spada e feci per avvicinarmi.
«Mio Signore aspetti! Non l'ho inventata! Ma le nuove generazioni non la conoscono! Solo gli anziani e i sacerdoti conoscono questa leggenda! Ai giovani di oggi non interessano queste 'favole per bambini', così ormai sono pochi coloro i quali rammentano questi avvenimenti.»
«Ricordare avvenimenti? Vuoi dire che è accaduto davvero?»
«Non saprei dirlo mio signore, io sono giovane ma mio nonno ha raccontato questa leggenda centinaia di volte. Era molto attaccato alla tradizione di tramandare storie e io sono uno dei pochi della mia età che la conosce. Si dice sia un avvenimento accaduto realmente, altri invece pensano sia solo una leggenda nata da un beone o da un folle.»
Alessandro sembrò calmarsi. Sprofondò ancora di più tra i cuscini, mi fece segno di rinfoderare la lama e bevve un sorso di vino. Io non avevo nessuna voglia di ascoltare questa fantomatica leggenda ma non avevo scelta, così stetti ad ascoltare.
«Se mi è concesso...»
«Inizia pure, Tolias»>

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Capitolo 2
*** Parte2 ***


Notai lo sguardo fisso di Alessandro sullo schiavo e ne approfittati per appoggiarmi con la schiena alla parete, intento a combattere la stanchezza e il sonno. Se non altro la storia sarebbe stata un ottimo passatempo.
«Come lei ben sa, mio signore, Babilonia ha ben dodici punti d'accesso. Molti di questi però sono poco utilizzati, quasi abbandonati, percorsi solo da viandanti, pastori e mercanti. Molti anni fa, durante una splendida mattina di primavera, un folle fece irruzione in una locanda. Era sudato e spaventato, tremava e balbettava. Disse di aver visto qualcosa di strano sulla strada che porta a Babilonia, qualcosa di strano era accaduto nei pressi di una delle dodici entrate. Il folle parlò rapidamente, senza riprendere fiato. Ombre. Parlava di ombre nere come la pece, di ombre più chiare e di ombre velate appena visibili. Il taverniere, colto dalla curiosità, gli chiese che natura avessero queste ombre e l'uomo rispose: pesci. Tutti i presenti rimasero muti. I loro sguardi si incrociarono ripetutamente e d’improvviso nel locale risuonò una fragorosa risata. Nessuno credeva alle sue parole. Alla domanda da parte di un cliente che desiderava conoscere il suo mestiere, lui rispose di essere un mercante. Matarkus, il mercante di seta, nome conosciuto nella zona Est della città. Dopo quest'episodio, i presenti non ne fecero parola con nessuno. D'altronde, perché avrebbero dovuto? Eppure, esattamente un mese dopo, l'episodio si ripeté. Questa volta erano dei bambini. Si potevano intravedere le loro piccole figure al di fuori dell'entrata della città. Correvano, anzi fuggivano da qualcosa. Superata l'entrata, si tuffarono fra le braccia dei loro genitori e uno di loro, una bambina, parlò:
"Mamma, mamma! Stanno arrivando! Andiamo via!”
"Cosa, amore? Chi sta arrivando?"
"Le ombre dei pesci!"
Tutti i bambini iniziarono a ripetere le parole della loro amica in tono spaventato.
La giovane madre sorrise e tranquillizzò la figlia e i suoi amichetti.
"Non è vero, tesoro. Non sta arrivando nulla. Forse hai preso troppo sole in testa."
I bimbi rimasero con gli occhi spaventati e fissi sull’ entrata, in attesa di ciò che avevano visto. Ma non arrivò nulla. Né dopo pochi minuti, né dopo pochi giorni. Niente di niente. Ma pensate sia finita lì, mio signore? Oh, no. Un mese dopo un pastore lasciò il suo gregge fuori dall'entrata e si introdusse in città per cercare ristoro. Entrò nella stessa taverna che il folle Matarkus aveva visitato esattamente due mesi prima. Si sedette su uno sgabello e ordinò del cibo. Il taverniere lo riconobbe. Era un pastore che frequentava spesso quella via, poiché conduceva a pascoli verdi e spaziosi. Il taverniere gli servì da bere e da mangiare e ne approfittò per porgli qualche domanda. Aveva assistito alla scenata del mercante impazzito e aveva sentito parlare dei bambini impauriti, così volle chiedere se per caso lui avesse visto qualcosa di simile durante il suo peregrinare. Il pastore annuì e il taverniere si irrigidì. Il vecchio iniziò a parlare. Disse che non ne aveva mai parlato con nessuno poiché non gli avevano fatto mai alcun male e che il folle non mentiva: si trattava di pesci. Pesci che nuotavano nella terra. Erano ombre sulla strada, forse nuvole, ma il cielo era quasi sempre limpido quando ciò avveniva. E se non c'erano pesci in aria o pesci nei paraggi, allora dovevano trovarsi sottoterra, affermò. Ma uno studioso parlò da un tavolo lontano.
"Ma i pesci non possono trovarsi sotto terra. Hanno bisogno di acqua. E se anche ci fosse acqua sotto la terra, non ci sarebbe luce per proiettare le loro ombre."
E allora il pastore diede inizio alla leggenda: "Allora sono spiriti."
Bastò quella frase per scatenare un passaparola senza fine. Spiriti con forme di creature marine che si dirigevano verso la città una volta al mese. I bardi di tutta la città festeggiarono per giorni alla notizia di una tale fonte di ispirazione per i loro canti. Le madri non mandarono più i loro figli a giocare fuori da quell'ingresso e i mercanti non batterono più quella strada. Era diventato un luogo oscuro e portatore di cattiva sorte per alcuni e un tempio sacro da consacrare agli antichi spiriti protettori per altri. I sacerdoti dicevano: "Sono gli spiriti dei nostri antenati. Vengono dall'oltretomba per controllare e proteggere la città."
E molti credettero alle loro parole.
Ma c'è un motivo se mio nonno raccontava continuamente questa leggenda: perché lui li aveva visti. Li aveva visti di persona.
Rapito da questo misterioso branco di pesci fantasma decise di andare a controllare di persona. Non era un personaggio molto influente, non avrebbe fatto cambiare idea agli scettici e non avrebbe smentito i bardi. Era solo giovane e tanto curioso.
Fece due calcoli e, scelto il giorno in cui sarebbero dovuti apparire, uscì dalla città. Si diresse verso l' "uscita maledetta", l'attraversò e continuò a camminare. Quando si fermò sopra un colle, la città era più lontana del previsto. Pensò che forse era troppo lontano, pensò di aver sbagliato orario. Tornò sui suoi passi. Ma ad un tratto, ad un migliaio di metri dalla città, qualcosa accadde.
Mio nonno sentì freddo. Guardo ai suoi piedi e vide ciò che non aveva mai visto prima d'ora. Migliaia e migliaia di ombre di pesci stavano 'nuotando' lungo la strada che conduceva a Babilonia. Il folle aveva ragione, alcune erano nere come la notte e altre appena visibili. Riconobbe poche specie ma altre sembravano mostri marini: gigantesche creature con decine di strane protuberanze, creature dall'aspetto affusolato con due grosse pinne ai fianchi, pesci con una lancia al posto della faccia e, come se non bastasse, un gigante dei mari. Dietro il banco di pesci, una gigantesca ombra stava per arrivare. Mio nonno ebbe paura ma non poté sfuggire al suo passaggio. Era enorme e occupò tutta la strada e oltre per almeno altri tre o quattro metri di larghezza. Non si era mai visto niente di così grande né nel Tigri né nell'Eufrate, anzi nessuna di quelle specie di animali si era mai vista nei due fiumi. Molte nuotavano lentamente, altre con una certa fretta. Vi erano molte ombre solitarie ma alcuni banchi erano formati da centinaia di individui identici che nuotavano all’ unisono. Il verde dell'erba e il marrone della terra vennero coperti dal nero delle ombre che si dirigevano sinuose verso l'entrata. Il nonno rimase immobile a contemplare quello spettacolo sublime ma non poté che iniziare a correre. Doveva avvertire tutti. Il folle, i bambini e il pastore avevano ragione.
Corse e corse, finché non si accorse di una cosa: le ombre erano svanite. Corse cosi velocemente e con tanta foga, che non si rese conto di aver perso di vista la minaccia. Non c'erano più i pesci, non c'erano più i mostri.
Ripensò alle parole dei sacerdoti, forse avevano ragione. Forse erano entrati nel cuore della città per sorreggerla, per proteggerla, per guidarla.
Ormai affaticato e privo di ogni speranza di rivedere quella marea nera, rientrò in città e non ne fece parola con nessuno. Era uno spettacolo che non avrebbe mai più voluto rivedere ma, allo stesso tempo, voleva conservarlo nella sua mente. Custodirlo gelosamente. Nessun altro avrebbe dovuto vedere quello spettacolo meraviglioso.
Ma così non fu. Parenti troppo esigenti e lingue troppo lunghe sparsero la voce per tutta Babilonia. Per mesi e mesi non si parlò d'altro. Ma il fato volle che una rivolta cittadina contro gli invasori persiani avesse distratto le menti dalla venuta di questi strani spiriti. La rivolta coinvolse la maggior parte della popolazione e molte furono le repressioni violente. Non si parlò più dei pesci ombra. Alla fine della rivolta, vi furono vari sconvolgimenti politici e, per questo e altri motivi, ormai non c'era più tempo per raccontare leggende. Coloro i quali conoscevano la leggenda ormai erano vecchi o morti. I pochi anziani rimasti però ripresero a raccontare la leggenda alle generazioni future, ma le reazioni furono totalmente diverse: molti partirono per la guerra, molti divennero pastori e vagarono per le terre fuori Babilonia, molti divennero studiosi e non ebbero tempo per ascoltare simili storielle dai loro nonni. Insomma, ormai oltre me siamo in pochi a conoscerla. Nessuno riuscì mai a capire di cosa si trattasse, ma dopo la vostra venuta, mio signore, venni a sapere di un giovane. Il ragazzo è stato uno dei pochi a credere nella leggenda e a seguire le orme di mio nonno, riuscendo a vedere i pesci ombra ogni mese sempre nello stesso punto. Ma la vostra venuta ha fermato questo miracolo.»
 

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Capitolo 3
*** Parte3 ***


Alessandro sembrò incuriosito e con un debole sorriso sul volto parlò:
«Come, scusa? La mia entrata trionfale in questa città avrebbe interrotto la visita di quegli strani esseri?»
«Si, mio signore. Non ho intenzione di essere offensivo nei suoi confronti ma credo che la sua 'intromissione' negli affari babilonesi stia sconvolgendo la nostra cultura. I pesci, se rammentate le parole dei sacerdoti, sono spiriti guardiani. Se non hanno nulla da proteggere, non possono venire. Ecco perché  sono spariti.»
«Ma allora non hanno protetto un bel niente, sbaglio? Io sono qui e non mi sembra di aver affrontato orde di pesci fantasma.»
«Mio signore, le ripeto che è solo una leggenda. Io non ho visto personalmente i pesci. Mio nonno e quel ragazzo potrebbero aver mentito oppure i pesci non sono in realtà spiriti guardiani ma qualcos’altro. Comunque sia, ormai non verranno più.»
Il Conquistatore sbadigliò.
«Spero di non averla fatta annoiare, mio signore.»
«No, no. Hai svolto il tuo dovere. La storia era interessante, ma credo che la stanchezza stia per sopraggiungere. Astor! Portalo via e va a dormire. Non hai una bella cera.»
Mi svegliai dal torpore che mi affliggeva. Ero rimasto in silenzio ad ascoltare quella storia e avevo provato addirittura gusto nell’udirla. Molto interessante e particolare. Da noi non si parlava d'altro che degli dei greci. Una noia mortale.
Mi mossi verso il servo, lo aiutai ad alzarsi. Tolias fece un profondo inchino, ringraziò per la benevolenza di Alessandro e tutto contento mi seguì fuori. Ringraziò anche a me e tornò di corsa nei propri alloggi.
Ora era il mio turno di andare a dormire. Varcai la soglia di una porta che conduceva a delle scale. Arrivai nella parte inferiore del palazzo, in una stanzetta vuota illuminata da solo due fiaccole che faceva da anticamera per gli alloggi della guardia personale di Alessandro. Non vedevo l'ora di sdraiarmi e chiudere finalmente gli occhi, ma qualcosa catturò la mia attenzione. Una piccola ombra svolazzava sulla mia testa. Alzai lo sguardo e capì che non stava volando...stava nuotando.
Avevo gli occhi sbarrati. Iniziai a sudare freddo e il cuore cominciò a battere all'impazzata. Possibile? Era un'allucinazione? Possibile che la leggenda di quel tizio fosse vera?
Un piccolo pesce, corto e tozzo, nuotava o meglio danzava allegramente sul muro illuminato dalla luce della fiamma. Ad un trattò sembrò che la testa del pesce fosse diretta verso di me. Mi aveva visto. Scese dal soffitto e continuò a nuotare nella parete. La curiosità era troppa. Allungai una mano e feci per toccarlo. Inizialmente ebbe paura, schivò di lato e per la sorpresa ritrassi velocemente la mano. Era più forte di me, volevo toccarlo. Allungai le dita un'altra volta e fu lui ad avvicinarsi. Toccai il muro, ma non lui. Lui toccò me. E si spostò sul mio dito. Non riuscii a gridare, la voce mi morì in gola. Il pesce ora si muoveva sinuoso sul mio braccio con movimenti a spirale. Raggiunse la spalla e non riuscii più a vederlo. Lo rividi sul mio petto. Ma aveva qualcosa di strano. Nuotava in circolo attorno al mio cuore. Non riuscivo a capire. Stava per uccidermi? Stava per trasformarmi in ombra? Nulla di tutto ciò. Entro nel mio petto e semplicemente scomparve.
La mattina dopo ero ancora più stanco della notte precedente. Non ero riuscito a chiudere occhio, non avevo mai smesso di cercare il pesce né di immaginare cosa avesse potuto farmi. Capii cosa avesse fatto solo trent'anni dopo. Quel pesce aveva mantenuto vive le tradizioni babilonesi. Mi accorsi col passare del tempo di conoscere la mitologia, le leggende, la gerarchia, gli usi e i costumi di quel popolo tanto straordinario quanto evoluto, tant'è che dopo la morte di Alessandro tornai a Babilonia. Non sapevo spiegare bene il perché ma amavo quella città e amavo quel popolo. Mi trovai una casa, un lavoro e feci famiglia. Non ero più un Comandante Macedone, ero un babilonese. Il pesce guardiano aveva svolto il suo compito: proteggere la propria cultura.

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