That Smile When You Tore Me Apart

di schwarzlight
(/viewuser.php?uid=91417)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. That smile when you tore me apart ***
Capitolo 2: *** II. Down the Rift, Beyond the Darkness ***



Capitolo 1
*** I. That smile when you tore me apart ***


that smile - cap. 1 Piccola nota: questa storia si ispira al bando del concorso [Original Malefica 1] L'ala e... il Gatto, di Eylis. Tutta la storia gira attorno al numero 7: la lunghezza deve essere di 7777 parole, sette capitoli, sette personaggi e da sceglier sette elementi fra quelli elencati.
Sono stata così furba da no riuscire a consegnare in tempo, sbagliando la data di consegna, e quindi sono finita fuori concorso X°D
Buona lettura!

Lunghezza:  7777 parole, sette capitoli
Genere: nonsense (più avanti), dark, sovrannaturale
Avvertimenti: non per stomaci delicati.
Rating: arancione.
Personaggi: Lei, Lui, il Gatto, la Ballerina, il Demone, il Sussurro e il Tamburello.   
Elementi malefici scelti: fessura, ferita, arabesco, catena, velo, tamburello, foglia.
Credits: il titolo è preso da una frase di una canzone dei Within Temptation, Angels.
Note dell'autore: sono in vena di cose vagamente psycho e dalle atmosfere tetre e buie. L’avviso non per stomaci delicati è messo lì più per precauzione che per altro, essendoci un po’ di sangue in giro.
Il titolo del primo capitolo coincide con quello della storia e ha sette parole. Che man mano diventano sempre meno, come un conto alla rovescia. Sempre a proposito dei capitoli, sono numerati in modo scombinato apposta, indicando, in qualche modo, la successione temporale degli eventi. Spero non sia troppo confusionario.







THAT SMILE WHEN YOU TORE ME APART







I. That smile when you tore me apart





Sorrideva.
Costantemente, impunemente. Continuava a sorriderle mentre le si mozzava il respiro, mentre le acute stilettate di dolore le impedivano perfino di urlare.
Annaspava fra le sue braccia, artigliandogli la schiena e le spalle mentre lui continuava a stringerla a sé, a lacerarla. La sua espressione rimase imperturbabile quando il sangue di lei gli imbrattò le braccia, schizzando sul pavimento e tingendolo di un rosso cupo e violento. Rimase imperturbabile di fronte agli occhi terrorizzati della ragazza e al rumore viscido della carne strappata.
La osservò tentare di liberarsi dalla sua presa, sgranare gli occhi al sordo spezzarsi dell’osso, accasciarsi quasi esanime ai suoi piedi, rotta, incapace di sopportare oltre.
E sorrideva.

La guardava compiaciuto mentre rantolava a terra, agonizzando per la ferita subita, sempre con quel suo sorriso vagamente accondiscendente, vagamente comprensivo e crudele, mentre la sua mano ancora stringeva convulsamente un’ala bianca imbrattata di sangue.
Lasciò cadere a terra il suo trofeo e le si avvicinò, inginocchiandosi al suo fianco e sovrastandola appoggiando il proprio peso sulle mani, poste a sfiorare le spalle della ragazza.
Una grande crepa sul soffitto roccioso procurava all’ambiente l’unica luce e allo stesso tempo rappresentava l’unica entrata e l’unica uscita di quel regno buio e martoriato. E quella luce, quella stessa luce in cui era vissuta fino a quel momento, ora appariva malevola, mentre eclissata dal volto di lui gli avvolgeva la nuca quasi fosse un’aureola.

Bugiarda.

Tremava per gli spasmi e per il terrore, per l’ansia e il tradimento subito. Voleva scrutare la sua espressione, ma allo stesso tempo non voleva rivedere quel sorriso così contrastante con ciò che aveva fatto. Così beffardo. Così frustrante.
Così soddisfatto.
Scorgeva solo il lieve baluginio degli occhi, forse l’unico particolare che rivelava la sua vera natura, mentre tutto il resto si fondeva con l’oscurità.

Falso.

Anche così andava bene. Anche così era bella.
Le sfiorò il collo, immergendo le dita nei capelli mogano che riflettevano il buio della grotta e l’afferrò per la nuca, sollevandole il viso all’altezza del suo. La baciò con irruenza.
Un bacio violento, velenoso, avido.
Lei non riusciva a ribellarsi, non poteva ribellarsi. Non aveva più forze nemmeno per una lacrima, e lo lasciò fare, rinunciando a graffiargli le braccia e ferirgli le labbra.
Si spostò sul collo, affondando violentemente i denti, e le sfiorò l’orecchio con quella sua voce penetrante e dolorosa.

“E ora vattene, se ti riesce.”

Lo vide sorriderle ancora una volta, raccogliere l’ala da lui stesso tranciata e voltarle le spalle, scomparendo inghiottito dal nulla. O forse era solo la sua vista che si stava annebbiando.
Ormai non sentiva più nemmeno il dolore.
Rinunciò a tentare di seguirlo con gli occhi, e tornò a fissare quella beffarda crepa sul soffitto. Era così vicina, l’uscita.
Era così vicina, e così inaccessibile.

Faceva così… male.

Chiuse gli occhi, sprofondò nel sonno.
Rimase lì, sfinita dall’agonia, il sangue che continuava ad allargarsi in una macchia scura e densa, il collo squarciato, piume strappate riverse ai suoi piedi, i capelli sparpagliati attorno al capo come un’oscura corona.
Il suo calore ancora addosso, la sua violenza ancora nell’aria.

Era in fondo a un crepaccio, illuminato dal sole invernale, che l’angelo da un’ala sola giaceva inerte.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** II. Down the Rift, Beyond the Darkness ***


that smile - cap. 2
II. Down the Rift, Beyond the Darkness





Perché si trovava lì?

“Uno, due, tre…”

Quant’era che si trovava lì?

“Via!”
“Correte, correte!”
“Non barare tu!”

Sentiva freddo. Dov’era la sensazione di calore sulla pelle, quella che donava il sole?

“Ecco, qui è perfetto. …Eh? C’è qualcuno?”

Anche l’aria era diversa. Un odore stagnante, di umidità e… ferro.

“Sei anche tu un cherubino? Come ti chiami?”
“Io non ho nome.”
“Come non hai un nome?”
“Io porto la luce.”




Aprì gli occhi a fatica. Non c’era più la calda luce solare a riflettersi sulla sua pelle, bensì quella argentea e docile della luna.
Ma in fondo non le importava molto.

Provò a muovere piano le dita, intorpidite dal freddo. Quanto tempo era passato? Un giorno? Due? O forse solo qualche ora.
Ma, di nuovo, non era affatto rilevante.

Tese la mano di fronte a sé, il sangue incrostato che non voleva venir via.
Era fastidioso, ma poteva ignorarlo.
Provò ad alzarsi. Appena fece forza sulle braccia, però, ecco che una fitta lacerante la fece crollare di nuovo a terra, costringendola a soffocare un grido per l’intenso dolore. Se ne era quasi dimenticata; la sua ala sinistra non c’era più. Come avrebbe fatto ora? Doveva tornare in superficie, in qualche modo, ma così era semplicemente impossibile.
E se non fosse tornata… l’avrebbero cercata?

…Perché ne dubitava?

Chiuse nuovamente gli occhi. Era impossibile per lei andarsene, impossibile. Tanto valeva rassegnarsi e morire lì, sotto il cielo stellato, con l’illusione di trovarsi ancora all’aperto, in balìa della brezza.
Chiuse gli occhi.

“Allora sei L-”




Un tocco fresco, delicato, fragile.
Per la seconda volta, l’angelo si svegliò dal suo torpore, per scoprire come il cielo fosse grigio e estraneo, ancor più di quanto ricordasse dall’ultima volta. A riportarla alla realtà era stata una foglia, prematuramente staccatasi dal proprio ramo e trasportata dal vento per chissà quante miglia, prima che cessasse di sostenerla causandone la caduta nel crepaccio. La prese in mano, attenta a non rovinarla, e la osservò con avidità.
Una foglia ancora verde, ancora giovane, che le si era posata sul petto partecipe del suo stesso abbandono.
Una foglia, un rimasuglio di vita, un memento della natura.

D’improvviso, si fece forte in lei il desiderio di tornare alla luce, di uscire.
Non volevano venire a prenderla? Ebbene, se la sarebbe cavata da sola.
Si trascinò a fatica sui gomiti verso una sporgenza rocciosa della parete, scivolando via dal pallido squarcio di luce gettato dalla crepa sotto la quale aveva giaciuto così a lungo. Con uno sforzo non indifferente riuscì ad alzare entrambe le braccia e ad aggrapparsi alla pietra, sollevandosi lentamente e barcollando incerta prima di riacquisire un certo equilibrio.
Si guardò attorno, ancora appoggiata al suo sostegno, e ironicamente le parve di vedere più dall’ombra che non dalla zona illuminata.
Si chiese se ciò valeva anche per tutto il resto.
Scosse la testa ignorando quel principio di pensiero blasfemo, e cercò di distrarsi studiando l’ambiente circostante. Non che ci fosse poi molto da constatare.
Era una profonda grotta, buia e opprimente, seppur spaziosa. Non c’era altro che roccia e polvere, niente vegetazione, niente vita, niente. Niente.
Una chiazza scura al centro.
L’ombra di un ricordo che la travolse.

Il suo sorriso mentre le strappava la libertà.
La sua voce che la perseguitava.

“E ora vattene, se ti riesce.”

Era sempre stata così, la sua voce?

“E ora vattene.”

Se ne sarebbe andata.
Se ne sarebbe andata da lì, l’avrebbe seguito fin nelle viscere del suo regno marcio e si sarebbe ripresa la sua ala. E si sarebbe vendicata.
Oh, sì, si sarebbe vendicata eccome. Gli avrebbe fatto provare la stessa umiliazione, lo stesso senso di impotenza che aveva dovuto subire lei. Lo stesso dolore.
La stessa delusione.

“Perché, tu puoi ferirmi? Puoi fermarmi?”

Si bloccò.
Non doveva, non doveva assolutamente pensare cose simili, era sbagliato. Era peccato.

“Catturate il traditore!”

Si raddrizzò dalla postura curva che aveva assunto, e cercò il punto in cui l’aveva visto scomparire. Sempre appoggiandosi alla parete cominciò ad avanzare, dapprima lentamente, poi, acquistando sicurezza, riuscì a reggersi da sola. Il dolore non lo sentiva più come in principio, era relativamente sopportabile.
Scalciò le sue piume, calpestò il suo stesso sangue e si diresse nel buio, senza timore, senza remore.

“Sai, a volte credo che tutto ciò sia sbagliato. Forse non siamo poi così nel giusto.”

Si fermò al limite dell’ambiente visibile, oltre quell’inesistente linea di confine era tutto un nebuloso grumo di nulla. Riusciva vagamente ad avvertire la sua presenza, oltre quel muro d’oscurità. Una volta ne era spaventata, temeva l’ignoto di altri mondi, di altre vite, più di ogni altra cosa. Ma non si sarebbe tirata indietro. Non quella volta.

“Vieni con me.”
“… no.”

Mosse un passo in avanti. Stavolta l’avrebbe seguito.
Avanzò nel buio, e il buio la inghiottì.












Buonsalve, grazie per aver letto That Smile ecc ecc. Ma perché ho scelto un titolo così lungo, poi.
Scusate l'avanzamento lento degli aggiornamenti ma purtroppo sono fatta così. Quindi abbiate pazienza, vi prego =)
Mi scuso anche del fatto che questo capitolo è schifosamente lento e più introspettivo di quanto non volessi, ma in fondo la nostra cara angelo è ancora da sola... e non ho intenzione di farla parlare con i funghi, no, no.
Sarebbe divertente però.

Una piccola precisione: ho cambiato idea sulla questione della numerazione dei capitoli a cui ho accennato nelle note del primo. Non funzionava bene, non mi piaceva troppo l'effetto finale u_ù

Detto questo vi ringrazio nuovamente per seguire questa mia storia, e in particolare ringrazio quelle due care ragazze che sono Necrysia Noctis e TuttaColpaDelCielo, che mi hanno lasciato due splendide recensioni nel primo capitolo! <3
Vi voglio tanto bene ;w; (sì, mi esaltano certe cose '-')

Al prossimo aggiornamento!=D

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1014308