The Stone Cross

di JosephineGreen
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Black Ship ***
Capitolo 2: *** 'Write it down' ***
Capitolo 3: *** Supersonic ***
Capitolo 4: *** Arctic Monkeys ***



Capitolo 1
*** Black Ship ***


Una tipica giornata californiana di metà giugno: un’afa indescrivibile, ragazzine che sfoggiano fiere i loro mini bikini per strada e accaldati anziani seduti fuori da qualche bar, sorseggiando una limonata giacciata. Nonostante volessero essere a rilassarsi sulla spiaggia o ad abbracciare il climatizzatore delle loro case, i funzionari della Signal Events di Los Angeles stavano svolgendo una riunione che sembrava non finisse mai, fino a che..
-Bene- esclamò il signor Stevenson, uno dei nuovi impiegati della compagnia- abbiamo sistemato gli spettacoli teatrali fino alla fine dell’estate e organizzato la fiera di fine giugno in modo così perfetto che se il nostro santo Messia potesse parteciparvi resusciterebbe sicuramente!-
Molti dei colleghi risero, tranne i più devoti, ma a Stevenson non importava, perchè sapeva benissimo che era sul capo che doveva fare colpo, e Macbell non era certo di il tipo di uomo che va in chiesa la domenica.
-Ci manca soltanto il concerto che si terrà il prossimo 3 Luglio al Viper Room.-
Macbell si sistemò un po’ sulla sedia sbuffando.
-Questi cazzo di inglesi non ci danno un attimo di tregua.- brontolò. Molti nella sala risero, nonostante non ci fosse assolutamente nessuna ironia nella frase. “Stupidi leccapiedi” penso l’uomo tra se e se ‘si metterebbero a ridere anche se li prendessi a calci pur di entrare nelle mie grazie’.
-Gia, gia, stupidi inglesi!- riprese Stevenson nervoso- Comunque, il locale è stato deciso, e per l’orario, i ragazzi hanno chiesto se potevano esibirsi verso le undici, potrebbe andare bene, signore?-
-Per me possono suonare anche alle quattro di notte, basta che non ci lascino a mani vuote: tutti i biglietti sono già stati venduti.-
-Certo, certo, ma, signore, avremo bisogno di almeno un’altra band per intrattenere il pubblico fino al loro arrivo!- aggiunse il giovane uomo, che stava cominciando a sudare in maniera a dir poco indecente, un po’ per il caldo, un po’ per la soggezzione che gli metteva addosso quell’uomo.
-Fate decidere a loro.-
-Ci avevo già pensato, ma i ragazzi hanno affermato di non avere nessuna preferenza e hanno lasciato il compito a noi.-
-Certo, figuriamoci se i piccoli lord si sporcano le mani per una cosetta del genere! Hai già qualcuno in mente? E se ce l’hai, fai che siano molto economici, questa faccenda ci ha già fatto investire un sacco di soldi!- aggiunse l’uomo accendendosi una sigaretta e prendendo una lunga boccata. Non si poteva fumare nell’edificio, ma nessun inserviente si permetteva mai di entrare in sala riunioni quando ce n’era una in corso, e nessuno di ‘quegli idioti’, come li definiva lui, si sarebbe permesso di dire nulla alla direzione, anche se in fondo, era lui la direzione.
-Beh, in effetti si. C’è questo gruppo che suona ogni tanto in un bar appena fuori dal centro, nella parte est della città. Fanno più che altro cover di un sacco di gruppi, ma l’ultima volta che le ho sentite suonare hanno fatto un pezzo loro, e devo ammettere che non era niente male!-
-Sono ragazze?- chiese l’uomo scettico.
-Si, tre ragazze.-
-Riusciresti a contattarle?-
-Beh, signore, non ho i loro numeri, ma ogni volta che le ho viste suonare erano in questo bar che le ho detto signore, il Black ship.-
-Suonano al Black ship?! E’ un locale da tossici e ubriaconi, dovrebbero chiamarlo Black shit!-
Altra risata generale.
-Gia, gia, certo signore, ma le assicuro che sono davvero brave, tre tesori!-
-Bene, allora vai.-
-Dove, signore?-
-A trovare questi ‘tre tesori’, e assicurati che ci chiedano poco. Sai almeno come si chiamano?-
-Il gruppo, signore?-
-No, i loro gatti; certo il gruppo!-
-Ah, certo! No, signore, non lo so.-
-Vabeh, tu trovale, possono chiamarsi come vogliono, ma se sono brave e chiedono poco sono nostre.-
Stevenson si alzò di velocemente dirigendosi verso la porta.
-Ah, Stevenson?-
-Si, signore?-
-Non siamo in marina, e tanto meno nell’esercito: chiamami di nuovo signore e ti mando a pulire i cessi a quel cavolo di Black ship, intesi?-
Stevenson annuì tremante e si catapultò fuori dalla stanza. Percorse i corridoi in fretta e furia per arrivare al suo ufficio, prendere la giacca e uscire alla ricerca di queste tre ragazze misteriose.
Dovevo chiamarti ‘bestia’, non signore, stupido idiota pomposo!”
 
Il Black ship quel giorno era completamente deserto, tranne che per il barista che sonnecchiava guardando una soap opera argentina alla tv. Non appena entrò, Stevenson avvertì un forte odore di alcol e tabacco, che si spiegò subito col fatto che il barista stava fumando mentre sorseggiava da un bicchiere pieno di ghiaccio e di un liquido trasparente, che, come gli diceva l’istinto, non doveva essere acqua. Il barista, non appea lo vide trasalì. Era un uomo sulla quarantina, non molto alto, stempiato e con un’abbondante massa di grasso sull pancia.
-E’ dell’ufficio sanitario?-
Stevenson mise su un sorriso per cercare di mettere l’uomo più a suo agio.
-Cielo, no! Il mio completo deve averla ingannata. Sono Richard Stevenson, lavoro Signal Events, un’agenzia che organizza eventi e festival.-
Il barista guardò l’uomo storto. Che diavolo voleva un’uomo in giacca e cravatta che lavorava in un’agenzia organizzatrice di eventi nel suo bar?
-Sono John, ma non sono iteressato a niente mi dispiace.-
-No, lei mi ha frainteso, io..-
-Ho detto niente pubblicità, amico!- sbotto John impazziente.
Stevenson indietreggiò impaurito. Ad aumentare il suo terrore fu un rumore di passi che scendevano una scala posta accanto al bar che non aveva notato fino a quel momento. Cielo, poteva essere qualche amico del barista che era venuto per suonargliele di santa ragione!
Ma non fu così, dalla scala emerse una ragazza di circa vent’anni,molto carina, che indossava una cannottiera e shots a vita alta. Aveva un volto molto gentile e calmo, un volto conosciuto.
Stevenson s’illuminò.
-Cielo, tu sei una delle ragazze del gruppo!-
-Come scusi?- chiese la ragazza con un marcato accento irlandese.
-Si, tu suoni, vero? In questo locale.-
La ragazza adesso sembrava quasi spaventata.
-Si, ma come lo sai lei? E’, non so, tipo uno stalker?-
-Cristo, no! Tutt’altro! Lavoro all’agenzia organizzatice di eventi Signal Events, e ho un lavoro da offrirle. A lei e alle altre componente del gruppo, si intende.-
John si irrigidì immediatamente, profondamente imbarazzato.
-Amico, mi dispiace, non credevo! Potevi dirlo subito, cazzo!-
-Ma io..-
-Si, si, non ti preoccupare, sei perdonato.-
Io sono perdonato?! Questo per poco non mi salta addosso e io sono perdonato!” pensò l’uomo incredulo, per poi tornare alla ragazza.
-Comunque dolcezza, perchè non chiami le tue amiche e non ne parliamo tutti assieme?-
-Posso chimarne soltanto una, l’altra e in spiaggia, dall’altra parte della città e non la vedremo fino a stasera. E’ davvero così urgente?-
-Beh, preferirei parlarne subito... Due su tre sono sempre meglio che una, no?-
La ragazza sorrise scettica: -Suppongo di si... Torno su a chamarla!-
John e Stevenson rimasero di nuovo sa soli.
-E quindi... Questo è il suo bar, eh?-
-Gia, sono anni che è della mia famiglia. Sa, prima non faceva così schifo, ma adesso, con tutti i nuovi baretti da liceali che stanno aprendo, gli affari non vanno così bene. Se non fosse per i miei clienti abituali probabilmente dovrei chiudere.-
-Capisco...-. Osservando le condzioni del bar, poteva solo immaginare quali fossero i suoi clienti abituali.
Dopo pochi secondi dei passi ritornarono a farsi sentire lungo le scale, da dove emersero due ragazze: una era quella che era scesa prima, e il viso dell’altra tornò familiare a Stevenson non appena la vide. Era la chitarrista. Erano entrambe carine, anche se molto diverse. Quella con cui aveva parlato aveva morbidi capelli lisci color miele, tagliati appena sopra le spalle, alta più o meno un metro e settanta, piuttosto magra e aveva una pelle pallida e fragile; l’altra era di uno o due centimetri più bassa di lei, un po’ più formosa, con la pelle segnata dall’abbronzatura e lunghi, mossi capelli castani, dai quali ogni tanto spuntava qualche ciocca più ramata, segno di un colore fatto tempo fa ma più ripetuto.
-Ciao cara, io sono Richard Stevenson, lavoro...-
-Non c’è bisogno- affermò la ragazza piattamente- Candy mi ha gia detto tutto.-
-Candy,- sospirò l’uomo- è perchè sei dolce come una caramellina?-
La ragazza emise un risolino acuto che fece fare una smorfia di disgusto all’altra.
-No, mi chiamo Candace.-
-Che nome fantastico...-
-Si, tutto ciò è davvero adorabile, ma hai interrotto il mio  momento artistico quotidiano, quindi se riuscissi a venire al sodo sarebbe davvero fantastico!- esclamò la ragazza con un falso sorriso stampato in faccia. Aveva uno strano accento, un misto tra inglese e...
-Sediamoci, venite. Tesoro, posso farti una domanda?-
-Se non mi chiamerai più tesoro puoi farmi anche un interrogatorio.-
-Il tuo nome?-
-Diciamo che mi chiamo Maddie.-
-Diciamo che ti chiami Maddie? Che cosa strana..-
-Singolare oserei dire.- sussurrò sarcastica Maddie mentre si alzava a prendere una birra al bancone, fermandosi a scambiare qualche parola sottovoce col barista.
-Devi scusarla, sai, non è un tipo estremamente socievole.-
-L’ho notato... Non è americana vero?-
Candy sorrise.
-E’ per il suo accento, vero? No, non è americana, ma, se te lo stai chiedendo, non è nemmeno inglese. E’ italiana, è venuta a stare qua a Los Angeles circa sei mesi fa, ha visnto un viaggio con un concorso di chitarra e ha deciso di trsferirsi qui definitivamente. Dividiamo l’appartamento.-
-E perchè l’accento inglese?-
-Dice sempre che quello americano le fa venire il volta stomaco, e poi è crescita ascoltando musica inglese, guardando film e serie tv in inglese, cose così-
In quel momento Maddie tornò al tavolo a sedersi.
-Allora, così ci proponi?-
-Di aprire un concerto! Sarebbe una bella occasione per un gruppo emergente come il vostro, o no?-
Le due ragazze sembravano al settimo cielo.
-Assolutamente!-
-Hey, aspetta, chi suona al concerto? Non voglio suonare al concerto di qualche boyband per la quale le ragazzine si strappano le mutande.-
-Beh, che per loro si strappano le mutande è vero, ma non li definirei prprio una boy band!-
Candy e Maddie si guardarono tese. L’uomo fece una pausa divertito, osservando le loro espressioni.
-Sapete, non so nemmeno come si chiama il vostro gruppo.-
Maddie si sporse in avanti in segno di sfida: Stevenson si accorse che aveva degli enormi occhi marroni.
-Tu dicci chi suona e noi ti diciamo il nostro nome.-
-Non è uno scambio alla parti! Voi mi dite il nome e io non solo vi dico il nome del gruppo, ma vi assicuro che sarete voi ad aprire il concerto.-
La ragazza si rilassò sulla sedia.
-The Stone Cross.-
-Davvero un bel nome, molto mistico...-
-Noi ti abbiamo detto il nome, adesso sta a te fare la tua parte.-
L’uomo si alzò sorridendo, passando davanti alle facce stupite e infuriate delle ragazze. Si stava dirigendo verso la porta quando Candy gridò arrabbiata :-Hey, così non vale! Lo facciamo o no questo concerto?-
-Certo che lo farete, e vi conviene portarvi un cappotto.-
Maddie lo guardò con ironia.
-E per cosa? Vuoi farci morire dal caldo?-
-No, ma sai, l’atmosfera potrebbe risultare un po’ artica...-
Candy lo guardò perplesso, senza capire, ma dalla faccia che Maddie aveva messo su, Stevenson capì che lei aveva afferrato il concetto.
-Mi stai prendendo per il culo?-
-Domani mattina alle 9 verrò qui per sentirvi di nuovo suonare, fatevi trovare fresche e riposate! Buona giornata.- e detto questo se ne andò.
Candy sbuffò, voltandosi verso l’amica.
-Non ho capito!-
Ma Maddie non la stava ascoltando, in realtà, non stava nemmeno respirando. Era ancora difficile da realizzare: loro tre avrebbero aperto il concerto degli Arctic Monkeys.

 

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Capitolo 2
*** 'Write it down' ***


La mattina dopo alle nove esatte l’uomo si ritrovò fuori dal bar, speranzoso che tutto andasse bene, perchè se così non fosse stato, probabilmente sarebbe tornato in quel posto ogni giorno, e la sola idea lo terrorizzava. Quando entrò trovò il vuoto che aveva trovato il giorno prima, anche se stavolta al posto del barista, al bancone c’era Maddie, che si praparava un succo d’arancia ascoltando la musica dagli auricolari: non si accorse dell’arrivo dell’uomo fino a che quest’ultimo non battè dei colpi sul bancone stesso.
La ragazza alzò gli occhi, spalancandoli dalla sorpresa. Stevenson rimase allibito. “Cielo, sono talmente grandi che mi ci potrei specchiare interamente”.
La ragazza si tolse gli auricolari e lo guardò storto.
-Beh, buongiorno.-
-E’ possibile che riesci ad essere scontrosa anche dando il buongiorno?!-
-Riuscirebbe ad essere scontrosa anche dicendo ‘ti amo’!- esclamò una voce femminile proveniente dal bagno, da cui emerse la terza e ultima componente del gruppo: la bassista nonchè co-cantante.
Come le altre due, era molto carina: più alta di Candy, un poco più in carne di Maddie e se non si fosse truccata così marcatamente e non si fosse messa una maglietta attillata e volgare, forse, sarebbe stata anche più bella. Si avvicinò all’uomo con una camminata sensuale e gli porse la mano, usando l’altra per scansarsi una ciocca di capelli biondi, palesemente tinti, dagli occhi nocciola.
-Charlie, piacere di conoscerla Stevenson.-
L’uomo sorrise come un ebete.
-Eccone un alto che si lascia imbambolare da un bel paio di tette. Ti dico una cosa, bello,- sussurrò Maddie avvicinandosi di più all’uomo,-questa, è una mantide religiosa: ti seduce, ti porta a letto, e se ha voglia, ti mangia anche, ma la maggior parte delle volte, ti lascia li a piangere al buio.-
Stevenson rise nervoso, ma la ragazza sembrava serissima.
-Cielo, non sarai mica cattiva come ti descrivono, tesoro, vero?-
Charlie sorrise complice all’amica.
-No, non lascerei mai un uomo a piangere da solo, mi sentirei troppo in colpa!-
Mentre Stevenson guardava terrorizzato le due, scese Candy, indossando un vestitino bianco che la faceva sembrare un angelo.
-Oh, tesoro, sei bellissima!- esclamò l’uomo incantato.
-Oh, signor Stevenson, lei è troppo gentile.-
Maddie e Charlie si guardarono disgustate, cominciando una parodia della scenetta.
-Cielo, piccola muosse al cioccolato,- escamò Maddie gonfiando la voce- sei una favola, una chicca, un souffle!-
-Ooooh, -sospirò Cherlie mettendosi sulle punte,- mio caro cucciolotto, vedrai come sembrerò aggrazziata suonando la batteria con quel vestitino da dodicienne!-
-Stronze..- sussurrò la ragazza passando loro accanto e andando verso il bar a prendere del succo.
L’uomo si ricompose, imbarazzato dalla scena appena svoltasi e invitò tutte a sedersi al tavolo dove si erano già seduti il giorno prima.
-Bene, come già detto, aprirete il concerto degli Arctic Monkeys..-
Le loro facce divennero in contemporanea il ritratto della felicità. Stevenson si rilassò e riprese il discorso più sicuro.
-Ci sono delle piccole formalità da decidere. Punto primo: quanto sarete pagate. Vi avverto subito che non possiamo pagarvi molto, perchè sono già stati investiti un sacco di soldi in questo progetto, inoltre siete una band meno che emergente, nessuno vi conosce, non avete fatto dischi..-
-Hey, amico, basta con i complimenti, ci metti in imbarazzo!- bisbigliò Maddie sorridendo, ma Candy le diede una gomitata per zittirla. La ragazza la fulminò con lo sguardo, per poi riposarlo sull’uomo che parlava, detestandolo ogni secondo di più.
-Comunque pensavo che potessimo darvi una piccola percentuale che avanzerà dalla nosta caparra e da quella che dovremo dare agli Arctic Monkeys, che ne pensate?-
-Senti, non suoniamo per soldi, suoniamo per passione, quindi qualsiasi cifra andrà bene.- esclamò Charlie appongiandosi allo schienale del divano.
-Si, per te va bene, che stai sempre con mamma e papa, noi cara abbiamo un appartamente da pagare!- esclamò Candy alterata.
-Vi assicuro che se farete un bel lavoro sarete pienamente ricompensate.-
-Ok, vai avanti.-
-Secondo punto, e fondamentale: che cosa suonerete. Visto che aprirete il loro concerto, trovo stupido fare delle cover degli Arctic Monkeys. Avete delle canzoni vostre?-
Le tre guardarono Maddie, che a sua volta stava guardando il tavolino, giocherellando con il bicchiere del succo d’arancia.
-Quando vi ho sentito suonare avete fatto un pezzo che avete detto essere vostro, era un balla?-
-No,- sospirò Maddie,- non era una balla, il problema è che abbiamo soltanto quello.-
L’uomo sospirò.
-Ok... Una soluzione c’è, ma dovete mettervi sotto.-
Le tre lo guardarono perplesso.
-Dovrete scrivere almeno altre tre canzoni entro il 3 Luglio.-
Charlie scoppiò in una sonora risata.
-Tre canzoni, ma sentilo! Amico, hai idea di quanto ci voglia a scrivere e comporre una canzone? Noi in sei mesi siamo riuscite a metterne su soltanto una, e se Mads non avesse scritto il testo probabilmente saremmo sempre li a fare cover! Anche mettendocela tutta, potremmo arrivare a una, al massimo!-
L’uomo spostò lo sguardo serie su Maddie.
-C’è qualcosa che bolle in pentola, Mads?-
La ragazza sbuffò mettendo su un atteggiamento scostante.
-Poche cose, qualche strofa qua e la, ma davvero, niente di buono.-
Le due la guardarono incredula.
-Perchè non ce l’hai detto?!-
-Per evitare reazioni di questo tipo! Non voglio essere sotto pressione.-
-Purtroppo, Maddie, adesso la pressione è l’unico mezzo per riuscire in quest’impresa. Mi prometti che ce le metterai tutta?-
La ragazza alzò lo sguardo spavalda e annuì.
-Bene, adesso fatemi sentire quella che già avete. Come si chiama?-
-‘Write it down’-
Le ragazze salirono sul palchetto poco illuminato in fondo al bar. Gli strumenti erano già accordati, quindi dopo poche note scoordinate, cominciatono.
Era una ballata lenta, che riempì il cuore dell’uomo.
Nonostante a cantare fosse spesso Charlie, stavolta fu la voce di Maddie a riempire le orecchie di Stevenson: era una voce roca, probabilmente resa tale dal fumo, non acuta, nè profonda, una buona via di mezzo, nonostante a volte stonasse un po’. Gli ricordata un po’ la voce di Pete Doherty, anche se meno lamentevole.
 
Maybe you should write it down,
 Maybe you should feel the sound,
 Don’t know if it’s late for love,
 I just know it’s 5 o’clock
 
 Standin’ here and wait for you
 late and stupids tv shows.
 Someone knocking at my door,
 Always feeling fucking locked
 
 I will help you understand,
 I’m not like your creepy friends.
 Don’t wanna play this stupid game anymore.
 
Maybe you should write it down,
 Maybe you shold feel the sound,
 Don’t know if it’s late for love,
 I just know it’s 5 o’clock
 
 Now the phone is ringing
 Running to reply
 Now you’re probably drinking,
 Something else to hide
 Somethng else tooo hiiiide.”
 
La ragazza sospirò quasi l’ultimo verso, come se le uscisse dal cuore. Dutante il corso della canzone aveva tenuto gli occhi chiusi, credendo di smorzare la tensione, e quando finalmente li aprì si trovò davanti Stevenson, in piedi di fronte al piccolo palchetto: sorrideva.
-Allora?- chiese Maddie a mezza voce.
-Allora non sei così dura come vorresti dimostrare cara mia!-
La ragazza sbuffò e scese dal palco con un salto, cosa di certo non difficoltosa, visto che era molto basso.
-Intendo la canzone! Ti è piaciuta?-
-Dire che mi è piaciuta è riduttivo! E’ profonda, moltissimo.-
-Quindi possiamo suonarla?- chiese Candy entusiasta.
-Dovete, visto che è l’unica che avete. Per adesso.- aggiunse rivolto a Maddie, che sbuffò.
-Non puntate tutto su di me, non vi garantisco niente, e in più dovete darmi una mano!-
Charlie le venne incontro abbracciandola.
-Oh, tesoro, se vuoi ti do anche un orecchio!-

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Capitolo 3
*** Supersonic ***


Le ragazze passarono i tre giorni seguenti a cercare di mettere su un testo decente, ma tutto ciò che ne fuoriuscì furono belle frasi che, messe insieme, formavano tutt’altro che un discorso compiuto.
-Aaah, fanculo!- esclamò una sera Charlie. Erano passati quattro giorni dal loro ultimo incontro con Stevenson. Erano tutte e tre nel salotto dell’appartamente di Maddie e Candy, sedute a terra, sperando che quella posizione potesse dare loro l’ispirazione necessaria.
Maddie accartocciò l’ennesimo foglio, facendo canestro nel cestino.
-Io l’avevo detto che era impossibile.- sussurrò mentre si accendeva una sigaretta.
-Ti prego, non fumare in casa, lo sai che mi da fastidio!- esclamò Candy stravolta.
La ragazza non la considerò nemmeno, era completamente avvolta nei suoi pensieri.
Era un’occasione troppo grande per essere sprecata: doveva scrivere un testo decente, e doveva farlo al più presto. Almeno uno. Ma in quell’atmosfera tesa e nervosa non ce l’avrebbe mai fatta. Si alzò e senza dire una parola prese il giacchetto di jeans e uscì, lasciando le due amiche a discutere su qualcosa che nemmeno aveva sentito. Scese le scale, e si infilò velocemente dietro il bancone, afferrando il blocco per le ordinazioni e una penna mangiucchiata all’estremità, ma prima che potesse uscirne, John si contrappose tra lei e il piccolo spiraglio dal quale ormai passava a fatica per via della pancia.
-Lo sai che non voglio che fumi nel bar!-
Maddie lo guardò stupita, facendo un cenno ad un ragazzo che avrà avuto si e no diciassette anni che si sistemava una dose di coca con il tesserino scolastico della mensa.
-Quello è un coglione, tu no, lo sai che non voglio.-
-Johnny calmati, sto uscendo! E poi tu ci fumi sempre dentro al bar, sei veramente un ipocrita del cazzo!-
-Io sono il proprietario e faccio quel che voglio! Ora esci, e smettila di imprecare come uno scaricatore di porto!-
La ragazza si avviò saltellando verso l’uscita. Prima di varcare la soglia però, sempre con la sigaretta sulla labbra si voltò, facendo un accenno a John col blocchetto.
-A buon rendere!- gli gridò, per poi correre fuori, nella calda aria serale.
L’uomo le urlò qualcosa contro che però non scoprì mai, e che mai gli importò di scoprire.
Si incamminò per raggiungere la strada principale del quartiere. Sarebbe potuta andare sul pontile, o in centro, lì c’era sempre pieno di gente, ma non della gente che voleva lei: non gli importava di liceali che portano le proprie ragazza a cena fuori solo per potersi infilare nelle loro mutande poche ore dopo, e nemmeno delle famigliole felici che giocano al firo a segno. Non ci aveva mai creduto nelle famiglie felici, forse perchè la sua non lo era mai stata: sua madre si era divorziata da suo padre quando lei aveva soltanto 3 anni, e dopo aveva fatto un’altro bambino con un altro uomo. Il nuovo compagno di sua madre era un brav’uomo, anche se troppo più grande di lei, e Maddie le era molto affezzionata, quindi fu un altro duro colpo quando sua madre lasciò anche lui.
Sua madre era proprio un tipo da pontile... altro motivo per non andarvi. Raggiunse un bar malmesso, un po come il Black ship, e decise di entrarvi. Era molto piccolo, e, dall’espressione che aveva messo su il barista, sembrava che lì non fosse mai entrata una ragazza.
Maddie si sedette al bancone guardandosi intorno. C’erano soltanto tre tavoli: uno era occupato da anziani che giocavano a carte, e gli altri due da un gruppetto di ragazzi dall’espressione non molto sveglia che parlavano sotto voce tra di loro. Quel posto era quasi inquietante.
-Cosa ti porto tesoro?-
-Un po di ispirazione, magari.-
-Mi dispiace dolcezza, abbiamo soltanto super alcolici.-
-E non è esattamente ciò che ti ho chesto?- sorrise la ragazza.
Il barista sorrise a sua volta. Nonostante non sembrava superare la trentina, gli rimanevano ben pochi capelli. Da adolescente non doveva esser stato un brutto ragazzo, ma adesso l’unica sensazione che poteva suscitare era un po’ di compassione.
-Posso sentirmi libero di portarti ciò che voglio?- le chiese il barista ammiccando.
-Puoi sentirti libero di portarmi del un gin tonic.-
-Perchè, ti senti..-
-No, non mi sento affatto supersonic, e comunque, amico, questa battuta era in voga negli anni novanta, cerca di aggiornare il repertorio.-
L’uomo si irrigidì all’istante, cominciando a trafficare con le bottiglie senza dire una parola. Maddie continuò a guardarsi intorno, aspettando il suo drink. Arrivò.
E poi ne arrivò un altro.
E un altro ancora.
Dopo il terzo la ragazza cominciò a vederci sfuocato, tanto da non distinguere bene il barista dal mobile che conteneva le bottiglie dietro di lui.
-Forse è meglio se non bevi altro.-
-Hey, io ti pago, tu mi servi!- sbiascicò offesa Maddie.
-Sei a piedi?-
Lei annuì sorridente.
-E non hai un ragazzo che ti possa venire a prendere?-
La ragazza divenne seria all’istante.
-Scusa, sono un idiota, se tu avessi un ragazzo non saresti qui a bere come una spugna...-
-Hai finito?-
-Scusa... Ti ha lasciato?-
-Cosa ti fa pensare che ne voglia parlare con te?-
-Sei mezza ubriaca e il locale è ormai vuoto, quindi non hai molte possibilià: o me o nessuno.-
Maddie si voltò per constatare che il bar era davvero vuoto. Guardò l’orologio: l’una. Questo significava che era lì da circa tre ore. Ma com’era possibile che avesse bevuto, in silenzio, per tre ore soltanto tre drink?!
-Non ho mai bevuto così lentamente...-
-Quando ci sono molte cose a cui pensare quando non si fa caso allo scorrere del tempo.-
-Sei un barista o un professore di lettere a Yale?-
-Decisamente un barista.-
-E allora dammi un altro gin tonic.. Giuro che è l’ultimo!- aggiunse ridendo alla fine, notando l’espressione di rimprovero dell’uomo.
-E tu cosa sei?-
-Cosa?-
-Intendo, che lavoro fai?-
-Oh, io suono, cioè, diciamo che mi diverto suonando. Non ci guadagno niente.-
-E come li guadagni i soldi?-
-Pulisco il bar sotto casa mia.- sbuffò la ragazza. Odiava tutto ciò che riguardasse mettere ordine, rammendare, spolverare: era completamente a suo agio nel caos della sua camera.
-Beh, allora i nostri lavori non sono poi tanto diversi! Che cosa suoni?-
-La chitarra.-
-E sei brava?-
Maddie alzò le spalle. Il quarto e ultimo gin tonic era pronto. Lo prese in mano e ne bevve metà in un solo sorso, storgendo la bocca: troppo gin e poco tonic. Ma in fondo, non importava più.
-Dovresti andarci piano.-
-Me ne vado.-
-Prima devi finire il drink, e soprattutto pagarmi.-
Maddie butto una banconota da venti dollari sul bancone.
-Bastano?-
-Precisamente quanto mi dovevi, ma il bicchiere devi lasciarmelo.-
La ragazza era già sulla soglia della porta e lo guardava con un’espressione non troppo sveglia.
-Te lo riporto domani, te lo giuro!-
Il barista la guardò sorridente, scuotendo la testa.
-Puoi tenerlo, non moriremo senza un bicchiere.-
-Grazie amico barista, non ti dimenticherò mai!-
-Questa è una bugia.-
E lo era, infatti quando, arrivata a casa, posò il bicchere sul tavolo, si chese come lo aveva ottenuto. Andò sul terrazzo per fumare, e, sedendosi sulle mattonelle scure, le scivolò dalla tasca il blocchetto che aveva rubato qualche ora prima giù da John. Sorrise vedendolo: sapeva cosa doveva fare.
 
La mattina dopo, Candy si spaventò terribilmente nel trovare il letto della coinquilina vuoto, ma lo spavento fu anche maggiore quando la trovò sdraiata in terra sul terrazzo senza segni di vita: ovviamente stava solo dormendo, ma si sa, quando una donna è presa dall’ansia, tende a vedere le cose peggiori. La svegliò, invitandola ad andare a dormire nel letto, sicuramente più comodo, e, mentre l’aiutava ad alzarsi, trovò per terra un blocchetto con scritte delle parole con una calligrafia incerta e tremante.
We used to play in the park
 Shining lights of black, dark car,
 Closed into our secret world
 There’s no key to get in no more,
 there’s no chance to get in no more”

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Capitolo 4
*** Arctic Monkeys ***


Erano ormai quasi venti minuti che Stevenson stava seduto al bar del Viper Room con il suo Ginger Ale ancora intatto tra le mani, in attesa dell’arrivo delle ragazze.
Erano le nove di sera, e fuori era pieno di ragazzi urlanti e accaldati che supplicavano urlando di entrare.
-Non dare il permesso ai bodyguard di far entrare nessuno finchè non arriva il gruppo d’apertura!- aveva esclamato il suo capo deciso,- E spera per te che siano in orario!- aveva aggiunto dopo un lento sorso di bourbon in tono minaccioso.
Trenta minuti e ancora niente, fino a che i ragazzi fuori scoppiarono in un boato, annunciando l’arrivo dei loro idoli musicale: gli Arctic Monkeys.
Stevenson si alzò, quasi inciampando nel gambi della sedie, e prese a trafficare nelle proprie tasche per cercare il telefono. Doveva assolutamente chiamare le ragazze.
Nel preciso momento in cui aveva finito di comporre il numero di Candy, due uomini alti, con indosso una t-shirt bianca con la scritta rossa “Staff”, si fecero spazio tra lafolla, facendo finalmente entrare i quattro ragazzi nel locale semi deserto, se non per il catering che stava ancora facendo gli ultimi accorgimenti.
-Pronto?-
-Muovetevi!- esclamò sotto voce l’uomo, per poi attaccarle il telefono in faccia. Si sistemò gli orli della giacca, prese un bel respiro e si diresse verso il gruppo a braccia aperte, in segno di benvenuto.
-Benvenuti al Viper Room, ragazzi! Io sono Richard Stevenson e sono a vostra completa disposizione!- esclamò esaltato.
I quattro ragazzi si guardarono sogghiganti, fino a che per primo Matt Helders non tese la mano a Stevenson per presentarsi, gesto che fu subito imitato dagli altri tre.
-Bene- sospirò l’uomo nervoso ed impaziente,- perchè non bevete qualcosa?- domandò, scrostandoli con lo sguardo verso il bar. I quattro sembrarono più che felici di accettare: tutti si sedettero al bancone, ordinando i propri drink.
-Dov’è l’altro gruppo?- domandò Nick O’Malley, ancora in attesa del proprio margarita.
-Oh, beh, si sono stati dei contrattempi... Sa come sono le donne!-
Matt per poco non si strozzò con la sua birra, e le facce di Jamie ed Alex testimoniarono il fatto che non erano stati informati.
-Donne?! Nessuno ha detto che a suonare prima di noi ci sarebbe stata una girl band!- esclamò Jamie scioccato, -Che figura ci facciamo a suonare dopo quattro ragazze che cantano una canzone su quanto è bello andare a fare shopping o organizzare pigiama party?!-
-A me non dispiace che ci siano ragazze.- sussurrò Matt sorridendo,-a patto che siano carine, si intende!-
La porta si aprì di scatto, facendo trasalire tutti. Delle voci e delle figure irruppero nella stanza.
-Ma che diavolo di musicista sei se non riesci a portarti dentro nemmeno il tuo strumento?!- esclamò Charlie, facendo il suo ingresso nella stanza: era più sobria rispetto al solito, più bella. Dopo di lei entrò un’ansimante Candy, che faceva forza sul carrello su cui era posizionata la batteria., cosa che richiedeva molta fatica per una ragazza mingherlina come lei.
-Scusami se ancora prima che cominci il concerto non ho rimorchiato un bodyguard che mi aiuti, come ha fatto tu!- esclamò Candy infuriata durante una breve pausa per rilassare i muscoli.
Nessuna della due ragazze si era accorta della presenza dei ragazzi nella stanza, che le osservavano divertiti.
-Beh,- sussurrò Matt ad Alex- carine sono carine, niente da dire.-
-Volete farla finita?- domandò Maddie con voce sfinita e nervosa, entrando nella stanza. Portava la chitarra appoggiata sulla spalla, come i vecchi vagabondi trasportavano i loro pochi indumenti in un sacchetto appeso ad un ramo, con una sigaretta accesa in bocca, cercando così di mascherare il nervosismo che ormai la possedeva da molte ore.
-Possibile che da quando siamo partite da casa non fate altro che litigare?! Io non so più cosa fare con voi due sembra quasi..-
E si bloccò. Erano lì, loro erano lì e non se ne era nemmeno resa conto. Loro erano li e l’avevano vista sgridare Candy e Charlie.
Rimase bloccata con lo sguardo che orbitava tra le quattro figure che la guardavano divertite, senza sapere dove fermarsi.
Quando le due amiche tentarono di capire che cosa l’avesse turbata a quel modo, anche loro assunsero più o meno la stessa espressione.
Fu Stevenson a salvare la situazione.
-Ecco le mie gioie! Ragazze, avanti venite, avvicinatevi! Voglio avere l’onore di presentarvi gli Arctic Monkeys, anche se credo che voi li consciate già anche troppo bene. Queste ragazze, miei cari, sono delle bombe, dei veri geni, sopattutto la nostra chitarrista, qui, che scrive dei testi niente male! Avvicinati, Maddie, tesoro.-
La ragazza non ebbe nemmeno la forza di volontà di ripetere per l’ennesima volta a Stevenson di non chiamarla tesoro. Si limitò a sorridere come un’ebete ai quattro ragazzi, senza riuscire a dire niente. A dir la verità, non era sicura di riuscire nemmeno a pensare.
Nel frattempo Charlie, al contrario dell’amica, aveva riacquistato tutta la sua sicurezza di gran donna di mondo.
-Io sono Charlie!- esclamò stringendo la mano ad ogni componente della band, -E’ davvero un’onore per un’americana come me avervi qui ragazzi!-
-Tu cosa suoni?- le chiese Matt, che ad ogni moina della ragazza, si faceva sempre più interessato.
-Il basso, ma canto anche insieme a Mads.- aggiunse indicando la ragazza che stava parlando fitto fitto con Stevenson.
-Dov’è finita la tua linguaccia, tesoro, perchè è questo il momento di tirarla fuori! Devi farti notare!-
-Dio, Stevenson, non chiamarmi tesoro! Devo farti un post-it e attaccartelo in fronte o pensi che il tuo cervellino statunitense sia in grado di reggere più di quattro informazioni diverse al mese?!-
-E’ questo di cui sto parlando! Questi ragazzi si dovranno ricordare di te come la ragazza che non lascia scampo a nessuno!-
-Non lascio scampo? Qui l’unica cosa che non lascio sono le parole.- sbuffò la ragazza ordinando un gin lemon, troppo presa dai suoi pensieri e dalle sue preoccupazioni per rendersi conto che Alex Turner era seduto pochi metri distante da lei mentre ascoltava la loro conversazione.
-Ma se ti blocchi anche solo se te li trovi davanti come puoi suonare sapendo che loro sono nella sala e che ti stanno ascoltando?-
-Mio caro amico, c’è un’unica, semplice e delizionsa soluzione a questo problema.-
-E sarebbe?-
Maddie pose ad altezza occhi il proprio bicchiere per far notare il contenuto all’uomo: era pieno per metà. Prese un lungo respiro e buttò giù il contenuto tutto d’un fiato. Sbattè il bicchiere sul tavolo, sorridendo.
-Di solito prima si diventa rock star e poi ci si distrugge il fegato.-
La ragazza sorrise mentre ne ordinava un altro.-Mi piace spezzare i luoghi comuni.-
Alex sorrise divertito, cercando di non farsi notare per non interrompere lo scambio di battute.
-Mads, sei pronta?-
-Pronta per cosa?-
-Per fare i biscotti! Secondo te per cosa? Vado a dire ai bodyguard di comnciare a far entrare gente, tra mezz’ora salirete sul palco. Hai le quattro canzoni vero?-
Maddie si bloccò con il bicchiere sospeso per aria e un’espressione tutt’altro che intelligente stampata in faccia.
Ovviamente non le aveva. Ne avevano scritta soltanto una, impresa non facile di per sè. Ma che cosa avrebbe potuto dire? Come avrebbe potuto tradire la fiducia di quel pover’uomo? C’era solo un modo per venirne a capo: mentire.
-Tranquillo amico, tutto sotto controllo!-
Aspettò che l’uomo si allontanasse di qualche metro per aggiungere – Se per ‘sotto controllo’ intendi ‘una merda totale’!-
-Non dovresti raccontare cazzate al tuo manager, in fondo soltanto lui ti può aiutare.- commentò una voce profonda alla sua destra: era seduta a pochi metri da Alex Turner e non se ne era nemmeno accorta. Si irrigidì di colpo.
-Lui non è il nostro manager.-
-E dov’è il vostro manager?-
-Non ce l’abbiamo, insomma, non ancora, ma visto come si prospetta la serata non ce l’avremo ancora per molto.-
-Ragazzi, andate nel backstage!- gridò uno dei bodyguard a tutto fiato per poter essere ben udito da tutti.
I due si alzarono contemporaneamente.
-Non dire così! E’ la vostra prima esibizione pubblica?-
-Più o meno, non abbiamo mai suonato davanti a così tante persone.-
-Sono sicuro che andrà tutto bene! Quante canzoni avete?-
-... Due.-
-Cazzo.-
Maddie lo guardò storto.
-Non sei d’aiuto.-
-Ma posso esserlo.- commentò sorridendo il ragazzo.
-Puoi?-
Camminando verso il backstage, mentre Alex le illustrava il suo piano, Maddie capì che per diventare una band di successo non bastano il talento e molti fan, ma è fondamentale essere maestri della nobile arte del raggiro.
 
Candy fu la prima a salire sul palco.
Si era aspettata che sarebbe stata agitata, insomma, un po’ lo era sempre prima di suonare in pubblico; a volte, lo era anche quando il pubblico era costituito soltanto da John.
Prese un lungo respiro, afferrò le bacchette e diede qualche colpetto energico alla batteria. Il pubblicò esplose negli applausi.
Nel frattempo Maddie e Charlie avevano a loro volta raggiunto la loro amica, camminando fianco a fianco. Si sistemarono davanti ai due microfoni appositamente sistemati sul palco, facendo gli ultimi accorgimenti agli strumenti.
Era compito di Maddie rompere il ghiaccio. Nessuna delle tre ragazze l’aveva mai specificato, ma soltanto perchè non ce n’era bisogno: era sempre lei ad avere la prima e l’ultima parola.
La ragazza, con tutto il coraggio e la forza di volontà che riuscì ad accumulare nei pochi secondi in cui la sua mente si concentrò sul microfono, si fece avanti.
-Buonasera Los Angeles.- Grida e applausi.- Noi... Noi siamo un gruppo! Beh, si, questo era piuttosto ovvio, a meno che non fossimo dei mimi che tentano di mimare un gruppo, ma se lo fossimo saremmo dei pessimi mimi, perchè, insomma... i mimi non parlano.-
Nella sala calò il silenzio, e l’unica parola che riuscì ad orbitare nella mente di Maddie fu: “Cazzo”.
Si voltò verso Charlie, cercando un appoggio, e trovò l’amica che la guardava allibita. Maddie gli Lanciò un’occhiata supplicevole, che quella colse al volo.
-Siamo The Stone Cross, la mia amica è una gran simpaticona e questa canzone si chiama ‘Nothing to fear’!-
Maddie riprese il controllo, cominciando con i primi accordi, subito seguiti dal basso, e infine dai potenti e decisi colpi delle bacchette sulla batteria. Il pubblico in pochi secondi riprese vita e cominciò a saltare e a muoversi sulle note della canzone che sembrava apprezzare.
Finita la prima canzone Maddie prese un lungo sospiro e cominciò con le prime note di ‘Write it down’, intonando le parole al meglio che poteva: stonò un paio di volte, come era suo solito fare, ma per il resto andò piuttosto bene, o, per lo meno, il pubblicò sembrò apprezzare.
Ma era arrivato il momento di mettere in atto il piano. Appena prima della fine della canzone, la ragazza battè il piede con energia sul palco: era il segnale.
Da dietro le quinte Alex capì che era arrivato il suo momento. Si guardò intorno per assicurarsi che nessuno lo stesse osservando: i ragazzi stavano bevendo e tutti gli altri erano ancora presi dalla canzone che stava finendo. Si spostò furtivamente vicino alle prese che minitoravano gli amplificatori: con un colpo deciso diede loro un calco.
Un boato e poi il nulla.
Una valanga di fischi inondarono la sala.
-Ma che diavolo è successo?- sbottò infuriato Stevenson, emergendo dalla stanza accanto.
Il ragazzo si apprestò a spostarsi dal ‘luogo del misfatto’.
-Non ne ho idea, signor Stevenson,- borbottò nervoso un tecnico – Prima tutto funzionava perfettamente, e adesso... puff!-
-E adesso puff? Ti faccio fare io ‘puff’ se non scopri cos’è successo, pezzo di idiota!-
-Hey, Stewie, linguaggio!- sentenziò Maddie entrando nel backstage.
-Che diavolo ci fate qui? Tornate sul palco!-
-A fare cosa? Le belle statuine?- sospirò Charlie aprendo una lattina di birra – E’ saltato tutto.-
-Oh, grazie Charlie, la tua capacità deduttiva mi aprirà ogni porta!- ironizzò l’uomo mentre perdeva ogni briciolo di autocontrollo.
-Hey, amico,- intervenne Alex per finire il suo compito – non ti preoccupare, i tecnici risolveranno tutto, e quando gli amplificatori funzioneranno di nuovo, suoneremo noi. Non vogliamo perdere altro tempo. Sempre che a voi non dispiaccia ragazze.- aggiunse, strizzando l’occhia a Maddie.
-Come vuoi.- sbuffò l’uomo, dirgendosi a scaricare tutta la sua rabbia sui tecnici che stavano cercando di aggiustare la spina, ormai spezzata.
Maddie prese un lungo sorso di birra dalla lattina dell’amica, alimentata dal suo desiderio di ebrezza.
-E’ un vero peccato!- esclamò Matt avvicinandosi a Charlie – Eravate davvero brave, soprattutto tu Charlie, con quel basso fai miracoli!-
-Non solo con quel basso.- aggiunse la ragazza, stampandosi un sorriso sornione sul volto.
Maddie e Candy si lanciarono un’occhiata eloquente.
Alex si sedette sul tavolo, accanto a Maddie.
-Sono stato bravo?- sussurrò per non farsi sentire.
-Sei stato a dir poco perfetto.-
-E’ un peccato però.-
-Cosa?-
-Che non aveste altre canzoni: siete davvero brave.-
Maddie sorrise imbarazzata. Alex Turner, il suo idolo musicale da quando aveva cominciato a capirci qualcosa di musica, le aveva fatto un complimento, e l’unica cosa che lei riusciva a fare era arrossire e sorridere come una demente.
-‘Write it down’ mi è piaciuta particolarmente.-
-Avevo molta ispirazione.-
-Io lo chiamerei talento.-
-E io chiamerei alcol quello che ti fa parlare.-
Si sorrisero divertiti, fino a che la band non venne chiamata: erano finalmente riusciti a riparare il danno.
Mentre guardavano i ragazzi sistemarsi sul palco, Charlie si avvicinò all’amica.
-E così hai fatto amicizia con Turner!-
-Beh, direi che sei tu quella che ha fatto colpo.- osservò Maddie.
-Beh, è Matt Helders, non posso farmi scappare quest’occasione!-
-Non è che fin’ora tu te ne sia fatte scappare molte.-
-Non è carino dire certe cose!- obbiettò Charlie ridendo – E comunque è adorabile!-
Le tre ragazze si sedettero sul tavolo, bevendo e godendosi il concerto al quale erano sempre volute andare, senza litigi, come persone normali. I rari momenti della vita.

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