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I
minuti non passavano e io ero seduto su
quella sedia da troppo tempo.
Perché ci mettevano tanto?
Doveva essere solo un semplice controllo;
Madeline aveva avuto le solite contrazioni forti e decise, ma nulla di
allarmante. Eppure mi sentivo incatenato a quella sedia, decisamente
nervoso e
con la sola voglia pulsante di rivederla.
“Signor Moore?”
Mi alzai di scatto, vedendo il Dottor
Smith venirmi incontro.
“Come sta?”
Il suo sguardo mi raggelò.
“Dobbiamo tentare subito un taglio
cesareo; il
bambino sta
soffocando.”
Cosa? Com'era possibile?
“Dottore, Mad è appena entrata nel
settimo mese. Sarebbe una follia!”
Lui posò con forza una mano sulla mia spalla, cercando
di farmi
ritornare lucido.
“Ragazzo, dobbiamo farlo. Ne va della vita di
entrambi.”
Sprofondai così di nuovo su quella
maledetta sedia, sentendo il vuoto pervadermi i sensi e il buio
trascinarmi via
con sé.
***
Quattro anni dopo
“Papà, muoviti!”
Mi rigirai nel letto, sbadigliando con
forza.
“Lily sono appena le sette. Dove pensi di
andare?”
Ovviamente le mie parole si dispersero
nel vento, perché quell'uragano mi si lanciò
addosso armato di broncio e occhi
lucidi.
“Perché? Mi chiedi il perché? Oggi
c'è la
gita! Io devo essere puntuale, capisci? Se no mi fanno sedere conLucas-il-Puzzonee io
non voglio. Non lo voglio
proprio! E' cattivo, puzza e mi tira sempre i capelli.”
Sorrisi, accarezzando il suo viso con
lentezza.
Era una vera tentatrice, non c'era
dubbio. Sapeva subito come farmi intenerire e perdere il minimo di
autocontrollo richiesto al mio ruolo di padre. Padre.
Io, Nicholas Moore ero un padre di soli 23 anni.
La vita era davvero strana. Solo a
ripensarci mi veniva da sorridere.
Quando ero una giovane promessa del baseball, la vita era decisamente
più
semplice e meno stressante. Uscire a bere con i ragazzi, avere una
ragazza a
sera e studiare giusto per potermi permettere gli allentamenti
interminabili di
Mr Jackson. Questo contava.
Eppure la vita cambia e si evolve sotto
ai nostri occhi senza seguire i comandi che le impartiamo.
Ero solo un ragazzino che voleva vivere
la vita come i miei coetanei, con le gioie e le piccole amarezze
tipiche
dell'adolescenza.Non
speravo
nell'amore a prima vista, non credevo di avere la maturità
necessaria di
innamorarmi.
E poi, a dirla tutta, non credevo nemmeno di avere la forza di
immergermi nel
mondo dei pannolini, liofilizzati, latte in polvere e notti insonni.
Ma la vita è una ruota che gira in continuazione e noi siamo
solamente un
piccolo ingranaggio di essa. Se noi ci fermiamo, lei
continuerà comunque a
proseguire nel suo cammino prestabilito.
Noi siamo solo una piccola e minuscola
parte di tutto.
Mentre mi alzavo, nonostante mancassero due ore al ritrovo davanti
all'asilo,
la mia mente si perse nei ricordi.
Una settimana e Lilian avrebbe compiuto 4
anni.
Una settimana e il mio cuore sarebbe
morto di nuovo, per poi rinascere il giorno seguente.
Sarebbe morto ancora, come fece allora quello di Madeline.
***
“Mad, forza! Stringi i denti.” La
mia mano era salda, il mio respiro
duro e le mie parole dolci come non lo erano mai state.
I suoi profondi occhi nocciola, non
mollarono per un attimo il mio volto e sigillarono per sempre la sua
immagine
stravolta e stanca nella mia memoria.
“Nick... Nick, non ce la faccio.”
Le parole dei medici, il suono dei
macchinari e le mie gambe tremolanti : non li sentii neppure.Il mio
unico pensiero era stare lì con
Madeline ed affiancarla nella nascita del nostro bambino.
Perché era così pallida?
Sentivo la mente pulsare all'unisono con
il cuore e pensavo solamente ad una cosa:devo
aiutarla. Devo salvare entrambi. Mi
inginocchiai e continuai ad accarezzarla
e a confortarla.
“Nick, salvala.”
Corrugai la fronte, non riuscendo a
capire.
“Mad ma cosa stai dicendo? Stai
tranquilla, continua a spingere e a respirare come facciamo sempre al
corso.
Forza! Uno...Due...”
Lei abbassò il mio viso con due dita,
costringendomi a guardarla dritto negli occhi.
“N-Nick.. Salva la nostra bimba, sarà bellissima.
Fai il bravo e...”
La vidi contrarre il collo e la mandibola
per qualche secondo.
In sotto fondo, unbipritmico
continuava a stordirmi insieme alle voci dei
medici. “La
stiamo perdendo! Spinga, Madeline!
Spinga!”
Il mio viso era imperlato di sudore e
forse anche di lacrime.
Perché piangevo? Cosa stava accadendo?
Perché ero l'unico a non capirlo?
“Nick.”
Il mio pensiero tornò a lei, al mio
piccolo angelo custode.
“Mad, non voglio sentire altre cazzate.
Continua a spingere. Farlo per me e farlo per lui.”Lei non mi
ascoltò, sembrava che non mi vedesse neppure.Era
come se fosse già lontana anni
luce da me.
“Sarà una bambina, Nick. Lo sento con
chiarezza. Sarà una bellissima principessa, vedrai... Tu
invece, sei stato
fantastico. Sempre. Ti ho amato molto, nonostante le
difficoltà. Diventa
qualcuno, Nick. Diventa un uomo... E ama. No-non... Non smettere mai di
amare.”
La sua mano abbandonò la mia e il suo
viso si spense proprio quando delle urla forti e acute mi penerarono
nell'anima.
Era il mio cuore?
Era la mia voce?
No, in quel momento vedevo solo le mie
lacrime macchiare il lenzuolo bianco e la voce di mia figlia risuonare
fin
dentro la mia mente.
Da lì in poi, avrei iniziato il lungo e
tortuoso cammino della vita.
Da lì in poi sarei diventato un uomo; un vero uomo.
***
Giravo distrattamente il mio caffè,
perdendomi nel flusso frenetico dei miei pensieri.
Non mi capitava mai, non ero un tipo malinconico o emotivo,
però esistevano
giorni in cui il passato veniva a trovarmi all’improvviso e
mi rubava quel
sorriso che ostentavo sempre con disinvoltura davanti agli altri.
Non ero un tipo sentimentale e forse non
lo sarei mai stato.Faticavo
da
sempre ad esprimere le mie emozioni e a lasciarmi guidare da esse.
Però… Però
il cuore non è possibile fermarlo o farlo tacere.
Per quanto amassi da sempre la logica, la
strategia e gli schemi d’attacco: il cuore aveva avuto la
meglio su di me.
All’epoca, mi ero innamorato follemente
di una ragazza dolcissima che aveva saputo catturarmi ogni singolo
giorno, come la prima volta.
Madeline era capo redattrice nel nostro
liceo ed io ero solo uno dei tanti atleti della squadra di baseball.
No, forse non ero uno dei tanti. Ancora
adesso, tra le coppe della scuola e le vecchie foto, compare il mio
nome ed il
mio volto.
Nicholas Moore, capitano indiscusso dei
giovaniLionsfin dal
secondo anno di liceo.
Per tre anni della mia vita ero stato trattato come un Dio da tutti. Le
ragazze
mi adoravano, gli amici si moltiplicavano dopo ogni partita vinta e io
ero uno
di quei ragazzi con la testa sulle nuvole, ma felice e appagato dei
giorni che
la vita gli donava.
Madeline... Madeline era diversa. Era
l’acqua fresca, ma incredibilmente calma, che ristabiliva
l’ordine dentro il
mio cervello incasinato dagli ormoni.
Era bellissima, intelligente e troppo
distante anni luce da uno come me; da uno che rincorreva palle
difficili, si
buttava su ogni ragazza carina e finiva ad ubriacarsi nei pub con gli
amici un
sabato sera sì e l’altro pure.
Ero un ragazzo, ecco tutto.
Vivevo alla giornata e speravo di entrare
a Stanford per diventare qualcuno nella vita.
Ma il destino ci frega in ogni momento. Ci regala felicità
immediate, per
alleggerire il sapore amaro delle delusioni future.
Io però, non rimpiango niente.
Non rimpiango la mia dichiarazione
strampalata, nella segreteria scolastica.
Non rimpiango ilsìsussurrato
di Mad quando aveva
realizzato le mie parole.
E non rimpiango di averla amata talmente tanto d’ aver avuto
una piccola e
dolce figlia con lei.
Fare l’amore con Madeline, non fu mai un
errore.Mai.
Lilian è arrivata nelle nostre vite con
fin troppa velocità e io ero troppo piccolo e troppo
immaturo, per capire
davvero cosa volesse dire avere un figlio d’accudire.
Mad mi ha abbandonato all’inizio del cammino e… E
la depressione, la voglia di
ubriacarmi e di dimenticarmi tutto aveva preso la meglio.
Fortunatamente - pensai stringendo tra le
mani una manina di Lily - non avevo mollato.
Ero diventato un uomo; nonostante tutto.
E in quel momento, nella nostra piccola
ma accogliente cucina, mi sentivo un uomo felice con il mondo tra le
proprie
mani.
L’amore?
Io avevo già qualcuno da amare con tutto me stesso.
L’unico amore della mia vita era lei :
quel mostriciattolo biondo dagli occhi turchini che mi sorrideva
felice,
regalandomi il paradiso.
____________________
Jé’s
thoughts
Vi
ringrazio per essere arrivate fin qui.
Un’altra avventura ha preso vita dalla mia mente e
ovviamente, se non c’era
anche lo zampino della follia, non potevo essere davvero contenta!
Et
voilà : una storia a quattro mani con
la mia compagna di banco, compagna di cavolate, compagna di tante cose
:) Per
scrivere insieme ci vuole feeling, e chi meglio di lei potevo chiedere? Eccovi
spiegato il motivo di un’altra mia
storia e mi spiace davvero rompervi sempre l’anima. L’unica
cosa che posso dire è che Nick è
nato nella mia mente dopo aver visto un video e ne sono rimasta
affascinata.
Non sarà una storia d’amore struggente, mi spiace. Ci
sarà vita vera, con i suoi vari problemi. Nick
non si innamorerà facilmente,
purtroppo ha sofferto molto ed è cambiato tanto in questi
ultimi anni. Posso
solo dirvi che ha 23 anni solo
all’anagrafe, mentalmente è molto più
maturo (troppo forse). Il
volto di Zac Efron, come avete potuto
vedere dal banner, è stato scelto dalla mia mente malata,
perché sono fissata
conHo
Cercato il tuo Nome. Niente,
lascio la parola a Giulia. Un
bacio enorme, ragazze. Grazie
di tutto <3
Giuliet’s
Thoughts
Zac
mette tutte d’accordo baby, a me
piaceva già da quando faceva HSM sei tu che avevi un
conflitto con lui prima xD
Comunque… Grazie della parola mia cara
folle! -ora
vado in panico
visto che di solito non sono una donna dai molti commenti post capitolo
xD- A
parte gli scherzi, voglio ringraziare
davvero chi si è soffermato a leggere questa storia e spero
che le nostre
parole abbiano trasmesso almeno un po’.. questa storia
è nata da poco, ma io la
sento già viva e forte nella mia testa.
Jé è stata davvero una bella idea la
tua! Coinvolgermi, intendo! Detto
questo ringrazio tutte in
anticipo, un bacione a tutte.
<3
"Davvero
papà, era orribile! Continuava a tirare la coda a quel
povero micino per farmi cedere."
Lily strinse con forza il pugno, riprendendomi poi per mano con l'altra
manina libera.
Anche quel giorno, il povero Lucas-il-puzzone aveva fallito
clamorosamente.
"Lily, non essere così critica. Voleva solo impressionarti."
I suoi occhioni azzurri mi guardarono con stizza, prima di abbandonare
il mio viso per concentrarsi sulle vetrine al nostro fianco.
Tornò a riguardarmi con tanto di muso ben pronunciato e aria
scocciata da prima donna.
"Papà, lasciatelo dire... Voi uomini non capite un fico
secco di
queste cose! Quello stupido faceva lo sbruffone solo per farmi
arrabbiare e basta. Non mi interessa, se lui ha la forza come
Hulk! E poi Hulk è pure verde e brutto! Se fosse
come il
principe di Biancaneve o di Cenerentola, potrei davvero fare
amicizia con lui. Ma visto che è brutto e puzza, non ci
penso
proprio!"
Finsi di offendermi, fermandomi di scatto sul marciapiede.
"Quindi a me non mi vuoi più come principe azzurro?"
La piccola mi guardò con stupore.
"Cosa? Ma papà..."
Mi abbassai per tuffarmi tra le sua braccine che - proprio in
quel
momento - si erano aperte per rincuorarmi e consolarmi, come
se
fossi io il figlio e lei la madre.
Le braccia di Lily.
Quelle braccia che mi avevano letteralmente salvato dalla pazzia. *** 4 anni prima
"PIANGI? CHE CAZZO PIANGI? Santo cielo!"
Ritornai a mettermi le mani nei capelli, tirando le ciocche con forza e
chiudendo gli occhi per immergermi nel buio della mia mente.
Urla, strilli, pianti.
Quell'essere non riusciva a rimanere tranquillo per più di
due
ore che, come una sveglia, riprendeva subito con pianti
distruggi-nervi.
Non ce la facevo più! Chi cazzo me lo faceva fare?
Chi?
Quella stronza di Mad che mi ha lasciato da solo?
Io ho 19 anni, porca puttana! E' sabato sera e dovrei starmene fuori
con i miei amici.. Sì, fanculo. Bella vita che mi sono
scelto.
"Smettila!"
Mi alzai di scatto, sporgendomi verso la piccola culla.
Quelle mani piccole, quelle guance rigate di lacrime, quegli occhi
identici ai miei.
"Aaaah! Ok, ok; vieni qui."
Appena toccai la sua pelle fresca e morbida, le urla si spensero e io
mi rilassai all'istante.
Il suo corpo contro il mio petto, il suo cuore legato al mio, il suo
sguardo così profondo.
Quell'attimo fu eterno.
Rimanemmo in silenzio a guardarci a vicenda, a scrutare le nostre anime
ferite e rattoppate malamente.
E poi tutto cambiò, tutto cominciò a risplendere
tra le lacrime.
Lily mi abbracciò, forse inconsciamente o forse per un
riflesso
involontario. Ma quando ritrovai le sua mani sul mio petto, capii che
tutto quello aveva un senso.
Tutto quello era vita.
Tutto quello era Nick e Lily. *** "Papà! Papà, mi stai soffocandooo!"
Ritornai al presente e rilassai le braccia. Povera Lily, l'avevo
stritolata senza rendermene conto.
"Allora sono ancora il tuo principe preferito?"
Lei mi guardò, sorridendo felice e accarezzandomi il viso.
"Certo, papà. Ora voglio fare merenda."
La presi in spalletta e ci dirigemmo così verso la
gelateria.
Ormai mancava davvero poco all'estate; il cielo limpido e le nuvole
bianche e fumose non smettevano di ricordarmelo.
Adoravo l'estate. Adoravo sentire il sole sulla pelle, il vento tra i
capelli e l'odore di salsedine impregnarmi i polmoni.
Come ogni anno, anche quell'estate sarebbe stata fantastica per me e
Lily. I miei genitori avevano una seconda casa poco lontano da Boston,
vicino al mare e in un posto divertente e tranquillo.
Io e la piccola avevamo trovato da anni, in quella vecchia casa di
legno, una sorta di rifugio dallo smog e dallo stress della vita
quotidiana.
Entrambi eravamo dei tipi socievoli e di compagnia, ma quelle due
settimane di silenzi, sorrisi e tanti abbracci, ci rendevano
più
uniti e - sotto certi aspetti- anche migliori.
Mangiammo il gelato facendo troppo baccano, sporcandoci i nasi e
ridendo all'unisono.
Troppo spesso venivamo scambiati per fratello e sorella, ma d'altronde
era anche comprensibile.
Non mi infastidiva nemmeno più di tanto, era bello avere
pochi
anni di differenza e con tutta una vita ancora da vivere e scoprire
insieme.
Prima di passare a casa per iniziare a cucinare, mi accorsi che dovevo
assolutamente comprare la besciamella per le lasagne.
Maledetta birbante; Lily era una buona forchetta, proprio come me.
Non avevo mai capito la sua passione per il cibo italiano,
però mi ero adeguato senza alcuna remora.
Mia madre era una cuoca eccezionale, sempre al passo coi tempi
sia in cucina che con la moda.
Era una donna di appena 50 anni con una bellezza stratosferica e una
carattere brillante e solare.
Ma mio padre era il vero punto fondamentale della famiglia. Un uomo
molto normale per i suoi 60 anni, ma con un sorriso da far sciogliere
anche i cuori più gelidi.
Era un uomo simpatico, giocherellone, bravo nel suo lavoro da muratore
tanto quanto in quello di padre. Era il mio eroe, l'uomo
che avevo sempre voluto essere fin da ragazzino.
Forse non ero un padre bravo come lui , però il caro Trevor
Moore non mi aveva mai fatto sentire in colpa per le mie scelte di
vita. Era sempre stato orgoglioso
di me.
Entrammo così nel supermercato e liberai Lily dalle mia presa salda.
Strinsi la sua piccola mano e ci dirigemmo oltre le casse, mentre le
commesse si voltavano a sorridermi quasi fameliche. Ah, le donne.
Quasi si stavano uccidendo con gli sguardi, solo per ricevere un mio
sorriso.
Sapevo di piacere, sia caratterialmente che fisicamente.
Certo, quando poi si scopriva che ero un ragazzo padre, le reazioni
erano le seguenti :se le ragazze erano giovani
o della mia età, si dileguavano subito. Se le donne erano
più grandi, mi vedevano come una fonte di
sesso e di soldi inestimabile e,armate di una melliflua dose di
pietà nei miei confronti, cercavano di fare colpo. Leggermente ridicole,
credevano di farmi tenerezza con i loro "Povero
caro, una figlia da crescere tutto solo a soli vent'anni". Ma io non
cercavo nulla di tutto quello.
Io e Lily stavamo benissimo da soli,
senza piantagrane inutili. Certo... Non si
può dire che in questi quattro anni io non
sia andato a letto con qualcuna, ma era solo qualcosa di fisiologico,
di super protetto e nulla di davvero intenso.
Mi ero ripromesso che la donna che avrebbe preso il posto della madre
di mia figlia, doveva essere una persona di sani principi, bella fuori
e dentro, ma soprattutto: che mi facesse stare bene. Che accettasse me e Lily.
Questo era tutto.
"Papà, ogni anno sei sempre pensieroso il giorno prima della
morte della mamma. Dai, non essere triste. Domani ci divertiremo dai
nonni al mio compleanno, vedrai!"
La mia grande donna.
Come potevano definire i bambini ingenui? Io ancora non me ne
capacitavo; Lily era molto più matura di me.
"Non ti preoccupare, principessa."
Lei mi sorrise, lasciando la mia mano e correndo verso il reparto
giocattoli.
Un angelo con l'animo da piccola peste, ecco cos'era!
"Lily, per favore! Non ancora Barbie, questo mese sarebbe la terza!"
Cominciai a seguirla con passo svelto, svoltando l'angolo e
scontrandomi contro uno scaffale.
"Ma che diavol-"
Mi massaggiai un braccio, mentre mi accorsi che il fantomatico scaffale
era una ragazza.
Una ragazza a terra con tanto di stampelle, cavolo!
"Ma io dico, razza di idiota che non sei altro! Mi vedi o
vai addosso a tutti per simpatia?"
Ragazza? No no, mi dovevo correggere: era un cobra velenoso e letale,
capace di stenderti ad insulti.
"Ma come siamo gentili, Mademoiselle."
Le sorrisi fingendo gentilezza, fin quando mi accorsi che, in
fondo, lei non aveva tutti i torti.
Era per terra, con due stampelle di metallo incrociate sopra il suo
copro e una gamba ingessata che penzolava pericolosamente.
"Ok, scusami, non volevo venirti addosso."
Senza pensarci, la presi in braccio, aiutandola ad alzarsi.
I nostri visi arrivarono forse troppo vicini, ma non ci diedi molto
peso. Tranne per un particolare... Che occhi,
pensai.
Occhi determinati, forti, ipnotici.
Mi ripresi subito dopo, scusandomi ancora e offrendole il mio aiuto per
uscire dal supermercato.
Purtroppo la ragazza non era stata colpita - nel senso letterale del
termine- dal mio fascino come lo ero stato io, in un modo strano e del
tutto nuovo, dai suoi occhi.
Mi lasciò così, intento ancora a ricordarmi
quegli occhi troppo
forti
e troppo simili a quelli di Madeline.
"Va bene, Mamma. Sì, ti ho detto che vanno bene le coroncine per le
bambine e il cappellino
per
i bambini... Sì, ok. No, non sento Matt da due settimane.
Mamma,
per favore, devo mettere a letto Lily! No, no; non ti azzardare a
regalarle un'altra Barbie che anche oggi mi ha convinto a
comprarle «Barbie va al mare con Ken e
Shelly». Ok, ti voglio
bene anche io. A domani."
Mi passai una mano dietro al collo, depositando il cordless sul
tavolino in salotto.
Sorrisi, ripensando a quell'uragano chiamato Elizabeth Moore.
Mia madre era giovanile e moderna per alcuni versi, e apprensiva e
sempre preoccupata per suo figlio e la sua piccola nipote,
per altri.
Domani sarebbe stato il grande giorno e Lily mi aveva chiesto di
festeggiare il suo quarto compleanno a casa dei nonni.
Beh, la loro casa era delimitata da un giardino grande vicino
ad
una piccola radura, ideale per far correre e divertire i bambini.
Il nostro appartamento, per quanto comodo e ben dislocato nella
cittadina, non poteva offrire quel tipo di libertà e
divertimento a dei bambini così piccoli.
Mi diressi verso il frigorifero, bevendo poi un po' di latte dal
contenitore.
Quattro anni.
Il tempo era davvero volato; sia nel bene che nel male.
Lily cresceva forte e sana, mentre io mi stavo rinchiudendo sempre di
più nella mia vita da padre.
Personalmente non mi lamentavo, erano i miei genitori e amici, che non
la finivano di propormi donne e ragazze pronte a fidanzarsi con me. Non le volevo.
Stavo bene così, era davvero difficile accettarlo?
Il mio sguardo si mosse in automatico verso la penisola della
cucina, dove una foto mia e di Mad trionfava sotto la luce fioca della
luna.
Eravamo giovani e felici.
Lei era stupenda; magnifica e non avrei mai dimenticato
il suo sorriso.
Forse era proprio per questo che mi era difficile andare avanti e
aprire il mio cuore a qualcun'altra.
Era difficile amare, sentendo ancora l'amarezza di un amore non vissuto
e troncato sul nascere. Spezzato dentro il proprio
cuore.
"Ciao mamma."
Lily mi lasciò la mano per avvicinarsi alla piccola lapide
di marmo.
Le sue labbra sfiorarono la foto di sua madre con timidezza e tanta
gioia. La mia bimba non piangeva, ma anzi, sorrideva nel giorno
più bello della sua vita.
Nonostante la morte, la sofferenza e il dolore, lei riusciva a
sorridere.
Mi inginocchiai, iniziando a togliere qualche ciuffo di erba che
disturbava la composizione di sassolini bianchi e cemento.
Una mano si posò sopra la mia, facendomi sollevare lo
sguardo.
"Papà, vado a cambiare l'acqua per i fiori... Arrivo subito,
ok?"
La guardai, socchiudendo gli occhi e annuendo leggermente con il capo.
Avevo un groppo in gola e facevo fatica a rimanere forte di fronte ai
suoi occhi.
Forse... Forse lei mi capiva più di chiunque altro,
perché appena rimasi da solo, scoppiai a piangere
silenziosamente.
Aveva trovato la scusa perfetta per lasciarmi da solo con i miei
pensieri, senza farmi sentire in colpa.
Mi avvicinai così alla foto di Mad e l'accarezzai con la
punta delle dita.
"Ti Amo, Mad."
Le baciai il volto sorridente della fotografia, chiudendo gli occhi per
assaporarla fino in fondo.
Era come se fosse ancora con me, stretta tra le mia braccia.
Era come i suoi lunghi capelli biondi mi avvolgessero di nuovo con il
loro profumo di lavanda e rosa.
Era come se i suoi occhi marroni mi cullassero e mi facessero di nuovo
sentire migliore; unico.
Mi appoggiai con una spalla al marmo, inclinando il capo e continuando
a piangere. "Allora tu sei il
campione indiscusso dei Lions, vero?"
Mi voltai, trovando una ragazza piccolina, bionda, snella e con un paio
buffo di occhiali a incorniciarle uno
sguardo vivace e profondo.
"Nicholas Moore, piacere. Tu sei...?
Lei mi porse la mano, stringendo con l'altra una cartellina.
"Madeline Stewart, capo redattrice del giornalino della scuola. Posso
rubarti cinque minuti?"
Ma che voce aveva questa ragazza? Era così dolce e sensuale
al tempo stesso.
Perché non l'avevo mai vista prima?
"Certo, anche dieci."
Ammiccai, facendola arrossire.
"Ok... Come ci si sente ad essere stato scelto da niente e
popò di meno che Stanford?"
Eh, bella domanda.
"Madeline, è una sensazione strana. Mi sento potente e
invincibile. Niente potrà allontanarmi dal mio sogno, e
magari
un giorno potrò essere un giocatore dei Red Sox che guadagna
tanti soldi e vive di popolarità e successo."
La ragazza cominciò a scrivere velocemente, non perdendomi
mai di vista.
La trovavo adorabile, anche se non certamente il mio tipo. Certo, ormai
le cheerleader mi avevano stufato, e... E questa
giornalista dall'animo infuocato, mi stava incuriosendo fin
troppo.
"Pensi che con Stanford, i tuoi sogni si realizzeranno almeno in parte?"
Sorrisi. "Lo spero, davvero. Mi sono sbattuto in questi anni e ho
sopportato allenamenti stancanti e massacranti solo per questo. Beh,
non so se
diventerò famoso, però frequentare Stanford
è
già un traguardo enorme per me. E te, Madeline? Che farai da
grande?"
Lei rimase stupita dalla mia domanda.
Nicholas, Nicholas... Frena gli ormoni e datti una calmata!
"Sarò una giornalista e studierò come te a
Stanford." Mi asciugai le lacrime, cercando di allontanare il passato
dalla mia mente.
Era impossibile, purtroppo.
Madeline sembrava ancora così presente e viva ai miei occhi.
Il nostro primo appuntamento, il primo bacio, il primo ti amo e... Il
nostro primo rapporto.
Non l'avrei mai potuta dimenticare, questo era certo. Però era anche
evidente che non potevo continuare a vivere nel
passato e
non potevo dare a Lily un futuro roseo e sereno se mi riducevo sempre
in quello stato pietoso. Mentre
i miei pensieri
si addensavano prepotentmente nella mia mente, sentii due mani
accarezzarmi le guance. Abbassai il viso per ritrovare quello della mia
principessa.
"Forza papà, andiamo a casa."
E nonostante fosse sbagliato e poco da uomini, mi abbandonai di nuovo
alle sue carezze, piangendo come un bambino.
"Ora ragazzi, potete giocare tranquilli! Tra mezz'ora ci
sarà la torta, va bene?" Un
coro di "sì"
si librò nell'aria mentre i bambini si disperdevano per il
grande giardino retrostante la casa dei miei genitori.
Io ero seduto sotto la veranda con una birra fresca e dei salatini.
"Nick, smettila di pasticciare che poi non mangi la torta e tutto
quello che ho cucinato stamattina!"
Mi madre mi schiaffeggiò una mano con dentro delle arachidi,
facendomi sorridere e alzare un sopracciglio.
"Mamma, non ho quattro anni come Lily."
Lei si sedette di fianco a me, con lo sguardo verso i bambini.
"Tesoro sei sempre mio figlio, cosa c'entra! E poi lo sai che non ti fa
bene bere la birra.. Ti rovina il fisico!"
Scoppiai a ridere, sorseggiando ancora dalla mia bottiglia.
"E tu lo sai che ho finito di essere uno sportivo da ben tre anni e che
quindi, il fisico è quello che è."
Mia madre appoggiò il volto su una mano, continuando a
guardarmi scettica.
"Sì, certo. Come se io non sapessi che vai ancora in
palestra...
So che ti piace essere in forma, e soprattutto, so che ti piacciono gli
sguardi delle ragazze che ti vedono lavorare senza maglietta. Ah, mica
sono vecchia, mio caro!"
Sorrisi, passandole un braccio intorno alle spalle.
"Lo sai che ho smesso con il baseball da anni."
"Già e sai benissimo che è un gran peccato.
Nemmeno lei l'avrebbe voluto."
Il mio sguardo vagò lontano, prima nel cielo e poi verso il
volto della mia ragione di vita.
"Lo so, ma il baseball mi ricorda Madeline. E' più forte di
me."
Mia madre mi accarezzò una mano, comprensiva.
"E quando la smetterai di fare quest'ammenda? Sei giovane, Nick."
"Mamma.."
Sbuffai, allontanandomi leggermente.
"No, non sbuffare! Lo sai che non smetterò di romperti le
scatole con questa storia.. E non iniziare con i tuoi soliti
«Ma io sto bene così» o «Io ho
Lily, non mi serve
nessun'altro», sono solo scuse, perché hai paura
di
innamorarti di nuovo e di rimanere ferito. Ma ancora più
grave è che tu hai paura di dimenticare Madeline e tutto
quello che c'è stato tra di voi."
Profondi occhi neri, sguardo deciso e nessuna via di scampo.
Mia madre era decisamente testarda, ma -ahimé- lo ero anche
io.
"E se anche fosse? Cosa c'è di male in tutto questo? E' o
non è la mia vita?!"
Mia madre mi accarezzò un braccio, facendomi scattare e
rilassare nello stesso momento. Mi accasciai sulla sedia, tamburellando
le dita contro il tavolo di legno.
"Nicholas è la tua vita, ma non buttarla via. Ricordati,
anche lei
te lo aveva detto e non sentirti in colpa di aprire di nuovo il tuo
cuore."
Mi alzai di scattò, preso da un'ira quasi incomprensibile.
"Ma il mio cuore è ROTTO, Mamma. Lo vuoi capire o no?!"
Entrai in casa, camminando veloce e scontrandomi poi con mio padre.
"Eccolo il tornado di famiglia."
Mi sorrise, quasi non si accorgesse dei mie pugni stretti, tesi e del
mio sguardo infuriato.
"Papà, vado a prendere una birra."
Lui sollevò una mano, picchiettando le dita sul
mio petto.
"L'ira ha un motivo per esistere. Se tua madre ti dice sempre cose che
ti fanno arrabbiare è perché senti che ha
ragione. Nick,
vivi la vita e non continuare a essere seduto nel pubblico. Lily ha bisogno di vederti
felice e tu ora non lo sei, anche se tu credi di esserlo. L'amore rende felici,
Nick. Tu lo sai meglio di me, non è vero, figliolo?"
Le parole di un padre erano sempre forti ed efficaci. Mio padre non era
mai stato un uomo di molte parole, ma quelle poche che proferiva, erano
per me
come
oro colato.
Forse non ero davvero così forte e appagato come credo di
essere da quattro anni.
Forse stavo vivendo una vita che non mi apparteneva davvero.
__________________________
Non
aggiungiamo altro, visto che il capitolo parla da sé. Ringraziamo
con tutto il cuore coloro che hanno commentato o semplicemente letto il
prologo di questa storia. Speriamo
di non deludere le vostre aspettative :)
Un grazie
di cuore; crediamo che questo capitolo sia molto
importante e non servono ulteriori parole. Nick
è un ragazzo come tanti e la sua storia non è
così diversa da molti suoi coetanei. La vita
è bella in ogni sua sfumatura, anche se all'inizio
può essere dolorosa.
Prima o poi, tutti saremo felici di ciò che possediamo.
Maledetta me e la mia
mania di voler strafare.
Non potevo
semplicemente seguire gli allenamenti programmati dal coach? No! Dovevo fare di testa mia: correre
come una
matta e tuffarmi per prendere al volo la palla. Non potevo far perdere
l’inning
alla mia squadra, anche se era un semplice allenamento.
E l’avevo pagata
cara, mannaggia a me.
In quel momento mi
ritrovavo come una stupida, seduta sul divano con tanto di gesso.
Qualsiasi
movimento mi era difficoltoso e per giunta avrei dovuto saltare gli
allenamenti
almeno per due mesi.
Mi veniva voglia di
urlare, di correre per sfogarmi, invece non potevo fare niente di tutto
quello.
Il primo mi era
impossibile date le finestre aperte per il caldo e tutto il vicinato mi
avrebbe
considerata pazza. Per il secondo, beh, c’era
quell’ingombrante problema chiamato
gesso che me lo impediva.
Meglio mettermi
l’anima in pace e continuare a guardare qualche stupido
programma pomeridiano
alla TV.
Dlin Dlon.
E
adesso chi è
che rompe?!
Dlin Dlon.
“Arrivooooo!
Un momento. Un attimo di pazienza!” Con stizza recuperai le
stampelle e mi
diressi con poca stabilità verso la porta.
Guardai l’individuo che mi stava di fronte,
imbarazzata mi sistemai una ciocca di capelli dietro
l’orecchio e il cappellino
da baseball sulla testa.
Un giovane in camicia da boscaiolo e jeans da
muratore. Occhi colore del cielo estivo e un sorriso da mozzare il
fiato.
Un
momento:
Rilassa gli ormoni Elena, non è il tuo tipo. Non
sarà mai il tuo tipo.
“Ehi
ragazzina, i tuoi sono in casa?” – Ecco appunto,
mi ha chiamato ragazzina.
Vediamo chi è la bambina. –
quell'impertinente dallo sguardo penetrante e avvolgente aveva un viso
famigliare, ma in quel momento mi sfuggiva il nome a cui era associato.
“La mamma mi ha detto di non parlare con gli
sconosciuti.” Feci per richiudere la porta, ma la sua mano la
bloccava e io di
conseguenza gli lanciai uno sguardo raggelante.
“Dai ritira gli artigli, ragazzina.”
“Ragazzina, ancora!? Ho diciotto anni per la
miseria!”
Risposi esasperata.
“D’accordo, d’accordo. Hai un
nome?”
“Elena.”
“D’accordo Elena; sono Nicholas Moore,
dell’impresa
che ha sistemato casa tua. Sono qui per parlare d’affari con
i tuoi genitori.
Sono in casa?”
“No. Mio padre non tornerà a casa prima di cena,
ma
mia mamma dovrebbe arrivare a momenti.” Ok, forse avevo
risposto da maleducata,
ma non sopportavo che mi si prendesse per una bambina. Mettiamo anche
che ero
esasperata per le stampelle e il gesso, ma ciò non toglieva
il fatto che lui mi
urtasse il sistema nervoso.
Rimase fermo sotto il portico di casa e io non sapevo
come comportarmi dopo la mia pessima figura. “Se ti vuoi
accomodare..” Mi
spostai di lato con le stampelle e lo lasciai oltrepassare
l’ingresso. Mi
chiusi la porta alle spalle; gli chiesi di seguirmi in cucina e mi
incamminai
con calma, per non perdere l’equilibrio.
“Vuoi un
caffè?”
“Molto volentieri, grazie.” Mi rispose garbatamente
mostrandomi di nuovo il suo sorriso perfetto.
“Allora, Nicholas. Che cosa ti porta a casa mia?”
“Affari, te l’ho detto.”
“Affari? Non ho dodici anni, so che dobbiamo ancora
pagare l’impresa.” Nel
frattempo mi ero appoggiata all’isola della
cucina e avevo iniziato a preparare la caffettiera.
Notai che mi osservava incuriosito, mentre preparavo
la moka. “Caffè italiano, ti piace?”
“Non l’ho mai bevuto.”
“Non sai cosa ti sei perso. Altro che quell’acqua
sporca che gli americani chiamano caffè.”
Non mi rispose, osservava i miei movimenti e le mie
smorfie dovute all’equilibrio precario.
Con tono serio, tutto d’un tratto, mi chiese:
“Elena,
per caso, ce l’hai con me per la storia del
supermercato?”
“Storia del supermercato?” come al solito mi
ritrovavo a cascare dalle nuvole. – perché non mi
ricordavo? –
“Non ti ricordi? Ti ho fatto cadere per sbaglio.” Aaaaaaah!
Ecco
dove lo avevo già visto!! “Non ti avevo
riconosciuto. Ti conveniva non ricordarmelo
allora. Adesso correresti il rischio di una mia vendetta.”
Dissi con una
leggera vena di ironia.
Ironia che lui non sembrò cogliere e lo vidi assumere
un’espressione pensierosa.
“Guarda che stavo scherzando. Di solito non sono
così
scontrosa, ma mi hai trovato in un periodaccio.” Sollevai le
stampelle per
fargli capire di che stavo parlando. “Non posso spostarmi ne
fare sport e
questo mi rende ipertesa e anche piuttosto aggressiva..”
“Ti stai scusando per caso?” chiese alzando un
sopracciglio.
“Non l’ho mai detto.” La mi risposta
lasciò un
sorriso stupito sulle sue labbra.
“Hai proprio un bel caratterino, sai?”
“Non sei il primo che me lo dice.” Scrollai le
spalle, come se quella frase non mi toccasse, come se ci fossi
abituata. Ed effettivamente forse un po’ lo ero. In tanti
–
famigliari compresi – mi
dicevano che ero una testa calda alle volte.
Dopo qualche minuto di silenzio, il gorgogliare della
macchinetta riempì l’ambiente e io mi sporsi in
avanti per recuperare le
tazzine.
“Ti serve una mano?”
“No grazie, faccio da sola.” Stavo cercando di
raggiungere la lavastoviglie da seduta, ma l’impresa era
alquanto
difficile. Così, mi dovetti alzare e aiutare con una
stampella.
“Zucchero?”
“No grazie.”
“Tieni.” Feci un passo per porgergli la tazzina
fumante. Ce l’avevo fatta, senza fare danni. Meno male
altrimenti sarebbe stato
veramente imbarazzante e..
Bam
Le
ultime
parole famose.
Altro che
missione compiuta, avevo fatto un disastro! Mi ritrovavo tra le sue
braccia che
veloci mi avevano afferrato e la tazzina si era infranta sul pavimento.
Nicholas ridacchiava e io ero diventata come minimo
paonazza. Sentivo le guance in fiamme.
Tentai di rialzarmi da sola poggiando una mano sul
suo torace, ma quel piede infame non mi aiutava a reggermi in piedi e
così gli
ricaddi tra le braccia come una pera cotta.
Ennesima
figuraccia!
“Bel lavoro,
complimenti.” Osservò sorridendo e
aiutandomi a riprendere stabilità.
“Bè almeno non ti è caduto il
caffè addosso. Quello
si che sarebbe stato ridicolo. Avresti urlato dal bruciore.”
Scaricai la
tensione con una risata, mentre, senza che potessi opporre resistenza,
Nicholas
mi aveva sollevato di peso e mi aveva fatta sedere sul bancone della
cucina.
“Ehi!” quella fu la mia unica protesta.
“Qualcuno
deve pur rimediare al danno che hai combinato.” Sorrise
sornione prendendo la
spugna dal lavello e chinandosi a raccogliere i pezzi della tazzina in
frantumi.
“Et voilà, il pavimento è come appena
lavato; per la tazzina non c’è stato
molto da fare, ma…”
“Si si ho capito l’antifona bell’imbusto:
ti devo un
favore, ma adesso falla finita.” Cercai di scendere dal mio
trespolo
improvvisato, ma mi ritrovai nuovamente tra quelle braccia muscolose.
“Dove pensi di andare gamba di legno?” Mi aveva
sollevata di peso e ora sogghignava.
“Al massimo di gesso, idiota.” Lo insultai per
nascondere il disagio che provavo nel sentire le mie gambe nude a
contatto con
la sua pelle calda. Lo sapevo che non era la giornata giustaper mettere la mia
adorata salopette a
pantaloncino. L’avevo anche macchiata di sugo a pranzo;
questo avrebbe dovuto
farmi desistere dall’indossarla, ma era stato più
forte di me.. era così
comoda.
“Adesso da brava, te ne stai buona in camera tua,
almeno così non farai danni per un po’.”
Uscì dalla cucina e si avviò verso le scale con
me in
braccio. – Oddio se cadiamo ci rompiamo l’osso del
collo! Sono troppo giovane
per morire! –
“Ma sei pazzo? Vuoi farci ammazzare a fare le scale
con me in braccio!?”
“Sono abituato a sollevare oggetti pesanti..”
ancora
quel sorriso irritante sulla faccia.
“Oggetti pesanti?! Ma guarda te! Fammi scendere
immediatamente!!” nonostante lo schiaffo sulla spalla che si
era meritato dopo
quella frecciatina, imperterrito continuava la sua scalata che
conduceva alla
mia stanza.
Come l’abbia riconosciuta? Facile, c’era scritto
“KEEP OUT” a caratteri cubitali sulla porta.
“Mademoiselle,
eccoci a destinazione.” Faceva il
finto cavaliere mentre mi adagiava sul mio letto.
“Sbruffone.”
Incuriosito da chissà che cosa, passò in rassegna
i
poster appesi alle pareti e le diverse foto autografate che mi erano
costate
ore di coda sotto il sole cocente per ottenerle.
“E così ti piace il baseball..”
commentò poi.
“A quanto pare..”
“Giochi, o sei solo una fan dei Red Sox?”
“No, gioco nella squadra femminile della città.
È
così che mi sono fatta male..” Non sapevo nemmeno
perché glielo stavo dicendo,
ma le parole mi erano uscite dalla bocca prima che potessi frenarle.
“Ah davvero?! Allora non sei poi così tanto
brava.”
Si stava divertendo a prendermi in giro e io, in uno scatto di ira
funesta, gli
lanciai addosso il mio cuscino.
“Ehi, non ti scaldare. Stavo solo scherzando.”
“Sei solo uno stupido, e adesso puoi anche uscire
dalla mia camera.”
“Siamo un po’ permalose o sbaglio?”
“Non sbagli, non quando riguarda il baseball.”
La mia risposta lo zittì e la luce nel suo sguardo
cambiò: era come se tutto d’un tratto fosse
diventato assente e si fosse
immerso in chissà quali pensieri.
Si era creato un silenzio imbarazzante che, dopo
qualche minuto, fu lui a rompere.
“Anche io giocavo a baseball. Ero lanciatore e anche capitano
della Saint Mary High School.” Dal tono in cui me ne parlava,
sembrava andarne
fiero. E un sorriso malinconico sostituì quello strafottente
che mi dava sui
nervi.
“Chi tu?” Scettica, lo squadrai dalla testa ai
piedi.
“Che c’è non mi credi?”
“Devo essere sincera?” mi stavo prendendo una
piccola
rivincita mettendo in dubbio le sue parole.
“La verità non guasterebbe.”
“Beh allora se la metti così: penso che tu mi stia
dicendo una balla bella buona. C’è stato solo un
capitano migliore lanciatore
della Saint Mary. L’imbattuto Nicholas
Moo…” un flash passò nella mia testa e
ricordai la teca dei premi vinti dalla scuola. “Ehi frena
frena, tu sei quel Nicholas
Moore?!”
“Non credo ce ne siano tanti altri da queste
parti..”
“Tu sei una leggenda nella nostra scuola! Nessuno
è
ancora riuscito a battere il tuo record!”
“Beh modestamente
ero bravo. Stanford mi aveva offerto un’ottima carriera come
lanciatore nella
squadra del college..” Nel suo sguardo c’era una
luce strana; non mi stava
guardando mentre parlava, fissava il vuoto come se qualche ricordo
fosse venuto
a galla nella sua memoria.
Qualcosa che lo aveva toccato in modo particolare.
Qualcosa di cui non sembrava essere felice.
Qualcosa che era riuscito a togliergli quel sorriso
soddisfatto che aveva fino a pochi secondi prima.
Lo osservavo mentre parlava, andando oltre quei
battibecchi che lo rendevano insopportabile ai miei occhi, e solo in
quel
momento mi appariva come un ragazzo interessante; con un misterioso
passato che
gli gravava sulle spalle.
“Ma?” Il mio intervento lo riscosse e guardando il
pavimento con espressione vuota disse solamente: “Ma dopo il
primo anno ho
dovuto smettere.”
“Come mai?” La mia curiosità si stava
gonfiando
quanto un pallone e mi ritrovavo a pendere dalle sue labbra, da quel
racconto
che non era nemmeno mai iniziato, che riguardava il suo passato e
soprattutto
il baseball; che era il punto che a me interessa di più.
“Elena, tesoro la mamma è a casa.”
Eccola, era
entrata in casa proprio nel momento sbagliato. Aveva interrotto la
nostra
conversazione proprio nel momento più interessante.
“Dove sei?”
“Sono in
camera, mamma.” Urlai dal piano di sopra per farmi sentire.
“Ti raggiungo.”
“Come sta il tuo piedino, tesoro?” chiese entrando
nella mia stanza. – Che momento imbarazzante. –
“Oh.. non pensavo avessi
visite..”
“Mamma, ehm.. lui è Nicholas.” Le si
illuminarono gli
occhi. Ecco quello che temevo, perché sapevo già
che significava: dopo dovrai
raccontarmi tutto.
“No mamma, non è qui per me. Lui lavora per
l’impresa
che ha sistemato casa.”
“E cosa ci fa nella tua stanza?” la mia cara ed
affettuosa mamma era passata dallo sguardo: Oh
che bello, quel maschiaccio di mia figlia ha un ragazzo a
quello: Che diavolo vuole questo da mia figlia.
“L’ho solo aiutata a fare le scale.”
Intervenne
Nicholas, salvandomi da spiegazioni accampate, quanto imbarazzanti.
“Bene, allora non c’è motivo che tu ti
fermi oltre
nella sua stanza.” Con un cenno del capo gli
indicò di uscire. Mia mamma aveva
usato un tono talmente risoluto che quel
Nicholas Moore, l’aveva seguita senza aprire bocca.
Che
donna!
Chissà se da grande
sarei stata anche io una donna di
polso come lei. Sicuramente però avrei usato quella
qualità non per fare la
donna di casa, che amministrava tutti i conti e che teneva insieme
– anche sì
egregiamente – la famiglia… avrei impiegato quel
talento in qualcosa di meglio.
La conversazione al piano di sotto era seria e
Nicholas non faceva nemmeno una delle battutine che si era permesso con
me. Mamma
dal canto suo parlava tranquilla, ma con quel tono che avevo imparato a
riconoscere di quando si sarebbe voluta mettere le mani nei capelli, ma
doveva
tenere un’immagine forte, per gestire meglio la situazione.
Lo sapevo: la mia famiglia doveva ancora finire di
pagare i lavori di ristrutturazione della villetta, ma non pensavo che
i toni
dovessero esseri così seri.
“Signora
Rinaldi, mi spiace ricordarle che il suo debito è ancora
piuttosto alto, e
l’azienda di mio padre non può farle credito
ancora per molto. È una piccola
impresa a gestione famigliare, dobbiamo sostenere dei costi anche
noi.”
“Certo, signor Moore. Capisco la situazione e mi
rincresce dirle che non abbiamo ancora tutti soldi per saldare il
debito.”
“Ma riuscite a pagare almeno una parte?”
“Si, per ora possiamo permetterci di pagare venti
mila dollari, non di più. Questo mese non è stato
molto florido nemmeno per
noi, mi vergogno ad ammetterlo.” Anche non potendo vederla
dall’alto delle
scale, immaginavo mia mamma che si torturava il lobo
dell’orecchio con la mano
destra. Era un suo tic, che utilizzava per scaricare la tensione.
“Nessuna vergogna Signora, siamo tutti nella stessa
barca. Ognuno hai i suoi problemi da gestire. Le sarei grato
però se potesse
effettivamente pagarci almeno quei venti mila, così
ridurrebbe il suo debito
quasi della metà.”
“Certo certo; preferisce un assegno o li vuole in
contanti?” Il rumore della sedia in cucina, suggeriva che
mamma si era alzata
diretta verso la scrivania del salotto.
“Un assegno va benissimo.”
Dovevo concedergli che era non era quello spocchioso
ragazzo che pensavo fosse: Nicholas era stato estremamente garbato con
la mamma
e non le aveva fatto pesare troppo la nostra insolvenza. Non navigavamo
nelle
migliori acque, ma non eravamo neanche messi così tanto
male. Dovevamo solo
stringere un po’ la cinghia e mettere da parte tutto quello
che riuscivamo. Io
per non pesare troppo sulle loro spalle, mi ero trovata un lavoretto
come
cameriera in un bar della città, ma adesso rischiavo di
perderlo, perché dovevo
assentarmi per un po’ a causa del mio gesso. Non avrei mai
pregato in ginocchio
il proprietario per non licenziarmi, non era da me. Ma se fosse stato
necessario, mi sarei rimboccata le maniche e avrei cercato un altro
lavoro.
“Ele,
mà, sono a casa.” Alice, la mia sorella
maggiore, era appena tornata dal suo turno di lavoro
all’asilo. Se esisteva una
ragazza che amava quegli esserini pestiferi, era proprio lei;
stravedeva per
quei nanerottoli dotati di un’energia strabiliante.
“Ciao Alice, sono in cucina.” Rispose la mamma; io
non lo feci perché non potevo farmi beccare mentre origliavo
le conversazioni
altrui. Altrimenti avrei ricevuto una ramanzina gratuita dalla mia
sorellona, e
in quel momento ci mancava solo quella.
“Ciao
mamma. Ciao Nick.”
“Ciao Alice.”
Come fa
mia
sorella a conoscerlo? Che sarà uno dei suoi numerosi
spasimanti?!– sarebbe stato anche normale, tutti
non avevano occhi che per lei. –
Non che ne fossi gelosa,
però mi domandavo perché
tutti si limitavanoa
guardare se una
ragazza indossava la gonna o una salopette larga. Possibile che il
vestito
cambiasse così tanto il parere degli altri? Non doveva
valere il famoso detto:
l’abito non fa il monaco?!
“Dov’è Elena?”
“È in camera sua. Nicholas è stato
così gentile da
aiutarla a fare le scale.” Non ero sicura se quella di mia
mamma era una
frecciatina o una sviolinata in piena regola per il giovane Moore. Ero
più propensa
per la prima; insomma mia mamma non era molto convinta quando lo aveva
trovato
in camera da me.
Mia sorella non sembrava afferrare quella
sottigliezza nel tono della mamma, e così la sentii che con
tutta calma si
rivolgeva al nostro indesiderato ospite. “E così
hai fatto la conoscenza della
mia sorellina.. Ha torturato anche te per caso?”
Quella malefica, si stava divertendo a prendersi
gioco di me; ma avrebbe visto come mi sarei divertita io poi.. sentivo
già le
sue lamentele per farmi smettere. Un ghigno malefico dipinse
così il mio volto
e mi ritrovo poco dopo a dover smettere di fantasticare e tendere
l’orecchio
per sentire la risposta di Nicholas.
“Si, l’ho conosciuta prima, mi ha fatto entrare in
casa lei. È un bel peperino tua sorella.”
“La definizione peperino è piuttosto lieve; io la
definirei: uragano.” – Sempre gentile la mia
sorellona. –
“Addirittura uragano? Allora
sono stato graziato dalla sua furia.” Il ragazzo se la rideva
alle mie spalle e
in me si stava scatenando quell’istinto irrefrenabile di
scendere le scale di
corsa – rischiando di ammazzarmi – e di prenderlo a
‘stampellate’ su quel bel
visino.
“Si, ti è andata molto bene allora.” E
mia sorella
era ancora peggio di quello che pensassi, visto che gli dava corda
spudoratamente. “A proposito: vado a salutarla. È
pericoloso lasciarla troppo
da sola. Sicuramente starà cercando di togliersi il gesso
con le forbicine
delle unghie.”
Per la
miseria!
Dovevo alzarmi velocemente e
ritornare in camera
senza farmi sentire, altrimenti ero fregata. Ma cosa più
importante: dovevo
comportarmi come se non avessi sentito niente; come se non avessi
sentito la
risata di Nicholas che ancora una volta mi scherniva.
Ero riuscita a non farmi sentire da mia sorella, ma
per non farmi beccare in piedi mi ero tuffata a pesce sul mio letto e
avevo
rischiato persino di cadere dall’altra parte. Quando lei
aprì la porta,
infatti, mi trovò a pancia in giù che mi
sostenevo con una mano.
“Lascia che ti dia una mano.”
Oh
cazzo. Mi
aveva beccata.
In panico fissai il pavimento e,
per grazia divina,
vidi la faccia di Mike Aviles che occupava la copertina di una delle
mie
riviste. – sia benedetto il mio disordine! –
“Stavo solo cercando di prendere una delle mie
riviste, ma mi sono sporta troppo.” Mi inventai quella
pessima scusa al
momento, ma mia sorella sembrò crederci e mi
aiutò a tornare in una posizione
normale sul letto.
“Tieni, casinista che non sei altro” e mi porse un
paio dei giornali.
“Allora ti sei annoiata tanto oggi a casa?” come se
non avesse passato i due minuti precedenti a prendermi in giro, si era
seduta
in fondo al mio letto e ora si informava della mia giornata.
Dopo un respiro profondo ed aver represso l’istinto
di lanciarle una delle mie riviste sportive, – non tanto per
lei, ma per il mio
settimanale – le risposi con garbo.
“Si abbastanza. Non posso muovermi più di tanto,
ho
guardato un po’ di TV e poi niente. Adesso sto qui a poltrire
in camera mia.”
Volutamente, non avevo fatto nessun accenno a Nicholas; non volevo che
sembrasse un dettaglio degno di nota della mia giornata.
“E i compiti?”
“Non fare la maestrina con me, Al. Non ho tre anni
come i tuoi poppanti dell’asilo. Il tuo turno è
finito e puoi tornare a
comportarti come una sorella normale.”
“Ho capito. Sei piuttosto irritabile.” Si
alzò, mi
tolse il cappellino, mi lasciò un bacio sulla nuca e poi con
energia me lo
rincalcò sulla testa.
La mia risposta fu uno sbuffo. Ma una volta che aveva
chiuso la porta, sorrisi. Insomma nonostante le prese in giro e gli
insulti le
volevo un gran bene. Eravamo unite, e nessuna era troppo invadente
negli affari
dell’altra e se non ci andava di parlare lo capivamo subito e
rispettavamo quel
silenzio.
“Ricordati che tra due giorni c’è la
recita. Ci tengo
che venga anche tu.” Dalla porta sbucava la testa con la sua
chioma scura che
fluttuava, quasi quanto in una pubblicità della Pantene.
“Si, me lo ricordo. E va bene, verrò a vedere i
tuoi
marmocchi sul palco.”
“Grazie, sister.”
“Se se.”
“Ti voglio bene.”
“Io no.” Le feci una linguaccia e lei
tranquillamente
rise. Era abituata a scenette di quel genere e nonostante la mia
risposta
negativa sapeva che in realtà gliene volevo, e anche tanto.
Potevo offenderla
solo io e guai a chi la faceva stare male. Come il suo ultimo ragazzo:
quando
era venuto a casa per chiederle di tornare assieme dopo che
l’aveva scaricata
per un’altra. Si era beccato una sana dose di insulti da
parte e mia e perché
lo aveva schivato, altrimenti si sarebbe preso anche un mio pugno.
“Alice, no! Non mi
metterò un vestito neanche morta.
Mi si vede il gesso e poi lo sai che preferisco i pantaloni. Sono
più comodi.”
“Ma dai Ele, è un’occasione importante.
Ci saranno
tutti i genitori dei bambini vestiti bene, tu non puoi metterti un
jeans. Dai
ti presto un mio vestito lungo. Non troppo elegante,
promesso.”
“Si e magari vuoi anche che metta i tacchi.”
“No, ma le ballerine si.” Non ero nemmeno riuscita
a
protestare che mia sorella era già sparita oltrepassando la
porta ed era già di
ritorno con un vestito lungo marrone e con le sue ballerine di pelle.
“Non ci posso credere. Ti eri già preparata tutto
di
là. Sei davvero perfida, Alice.”
“Non sono perfida. Io penso al tuo bene. Non lo vuoi
un fidanzato? Alla tua età sarebbe anche ora.”
“Alla mia età.. parli come se avessi
cinquant’anni.
Ne ho solo diciotto e ho tutto il tempo del mondo per trovarmi un
ragazzo. E
adesso non ne voglio uno. ”
“Si okay, adesso smettila di protestare e infila
questo vestito se non vuoi che te lo metta io.”
“Non siete ancora pronte?” la mamma, nel suo
tailleur
color carta da zucchero, era entrata nella mia stanza.
“Mà, per favore. Dille tu che ormai sono
maggiorenne
e ho la facoltà di vestirmi come voglio!”
“Ma dai Ele, guarda anche la mamma come è vestita
elegante. Scommetto che anche papà avrà messo
giacca e cravatta.”
“Alice tua sorella non è una bambola.”
“Grazie mamma.” Risposi con soddisfazione per
averla
dalla mia parte.
“E tu, mettiti quel vestito lungo che ti coprirà
il
gesso. Almeno in parte.” Quella fu una come una pugnalata
inaspettata. Rimasi a
bocca aperta. Sembrava avessi avuto il supporto di mamma, e invece?
Invece mi
ritrovavo costretta a indossare il vestito di mia sorella e a farmi
aiutare a
raccogliere i capelli in qualche acconciatura che non fosse una coda.
“Ma dai, sembro una stupida.” osserva guardandomi
allo specchio.
“Non è vero sorellina. Sei bellissima, e scommetto
che nonostante le stampelle farai conquiste.”
“Ti odio.”
Alla fine l’aveva avuta vinta lei e io – conciata
come un pagliaccio – feci le scale lentamente per non cadere.
Mio papà mi stava aspettando con aria soddisfatta
alla porta e mi fissava con quello sguardo da padre orgoglioso. Ci
mancavano
solo le lacrime e poi davvero non sarei uscita di casa.
“Papà non sto andando al ballo di fine anno.
Stiamo
solo andando alla recita della classe di Alice.»
“Lo so figlia mia, ma sei comunque bellissima.
Assomigli tanto alla mamma alla tua età.” Quello
si che era un signor
complimento. La mamma da giovane era davvero una bella ragazza; ancora
mi
chiedevo come avesse fatto ad innamorarsi di un giovane italiano che
all’epoca
non sapeva nemmeno una parola di inglese.
Mi avevano raccontato la storia di come si erano
conosciuti, ma io mai avrei pensato che mamma potesse cedere al fascino
da
latin lover che aveva mio padre da giovane. Mamma, giovane londinese,
aveva
organizzato come vacanza post maturità una gita a Roma con
delle sue amiche, e
lì lo aveva conosciuto. Lui che girava con la sua vespa
azzurra – senza casco,
per giunta – l’aveva conquistata facendole una
serenata in mezzo alla piazza
una sera. – Io mi sarei voluta sotterrare fossi stata la
mamma, ma a detta sua,
mio papà ai suoi tempi d’oro era un bellissimo
ragazzo moro con gli occhi verdi
come smeraldi. – E così come risultato di quella
vacanza, lei non ripartì per
l’Inghilterra e rimase a Roma ospite a casa di mio padre.
Dopo sei mesi erano
marito e moglie e come viaggio di nozze decisero di andare a visitare
gli Stati
Uniti. E poi si trasferirono qui, a Boston.
Tutti si giravano a guardarmi
quando passavo; forse
per come mi aveva conciato mia sorella o forse per le stampelle.
Maledette loro
che rendevano il mio passaggio lento e ben poco indolore.
Non mi piaceva avere tutti gli occhi addosso e quella
situazione mi rendeva irrimediabilmente nervosa. Se qualcuno mi avesse
avvicinato
in quel momento, lo avrei sbranato.
Dopo un paio di minuti estenuanti ero riuscita a
raggiungere i posti che erano stati riservati alla famiglia della
maestra,
dicasi mia sorella.
Ovviamente mi ero fiondata – per come potevo – al
posto più esterno della fila così da rendermi
più semplici i movimenti e in
modo che potessi appoggiare le stampelle per terra senza che dessero
fastidio a
nessuno.
Come
non detto.
Poco dopo il mio brillante
pensiero, una delle mie
grucce venne praticamente lanciata avanti di un paio di file a causa di
un
piede appartenente a qualche stordito che non sapeva che si passava
più vicino
alle pareti piuttosto che alle poltroncine.
In ogni caso, quello sbadato non sembrava volersi
fermare e rimettere la stampella al suo posto.
“Ehi!” lo richiamai con evidente disappunto. Questo
si girò additandosi e guardandosi attorno come se fosse
appena caduto dalle
nuvole.
“Si tu, ce l’ho con te.” Si
avvicinò e, con mia
sorpresa, era Nicholas. – No, ancora lui no. –
“Ciao Elena” mi sorrise come se niente fosse
successo.
“Non ti sei accorto che hai praticamente scaraventato
la mia stampella a bordo palco?” osservò il danno
che effettivamente aveva
fatto e poi si girò, sempre con quel suo sorriso sornione
stampato in faccia.
“E io che pensavo che volessi salutarmi.”
“No, voglio solo la mia stampella.”
“Elena, per favore, sii
più garbata.” Mia mamma mi
ricordò all’orecchio che come al solito non ero
abbastanza femminile.
Sbuffai, ma poi mi decisi a darle retta. Anzi a fare
di meglio.
“Ciao Nicholas, che
piacere rivederti. Adesso
potresti gentilmente riportarmi la mia gruccia che, sono sicura, hai
calciato
accidentalmente?” quella volta ero io quella col sorriso
sornione stampato
sulla faccia ed ero persino soddisfatta per la sottile sfrontatezza che
aveva
assunto il mio tono.
“Ma certo, Mademoiselle.” Rimase al gioco. Come se
tutto fosse un gioco per lui. – Quanti anni aveva quindici?!
–
“Ecco a lei, Mademoiselle.” Era fissato col
francese
o era solo una mia impressione? – voleva giocare? Bene gli
avrei dato quello
che voleva. –
“Merci, Monsieur. Vous pouvez aller maintenaint.”
“Come scusa?” mi stava fissando stranito e io
apposta
gli feci segno di avvicinarsi e mi sporsi verso il suo orecchio e gli
sussurrai : “Adesso muovi il culo e vatti a
sedere.”
Il sorriso era cresciuto naturale sulle mie labbra
mentre osservavo la sua espressione che spaziava fra
l’allibito, il sorpreso e
lo sconcertato.
Ridacchiando se ne era andato, dirigendosi verso le
prime file. Che volesse avvicinarsi a mia sorella per provare a fare
colpo su
di lei?
Dopo poco la sua sagoma era sparita, le luci calate e
il sipario che aperto, mostrando Alice nel suo vestito blu elettrico,
che
sorridente salutava gli spettatori e introduceva lo spettacolo.
Lo spettacolo, intitolato
“Le fiabe della buona notte”,
era una raccolta di favole messe in
scena con i bambini. Le parti erano semplici e quando si
arrivò ad una scena in
cui un bambino truccato da orco rincorreva l’altro, avevo
riso di gusto. Era
davvero buffo vedere quel bimbo con la faccia verde che cercava di fare
ruggiti
da orco e acchiappare l’altro che scappava.
Ma la fiaba che mi aveva colpito di più era quella
della Bella addormentata nel bosco. Tutti la conoscevano, ma nessuno
sapeva che
era la mia preferita e che ancora mi emozionava. Era stato carino
vedere il
prode ometto che sconfiggeva il drago per poi dirigersi alla stanza
della Bella
addormentata. E poi quel bacio a fior di labbra che si erano dati i due
bambini
era stato talmente tenero che la platea aveva sollevato un sonoro
“Oh, che
teneri.”
Tutto sommato, quindi andare a quella recita non era
stata una scelta poi così sbagliata.
Finito lo spettacolo però, toccava al rinfresco. –
Ecco la parte che meno preferivo. –
Tutti i genitori erano occupati in chiacchiere che
alle mie orecchie suonavano monotone: lavoro, lavoro e lavoro. Solo mia
sorella
sembrava divertirsi, ancora sul palco a giocare con dei bambini. Mi
stavo
dirigendo verso di lei quando mi passò davanti correndo la
piccola attrice che
faceva la Bella, inseguita da Nicholas.
E come ridevano. I gridolini della principessina e le
battute “Sono il drago. E adesso ti mangio.”
– molto fantasiose – di Nicholas mi
fecero sorridere.
Evidentemente erano fratello e sorella, e lui era
stato così gentile, o magari costretto a partecipare alla
sua recita. Però dal
sorriso che aveva stampato sul viso non sembrava tanto costretto,
sembrava
proprio che si stesse divertendo.
Ripresi la mia avanzata verso Alice, e appena mi misi
seduta per osservarla giocare con i bambini, me la ritrovai accanto che
me li
scatenava contro. Correvano tutti verso di me che ero il loro nuovo
bersaglio
per il solletico. Dannata mia sorella, e soprattutto la mia decisione
di
raggiungerla.
L’unica cosa positiva era che ero già seduta,
quindi
non rischiavo di cadere.
Soffrivo il solletico in una maniera assurda e per le
loro manine che si spostavano veloci scoppiai a ridere e gridare come
una
bambina. O meglio con la poca grazia che avevo sembravo più
un bambino, ma
quelli erano dettagli.
Adesso
avevo
capito la sua tattica.
In un attimo di respiro, concessomi
da quelle piccole
pesti, vedevo in lontananza Nicholas e mia sorella che conversavano
allegramente. Quindi era tutto programmato. Non aspettava altro che io
mi
avvicinassi per scatenarmi addosso quelle piccole pesti e per prendersi
tutte
le attenzioni del moro. E brava la mia sorellona. Aveva capito tutto
dalla
vita. Ma non aveva ancora capito che poi, una volta a casa, le sarebbe
spettata
una lunga chiacchierata.
I bambini, per chissà quale grazia divina, mi stavano
concedendo una tregua e si erano seduti tutti intorno ad uno bimbo con
le
guanciotte rosse che teneva tra le mani un video game.
Finalmente
ero
salva!
Mi era rimasta vicino solo una
bambina: la
principessina.
Aveva dei bellissimi occhioni blu come il cielo,
proprio come quelli di suo fratello.
La cosa che un po’ mi inquietava di quella bambina
era che mi osservava in silenzio con espressione seria, e solo quando
io la
guardavo alzando il sopracciglio mi sorrideva, mostrandomi i suoi
dentini da
latte.
“Buona notte,
sister.” Mia sorella, una volta a casa,
era passata per il saluto di rito. Di solito rispondevo con un semplice
“Notte”
ma quella volta iniziai una specie di interrogatorio nel quale io ero
il
poliziotto e lei l’indagata.
“Aspetta un momento! Prima mi dici che cosa
c’è tra
te e Nicholas.” Mi era uscita così di getto; la
cosa non stava andando così
diplomaticamente come l’avevo pensata.
“Gelosa?”
Provavo
gelosia? No, non era possibile. Non potevo essere gelosa di qualcuno
che
nemmeno conoscevo. Quello che aveva fatto partire come un fulmine a
ciel sereno
la mia domanda, non poteva essere gelosia.
“No, perché
dovrei?” Nonostante ostentassi sicurezza,
non capivo se mi irritava l’idea di vedere lei con Nicholas
perché pensavo che
lui fosse un buffone o che cosa. – se non altro era un
buffone carino. – ma cosa diceva il
mio cervello?
C’era qualcosa però che mi faceva sentire una
strana
sensazione alla bocca dello stomaco. Probabilmente era solo
irritazione.
“Non so, dimmelo tu. Sei tu che mi hai chiesto di
lui..”
“No, veramente ti ho chiesto se piace a te, perché
stasera ho visto che parlavate.. sembravate piuttosto
intimi.”
“Non siamo poi così tanto intimi. Lui era
lì per
vedere la recita della figlia.”
Mi ero
persa
qualcosa?! Nicholas aveva una figlia? Non era lì per la
sorellina?!
“Come scusa? La
figlia?!” Magari si era espressa
male.
“Ele dai, ma dove vivi? Non conosci la sua storia?”
“No, non conosco la sua storia. Non è che mi
interesso di tutte le storie della città. Io non sapevo
neanche che fosse
rimasto qui dopo il diploma, pensavo che fosse alla Stanford grazie
alla sua
borsa di studio per il baseball. Era un asso in quello sport.”
“Hai detto bene: era.” terminò
così la frase, senza
soddisfare la mia curiosità.
“E.. mi vuoi tenere ancora sulle spine o pensi di
raccontarmi quello che sai?”
“D’accordo, Ele. Però ci sono cose di
cui ho giurato
di non parlare. Se mai vorrà, te le racconterà
lui un giorno..”
“Va bene, va bene. Ora sputa il rospo.” Con calma
si
sedette sul mio letto e mi raccontò tutta la storia.
Quando finì ero sconcertata e mi sentivo anche una
stupida per averlo giudicato senza conoscerlo. Ero saltata alla
conclusione
sbagliata e avevo commesso lo stesso errore che io denunciavo agli
altri:
giudicare l’abito e non il contenuto. Mi ero fermata
all’apparenza e avevo
tratto le mie conclusioni affrettate.
Quando
rimasi sola, nel buio della mia stanza, mi
ritrovai a fissare il soffitto e a ripensare alle parole di mia
sorella.
Tutti i pezzi del puzzle ora erano al loro posto.
Ecco svelato per quale motivo Nicholas aveva dovuto abbandonare il
baseball e
il suo futuro da campione. Quello che non ero riuscita a sapere da lui
in camera
mia, me l’aveva svelato mia sorella.
Nicholas era solo
un giovane di 23 anni che cresceva una bambina senza una compagna. Era
qualcosa
di.. eroico.
Aveva rinunciato ai suoi sogni, al suo futuro di
atleta e a tutte le ragazze che avrebbe potuto avere, per stare accanto
ad una
bambina nata da una notte d’amore poco protetta.
Era stato un errore di giovani e lui si stava
prendendo le responsabilità delle conseguenze e quindi di
quella bellissima
bambina con gli occhi colore del cielo che io avevo pensato fosse la
sorella.
Madeline, la sua ragazza era morta dando alla luce
Lilian e, lui, dopo lei non aveva avuto più
nessun’altra. Si era dedicato solo
ed unicamente alla figlia.
Alice lo conosceva perché Lilian era una sua alunna e
lo aveva aiutato, ascoltandolo quando era ancora nel periodo
più nero.
Lei non era interessata a lui e lui non era
interessato a lei. Erano solo amici – se così si
poteva dire – e lei non lo
vedeva all’infuori degli incontri che riguardavano
l’asilo.
La scelta
che Nicholas aveva fatto era indubbiamente
difficile e anche ammettendo per un momento che – come diceva
mia sorella – lui
mi interessasse, sarebbe stata una cosa morta sul nascere.
Che
pessimo
eufemismo che avevo scelto.
Sarebbe stata una cosa impossibile:
non riuscivo a
prendermi cura di me stessa, figuriamoci se potevo anche minimamente
pensare ad
altre due persone. E poi non sapevo nemmeno cosa comportasse avere un
ragazzo,
se non per quello che avevo appreso da mia sorella.
Era inutile quindi che stessi a fare ipotesi nella
mia testa, quando non c’era un futuro in cui collocarle.
Scossa da quelle mille supposizioni
che si stavano
scatenando nella mia testa mi concessi all’abbraccio di
Morfeo, consapevole
però che anche il giorno successivo quei pensieri non mi
avrebbero abbandonato.
Sfortunatamente, Nicholas mi aveva colpita e
sorpresa.
________
Jé and
Giuliet’s Thoughts
Eccoci qui ragazzuole!
Finalmente dopo tanto riusciamo ad aggiornare e speriamo che
questo capitolo vi piaccia!
Ci sono state delle scene che sembrava scorressero davanti ai
nostri occhi, e speriamo di aver reso almeno un po’
l’idea =)
Come
al solito, se avete piacere di leggere altre nostre storie
ci trovate su efp e indovinate?!? Siamo ArchiviandoSogni_ e
Dreamer_on_earth
“La
facciata è la maschera per nascondere
quello che c’è dietro. Tutti possono vedere il
risultato finale dell’opera
d’arte, che sia un monumento o un quadro, ma pochi possono
vedere quello che ha
portato a quel finito, e quella è la parte
importante.”
Solo
quella frase della lezione di storia
dell’arte mi aveva colpito nel fluire dei miei pensieri.
Potevo
paragonare Nicholas ad un’opera d’arte?
Indubbiamente era bello, però per
l’amor del cielo, non potevo ritrovarmi a collegarlo anche
alle mie materie
scolastiche.
Sono
sempre stata una che quando inizia a
pensare non la ferma più nessuno, ma così era
davvero esagerato. Era passato un
mese da quando l’avevo visto l’ultima volta, eppure
ogni tanto mi ritrovavo
ancora a pensare a lui. Ricercavo i suoi occhi tristi in quelli dei
miei
compagni, ma nonostante si assomigliassero per colore non ero mai
soddisfatta.
Quegli occhi che vedevo davanti a me non erano quelli di Nicholas.
Dovevo
riconoscere però che mi aveva colpita
e poche persone lo facevano.
Ero
così sorpresa da sentirmi stupida; non
avevo ancora assimilato la cosa, ancora non riuscivo a capire come quel
ragazzo
fosse passato dall’avere tutto ed avere la strada spianata ad
una vita così
diversa, che non rientrava nelle sue previsioni.
Cazzo,
quando frequentava la Saint Mary High
School aveva una buona media scolastica, un talento ineguagliabile nel
baseball, una ragazza che lo amava nonostante si comportasse come uno
sbruffone, ed era adorato da tutti, persino i professori.
Era
vero che io non l’avevo mai incontrato a
scuola per la nostra differenza di età, ma nonostante se ne
fosse andato dalla
Saint Mary, per i corridoi trapelava ancora la sua leggenda. Nelle
teche fra le
classi c’erano tutti i suoi premi esposti e numerose foto di
lui mentre
giocava.
Finita
la lezione – come da routine da quando
avevo il gesso – attesi che tutti i compagni uscissero dalla
classe per non
accalcarmi nella ressa e non finire risucchiata nel casino tipico del
cambio
dell’ora. Ero fortunata ad avere il permesso di arrivare in
ritardo alla
lezione successiva per la mia lentezza negli spostamenti, e mi faceva
davvero
comodo. Alcune volte, lo ammetto, ne approfittavo e mi trattenevo a
parlare con
delle mie compagne di squadra che mi accompagnavano per controllare che
non mi
facessi ancora male.
Ma
da quel giorno, finalmente, avrei potuto
farne a meno. Mancava davvero poco alla liberazione della mia gamba dal
quell’ingombrante incomodo. Finita la lezione delle dieci,
sarei andata dal
medico per rimuovere il gesso.
Mi
stavo avviando verso l’ingresso, quando una
di quelle teche piene di foto attirò la mia attenzione e mi
soffermai ad
osservare il sorriso che animava il volto di quel ragazzo con il
cappellino da
baseball sulla testa e gli occhi azzurri che radiosi sorridevano con
lui.
Aveva
un’espressione serena e rilassata. Era
il ritratto della felicità: in mano teneva il trofeo della
vittoria del
campionato e mostrava i suoi denti bianchi soddisfatto.
Mi
era difficile accostare quel volto
sorridente e rilassato a quello che mascherava stanchezza e
responsabilità e
dire che appartenevano alla stessa persona.
Ma
la vita va avanti e non si cura dei tuoi
sogni e tu non puoi fare altro che seguirla, stare al passo per non
rimanere
indietro. E sembrava che Nicholas stesse facendo di tutto per starle
dietro e
che non gli risultasse facile compiere quei passi.
“Signorinella,
non ti sembra di approfittare un
po’ troppo dei tuoi permessi?” Fu la bidella a
ridestarmi dai miei pensieri.
“No,
Margie. Ho il permesso di uscire adesso.
Sto per liberarmene.” Con non poco sforzo sollevai la gamba
ingessata per farle
capire di cosa stavo parlando.
“Così
potrai tornare a correre per i corridoi
come una disperata?”
“Ovviamente,
lo faccio solo per te!”
“O
povera me.” Si finse esasperata.
“Dai
non fare così, che lo so che mi adori.
Senza di me ti annoieresti.”
“Posso
sempre trovare qualcun altro che
giochi con me a carte.”
“Ma
nessuno sarebbe simpatico quanto me!”
inarcai velocemente e ripetutamente le sopracciglia come per
sollecitarla a
darmi ragione.
“Vai
va, vai a liberarti di quella
scocciatura.”
“Corro!”
inforcai le stampelle col sorriso e
mi avviai verso l’uscita. Riflessa nella vetrata potevo
vedere Margie scuotere
la testa sorridendo.
Uscii
dalla scuola a testa alta e quasi con
fare vittorioso tanto agognavo quel momento. Ancora un’ora e
poi avrei potuto
dire addio alle stampelle.
Finalmente
sono libera!
Un
senso di eccitazione scorreva nelle mie
vene dandomi la giusta carica per affrontare quella giornata.
Avevo
finalmente tolto l’ingessatura e ora,
senza l’approvazione dei miei genitori, ero già
fuori casa e diretta verso casa
di Ashley.
Dopo
un paio chilometri ero a destinazione e
come una pazza in preda ad una crisi mi accanii sul campanello di casa
della
mia amica.
“Per
la miseria, quanta insistenza!” A
differenza mia Ashley era una ragazza educata e le parolacce non erano
così
solite uscire dalla sua bocca. “Ah sei tu Ellie. Ma che fine
avevi fatto a
scuola? Non ti ho più vista e mi sono preoccupata. Stavo per
chiamarti.”
“Ehi
Ash, frena e guardami. Cosa vedi?”
“Te?”
“No
scema, guarda meglio.”
“Vedo
sempre te, con una maglietta di dubbia
manifattura, dei pantaloncini decisamente da maschio, ma che non ti
stanno male
e…..” un urlo interruppe l’elenco del
mio abbigliamento per lasciar posto ad
una felicità così dirompente che Ashley mi
saltò in braccio. “Hai tolto il gesso!!”
“Ash
mi stai strozzando. Ho appena tolto il
gesso non voglio dover mettere il collarino.” Ridacchiai
coinvolta da tutta
quella felicità.
Lei
ed io avevamo sempre condiviso tutto da
quando eravamo piccole. Era la mia migliore amica dalle elementari.
Il
primo incontro non era stato dei migliori
visto che avevamo iniziato a tirarci i capelli, perché io le
avevo preso i
pastelli per disegnare e non glieli volevo rendere. Poi grazie ad una
punizione, diventammo compagne di banco e lei mostrò subito
la sua gentilezza
che inizialmente mi disturbava, ma che poi divenne parte integrante
della mia
routine quotidiana.
Non
potevo dare una data precisa alla nostra
amicizia perché crebbe con così tanta
spontaneità che nemmeno noi ce ne
rendemmo conto e ora ci ritrovavamo a stritolarci in un abbraccio sotto
la sua
veranda.
“Sono
felicissima! Ma non è troppo presto per
camminare così senza stampelle né
niente?”
“No,
il dottore ha detto che è abbastanza
forte. Non posso fare ancora una partita di baseball, ma posso tornare
ad
allenarmi pian piano.” Una piccola distorsione della
verità, ecco cosa avevo
appena raccontato all’ignara Ashley.
“Questa
si che è una grande notizia!”
“Si
lo è! Dai mettiti qualcosa di più comodo
che andiamo a fare due tiri al parchetto.”
**
Era
davvero estenuante lavorare con tutto quel caldo. Nonostante
mancasse poco all'estate, il clima aveva deciso di anticipare
nettamente i
tempi. Era
solo il 15 di maggio, ma l'afa rendeva davvero difficoltoso qualsiasi
tipo di
movimento per un normale essere umano; figuriamoci per un muratore che
lavorava
gran parte della giornata sotto il sole cocente. Io,
del resto, cercavo di non pensarci molto; anzi, ne approfittavo per
allenare il
fisico e per abbronzarmi senza spendere soldi inutilmente. Mentre
camminavo velocemente su delle travi, l'urlo di mio padre
echeggiò per tutto il
cantiere, ponendo fine alla mattinata di lavoro. Finalmente
l'ora di pranzo era arrivata e, armato del mio pranzo al sacco, seguii
i miei
compagni fuori da tutta quella polvere soffocante. Camminare
in mezzo alla natura, mi faceva sentire sereno. Era una fortuna trovare
cantieri vicino a parchi giochi o a piccoli giardinetti, in questo modo
non eravamo
costretti a cercare piccole locande o economici fast food per il pranzo. Bastava
una panchina, il pranzo portato da casa
e la compagnia dei colleghi. “Amico
mio, come siamo pensierosi ultimamente.”
Una
mano ben conosciuta mi colpì su una spalla e i miei occhi,
seguendo quel veloce
richiamo, entrarono in contatto con lo sguardo allegro di Logan. “Niente
di che, soliti problemi.” Glissai così - molto
furbescamente - il suo tentativo
di estrapolarmi qualunque tipo di informazione sul mio cattivo umore. Non
mi succedeva da tanto, ma mi sentivo decisamente nervoso e poco
propenso al
dialogo. “Se
se” Cominciò lui, assumendo la sua cosiddetta posa
Alla Logan. “Gli unici problemi
di noi poveri disgraziati – meglio conosciuti come uomini -
sono solamente due
cose : o i Red Sox hanno perso, o una donna è entrata nella
nostra vita a
rovinarla. E vecchio mio, io opto sempre per la seconda.”
Tolse la mano dal suo
mento ed abbandonò quella ridicola posizione che
assomigliava per lo più ad una
brutta copia della posa di Super Man.
Logan
era uno dei miei migliori amici. Il classico amico che conosci fin da
quando
sei in fasce e hai la disgrazia di portarti dietro per tutta la vita. I
suoi genitori erano i nostri vicini di casa, quando ancora abitavamo
tutti
insieme. Casualmente,
le nostre due madri partorirono
nella stessa camera di ospedale, nello stesso giorno e questo diede
inizio alla
maggior parte dei guai della mia vita. Con
lui avevo fatto di tutto: dal fumare erba
per sentirsi più uomini, all'andare in giro nudo per una sua
“innovativa” idea.
Avevo rischiato di rimanere chiuso in una cella, perché lui
aveva fatto il dito
medio ad un agente senza alcun motivo particolare. Ero riuscito a
fuggire da
una sospensione di un mese, perché lui aveva messo
telecamere nascoste negli
spogliatoi femminili e, qualunque cosa io dicessi, finiva sempre che la
colpa
ricadeva anche su di me. Ogni
volta, dopo qualche sua cavolata, mi chiedevo cosa avessi fatto di male
per
aver Logan al mio fianco. Alla
fine, però, non riuscivo mai a trattenere un sorriso
perché lui era - e lo
sarebbe sempre stato - un pilastro fermo nella mia vita. Quindi,
tutto sommato; nonostante fosse un ninfomane fissato con le donne e le
moto,
gli volevo un gran bene e questo faceva scomparire tutti i suoi difetti. “Keane,
non ne voglio parlare.” Mossi le spalle, per districarmi
dalla sua stretta ed
aumentare il passo. Una
cosa era certa: se non volevi finire nei guai con una donna, non dovevi
mai e
poi mai rivolgerti a Logan Keane.
“Hey,
amico, se usi il cognome allora è una cosa seria!
Chi è la bambola? Ha una bella carrozzeria? Ti prego, dimmi
che ha una sorella!
Sì, ne sono convinto ho proprio bisogno di....” Lo
incenerii con lo sguardo, agitando una mano nell'aria per dissimulare
le sue
parole. Per
fortuna venni affiancato da Tom, l'altro
componente del meraviglioso trio. “Perdonalo,
Nick. Non va a letto con una donna da cinque giorni e lo sai che da di
matto
quando è in astinenza.” Tom, meglio conosciuto
come Thomas Finnigan, era anche
lui un mio grande amico. Nonostante fosse un tipo taciturno,
essenzialmente
timido e misterioso, aveva un cuore grande e generoso. Io,
lui e Logan eravamo cresciuti insieme e nonostante noi tre fossimo
completamente diversi, riuscivamo in qualche modo a sopportarci,
completarci ed
aiutarci nei momenti peggiori. Tom
aveva perso il padre all'età di quindici anni e quel
terribile evento aveva
incrementato il suo essere taciturno e chiuso in se stesso. Solo con me
e Logan
era aperto e socievole, per questo era facile trovare un equilibrio
stabile con
quei due. Se
volevo divertirmi, Logan sapeva sempre cosa
inventarsi; e se volevo essere ascoltato e consigliato, Tom era capace
di
rimanere in silenzio per un giorno intero solo per farmi svuotare
completamente. Insomma,
senza di loro non sarei mai diventato Nicholas e non sarei mai riuscito
ad
attraversare gli anni peggiori della mia vita, senza il loro
indispensabile
supporto. “Hai
ragione, Tom. Bisogna trovargli una nuova
ragazza da molestare, invece che noi due. Te tutto bene a
casa?” Lui
mi sorrise, assumendo un'espressione dolce e luminosa.
“Sì, mamma è
completamente impazzita. Sta cucendo tanti di quei vestitini per il
bambino,
che mia sorella sta per tentare un omicidio. Per fortuna, ha Andrew che
è un
santo d'uomo e riesce a calmarla sempre.”
Sua
sorella Allison era incinta dell'ottavo mese e sapevo quanto Tom amava
parlare
del suo futuro nipotino.Credevo che, la
nascita di quel piccolo birbante, avrebbe portato finalmente la gioia e
la
felicità nella sua famiglia. In fondo, se lo meritavano
davvero.
Dopo
un quarto d'ora di cammino, trovammo finalmente una zona tranquilla
dove
consumare il nostro pasto. Sfortunatamente, dovemmo allontanarci da
Charlie e
Bill - altri due operai del cantiere - perché non c'era
abbastanza posto per
tutti su quella vecchia panchina. Fummo
decisamente fortunati, trovando un tavolino di legno e due panche
proprio
dietro una grande quercia, poco lontano da un campetto da baseball. Il
mio cuore si strinse impercettibilmente, ma
non gli diedi peso ed incominciai a mangiare tutto quello che si
trovava sotto
il mio sguardo.
“Che
poi ragazzi, pensate a quanto sarebbe bello
mettersi insieme a due sorelle! Sì, due gemelle omosessuali,
proprio identiche!
E fare dei menage a trois che si moltiplicano ogni volta. Porca
troia.” L'insalata
mi andò di traverso, tanto che Tom dovette darmi numerose
pacche dietro la
schiena, per farmi riprendere.Dopo
molteplici sorsi di birra, riuscii a riprendermi.
“Ma
sei cretino? Razza di depravato! E comunque si dice
omozigoti, non omosessuali! Santo cielo...” Posai la fronte
sulla mano,
decisamente abbattuto. In realtà, mi veniva da ridere, ma
non bisognava mai
dare la soddisfazione a Logan di essere stato brillante in qualcosa,
sempre se
non volevi sentire tutte le posizioni del Kamasutra da lui modificate e
reinterpretate. Mentre
Tom mi dava man forte, uno strano spostamento d'aria mi fece voltare di
scatto.
Senza rendermene davvero conto, intercettai una pallina da baseball a
pochi centimetri
dal mio viso. Grazie
al cielo, riuscii a prenderla in tempo. “Ma
chi diavolo è talmente cretino da lanciare una palla
così velocemente in un
parco? Cavolo, non è un gioco da bambini il
baseball!”
Sì,
forse ci avevo messo troppo fervore in quel commento, ma odiavo gli
irresponsabili.
Sono
sentimenti e sensazioni estranee a chi non è genitore, ma
appena hai una nuova
vita tra le tue mani, fai di tutto per proteggerla e diventi
iperprotettivo
senza rendetene conto.
Se
ci fosse stata Lily con me e io non l'avessi salvata in tempo, solo Dio
sa
quanto male avrebbe potuto farle quella stupida palla. Una
ragazza, con i capelli a caschetto di un rosso stupendo e naturale,
spuntò da
dietro un cespuglio con aria affaticata. Si guardò in giro
smarrita, prima di
essere attratta dalla mia mano che muoveva avanti indietro la pallina,
per
fargliela notare. Ero
leggermente acciglianto e una bella strigliata non gliela toglieva
nessuno. “Oddio,
eccola! Hey, scusami davvero! Quella
cretina di Ellie batte sempre troppo forte.”
Arrivò proprio dietro al nostro
tavolo ed io mi voltai del tutto verso di lei. Era
molto carina, sicuramente. Ma era troppo piccola e troppo tenera per
potermi
attrarre come donna.
“Dì
alla tua amica Ellie,
di stare più attenta. Siete state fortunate che c'eravamo
solo noi qui; ma se
ci fossero stati dei bambini, non sarei così stato tanto
clemente.” Le
tirai la pallina con un gesto secco e
preciso, tanto che la ragazza indietreggiò di un passo,
parandola con il
guantone. Wow,
era da tanto che non lanciavo una palla e mi ero quasi dimenticato il
rumore
del vento quando veniva tagliato con velocità. Scossi
la testa, come per scacciare un pensiero fastidioso e tornai a guardare
la
ragazza che era leggermente arrossita.
“Scusami
davvero, giuro che non volevamo darvi
fastidio. Ci stiamo preparando per il campionato autunnale e ci teniamo
tanto.” Beh..
Accidenti, non potevo fare tanto il duro, se sentivo quel tono
così remissivo e
implorante.In
qualche modo mi ricordava
Lily quando si accorgeva di aver combinato ben più di una
semplice marachella
innocente.
Le
sorrisi quasi mortificato, ma prima che potessi salutarla con
gentilezza, vidi
l'ombra di qualcuno che si mosse davanti a me.
“Ma
che bella sorpresa! Stamattina mi sono svegliato e
mi sentivo depresso per una nuova giornata di lavoro stressante e poi..
Cavolo,
non immaginavo di incontrare l'ottava meraviglia del mondo proprio
nell'ora di
pranzo. Ti prego, vieni a letto con me! Le rosse.. Ah, le
rosse!” Non
era possibile.. Vi prego, rinchiudetelo dentro una botola nel centro
della
terra! Perché
doveva sempre essere così.. Così Logan?
Che figuraccia. “Logan!
Muoviti e lascia stare la ragazza. Scusalo..” Tom si
parò davanti a Logan,
cercando di salvare la povera malcapitata.
“Amico,
tu non capisci! Le rosse... le rosse sono
proibite! Dai, ti concedo un menage, perché sei a secco da
un po'. Piccola,
dolcezza; io sono Logan Keane, pronto a servirti.” Io
mi alzai scuotendo la testa e facendo muovere la mascella a destra e
sinistra
in un tic nervoso.Mi
avvicinai così
alla ragazza che invece di essere impaurita - o quanto meno schifata -
se la
rideva di gusto. Per
lo meno, era provvista di senso dell'umorismo. Un po' macabro, ma era
sempre un
buon pregio. “Logan,
taci! Dopo questa sceneggiata, siamo pari.” Le indicai la
pallina con un
sorriso gentile. “Ora torna a giocare, prima che le tue
compagne ti diano per
dispersa.” Il
mio amico mezzo esaltato, stava già per
partire in quinta, ma lo bloccai subito con un'occhiata di fuoco.
“ASHLEEEEEY?” Mi
voltai verso la mia sinistra, decisamente
stupito di sentire quella voce. Non
poteva essere lei.
“Hey,
Ellie! Sono qui!” La rossa si sbraccio verso
l'amica, che corse piano verso di noi con espressione scocciata. Appena
arrivò più vicino, spalancò la bocca
inverosimilmente. “Tu?”
Io
sorrisi, troppo divertito dal suo stupore.
“Buongiorno,
Mademoiselle. Ci incontriamo sempre in
momenti imbarazzanti.” Lei
finse di essere contrariata, ma lo scintillio del suo sguardo mi fece
capire
che ne era divertita.
“Sei
tu che non hai niente di meglio da fare che bighellonare
in giro. Io, a differenza
tua, mi sto allenando.” Si voltò poi verso la sua
amica, accigliandosi. “E tu
perché ci hai messo così tanto per recuperare la
palla? Dai, Ash, non abbiamo
tanto tempo!” Vidi
la rossa sorridere come se non notasse minimamente i modi poco gentili
dell'amica.Probabilmente,
anche lei e Elena avevano instaurato un'amicizia simile alla mia con
Logan e
Tom. Forse era l'amicizia migliore che potesse esistere : dove
bisognava
litigare, sopportarsi e dare di matto un giorno sì e l'altro
pure per stare
insieme. Non bisognava fingersi diversi, solo per non rimanere soli e
dopo
ventitré anni di amicizia con quei due, ne ero
più che certo.
“Ellie,
mi stavo scusando con questi ragazzi per aver
interrotto bruscamente il loro pranzo. Dovresti scusarti anche tu, lo
sai.” Lo
sguardo incoraggiante di Ashley fu alquanto vano, vista la faccia
incredula
della bionda.
“Ma
davvero? Con tutto il posto che c'è in questo
parco, proprio vicino al campetto da baseball si dovevano mettere?
Questa è una
cazzata bella e buona, Ash.” Si voltò
così dandomi le spalle e simulando una
posa da menefreghista bella e buona. Alzai
un sopracciglio, incredulo.
“Certo
che oggi i medici fanno davvero miracoli. Oltre ad aver tolto il
gesso, ti hanno anche esportato il tuo unico neurone zoppo?”
No, quella non era
una risposta da Nicholas. O meglio... non del Nicholas padre
ventitreenne con
una famiglia da mantenere. Questa sarebbe stata la risposta altezzosa e
provocante del Nicholas Moore, capitano dei Lions e sciupafemmine
mancato. Lei
si voltò di scattò, socchiudendo gli occhi.“Ripetilo
se ne hai il coraggio.” Io
scoppiai a ridere di gusto. Certo che era davvero un peperino!
“Dai,
Ellie, non te la prendere. Se hai
bisogno di una donazione, io sono disponibile.” Anche quel
sorriso sornione,
non poteva essere ritornato così facilmente. Cos'aveva
di particolare quel maschiaccio dalla lingua biforcuta? Mi sentivo
strano ed
odiavo non avere controllo su me stesso. Quelle battute, per quanto
poco
gentili fossero, mi facevano sentire decisamente libero e sollevato,
come non
lo ero da troppo tempo.
“Ellie
è un diminutivo che tu non sei tenuto ad
utilizzare. Vuoi fare tanto l'uomo macho? Eh? Dai, Nicholas Moore : ti
sfido!
Scendi in campo, Lion.” Agitò il dito verso di me,
completamente infervorata
dalle mie frecciatine. No,
non avrei accettato. Io avevo chiuso con quella vita.
“No,
grazie. Devo finire il mio panino,
prima di ritornare al lavoro.” Ma
evidentemente non sapevo ancora con chi avevo a che fare.
“Hey,
Nick, non dovresti rifiutare una bottarella sul
campo: mai! Sì, è vero, farti sotto in quel senso
non è il massimo, ma è una
bella ragazza e bisogna correre il rischio. E ricordati, vecchio mio :
quelle
infervorate sono insaziabili.” Ecco,
ero circondato da cretini! Che mal di testa.
“Ma
questo è scemo! L'unica botta che potrei dare a
questo qui è in testa, ripetutamente e con forza. Ma guarda
questo...” Mi
veniva da sorridere, nonostante rasentassi la disperazione vera e
propria. Logan
era davvero un cretino ninfomane, però l'aveva fatta
arrossire e in qualche
modo mi piaceva vederla sotto una nuova luce. Sembrava quasi piccola e
in fondo
lo era.
“Mi
spiace per Logan, ma ha qualche problema a
collegare il cervello con la bocca e non con... altro. Ora noi dobbiamo
finire
il nostro pranzo e scommetto che voi avete molto da fare per il
campionato.
Soprattutto tu, piccola Ellie.” Le indicai la palla che
teneva ancora nel
guantone la rossa e così tornai a sedermi, dando le spalle
al piccolo
gruppetto. Non feci in tempo ad addentare un pezzo di pane che sentii
qualcosa
colpirmi in testa. Mi
voltai di scatto, vedendo la pallina rotolare sotto la panca.
“Ma
sei cretina?” Il mio sguardo si assottigliò, senza
che potessi fermarlo. Quello
era decisamente troppo, non ero certamente un santo e quella ragazzina
bionda
dallo sguardo vispo e furbo, stava scherzando col fuoco.
“Ceeeerto.
Una cretina che ti sta sfidando da un quarto
d'ora, ma tu non hai le palle per accettare. Hai paura,
Moore?” Ok,
ok... Stavo per cedere ad una provocazione di una banalità
assurda, fatta dai
ragazzini delle medie. Ero pronto a tornare in campo? Santo
cielo, no! Toccare la ruvidità della palla, impugnare con
forza la mazza da
baseball e tornare a correre da base a base con velocità
sempre più rapida :
quanto mi mancava tutto quello; quanto mi mancava Mad. Se
avessi accettato, lei si sarebbe arrabbiata con me? Lily
si sarebbe scandalizzata se suo padre avesse ricominciato a giocare con
una
ragazza molto più piccola di lui? Che
casino. Però i nervi stavano cedendo e i piedi non vedevano
l'ora di risolcare
la terra scura del campo. In
fondo, potevo solo fare qualche tiro e poi ritornare nella mia
religiosa
astinenza. Sì,
avrei fatto così.
“No,
Mademoiselle, volevo solo evitarle una spiacevole
ritirata con la coda tra le gambe. Accetto.” Mi alzai
velocemente, dirigendomi
verso il campetto. Non aspettai nessuno, ma ben presto Logan e Tom mi
affiancarono stupiti. “Cazzo,
Nick.
Davvero ritorni in campo? Cazzo, cazzo, cazzo!” E
così dicendo, oltrepassai il minuscolo cancello di rete,
assaporando il panorama
davanti ai miei occhi: la base, la terra, il cielo. Da sempre avevo
adorato
l'accostamento di quei colori così diversi e contrastanti. Per
quanto molti mi avessero dato dell'idiota, in quel momento mi sentivo a
casa. “Tu.”
Elena mi indicò con fare sbrigativo.
“Lanci.”
E mi passò velocemente la pallina che si incastrò
perfettamente nel mio palmo. Che
sensazione... strana. Mi sentivo agitato, felice e preoccupato nel
medesimo
istante. “Tu
e tu” Indicò così i miei due amici che
continuavano a fissarmi sbalorditi. “Dietro, in difesa
insieme ad Ash.” Ma
poi ci ripensò, rendendosi conto che sarebbe stato meglio
avere un ricevitore a
prendere la palla.“No
scusa, tu con
gli occhi verdi : qui a ricevere. Sulla panchina lì in
fondo, c'è un guantone
in più.” La
vidi poi sgranchirsi le gambe con eccessiva premura, probabilmente
preoccupata
per la gamba non ancora guarita del tutto. Io
feci altrettanto, roteando le braccia e stiracchiando le spalle. Avevo
l'adrenalina alle stelle. In
quei pochi istanti i miei occhi non si allontanavano dal suo corpo. Mi
soffermavo su frivolezze, su dettagli che non mi ero mai permesso di
notare in
altri battitori. Lo sguardo concentrato, il petto che si muoveva
velocemente
sotto la maglietta bianca e quattro volte più grande di
lei... Non mi ero mai
reso conto quanto - in realtà - fosse piccola ed indifesa. Forse
il fatto di essere padre, aveva decisamente compromesso i miei standard
in
fatto di donne. Elena,
ai miei occhi, sembrava più una Lily cresciuta che una
possibile ragazza. Scossi
la testa, mettendomi in posizione. Tutto
successe in un attimo, alzai velocemente la mia gamba, sentii i muscoli
tendersi con forza e lanciai - decisamente più piano di
quanto volessi - verso
di lei. Non
fu difficile per Elena, colpire la palla e correre verso la prima, la
seconda e
infine la terza base. Ritornò
poi al suo posto, dedicandomi un'occhiata di pura beffa.
“Certo
che non pensavo fossi così
scarso, capitano. Mi regali su un piatto d'argento un bel home run
facile
facile.” Piegai
una parte del labbro all'insù, scuotendo poi la testa. Che
pulce dispettosa
quella ragazzina! “Ma
davvero? Sono quattro anni che non tocco una palla.”Frase
sbagliata con LA persona
sbagliata. Logan,
posizionato dietro di me alla mia destra, fischiò poco
finemente, avvicinandosi
ad Ashley. “Eh, mi spiace davvero. non voleva dire proprio
quello. Sai, è un
periodo di magra per tutti; a volte c'è chi cambia sponda
per soddisfare le
voglie incontenibili.. Povero, Nick.”
Lo
fulminai letteralmente, mentre la ragazza - del tutto inaspettatamente
- si
mise a ridere con una mano davanti alla bocca, risultando adorabile
perfino ai
miei occhi. Speravo ardentemente che Logan si stufasse presto. Ashley
non mi
sembrava proprio il tipo da “toccata e fuga”.
“Ok,
torniamo a noi, Principessa.” Vedere
il viso di Elena colorarsi vivamente di rosso, mi fece incredibilmente
piacere.
Peccato che fosse solo rabbia nera quella che le si leggeva in volto,
ma era
troppo appagante e divertente provocarla fino all'esasperazione. Mi
stiracchiai il collo, facendo girare la palla tra le mie dita ruvide.
Gli occhi
si assottigliarono, il respiro si fece silenzioso e io tirai con
più potenza,
precisione e passione. Primo strike!
Elena
rimase immobile, senza nemmeno essersi accorta della pallina. La vidi
guardarmi
leggermente confusa ed abbassare lo sguardo su Tom che mi mostrava la
piccola
sfera bianca, sorridendo con gioia. Nicholas
Moore sembrava essere tornato sul campo e in qualche modo, oltre la
paura, mi
sentii appagato e felice come non lo ero da troppo tempo. “Che
scherzo è questo? Hai barato!”
Scoppiai
a ridere con naturalezza, voltandomi verso Logan che mi fece
l'occhiolino,
complice del mio ritorno in grande stile.Ero
arrugginito, fuori allenamento e probabilmente
quella piccola rinascita sarebbe rimasta tale, senza un reale rientro
in campo.
Però era bello sognare, lasciare libero il cuore di tuffarsi
nella vita, senza
rifugiarsi nelle paure e nella logica. Dopo
troppo tempo, mi sentii un ragazzo di
ventitré anni, con la sola voglia di divertirsi, scoprirsi
ed immergersi nella
vita. Fu
così che feci un altro strike, guadagnandomi complimenti da
parte dei miei
amici di sempre e insulti gratuiti da Elena.
“E
ora facciamo il terzo, Principessa. Pronta?” Lei
mi mise il broncio, posizionandosi rumorosamente al suo posto. Mi
sarebbe piaciuto avvicinarmi e farle una linguaccia, solo per essere
minacciato
seriamente di morte. Ed in fondo, nonostante non l'avrei mai ammesso,
non era
nemmeno male sul campo. Mi
riposizionai sotto il suo sguardo duro e concentrato, il mio corpo in
tensione,
le braccia contratte e lanciai la pallina dritta verso il guantone di
Tom. Ma
Elena, quella volta, mi rubò la gloria. La
sua mazza colpì con un suono secco e deciso la pallina,
mandandola in cielo.Mi
aveva fregato, ma tutto sommato non
la presi minimamente sul personale. Era grazie a quella pulce
fastidiosa che
avevo assaggiato di nuovo un pezzo di paradiso. L'osservai
correre e poi voltarsi verso di me,
facendomi il dito medio.Abbandonò
così
la prima base, ma non riuscì a raggiungere la seconda,
perché la vidi crollare
a terra.
Ma
cosa diavolo...?
“Elena!” Sentii
l'urlo di Ashley e i miei nervi agirono,
prima del mio cervello.Corsi
verso di
lei e la vidi sorridere, mentre crollava tra le mie braccia.
___________
Ed
eccoci alle note di fine
capitolo!
Anche
se è arrivato con un
ritardo imperdonabile speriamo vivamente che vi piaccia!! ^^
Questo
capitolo l’abbiamo
dedicato all’amicizia e alle persone speciali che fanno parte
della nostra vita
con le quali condividiamo di tutto!
Poi
personalmente AMIAMO
Logan!! <3 voi come lo trovate??
Se
vi va fateci sapere che ne pensate di questo capitolo =)
Un
bacione a tutte voi
lettrici. <3
Avevo
come la sensazione che mi stessi
muovendo pur stando ferma. Sentivo la testa girare e le palpebre
pesanti. Ero
in una condizione alquanto precaria finché non sentii come
se tutto si fosse
fermato. Un vago rombo si avvicinò alle mie orecchie che
sentivano ovattato.
Con
una lentezza estenuante tutto iniziò a
tornare alla normalità. I miei sensi si stavano risvegliando
e finalmente il
vorticare della testa era rallentato e riuscivo ad aprire gli occhi.
“Buongiorno
Bella addormentata.” Conoscevo
quella voce, ma la persona da cui proveniva era ancora sfocata davanti
a me.
Ma
che
diavolo mi è successo?
Come
se il mio interlocutore mi avesse letto
nel pensiero, ricevetti un resoconto di quello che era successo.
Ero
caduta giocando a baseball ed ero
svenuta. Ricordavo vagamente quella scena, ma avevo come la sensazione
che
fosse stato tutto un brutto incubo, anche perché in
quell’incubo c’era anche lui.
Il ragazzo che da un po’ tormentava
i miei pensieri e che ogni volta che ci parlavo risulta sempre
più antipatico.
Con
una calma che non sapevo potesse
appartenermi sbattei le palpebre e misi a fuoco le immagini intorno a
me.
Mi
trovavo in un pick-up con gli interni
decisamente poco puliti e anche un po’ vecchiotti e accanto a
me al posto del
guidatore c’era lui.
Ma
mi
stava perseguitando per caso? Possibile che mi fosse sempre attorno?
“Terra
chiama Elena.”
Non
so nemmeno io cosa mugugnai per risposta,
ma qualsiasi cosa fosse doveva essere proprio divertente
perché Nicholas scoppiò
in una fragorosa risata, che al mio orecchio risuonava stranamente
piacevole.
“Che
cosa ci faccio qui?” chiesi
massaggiandomi le tempie.
“La
botta ti ha proprio stordito. Te l’ho
appena detto. Sei caduta correndo in seconda base e hai picchiato la
testa e
sei svenuta.”
“Ah.”
“Mi
hai.. Ci hai spaventato, cretina.”
“Ehi!
Piano con gli insulti. Non è che svengo
per sport. Io gioco a baseball se non ti fosse sfuggito.”
“Giocare
è una parola grossa visto che sei
stramazzata a terra dopo neanche dieci minuti di gioco!”
“Stronzo.”
In quel momento mi volli accertare
di non aver rotto di nuovo la caviglia e iniziai a muoverla con
cautela. Per
mia fortuna riuscivo a farla roteare su se stessa senza che mi facesse
eccessivamente male. Avevo caricato troppo peso per una sola mattinata
da
quando avevo tolto il gesso.
“Non
avresti dovuto giocare avendo tolto il
gesso da così poco tempo. Che diavolo ti è
passato per quel cervello bacato?”
Il
suo tono accusatorio mi fece risvegliare
del tutto e io non potei fare a meno di rispondergli a tono.
“Non
sono affari tuoi. Potevo benissimo
giocare!”
“No
che non potevi. La tua amica ha detto che
hai tolto il gesso questa mattina; non avresti dovuto tornare sul campo
per
almeno una settimana!” Non potevo credere che stessi
effettivamente discutendo
con lui su quello che potevo fare o meno.
“Io
faccio quello che voglio.”
“No,
signorina. Non è così che gira il mondo:
non puoi fare quello che vuoi se poi nelle conseguenze coinvolgi anche
gli
altri.”
“Ma
che cazzo stai dicendo? E poi che ci
faccio in questa macchina?!” chiesi solo in quel momento dove
mi stesse
portando.
“Ti
sto portando all’ospedale.”
“Non
ho bisogno di andarci.”
Rise
di nuovo, facendo aumentare la mia
stizza di non poco. “Sì, come no. Non sei svenuta,
affatto! Sei stata cosciente
per tutto il tragitto e hai raggiunto la macchina con le tue
gambe.”
“Fammi
scendere.”
“Smettila
di fare la bambina capricciosa e
stai in silenzio per un secondo. Eri più simpatica quando
eri svenuta.”
“Vaffanculo!”
il broncio salì automatico e
lui sembrò sentirsi in colpa per quello che aveva detto
tant’è che aprì la
bocca nel tentativo di dire qualcosa, ma poi ci ripensò.
Trascorremmo
il resto di quel breve viaggio
in silenzio e io fissavo le case che scorrevano veloci fuori dal
finestrino; ad
un certo punto la macchina si fermò e quello che mi si
parò di fronte fu il
cartello dell’ingresso dell’ospedale.
“Ce
la fai a scendere da sola?” Il suo tono
sembrava premuroso, ma io ero ancora troppo arrabbiata con lui per
considerare
con serietà la sua richiesta. Quelle attenzioni non mi
avrebbero di certo
sciolto, così in tutta risposta aprii la portiera e saltai
giù dal vecchio
pick-up grigio. Quel gesto mi costò non poca fatica e per
poco non persi
l’equilibrio. Mi dovetti appoggiare alla portiera per tenermi
in piedi.
Senza
chiedere il permesso, Nick era entrato
nel mio spazio personale e io mi ritrovai sollevata da terra in pochi
secondi.
Stranamente, non opposi resistenza e così varcai la soglia
dell’ospedale tra le
sue braccia.
“Ti
piace così tanto prendermi in braccio,
eh?” non potei fare a meno di punzecchiarlo.
“Non
sai quanto, Principessa.” Rispose lui
sarcastico.
Senza
prestarmi più attenzione, chiese
all’infermiera di turno dove avrebbe potuto farmi accomodare
e così entrammo
nella stanza 2B.
Mi
appoggiò sul lettino senza rivolgermi più
la parola e subito dopo, come a mettere un muro tra noi, si
voltò a guardare i
poster appesi alle pareti.
“Vediamo
un po’ chi abbiamo qui…” Il dottore
fece il suo ingresso nella sala dopo almeno un’ora.
“Elena Rinaldi? Ma non ti
avevo buttato fuori da qui appena due ore fa?!” lo sguardo
intenso e scuro del
dottor Jackson incrociò il mio e sembrava rimproverarmi come
quello di un
genitore rassegnato alla testardaggine del proprio figlio. Io dal canto
mio
ridacchiai colpevole e Nicholas si sedette sulla sedia accanto al
lettino.
“Che
cosa hai combinato questa volta?” Il
medico trentenne si posizionò di fronte a me e
iniziò a squadrarmi per capire
per quale motivo fossi lì.
“Ha
preso un bella botta in testa, dottore.”
Fu Nicholas a rispondere al posto mio; neanche fossi sua figlia e
avessi
bisogno della balia. Quel suo intervento mi fece innervosire e gli
risposi con
rabbia. “Stai zitto tu. So cavarmela da sola.”
Lo
fulminai con un’occhiata, ma questa non lo
fermò dal rispondermi.
“Sì,
infatti sei venuta qui a piedi in
ospedale, vero?” fu il suo sguardo a non permettermi di
ribattere. I suoi occhi
azzurri sembravano perforarmi e un leggero senso di colpa
iniziò a farsi spazio
dentro di me. Aveva ragione dopotutto: mi aveva accompagnato lui in
ospedale,
perché io ero svenuta.
“Bene
piccioncini, avrete tempo di discutere
dopo su chi ha portato qui chi. Adesso fatemi capire che
cos’ha
questo diavoletto della Tasmania.” Mi si avvicinò
facendomi l’occhiolino, forse
convinto di mettermi a mio agio, ma il risultato che ottenne fu
decisamente
l’opposto. Sentivo le guance imporporarsi e ed ero talmente
imbarazzata che non
riuscii a spiccicare una parola.
“È
caduta giocando a baseball, ha picchiato
la testa ed è svenuta per almeno cinque minuti.”
Nicholas sembrava ci avesse
preso gusto a intervenire in mio aiuto, anche se nessuno
gliel’aveva chiesto.
“Giocando
a baseball, eh? Cosa ti avevo detto,
Elena? Vedo che mi dai retta.” Mentre mi parlava si
alzò e si diresse al
banchetto degli “attrezzi del mestiere” come li
chiamavo io.
“Doc,
scusi ma non ce la facevo più a stare
ferma.” Ero davvero mortificata, nel suo tono percepivo
disappunto e
preoccupazione. Sapevo di averlo in qualche modo deluso; ci teneva al
suo
lavoro e prendeva a cuore la salute di ogni suo paziente, in cambio
chiedeva
solo che si facesse quello che lui consigliava.
Glissò
palesemente su quelle mie scuse e, tornatomi
di fronte, mi sollevò il mento e mi disse di guardarlo negli
occhi. Voleva
controllare che non avessi alcun trauma cranico, ormai conoscevo quella
procedura; l’aveva già effettuata la prima volta
che mi avevano portato lì per
la caviglia.
“Sopravvivrai.
Fortunatamente non c’è nessun
trauma interno, ma ti verrà un bel bernoccolo.” Mi
sorrise e potrei giurare di
aver sentito Nicholas tirare un sospiro di sollievo.
“Doc
e la caviglia?”
“Adesso
controlliamo in che condizioni è.”
Nonostante fosse arrabbiato con me, le sue mani facevano pressione
delicatamente sul mio piede, indicando la professionalità di
quell’uomo. “So
cosa stai per chiedermi: sì, potrai tornare a giocare, ma NON
tra meno di una settimana. Se la sforzi,
rischi che si rompa ancora e, visto che si era ricomposta
così bene, sarebbe un
vero peccato. Non tutti hanno la fortuna che hai tu, Elena.”
“Grazie,
Doc.” feci per rimettere la scarpa,
ma il dottor Jackson mi bloccò.
“Dove
pensi di scappare? Ti faccio una
fasciatura che ti aiuterà a tenere più salda
l’articolazione. La toglierai solo
tra due giorni, d’accordo?”
“Agli
ordini, Doc.”
Mi
misi ad osservarlo mentre mi avvolgeva la
benda intorno alla caviglia e poi con delicatezza mi rimise la
calzatura.
“E
adesso sparisci. Non ti voglio vedere per
almeno un paio d’anni!” mi minacciò
sorridendo. Alle mie spalle Nick, aveva
ringraziato il dottore e in silenzio mi seguì
all’uscita.
“Posso
prendere l’autobus per tornare a casa,
tu puoi tornare pure al lavoro, se vuoi.”
“No.”
“Allora
chiamo mia mamma.”
Ci
pensò un momento, quasi fosse combattuto,
ma alla fine esordì: “Sicura di volerle dire di
venirti a prendere
all’ospedale? È meglio che ti porti io, ma prima
devo fare una telefonata.”
Annuii
solamente e salii in macchina dopo di
lui.
“Mamma
puoi andare tu a prendere Lily? Io ho
avuto un contrattempo… No, sto bene. Poi ne parliamo, adesso
devo guidare.” Non
volevo origliare, ma in quella circostanza era inevitabile: era seduto
a meno
di due metri di distanza da me e anche se avesse sussurrato quelle
parole sarei
riuscita a sentirle.
Durante
il tragitto ebbi tutto il tempo di
ripensare a quello che era successo quel giorno, perché lui
non sembrava
intenzionato a parlarmi, era concentrato sulla strada ed era stato
zitto tutto
il tempo.
Mi
sentii tremendamente in colpa. Nicholas
stava riaccompagnando a casa me invece che andare a prendere sua figlia
all’asilo. E per di più aveva anche saltato il
pomeriggio di lavoro. Insomma
ero la causa dei suoi problemi della giornata; come se non ne avesse
già
abbastanza di suo. Era davvero gentile da parte sua assistermi,
evitandomi la
scocciatura di dovere spiegare ai miei cosa ci facevo in ospedale.
Si
era preoccupato delle mie condizioni e io
non ero abituata a quel tipo di gentilezza offerta senza un tornaconto.
La
scuola mi aveva fatto capire che ormai nessuno faceva niente per
niente; io ero
troppo fessa per rientrare in quella categoria, però sapevo
che il mondo che mi
circondava ormai andava così. Il problema era cosa potesse
volere lui da me.
“Eccoci
arrivati piccola Ellie.” Mi sorrise
strafottente.
“Io
non sono piccola.” Scandii le parole con
un’ottava in meno nella voce e lui scrollò la
testa.
“Io
e te non possiamo parlare senza discutere,
non è così?”
“A
quanto pare.” Stavo per aprire la portiera
senza nemmeno ringraziarlo, stavo per scappare senza riconoscergli il
merito di
quello che aveva fatto per me quel giorno. Era da maleducati, e io
– nonostante
le frequenti parolacce – non ero un’irriconoscente.
Allentai
la presa sulla portiera e incrociai
le mani sul grembo; gesto che incuriosì Nicholas.
“Beh..
Grazie, Nicholas. Non era necessario
che tu ti preoccupassi così per me, quindi ti sono
riconoscente… Però! Non hai
ancorai il permesso per chiamarmi Ellie.” Smorzai
così quel momento che metteva
a dura prova il mio orgoglio.
“Prego,
Elena.” Non mi stuzzicò, non fece
nulla che potesse irritarmi in quel momento e sinceramente non sapevo
se
preoccuparmi o meno. Non ero abituata a non punzecchiarmi con lui; ma
evidentemente era lui il maturo in quell’abitacolo tra noi
due. Il fatto che
avesse dovuto assumersi le responsabilità di
un’altra vita lo aveva indotto per
forza ad avere del sale in zucca.
Gli
sorrisi e lui ricambiò con un sorriso
dolce, appena accennato, ma bellissimo. Era come se in quel momento un
po’
della tristezza che celava il suo sguardo fosse sparita, e la cosa mi
sollevava.
Scesi
dal pick-up e venni intercettata da mia
sorella, che mi mimò con le labbra “Che ci fa lui
qui?”. Non mi diedi il tempo
di rispondereche
si era già fiondata da
Nicholas.
“Ehi
Nick, che sorpresa trovarti qui. Come
mai da questa parti?”
Lo
sguardo di Nick saettò verso di me e,
vedendomi spaventata, le rispose con tranquillità
“Ho dato uno strappo a casa a
quell’uragano di tua sorella.”
Sentendo
quelle parole gli feci una
linguaccia, consapevole del fatto che solo lui poteva vederla,
poiché mi
trovavo alle spalle di Alice.
Sorrise
di quel gesto, ma poi la sua
attenzione venne catturata nuovamente dalla voce di mia sorella:
“Davvero
gentile da parte tua. Per ringraziarti posso invitarti ad entrare per
un
caffè?” la solita paura di essere debito di Alice
prese il sopravvento.
Un
leggero ghigno increspò le labbra di
Nicholas e accettò con garbo. Mia sorella fece strada,
mentre io rimanevo
imbambolata ad osservarlo per capire cosa gli stesse passando per la
testa.
Come
mai aveva accettato? Non doveva tornare a casa da sua figlia?
Mi
passò accanto e fermatosi mi sussurrò:
“Riscuoto il tuo debito, Principessa. Mi devi un
caffè, ricordi?” e poi si
avviò verso l’ingresso.
E
così la nostra tregua era già terminata?
Buono a sapersi. E avrei vinto io, questa volta giocavo in casa.
Lo
raggiunsi sotto il portico, “Vuoi la
guerra, e guerra sia!”
In
risposta alla mia provocazione rise di
gusto. Una risata allegra e spensierata.
Ci
affiancammo sulla soglia di casa per
entrare e istintivamente ci bloccammo entrambi. “Dopo di lei,
Mademoiselle.”Ghignò e io non me lo feci ripetere
due volte.
“Le
tue riverenze mi danno sui nervi.”
“Mi
preferiresti sgarbato e stronzo?”
“Mmmm…
fammici pensare.. può darsi. O forse
non ti vorrei proprio…” lasciai in sospeso la mia
frase e assunsi una posa
dubbiosa strofinandomi il mento.
“Mi
sento ferito nell’orgoglio, Principessa.”
“Me
ne rincresce davvero, Messere.” Se era
quello il gioco che voleva fare, io non mi sarei certo tirata indietro.
Il
nostro stuzzicarci era stimolante; era come una partita di tennis:
sferzata la
battuta, arrivava diretta la risposta e così a seguire
finché uno dei due non
segnava il punto.
“Nick,
come lo vuoi il caffè?” urlò mia
sorella dalla cucina, interrompendo l’aria di sfida che si
era venuta a creare.
Lasciai
che raggiungesse Alice, studiando la
mia prossima mossa per far innervosire Mr
Buone maniere.
Il
mio piano sfumò vedendo mia mamma aprire
la porta di casa affannata e carica come un mulo.
“Ti
aiuto io mamma, lo sai che non devi
sforzare la schiena.”
“No
tesoro non ti preoccupare, non devi
portare pesi inutili; non ancora almeno. Tra un paio di settimane
potrai
scaricarmi tutte le spese che vuoi.”
“Uuuuh
non vedo l’ora.” Finsi entusiasmo, e
le presi lo stesso una busta dalle mani.
“Dov’è
quella scansafatiche della tua sorella
maggiore?” mi chiese appoggiando la spesa sul pavimento.
“Le avevo chiesto se
mi poteva dare una mano a scaricare.”
“È
in cucina con Moore, il ragazzo
dell’impresa.”
“Che
cosa ci fa lui qui?”
Scrollai
le spalle in risposta, non sapendo
cosa inventarmi. Non sapevo mentire senza aver preparato una buona
scusa.
Seguii
mamma che, senza esitare oltre, entrò
in cucina e fingendosi cordiale chiese a Nicholas come mai si trovava
in casa
nostra.
“Gli
sto offrendo un caffè, visto che è stato
così gentile da portare a casa Elena.”
“Ah.”
Mia mamma rimase a bocca aperta e si
voltò a guardarmi col suo sguardo: ne
parliamo dopo e tornò a rivolgersi a Nicholas.
“Sembra
che tu abbia una certa propensione ad
aiutare le ragazze in bisogno.”
“Beh,
un gentiluomo non può di certo evitare
di soccorrere una fanciulla in difficoltà.” Tento
un sorriso per addolcire mia
mamma, ma secondo me ne era in qualche modo intimorito.
“Bene!
Allora sarai così gentile da aiutarmi
con la spesa.”
Soffocai
una risata, mentre mi godevo lo
spettacolo: il sorriso di Nicholas appariva come mai forzato in quel
momento e
mia mamma era visibilmente soddisfatta. L’aveva incastrato e
ora lui non poteva
tirarsi indietro; non dopo la stronzata che aveva propinato a mia
mamma.
“Certamente
Signora Rinaldi.” Si alzò dalla
sedia e si avviò alla porta e insieme a mia sorella
svuotò il bagagliaio della
monovolume.
Mia
mamma nel frattempo si era diretta alla
scrivania sotto il mio sguardo curioso. Non mi rivolse parola, segno
che non le
era andato giù qualche mio comportamento e che presto avrei
dovuto vedermela
con una delle sue ramanzine.
Estrasse
dal cassetto un assegno. Doveva
essere quello che mancava da pagare all’impresa del padre di
Nicholas. Così
avremmo estinto il nostro debito. Questo implicava il fatto che molto
probabilmente non l’avrei più rivisto. E non
sapevo se questo pensiero mi dava
fastidio o sollevava.
Lo
porse al giovane Moore una volta che
rientrò con mia sorella in cucina con l’ultima
busta della spesa.
“E
con questo abbiamo estinto il nostro
debito, Nicholas.”
“Sì,
signora Rinaldi.” Accettò titubante
l’assegno che mia mamma gli pose con poco garbo e con aria
accigliata lo mise
nella tasca posteriore dei jeans.
“Nick
metto su il caffè?” si intromise mia
sorella, che venne prontamente fulminata con lo sguardo da mia madre.
Sguardo che
evidentemente non sfuggì a Nicholas, perché
irrigidì le spalle ed assunse un
sorriso stiracchiato come maschera dei suoi pensieri.
“No
Alice grazie, non posso fermarmi; devo
correre a casa da Lilian” Mia sorella sembrò
delusa da quella risposta, e io
ero ancora imbambolata ad osservare l’ostilità di
mia mamma nei suoi confronti.
Non l’avevo mai vista così dura con nessuno; fu
proprio lei a risvegliarmi dai
miei pensieri chiedendomi di riaccompagnare Nick alla porta. Non esitai
e sulla
soglia gli sorrisi imbarazzata, quasi mi sentissi in dovere di scusarmi
per il
comportamento di mia madre. Lui non ci mise molto a tornare in
sé stesso e si
chinò su di me, portando i suoi occhi limpidi come il cielo
estivo ad una
spanna dal mio volto. “Sembra che tu mi debba ancora un
caffè, Principessa.”
Si
allontanò subito dopo, e con le mani in
tasca raggiunse la sua macchina. Tirai un sospiro di sollievo; non mi
ero nemmeno
resa conto che avevo trattenuto il respiro.
Rimasi
appoggiata allo stipite della porta finché
non vidi ripartire il suo vecchio pick-up. Non vederlo più
nel mio raggio
visivo mi riscosse e ricordandomi del comportamento di mia mamma,
sbattei la
porta d’ingresso e mi fiondai con passo pesante in cucina.
“Allora?”
battei la punta del piede destro
per terra in attesa di una risposta. Mia sorella mia guardava stupita,
ma non
ebbe il coraggio di intromettersi. Aveva capito che mi stavo rivolgendo
a mamma
e così silenziosamente si allontanò. Mia mamma
dal canto suo aveva deciso di
ignorarmi, come se la mia domanda fosse stata solo un fastidioso
brusio.
Mamma
aveva il brutto vizio di non rivolgere
la parola a chi la faceva arrabbiare molto; era convinta che il suo
silenzio
fosse la giusta punizione. In questo caso era quindi evidente che il
soggetto
in questione ero io. La sua reazione non mi intimorì e
così, con i nervi ancora
più tesi, mi feci avanti nuovamente. “Si
può sapere che ti è preso?”
Avevo
sempre avuto un dialogo molto aperto
con i miei genitori e questo portava ad animati scontri per le nostre
contrastanti opinioni. In qualche modo sapevo che questo era il
preludio di uno
di quelli.
“Mostra
un po’ di rispetto per tua madre.” Mi
rimproverò con tono piccato senza nemmeno guardarmi in
faccia.
“Rispetto?!
Come quello che hai mostrato tu a
Nicholas e che stai mostrando a me adesso?”
Mamma
si bloccò sul posto e, colpita dalla
mia risposta, si voltò e si strinse le mani lungo i bordi
del piano della
cucina. “Elena Rinaldi. Non ti sembra di oltrepassare il
limite parlandomi
così? Sono pur sempre tua madre, non tua sorella.”
Mamma da buon inglese non si
scompose più di tanto, ero io invece quella che aveva preso
lo spirito
fomentato da italiana e che ero già pronta ad alzare la
voce.
“Allison
McEvan Rinaldi. Hai ragione; sei mia
mamma, ma in questo momento non sono io quella che si sta comportando
da
ragazzina mettendo il muso e non rivolgendomi la parola. Si
può sapere per
quale motivo?”
Un
lampo di rabbia attraversò i suoi occhi,
mentre le mani stringevano con più vigore il piano di marmo.
“Devi
imparare a mettere a freno quella
lingua, signorina. Fino a prova contraria vivi ancora sotto il mio
tetto e lo
sai quali sono le regole! Non ti ho mai impedito niente, ma non voglio
che tu
mi prenda in giro!” Il suo tono si alzò e mi
puntò con l’indice della mano.
“Mamma
ma cosa stai dicendo?”
“Cosa
credi che io sia stupida?! Non voglio
nemmeno immaginare cosa tu abbia fatto alle mie spalle.”
“Ma
di cosa stai parlando?!” mi sentivo
sempre più esasperata e con l’umore a terra. Non
capivo perché mia mamma si
stesse arrabbiando così tanto, l’unica cosa che le
avevo tenuto nascosta erano
un paio di bigiate; nient’altro.
“È
chiaro che quel ragazzo non ha buoni intenti
nei tuoi confronti e io non voglio che lo vedi e tanto meno che tu lo
porti a
casa. Prima lo trovo nella tua stanza e adesso in cucina. Lo vedevi di
nascosto
anche mentre facevano i lavori qui?”
Finalmente
capii dove mia mamma stava andando
a parare. “No, mamma. Io non me la spasso con Nicholas, a
differenza di quello
che pensi tu.”
“Non
prendermi in giro.”
“Non
ti sto prendendo in giro. L’ho
incontrato solo due volte. Nicholas è praticamente uno
sconosciuto per me.”
“Uno
sconosciuto che, a quanto pare, ha
libero accesso alla tua camera.” Il sarcasmo di mia madre mi
stava snervando e
quel pomeriggio, che sembrava stuzzicante, stava diventando uno dei
peggiori
momenti passati in famiglia. Tutto per colpa di mia mamma e delle sue
fisse. Ma
non lo voleva capire che io non ero come Alice? Non mi aveva mai
sorpreso
mentre pomiciavo con un ragazzo in camera, non aveva mai dovuto venire
a
prendermi ad una festa perché il mio amico troppo ubriaco
non riusciva a
guidare per tornare a casa. Io non ero mia sorella.
“Mi
aveva solo aiutato a fare le scale visto
che avevo il gesso.”
“Adesso
che scusa aveva, visto che tu non ha
più il gesso?”
“Mamma
stai esagerando. Te l’ho già detto.”
“E
allora perché sono arrivata e vi ho
trovato a stuzzicarvi come due adolescenti?”
“Forse
perché sono un’adolescente?”
“Tu
si, evidentemente lo sei ancora, ma lui?
No! Non credo proprio che lui si accontenti poi delle chiacchiere. Ma
che cosa
ti prende, Elena?”
“Mi
ha solo riaccompagnato a casa. Non è
successo niente.”
“Perché
ti ha riaccompagnato lui? Mi hai
detto che eri con Ashley. Adesso ti inventi anche bugie per vederlo di
nascosto?”
“Non
è vero.”
“E
allora dimmi quello che ti passa per la
testa perché io davvero non lo capisco!”
“Non
ho nessuna storia con Nicholas!”
“Mi
hai deluso, Elena.”
Quelle
parole martellarono nelle mie tempie
come se fossero state ripetute almeno un centinaio di volte. Mamma non
mi aveva
mai, MAI
detto una cosa del
genere. Io non riuscivo a capire perché fosse
così fissata con quelle stronzate
che mi aveva urlato in faccia prima di questo. Io l’avevo
delusa. Le lacrime
montarono veloci per la rabbia e quello che venne dopo fu un mio
tentativo di
liberarmi del peso di quelle parole che non mi meritavo. Presi
l’insalata che
mi trovavo davanti e con forza la lanciai per terra, rompendo le foglie
fresche
in tanti frammenti. Non volevo che nessuno mi vedesse piangere e corsi
a
rifugiarmi nella mia stanza, incurante della caviglia che richiamava un
po’ di
quiete dopo quella tremenda giornata. Sbattei la porta e mi fiondai sul
letto e
continuai a piangere in silenzio stringendo il cuscino tra le mie
braccia.
Mamma
non era mai stata così dura con me. Non
mi voleva ascoltare. Non potevano essere solo i problemi al lavoro ad
averla
resa così nervosa. Il problema era Nicholas. Lui aveva fatto
qualcosa che lei
non gli perdonava e di cui io non ero a conoscenza.
La
domanda era: cosa?
Dopo
mezz’ora, quando le convulsioni del
pianto smisero di scuotermi il petto, sentii la mia porta cigolare e
poi un
abbraccio caldo, che mi fece risalire le lacrime prepotenti.
“Mi
dispiace, Ellie. Mamma parlava di me
prima. Non è colpa tua. Aveva solo paura che tu ripetessi i
miei errori.” Mi
sollevai per vedere il volto di Alice, ma gli occhi mi bruciavano e,
come per
trovare sollievo per quel dolore, ripresi a piangere.
Alice
mi strinse forte a sé, continuando a
scusarsi per i suoi errori del passato. Sapevo che quella di adesso era
un’altra Alice e io ne ero davvero felice. Aveva trovato la
sua passione e ora
la seguiva instancabile e conscia di dovere dare il buon esempio.
“Al,
non piangere anche tu.”
“Solo
se tu la smetti.”
Con
calma i miei singhiozzi diminuirono
attutiti dalle sue braccia. Alice mi accarezzava i capelli per farmi
calmare,
quel gesto mi riportò di colpo alla mia infanzia, quando
eravamo bambine e io
cadevo giocando per il cortile e mi sbucciavo le ginocchia. Piangevo
per il
male e lei mi stringeva tra le braccia, accarezzandomi con dolcezza i
capelli
per farmi smettere di piangere, finché la mamma poi non
riparava ai miei danni
e mi medicava.
Mia
sorella stava ripetendo quell’abitudine
che avevamo smesso da parecchi anni, ma che ancora mi sembrava tanto
famigliare.
“Cosa
ci facevi in macchina con Nicholas?” si
azzardò a chiedere Alice quando mi fui calmata.
“Mi
stavi spiando, Al?”
“No,
ho sentito una macchina arrivare e pensavo
fosse mamma con la spesa. Dovevo aiutarla a scaricare.”
“A
quanto pare non era la mamma.”
“Direi
proprio di no. Perché eri in macchina
con lui?”
“Mi
ha riaccompagnato a casa.”
“Davvero
non c’è altro?” la sua voce era un
sussurro; sentivo che temeva la mia reazione: aveva paura che io
scoppiassi
come avevo fatto con mamma al piano di sotto.
“No,
mi ha portato a casa perché oggi sono
andata al parco a giocare a baseball con Ash. Lui era lì in
pausa pranzo con
due suoi colleghi e ha fatto due tiri con noi. Correndo sono caduta, ho
picchiato la testa e sono svenuta. Mi ha accompagnato
all’ospedale e poi mi ha
coperto con mamma.”
“Ah.
Ma adesso la caviglia come è messa?”
“Bene,
fortunatamente non mi sono fatta
niente di serio.. Per favore non dirlo a mamma e papà. Non
voglio sentire anche
una ramanzina perché ho ripreso a giocare due ore dopo aver
tolto il gesso.”
“D’accordo.”
“Però
non capisco perché la mamma si è
arrabbiata così tanto.” Gli occhi tornarono a
pizzicare ma questa volta non mi
feci sopraffare dalle lacrime.
“Io
lo so.”
“Mmh?”
“Oggi
la mamma ha incontrato quella
cornacchia della mamma di Samantha al supermercato.”
“E
questo cosa c’entra con me. O con Nick?”
“Se
mi fai finire.. Samantha ha fatto sesso
con Nicholas qualche mese fa, perché lo voleva –
essendo davvero un bel ragazzo
– e perché era convinta di conquistarlo una volta
che si sarebbe concessa a lui.
Nick le ha detto che quello che poteva esserci tra di loro era solo una
cosa di
una notte e nulla di più, perché lui non voleva
altro. E lei ha detto che le
andava bene. Ma non era vero. Nicholas non l’ha
più chiamata, come da lui
annunciato e lei ha iniziato a dire che lui si era approfittato di lei
che si
era innamorata di lui.
La
mamma di Samantha ha raccontato alla
nostra la versione che le aveva raccontato la figlia sapendo che
Nicholas era
nell’impresa che ha sistemato casa nostra. Appena
l’ha visto in casa non ci ha
capito più niente. Ha solo paura che tu soffra e che lui si
approfitti di te.
Io
le ho detto che Nick non è un maniaco; ma
non cambia il fatto che non vi voglia vedere insieme.”
“Io
e Nicholas non stiamo insieme! Anzi. Passiamo
tutto il tempo a discutere come idioti e per delle cose inutili
anche.”
Mia
sorella mi regalò uno sguardo che non
capii e poi un sorriso nacque sulle sue labbra.
“A
cosa devo quel sorriso. Ti fa ridere
quanto possa diventare bambina?”
Mi
rispose che era per quello, ma io avevo il
sentore che mi stesse nascondendo qualcosa, però spossata da
tutti quei
pensieri, non mi posi il problema d'indagare.
“Pensi
di venire a cenare?”
“No,
non ho fame ora e poi mamma mi deve
delle scuse.”
La
sentii sbuffare, ma poi convenne che io e
mamma dovevamo parlare e scusarci entrambe perché avevamo
sbagliato tutte e
due: io per come mi ero rivolta a lei, e lei per aver detto quelle cose
e per
il suo comportamento – non meritato – nei confronti
di Nicholas.
Indipendentemente
da quello che mia sorella
disse, io non mi schiodai dal mio letto e passai tutta la serata a
guardare il
soffitto e a pensare. Pensare a quello che era risuccesso quel giorno e
solo in
quel momento mi resi conto che, essendo svenuta, avevo lasciato da sola
Ashley
alle prese con quel maniaco dell’amico di Nicholas..
Come
si
chiamava Hogan? Logan?
Forse
era meglio se la chiamavo per vedere se
era sana e salva.
Presi
il cellulare, composi il numero e mi
misi in attesa.
“Ellie!
Come stai? Stai bene? E la tua
caviglia?”
“Calma
donna. Io sto bene, tu piuttosto? Mi
sono resa conto ora che svenendo mi sono presa la scena per un attimo e
ti ho
lasciato con Hogan..”
“Hogan?!
Logan intendi?”
“Sì,
lui.”
“Bè?!”
“Niente
di che..”
Mi
passai una mano sulla fronte. “Che cosa
hai fatto?” il mio tono rassegnato implicava che fosse
successo qualcosa,
perché quando Ashley stava sul vago, voleva dire che
c’era qualcosa dietro.
“Mi
ha chiesto di uscire.”
“E
tu hai rifiutato, naturalmente.”
Nessuna
risposta da parte della mia amica.
“Vero
Ash?!”
“Veramente…”
“Non
dirmi che hai accettato.”
“Ok
non te lo dico.”
“Ash!”
“Che
c’è? Non c’è niente di male
ad uscire
con lui una volta. Poi se non mi piace non ci esco
più.” Aveva un tono che non
mi piaceva, perché sapevo cosa implicava: la mia amica si
stava già
affezionando a quell’energumeno con l’umorismo di
una scimmia. O forse – peggio
che peggio – ne era già cotta persa.
“A
quanto ammonta il danno?” chiesi con voce
sconfitta.
“Che
danno?”
“Quanto
ti piace da 1 a 10?”
“8?”
“Seriamente
Ash?! Non pensavo ti piacessero i
cretini.”
“Logan
non è solo cretino. Mentre tu eri
svenuta si è offerto di portarmi a casa e durante il
tragitto abbiamo parlato
un po’ e penso che il cervello lo sappia usare il ragazzo.
Solo che ci mette un
po’ a carburare.”
“Ok,
mi fido del tuo giudizio, ma occhi
aperti all’appuntamento. Non vorrei che
quell’idiota cercasse di approfittarsi
di te.”
“Bè
per quello ci sarai tu.”
“Io
cosa?”
“Tu
mi accompagnerai all’appuntamento. Ellie
che cosa pensi che vada ad un appuntamento con uno che non conosco
senza
backup?”
_______
Giuliet
& Je’s thoughts
Un
capitolo piuttosto intenso nel quale succedono tante cose.. voi che ne
pensate?
Noi
speriamo di aver trasmesso tutta l’intensità delle
scene che avevamo nella
nostra testa con le parole di questo capitolo.
Speriamo
davvero che vi sia piaciuto e se volete lasciarcelo, un parere
è ben accetto =)
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corner:
Io
(Jess alias ArchiviandoSogni_) ho scritto una nuova storia, intolata
“Ritratto
di un sorriso” è una storia a cui tengo
tanto e
nella quale ci si può trovare
un po’ di me stessa e della mia vita, ovviamente ben
romanzate.
Io
(Giuliet alias Dreamer_on_earth) ho in cantiere – giusto per
rimanere in tema
del lavoro di Nick e Hogan *-* – un paio di storie.
Se
volete
darci un’occhiata, vi lascio il link del mio profilo ^^ http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=128104
Sentii lo sguardo di Elena ancora alle mie spalle,
mentre scendevo i gradini di casa sua.
Che… tristezza.
Appena uscito da quella casa, il mio cuore aveva provato
una strana e dolorosa inquietudine.
Perché sua madre mi aveva trattato in quel modo?
Eppure ero sicurissimo che la signora Rinaldi, bella e simpatica donna di mezza età, aveva sempre avuto una notevole simpatia per
me e l’azienda di mio padre.
Non si era mai mostrata scontrosa o rancorosa nei
nostri riguardi, nonostante la crisi e il nostro continuo peregrinare verso
casa sua, per riscuotere assegni.
Non avevo seguito personalmente i lavori, ma mio
padre mi aveva sempre parlato di una bella e calorosa famiglia, ed anche io ne avevo avuto le prove in quelle poche volte che
solevo entrare in casa loro per parlare di affari.
Allora perché mi aveva squadrato e trattato
freddamente?
Perché mi aveva considerato come il peggiore degli
ospiti indesiderati?
Certamente, non ero un amico di famiglia, però non mi
ero meritato tutto quell’astio – per altro immotivato – dopo averla addirittura
aiutata con la spesa.
Sbuffai e mi misi le mani in tasca, cercando le
chiavi del mio pick-up.
Quando mi sedetti sui suoi sedili di pelle vecchi e
testimoni di piccoli attimi di vita, sollevai il capo, osservando Elena che non
era ancora rientrata.
Mi sorrise timidamente, come se si volesse scusare
per il comportamento della madre che, probabilmente, non si aspettava nemmeno
lei.
Le sorrisi di rimando, come per rassicurarla, ed ingranai la retro, uscendo finalmente dal parcheggio.
Mi concentrai sull’asfalto che sfrecciava sotto ai miei occhi piuttosto che il paesaggio, perché aveva il
brutto e doloroso difetto di far uscire troppi pensieri dalla mia mente quando
osservavo ciò che mi circondava.
Odiavo lasciare via libera al mio cervello, perché
sapeva sempre come farmi capitolare e impazzire dietro idee stupide ed inconcludenti.
Allora perché mi preoccupavo per una stupida occhiata
di traverso di una signora che, in fondo, non conoscevo nemmeno?
Perché mi dispiaceva vedere Elena mortificata per un
gesto non commesso da lei?
E poi: perché l’avevo portata al pronto soccorso?
E perché mi stavo distruggendo il cervello con tutti
quei perché?
Sbattei una mano sul volante, con fare nervoso.
Era inutile inventare palle sul paesaggio... Alla fine, il mio cervello aveva sempre la meglio su tutto:
forse anche sul cuore. Quei due insieme, poi, sapevano
sempre come fregarmi: peggio di Logan e le sue teorie sessuali distorte e poco
efficaci.
Scossi la testa e guardai l’orologio, rendendomi
conto che erano le cinque e mezza e Lily, il martedì
sera, voleva magiare rigorosamente pizza.
Nonostante fossi suo padre, non capivo il motivo di
quella strana routine, che però rispettavo con piacere.
Sorrisi, ritornando subito di
buonumore al pensiero della mia piccola fonte di vita: la mia unica
principessa.
Parcheggiai così sul ciglio della strada e passai da Mario’s, ma era ancora chiuso, così mi diressi al
supermercato, per comperare delle caramelle.
Il martedì sera era la serata della pizza e delle
schifezze davanti ad un cartone animato Disney. Nonostante fossi un bambino un
po’ troppo cresciuto, mi divertivo ancora a guardare i cartoni animati. Se poi
avevo accanto mia figlia che sorrideva e mi ripeteva a memoria le sua battute preferite, era decisamente meglio di
qualsiasi altra cosa: anche di una serata in compagnia di una donna giovane ed
aitante.
Certo, era da un po’ che non frequentavo nessuna e di
certo un po’ sentivo la mancanza di un corpo tra le braccia, però non avrei
sostituito nessuno di quei momenti speciali in compagnia di Lily con qualsiasi
donna procace e bellissima.
La mia principessa valeva più di tutte, lo sapeva
anche lei.
Ultimamente, però, sentivo il bisogno di qualcosa di
più che semplice sfregamento di corpi e orgasmi appaganti; volevo un’anima
affine, delle labbra solo da baciare, senza per forza concludere
il tutto tra le lenzuola; volevo tenerezza, coccole e forse amore, però era
troppo difficile ammetterlo anche solo a me stesso.
Tutti mi continuavano a dire che dovevo smetterla di
fare così; che dovevo smettere di pensare solamente al bene di Lily e ritornare
a dedicarmi un po’ anche a me stesso: a Nicholas Moore, non al
Nick padre.
Ma non era facile, ero sempre stato convinto che
andando avanti così ce l’avrei fatta, eppure… Eppure
erano notti che mi svegliavo con il cuore che scoppiava, perché voleva
ritornare a battere come un tempo.
Voleva ritornare il protagonista dei miei pensieri ed azioni, ma ero diventato bravo a fermarlo, congelarlo,
per non stare di nuovo male.
Lily aveva bisogno di un padre stabile, razionale,
non di un ragazzino alla ricerca dell’amore della sua
vita.
Scossi la testa e continuai a camminare verso il mini market, ma una vibrazione insistente, mi portò a
mettere le mani in tasca.
Afferrai con frustrazione il cellulare e lo portai al
mio orecchio.
“Che vuoi, Logan?”
Inutile dire che, aver letto il suo numero sul display,
aveva aumentato quella strana sensazione che attanagliava il mio stomaco da
troppi minuti.
“Hey, amico, come siamo
scontrosi! Tutto ok? Troppo fai da te, oggi?”
“Logan, fottiti, te lo dico
con il cuore in mano. Che vuoi?”
“E meno male che è solo il cuore in mano… Mi stavo
preoccupando fin troppo, amico. Niente cambi di
direzione: vulvais
the way! Comunque, parlando di cose un po’ più serie..”
Mi fermai in mezzo al marciapiede, scoppiando a
ridere come un pazzo. No, non stavo ridendo per la battuta poco gentile di
Logan, non sia mai!
“TU, Logan Keane, che dici
cose serie? Ma daaaai!”
Ma invece che sentire un insulto o una
qualche campagna pubblicitaria pro-sesso selvaggio, Logan rimase in silenzio
per un minuto esatto.
“Hey, amico… Ho bisogno di
te.”
In quel momento, mi preoccupai sinceramente. Logan
era serio e in quelle rarissime occasioni in cui succedeva, non era per forza
un bene.
“Dimmi tutto, sei un
fratello per me, lo sai. Se posso aiutarti, lo faccio
volentieri.”
“Sei un grande, Nick. Ecco, vedi, io non sono bravo
in certe cose.. Tipo, ecco, vediamo…”
Sì, era decisamente un male
sentire Logan senza parole e, per di più, in imbarazzato.
Che diamine stava succedendo?
“Logan, dillo con parole tue…” Sapevo che me ne sarei
pentito.
“Ok, allora. Se ci fosse: ad esempio - … ad esempio, ok? - una bella topa, di quelle proprio pregiate e
di lusso, fatte di cristallo, che vorrebbe uscire con una pantegana di
periferia.. di quelle un po’ fetide, capisci? Ecco, se
questa graziosa creatura dal manto fulvo, invita una sua amica e già la
pantegana non sa che pesci pigliare… No, aspetta. Le pantegane mangiano pesci? Cazzo, mi sono incasinato: lo sapevo!”
Mi passai una mano sulla fronte, adocchiando una
panchina a pochi metri da me. Mi ci fiondai con stanchezza e quasi rimpianto:
sarebbe stata una lunga telefonata, ci scommettevo.
“Log, con chi devi uscire?”
“Ma le pantegane poi vivono
nelle paludi o negli stagni? Ma che schifo è? No,
cazzo, mi sono fottuto il cervello ‘sta volta, Nick.
Cazzo, Ashley è troppo bella e dolce per me. Mi fa
male solo guardarla.. E NON pensare male. Ero serio anche adesso.”
Mi irrigidii contro lo schienale
di legno, cercando di metabolizzare la notizia.
Quella che si prospettava una telefonata lunga, stava
diventando una telefonatainfernale.
“Spero per te che tu stia scherzando. LOGAN! Ha
diciotto anni, per la miseria! E’ una bambina! E poi va
ancora al liceo, Cristo santo.”
Sentii il mio amico scoppiare a ridere di gusto, come
se avessi appena detto una grandissima battuta degna di remora.
“E adesso cosa ridi? Cretino, sono serio!”
“Fin troppo, Nick… Fin troppo. Quanti anni abbiamo?
Ventitré e pensi che cinque anni siano molti? Mica siamo vecchi, dai amico!”
In quel momento, ero troppo shockato per poter seguire il ragionamento di Logan.
Era vero: non avevamo poi tanti anni di differenza,
però… Forse ero io che le vedevo come delle bambine, senza nessuna velata
offesa.
Mi era capitato troppo spesso, negli ultimi anni, di
non trovarmi a mio agio con ragazze più piccole, perché ogni volta che provavo ad uscirci - anche per una semplice birra - mi sentivo in
qualche modo molto più vecchio di quanto in realtà fossi.
Per questo avevo scelto donne più grandi di qualche
anno, perché avevano un modo completamente diverso di vedere il mondo: un modo
simile al mio.
Mi riscossi dai miei pensieri e tornai a concentrami su Logan che non la smetteva di farneticare
cose strane su pantegane e stagni.
“Senti, Logan, ho capito che ti sei preso una cotta
per la ragazzina, però non capisco il motivo di questa telefonata. Potevamo
parlane domani al lavoro, no?”
“In realtà dovevo dirtelo oggi, ma ti sei
volatilizzato! Comunque, volevo chiederti se ti andava di venire con me questo
sabato sera al Grill… Le ho dato appuntamento lì, ma
si porta dietro la tua bella e quindi – visto che sono generoso – vi lascio
limonare duro, mentre io mi presento degnamente ad Ashley. Dai,
amico, non mi dare buca!”
Incrociai le gambe, con fare nervoso, cercando di non
mandare a quel paese quel cretino del mio migliore amico.
Io ed Elena insieme?
Ma si era letteralmente rincoglionito?!
“Logan… Sei fuori di testa.
Io non posso uscire con una ragazzina. Ma mi ci vedi?”
“Nicholas…” Logan sospirò sonoramente attraverso la
cornetta. “Perché hai paura di lasciarti andare?”
Mi si fermò il respiro, non sapendo cosa dire.
“Senti…”
“No, amico: senti un tubo! Ti conosco da quando
entrambi portavamo il pannolino, quindi – se permetti
– credo di conoscerti abbastanza bene! Hai paura di lasciarti andare, perché la
ragazza - in qualche modo del tutto distorto ed
inspiegabile - ti interessa. Ed è NORMALE! Hai ventitré anni, sei un uomo ed hai bisogno di condividere i tuoi sogni, le tue paure e i
tuoi problemi. Smettila di fare il supereroe, perché anche loro hanno sempre
qualche bella ragazza che gli ronza intorno. Io sono un cretino, lo sappiamo
tutti, ma so cosa voglio dalla vita.. E una vita senza
amore, per me: è noia.”
Mi commossi per quelle parole così belle e strane,
dette da lui.
Per quanto si mostrasse sempre sorridente e quasi
imbarazzante con le sue uscite fuori luogo, era un ragazzo buono e con il cuore
d’oro.
Ecco perché lo definivo uno dei miei migliori amici:
Logan sapeva sempre dirmi le cose giuste, sia che le
volessi sentire, sia che mi opponessi con tutto me stesso. Non sempre l’amico
ti spalleggia in tutto quello che fai e, forse, il vero amico è proprio colui che lotta con te, magari insultandoti, ma donandoti
sempre - al cento per cento - la sua sincerità.
“Sono arrugginito e non so come comportarmi, ecco.”
“Con il tuo bel visino, non dovrai proprio fare
nulla! Tu sorridi e conquisti! Io devo fare l’imbecille per farmi notare… Che
mondo di merda!”
Scoppiammo a ridere tutti e due,
quasi con le lacrime agli occhi e il mal di pancia a minacciare di stendermi
proprio su quella panchina.
“Allora, accetti, vecchio mio?”
Sospirai, sorridendo. “ Va bene..
Ma solo e ripeto SOLO, per te.”
“Yeaaaaaaaaaaah! Sei un
grande! Me lo ricorderò in futuro!”
Dopo pochi minuti, chiusi la telefonata.
Mi grattai il capo, alzandomi dalla panchina e cercando
di pensare cosa dire a Lily per l’imminente sabato sera.
Ne avremmo viste delle belle, me lo sentivo.
Dopo aver preso pizza e schifezze varie, mi diressi a
casa dei miei per recuperare la mia piccola principessa che, tanto per
cambiare, era tutta piena di fango.
Mi arrabbiai con mia madre, ma non servì molto,
perché lei mi rimproverò di fare troppo il padre bacchettone.
Ma si può?!
Sconsolato, tornai al pick-up e mi diressi verso
casa.
Durante il tragitto, Lily mi raccontò della sua
giornata, il suo essere perennemente stufa di Lucas-il-puzzone, di come aveva colorato un disegno
datole da Alice e mi chiese anche il motivo del mio sorriso, quando nominava il
suo odioso compagno di classe.
Lucas, tieni
duro! Anche
se, sicuramente, con il tempo la mia gelosia paterna avrebbe impedito a quel
mostriciattolo di provarci con la mia piccola. Però,
per il momento, tifavo per lui che mi faceva molto tenerezza.
Arrivati a casa, spedii subito Lily a lavarsi con
velocità da supereroe e io intanto preparai un’insalata
per me.
“Ora possiamo mangiare, vero?”
Sì sedette di fronte a me, sul tavolo apparecchiato -
come sempre -con
una piccola candela in mezzo a un mezzo di fiori raccolto solitamente nel
giardino dei miei.
Sembrava una cena per una coppia, lo sapevo, ma io lo
facevo volentieri per la mia bambina.Diceva che ero il suo unico principe, almeno per i prossimi dieci anni, e io sorridevo della sua dolce innocenza.
Sapevo che non sarebbe stato così, ma era bellissimo
alzare lo sguardo dal piatto e trovarsi di fronte una piccola bimba con i capelli oro, gli occhi azzurri che ti guardava sorridendo
e con il viso tutto pieno di pomodoro.
Ne ero innamorato, questa era la realtà.
“Lily, posso chiederti una cosa?”
Mosse la testa, facendo cadere un pezzo del suo würstel
sulla pizza.
Per fortuna avevo preso quella baby, se no avrebbe sporcato tutta la
cucina di pomodoro : ci avrei scommesso!
“Ecco, sabato sera devo aiutare lo zio Logan in una
faccenda e mi ha chiesto se posso stare con lui dopo cena, per qualche ora. Ti spiace stare a dormire dai nonni?”
Non avevo secondi fini, non volevo portare nessuna
donna dentro casa. Ma chiedere a Lily di stare svegliafino a tardi, non era proprio
possibile. Non avevo idea di quanto tempo Logan avesse avuto a disposizione per
stare con la ragazzina.
Mia figlia mi guardò confusa, poi, trafiggendomi il
cuore, mise il broncio.
“Ma come???? Papà! Sabato
sera, andiamo sempre fuori a mangiare e poi al cinema! Non
voglio…”
Se mi faceva quel visino, ero spacciato. Non sarei
riuscito a convincerla, neanche se le avessi promesso la nuova casa di Barbie
con piscina annessa!
“Dai, bella di papà.. Lo sai
che sei la mia unica principessa, vero?”
“No.”
Incrociò le braccia al petto e mi fece la linguaccia.
Dentro di me, sorridevo come un ragazzino per la sua
reazione così spontanea e tenera, però ero anche un padre e dovevo farmi
rispettare.
“Cosa sono tutti questi
capricci, eh? Siedi bene e finisci la pizza.”
Il mio sguardo deciso e il mio tono più duro rispetto
a quello che usavo di solito, bastarono per farla ritornare al suo posto.
D’altronde, fare il padre, non era per niente facile.
“Papà..”
Alzai lo sguardo dal mio cartone di pizza e le
sorrisi. “Dimmi, tesoro.”
Lei si alzò e si avvicinò a me, facendomi abbassare
con il capo alla sua altezza.
“Però, se questo sabato non
andiamo al cinema, domenica posso averti tutto per me?”
Mi sciolsi letteralmente. La presi tra le mie braccia
e, con un tovagliolo, le pulii il viso e le mani.
“Certo, principessa. Ogni suo desiderio è un ordine!
Non fare più i capricci così o il papà ci rimane male, ok?”
Lei sorrise e mi baciò una guancia, aggrappandosi
alla mia camicia larga.
Era dolce, la mia Lily. Ed era anche molto gelosa di
me.
Nonostante cercasse di non farmelo pesare, aveva
costantemente bisogno del mio supporto e della mia presenza.
Un po’ mi sentii in colpa per quella piccola bugia
che avevo dovuto dirle.
In fondo, tendevo sempre a trattarla come una
persona, non come una bambina rincitrullita.
Non avevo mai concepito quel tipo di adulti che con i
bambini si trasformavano in trogloditi. Non era certamente grazie ad una voce
fintamente dolce ed idiota che si riusciva a
comunicare con loro.
Io avevo sempre trattato Lily come una mia pari,
facendole capire fin da subito cosa fosse il bene ed
il male.
Non le avevo mai raccontato di cicogne, di persone
che se ne andavano per non tornare o dell’uomo nero.
Lily sapeva che era venuta alla
luce grazie all’amore tra me e sua mamma; che sua madre non sarebbe più
tornata, perché vegliava su di noi dal paradiso e che l’uomo nero era solamente
un’agglomerazione di paure che non riusciamo a controllare.
Certo, era una bambina e agiva di istinto
e sensazioni, ma ero orgoglioso di lei, perché era spensierata come le sue
coetanee, ma con più esperienza di vita.
Viveva da sempre con il padre ed
oltre a sua nonna, non aveva mai avuto una presenza femminile costante nella
sua giovane vita.
Aveva imparato a vivere anche con quella mancanza e
stava crescendo forte, come io e Mad
avevamo voluto fin dall’inizio.
Era il mio orgoglio, la mia gioia e come al solito mi stavo perdendo in pensieri stupidi, da padre
innamorato quale ero.
Finimmo così di cenare, restando abbracciati e
vicini.
Lei mi sporcò la camicia e dovetti rifarmi la doccia,
perché – non contenta - mi aveva sporcato anche i capelli.
Quando tornai da lei, in pigiama e mazzo bagnato, si
era addormentata stretta al suo orsacchiotto sul nostro divano.
Mi fermai qualche minuto a guardarla,
inginocchiandomi vicino al suo viso.
Era disarmante quanto, con il passare del tempo e
degli anni, assomigliasse tantissimo a Mad.
Aveva la sua bellezza, la sua audacia, ma anche la
mia determinazione e il mio modo di fare.
Era bellissima, speciale e nessuno, nemmeno la vita stessa,
avrebbe dovuto farle del male.
Io sarei sempre stato lì; in prima fila a
sorreggerla, incoraggiarla, ma anche a spronarla per dare il meglio di sé.
A volte, proprio come quella sera, mi capitava di
pensare al futuro.
Già vedevo il suo bel viso, più sottile e da donna,
davanti ad una torta con sedici candeline da spegnere, oppure – correndo ancora
più in là con la fantasia – immaginavo le sue lacrime cadere sulla toga nera,
mentre gettava il suo cappellino di laurea alle spalle, guardandomi felice.
A volte pensavo a quando mi avrebbe presentato il suo
primo ragazzo, o avrebbe fatto sesso per la prima volta..
E poi la mia mente correva, fino a vederla al mio fianco, sotto braccio, mentre
la scortavo all’altare.
Durante quei folli pensieri,la gioiae la paura si cedevano spesso il posto.
E quando la paura primeggiava sugli altri sentimenti,
pensavo al giorno in cui lei mi avrebbe lasciato e io
sarei rimasto solo ancora un’altra dolorosissima
volta.
____________________
Giuliet & Je’sthoughts
Buonasera, bellezze!
Ecco a voi il tanto agognato aggiornamento e scusate
il ritardo, ma è colpa di quella rimbambita di Jess. ( mea culpa! ç_ç)
Allora, cosa ve ne pare?
Abbiamo un Nick più insicuro
e pensieroso del solito.. Secondo voi, come mai?
Logan lo abbiamo adorato letteralmente in questo
capitolo. E’ fantastico, non trovate?
Direi che la parte più interessante, arriva solo
adesso!
Nel prossimo capitolo avremo i pensieri di entrambi e
il tanto temuto appuntamento di gruppo :D Ci sarà da
divertirsi!
Vi ringraziamo con tutti e due
i nostri cuori!
Grazie per le letture, le recensioni e per far salire
i numeri dei preferiti/seguiti e da ricordare.
Per noi è immensamente importante!
Vi aspettiamo al prossimo capitolo e, mi raccomando,
fatevi belle per andare al Grill! :D
“Tu mi
accompagnerai all’appuntamento. Ellie che cosa pensi
che vada ad un appuntamento con uno che non conosco
senza backup?”
“Sicura di volere una mia risposta a questa domanda?”
“Non è una domanda, Ellie.
Tu vieni con me. Punto.”
“Non puoi obbligarmi,Ash!”
“Certo che posso. È uno dei miei privilegi da
migliore amica. Io posso tutto.”
“Sto seriamente pensando di ricatalogare
il nostro rapporto: che ne dici di Stronza
approfittatrice!? Suona meglio di migliore amica.”
“Se non vieni darò il tuo
numero a Michael Pollock.” Così come mi fece ridere, spense il mio entusiasmo
con una sola frase.
Boccheggiai solo all’idea di poter avere quel
tormento di ragazzo fra i piedi anche fuori dall’orario scolastico. Non potevo
lontanamente permettermi che lui avesse il mio numero; avrebbe significato per
me ricovero per crisi nervosa sicuramente.
“Non oseresti.”
“Oh sì, invece; anzi lo faccio subito. Preparati che
riattacco.. 1.. 2..”
“D’accordo, brutta strega che non sei altro.”
“Sei solo invidiosa delle mie doti persuasive.”
“No è che a te il nome
stronza calza a pennello. Altro che visino d’angelo. Sei una
vipera!”
“Quante storie; non è colpa mia se hai uno spasimante
così insistente. Quanti anni sono ormai? Quattro? Cinque?”
“Non farmelo ricordare.”
“Sinceramente, non so come faccia a non avere ancora
il tuo numero.”
“E non deve averlo assolutamente.”
“Poverino però. Potresti dargli una
chance.”
“Non se ne parla.”
“Dai, in fondo non è così brutto.”
“Fosse quello il problema. Non profuma di acqua di
rose, non si cura ed è stupido!”
“E ti lamenti? È proprio un vero uomo, con
l’odore di maschio e poche rotelle e pochi problemi da gestire.” Potevo leggere il ghigno sul suo volto nonostante fossimo
solo al telefono.
“Ash, ti ci sto per
mandare.”
Una sonora risata scoppiò dall’altra parte della
cornetta, e con lei era così la maggior parte delle volte: iniziava a ridere
quando io ero concentrata per trattenermi dall’insultarla e poi finivo
contagiata dalle sue risa spontanee.
“Stronza. Visto che ho le
mani legate, dammi almeno un preavviso di qualche giorno per prepararmi
moralmente ad uscire con te e il troglodita. Quando dovete
uscire?”
“Sabato sera.”
“E me lo dici così??”
“Preferivi un piccione viaggiatore?!”
“Ok Ash, conosci quel posto
affollato, dove tanti vengono mandati spesso? Beh ti si appena guadagnata un free pass per starci fino a
venerdì!”
“Come sei signorile, Ellie.
Il bel Nicholas ti ha insegnato le buone maniere questo pomeriggio?”
“Vaffanculo.”
“Rieccola qui. Finalmente
ti riconosco! Lo scaricatore di porto che è in te, non poteva essere così
assopito.”
“Ash..”
“Okay okay. La smetto.”
“Brava bambina.”
“Però sono curiosa. Come è andata oggi con Nicholas?”
“Perché c’era un modo per cui potesse andare?”
“Ellie, non puoi negare che
c’era una certa tensione tra di voi. Tra l’altro come fai a
conoscerlo?”
Le raccontai praticamente
tutto quello che sapevo di lui e tutto quello era – o meglio non era – successo
tra di noi quel pomeriggio.
“Non ci posso credere che tu abbia omesso di
raccontarmi tutto questo. Sono molto offesa, sappilo. Dovrai farti perdonare, e
lo farai venendo al mio appuntamento. Adesso non hai via di scampo.”
“Tu vedi del romantico in tutto e
io invece non ci ho visto niente; ecco perché non te l’ho detto.”
“Non credere di poterla scampare Elena Rinaldi.”
“Non ti ci mettere anche tu a chiamarmi così. Ci ha
già pensato mamma oggi.”
“Mmmm..
avete litigato di nuovo?”
“Yep.”
“Come mai?”
“Lei pensa che veda Nick di nascosto; anzi peggio,
lei pensa che io ci faccia sesso. Ma ti pare?”
Sembrava avessi detto una barzelletta, perché la mia
amica scoppiò a ridere.
“Questa volta non è divertente, Ash.”
“Invece si che lo è: chiamala pure giustizia divina.
Questo è per non avermi detto di conoscere Nicholas.”
“Non ci trovo niente di giusto in questa situazione.
Anzi, per colpa di quella spina nel fianco di Moore, ho litigato con mia mamma; come se non discutessimo già abbastanza..”
“Dai,Ellie
non puoi attribuire tutte le colpe a Nicholas. Ah e a proposito, da quando è
diventato Nick?”
Mi sentii avvampare, e le parole mi morirono in gola.
Ma per quale motivo?
Non avevo niente da nascondere, e sinceramente non
sapevo nemmeno io quando avevo iniziato a chiamare Nicholas con un nomignolo,
eppure mi veniva naturale.
“Lunga pausa, nessuna risposta.”
“Senti, ragazza con la sciarpa verde.. Evita le citazioni dei film che non servono a molto in
questa situazione. Nick lo chiamo così per comodità; è più corto di Nicholas.”
“Tutte scuse. Anche solo il fatto che mi avessi
nascosto tutto la dice lunga: lui ti interessa, ma non
volevi ammettere questa tua distrazione.”
“Ma non dire stronzate. Non
vedi che quando parliamo discutiamo e basta?”
“L’amore non è bello, se non è litigarello!”
“Ma vai va! Nicholas è uno
stupido borioso, non mi interessa.”
“Non sputare nel piatto dove mangerai.”
“Non era non sputare nel piatto dove hai mangiato?”
“Si chiama licenza letteraria, Ellie.
E poi hai capito cosa intendo. Sono pronta a scommettere che tra voi due
succederà qualcosa! Ne sono certa!”
“Affare fatto, preparati a
sganciare la grana, Ash!”
“Si si,
ne riparleremo. Adesso ti saluto che ho Logan sull’altra linea. Dobbiamo decidere dove vederci. A presto, Ellie!”
“Ok, befana. Stai attenta col bifolco! E scegli un posto
decente con un po’ di distrazioni, almeno la mia agonia sarà meno dura.”
“Stronza, ciao.”
“Hai detto una parolaccia, Ash.”
“CIAO ELENA.” Riattaccò così facendomi sorridere; era
sempre così: Ashley era la mia medicina. Se avevo bisogno di supporto, di
risate, o di essere rimproverata, lei c’era sempre e anche questa telefonata ne
era la dimostrazione. Mi rigirai nel letto, in cerca di una posizione più
comoda per pensare e finii con l’addormentarmi.
La situazione a casa con mia mamma
non cambiò per ben tre giorni; sinceramente non sentivo di dover essere io a
fare il primo passo, per cui lasciavo che le cose seguissero il loro corso.
Mamma non mi parlava, ne io le rivolgevo la parola e
le cene passavano particolarmente silenziose sotto lo sguardo perplesso di
papà.
L’avevo sentito chiedere alla mamma dopo che avevano
sgomberato la tavola, ma lei aveva solamente detto che avevamo avuto uno dei
nostri soliti diverbi e che presto sarebbe tornato tutto come prima.
Ma le parole “Mi
hai deluso, Elena” risuonavano ancora forti nella
mia testa. Dovevamo chiarirci, quello era lampante, ma non toccava a me fare il
primo passo. Testarda e bloccata nella mia convinzione mi diressi nella mia
stanza. Dopo poco venni raggiunta da mia sorella che
come mi chiese per quanto avessi intenzione di rimanere in quella situazione;
mi aveva confessato che papà era andato a chiedere anche a lei se sapeva
qualcosa, ma che lei era stata sul vago come la mamma prima.
Quella notte colta da un incubo, mi svegliai
accaldata e scesi al piano di sotto per prendere dell’acqua.
Presi quasi un infarto quando scoprii
di non essere la sola nella stanza: da un momento all’altro mamma accese la
luce e mi fece sobbalzare.
“Mi hai fatto spaventare.” Asserii con tono piatto.
Si creò un silenzio innaturale quanto imbarazzante tra noi. Non capivo cosa la
trattenesse dal parlarmi e io stranamente in quel
momento mi sentivo in dovere di dire qualcosa.
“Mamma, domani sera accompagno
Ashley ad un appuntamento.” Implicitamente chiesi il suo permesso, anche se non
avevo mai avuto bisogno della sua approvazione per uscire con la mia migliore
amica.
“Non può andare da sola?”
Bene secondo
lei ero in punizione..
“Esce con un ragazzo più grande che ha conosciuto da
poco, e vorrebbe che l’accompagnassi per non lasciarla
da sola.”
“Ok.”
“Ok?”
“Se è proprio necessario.”
“Lo è.”
“Va bene.” Non disse altro e si diresse alla porta;
spense la luce, lasciandomi così da sola nell’oscurità della cucina illuminata
solo dalla luce del frigo.
Se non altro era un passo avanti: mi aveva rivolto la
parola.
Vedere Ashley tutta eccitata per l’appuntamento con
quel troglodita di Logan mi faceva sorridere. L’unica cosa che spegneva quel
mio sorriso era l’idea che sarei dovuta andare anche io
con lei per non lasciarla da sola nelle mani di quel maniaco. Mi aveva pregato
di accompagnarla e alla fine, stremata dalle continue richieste, avevo
accettato.
Il risultato era che adesso saltellava come una
leggiadra ballerina per la mia stanza, nella speranza di trovarmi qualcosa di
femminile da mettere.
“Possibile che tu non abbia nulla da mettere in
questo cavolo di armadio?”
“Ma che dici,Ash. Ho l’armadio strapieno di cose da mettere.” Mi avvicinai a lei e iniziai a tirare fuori convulsamente
magliette larghe e jeans.
“Ma non hai niente da indossare ad
un appuntamento.” Si lagnò. “Dovresti chiedere qualcosa in prestito a tua
sorella.”
“Non se ne parla proprio. Se vuoi
posso concederti la canottiera azzurra con le spalline sottili che mi hai
regalato tu l’anno scorso. Non di più.”
“ALIIIICEEEEEE” Ashley non mi diede retta e chiamò a
soccorrerla mia sorella.
“Di che hai bisogno Ashley? Scarpe,
trucco o qualcos’altro?” sopraggiunse dopo poco nella mia stanza.
“Dobbiamo trovare qualcosa di decente da mettere alla quella testona di tua sorella.”
“Hai il mio armadio a disposizione. Non ti consiglio
di prendere le magliette tanto scollate perché non ha
molto da mettere in mostra.”
“Sei il mio angelo salvatore.” L’abbracciò
e poi corse fuori dalla stanza alla volta di quella di mia sorella.
“Comunque vi sentivo,
stronze. Si da il caso che fossi presente.”
“Oh sì, lo so. Ti avevo visto.” Mi fece
l’occhiolino e con calma si mise a raccogliere i vestiti che avevo lanciato in
giro.
“Tutti i vestiti all’aria..
Sei nervosa per questo appuntamento per caso?”
“Più che nervosa sono
indisposta.
Non è il massimo delle mie aspirazioni passare il sabato sera a reggere il
moccolo all’appuntamento di Ashley.” Presi a
raccogliere i vestiti insieme a lei e poi le sedetti
accanto.
“E io che pensavo che fosse
un’uscita a quattro.”
“Non potevi sbagliarti di più.”
“Non c’è anche un amico di Logan?”
“Nah.” Mi lasciai cadere
sul letto, sconsolata all’idea della serata che sarebbe iniziata dopo meno di
due ore.
“Non c’è Nick?” mi chiese a bassa voce, avvicinandosi.
“No sarò il terzo incomodo
stasera e poi anche se ci fosse lui che cambierebbe?” Cercavo di rimanere sul
vago: non volevo che mia sorella si infilasse nei miei pensieri anche se sapevo
che sarebbe stato inevitabile.
L’entrata in scena di Ash
non le diede la possibilità di rispondere.
“Veramente…” quel tono lo conoscevo. E la cosa mi allarmava: era il tono che assumeva quando doveva farmi una
confessione che sapeva non mi sarebbe piaciuta.
“Cosa?” scattai in piedi come una molla.
“Ci sarà anche lui stasera.” Mormorò tenendo lo
sguardo basso e spiegazzando la maglietta che teneva in mano.
“Cosa?”
“Avevo detto a Logan di portare un amico visto che io non sarei andata all’appuntamento da sola e lui
mi ha risposto che lo avrebbe portato.”
“Cosa?”
“Ma sai dire solo quello?”
Finalmente incontrò il mio sguardo.
“No conosco diversi modi per
articolare il fatto che sei una grandissima…”
“Non dire cose di cui ti potresti pentire.” Mia
sorella mia aveva preso alle spalle e mi aveva tappato la bocca con una sua
mano. Inutile dire che cercai di liberarmi, ma alla fine cedetti. Non volevo
davvero litigare con la mia migliore amica per colpa di un ragazzo, che oltre tutto non era nemmeno di interesse comune. Perché a
lei interessava Logan e a me Nicholas non interessava nemmeno. Mi faceva
solamente innervosire e un paio di volte mi era venuto quell’istinto di
picchiarlo che faticavo a reprimere.
Il mio sguardo si posò sull’espressione dispiaciuta
di Ashley e così passò da furente ad accondiscendente.
Sarei andata a quell’appuntamento perché non la
vedevo saltellare in quella maniera da un bel po’ di tempo e vederla felice, rendeva felice anche me.
“Ash, dopo quello che sto per dire, preparati che mi dovrai erigere una
statua. Vengo lo stesso all’appuntamento, ma mamma non
deve sapere che c’è Nicholas, altrimenti la situazione – già precaria –
peggiorerebbe.” Sussurrai il nome di Nick per non farmi sentire. Non che mi
facesse piacere nascondere le cose, ma non potevo fare altrimenti. Mamma non
era ancora pronta per quella verità; anche se non c’era niente di niente tra noi non sembrava crederci e questo un po’ mi feriva: non ero
abituata a non avere la fiducia della mia genitrice nelle mie scelte.
“Ellie, grazie. Davvero.”
“Qui le cose si fanno sempre
più interessanti!
Io farò la make-up artist!”
dichiarò entusiasta mia sorella.
“Ma mi devo persino
truccare? Che palle!”
“Come che palle?! Ma c’è
almeno una briciola di spirito femminile nel tuo corpo?”
“Credo che mamma abbia concentrato la femminilità solo
in te. Non che la cosa mi dispiaccia. Non mi piace sentire di portare un cerone
sul viso, solo perché devo uscire con chicchessia!”
“Non dire fesserie e indossa quello che ha scelto
Ashley, che poi ci penso io a renderti bella senza cerone!” mi fece l’occhiolino
e si dileguò dalla stanza. Non mi stava lasciando la mia privacy come si
potrebbe pensare; mi stava lasciando la possibilità di inveire contro Ash per avermi nascosto quel dettaglio non del tutto
insignificante.
Alla fine però non dissi niente, ingoiai il rospo e
mi diressi al bagno, conscia di trovare Alice pronta per rendermi ancora una
volta simile ad un pagliaccio; infatti la trovai lì,
seduta accanto allo specchio, con un sorriso che – ai miei occhi – non
prometteva niente di buono.
“Pace all’anima mia.” Abbozzai una preghiera
dirigendomi verso di lei.
“Quanto sei melodrammatica. Che sarà mai un po’ di
trucco?”
“Vediamo: il trucco per me è come un paio di scarpe
da ginnastica per te. Ne farei piacevolmente a meno.”
“Ma come tu sai, le scarpe
da ginnastica le metto quando il caso lo richiede. EEllie, se vuoi fare colpo, il caso richiede un po’ di
trucco.”
“Ma io non devo fare colpo.
È Ash quella che ha un appuntamento, non io.”
“Lei sarà presa da Logan, tu..”
“Io niente, Al. Non ci pensare minimamente.”
“Nemmeno un pochino?”
“No. La pensi anche tu come mamma?”
“No, per carità. Io so che tu e Nicholas non
uscite insieme, solo non penso che ci sia niente di male se anche fosse così. È un bravo ragazzo, Ellie.” Mia sorella
mi parlò guardandomi nello specchio. Sorrideva come se davvero pensasse
che Nick mi potesse piacere.
“Al, mi sa che non lo
conosci bene come pensi.. è un cretino, ecco cos’è!”
“Un cretino che ti ha parato il culo
con mamma e papà, e sempre un cretino che cresce una bambina da solo da 4 anni
ormai. Sì, in effetti vedo quanto sia cretino.” La sua
era una palese presa in giro nei miei confronti.
Ok, forse io
non lo conoscevo e lo consideravo un cretino, solo perché mi faceva scattare
ogni volta. Era lui a provocarmi, io che ci potevo fare?
“Ecco appunto. Ha una bambina di 4 anni.”
“E quindi?”
“Come e quindi?
Possibile che la cosa possa frenarmi?”
“Quindi ammetti che lui ti
piace?” si aprì un sorriso sul suo volto.
“NO!” Risposi d’istinto. Forse troppo in fretta. “Sto
parlando ipoteticamente..”
“Ok e, ipoteticamente parlando, quale sarebbe il
problema?”
“Al, a volte mi sembri
stupida; ha una bambina. Io ho 18 anni. Non posso prendermi una responsabilità così grande quando non so
nemmeno badare a me stessa.” Fissavo allibita il riflesso di mia sorella nello
specchio; possibile che non capisse?
Alice iniziò a scuotere la testa. Mi stava prendendo in giro ancora?
“Ellie,
piccola ingenua Ellie. Guarda che uscire con lui
un paio di volte non significa che tu debba prenderti
la responsabilità di Lily. Nick sa prendersi cura di lei benissimo da solo.
Uscire con lui non significa che Lily diventi tua figlia. Certo a meno che tu non abbia in mente di sposarlo.”
A quella risposta avvampai e le mieguance si colorarono di un rosa più
intenso rispetto alla mia solita carnagione pallida. Non fui in grado di
risponderle, abbassai lo sguardo e iniziai a focalizzare la mia attenzione
sulle mie dita, neanche fossero un dipinto particolarmente interessante.
Forse aveva ragione mia sorella. Uscire con Nicholas
non significava prendersi cura di Lily; ma non erano pacchetto completo? O
forse no?
In quel momento qualcosa scattò nel mio cervello;
come una serratura che veniva aperta, dando la
possibilità di varcare una soglia che prima non era neanche lontanamente
avvicinabile.
Non ero ancora consapevole di cosa quello
significasse ma l’avrei scoperto presto; dopo tutto
avrei visto Nick quella sera.
Mia sorella lasciò così cadere l’argomento e iniziò a
spazzolarmi i capelli.
Alla fine uscii dal bagno con un leggero velo di phard, un po’ di mascara sulle ciglia e una sottile linea
di mattina nera. Il risultato non era niente male, anzi mi faceva risaltare gli
occhi verdi, in modo tale che sembrassero quasi più grandi. Ash
e mia sorella dicevano che ero proprio carina così, che sembravo quasi una
ragazza. La mia risposta alle loro provocazioni fu una molto femminile
linguaccia, seguita da un sorriso che mi accompagnò fino alla porta.
“Hai soldi per uscire?” Mamma mi fermò sull’uscio.
“Si mamma ho 10 dollari, penso che per stasera mi
basteranno.” Volevo sembrare un minimo socievole nei suoi confronti e in più
non vedevo l’ora di uscire da quella porta per paura che, o io o Ashley,
commettessimo qualche errore lasciando scappare qualche parola di troppo.
“Prendine altri 10 nel mio portafoglio.” Decisi di
assecondarla. Sapevo dove voleva arrivare e io non
potevo ribattere ulteriormente senza destare sospetti.
“Dove hai la borsa, mamma?”
“In camera, dove vuoi che sia?” Non dissi altro,
semplicemente salii svogliatamente verso il piano superiore. Voleva parlare con
Ashley prima che uscissimo. Non si fidava di quello che le avevo detto.
Sperai fortemente che la versione di Ashley
congiungesse con la mia. Quando tornai al piano di sotto, di mamma non c’era
neanche l’ombra c’era solo la mia migliore amica che mi aspettava con un
sorriso tirato seduta sulla poltroncina.
“Cosa le hai detto,Ash?” le chiesi una volta svoltato l’angolo della mia
via.
“Come fai a sapere che mi ha chiesto
qualcosa?”
“La conosco da 18
anni ormai, i suoi comportamenti sono prevedibili.. E di solito mi lascia i
soldi sul tavolino sotto al mio mazzo di chiavi..”
“Ma questa volta
non l’ha fatto.” Continuò lei per me la frase.
“Allora che ti ha chiesto?”
“Mi ha chiesto dove
saremmo andate e con chi. Le ho detto che saremmo andate a piedi al Grill, e
che lì avremmo incontrato Logan. Poi mi ha chiesto chi è Logan e quanti anni
ha.”
“E?”
“E le ho detto che ha 23
anni.”
“E alla domanda ‘Chi è Logan’ che hai risposto?”
“Niente; ho detto che non so bene chi sia e
che stasera usciamo appunto per conoscerci. E visto che
non lo conosco, portavo te per non stare da sola con lui.”
“Nessun accenno al fatto che lavora con
Nicholas?”
“No, nessuno.”
“Bene.”
“Dici che non sospetta niente quindi?”
“No, non credo che conosca Logan. Ne lui ne Nick facevano parte del team di operai che ha
sistemato casa.”
“Meno male.”
In pochi minuti arrivammo al locale e,
seduto sulla panchina al di fuori del bar, trovammo Logan. Dovevo riconoscergli
che era puntuale, però per il resto non vedevo niente di che oltre al suo
cervello da canarino. Ma se Ashley gli dava fiducia, forse dovevo dargliene anche io.
“Ecco la mia rossa preferita!” Si sporse
verso di lei e le scoccò un bacio sulla guancia che lei prontamente ricambiò,
tenendogli il viso con una mano. C’era qualcosa di dolce in quel saluto; era
come se la mia amica e Logan si conoscessero da tanto e lei gli dava la
possibilità di quella confidenza.
Allarme rosso, ad Ashley piaceva davvero.
Ma
non lo conosceva poco, per comportarsi così? È vero che si dice che quando
entra in gioco il cuore, il cervello si disconnette, però..
“Ciao.” Si rivolse a me con un cenno del
capo e io ricambiai.
“Entriamo?” Chiese posando un braccio sulle
spalle della mia amica.
“Certo!” squittì lei, e
io non potevo fare a meno di seguirli.
Logan scelse un tavolo distante dalla caciara proveniente dal bancone, ma nemmeno troppo isolato.
Quella scelta era congeniale: si poteva parlare
tranquillamente, ma anche sbaciucchiarsi passando abbastanza inosservati.
Era furbo il ragazzo, dovevo ammetterlo.
“Hey dolcezza,
vuoi qualcosa da bere?”
“Prendo un cocktail alla frutta, grazie.”
“E tu, Elena?”
“Una birra.”
“D’accordo, vado ad
ordinare al bancone. Vi lascio parlare delle vostre cose da donne. Non parlate troppo di me, però!” fece un occhiolino ad Ashley e si
avviò verso il barista, che lo salutò come se si conoscessero da una vita.
“Vedi Ellie, che ti dicevo? Non è poi
così male! Si sta comportando bene.” Mi sorrise la mia
amica. Come potevo dirle che per ora non mi andava a genio lo stesso?! Semplicemente non potevo, almeno non in quel momento.
Avrei rischiato di rovinarle l’appuntamento e non mi andava. Non potevo farle
questo. Decisi così di annuire facendo un sorriso stiracchiato. “Hai ragione Ash. Dovrei conoscerlo
meglio.” Non era una vera e propria bugia, era vero:
dovevo conoscerlo meglio per dare un parere genuino e non costellato dai
pregiudizi. È sempre vero che i maschi se colti in branco sono più scemi di
quando sono da soli e in questo caso sembrava ne avessi la conferma.
“Alla fine Nick, cosa fa? Viene o ci da buca?”
“Non lo so.
Logan non mi ha detto nulla in proposito. Magari è in
ritardo.” scrollò le spalle.
“Come gli pare.” In quel momento Logan tornò
al tavolo con il suo perenne sorriso idiota. “Posso unirmi a voi, o è un
argomento privato tra donne?”
“No no, fai pure!”
Mi finsi convinta, tant’è che lui mi prese sul serio.
“Allora che dicevate?” Prese
posto accanto alla mia amica e le regalò un altro occhiolino.
“Tessevamo le tue lodi.” Risposi.
“Non dare retta adEllie; è scorbutica per natura, e poi era convinta di avere
Nick su cui sfogarsi.”
“Quindi non parlavate di me?” sembrava quasi
deluso dal fatto che non stessimo realmente parlando di lui, infatti
non fece nessuna battuta su me o sul fatto che ‘ero convinta di avere Nick
su cui sfogarmi’.
“Davvero arguto, Sherlock.”
Ashley mi tirò un calcio sugli stinchi,
facendomi sussultare per il dolore. “Ahi.”
Mi fulminò con lo sguardo, e avevo capito
cosa voleva dirmi.
“Stai facendo la stronza.”
Questo era il messaggio criptato da quel calcio.
Abbassai lo sguardo, ammettendo così la mia
colpa e per farmi perdonare decisi di levare le tende.
“Vado un attimo in
bagno.”
I due, persi l’uno nello sguardo dell’altro,
non mi diedero nemmeno retta.
Fantastico, se avessi saputo che dovevo
passare tutta la serata così, avrei preferito guardare commedie romantiche sul
divano con mia sorella. Almeno in quel caso avrei avuto i pop corn!
Feci finta di dirigermi al bagno, ma poi
virai la mia rotta al bancone e fermai la cameriera.
“Questa è mia.” Agguantai una birra che era
sul suo vassoio e notando la sua aria stupita aggiunsi. “Meglio
non disturbare i due piccioncini al tavolo.” E col capo indicai Logan ed Ashley. Solo allora la ragazza sembrò capire, mi fece
l’occhiolino, e poi mi oltrepassò.
Mi sedetti al bancone e chiesi il
telecomando della TV al barista.
“Non avrai intenzione di mettere una qualche
smanceria, vero?”
“Io pensavo di più al baseball.” risposi e
mi misi a cercare il canale sportivo.
“Tu sì che sei una donna come si deve!”
sembrava entusiasta della mia passione, non tutti condividevano
il fatto che una ragazza si dedicasse al baseball. Evidentemente
frequentavo l’ambiente sbagliato.
“Permettimi una curiosità.” Il barista
interruppe la mia ricerca del canale sportivo.
“Già tutta questa confidenza?”
“Hai ragione, non ci siamo nemmeno
presentati. Io sono Bill.”
“Elena.”
“Bene, Elena.
Posso farti una domanda?”
“Me l’hai appena fatta.” Risposi consapevole
di poterlo innervosire e poi presi un sorso della mia birra.
“Wow. Come siamo acide stasera; niente che
possa offrirti per farti cambiare d’umore?”
“Ho già la mia birra, grazie. Forza fammi
questa domanda, ora sono curiosa.”
“Niente, vedendo che ho già perso punti senza
fare niente, forse è il caso che non ti ponga la mia domanda.” Si spostò da
dove ero seduta io e si portò al lavandino.
Mi alzai e mi posizionai
davanti a lui; non poteva svignarsela così.
“Forza. Cosa dovevi
chiedermi?”
“Oltre che acida sei anche insistente. Che
bel tipino.”
“Non ti sfugge niente.”
“Sai cosa dicono dei baristi.. Abbiamo un grande spirito di osservazione.”
“Se lo dici tu. Ma
non sviare l’argomento.”
“D’accordo. Sei proprio una zuccona, lo sai!?” Annuii semplicemente e lasciai a lui la parola. “Ti
stavo per chiedere se eri una ragazza o un’aliena; adesso lo sai, sei contenta?”
Scoppiai a ridere, appena realizzai
quello che lui voleva fare. Voleva provarci con me prima – e forse anche adesso
– ma io non me n’ero minimamente accorta.
“Funziona di solito? Come tattica
d’abbordaggio intendo?”
“Sei la prima su cui la testo.”
“Ti consiglio di cambiare metodo, perché non
funziona particolarmente bene.”
“Evidentemente no.” Mi sorrise sincero,
mentre continuava a pulire i bicchieri.
“Bè, magari il
problema sono io.. dovresti provare questa tattica con
qualcun’altra.”
“Vuoi umiliarmi pubblicamente?”
“Un pochino.” Ammisi il mio intento e
insieme scoppiammo a ridere.
Nonostante le previsioni catastrofiche,
quella serata si stava rivelando abbastanza piacevole. Ero seduta al bancone
che sorseggiavo una seconda birra, gentilmente offerta dal giovane barista.
Ogni tanto ci scambiavamo qualche battuta e la sua compagnia era divertente. Mi
stimolava a rispondergli a tono, battuta su battuta;
proprio come mi veniva naturale fare con Nicholas.
Ma
con Nicholas era diverso, c’era come una forte tensione ogni volta che ognuno
dei due apriva bocca; invece con Bill ero rilassata, tranquilla, le battutine
erano velate, e per niente cattive.
Mi voltai verso il tavolo della mia amica e
la osservai mentre rideva. Niente di sguaiato e poco
femminile, anzi. Era composta anche in quel caso. Ashley era
semplicemente perfetta. Non era bravissima a baseball,
ma non potevo fargliene di certo una colpa, specialmente quando era brava in
tutto il resto.
“Li conosci?” La voce di Bill mi fece
sobbalzare.
“Genio della lampada, arrivo da quel tavolo
io.”
“Non sarai così acida, perché sei una ex di Logan o perché lui ci sta provando con la tua
amica e non con te?”
Non ci potevo credere. Non poteva averlo
detto davvero.
La mia faccia disse tutto, perché subito
Bill levò le mani in segno di resa.
“Scusa non volevo
insinuare niente.”
“Non mi pare proprio. Hai insinuato, e
parecchio anche.”
“Elena, non è vero.”
“Sì, bello. Hai praticamente
detto che io e la mia amica saremmo due delle tante sciacquette alle quali
Logan corre dietro.”
“Hai una reputazione piuttosto bassa di lui,
a quanto pare.”
“L’avrò anche di te, se non mi dici quello
che sai.”
Scoppiò a ridere in un primo momento, ma
quando si accorse che facevo sul serio, si racchiuse in un religioso silenzio. Evidente
segno che stava ponderando le parole prima di aprire bocca. Una cosa
apprezzabile tenendo conto che era un ragazzo.
“Logan lo conosco da anni. Lui e dei suoi amici
vengono spesso qui. Mi sta simpatico, solo che non lo
raccomanderei come fidanzato. Insomma capisci che intendo.”
“Parla chiaro.”
“Insomma è uno di
quelli che corre dietro alla gonna più corta.
Da quello che so non ha mai avuto una relazione seria,
anche perché tutte le donne che ha avuto, sono subito cadute ai suoi piedi.” Ed
ecco schiaffata in faccia quella che sapevo già fosse la verità: Logan non
andava bene per la mia migliore amica. Lei non poteva innamorarsi di un cretino
del genere.
“Lo sapevo.”
“Anche la tua amica però, non per
cattiveria, ma non mi sembra molto diversa dalle altre.” Mi girai per
osservarla di nuovo e capii quello che Bill intendeva: la mano di Ashley
stretta tra i capelli di Logan e la sua bocca incollata alla sua.
Rimasi a bocca aperta, immobile sullo
sgabello ad osservare la scena. Solo lo schiocco delle
dita di Bill mi riportò alla normalità.
“Non te l'aspettavi?!”
“No. Sì. No, cioè so che a lei lui piace.
Solo che non pensavo iniziassero a sbranarsi in quel modo. Non in un luogo
pubblico. Non è da Ashley fare certe cose.”
“Certe cose? È solo un bacio.”
“Non è solo un bacio. Un bacio non è mai
solo un bacio. C'è sempre qualcosa dietro: sentimenti,
semplice attrazione, una scommessa, ma non è mai solo un bacio.”
“Ho la conferma che tu non sia la solita
sciacquetta che si presenta al bar.”
“Davvero ti aspettavi che lo fossi?”
“No, non dopo che hai ordinato birra e non
un martini, dopo che hai messo il baseball alla tv invece di una squallida soap, e direi che ora - dopo questa affermazione -
ne ho davvero la conferma.”
“Bene.
Hai riguadagnato i punti che hai perso prima.” Sorrisi
girandomi per l'ennesima volta al tavolo di Logan e Ash
e finalmente i due si erano staccati, ma erano ancora troppo vicini per i miei
gusti. Lei sorrideva come se avesse davanti un
principe azzurro, e Logan la fissava come se non esistesse nessun'altra. Non
aveva nemmeno badato alla cameriera che era tornata al loro tavolo per dargli
il resto.
Mi rilassai: forse quel cretino era davvero
interessato ad Ashley. Gli avrei concesso il beneficio del dubbio.
Risi vedendo la faccia di Bill che mi
osservava stralunato.
Finii la mia birra e lui me ne offrì
un’altra. Continuammo a parlare; io a ruota libera e non riuscivo a fermarmi.
Mi rendevo conto di quello che stava
succedendo: in qualche modo, mi stavo divertendo a
rispondere ai flirt di un ragazzo. Ridevo tranquilla e con i nervi rilassati,
ma mi irrigidii quando sentii la sua voce.
“Bill è un
tipo divertente, vero Principessa?”
***
“Bill è un tipo
divertente, vero Principessa?"
Non avrei voluto fare quell’entrata in scena così
scontata e banale.
Non avrei voluto marcare con sarcasmo il nome di Bill
e manifestare palesemente il mio fastidio per la loro vicinanza.
Fu più forte di me, quasi irragionevolmente giusto,
reagire in quel modo.
Imputai i gomiti sul balcone, osservando con
insistenza Bill che mi scoccò un sorriso sincero.
“Hey, Nick! Vecchio della
malora, ma allora sei ancora vivo!”
Ci stringemmo le mani, prima di far sfiorare le
nostre spalle in un abbraccio virile e fraterno.
“Sì, a volte resuscito per farmi una birra con gli
amici. Mi fai una Gordon?”
Gli sorrisi, mentre lui ritornò a guardare Elena con
insistenza.
Dio, quella sera era decisamente
diversa; quasi più femminile del solito.
Forse era per quella maglia larga che gli lasciava
scoperta tutte la spalla destra o per quei jeans
strappati che le fasciavano con estrema voluttuosità le gambe snelle e
toniche.. Cavolo, ma che diavolo mi prendeva?
Tornai a guardala negli
occhi, trovando un’espressione stupita dipinta sul suo viso leggermente
truccato.
“Nicholas Moore! Hai finito di
radiografarmi?”
Strabuzzai gli occhi, mentre lei scoppiò a ridere con
naturalezza, lasciandomi senza parole. Aveva bevuto sicuramente troppo, Elena non stava flirtando con me; decisamente no!
Mi sistemai, la maglietta
bianca, sotto il giubbino in pelle, sentendo improvvisamente caldo.
“Tieni bello, la tua Gordon
offerta dalla casa! Hai visto il vecchio Log come ci
da dentro, stasera?”
Mi distrassi da Elena, seguendo lo sguardo di Bill
che si spostò verso i separé.
Accipicchia! Logan teneva un braccio dietro le spalle
di Ashley e, con estrema dolcezza, teneva la sua mano sul tavolo intrecciata
con quella della ragazza.
Di solito Logan era tipo da bagno e sesso senza
complicazioni.. Il fatto che stesso sorridendo come un
ebete mentre la ragazza gli sfiorava semplicemente la guancia con un bacio
casto, mi lasciò senza parole.
“Porca miseria.” Bisbigliai contro il bordo del
bicchiere, senza riuscire a distogliere lo sguardo dalla coppia.
“Nick?” Elena mi passò una mano davanti agli occhi,
riportandomi nel mondo reale, a pochi centimetri dai suoi grandi occhi
nocciola.
“Stasera mi sembri più rincoglionito del solito.”
Scosse la testa, mentre sentivo lo sguardo e la
risata di Bill dall’altra parte del bancone.
“Io? Quella sta esagerando con le birre, sei tu,
ragazzina.”
“E da quanto ti interessa
quello che faccio?”
Strinsi il pugno sul bancone, tornando a guardare gli
alcolici di fronte a me e non la ragazza impudente che mi stava
affianco.
Bene, la serata sarebbe stata parecchio lunga.
Avevo voglia di mollare tutto e tornamene a casa, ma
non potevo lasciare una ragazza carina in un pub - con fin troppi sguardi
lascivi -, il sabato sera.
Tornai ad osservarla, ma lei
era assorta a contemplare lo schermo al plasma della tv, mentre sorseggiava
tranquilla la sua birra.
Era così lontana dall’essere femminile con quegli
atteggiamenti, ma proprio per questo attirava l’attenzione.
Era una ragazza che amava ciò per cui noi uomini ci
svenavamo : lo sport, la birra e poi… Beh, il sesso. Ma questo sicuramente non lo potevo sapere.
Per quanto ne sapevo, poteva essere pure vergine,
quella zitella inacidita!
“Te la stai mangiando con gli occhi,
amico.”
Ancora prima di voltarmi verso la mia destra, sentii
il braccio di Logan lungo le mie spalle.
Portai gli occhi al cielo, prima di trafiggerlo con
tutto il mio rancore.
“Non sto mangiando proprio nessuno, stronzo. Tu prima
mi trascini qui, poi ti metti a flirtare con la
ragazzina di turno e io devo sorbirmi una bambina capricciosa che gioca a fare
la grande.”
Io e Log bisbigliavamo per evitare di farci sentire
dalla sopracitatabambina.
“Ma tu ci sai fare con i
bambini, vero?” Mi fece l’occhiolino.“Sento odore di sesso nell’aria, vecchio volpone! Secondo me la ragazza è sotto sotto una
tigre. Poi se è amica della mia Ash, sono convinto
che è anche dolce come lo zucchero.”
Sollevai le sopracciglia, bevendo un altro sorso di
birra.
“Certo certo, il sesso lo farai tu, mica io. E non ne ho bisogno, stasera. Dov’è la tua bella, invece?”
Il suo sguardo cambiò, illuminandosi ed intenerendosi.
“Sta tornando ora dal bagno. Vado…
A dopo e tromba, cazzo!”
Scoppiai a ridere, lasciandolo raggiungere la sua
anima gemella.
“Oddio!”
Elena si voltò, con gli occhi fuori dalle orbite.
“Che hai?”
“MA TU RIDI!” Disse ridendo
sguaiatamente. “Nicholas Moore sa ridere!”
Mi avvicinai, dandole una leggera gomitata. “E non solo, principessa. So fare molte altre cose più
divertenti.” Schioccai la lingua, finendo la mia birra e lasciando la ragazza
senza parole.
In fondo, ero pure sempre
Nicholas Moore, no?
Quella risposta era decisamente
del vecchio ragazzino montato quale ero e mi stupì la facilità con la quale ero
tornato a quel tipo di tono, movenze e parole tipiche del flirt adolescenziale.
Elena però, per quanto fosse un maschiaccio con un
bel viso, mi faceva sentire stranamente leggero, come se non avessi una figlia
da mantenere, l’affitto da pagare e milioni di preoccupazioni da dover
affrontare ogni singolo giorno.
Lei era così spensierata, tanto da farmi rilassare di
riflesso, anche se poi – dopo poche ore - il mondo sarebbe ritornato ad
assumere la sua pesantezza quasi asfissiante, in quel momento mi sentivo in
dovere di lasciarmi un po’ andare. Niente di estremo o di compromettente, ma
semplicemente scherzare tra amici.
A un certo punto la vidi mentre mi guardava con una
strana luce negli occhi.
Voleva provocarmi? Bene, non sapeva davvero con chi
aveva a che fare.
Mi appoggiai con la schiena al bancone, colpitoimprovvisamente da un’idea
quasi geniale.
“Hey, ubriacona, ti va una
partita a biliardo?”
Le indicai con il capo i tavoli alla mia sinistra,
dalla parte opposta alla coppia dei nostri amici che ora ridevano e si accarezzavano
con estrema naturalezza.
Lei mi rivolse un ghigno strafottente.
“Sì, spaccone. Vediamo cosa sai
fare con la steccha.”
Provochi, eh?
“Sicuramente so muoverla meglio di te, principessa.”
Ci allontanammo per raggiungere l’unico biliardo
libero, dei tre forniti dal locale, disposti nell’angolo est.
Elena era decisamente
brilla, perché ondeggiava i fianchi con troppa sensualità.
Mi diedi una sberla sulla
fronte. Ma ero impazzito?!
Adesso le guardavo pure il culo?
Cazzo, riprenditi Nicholas!
“Moore te la stai facendo addosso?”
Elena si portò ancora il bicchiere alle labbra,
ridendo come non l’avevo mai vista fare prima.
Era spigliata, naturale e più disinibita
del solito.
Non mi era mai capitato di pensare ad
una ragazza in quei termini, nemmeno con Mad.. beh,
con lei.. Con lei era stato amore a prima vista e il mio sentimento nei suoi
confronti non sarebbe mai finito, lo sentivo.
Sarebbero passati gli anni, Lily sarebbe diventata
una donna e io sarei rimasto con il calore di Mad nel cuore a riscaldare gli ultimi giorni della mia vita.
Stranamente però, in questo caso, non mi sentivo in
colpa a stare in compagnia di un’altra ragazza, pensando a lei.
Di solito non riuscivo minimamente a pensare a Madeline
mentre cercavo un corpo per una notte; la chiudevo fuori dalla mia mente e
dalla mia vita solo per poche ore, perché in qualche modo mi sentivo sporco per
quello che stavo facendo.
Ovviamente non stavo facendo sesso con Elena, e lungi
da me pensare ad arrivarci solo a pensarlo, però anche
il solo semplice ammiccare, provocare e stare al gioco, mi faceva stare bene e
in pace con la coscienza.
Speravo vivamente di riuscire a vivere almeno una
serata, senza pensare ai ricordi o al futuro.
“Nick?”
Mi avvicinai a lei, sorridendo e rubandole il
bicchiere dalle mani, per portarlo alle mie labbra.
“Forza, tira prima tu. Io intanto
mi godo lo spettacolo da qui.”
Cazzo, l’avevo
detto davvero.
La vidi arrossire, ma – con mia enorme sorpresa - non
si scompose più di tanto. Non me l’avrebbe mai data vinta e, di riflesso, il
mio petto si gonfiò di orgoglio maschile e voglia di vincere.
“Va bene, Macho Man, ora ti faccio sorridere io.”
Si allontanò da me, mentre io mi appoggiai con i
gomiti sulla parte opposta del tavolo, vicino alla parete color pesca.
La vidi scegliere con cura una stecca, prendere il
gessetto e smussarle la punta, finché non si sentì soddisfatta dell’opera.
Io sistemai le biglie più per fare qualcosa che per
essere galante, ma l’espressione contrariata che mi dedicò quando ebbi finito,
mi fece sorridere come uno scemo.
“Eh no! Devo farlo io! Metti che mi
imbrogli…”
Si avvicinò, dandomi un colpetto sulla mano e
riposizionando le biglie a suo piacimento.
“Che elemento che sei.”
Lei si voltò, facendomi la linguaccia e posizionandosi vicino a me per tirare.
Si inchinò, studiò l’angolazione
migliore e il mio sguardo ricadde sui suoi jeans stretti e a vita bassa. Le si scoprì un leggero strato di pelle chiara, che mi fece
subito allontanare di qualche passo dal tavolo, per appoggiarmi alla parete.
No, no e poi NO!
Non la potevo trovare attraente, punto! Era una
bambina, dovevo ricominciare a ripeterlo al mio cervello e all’amico dei piani
bassi.
Ecco cosa succedeva a fare lunghi periodi di digiuni
immotivati!
La vidi tirare ripetutamente con sicurezza, riuscendo
a mandare in buca un sacco di biglie, senza troppa fatica.
Nonostante non fosse più molto
lucida, sul campo si trasformava e diventava fin troppo seria e decisa.
Dio, mi ricordava qualcuno di mia conoscenza… Anche io ero così: assolutamente concentrato sul gioco e
sulla partita, incurante di ciò che mi circondava.
Mi bagnai la gola con l’ultimo sorso di birra,
umettandomi le labbra quando quella dannata maglia larga, fece intravedere il
bordo del reggiseno.
May day: MAY DAY! Testosterone in produzioneseriale!
Mi portai una mano tra i capelli, imprecando
mentalmente e forse anche verbalmente, tanto che lei si alzò dal tavolo,
guardandomi confusa.
“Dai, tocca a te, bell’addormentato” E mi sorrise, o
meglio, ghignò divertita, passandomi la sua stecca e toccandomi
inavvertitamente le mani.
Santo Graal, stavo maledicendo
quel coglione di Logan Keane che mi aveva buttato la
pulce nell’orecchio da quasi mezz’ora.
E adesso?
Cazzo, mi serviva una doccia
fredda!
Cercai di concentrarmi sul gioco, senza pensare che
lei fosse dietro di me a guardarmi e – sperai- anche ad ammirare ciò che avevo
da offrire alla sua vista appannata dall’alcool.
In fondo, sorrisi pensandoci, sapevo
di essere sempre piaciuto al cromosoma XX.
Ero quel tipo di ragazzo che non aveva bisogno di
ammiccare o fare il coglione; avevo un fisico prestate, una parlantina profonda
ed intelligente e non faticavo a trovare compagne più
o meno serie.
Certo, ora ero un po’ arrugginito, però sapevo ancora
cavarmela. Ne ero certo.
“Amico, come mai sei tutto sorridente?”
Un pacca sulla spalla e Logan
comparve al mio fianco, tutto gongolante.
“A volte ritorni a rompermi i coglioni, eh?”
Ci abbracciammo come due cretini, per poi scoppiare a
ridere.
“Cazzo, Nick; non ti vedevo così da… Beh, da un sacco
di tempo! Ci sa fare la bambina, vero?”
Mi voltai alla ricerca di Elena, ma
invece – scorrendo velocemente la piccola folla - la ritrovai al bancone insieme alla sua amica.
Non so bene il perché, ma sospirai di sollievo.
“È tutta colpa tua, pezzo di merda! Mi metti in testa
strane idee e ora mi sento confuso.”
Logan mi fece l’occhiolino, portandosi la mano libera
sul cuore.
“Oh, signore : GRAZIE!
Grazie per aver fatto ritornare la voglia di darci dentro a
questocagasotto! Grazie per aver ascoltato le
mie umili preghiere e, se riesci, fa che Elena sganci le mutande e si conceda!
Ah, ecco; ricordati anche di Ashley.. Ecco lei
dovrebbe sganciare anche…”
Gli misi una mano sulla bocca, fulminandolo con lo
sguardo.
“E basta, Log! Che palle! Minchia, ma pensi sempre e
solo a quello?”
Di tutta risposta, Logan fece spallucce. “E che male
c’è? E’ la nature,
come dicono i francesi. Natura: Adamo ed Eva, il serpente e la mela; Rocco
Siffredi e Cicciolina.. Insomma è GENETICA!”
Mi misi le mani nei capelli.
“Logan..” Ero esausto. “La
genetica è un’altra cosa.. Forse volevi dire che era
alchimia.”
Lui cominciò a camminare verso il bancone,
molleggiando sulle gambe come un cowboy.
“E come sei preciso! Lo sai che a scuola preferivo
andare negli spogliatoi femminili, piuttosto che nel laboratorio di scienze.
Anche se, quella volta che Tiffany Temple mi ha
invitato a provare le sue ovaie…”
La voce del mio migliore amico si disperse nell’aria,
perché il mio cervello smise subito di ascoltarlo.
Una visione decisamente poco
piacevole e anche molto irritante si presentò inaspettatamente davanti ai miei
occhi.
Bill spalmato addosso a Elena, mentre lei lo baciava
con trasporto ed interesse.
Cosa?
Ma perché?
Non riuscii più a ragionare, le mie mani si chiusero
in due pugni d’acciaio, mentre la rabbia cominciò a stritolare convulsamente la
ragione.
________________________
Buongiorno a tutte voi :D
Siamo ritornate molto prima del previsto e con solo
la prima parte dell’appuntamento! Purtroppo la situazione ci
è sfuggita di mano e abbiamo iniziato a scrivere senza fermarci.. La
seconda parte arriverà a breve, promettiamo!
Allora?
Che ve ne pare?
Noi personalmente non ci esprimiamo, vogliamo vedere
cosa vi aspettate per la fine di questa bellissima serata eheheh!
Un bacio immenso alle ragazze del gruppo che ci
spronano sempre a scrivere e a delirare con Logan e Nick in versioni vietate ai
minori! xD
Poi anche le vostre recensioni sono troppo belle, davvero; ci emozioniamo
semprea
leggerle :*
Erano esattamente 25 secondi
che ero bloccato a dieci passi dal bancone del Grill.
Non riuscivo a far nulla, se non guardare Elena e
Bill uniti in un bacio più che appassionato e che sembrava non volere finire
mai.
Fortunatamente – o sfortunatamente per quei due –
erano divisi dal bancone che impediva ai loro corpi di avvicinarsi più del
lecito.
Io, da stupido cretino quale ero, avevo i pugni
stretti lungo i fianchi che fremevano per entrare in azione, ma ero troppo codardo
per utilizzarli come volevo.
Non ero il suo ragazzo;non ero nessuno per lei.
Come potevo intervenire e malmenare Bill, perché
stava baciando una ragazza single che evidentemente gli interessava?
Cazzo, ma che diavolo mi prendeva? Perché quella scena
mi innervosiva più del normale?
Elena… Elena non mi era indifferente come credevo.
Questa era la fottuta verità che stava trapanando il mio cervello dall’ultimo
minuto.
Sospirai, aprii le mani e mi diressi verso quei due.
“Hey Bill, ti lascio i
soldi della birra. Ciao, bello!”
Sorrisi, mi voltai e, più velocemente di quanto
volessi, abbandonai il locale.
Solo quando sentii la porta chiudersi dietro le mie
spalle, mi ricordai che la birra mi era stata offerta proprio da Bill e che
avevo sicuramente fatto la figura del maleducato.
E sapete una cosa?
Non me ne fotteva un cazzo;
basta.
Dovevo allontanarmi più velocemente possibile da quel
posto, perché non ero stupido come i protagonisti maschili di ogni dannato
telefilm, film o libro che non si accorgeva quando una donna cominciava ad interessargli.
Elena… Elena, mi piaceva: porco cazzo!
Ecco anche solo il pensiero, mi fece scuotere la
testa e passarmi una mano tra i capelli, nervosamente.
Come diavolo era potuto accadere?
Porca troia… Merda.
Sì, stavo imprecando e pensando più parolacce del
consentito, ma la gravità della situazione era una buona scusa da usare a mio
favore.
Mentre divoravo centimetri di cemento sotto le suole
delle mie scarpe eleganti, mi maledivo mentalmente.
Non era possibile, non poteva essere possibile! Doveva essere stata quella birra, la visione di un’Elena ubriaca e più sciolta del solito e le parole di
Logan a farmi perdere il senno.
Dovevo solo dormire, riposare a dovere e l’indomani
mattina tutto sarebbe tornato normale e giusto.
Sì, perché era sbagliato provare interesse per una
ragazza così giovane; io non ero pronto ad offrirle
nulla.
A quell’età vogliono tutte il principe azzurro, il
destriero bianco e nessuna preoccupazione. Io invece vivevo di preoccupazioni,
problemi e difficoltà ogni santo giorno!
E poi stavo sopravalutando il tutto: probabilmente
Elena manco mi cagava di striscio. Lei scherzava, mi provocava, ma alla sua età
lo facevo anch’io.
Lei non era
interessata a me, punto.
Rimaneva la mia unica garanzia al momento e
stranamente, invece che rincuorarmi, mi intristiva un
po’.
Mi appoggiai alla balaustra, guardando Boston
dall’altro.
Era così bella, piena di luci e vita, mentre io ero
così confuso, spento e assente.
Una mano mi sfiorò la spalla, ma non mi voltai.
Non ne avevo il coraggio.
“Nick…”
I miei occhi fedifraghi mandarono bellamente a cagare
la mia sottile resistenza.
La guardai; era lei, in lacrime.
Oh, cazzo…
“Elena, che ci fai qui? Perché stai
piangendo?”
Non mi rispose, anzi appena mi voltai verso di lei, i
suoi occhi finirono ad osservare il marciapiede sotto
di noi.
“Non mi dire che quel pezzo di merda ha allungato
troppo le mani!”
Avevo già alzato una gamba per correre di nuovo
dentro il locale, ma la sua mano ritornò sulla mia spalla, privandomi completamente
di tutte le mie forze.
“No, no… Mi ha baciato lui.”
Aggrottai le sopracciglia, ma il fatto che lei non mi
guardasse, non mi rendeva certamente tranquillo.
“Non devi giustificarti, eh! Sono andato via, perché
si era fatto tardi e poi Bill è un bel ragazzo; sareste bene insieme. Tranquilla,
torna dentro a divertiti.”
Invece che farla sorridere, Elena scoppiò
letteralmente a piangere.
Le sue mani finirono velocemente a coprire i suoi
occhi, come se si vergognasse da morire per quello che stava facendo.
Dio, com’era simile a me in quel frangente.
Anche io odiavo farmi vedere in
lacrime.
“Elena, dai non pensavo che Bill baciasse così male!
Accidenti a sto coglione!”
Il suo sguardo luminoso tornò sul mio viso,
ghiacciando il sorriso di circostanza che avevo appena sfoderato.
“Smettila! Non me ne frega un cazzo
del bacio di Bill, porca troia!” Ma un singhiozzo le impedì di continuare
quella serie di imprecazioni.
“Che cos’hai? Perché stai
piangendo?”
“Nick…” Un altro singhiozzo vorace le inghiottì la
voce.
“Dai, vieni con me. Facciamo una passeggiata così ti
calmi un po’.”
Lei acconsentì mestamente e così iniziammo a muoverci
per la lunga passeggiata illuminata da qualche lampione e dall’insegne
luminose dei locali situati dall’altra parte della carreggiata.
Elena procedeva assorta nei suoi pensieri, ma i
singhiozzi sembravano diminuiti e in qualche modo la sua ritrovata calma, mi
fece stare meglio.
“Allora me lo dici perché stai piangendo? Ti sei
presa la sbornia triste, principessa?”
Lei si voltò a guardarmi e il suo volto mi trafisse
il cuore.
Era ancora bagnato, rigato dal nero del trucco e i
suoi occhi erano gonfi e quasi spenti.
“Non volevo baciarlo, Nick.
E’ vero che ora non mi reggo molto in piedi, sto anche sbiascicando, ma ti
giuro che non volevo mancarti di rispetto.”
Mi fermai e lei fece altrettanto. La guardai negli
occhi per minuti interminabili o forse solo per pochi secondi, ma quella
tristezza che le leggevo sul volto, mi strinse il cuore.
“Stai tranquilla, non stiamo
uscendo insieme. Non c’è bisogno di piangere, ok?”
Senza volerlo, le accarezzai una guancia e lei si
appoggiò alla mia mano, come se ne avesse avuto estremo bisogno.
Cazzo…
“Non sono quel tipo di ragazza facile. Non volevo
passare per la troietta di turno, perché non lo sono
e mai lo sarò. Odio chi lo fa, figuriamoci! È vero il
nostro non era un appuntamento romantico, ma stavo passando la serata con te e
quel bacio è stato sbagliato. Non sono nemmeno lucida, non pensare male di me;
per favore.”
Un sorriso mi si dipinse sul volto, senza poterlo
fermare.
Non avevo mai considerato, prima di quel momento, che
Elena potesse essere tenera e dolce.
Ma ormai, durante quella
serata, ogni mia singola certezza stava capitolando pian piano.
“Lo so benissimo… Tu sei il maschiaccio che gioca a
baseball, che mi insulta come farebbero solo Logan e
Tom e che sa prendermi in giro senza offendermi realmente. Non ho mai pensato
che fossi una ragazza facile.”
Mi diedi del cretino mentalmente, perché stavo
straparlando.
Averla così vicina, mi stava facendo rincoglionire.
“Perfetto, da domani tornerò ad
insultarti, ora non ce la faccio; mi gira troppo la testa.”
E, come se fosse uno scherzo del destino, la vidi
sbilanciarsi di lato quasi cadendo sul marciapiede.
Con la mano libera l’afferrai
per un braccio e involontariamente la strinsi in un abbraccio.
Di male in peggio, stavo mettendo a dura prova
il mio autocontrollo quella sera.
“Cazzo che male! Mi scoppia la testa...”
“Cerca di respirare e concentrati sul ritmo del tuo
respiro. Non fare movimenti bruschi con la testa e guarda un punto fisso.”
Lei di tutta risposta alzò la testa, guardandomi
dritto negli occhi e arricciando il naso.
Era davvero molto bella quella sera e più la
guardavo, più me ne rendevo conto.
“Mi sa che ho sbagliato punto da guardare.”
Mi fece la linguaccia e io scoppiai
a ridere, stringendo involontariamente le braccia intorno al suo corpo.
Era calda, più sottile di quanto pensassi. La sua vita microscopica, mentre il suo seno più grande del
previsto.
Merda, ma perché continuavo a fare pensieri da
pervertito?
Quello stronzo di Logan mi aveva manipolato il
cervello a mia insaputa, ecco la verità!
“Nick, perché mi guardi la scollatura?”
C’era limite al peggio? Evidentemente no; non per me
almeno.
“Sto guardando anch’io un punto fisso.” E facendole
l’occhiolino, spostai lo sguardo sulla strada poco affollata, cercando un
diversivo.
“Non ho detto che mi dava fastidio…”
Era arrossita?
“Quanto hai bevuto, principessa? Domani ti ricorderai poco e niente di tutta la tua
loquacità e scioltezza.”
Le sorrisi quasi dispiaciuto al pensiero che lei, al
risveglio, non avrebbe ricordato le mie mani, il mio corpo e il mio calore
contro il suo.
Riportai così lo sguardo sul suo viso bello e pulito,
le sue labbra sottili e lucide e le palpebre calate sui suoi occhi.
“Elena, guardami.”
Le sue palpebre tremarono leggermente e il nocciola
dei suoi occhi incontrò di nuovo l’azzurro dei miei.
Una mia mano le si posò su
una guancia, accarezzandola.
“Grazie.”
Lei aggrottò le sopracciglia, non perdendo mai il
contatto visivo.
“Di cosa?”
Sospirai e spensi tutto.
Spensi il ricordo di Mad,
il giudizio di Lily, il sorriso di Logan ed ascoltai
solo il ritmo del cuore, del mio respiro accelerato e della voglia di sentirla
più vicino.
“Questo.”
Il mio viso si abbassò sul suo, incontrai la sua
fronte e l’accarezzai con la mia, per poi proseguire e
raggiungere le sue labbra che si erano socchiuse per la sorpresa.
Le toccai con le mie, piano, con leggerezza, come se
ne avessi paura; come se le assaggiassi per la prima ultima volta.
Lei chiuse subito gli occhi, quasi spaventata ed io l’imitai, portando l’altra mano sul suo volto caldo e
assaporando la morbidezza, la consistenza e il sapore dolciastro delle sue
labbra.
Elena sembrò gradire quel contatto, tanto che cercò
di approfondirlo, ma la fermai.
Era ubriaca e io stavo
sbagliando; non dovevo farlo.
Eppure seguii l’istinto, gli
impulsi, le sensazioni. E mi piaceva; mi piaceva
accarezzarle le guance, respirare la sua stessa aria a due centimetri di
distanza e toccarle con lentezza le labbra.
Fu un semplice bacio a stampo che mi paralizzò il
cuore.
Mi staccai da lei dopo parecchi minuti, non ero così
scemo da credere che fosse durato solamente pochi
secondi.
Avevo il suo sapore addosso, dentro i polmoni ed in fondo allo stomaco.
E lo sguardo che mi dedicò poi, così liquido e
luccicante, mi fece ritornare di nuovo su di lei.
Le passai una mano tra i capelli, morbidi e
lunghissimi e poi le baciai i lati della bocca, scendendo verso il collo e
ritornando sulle labbra.
Non approfondii nessuno di quei contatti, ma non ce
n’era bisogno.
Sentivo la sua pelle d’oca e il mio respiro decisamente accelerato; questo bastò poi a fermarmi, prima
di aggravare la situazione.
La mia mania del controllo e della razionalità
assoluta tornarono a trovarmi, facendomi staccare da
lei.
“Vieni, torniamo dentro.”
Elena non riusciva a muoversi senza inciampare, così
le misi un braccio intorno alle vita e la
riaccompagnai dentro al Grill.
“Guarda il nostro stallone!”
Logan mi salutò da dietro il bancone, allungando una
coca ad Ashley.
Stava facendo il pagliaccio come al
solito, ma solo perché Bill gli concedeva il dominio del bancone quando era
stanco.
Appena quest’ultimo mi guardò, mi mimò uno “scusa” che io scacciai fintamente con la mano,
sorridendo di rimando.
Bill era uno “ok”, non si era mai comportato male con
me. Chissà perché si scusava… Poi guardai Logan e tutti i miei dubbi trovarono
una risposta.
Per sua grazia, avevo Elena da sorreggere, se no
l’avrei preso a pugni anche da dietro la cassa. Quando rompeva le palle, Logan
doveva prenderle di santa ragione.
Era in quei momenti che mi mancava Tom,
ma quel cretino quella sera era a casa con la febbre, quindi non poteva
aiutarmi in alcun modo.
Così, dopo aver sorpassato un po’ di tavoli, mi
diressi verso il fondo della sala, dov’erano situati i divanetti di pelle
marrone intorno alla seconda tv al plasma.
Come al solito il canale
sportivo era il prediletto, forse perché il Grill era un ritrovo prettamente
maschile o di coppiette in vena di flirt. Difficilmente comitive di ragazze decidevano
di passare il sabato sera a bere birra e giocare a biliardo.
Certo, per fortuna qualcuna ancora
si distingueva dalla massa.
Mi inchinai, adagiando Elena sul
divanetto di fronte alla tv mentre io presi posto al suo fianco, impugnando poi
il telecomando.
Lei però, forse per la spossatezza o per aver bisogno
di un punto fermo, si avvicinò a me, lasciando ricadere il suo capo sulla mia
spalla sinistra.
“Siamo a terra,
principessa?”
“Mmh, mmh…
Mi offri un’altra birra?”
Sorrisi, roteando gli occhi. “Ma
se non ti reggi nemmeno in piedi. Dai, fai la brava.”
Le accarezzai la schiena, sentendo rilassare
immediatamente i muscoli sotto il mio palmo.
“Ammazza, amico. L’hai stesa
a suon di preliminari là fuori?”
Logan si sedette sul tavolino basso ai miei piedi, beccandosi
poi uno scappellotto da Ashley.
Uh-uh stavo già adorando quella ragazza.
“Brava; impari in fretta.”
Lei scoppiò a ridere, facendomi un occhiolino
complice. “E’ carino anche quando fa lo stupido, no?”
E gli mise una mano tra i capelli, guadagnandosi un
mugolio di piacere da lui e uno sguardo sbalordito da me.
“Perché stai insinuando che è anche intelligente?”
La mia risata contagiò quella degli altri due,
finendo così a prendere in giro le facoltà intellettive del mio migliore amico.
“Comunque, Elena si è addormentata..
Dovresti chiamare Alice, Nick. Di solito è lei che ci viene a
prendere.”
“Non avete la patente?”
Lei sorrise, sovrappensiero. “Certo, ma non abbiamo sempre la macchina. Io devo dividerla con miei che
stasera sono fuori città e lei con sua sorella. Eravamo d’accordo che sarebbe
venuta Aliceper
il ritorno; quindi ti conviene chiamarla.”
Acconsentii, tirando fuori il cellulare e cercando il
numero della ragazza.
Avevo il suo numero da quando Alice si era presa a
cuore la situazione famigliare di Lily. Non tutti sapevano quanto era stato
difficile per Lily diventare la bambina solare e chiacchierona che era e grazie
alle cure della sorellona di Elena, la mia bambina si
era aperta giorno per giorno fino a sentirsi amata e
accettata da tutti.
Alice era un’ottima insegnante; completamente esperta
e competente nel suo mestiere e per questo si era conquistata
tutto il mio rispetto fin da subito.
Avevamo anche provato ad
uscire insieme, ma… Beh, non era scattata la scintilla ed io all’epoca ero proprio
ben lontano dal volere legami solidi e duraturi con una ragazza, anche se bella
ed intelligente come lei.
“Nooooo! Nick,
non chiamare mia sorella!”
Elena si svegliò di colpo dal coma profondo,
scaraventandosi addosso al mio torace, per togliermi il mio cellulare di mano.
“Hey, giù da lì! Guarda che
Nick è un leone: se attacca, ti azzanna Elenuccia!”
Un altro scappellotto di Ashley,
mi fece godere come non mai.
“Nicholaaaaas. Dai, non la chiamare.”
Mi fece il broncio e io
sorridendo, la cinsi con un braccio, portandola contro il mio collo. “Shh, shh. Parlo con la segreteria.. Ora stai a cuccia.”
Sorrisi, mentre la voce di Alice raggiunse il mio
orecchio.
“Pronto?”
“Hey, Alice; sono Nick. Senti
dovresti venire a prendere Elena e Ashley, perché tua sorella ha bevuto qualche
bicchierino di troppo e non si regge nemmeno in piedi.”
“Cooosa? Io la strangolo con le mie mani, quella deficiente!”
Sorrisi, scuotendo il capo. In quel momento capii che
il temperamento duro ed energico era comune ad
entrambe le sorelle.
“Mi spiace, sinceramente quando sono arrivato era già brilla…”
La sentii sbuffare. “Tranquillo, Nick. Anche se ci fossi stato tu, quella ragazza ha la
testa più dura di una noce di cocco! Non ti avrebbe nemmeno ascoltato. Però, ecco: c’è un problemino…”
Aggrottai le sopracciglia, sorpreso. “Cioè?”
“Vedi.” Alice deglutì rumorosamente,
prendendo una lunga boccata d’aria. “ Ho la macchina a terra e non vuole ripartire! Sono ferma da
mezz’ora con la mia amica alQuincy
e oramai ci abbiamo rinunciato e stiamo aspettando un taxi! Dormo qua da lei;
potresti portar Ellie da Ashley? Poi io chiamerò i
miei per spiegare il malinteso, non ti preoccupare.”
Mentre stavo per annuire, Ashley sobbalzò, avendo
sentito la proposta di Alice.
“Nick, potresti mettere il vivavoce?”
Dopo che acconsentii, Ashley tornò a parlare. “Ciao Aly, senti c’è un problema.. Non
sono proprio sola a casa, i miei hanno chiamato nonna Adelaide per farmi da
cane da guardia e sai meglio di me quanto sia poco raccomandabile far vedere
Elena in questo stato da lei. E poi…”
Il silenzio che calò tra di noi e soprattutto dall’altra
parte del telefono, mi fece portare una mano alla fronte, afflitto.
“E poi?”
“E poi insieme c’è zia Clariss-“
“No, merda! No,
non possiamo farle questo! Mia sorella è una testa dura, ma non merita la fine
della sua libertà personale.. Per la miseria, Ash! Ma proprio le due
sottotenenti di Hitler dovevi avere per parenti? Mi ricordo ancora quando mi
videro insieme a Percy Stewart e dissero ai miei che
ero incinta, solo perché mi toccavo la pancia mentre gli tenevo la mano. Che
ricordi orribili.. Avevo solo diciassette anni!”
I brividi di freddo che partirono dal mio collo fino
a raggiungere tutta la schiena, furono un chiaro segnale della gravità del
guaio in cui ci stavamo per invischiare.
“No, Alice. Non sono pronto per un
altro figlio.”
Logan mi guardò negli occhi, scoppiando poi a ridere
come un pazzo.
La mia uscita, non era poi
così ironica.
“Ok, ho capito; qui siamo in una situazione di emergenza. Allora, ragioniamo.
Ashley torna a
casa dalle due vipere con le cuffiette di lana odor naftalina – Senza offesa,
Ashley; sai che sei come una sorella per me! - ed Elena non può andare né con
lei, né tantomeno tornare a casa sua. Nick, mi duole
chiedertelo…”
“No!” La voce mi uscì più roca del previsto, tanto
che dovetti deglutire per tornare a parlare decentemente. “No, Alice… Non posso
portarla da me! Come diavolo glielo spieghiamo poi? E
ti fidi così tanto di me? Potrei
molestarla…”
E quella sera, tutto era dannatamente possibile!
“Nick.” La ragazza sbuffò
pesantemente attraverso la cornetta. “Lo
so che ti sto chiedendo un grosso favore e probabilmente dovrai anche spiegarlo
a Lily e sappiamo entrambi quanto lei sia gelosa di voi due; però… Sei l’unica alternativa che abbiamo al momento e sì: mi fido di te.”
Mi portai una mano tra i capelli, completamente perso
nei miei pensieri.
Come facevo a dirle di no?
Alice mi aveva aiutato moltissimo con Lily ed era la
prima volta che mi chiedeva un favore così sentito..
Cazzo! Ero anche solo a casa, senza Lily e avevo pure l’ormone impazzito! Ma, no. No; non avrei allungato le mani su una ragazza
ubriaca: mai nella vita.
Il rispetto era molto più importante del sesso;
soprattutto in un caso come quello. Soprattutto nei confronti di Elena.
Sbuffai, accavallai una gamba e poi ritornai seduto
sul bordo del divano.
Guardai prima Logan che faceva il cretino come al solito, sembrando strabico, perché continuava a farmi
l’occhiolino. Poi Ashley che, invece, mi sorrise mestamente, come se sapesse
molte più cose di quelle che io riuscivo solamente a
percepire.
“E va bene.” Lo sussurrai e chiusi la telefonata dopo
aver concordato con Alice che l’indomani mattina sarebbe passata
lei a prendere sua sorella, per non destare sospetti.
Avrebbe detto ai suoi che lei ed Elena avevano
dormito da questa cosiddetta Miky e niente e nessuno
avrebbe potuto confutare questa solidissima scusa.
Io, sinceramente, ero più scettico che
altro.
Sospettavo addirittura che Elena l’indomani mattina,
quando si sarebbe svegliata, me ne avrebbe cantate di santa ragione e questo
già mi stava spingendo a richiamare Alice, per annullare il tutto.
Poi il mio sguardo vagò sulla piccola testa bionda
ancora appoggiata sul mio torace e con un sorriso lieve, la presi
tra le braccia, cercando di non svegliarla.
“Allora ragazzi, io vado a casa. Questo sacco di
patate ha bisogno di dormire e dimenticare la sbornia. Buona serata,
ci si vede Ashley e a lunedì, Log.”
Entrambi mi salutarono con un breve cenno della mano e io ripercorsi il locale, lasciando che Bill mi aprisse la
porta.
“Sei tornato all’attacco, Nick?”
Io mi rabbuiai per quelle parole, uscendo fuori dal locale.
“No, Bill.”
***
Sentii la porta
del locale sbattere ed io sobbalzai, non solo per il rumore, ma anche per il fatto che, di nuovo, non ero con i piedi per terra.
“Nick..” Ero convinta che fosse lui. Il suo profumo mi era ormai
diventato famigliare, e in quel momento mi faceva sentire protetta.
“Andiamo a
casa, principessa.”
La voce di Nick
mi suonava tremendamente invitante in quel momento. Volevo andare a dormire,
perché ero davvero sopraffatta dagli eventi e poi andare a casa con Nick
avrebbe significato che avrei passato ancora del tempo con lui.
Così annuii
solamente e la mia riflessione sull’essere ancora una volta tra le sue braccia,
mi colse in contropiede.
I casi erano
due: o avevo dei seri problemi con l’equilibrio o per lui, prendermi in
braccio, stava diventando un vizio.
Mi misi a
ridere per quel mio strano pensiero, scatenando nel mio cavaliere uno sguardo
curioso. Fissai i miei occhi nei suoi e mi persi un’altra volta in quel mare
azzurro, prima di sentire di nuovo la testa pesare.
Mi appoggiai
definitivamente sulla sua spalla, prima di essere inghiottita di nuovo nel buio
dei miei sensi.
________________________________
Ciao bellezze :)
Eccovi la seconda parte dell’appuntamento!
Scusate il ritardo, ma come al solito date la colpa a Jess e la sua ispirazione ballerina!
Speriamo che vi piaccia, visto che ci
siamo divertite a partorire questo fine serata un po’
particolare.
E dopo?
Un risveglio, il ricordo di un bacio… Beh
non vi resta che aspettare insieme a noi il cap 8 :)
Grazie di tutto; come sempre. Le vostre
recensioni sono veramente stimolanti e troppo belle da
leggere!
Il risveglio era sempre stato il momento della
giornata che meno sopportavo, ma quella mattina era davvero uno dei peggiori.
Sentivo la testa ronzare, la gola secca e persino un
alito che avrebbe steso un morto.
Ma perché
diavolo doveva essere così difficile alzarmi dal letto quel giorno?
Con gli occhi ancora chiusi, stiracchiai le gambe e
sentii i piedi uscire dal materasso; una cosa davvero insolita per me che avevo
un letto lunghissimo rispetto alla mia comune altezza che di poco superava il
metro e sessantacinque.
Probabilmente ero scivolata verso il fondo del letto,
quindi non ci diedi molto peso e mi alzai convinta di incontrare, a pochi
metri, le scale che mi avrebbero condotta al mio Santo Graal: il frigorifero.
Avevo assolutamente bisogno di acqua. Ma anche un’aspirina non avrebbe
guastato.
Uscii dalla stanza e mi ritrovai spiazzata: non avevo
davanti il mio corridoio interrotto dalla balaustra delle scale, bensì un muro
con una foto di una casa,con la spiaggia
e il mare sullo sfondo.
Ma dove cazzo
ero finita?
Ebbi un attimo di panico, che mi spinse a rientrare
nella stanza da dove ero uscita e richiudere la porta. Ci appoggiai contro la
testa e poi aprendo prima un occhio e poi l’altro, mi decisi a guardarmi
attorno.
Nemmeno quella era la mia stanza.
Quella aveva le pareti color panna e dei poster di
barbie e fiabe appesi.
Dove erano i
miei poster dei Red Sox e le mie mensole piene di
libri?
Mi voltai di scatto e appoggiai la schiena alla porta
e il mio battito cardiaco accelerò ulteriormente quando mi accorsi che nemmeno
il letto era il mio.
Quello era lungo sì e no un metro e venti e aveva le
coperte con raffigurato un pesce pagliaccio che sorrideva. Decisamente non era
la mia camera da letto.
Ma dove cazzo
ero finita?
Cercai di fare mente locale, per capire come avevo
fatto a finire in quella stanza, ma soprattutto cercai di ricordare alla casa
di chi apparteneva quella camera.
Il mio cervello non mi fu molto d’aiuto, anzi; iniziò
a pulsare con insistenza, tant’è che dovetti smettere di concentrarmi per un
minuto o due per far rallentare il suo ritmo martellante.
Mi venne quasi da piangere, perché non ricordavo
nulla. Il primo pensiero che attraversò la mia mente portava al peggio e aveva
un non so che di tragicomico: ero stata rapita da qualche maniaco con la
fissazione per le fiabe e i bambini e io ero rinchiusa in casa sua.
Solo un passaggio mi sfuggiva: quando mi avevano
rapita? Il mio ultimo ricordo risaliva – presupponevo, visto quello che
indossavo – alla sera precedente, quando Ashley era uscita con me per vedere
Logan.
Allontanai quello stupido pensiero, volta ad una
tattica migliore rispetto a quella supposizione pressoché assurda.
Ripercorsi i miei ultimi ricordi, facendo aumentare
il ritmo delle pulsazioni del mio cervello fino quasi ad impazzire, ma non
potevo non sapere.
‘Io seduta al
bancone che parlo con Bill.. io che gioco a biliardo con Nicholas, e che poi lo
pianto in asso per andare a bere qualcosa al bancone con Ash..
io che rido un po’ più sguaiatamente del solito.. Le labbra di Bill che premono
con insistenza sulle mie, io che mi lascio andare e che gli concedo di
approfondire il bacio, e poi …e
poi…nulla…’
Non mi ricordavo altro. Cazzo, cazzo, cazzo!
Non ero a casa di Ash,
perché la conoscevo come le mie tasche e quella stanza proprio non era
contemplata nell’arredamento; quindi voleva dire che ero a casa di Bill,
mannaggia la miseria.
Speravo vivamente di non aver fatto cazzate durante
la notte, ma il mio abbigliamento mi faceva presupporre che non ci avessi dato
dentro con l’affascinante barista.
Anche il letto in cui mi ero risvegliata non faceva
pensare a quello. Fortunatamente.
Come avrei fatto a spiegare ai miei che non ero
tornata a casa, per rimanere a dormire a casa del barista che avevo conosciuto
la sera stessa?
Sarei rimasta in punizione per tutta la vita oppure
sarei direttamente morta strangolata da mia mamma.
Dovevo solo valutare quale fosse la meno peggio delle
opzioni.
Decisi di farmi coraggio e uscii di nuovo dalla
stanza che mi aveva ospitato per la notte e, in punta di piedi, iniziai a
guardarmi intorno, sentendomi quasi in difetto. Ero sempre stata una che si
faceva i fatti propri, e in quel momento mi sentivo un’estranea nella vita di
qualcun altro.
Raggiunsi il salotto senza fare rumore e notai, su un
mobiletto, una foto di Nick e una bimba bionda che subito associai a Lily.
Cosa ci faceva
una foto di Nick e della figlia nel salotto di Bill?
Non aveva molto
senso..
Oh porcaccia la
miseria: non ero a casa di Bill! ERO A CASA DI
NICHOLAS! Merda.
“Ti alzi ogni mattina come la pantera rosa?” La sua
voce mi raggiunse dalla mia sinistra. Mi
voltai e mi ritrovai di fronte il suo corpo snello in una canottiera che
fasciava ben bene i suoi addominali- tanto che avrei potuto contarli - e dei pantaloni
di una tuta grigia che ricadevano morbidi sulle sue gambe.
“Eh?” Risposi imbambolata.
Ghignò. “Chiedevo se sei solita alzarti e girare in
casa in punta di piedi.”
“Non quando sono a casa mia.”
“Mi casa es su casa.”
“In questo caso.” Assunsi così un posizione stante
normale.
“Vuoi un po’ d’acqua?”
“Sì, ti prego.” E mi fiondai come un’assatanata sul
bicchiere che mi stava porgendo e lo scolai in un sorso.
“Quanta finezza, Principessa.”
“Questo, e non solo, dovrebbe farti desistere dal chiamarmi
così, ma tu imperterrito continui. Sei una testa dura.”
La mia risposta lo fece ridere, e io mi persi per un
momento ad ascoltare quel suono caldo e melodioso che si stava spargendo per la
stanza.
“Sei una principessa rozza.”
“Stronzo.”
“Ecco appunto.”
Gli feci una linguaccia e mi sedetti al tavolo
massaggiandomi le tempie ad occhi chiusi.
Già avevo mal di testa, e quei battibecchi non
facevano altro che farmi aumentare quella fastidiosa sensazione.
“Tieni.” Lo sfrigolare di qualcosa di effervescente,
mi fece supporre che mi avesse passato un’aspirina. Presi il bicchiere davanti
a me e tracannai anche quello, nella speranza che mi facesse passare quel
tremendo fastidio.
“Saresti facilmente drogabile, Principessa. Non hai controllato nemmeno quello che ti ho offerto
prima di berlo.”
“Mi sono fidata. Ho sbagliato?” Chiesi alzando il
capo e incontrando l’azzurro limpido dei suoi occhi. La sua bocca si distese in
un sorriso e anche la mia fece lo stesso.
“No. Ti puoi fidare di me.” Quella frase invece di
rassicurarmi però, mi sembrò quasi un’accusa. Sembrava quasi mi volesse dire
che lui, al contrario, non si potesse fidare di me.
Mi balenò il dubbio che si riferisse al bacio tra me
e Bill, ma che motivo ne aveva?
E una voce nella mia testa mi chiese che motivo avevo
io per essere a casa di Nick.
Mi alzai e mi diressi al lavandino. L’avevo poco
distante e notai come si irrigidì quando per poco non gli sfiorai il braccio
per posare il bicchiere nel lavello. Da stupida, probabilmente, gli posi quella
domanda che mi stava balenando da un po’ nella testa.
“Non ricordi, non è così?” Chiese con una nota
dolente nel suo tono.
“Era solo per dire.. Ovvio che ricordo.” Certo che ero un fenomeno nel complicarmi la
vita.
“E ti ricordi anche questo, giusto?” Mi si parò
davanti incastrandomi tra lui e il bancone della cucina. Istintivamente
trattenni il fiato e mi schiacciai quanto più potevo contro il mobile. Mi fissò
per qualche secondo e poi si avvicinò pericolosamente al mio viso, ma
all’ultimo dirottò verso il collo dove mi lasciò un bacio umido e sospirato,
che mi pietrificò totalmente.
Decisamente,
quello non lo ricordavo.
Non l’avevo allontanato, ma non gli avevo nemmeno
chiesto di continuare, lasciandomi coinvolgere in quella situazione.
Sospirai e sentii in risposta le sue mani che
stringevano con forza il bancone come se si stesse forzando o trattenendo, non
capii bene.
Si scostò quasi di scatto da me e i suoi lineamenti
contratti, mostravano solo disapprovazione.
“Proprio come pensavo.” Rispose amareggiato.
Era arrabbiato. Lo potevo capire da come si muoveva
silenzioso e rigido per la cucina. Mi stava punendo per qualcosa di cui io non
pensavo di avere la colpa.
Che diavolo
avevo combinato la sera prima?!
Mi lasciò da sola in cucina e pensai che fosse andato
a cambiarsi; riapparve infatti con dei jeans attillati che rendevano
assolutamente giustizia alle sue gambe toniche e muscolose e una t-shirt nera,
semplice.
“Vado a prendere Lilian, tu
fai come se fossi a casa tua. Alice arriverà a prenderti per le dieci.” Non
c’era niente di positivo nella sua voce; era palesemente scazzato e io mi
sentivo un po’ una merda. Istintivamente buttai un occhio al polso per vedere
l’ora, ma non c’era traccia dell’orologio. Forse non lo avevo messo per andare
all’appuntamento.
“Scusa.” Dovevo ammettere la mia colpa, qualunque
fosse, perché andava oltre il semplice orgoglio personale.
Non riuscivo a mostrarmi orgogliosa e indifferente
nei suoi confronti, quando mi aveva ospitato per la notte, aiutato durante la
terribile fase post-sbornia e forse persino baciata. Non se il mio ultimi
ricordo, invece, era un bacio dato ad un altro ragazzo.
“Eri ubriaca. Sono io quello che ha sbagliato. Avrei
dovuto riportarti a casa una volta che i tuoi erano andati a dormire.”
“No, credo che tu mi abbia salvato – ancora una volta
– dall’ira dei miei. Se mi avessero beccata ubriaca sarei morta o segregata
nella mia stanza in questo momento. Quindi, grazie per avermi ospitata qui.”
“Non devi sforzarti se non lo pensi davvero.”
Cacchio l’avevo
fatto davvero arrabbiare. Maledetta me, le birre e Bill.
“Non mi sto sforzando.”
“Non sembra.”
“Sei tu quello che si sta sforzando a rivolgermi la
parola. Non mi ricordo quello che è successo ieri sera, va bene? Ho bevuto
troppo evidentemente. Non puoi farmene una colpa.”
“Fidati, potrei eccome.”
“Allora dimmi che ho fatto, perché io non ricordo e,
per quanto possa prendermi la responsabilità delle mie azioni, non riesco a
riconoscere i miei errori se non ricordo nemmeno di averli commessi.”
“Lascia perdere.”
Ed eccolo che di nuovo mi stava facendo esasperare.
Perché doveva essere sempre così snervante parlare
con lui?
Mi rassegnai così al suo sguardo arrabbiato e ferito.
Il suono delle campanedella Chiesa
vicina occupò il silenzio che si era creato e io finalmente capii che ore
erano. Le 9.
“Non ti preoccupare, Moore. Tra nemmeno un’ora levo
le tende; così non dovrai più preoccuparti per me.”
Mi alzai da tavola e lo oltrepassai, diretta alla stanza
di Lily. Non potevo uscire di casa scalza. Trovai subito le mie All Star nere e una calza, ma l’altra non voleva proprio
saltare fuori. Ero talmente innervosita che ero tentata di lasciarla lì.
L’avrebbe buttata una volta che l’avevesse ritrovata
lui. All’ultimo la intravidi sotto al letto e così la presi, insieme alla mia
borsa abbandonata accanto alla poltroncina e mi sedetti per infilarmi calze e
scarpe. Uscii dalla cameretta e non vedendo alcuna traccia di Nicholas in
salotto, uscii anche dall’appartamento.
Mi misi ad aspettare sulle scale d’ingresso del
palazzo. Scoprendo così che Nick abitava vicino all’asilo dove lavorava Alice e
proprio di fronte alla scuola elementare che avevo frequentato io e prima di me
mia sorella.
***
Il fatto che stessi guidando come un pazzo per le
strade desolate della periferia di Boston, poteva far intuire il mio stato
d’animo.
Nessuno correva la domenica mattina; era una
prerogativa delle grandi città.
Dopo sei giorni di corse pazze per prendere il mezzo
giusto, evitare ritardi sempre più dilatati al lavoro e tornare a casa in tempo
per organizzare la propria vita; ogni persona civile aspettava la domenica per
prendersela con tutta la comodità del mondo.
Io mi ero svegliato con il sorriso sulle labbra e non
volevo nemmeno pensare al motivo di tutta quella strana allegria, visto che era
stata spazzata via come se fosse inutile carta straccia.
Elena non se lo ricordava; non si ricordava del
bacio, delle carezze, dei nostri respiri uniti.
Io invece non potevo dimenticare la sera precedente,
nemmeno se lo avessi voluto ardentemente.
Sentivo ancora la stretta della sua mano nella mia,
quando l’avevo adagiata nel letto di Lily solo qualche ora prima.
Mi aveva guardato prima terrorizzata e poi, quando
aveva riconosciuto il mio viso, mi aveva attirato verso di sé per un tenero
abbraccio.
Quella scena, quelle braccia e quel profumo mi
avevano accompagnato per tutta la notte e come uno scemo, pensavo anche di fare
il bis a colazione.
Sì, mi stava bene. Quello era un chiaro segno del
destino che mi urlava: Hey, amico; hai toppato alla grande con la
ragazza.
Sbuffai, prendendo troppo velocemente la grande curva
che portava su un rettilineo di villette basse e dai colori sgargianti.
Arrivai così alla fine della strada e mettendo le
quattro frecce, corsi a citofonare.
La casa dei miei genitori si estendeva su due ampi
piani ed era la più grande del vicinato, sia per la struttura dell’edificio,
che per il grande giardino retrostante.
Ci era costata tanti sacrifici, ma ne era valsa la
pena; conservavo ancora dei bellissimi ricordi della mia infanzia.
Io e mio fratello Matt ci massacravamo come pazzi con
tutti gli sport possibili ed immaginabili! Proprio sulle scalinate della
veranda, avevamo provato a giocare a bowling con il vaso di porcellana cinese
di mia madre.
Sorrisi al pensiero; quante ne avevamo prese poi!
Ripensandoci, quel coglione mi mancava; da quando
aveva deciso di trasferirsi in California per fare il surfista da strapazzo, si
vedeva sempre più di rado.
“Ciao papà!”
Lily interruppe i miei pensieri, saltandomi al collo.
“Ciao, bellezza! Allora? Dormito bene dai nonni?”
“Sì.”
Mi sorrise teneramente, per niente intimorita dal mio
umore ballerino.
Salutai così i miei, tutti intenti a prepararsi per
andare a messa.
Avrei dovuto prendere anch’io quell’abitudine,
soprattutto per Lily. Però, accadeva spesso che la mia piccola mi chiedesse di
andarci da sola con i nonni, forse intuendo il mio disagio verso quella chiesa.
Purtroppo ci sono dolori che non sbiadiscono, ma si
alleviano solo in superficie.
La morte di Madeline rappresentava la mia personale
apoteosi di dolore e sofferenza; soprattutto il ricordo ancora vivido del suo
funerale.
La chiesa, i volti rigati dalle lacrime, l’altare
ricolmo di fiori e… beh, il suo corpo. Quel corpo che, fino a pochi giorni
prima avevo potuto abbracciare, fu rinchiuso in una cassa di noce fredda e
asettica.
Tutto il colore era sbiadito; tutta la felicità si
era dissolta come foglie d’autunno nel freddo vento novembrino.
Mentre mi rimettevo in macchina e lasciavo che una
leggera canzone ci accompagnasse di nuovo fino a casa, lasciai andare i ricordi
a briglia sciolta, ritornando indietro negli anni.
Era strano però; fino a pochi minuti prima ero
arrabbiato nero con Elena ed invece, un battito di ciglia dopo, tutto era
svanito e mi sentivo vuoto e incredibilmente solo.
Non provavo quella strana inquietudine da secoli e mi
faceva strano sentirmi così insicuro.
Era colpa di
Elena o invece erano i ricordi di Mad a farmi sentire
così?
Non lo sapevo e mi spaventava anche ricercare una
risposta a quella domanda inaspettata.
Percorsi in silenzio il resto del tragitto, visto che
anche Lily non parlò molto, intenta giocare con un nuovo peluche regalatole
dalla nonna.
Mentre la guardavo dallo specchietto retrovisore,
rivedevo in lei la felicità e la spensieratezza di tutti i suoi pochi anni di
vita.
Mad si stava perdendo la vera
essenza di nostra figlia e mi intristiva pensare che ero l’unico a giovare di
quel piccolo grande dono.
Imboccando la via di casa, il ricordo di Mad si confuse, facendomi ritornare in mente il viso di
Elena.
Sicuramente erano due ragazze diverse - sia
fisicamente che caratterialmente -, ma forse una cosa le accumunava saldamente:
l’attaccamento alla vita.
Elena e Madeline possedevano nei loro occhi la luce
speciale di chi vuole lottare, vincere e afferrare con le unghie e con i denti
ciò che il destino ha in serbo per loro.
Scendendo dalla macchina e vedendo la ragazza bionda
seduta sui gradini d’entrata del mio palazzo, nascosi un sorriso amaro,
pensando a quanto il destino mi stava letteralmente scarnificando fino al
cuore.
Prima mi aveva tolto la prospettiva di una vita
insieme a Madeline e sembrava che, volente o nolente, anche Elena non avrebbe
nemmeno avuto il tempo di sostarci in seconda fila.
Per la prima volta dopo tanto tempo, mi arrabbiai con
il fato che continuava a servirmi dolore e disillusione su un piatto d’argento
fin troppo lucido e brillante.
***
Ero rimasta fuori ad aspettare tre quarti d’ora buoni. Mia sorella sarebbe
arrivata a minuti, secondo quanto aveva detto Nick. Io speravo proprio che
almeno in quell’occasione fosse puntuale. Rassegnata ad aspettare ancora per un
tempo indefinito, mi passai le mani tra i capelli e li raccolsi in una coda
alta che poco dopo scombinai per il nervosismo dell’attesa. Così la sciolsi e
mi misi a giocare con l’elastico.
Non era proprio la mia giornata fortunata. Erano le
dieci e venti fottuti minuti e di mia sorella non c’era ancora nemmeno l’ombra.
In quel momento però, riapparve il pick-up grigio di Nick. Merda.
Dopo la mia scenata volevo fare almeno un’uscita di
scena decente, e non passare per la sfigata che doveva aspettare la sorella
all’infinito prima che questa la venisse a prendere.
Lily mi superò come se non esistessi e con il mazzo
di chiavi scintillante corse al portone e cercò quella adatta alla toppa.
Doveva essere un’abitudine perché Nick la seguiva con andatura sciolta e
sorridente. Solo quando si rese conto che io ero ancora lì fuori ad aspettare,
si fermò un momento, indeciso sul da farsi.
“Non è ancora passata Alice?”
“Direi proprio di no, visto che sono ancora qui.”
Scosse la testa, forse rassegnato alla mia acidità
mattutina, e poi inaspettatamente si sedette accanto a me sugli scalini,
rimanendo in silenzio.
Pur di non voltarmi verso di lui continuai a giocare
con l’elastico dei capelli che tenevo tra le dita e fissavo come le maglie si
muovevano quando lo attorcigliavo.Non
era una visione granché interessante, ma non volevo incontrare il suo sguardo
ancora un’altra volta, perché ero sicura che mi avrebbe sgridato di nuovo; se
non intenzionalmente con le parole, lo avrebbe fatto sicuramente con quei suoi
occhi celesti tremendamente espressivi.
Una leggera brezza di vento mi spinse a girarmi
leggermente di lato per non avere i capelli davanti al viso e così notai Nick
che mi stava osservando. Feci incontrare i nostri sguardi e quello che ne lessi
fu irritazione, mista a compassione (forse,
non ne ero certa) e sicuramente una vena di indecisione. Pensai che stesse
decidendo cosa dire, come umiliarmi al meglio, ma una vocina alle nostre spalle
glielo impedì.
“Papà, vieni a casa?” Lily evidentemente si era
accorta di non essere seguita da suo padre.
“Certo, Lily. Adesso arrivo.” Le rispose senza
scollare i suoi occhi dai miei e questo mi turbò tant’è che interruppi io il
contatto visivo.
“Viene anche la tua amica?”
“Non lo so, viene anche la mia amica?” Mi chiese
indirettamente.
“Papà, ma che domanda è?” Chiese ridendo la piccola.
Nick rise e poi mi chiese se volevo entrare in casa
con loro. Io non volevo, onestamente, ma Lily mi prese per mano e mi trascinò
dentro il palazzo.
***
Quando mi richiusi la pesante porta di casa alle spalle, mi scappò un respiro
di sollievo.
Era strano da dire, ma ogni volta che avevo un
problema più o meno serio, dentro le mura della mia minuscola casa, tutto
sembra diverso. Da sempre, quella mia piccola mania, mi aveva portato ad
occupare gran parte del tempo a riflettere sul mio letto ad eventuali problemi
della vita quotidiana.
Se prima ero un ragazzo con le solite fisime
adolescenziali, ora che stavo diventando un uomo adulto, non ero cambiato poi
molto.
Stava succedendo anche con Elena; mi sentivo
minacciato dalla sua presenza.
Poteva rendermi felice, ma si era dimenticata del
nostro avvicinamento.
Poteva essere la ragazza perfetta da avere al mio
fianco, ma aveva appena diciotto anni e tutta la vita davanti.
Quando l’avevo vista seduta su quei gradini di marmo,
solo pochi minuti prima, mi aveva fatto ripiombare addosso tutta la delusione
passata.
Ma perché mi sentivo così scemo? Non era mica
successo chissà che cosa, eppure ritenevo davvero importante quei stupidi baci
ed effusioni amorose.
Non avevamo fatto sesso, ma il mio cuore ragionava
diversamente dalla mia mente.
Sapevo che mi stavo comportando di nuovo come
l’adolescente che ero solo qualche anno prima, eppure il mio cuore se ne
sbatteva altamente, facendomi sentire frustato e non ricambiato, come nelle più
brutte cotte adolescenziali.
Perché?
Probabilmente, se avesse potuto, anche Lily avrebbe
riso della stupidità di suo padre.
Mentre armeggiava in cucina, istruendo Elena su dove
si trovassero i vari utensili e piatti, mi immaginai quella stessa scena
dilatata nel tempo.
Sarebbe stato bello vedere sempre Elena a casa mia e
sarebbe stato ancora più dolce vederla ridere, scherzare e diventare amica
della mia bambina.
Sapevo che per Lily la presenza di una figura
femminile, prima o poi, sarebbe stata necessaria; ma non sapevo minimamente come
trovare la persona giusta che l’avrebbe accudita con amore, proprio come facevo
io.
Entrai in cucina, lasciando che la voce allegra di
mia figlia, mi facesse da calmante.
Ero con loro, ma la mia mente navigava lontana anni
luce da lì.
Pensavo al passato, presente e all’incognito futuro.
Elena non sarebbe mai potuta essere la madre di cui
Lily avesse avuto bisogno a tempo debito; forse avrebbe potuto farle da sorella
maggiore.
Eppure Mad aveva pochi anni
più di Elena quando era rimasta incinta, non era pronta nemmeno lei per essere
madre.
Ma la situazione era diversa o forse ero io che
continuavo a vedere Elena solo come una bambina e non come la donna che era.
Avevo ventitré anni, ma mi sentivo molto più vecchio
e maturo dei miei coetanei.
Certo dopo aver avuto una bambina, tutto il mio
universo era cambiato ed era più che normale che le mie priorità fossero state
sconvolte e che la mia prospettiva di vita fosse decisamente capovolta da
quella che avevo cinque anni prima.
Ero una contraddizione vivente : ecco la verità.
Colpevolizzavo Elena, trattandola e vedendola come
una coetanea di Lily, perché avevo paura di imbarcarmi in un qualcosa di serio
con lei, coinvolgendola nella vita di mia figlia.
Per quanto io avessi potuto soffrire per una rottura
con Elena: Lily sarebbe stata dieci volte peggio.
Era quello che mi bloccava e che mi faceva muovere
come un automa, in cucina.
Se non avessi avuto quelle preoccupazioni, io ed
Elena – in quel momento - saremmo stati di nuovo a letto. Non per dormire e non
in due camere separate.
Se non avessi avuto paura di ferire per prima Lily,
avrei spento la mente e accesol’istinto.
Ero un uomo, non solo un padre ed era ormai assodato
che Elena mi piaceva.
Così diversa dal mio tipo ideale di donna, ma così
simile a ciò che necessitavo.
Che cazzo dovevo fare?
“Papà, voglio la nutella.”
Abbassai lo sguardo sui toast al prosciutto e
formaggio che stavo infarcendo, reprimendo un lamento.
“Principessa, non è possibile. Non puoi mangiare
sempre la nutella; mi ha detto la nonna che ieri sera te l’ha data dopo cena.”
“Ma, papà! Io la voglio… La VOGLIO!”
Mi voltai, fulminandola con lo sguardo. “E ora
facciamo i capricci? Non pensare che siccome abbiamo ospiti, io non ti possa
sculacciare come si deve.”
La mia piccola diventò rossa in viso, gonfiando poi
le guance con rabbia.
“Sei cattivo, CATTIVO! Io voglio la Nutella, non il proCiutto! Mi fa schifo!”
Ecco perché i padri single, non erano molto ricercati
sul mercato.
Ottima mercanzia per quanto riguardava i valori e
l’equilibrio finanziario, ma decisamente problematici per quanto riguarda prole
e tempo a disposizione per la futura partner.
Mi asciugai le mani sul grembiule, girandomi verso di
lei.
Elena o no, ero pur sempre un papà che doveva fare il
suo mestiere.
Bello e brutto che fosse.
“Quante volte te lo devo dire, Lilian?
Non si dice quella parola, ci sono bambini meno fortunati di te che non possono
mangiare tutti i giorni cibo sano e nutriente. Ora chiedi scusa ad Elena che ti
ha sentito urlare e ti siedi composta. O mangi i toast o vai in camera senza
colazione. Scegli tu.”
Beh, logicamente il mio discorso sembrava a prova di
capricci, ma le parole, con i bambini, a volte non bastano.
Lily si alzò in piedi e cominciò a sbattere i piedini
per farsi sentire.
“NO! NO! Voglio la Nutella, la voglioooo!
Papààà, per favore..”
Occhioni da cerbiatta, viso arrossato
dallo sforzo.. Beh, avevo il cuore tenero, ma il pugno doveva rimanere duro.
“Ok, fila in camera. Subito.”E con tanto dito, le
indicai la porta alla mia sinistra.
“Papà..”
“Lilian o chiedi scusa e ti
comporti bene, oppure vai a fare i capricci da sola in camera tua.”
“Scusa, papà..”
Nick 1 – Lily 0. Mai vincere fu così bello.
“Chiedi scusa anche alla nostra ospite; non ti sei
comportata come una brava bambina.”
Lily mi guardò tirando su con il naso, sintomo di un
imminente pianto.
“Scusami, Elena… Ti ho fatto male?”
La bionda, leggermente spaventata dal nostro
confronto, rimase qualche secondo in silenzio prima di sorridere verso Lily con
genuinità e dolcezza. “Ma no, perché avresti dovuto farmi male?! Comunque la
Nutella, fa venire i brufoli.”
“Cosa sono i bufroli?”
Elena scoppiò a ridere, guardandomi per cercare
aiuto.
Io invece mi appoggiai al forno, gustandomi la scena.
“Ecco…” Il suo sguardo da BruttoStronzoAdessoCheLeDico?, mi fece sogghignare visibilmente.
“Sono delle macchie che ti vengono soprattutto sul viso che fanno allontanare i
maschietti.”
Senza rendermene conto, scoppiai a ridere di gusto,
tanto che le due giovani donne mi guardarono una con odio, l’altra con stupore.
“Papà, sei bello quando ridi.”
Ecco come far crollare la mia facciata da duro e
farmi sciogliere come neve al sole.
“Mai quanto te, tesoro. Latte o spremuta?”
“Latte, tu Ellie?”
“Preferirei un caffè, grazie.”
Io mi voltai, continuando a ghignare. “Lo sai che ti
blocca la crescita bere troppo caffè alla tua età?”
“Anche alla tua, vecchietto.”
Mi voltai giusto in tempo per beccarmi una linguaccia
e poi tornai alla caffettiera.
Per lo meno non era troppo arrabbiata, se riusciva
ancora a battibeccare come al solito.
“Ellie, ma se mi crescono i
bufroli, Lucas-il-Puzzone
mi lascerà in pace?”
“Non credo.. Ci sono ragazzi testardi, altri stupidi
e altri che continuano a puzzare anche da adulti. Quindi se lui ti perseguita,
lo farà anche con i brufoli e l’apparecchio.”
Presi le tazze, ritornando al tavolo di fronte a
loro. “Ah, i ragazzi intelligenti non esistono più?”
Elena prese la sua tazza dalle mie mani, senza troppe
cerimonie.
“No, mi spiace. Se sono intelligenti, sono nerd. Se
sono belli, sono omosessuali e se son-“ Le lanciai un pacchetto di brioche che
avevo messo nel grembiule, completando la frase al suo posto. “E se invece sono
sia intelligenti che belli, si chiamano Nicholas Moore.”
Rimase con la bocca aperta, facendomi ridere di
nuovo.
Presi dal fornello la caffettiera e la caraffa di
latte caldo, e ritornai a tavola.
Sorridendo come uno scemo, versai il caffè a Elena,
il latte a Lily, e il caffèlatte super zuccheroso, per il sottoscritto.
Avevo bisogno di carburare fin dalle prime luci del
mattino.
“Allora non voglio più la Nutella, papà. Quando mi
sposerò, non voglio bufroli e bimbi puzzoni.”
“Ma infatti avrai me; e ti vorrò sempre, brufoli o
no. Ora bevi che si fredda. E’ appena tiepido, come piace a te.”
Lily sorridendo, cominciò a mangiare e a parlare con
Elena di quanto si era divertita con i nonni la sera prima.
Mentre immergevo la brioche nella tazza, mi appoggiai
con il volto a una mano, intento ad osservare la ragazza seduta di fronte ai
miei occhi.
Come mai era ancora single?
Era vero, non aveva una bellezza sconvolgente e forse
aveva un caratterino che poteva stufare o addirittura intimorire i meno
spavaldi. Eppure, più la guardavo e più la trovavo adorabile; quasi tenera. Ed
era carina; molto.
Quando sorrideva le nascevano due adorabili fossette
ai lati delle labbra e quando era arrabbiata, le sopracciglia le si
congiungevano come in quei buffi personaggi dei cartoni animati.
E poi era ironica, simpatica e non riusciva mai ad
annoiarti.
Non era sdolcinata, eppure sentivo che nascondeva
un’inguaribile anima romantica.
“Ho qualcosa che non va?”
Elena aveva smesso di parlare con Lily e mi stava
guardando con evidente disagio.
“Ma va…” Mi voltai verso mia figlia, per fuggire al
suo sguardo indagatore. ”Lily, tesoro, è l’ora del bagno.”
“Posso farlo da sola?” Mi pregò, guardandomi con
quegli occhi grandi e luminosi.
“Non lo so… Ok, va bene! Però, l’altra volta ti eri
dimenticata il rubinetto acceso.Stavolta riempio io la vasca e poi tu ti lavi da sola, va bene?”
La mia piccola si alzò tranquilla, sparendo dietro la
porta.
Mi voltai di nuovo verso Elena che stava girando tra
le mani un biscotto al cioccolato. Era assorta e distante; chissà a cosa stava
pensando.
“Vado ad aiutare Lily, intanto mangia tutto quello
che desideri.”
Lei sorrise senza nemmeno guardarmi negli occhi e ne
approfittai per sparecchiare le due tazze già vuote.
Uscii poi dalla cucina, e prima di entrare in bagno,
mi fermai sullo stipite della porta.
Lily stava canticchiando con la spugna in mano di
fronte al lungo specchio, vicino alla finestra.
Le corsi vicino, troppo intenerito dalla scena per
starle lontano, e la presi in braccio.
“Ma che bella cantante abbiamo qui.”
E facendole il solletico sul pancino, me la portai
vicino al collo.
“Papà, facciamo i salti?”
Le baciai il capo, prima di riportarla a terra.
“Dopo, dai.” Aprii il rubinetto, facendo scorrere
l’acqua sulle dita, per controllare la temperatura. “Hai preso i vestiti?”
“Sì, tutto! Anche Jil!”
Chiusi così il rubinetto, sorridendo alla paperella
gommosa che venne subito gettata nella schiuma.
“Le
mutandine?”
“Sìììì, papà!”
“L’accappatoio?”
L’espressione sul suo viso, fu molto eloquente.
Scoppiai a ridere, prima di chiamare Elena e
chiederle gentilmente di andare in camera mia a recuperare l’infausto
indumento.
Però, passò più di qualche minuto e di Elena non
c’era traccia.
“Vado a prendertelo io, così controllo se la nostra
ospite è viva od è invece affogata nel caffè. Fai la brava e non chiudere la
porta!”
Dopo essermi fatto dare un bacio sulla guancia, me ne
andai, lasciando di proposito la porta aperta a metà, per poter controllare
dentro senza che lei se n’accorgesse.
D’altronde, nonostante fosse una bambina molto
matura, aveva pur sempre quattro anni e con tutto quello che accadeva in giro,
era molto meglio prevenire che curare.
La responsabilizzavo, ma non troppo. Ero sempre
dietro di lei, come un’ombra; come una seconda pelle.
“Elena?”
Appena ritornai in corridoio, vidi solo la porta della
mia camera da letto leggermente socchiusa.
“Sei qua dentro?”
Elena era esattamente di fronte al cassettone che
guardava le foto disseminate in diverse cornici sopra lasuperficie di legno del mobile e altre
incastrate nella cornice dello specchio.
“Era molto bella.”
Mi fermai ad un passo da lei, incontrando il suo
sguardo attraverso lo specchio.
“Già e non solo fuori, ma soprattutto dentro.”
“Ti manca?”
Mi sedetti ai piedi del letto, non perdendo il
contatto visivo.
“Tutti i giorni.”
Lei si girò verso si me. “Fa male?”
“Troppo, ma con il tempo credi di stare meglio. In
realtà, ti abitui semplicemente alla sua assenza e non è vero che diventi più
consapevole che quella persona non ci sarà più. Vai avanti, fortifichi le tue
debolezze, ma non puoi fare a meno di pensare a com’era prima la tua vita
insieme a lei. Madeline rimarrà sempre la madre di mia figlia; il mio primo
amore, ed è troppo triste pensare che non farà più parte del mio futuro. Però,
tutto sommato, non sono così idiota da credere che un giorno lei tornerà o io
la dimenticherò. Forse, in quel fottuto giorno, arriverà una persona che
cambierà le carte in tavola e mi farà ricordare com’è bello vivere con qualcuno
al tuo fianco. E il dolore potrebbe rimanere solo un ricordo dolceamaro, mentre
io potrei stringere tra le dita, almeno per pochi istanti, la felicità.”
Lei mi guardò a lungo, prima di arrossire.
Non sapevo il motivo di quelle parole; volevo in
qualche modo rassicurare me stesso che non era ancora finita; che non ero
ancora finito.
Anche se mi sembrava presto pensare che quel qualcuno potesse essere lei; prima
di tutto volevo dare una seconda chance a me stesso.
Lei mi piaceva davvero; forse mi avrebbe aiutato ad alleggerire
il peso del passato o semplicemente mi avrebbe fatto sorridere quel tanto che
bastava per affievolire il dolore giornaliero.
E poi, ad essere sincero, odiavo le situazioni di
stallo; non ero mai stato il tipo di persona che attendeva il destino, stando
fermo e pregando qualche strano Dio.
No, io ero per l’agire, per crearsi con le proprie
mani la via da seguire e raggiungere così la realizzazione personale e
professionale.
Elena mi piaceva, ma avevo la forza di lasciarmi
andare?
Non sapevo nemmeno se le piacevo…
“Vieni qui.”
Lei inclinò la testa, guardandomi stralunata.
“Dai, non ti ho mica chiesto di baciarmi, ma solo di
avvicinarti.”
Ancora più titubante di poco prima, la vidi fare
qualche passo verso di me e sedersi poi al mio fianco.
Gamba contro gamba, ricercavo parole sensate da usare
in quel momento di evidente imbarazzo.
“Non ti ricordi proprio niente di ieri sera, vero?”
Voltai il capo, mentre lei faceva altrettanto.
I nostri occhi si incontrarono di nuovo.
“No, solo di aver baciato Bill. Non che sia un brutto
ragazzo; ma da sobria non l’avrei mai fatto.”
Bene anzi: male! Malissimo! Se non aveva voluto
ricevere il bacio da Bill, chissà che cosa avrebbe pensato di quello che le
avevo dato io. Di quelli che le avevo
dato io, pardon.
“Povero. Gli spezzerai il cuore.”
Lei si mangiucchiò il labbro inferiore, facendo
spallucce.
“Lo so, ma ero ubriaca persa! Cavolo, mi spiace
davvero molto.. Ti ho vomitato in macchina?” No, hai solo distrutto il mio ego. “Ma va, ridevi solamente più del
solito. Come ti senti ora?”
“Bene.”
Stavo tergiversando, lo avevano capito pure i muri
della stanza.
Ero con una ragazza carina sul letto e cosa facevo?
Parlavo del più e del meno, wow!
Logan mi avrebbe preso per il culo a vita, se solo lo
avesse saputo.
Ma il punto non era nemmeno Logan, in quel momento.
Era la strana sensazione che mi aveva pervaso le mani
da quando lei mi aveva sfiorato con la sua gamba. Volevo ribaciarla come poche
ore prime, eppure sapevo che non era giusto rifarlo.
Avevo sbagliato ad approfittarmene di lei quando non
era lucida, ma il mio povero cuore, non voleva che la pensassi così. In qualche
modo, speravo di essere più fortunato di Bill.
“Nick, io devo andare. Alice sarà qui a momenti. Devi
dirmi qualcosa?”
Elena si fece più vicina al mio viso, con i suoi
grandi occhi nocciola da cerbiatta.
Da cerbiatta? Dio, Nicholas; parli proprio come
Logan!
Lei si risistemò una ciocca di capelli dietro
l’orecchio e di riflesso, afferrai quella stessa ciocca riportandola tra le mie
dita.
Eravamo a pochi centimetri di distanza e riuscivo a
sentire il profumo del mio bagnoschiuma sulla sua pelle.
Dio… che cosa sexy. Sentire il proprio profumo su una
donna, equivaleva a qualcosa di molto intimo e personale.
“Elena,
guardami.”
Ripetei esattamente le stesse parole della sera
prima, facendole spalancare la bocca.
Le sue iridi si illuminarono e le pupille si
allargarono. “O cav-“ Le sorrisi sulle labbra, prima
di baciarla con foga.
Ok, non avevo proprio previsto quel bacio e..
Cazzate: non era vero. Lo avevo sperato come un disperato! Solo che non volevo
stenderla sul letto e schiacciarla sotto il mio peso. Non volevo divorarle le
labbra, giocare con la sua lingua e solleticarle il collo con le mani fino a
infilarle sotto la maglietta. Ma lei non protestava, anzi, mi assecondava.
“Cazz-“ Mi prese il viso
tra le mani, baciandomi con foga. “Te.Lo.Ricordi?”
Sussurrai, mentre le solleticavo la schiena. Avevo paura di toccarle subito il
seno… Dio, sembravo un allupato.
“Solo il bacio; i baci, scusa.”
Sorrisi, mordicchiandole il naso. O merda…
“Meglio di niente. E non ti fa strano baciarmi?”
Lei si fermò; era rossissima e accaldata. Adorabile.
“Beh, un po’... Però baci da Dio. E..”
Tornai sulle sue labbra, più che felice del
complimento.
“Certo che non hai mezze misure, Nick. Prima fai il
timido e ora non mi molli più.”
Risi contro la sua clavicola, baciandola fino al
collo.
Proprio in quel momento, però, Lily chiamò
ripetutamente il mio nome; facendomi bloccare sulla pelle di Elena.
Dopo un decimo di secondo, anche il campanello iniziò
a strillare, facendoci allontanare.
Che gli HungerGames, abbiano inizio.
_____________________
Buonaseeeeera!
Scusate il ritardo, siamo mooolto
di fretta.
La vita/gli esami ci perseguitano e cerchiamo di
stare al passo con le pubblicazione. ( In verità Giulia scrive regolarmente, ma
si ritarda a pubblicare, perché Jess è stra lenta e con l’ispirazione ballerina.. : punitela! :D)
Comunque, ringraziamo tutti! Belli e brutti!
Rispondiamo pian pianino.. Lo sappiamo che siamo lente, non ricordatecelo :(
Speriamo che il capitolo vi piaccia, è un po’ lungo..
Magari così ci perdonate :O
La squillante voce di Lily
e il campanello avevano interrotto quel mio tuffo nei ricordi della sera
precedente e quell’ondata di passione che faceva fare
le capriole al mio stomaco.
Avevo rivissuto le stesse
sensazioni di poche ore prima, ma in modo più intenso, perché in questo momento
ero sobria e… felice.
Ero felice?
Avevo un sorriso da ebete
stampato in faccia, lo percepivo. Sfiorai con le dita le labbra più gonfie e
corpose del normale; sentivo le guance roventi – avrei potuto cucinarci sopra, per quanto erano calde –,lo stomaco accartocciato e provavo un’intensa
sensazione di leggerezza; in quel momento avrei potuto volare sulla nuvola
Speedy senza dovermi preoccupare di cadere di sotto.
Mi sentivo talmente
leggera, che se mi fossi ritrovata a qualche centimetro dal suolo,sarebbe stato del
tutto normale.
Ok, stavo delirando. Ecco a
cosa portava quell’insieme di sensazioni che provavo.
Nick rispose al campanelloe con semplice “È
Alice” mi avvisò che mia sorella era arrivata a prendermi. Raccolsi la mia
borsa dal divano e salutando Lily mi preparai a scendere.
“Ti accompagno.”
“No, stai pure qui con
Lilian;
conosco la strada.”
“Principessa, il papà torna
subito, fai la brava e non uscire di casa. E se stai
lontana dal frigo, stasera prendiamo la pizza.” Urlò
verso l’altra stanza così che la piccola lo potesse sentire.
“Va bene, papà.”
“Forza, ti accompagno.”
“Non ho molta scelta,
giusto?”
“Giusto.” Mi fece un
occhiolino e mi sorpassò per scendere le scale.
Mi presi due secondi per
controllare come fossi conciata, ma tutto sommato non
si vedevano molto segni di quel rotolarsi
sul lettoche ci aveva coinvolto; i capelli
erano abbastanza in ordine, il rossore sulle guance si era un po’ spento e le
sentivo meno gonfie. Insomma, il casino era solo interiore, così forse sarei
riuscita a nasconderlo a mia sorella.
Quando arrivai in fondo alle
scale, lui si fermò di scatto prima di aprire il grande portone di legno.
“Aspetta,
Ellie.”
“Cosa?”
Chiesi stranita.
“Rimaniamo così, senza nemmeno
sentirci?”
Quella domanda aveva
causato in me un forte senso di vuoto: stava già rinnegando quello che era
successo tra di noi?
Abbassai lo sguardo e gli
chiesi: “Se è quello che vuoi.” Alla fine era lui quello che poteva avere più
problemi, rispetto a me. Lui aveva Lily a cui badare,
un lavoro da seguire e la sua vita da gestire.
“Ma
che hai capito?” Mi sollevò il mento e mi fissò negli occhi. “Voglio
risentirti. E preferirei farlo senza passare tramite il canale Logan-Ashley.”
“Davvero?”
“Davvero davvero.” La
citazione di Shrek, metteva in chiaro quanto fosse un bravo papà - o quanto fosse un eterno Peter Pan – anche se ero più propensa a votare per la prima,
soprattutto dopo averlo visto all’opera quella mattina.
Si tastò
le tasche alla ricerca del telefono, ma non trovandolo era già pronto a tornare
di sopra.
“No,
aspetta. Dammi tu il numero che lo salvo io.”
E così frugai nella mia borsa alla ricerca del mio cellulare.
Memorizzai il suo numero e
lo guardai facendo una smorfia soddisfatta che lo fece
ridere e scattare di nuovo verso di me per darmi un bacio a fior di labbra.
Rimasi lì impalata a
toccarmi nuovamente le labbra; quando uscii, lui aveva già salutato mia sorella
che, sorridente, lo ringraziava per avermi salvato il culo
un’altra volta.
Mi salutò rimanendo
apparentemente tranquillo di fronte a Alice, come se mantenere la compostezza
davanti a lei, gli desse la possibilità di mettere da parte quello che avevamo
fatto e detto nel suo appartamento.
Un po’ delusa da quella sua
indifferenza, lo ringraziai e poi seguii mia sorella alla macchina.
Stranamente era silenziosa,
ma non durò molto: dopo aver svoltato un paio di vie, si infilò
in un parcheggio e iniziò a saltarmi in testa come solo lei sapeva fare.
“Ma che cazzo ti è passato
per la testa ieri sera?” Mia sorella era famosa per la sua pacatezza, ma quando
si trattava della famiglia diventava tutt’altro che
tranquilla. Specialmente se ero io a finire in qualche guaio.
“Non lo so,
Alice.”
“E questa di sembra la risposta di una ragazza matura? Mi sembrava di
aver capito che tu volessi dimostrare di esserlo!”
“Al, che
cazzo devo dirti? Che avevo pianificato di ubriacarmi per poi passare la notte
da Nicholas?! No. Non pensavo che la serata finisse in
quel modo!”
“Allora che cavolo hai
combinato per ridurti ad uno straccio, tanto che Nick
mi ha dovuto chiamare per chiedermi di venirti a prendere?”
“È stata colpa di Bill.”
“E adesso chi diavolo è Bill?”
“È il barista del Grill.”
“E??”
“E niente. L’ho conosciuto
ieri sera. Mentre Ash e quel decerebrato del suo amico stavano pomiciando, mi
ha offerto una birra e poi, tra una chiacchiera
e l’altra, me ne ha offerte altre due.”
“E tu sai anche che con
quel poco che avevi mangiato a cena, avresti retto di meno! Per Dio, Ellie, ma
che stai combinando ultimamente?”
“Al, ma
di che stai parlando? Sono sempre la stessa, non sono cambiata solo perché mi
sono presa una cazzo di sbronza!”
“Non lo so,
Elena. Sembra che stai ricompiendo i miei passi al contrario.”
“Così mi offendi,
Alice.” Non potevo credere che lei mi stesse imputando di compiere i suoi
stessi sbagli.
“Non è il mio intento,
Ellie. Lo sai che non mi piace discutere con te, ma quando c’è qualcosa che mi
urge dirti, te la dico senza peli sulla lingua.
Soprattutto se posso prevenire, piuttosto che curare le tue ferite.”
“Questo lo so, ma non puoi
davvero pensare che sto facendo i tuoi stessi sbagli. Non ho intenzione di
nascondermi qualche bottiglia nell’armadio. Non sono nemmeno lontanamente
vicino all’alcolismo da cuore spezzato, Al.”
“Sai che quello è stato uno
dei periodi più brutti della mia vita, e di certo non ne vado fiera, e non
voglio giustificarmi: è stato un cattivo modo di gestire la situazione, ma sai
anche tu che era l’unico modo che avevo per non sentire lo squarcio nel petto
che ogni sera mi impediva di dormire.”
“Lo so, ne abbiamo già
parlato. E sai anche che per averti lasciato, Percy si è quasi beccato un pugno
da me. Se solo non avesse avuto l’agilità di un rugbista.”
Scoppiò a ridere;
evidentemente, rivide nella sua testa la scena in questione: io che arrabbiata
come un leone in cattività correvo giù per le scale e mi fiondavo
nell’ingresso, spintonando quel cretino e spingendolo
fuori di casa. Gli era andata bene che avesse i riflessi pronti, altrimenti
quel gancio destro che avevo caricato a molla non gliel’avrebbe tolto nessuno.
Erano passati ben tre anni
da quando si erano lasciati lei e Percy, ma io ricordo
ancora quanto Alice avesse sofferto per quel cretino. Ricordo i mesi di pianti
disperati che non la facevano dormire la notte, e ricordo anche che da un
momento all’altro, così, inaspettatamente, i singhiozzi erano svaniti,
lasciando spazio a lunghi silenzi che io mi aspettavo riempisse con le lacrime,
ma che questo non accadeva.
Non sapevo cosa potevo fare
da sola, dopotutto quando quel casino stava succedendo
avevo solo quindici anni; per questo ero ricorsa all’aiuto di mamma e papà.
Dopo quel breve tuffo nel
passato, Alice mi sorprese con una delle sue esternazioni d’affetto.
“Ellie, lo sai, ti voglio
bene e farò tutto quello che è in mio potere perché tu sia felice e perché tu
non debba cadere in fallo come ho fatto io in passato.”
Non ero
una che amava esternare l’amore che provava per la propria famiglia, ma quella
frase, detta in quel momento mi aveva toccato particolarmente, mi fece
abbracciare di slancio la mia sorellona, che impreparata mi accolse tra le sue
braccia con un sorriso, per poi ricambiare la stretta.
“Comunque,
se volevi uscire con Nick, bastava che me lo dicessi.
Ti avrei organizzato io un appuntamento come si deve.”
Mi staccai di scatto da lei, rossa in viso – cosa che a lei non sfuggì – e la
mandai a cagare con la mia solita finezza.
Ridemmo insieme e dopo poco
riprendemmo il tragitto verso casa.
Una volta arrivata, salutai
alla svelta i miei e corsi in camera. Mi buttai sul letto e iniziai a elaborare
quello che era successo quella mattina.
Era successo davvero: avevo baciato Nicholas Moore.
No, non era andata così: lui aveva baciato me.. e io
avevo ricambiato.
Lo volevo, era inutile cercare di
mentire ancora a me stessa. Non potevo farla ad altri che a me stessa negando l'evidenza.
Istintivamente passai la lingua sulle labbra e mi
soffermai ad assaporarne il sapore. Lo sentivo ancora. Chiusi gli occhi e rivissi
la scena.
Mi sfregai il volto incredula e
sfinita. Avevo baciato Nick e mi era persino piaciuto.
Non c'era niente di giusto in quello. Come poteva
esserlo, se tutto quello che facevamo era
punzecchiarci, discutere, punzecchiarci di nuovo e poi discutere ancora?!
Non potevo venirne a capo indenne. Allora forse
l'unica cosa che potevo fare era parlarne con qualcuno. Ma
per il momento non volevo più pensarci. Spensi il telefono e mi preparai a
passare una domenica indisturbata a casa con la mia famiglia.
Avrei cercato di migliorare la situazione con mamma e
poi avrei pensato anche a Nick. Anche lì, come avrei spiegato a mia madre che
avevamo deciso di sentirci io e lui?
***
“Papà, scotta!”
Mi riscossi dai miei pensieri, sentendo l’urlo di
Lily che si girò di scatto, guardandomi leggermente spaventata.
“Oddio, scusami piccola. Il papà è
poco attento stamattina.”
I suoi occhioni mi guardarono a lungo, prima di
salire con i piedini sul suo letto e abbracciarmi.
Le sorrisi tra i capelli, lasciando andare il phon
sul copriletto colorato.
“Papà sei triste?”
Tutt’altro. Stavo ancora pensando al
risveglio di poche ore prima, al discorso con Elena e a quei baci rubati che mi
avevano fatto ricordare troppe cose a lungo dimenticate. Ero euforico, ma anche
troppo pensieroso.
Ed ora?
Cosa sarebbe accaduto tra me ed Elena?
Ci saremmo iniziati a conoscere e ad
uscire insieme come una coppia?
Dio, che confusione.
La verità era che mi spaventava da morire iniziare
qualcosa di profondo e serio con qualcuno, dopo Madeline.
Era stato semplice lasciarsi andare, andando avanti con il cuore e spegnendo la ragione. Ma dopo
che Elena era andata via con Alice, avevo ricominciato ad
usare la razionalità per risolvere i mille dubbi che attanagliavano la mia
mente.
“No, tesoro. Il papà è solo pensieroso, tranquilla.
Dai, scendi che finisco di asciugarti i capelli.”
Lei si inginocchiò sul
letto, aggrappandosi alla mia maglietta.
“Ti voglio tanto tanto bene,
papà.”
Sorrisi, stringendola a me. “Anche io,
piccola mia.”
Passammo il resto del pomeriggio al parco, scherzando
e giocando come eravamo soliti fare in primavera.
Lily incontrò anche Lisa, una sua amica dell’asilo, e
si misero a giocare beatamente sotto i miei occhi e quelli di Richard, il padre
della bambina.
L’uomo mi parlò un po’ del suo lavoro di benzinaio,
dicendo che era bruttissimo passare tanto tempo fuori casa
durante il giorno, perdendosi la crescita dei suoi tre figli. A volte mi
guardava sorridendo, come se gli facessi tenerezza e infatti
mi disse poco dopo che gli ricordavo lui da giovane.
Il suo primo figlio, l’aveva avuto più
o meno alla mia età.
“Non si è mai troppo giovani o troppo vecchi per fare
i genitori.” Proseguì malinconico. “O si è pronti o non lo si
è. Nonostante i miei primi due figli sono stati cercati, Lisa è scesa dal cielo,
stupendo entrambi. Sai, io e Maggie, abbiamo quasi
cinquant’anni… Eppure la piccola sta crescendo meglio dei suoi fratelli. Siamo
più affaticati di una volta, ma abbiamo l’esperienza dalla nostra. Essere padri
è un dono e non è così scontato che tutti lo diventino, al
giorno d’oggi.”
Rimasi stupito da quelle parole, anche quando ripresi Lily per mano, ritornando a casa.
Essere padri è davvero un dono; Richard aveva
ragione.
Vedere crescere sotto ai propri
occhi un essere umano che fa parte di te – che lo farà per sempre – è qualcosa
che lascia senza parole.
Quel piccolo scricciolo vede solo te; sei il suo
centro, il suo punto di riferimento. Daresti la vita
per lei, ed è così dannatamente vero.
Quando ero solamente Nicholas Moore, l’ex campione
dei Lions, un discorso simile mi avrebbe fatto ridere a crepapelle, dichiarando
apertamente sciocco, chiunque la pensasse a quel modo.
Dare la vita per un bambino?
Rischiare di perdere l’unica vita che ci viene donata per qualcun altro?
Nemmeno per Madeline l’avrei fatto, nonostante l’amassi da impazzire.
La vita non è un film, non esistono guerrieri
valorosi che lottano per la donzella di turno.
Non si rischia la vita a caso e non si è così
impavidi come la gente spera di diventare in futuro.
Ognuno è fondamentalmente egoista, questa è la
realtà.
Eppure per mia figlia, per quella piccola peste,
avrei dato via tutto; completamente.
Scossi la testa, aprendo la porta di casa.
Sono sentimenti che capisci solo dopo e con il tempo,
purtroppo.
Non avrei mai potuto affrontare un discorso simile né
con Logan né con Elena, semplicemente perché non avrebbero capito.
Non che fossero stupidi – beh, Logan lo era - ma non
potevano sapere cosa si prova ad avere tra le mani l’intera vita di una
persona. Non potevano ancora capire cosa significasse passare notti insonni,
perché si ha paura del mondo e delle sue cattiverie.
Non potevano ancora capire come fosse difficile
garantire la felicità in questo pianeta così controverso e ricco di sofferenze ad una piccola scricciola di soli quattro anni.
Ecco, ero pure diventato paranoico.
Essere troppo pensieroso, mi portava ad analizzare
meticolosamente tutta la mia vita, finendo per rendermi ansioso e terribilmente
noioso.
Afferrai una mela dal portafrutta, ritornando in
sala.
“Lily?”
La trovai sulla poltrona, con un orsacchiotto tra le
braccia e il capo leggermente chino.
Si era addormentata.
I miei occhi si assottigliarono a causa del sorriso
che spuntò sul mio viso.
Era così dolce e bella.
Avrei lottato tutta la vita per
renderla felice; questo era fuori discussione.
Me la presi tra le braccia e
mi sdraiai sul divano mentre lei si accoccolò sul mio petto e ricominciò a
dormire.
Avevo il mondo tra le braccia ed era così fragile e
caldo, da rendermi davvero un eroe alla ricerca della propria gloria.
Le baciai il capo e presi il telefono sul tavolino
basso al mio fianco, cercando in rubrica il numero di Tom.
“Hey, Nick!”
“Ciao, Tom. Come butta, amico?”
Avevo bisogno di un parere saggio e soprattutto
ponderato, in quel momento.
L’unico che conoscessi con una pazienza infinita e
una buona parola per tutti era proprio lui, il terzo
del nostro scombinato trio.
“Bene, dai. Mi sono appena ripreso da una febbre da
cavallo… Odio starmene a casa a fare un cazzo. Mi
rende nervoso, lo sai! Te, invece? Logan non la finisce più di raccontarmi che
ti sei fidanzato.”
Te pareva. Quando mai Logan, sapeva
farsi gli affari suoi.
“Non mi sono fidanzato. Sai com’è
Log.”
Tom rise, facendomi sorridere di nuovo. “Certo che lo
so. Per questo volevo chiedertelo di persona.. Allora?
Mi hai chiamato per questo, vero?”
Dovevano farlo santo quel ragazzo. Ci
sapeva davvero fare con le persone.
“Mi conosci troppo bene,
amico. Senti, c’è anche Logan lì?”
“Bingo, è sempre qua, lo sai. Lo
mando fuori?”
Cercai di non ridere troppo, per non svegliare Lily,
ma l’immagine di Logan cacciato via come un cane bastonato, mi fece sganasciare
tra me e me.
“Ma va, tanto ormai.. Ci
siamo rovinati dal momento stesso in cui l’abbiamo conosciuto!”
Tom rise, suscitando sicuramente la curiosità dell’interessato.
“Comunque, ho un po’ di pensieri che non mi lasciano
tranquillo, soprattutto dopo aver baciato Elena.”
“Elena è la famosa “fidanzata”, immagino. Lei ha ricambiato il bacio?”
Stavo per rispondergli con un sì trasognante, quando
sentii un rumore fastidioso che mi fece allontanare il cellulare dall’orecchio.
“Ma che caz-“
“We, brutto coglione, adesso mi neghi anche il
gossip? Io ti ho portato la pollastra, te l’ho fatta pure lucidare da Ash e tu mi NEGHI i dettagli più succulenti e porno?”
Eccolo, non poteva di certo mancare.
“Te l’avrei detto, Logan.
Mica è colpa mia se tu sei il coglione della compagnia e Tom è quello saggio.”
“Oh.. Il mio povero cuore. Tom-Tom, hai sentito lo stronzo? Mi rinnega come migliore amico.”
Sorrisi, muovendo la testa con espressione fintamente
disperata.
“Visto che Logan Keane è un
gentiluomo, ti perdona. Dai, bello, stasera pizza e birra da me e non ci sono
storie! Porti le tue chiappe da Don Giovanni qui e mi racconti con quanti
affondi di lingua hai conquistato la ragazza.”
Logan sarebbe
mai cresciuto?
Tutto sommato, nonostante fosse un cretino allupato il 99% delle volte, gli volevo davvero un gran
bene.
Lungi da me dirglielo apertamente, ovviamente.
“Lily domani ha l’asilo e
non posso portarla dai miei, visto che stasera sono ad una cena di
beneficienza. Se la portassi con me?”
“Ovvio che sì, man. Voglio spupazzarmi la tua
principessa.. E’ da tanto che non vediamo Lily, vero Tom-Tom? Andata. A
stasera, pisellone nostro!”
Scoppiai definitivamente a ridere, chiudendo la
chiamata.
Sarebbe stata una lunga lunghissima cena.
***
Avevo chiarito con mia sorella la versione da dare ai
nostri genitori: eravamo rimaste da Miky, perché aveva il
film che ci eravamo ripromesse di vedere tutte
insieme. Questo era il nostro accordo segreto.
Papà sembrava essere più rilassato, vedendo che il
pomeriggio, mamma mi aveva chiesto se volessi aiutarla a preparare la pizza. Il
rito della cena domenicale era stato rispettato: insieme preparavamo quel
piatto italiano che mia mamma amava tanto. Diceva
sempre che si era innamorata di papà, grazie alle sue doti culinarie, oltre che
per il suo fascino italiano.
Da quando eravamo piccole io e mia sorella aiutavamo
la mamma che ormai aveva imparato a memoria la
ricetta. La osservavamo impastare farina, lievito, olio, sale, acqua e latte
per ottenere una palla di pasta che poi lievitava sotto un leggero tovagliolo.
Adesso la situazione era un po’ diversa: mamma
preparava la pasta, mia sorella sminuzzava velocemente i diversi condimenti per
le pizze e io – essendo poco buona ai fornelli –
oliavo le teglie.
La cena era passata tranquilla e dopo aver sparecchiato avevo aiutato mamma a lavare i piatti.
“Come è andato
l’appuntamento di Ashley?”
“Bene. Logan è simpatico.”
“Si è fermata anche lei a dormire dall’amica di tua
sorella?”
“No, l’abbiamo riaccompagnata a casa che c’erano sua
zia e sua nonna ad aspettarla e poi siamo andate da Miky.”
“E come mai non siete tornate a
casa? Era più vicino da casa di
Ashley.” Ecco mia mamma e le sue mezze insinuazioni.
Dovevo rimanere tranquilla oppure la mia copertura sarebbe saltata e non volevo
mettere nei casini anche Alice che mi aveva gentilmente salvato.
“Era abbastanza presto e Alice mi ha detto che Miky
ci aveva invitate da lei per vedere un film e che
potevamo rimanere da lei a dormire.”
“Che film avete visto?”
“Una notte da Leoni II.” Anche
se non era vero, era il film che si avvicinava di più alla verità. Io ubriaca
che non mi ricordavo quasi nulla della sera precedente. In più, dovevo avvisare
velocemente Alice, perché non ero sicura che lei
avesse visto quel film.
Molto probabilmente mamma avrebbe chiesto anche a lei della serata.
Finito di sistemare la cucina, con la scusa di
studiare, mi rinchiusi nella mia stanza; ma prima feci una capatina in camera
di mia sorella.
“Al, ho detto a mamma che
abbiamo visto ‘Una notte da leoni II’. Ok?”
“Merda, io non l’ho visto
quel film.”
“E che ne sapevo io?!Cazzo, occhio a non farci scoprire.”
“Non potevi dire una delle solite commedie romantiche?
Almeno so di che parlano.”
“Al, io non guardo quelle
schifezze.. è stato il secondo titolo che mi è venuto in mente. Il primo era Shrek e non mi sembrava il caso.”
“Si, in effetti. Va beh, mi
leggerò il riassunto e delle recensioni online.”
“Grazie ancora, Al. Vado a letto che sono stanca.”
“Fatto faville con Nick ieri
sera?” Mi prese in giro.
“Fuck, Alice.” Chiusi la porta alle mie spalle e la sentii ridere.
Sorridendo mi sdraiai sul mio letto e riaccesi il
cellulare per puntare la sveglia.
Dopo pochi secondi fui tempestata di chiamate perse e
di messaggi da parte di Ash che mi chiedevano se dovesse preoccuparsi, darmi
per dispersa oppure se doveva portarmi dei fiori al cimitero.
Non avevo voglia di risponderle in quel momento così,
puntai la sveglia e, mi buttai a peso morto sul letto.
***
“Dov’è la più gnocca di tutte?”
Lily scoppiò a ridere mentre varcavamo insieme la
porta dell’appartamento di Logan.
“Zio Log!”
Lui la prese dalle mie braccia e se la portò sul
divano, saltandoci sopra.
“Ma come mai tu diventi
sempre più bella e il tuo papino sempre più… moscio?”
Lo fulminai, togliendomi il giubbino in jeans e
appoggiandolo sul muretto che separava la cucina dal salotto.
“Ciao, Nick!”
Tom arrivò subito dopo, salutandomi con una pacca.
“We, Tom. Sei ancora vivo allora. Come
sta tua sorella?”
Mentre il mio amico mi spiegava entusiasta
l’avanzamento della gravidanza, Il mio sguardo vagava su Lily che tirava i
capelli a Logan che la minacciava affettuosamente.
“Vero che lo zio è troppo bello?”
Lily rise, guardandomi prima di rispondergli.
Le sorrisi, grato del nostro
legame così forte e solido.
“Sì, però il mio papà lo è di più.”
Logan sbarrò gli occhi, pugnalandosi al cuore con due
mani.
“Oddio.. No, Lily,
principessa dello zio.. Ti prego, non mi fare questo!”
Poi scoppiò a ridere, baciandola sui capelli e
facendola stare in spalletta.
“Sìììì! Zio come fa il camion del
nonno?”
Mentre Logan saltellava e si muoveva goffamente per
la casa – simulando davvero la vecchia carcassa che possedevamo nella nostra
ditta – facendomi ridere e poi sedere sul divano, seguito da Tom.
“Sai che ti vedo bene?”
Sorrisi, sfregandomi le mani dalle cosce alle
ginocchia. “Dici?”
“Altro che! Sei raggiante…”
Mi fece l’occhiolino e io,
prima titubante e poi felice, mi sciolsi un po’.
“Un po’, lo ammetto. Mi sento strano, non so che
dirti. Oggi sono felice.”
Tom mi diede un buffetto sul ginocchio destro e mi
mise un braccio intorno alle spalle. “È questo il Nick
che conosco; il coglione felice ed esaltato che pensa un po’ a se stesso, oltre
a Lily.”
Ci scambiammo uno sguardo d’intesa, interrotti dal
fattorino delle pizze.
“Andiamo noi!” Urlarono Logan e Lily, seguendoci poi
in cucina con le pizze fumanti.
“Lily, non bere troppa Coca Cola. Lo sai che ti fa
venire il mal di pancia.”
Io, seduto accanto a mia figlia e di fronte ai miei
amici, la guardai di traverso, rimproverandola.
“Scusa, papy…”
Tom si alzò, prendendo da frigorifero la bottiglia di
tè.
“E se invece della Coca Cola, ti offrissimo un bel
bicchiere grande grande
di Tè alla pesca? Così sembrerà che bevi anche tu la birra come noi.”
Il viso della bambina si illuminò
e mosse la testa su e giù con enfasi, entusiasta della nuova proposta.
Tom sapeva sempre toccare i punti giusti.
“Grazie.” Mimai e lui scrollò le spalle, non curante.
“Allora, man, non ti preoccupare che più tardi ci
darai le novelle che attendiamo.” Logan mi guardò con finto fare minaccioso e io alzai gli occhi, senza potermi trattenere.
Mangiammo scherzando e ridendo come cretini.
Ovviamente, sia Logan che Tom sapevano fino a che
punto potevano spingersi, sia con i commenti e con le parolacce. Con Lily
sapevano comportarsi da veri gentiluomini, anche se – soprattutto per Logan –
all’inizio non fu facile. Ma la mia piccola era
talmente dolce e tenera, che aveva conquistato i cuori di quei due cretini, sin
dal primo momento.
Quattro anni
prima
“È molto
piccola.”
Erano passate
due settimane, ormai. Mad era morta, Lily ed io avevamo appena cominciato a
stare bene insieme e mi sembrava così strano vedere Logan chinato sulla culla
di una neonata.
Era lui il
poppante della compagnia, si sapeva.
“Ed è
bellissima, aggiungerei.” Tom, come al solito, sapeva
sempre cosa dire.
Le accarezzò
con un dito la guancia rossa per il pianto di poco prima.
Piangeva ancora
e urlava ancor di più, ma adesso entrambi sapevamo che non eravamo nemici. Io e
lei eravamo la nostra, unica famiglia.
“Sarebbe bello
dirvi che sono felice, ma sapete che sto di merda. Però…”
Logan stava
sorridendo con il cuore, lo vedevo anche io che ero
sempre stato uno allergico a quelle cose. Sorrideva e la piccola ricambiava il
suo sorriso, tendendo le piccole manine verso di lui.
“Prendila in
braccio.”
Logan mi fissò, allibito, intimorito, felice.
"Sei sicuro?"
Annuii e le sue mani si persero nella piccola culla
bianca. La prese lentamente tra le braccia, continuando a sorridere come uno
scemo.
"Ciao, piccola."
Lei sembrò capirlo, perché emise un vagito acuto e
forte.
"Si, lo so, lo so. Sono
troppo bello per te..." Scoppiò così a ridere,
cominciando a camminare per la stanzetta rosa.
"Ha il colore
dei tuoi occhi, ma ha il suo sguardo. Devi proteggerla, amico;
adesso sei la sua unica famiglia. E ti ama, guarda come ti ama.
Vero, Lilian?" Io socchiusi gli occhi,
colpevole di aver passato le ultime settimane a fare il ragazzino viziato e
incazzato con il mondo.
Aveva bisogno di me; la mia piccola contava su di me.
Quel giorno scoprii il cuore grande di Logan e la sua
infinta maturità, nascosta dalla sua finta spensieratezza.
“Hey, amico?”
Mi riscossi dai miei pensieri, aiutando Tom a
sparecchiare.
“Tutto bene. Mi sono solo perso nei
ricordi.”
Logan arrivò alle mie spalle, spaventandomi e
guadagnandosi una sberla sul fianco.
“Cretino.”
“Ti amo anche io, passerotto.”
Prima di poterlo mandare definitivamente a quel
paese, il suo cellulare iniziò a diffondere le note di Eye of the Tiger,
salvandolo in corner.
“Oh, è Ash!”
Non ci diede neanche il tempo di fare qualche
battutina stupida, volatilizzandosi all’istante.
Mi voltai a guardare Tom che continuava a lavare i
bicchieri con la mia medesima espressione.
“Non me lo chiedere, amico. Stavolta non so dirti
quanto durerà... Sembra preso.”
Mi grattai il capo, avvicinandomi a lui per rilavare
lo strofinaccio.
“Di solito non si fa
problemi a rispondere in nostra presenza. Faceva solo così con una persona…Te
la ricordi?”
Abbassai lo sguardo, incrociando le braccia.
“Matilde Crawford.”
“Già.”
Ci scambiammo un altro sguardo eloquente e mollando
tutto in cucina, ci dirigemmo verso la camera di Logan, alla fine del
corridoio.
Lily mollò le sue barbie sul tavolo per seguirci
curiosa, come se stessimo tutti partecipando a nascondino.
“Papà, perché stiamo dietro la porta?”
Mi misi in ginocchio, per far tacere Lily, mentre Tom
aprì un po’ di più la porta per sentire meglio.
“Shhh, piccola. Dobbiamo giocare a nascondino con lo
zio Logan. Ora torna di là, arriviamo subito.”
Lei mi guardò divertita, lasciandoci così soli.
Di solito faceva i capricci quando si sentiva esclusa
da qualsiasi tipo di gioco, ma evidentemente la situazione non era poi così tanto interessante.
“Certo, Ash. Verrei a prenderti anche adesso, ma sono con i ragazzi
ed è da una vita che non stiamo un po’ insieme.”
“Sì, lo sai che
sono insaziabile.”
“Non è vero! So
essere anche romantico! Ecco.. Ok, trombiamo?”
“Sei bella
quando ridi, piccola.. Forse dovrei fare di più il
coglione.”
“Ok, dai. A
domani e sogni porn.. cof cof - d’oro.”
“Sei beeeeella quando ridi,
piccola.
Pucci-pucci..” Scoppiai a ridere, aprendo la porta a e
sbattendo le ciglia freneticamente.
Logan rimase a bocca aperta, con ancora il cellulare
in mano.
Tom mi seguì dentro, ridendo.
“Siete due coglioni.”
Ma sorrise, venendoci in contro.
“E tu un romanticone..
Pucci-pucci, passi a prendermi stasera?” Cominciai a fargli dei pizzicotti
sulle guance, seguito subito da Tom.
Prenderlo in giro era infinitamente divertente.
“Ma andatevene a fanculo,
brutti idioti! Sono tenero, perché lei mi fa rimbambire. E
poi parli proprio tu, Nick caro.”
Bastò quella frase a farmi smettere, facendo ridere gli altri due.
Ritornammo in sala e Logan riprese Lily tra le
braccia, facendola addormentare poco dopo.
“Ah! Se Lily fosse stata un po’ più grande, avrei
avuto occhi solo per lei.”
Logan le baciò i capelli, prima di rilassarsi sul
divano.
Gli sedetti di fronte, sul tavolino basso,
sorseggiando la mia birra. “A chi lo dici, sta crescendo così velocemente.”
Tom le accarezzò un braccio, appoggiando poi i piedi
di fronte a sé.
“Beh, ma in fondo non siamo qui per parlare della
dolce Lily, vero Log?”
Ed eccoli che entrambi fissarono il loro sguardo su
di me, facendomi rabbrividire.
“Esattamente, Tom-Tom. Come bacia la iena? Limonate duro?
Dimmi che te le ha fatte toccare!”
Mi portai una mano tra i capelli, combattuto.
“Bacia bene, non abbiamo limonato
duro e stavo quasi per farlo ma sono stato fermato.”
Alzai gli occhi dalla bottiglia e trovai Logan a
bocca aperta e Tom con gli occhi quasi fuori dalle orbite.
“Vi ho fregato, eh?”
Tom, prese un cuscino e me lo gettò addosso, mentre
il più scemo dei tre, mi mise quasi un piede in bocca.
Ridere insieme a loro era
sempre così appagante, unico, bello.
“Ti piace, eh?”
Ci fermammo tutti a quella domanda.
“Forse… Ok, va bene, stronzi. Non guardatemi così! Mi
piace, cazzo! Mi piace molto. È decisamente diversa da
tutte quelle che ho incontrato finora, però non voglio illudere nessuno dei
due. Non sarà mai Mad.”
Entrambi abbassarono lo sguardo, perché in fondo
anche loro la pensavano allo stesso modo.
Madeline era morta da anni, ma nonostante la felicità
e l’interesse nuovo per Elena, dovevo cominciare a capire se ero veramente
pronto ad iniziare un qualcosa di più profondo e
duraturo.
“Mad era e sarà sempre la madre di tua figlia, Nick.
Il sentimento che ti lega a lei è indistruttibile e durerà per tutta la vita. Però, amico, perché non ti lasci andare con Elena? Segui
l’istinto, in fondo se lei ti ha ricambiato, vuol dire che ci sono dei buoni
presupposti, no? Log, che dici?”
Logan che aveva incominciato a coccolare Lily nel
sonno, tornò a guardarmi con espressione seria e composta.
Erano quelli i momenti in cui Logan si scopriva
davvero.
“Ti piace, giusto? Era da una vita che non dicevi una
cosa simile, quindi direi che sei pronto a riprovarci.
Non tradirai Mad, se vuoi essere felice, innamorandoti di nuovo. Io sono un
cazzone, lo sai, ma se almeno una volta al giorno ti
capita di pensarla e in quel momento Mad non è nei tuoi pensieri.. Beh,
lasciati andare. Non dico che vi sposerete e farete tanti figli, ma almeno
sentirai di nuovo qualcosa battere. E non intendo l’arnese nelle mutande,
amico!”
Sorridemmo tutti, mentre il più saggio di noi, mi
posò una mano sul braccio, avvicinandosi a me.
“Quello che ti vogliamo dire è che devi lasciarti un
po’ andare. Lily non ti giudicherà se vuoi essere felice, capito? Vacci piano, vivi queste nuove sensazioni che ti fanno stare bene e se
lei ti prende ancora di più, nulla ti impedisce di ripensare a un futuro
insieme ad una persona. Che sia un mese, un anno o una vita, non importa. Il
sesso non è la soluzione, come hai sempre fatto negli ultimi anni… Per guarire,
devi innamorarti di nuovo della vita e delle persone. Che Elena sia solo l’incipit, non può che farti bene.”
Non dovevo poi meravigliarmi se, dopo tanti anni,
continuavo a uscire con quei due. Erano come dei fratelli ormai e mi
conoscevano davvero bene.
Quelle loro parole, così profonde e sentite, erano
riuscite ad arrivare fino in fondo al problema.
Sapevo che avevano ragione e avevo sperato
ardentemente nella loro approvazione per ciò che stavo iniziando a sentire e
che ancora non sapevo identificare.
“Quindi mi date la vostra
benedizione?”
“Solo se ha una terza abbondante.”
E con le risate dei miei amici, mi resi conto di
quante cose mi ero perso negli ultimi anni.
Ce l’avrei fatta.
Di nuovo, ma forse meno solo di prima.
***
La sveglia del lunedì mattina era sempre traumatica, ma quella mattina in particolare; potevo quasi
paragonarla al risveglio post sbornia. Non avevo dormito molto; avevo passato
la notte ad arrovellarmi il cervello con domande su domande e possibili
risposte su quello che dovevo fare.
Se non altro potevo ritenermi soddisfatta di come
procedevano le cose a casa. Mamma aveva ripreso a parlarmi e anche se solo con
poche frasi, erano pur sempre dei passi avanti. Speravo che quella situazione
passasse in fretta, solo che io non stavo di certo migliorando la situazione.
Dovevo dirle di Nick? O non dovevo?
Il mio cervello aveva passato ore ed
ore a elaborare le possibili conseguenze di ognuna delle due scelte, ma
comunque non ero riuscita a venirne a capo.
Mi alzai di malavoglia e assonnata, tanto che mi imbambolai facendo colazione.
“Ehi, bella addormentata, ma lo
sai che ore sono? Sono le sette e mezza.” Mi avvisò mio papà versandosi una tazza fumante di
caffè.
“Oh cazzo! Non riuscirò mai a prendere il pullman!” Scattai dalla sedia.
“Non correre, Elle. Fai con calma. Oggi prendi pure la macchina.”
“Davvero papà?”
“Sì. Porto io Alice, però tu poi la vai a prendere.”
Gli misi le braccia al collo per la gratitudine e gli
scoccai un bacio sulla guancia.
“Grazie!”
Rinvigorita da quella notizia
corsi al piano di sopra a prepararmi. Sapere di non dover passare mezz’ora in
pullman sommersa dal tanfo di certi ragazzi che puzzavano persino di prima
mattina era un vero toccasana. Dopo una doccia rigenerante preparai lo zaino e
con calma guidai fino a scuola.
Trovai parcheggio con facilità e mi misi ad aspettare
Ashley che di lì a poco sarebbe arrivata col 24.
“Chi non muore si rivede.” Mi diede il buongiorno con
il suo solito sorriso, che finora non avevo visto scalfito da nulla. Nemmeno
dalle insufficienze in fisica che ci tiravamo dietro da un paio d’anni.
“Già. Scusa Ash, ma ieri non
ero in vena di parlare con nessuno.”
“Ho immaginato, visto che avevi il telefono spento.
Prima ovviamente ho supposto che tua mamma ti avesse
beccato e che quindi ti avrei rivisto solo in foto.”
“Solo in foto?”
“Sì, contando anche quella sulla tua lapide.”
“Cretina. Comunque le cose con mamma si stanno
appianando. Ieri sera abbiamo fatto la pizza e mi ha fatto un paio di domande.”
“Non sospetta niente?”
“Non lo so. Sai che lei è peggio
di Veronica Mars. Secondo me farà un paio di domande ad Alice, per confermare
la mia versione.”
“Speriamo in bene.”
“Esattamente.”
“Ma non deviare ulteriormente l’argomento!!”
“…”
“Il nome Nicholas Moore ti dice niente? Non puoi
pensare di salvarti dal mio interrogatorio. Non dopo che l’ultimo ricordo che
ho di te è di lui che ti porta in braccio fuori dal locale.”
“Cazzo.. ero così messa
male?”
“Non male. Di più! Ti sei persino addormentata sui divanetti, teneramente
appoggiata al suo petto.” Congiunse le mani e terminò
la frase con sguardo trasognato.
“Ash, ero ubriaca non era una cosa romantica.”
“Per lui lo era. Sono pronta a scommetterci.
Sorrideva osservandoti. E poi chissà che avete fatto quando siete usciti fuori dal locale. Non mi aspettavo che tornasse indietro
anche lui.”
“Ecco.. ehm..”
“Ellie.. cosa hai
combinato?”
“Niente.”
“Elena Rinaldi; Micheal sta per arrivare. Non
costringermi a salutarlo.”
“Ci siamo baciati, va bene?!”
“Siiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!” Si mise a urlare per
il cortile, così forte che un gruppetto di ragazzi ci oltrepassò scuotendo la
testa.
“Perché metti sempre tutto questo entusiasmo quando
ti dico le cose? Come quando avevo baciato Harry alla tua festa. Anche la
vicina l’ha saputo per quanto urlavi.”
“Perché sono eventi più unici che rari, capisci? Tu
che ti interessi ad un ragazzo è come l’elezione del
papa. Una cosa epocale e da riportare negli annali
della storia.”
“Stai scherzando, vero?”
“No! Sono assolutamente seria. Non ti sento mai
parlare di qualche bel giovane fusto, a meno che non
si tratti del nuovo acquisto dei Red Sox. Altrimenti tu e i maschi siete su
pianeti separati.”
“Ash, se non la smetti non
ti racconto più niente.” Un sorrisetto maligno comparve sulle mie labbra,che
venne alimentato dal suon della campanella. Volevo tenerla un po’ sulle spine,
sapendo che l’avrei fatta impazzire.
“Non pensare di scamparla. In pausa pranzo mi
racconterai tutto! E voglio anche i dettagli.”
_________________________
Buona seeeeera!
Ovviamente, as usual, ci scusiamo per il mese di
ritardo ç_ç È tutta colpa di quella rimba (sì, dai, concediamoci questo gergo
un po’ scurrile) della Jess che non riesce mai ad
essere puntuale!
Queste vacanze di natale ci
serviranno per riposare e – magari,eh - ad intensificare la pubblicazione dei
capitoli.
Che ne pensate?
Ci odiate un po’ di meno, se vi consegniamo Nick,
Logan e Tom nudi? xD
Scusateci ancora e attendiamo davvero tanto i vostri
pareri *-*
Grazie infinite a tutte voi!
La vostra partecipazione rende possibile tutto
questo.
Un abbraccione da Giuliet (La Donna super Puntuale)
& Jess(la
Rimba) <3
Ero irrequieta. Talmente tanto che quando Ash si
sedette davanti a me, in uno dei numerosi tavoli in cortile, pensò che volessi
scappare.
“Non ci pensare nemmeno.”
“A cosa?” fu la mia spontanea domanda.
“So cosa stai cercando di fare: vuoi scappare, ma non
te lo permetterò.”
“Non pensavo di scappare. Sono solamente nervosa.”
“E ti stavi agitando come un’anguilla? E per cosa?”
“Per tutto. Sai come sono: estremamente pensierosa.”
“I know, baby. Quando tu pensi,
dovrebbero mettere in allarme la nazione; sei pericolosa.”
“Grazie, Ash. È confortante sapere che tu abbia una
così alta opinione di me.”
“Per questo lo specifico ogni volta.” Iniziò a
sgranocchiare le sue foglie d’insalata.
“Ma come fai a mangiare quella roba? È acqua e
plastica verde.”
“Ellie, se tu hai un contratto di matrimonio con il
signor McDonald grazie alla tua alta fedeltà, non vuol dire che dobbiamo morire
tutti per cattiva alimentazione. È salutare; dovresti provare.”
“Magari un’altra volta.” Risposi addentando il mio cheeseburger.
“Comunque! Non cercare di sviare l’argomento.”
“D’accordo. Che cosa vuoi sapere?”
“Tutto.”
“Ok. Allora iniziamo partendo dal presupposto che ero
davvero ubriaca.”
“Sì, questo lo ricordo.”
“Ecco, io un po’ meno.” La mia risposta la fece ridere
di gusto, segno che lei sapeva molto più di me.
Non mi piaceva essere al centro dell’attenzione per
queste cose; il gossip non faceva per me. Il contrario, invece, era quando si
trattava del baseball. Quello era il mio habitat naturale, ero a mio agio in
qualunque situazione ed ero io la prima a farmi avanti.
“Comunque, mi ricordo la serata a pezzi. All’inizio
ricordavo solo poche cose, poi Nick mi ha… come dire… aiutata a ricordare.”
“Aiutata a ricordare?” ripeté facendo cadere la
forchetta.
“Sì, poi ti spiego. Andiamo con ordine. Dunque,
dicevo: ricordavo la serata a pezzi e il mio ultimo ricordo era di me che
baciavo Bill. Al mio risveglio mi sono persino spaventata, perché mi trovavo in
una stanza che non riconoscevo e, in base all’ultimo sprazzo di sanità mentale,
c’entrava uno sconosciuto. Mi ero anche preoccupata che mi aveste lasciato
dormire da lui.”
A quella confessione rise di gusto. “No baby, vuoi
sapere cosa è successo dopo che hai baciato Bill?”
“No. Cioè sì, tanto ormai siamo in ballo, no? Tanto
vale fare le cose per bene.”
“Praticamente, mentre giocavi al frullatore con Bill,
e io vi osservavo affascinata, è arrivato Nick al bancone e ha pagato la sua
birra, anche se non doveva perché gliel’aveva offerta l’aitante cameriere.”
“Ash, smettila di parlare come se fosse il riassunto
di una telenovela e arriva al dunque.”
Sbuffò, ma subito dopo riprese: “Ha pagato,
interrompendovi. Tu quando l’hai visto ti sei pietrificata per un attimo e
quando lui ormai era alla porta hai iniziato a darti dell’imbecille e gli sei
praticamente corsa dietro. Poi cosa sia successo fuori non te lo so dire,
perché io sono rimasta dentro a dare delucidazioni a Bill sulla situazione.”
“E cosa gli avresti detto?”
“Che avevi baciato il ragazzo sbagliato, senza offesa.
Ma credo che se la sia presa all’inizio, perché non mi ha guardato in faccia
per un po’, finché poi Log non ha iniziato a fare il cretino e si è messo lui a
servire i clienti.”
“Allora riconosci che Log è un cretino.”
“Ellie. Sai cosa intendo. E poi anche se fosse?
Lascia gestire la sua demenza a me.”
“Ti ha riportata a casa lui?”
“Sì, ovviamente. Visto che Alice era bloccata
dall’altra parte di Boston e Nick aveva portato te a casa sua.”
“E ha allungato le mani?”
“Incredibilmente no. È stato al suo posto anche se in
macchina ci siamo dati tanti baci della buonanotte.” Terminò la sua
affermazione con fare trasognato e mordicchiandosi il labbro, come per
risentire il sapore di quei momenti. Sapevo che voleva dire cercare il sapore
di un bacio desiderato. Lo avevo fatto persino io la mattina precedente. “Ma
non cercare di distrarmi dalla mia sessione di gossip! Voglio sapere che è
successo. Sia quando eravate fuori dal locale che la mattina dopo.”
“Di quello che è successo fuori dal locale non mi
ricordavo nulla. Però poi quando Nick mi ha aiutata facendomi rivivere la
situazione, mi sono tornate in mente delle cose.”
“Continua.”
“Fuori dal bar abbiamo parlato. Io devo avergli detto
che non volevo baciare Bill e che non sapevo che mi era preso e piangevo. Lui mi
ha preso il viso tra le mani, mi ha detto di non preoccuparmi e mi ha chiesto
scusa.”
“Ti ha chiesto scusa? E tu piangevi?”
“Colpa dell’alcool. E le sue scuse si riferivano a
quello che stava per fare, ovvero baciarmi.”
Ash emise un gridolino di felicità, come se stesse
aspettando quel momento da una vita.
“Quindi mi stai dicendo che lo hai baciato sabato
sera e poi anche la domenica mattina?” sembrava entusiasmata dalla situazione.
“Già.”
“Evvai! Era ora che ti avvicinassi all’universo
maschile. Iniziavo a pensare che ti saresti fatta suora! E com’è? Bacia bene?”
Attesi qualche istante prima di rispondere: non
sapevo se era il caso di raccontarle tutto, magari Nick voleva che rimanesse
tra noi. Ma confidando nel fatto che i miei segreti erano al sicuro con la mia
migliore amica e che io avevo bisogno della mia fidata consulente, mi lasciai
andare.
“Benissimo Ash! Cazzo, non pensavo che baciare un
ragazzo potesse essere tanto bello.”
“Nicholas ha l’esperienza dalla sua e poi lo vedeva
anche un muro che eravate attratti l’uno dall’altra. Tutto l’insieme ha creato
un bacio bomba!”
“Ho passato il pomeriggio a mordicchiarmi le labbra
per sentire di nuovo il suo sapore.”
“So cosa vuol dire. E poi? Non è successo
nient’altro?”
“Abbiamo litigato.”
“Colpa tua immagino.”
“Ash! Ma tu da che parte stai? E comunque è successo
prima che ci baciassimo.”
“Io sto dalla parte dell’amore e in quel frangente
posso dire che la maggior parte delle volte in cui ci sono delle discussioni è
colpa tua.”
Non sapevo cosa rispondere. Effettivamente aveva
ragione, ma quella discussione non era iniziata per colpa mia; o almeno non del
tutto.
Le raccontai così tutto il resto, dettaglio per
dettaglio. Non dimenticai nemmeno di citare Lily e della strigliata che si era
presa. Ashley era presa dalla mia narrazione e certamente faceva il tifo per la
relazione che poteva nascere tra me il bel Nicholas Moore.
“Beh che aspetti a chiamarlo? Il numero ce l’hai. Non
credi che sia il caso di usarlo?”
“Non ancora.”
“E cosa aspetti? La venuta del Messia?”
“No, cretina. È che non so cosa dirgli.”
“La verità è che hai paura. Ecco perché non l’hai
ancora chiamato. Hai paura che lui ti dica che quello che è successo non
significhi niente e tu ne rimarresti delusa. E per evitare una possibile,
quanto improbabile delusione, stai temporeggiando.”
“Sì, ma Ash lui ha una bambina di quattro anni!”
“E quindi? Non gli è più concesso avere una vita? Non
credo e poi comunque non devi uscire con sua figlia. Devi uscire con lui. Te
l’ho detto: te la stai facendo sotto.”
“E va bene, hai ragione. Ho paura di buttarmi in
qualcosa che non so nemmeno io dove porterà. Lui ha bisogno di una persona
matura, non di un maschiaccio che gioca a baseball e che fa schifo in
biologia.”
“Ma lascia perdere adesso la biologia e lascia
decidere a lui quello di cui ha bisogno o meno. È abbastanza grande per saperlo
da solo, non credi? Se ti ha lasciato il numero vuol dire che ti vuole
risentire e non penso sia per dirti che non ti vuole più rivedere.”
“Quindi dici che lo devo chiamare?”
“Assolutamente sì.”
Quella settimana di maggio era una delle più piene
che potessi mai immaginare. I professori continuavano a dire che per prepararci
agli esami dovevamo fare verifiche senza preavviso e le piazzavano da un giorno
all’altro. Il problema non si sarebbe posto se fossi stata una di quelle che
stavano a casa a studiare tutti i giorni, ma io non ce la facevo. Non che
avessi una repulsione totale per i libri, ma, soprattutto da marzo, adoravo
passare ogni minuto libero a correre al parco, ad organizzare allenamenti extra
con le mie compagne di squadra, oppure andare al campo ad allenarmi da sola per
migliorare la battuta.
Invece, come se fosse tutto un complotto contro di
me, non avevo un attimo di respiro e io e Ash non eravamo riuscite a vederci
nemmeno un pomeriggio.
Ci scambiavamo qualche messaggio disperato la sera e
dato che non ci vedevamo nemmeno durante la pausa pranzo, non ero nemmeno
riuscita a farmi consigliare sul da farsi. Era vero che il lunedì mi aveva
detto che dovevo telefonargli, ma per non distrarmi dallo studio non avevo
agito ed era già giovedì sera.
Dopo la cena, risalii in camera per dare una
rilettura ai teoremi di Rouché-Capelli e qualche altro stupido matematico che
non aveva niente da fare.
Il cellulare iniziò a vibrare: Ashley.
“Hai chiamato il tuo bello?”
“Ciao, migliore amica. È un piacere sentirti, dopo
tanto.”
“Non divagare. L’hai chiamato?”
“No, non ne ho avuto il tempo.”
“Tutte scuse, sei una fifona.”
“Grazie, lo so. Ma questa volta sono seria, non ne ho
avuto il tempo, ho ancora un paio di verifiche prima di poter tornare a
respirare regolarmente, figurati se potevo permettermi di essere distratta da
Nicholas.”
“Ancora? Ma non hanno ancora finito di spremerti? Io
fortunatamente ho fatto oggi l’ultima.”
“Beata te. Io fino a domani sono piena. Ho ancora matematica
e biologia. E non posso proprio prendere un’insufficienza. Ho bisogno di una C
per avere una media della D – con la Becker.”
“Capisco. Dai allora ti perdono e ti farò un regalo
per aver fatto la brava studentessa tutta la settimana.”
“Grazie.” Chissà
che le passava per la mente...
“Prego, baby. Te lo meriti.”
“Addirittura?”
“Sì. E non discutere!”
“D’accordo, non ti arrabbiare! E dimmi.. tu e
l’energumeno vi sentite ancora?”
“L’energumeno ha un nome. Comunque sì, oggi mi ha
portato a pranzo in posto carinissimo. Si chiama ‘Whoopee’ e ha di tutto: io ho preso
un’insalata e lui una cotoletta con patatine.”
“Wow. Davvero interessante, e a che ora avete fatto
il ruttino?”
“Ellie, lasciatelo dire: sei una stronza quando si
tratta di Logan. La cosa non mi fa molto piacere.”
Stavo già ghignando mentalmente, ma la risposta di
Ash, mi zittì. Un lungo silenzio ci separò, finché un mio sbuffo non lo
interruppe. “E va bene. Non lo insulterò più. Ma tu vedi non farti prendere in
giro; non mi va molto a genio quel tipo.”
“Vorrei solo avere la tua approvazione. È importante
per me.”
“Ash, mi spiace, ma mi ha dato l’impressione di
essere un cretino; che posso farci?”
“Potresti fidarti del mio giudizio.” La sua risposta
piccata, mi fece intuire che ci era rimasta davvero male. Valeva la pena di
litigare con lei per Logan?
“Aggiudicato. Hai la mia approvazione, ma solo perché
mi fido di te. Sappi che dovrà vedersela con me se fa qualche cazzata. E scusami
se non riesco a farmelo piacere per ora.”
“Vedrai che andrete d’accordo. Devi solo conoscerlo
meglio.”
“Ok. Adesso scusami, ma i teorici matematici mi
aspettano e sono stanca morta. Ci vediamo domani a scuola? Pranzi con me?”
“Sì. Domani sono tutta tua.”
“Perfetto. A domani.”
“Notte, baby.”
Riagganciai pensierosa. Forse aveva ragione lei e io
mi sbagliavo su Logan. Per questo prima di dedicarmi alla lezione decisi che
gli avrei dato una sincera possibilità. Avremmo organizzato un’uscita e io
sarei stata simpatica nei suoi confronti. E in più avrei rivisto Nick, così
magari non dovevo nemmeno telefonargli.
La mattinata passò in fretta; le ore delle verifiche
scorrevano veloci e altrettanto la mia penna sui fogli. Matematica era andata
meglio di quanto potessi aspettarmi, mentre c’erano le solite indecisioni e
lacune con la Becker. Incrociando le dita, mi diressi alla mensa e caricai il
vassoio come al solito.
Avevo bisogno di energia, perché quel pomeriggio
sarei andata a sfogarmi al campo.
Ero prontissima per un abbraccio dato di slancio da
parte di Ashley, così mi misi a setacciare con lo sguardo il cortile. Nessuna
testa rossa da nessuna parte.
Dove diavolo si era cacciata? Che fosse in ritardo?
Controllai il cellulare: nessun messaggio.
Appoggiai il vassoio al nostro solito tavolo e
aspettai la bellezza di dieci minuti. Ashley non arrivava e non mi aveva
nemmeno avvisato.
Le mandai un messaggio, ma nemmeno quello sembrò
raggiungerla. Dovevo iniziare a
preoccuparmi?
Desolata da quella sua assenza, mi decisi a iniziare
a sgranocchiare qualche patatina prima che diventassero tutte molli e dal
sapore immangiabile.
Dei fischi e delle grida attirarono la mia
attenzione, così alzai lo sguardo dal tavolo e vidi uno spettacolo che mi
lasciò a bocca aperta.
Nicholas Moore era tornato alle superiori? Soffrivo
di allucinazioni? Era un sogno ad occhi aperti?
Scossi la testa un paio di volte nel tentativo di
cacciare quella visione, ma non solo non se ne voleva proprio andare, anzi si
avvicinava sempre di più al mio tavolo.
Il mio cuore iniziò ad accelerare la sua corsa,
perché non solo Nick mi sorrideva con quei suoi occhioni furbi, ma anche perché
tutti i ragazzi erano rivolti verso di noi e io mi trovavo nuovamente al centro
dell’attenzione. Maledizione.
“Chi non muore si rivede!” annunciò sedendosi al
tavolo. Perché quella battutina mi faceva
sentire terribilmente una merda?!
“Ciao, Nicholas.” Gli sorrisi colpevole e lo osservai
in tutta la sua bellezza mentre mi rubava una patatina dal vassoio.
“Mi mancava questa scuola, sai?”
“Immagino. Eri la star della situazione.”
“Non solo per quello, Principessa. Qui ero protetto
dal mondo. Quando frequentavo questa scuola, non sapevo ancora cosa voleva dire
dover lavorare fino a spaccarsi la schiena e crescere una figlia. Era tutto più
facile. Ero spensierato.”
“Stai cercando di farmi sentire una merda per caso?!
Giusto a titolo informativo: ci stai riuscendo alla grande.”
Mentre gli rispondevo, mi arrivò un messaggio di
Ashley: ‘Ecco il tuo regalo. Fai la brava. Un bacio. Ash’
Infame, era tutta opera sua.
Nicholas scoppiò a ridere compiaciuto.
“Ti diverti?”
“Te lo meriti signorina. Sei sparita per una
settimana.”
“Ero impegnata.”
“Ashley me l’ha detto. Però il tempo per un messaggio
potevi trovarlo.”
“Hai ragione, ma non potevo distrarmi. Altrimenti non
sarei uscita incolume da questa settimana. Già sono certa di avere ancora
l’insufficienza in biologia.”
“Con la Becker?”
“Sì, con quel tiranno.”
“Ma dai, era anche la mia professoressa! Ero il suo
cocco. Andavo benissimo in biologia.”
“Beato te. Io invece ho l’abbonamento alla E con
lei.”
Rimase in silenzio per un po’ poi, rubandomi un’altra
patatina dal vassoio, esordì alzando lo sguardo al cielo. “Guarda cosa sono
ridotto a fare per passare del tempo con lei. Ammettilo che ce l’hai con me.”
Poi finalmente si degnò di spiegarmi.
“Ti propongo un patto, o meglio uno scambio. Ti do
ripetizioni di biologia, se tu in cambio domenica sera uscirai a cena con me.”
“E io cosa ci guadagnerei, di grazia?”
“Del tempo con me ovviamente, dolcezza.”
“Nah.. non mi sembra l’affare del secolo. Sei furbo
Moore. Tu ti beccheresti la cena e io poi delle pesanti ore di biologia. Non
sono molto tentata.” Balle. Non vedevo l’ora di accettare, ma non potevo dargli
quella soddisfazione.
“Sicura? L’offerta sta per scadere. Insomma sai, sono
richiesto sul mercato… 5.. 4.. 3...”
“D’accordo, accetto. Tutto per una maledetta
sufficienza con la Becker.”
“Inizia a dirle che studi con me e vedi che le starai
già più simpatica.”
“Non mi faccio scrupoli, quest’anno. Ho davvero
bisogno di passare il corso.”
“Allora ci focalizzeremo non solo sull’anatomia, ma
anche sugli effettivi argomenti trattati.”
Quel cretino e le sue allusioni sessuali. Avvampai,
sicuramente diventai rossa come un peperone e lui era palesemente soddisfatto.
Alla fine divisi il pranzo con Nick e ci raccontammo le
rispettive giornate passate dal nostro ultimo incontro e, prima che suonasse la
fine della pausa, lui si assicurò di avere il mio numero. Lui e la sua
cocciutaggine mi convinsero a chiamarlo, così tutto trionfante mi inserì tra i
contatti della sua rubrica.
Tutto avvenne davanti agli occhi dell’intera scuola e
io ero leggermente distante da come sarei stata se fossimo stati soli. Mentre
mi parlava seguivo le movenze delle sue labbra e l’unico pensiero fisso che
avevo era di baciarle. Non avrei retto ancora a lungo. Era una tortura sapere
di avere a disposizione quelle labbra morbide, ma di non poterle sentire sulle
mie.
La campanella pose apparentemente fine a quella dolce
agonia, perché lui si decise ad accompagnarmi alla classe per poi tornare al
lavoro.
“Ehi, non pensare di aver vinto.”
“Hai ragione. Non lo penso, ne sono certo.” Mi
sorrise sornione avvicinandosi sempre di più al mio corpo.
Nonostante sentissi come una forza attrarmi a lui,
cercai di resistere. Ero a scuola, in mezzo a troppa gente, non poteva davvero
farmi questo.
Mi irrigidii, notando che si avvicinava
ulteriormente. Pregai che non facesse quello che io stavo pensando.
“Baciarti qui, tra i corridoi, sarebbe il più
classico dei cliché, e sappi che mi ci atterrei volentieri, ma sento che non è
quello che vuoi.” Mi soffiò tra i capelli, provocandomi un brivido e la pelle
d’oca.
Poteva un
ragazzo avere quell’effetto su di me? Ma non era un semplice ragazzo: era
Nicholas Moore ed era un fenomeno in tutto quello che faceva.
Sospirai di sollievo quando la distanza tra i nostri
corpi aumentò.
“Grazie.”
“Ti invidio, Principessa. Nonostante tu stia morendo
dalla mia stessa voglia, riesci a resistermi. Complimenti per la forza di
volontà.” Mi fece l’occhiolino e si dileguò così. Lo osservai – concentrandomi
su un punto specifico – mentre si allontanava.
Oh Ellie,
Ellie. Ti fissi sul suo culo adesso? I Maya avevano proprio ragione, la fine
del mondo si avvicina.
‘P.S. dimenticavo: ti porto a casa io oggi.’
Lessi il messaggio e sorrisi. Così con la testa più
che mai tra le nuvole, mi “dedicai” alla lezione che stava per cominciare.
_________________________
Ed eccoci qui, nuovamente!
Io e Jess speriamo che questo
aggiornamento lampo vi faccia piacere. E non so voi, ma io e lei scrivendo
questo capitolo abbiamo riso alla grande! :D
Ringraziamo chi ci continua a sostenere
e recensire nonostante il tempo sia poco!
Sentii qualcuno toccarmi il braccio
destro più volte, prima di aprire finalmente gli occhi.
Due fari azzurri e delle labbra rosee distese
in un dolce sorriso, mi diedero un buongiorno meraviglioso.
“Buongiorno,
tesoro. Che c’è?” La presi tra le braccia,
appoggiando la schiena sulla testiera del letto.
Quel sabato mattina, faceva dannatamente
caldo, tanto che mi ero decisamente rifiutato di
dormire con la canotta. Odiavo terribilmente la sensazione che lasciano i vestiti sulla pelle sudata quando fa fin troppo
caldo. Una sorta di disagio e malessere che a stento riuscivo a sopportare.
“Daddy, ho
fatto un brutto sogno…”
Le accarezzai una guancia, avvicinandola
al mio petto. “Che cosa hai sognato di così tanto
brutto, principessa?”
Lei si alzò in piedi tra le mie braccia,
piantando i suoi grandi occhi azzurri nei miei.
Aveva gli occhi lucidi e le labbra
leggermente increspate dal dispiacere.
“Papà…”
L’abbracciai di
nuovo, immergendo il capo nei suoi lunghi e riccioluti capelli biondi. Il suo
respiro era leggermente accelerato, ed io mi preoccupai all’istante. Aveva la
febbre? Forse aveva avuto un sogno agitato che l’aveva
fatta muovere troppo e quindi farsi male in qualche modo?
La tastai delicatamente, misurandole la
temperatura e controllando eventuali lividi o rossori. Niente, apparentemente
Lily stava bene.
“Tesoro, cosa è
successo? Dai, è tutto passato… Non vedi che sei qui con me al sicuro?
Nessun mostro cattivo ti porterà via dal tuo papà.”
Lei scosse la testa, ancora rifugiata nell’incavo
del mio collo. “Ma se tu vai dalla mamma, io rimango
tutta sola.”
Mi bloccai con la bocca leggermente
socchiusa e una mano posata ancora sul suo capo.
Era quello che aveva sognato? Che io un
giorno l’abbandonassi, morendo come Madeline?
Mi si strinse il cuore e una velata
tristezza avvolse la mia anima.
“Non dire queste cose; non ho nessuna
intenzione di lasciarti sola, capito? Il papà è troppo bello e giovane per
andare in paradiso. Abbiamo tante cose da fare io te, ricordi? Troppe.”
Lei si staccò da me, con quasi le lacrime
agli occhi e le labbra che le tremavano.
“Anche mamma lo era… Non mi lasciare, papà.”
Si rifugiò ancora contro il mio petto ed
io la cullai proprio come facevo anni prima, quando ancora era troppo piccola
anche per parlare.
“Non ti lascerò,scricciola.
Il papà resta qui con te per tutto il tempo che vorrai.”
Si sciolse nel pianto; un pianto silenzioso, da adulto.
Non era un pianto capriccioso e
infantile; piangeva lacrime ricolme di dolore.
Avevo tra le braccia una bambina che
soffriva e lottava come una guerriera.
“Oh
piccola mia, cosa ti ho fatto?” Ripetevo dentro
di me quel mantra, cercando di esorcizzare il dolore che attanagliava il mio
cuore come una morsa letale. La mia piccola, dolce e tenera bambina aveva
ancora paura della solitudine.
“Sssh, Lily, sssh. Il papà è qui: sono qui.”
La cullai per minuti lenti e dolorosi;
ogni suo singhiozzo, era una pugnalata dritta e precisa nel petto.
Era quella la paura più grande per un
genitore: non poter alleviare il dolore e il peso del mondo dai cuori dei propri
figli.
Avevo cresciuto Lily con tutta la mia
forza, energia e vita; eppure non sarei mai riuscito a colmare il posto vacante
accanto al mio. Non avrei mai potuto riportarle indietro una madre che,
purtroppo, non sarebbe più tornata.
Un madre che non
avrebbe mai abbracciato, baciato e amato.
Una madre che non le avrebbe mai messo i
cerotti sulle ferite.
Un madre che non l’avrebbe
maiscortata per mano, verso la
crescita; il futuro.
Ero così desolatamente solo e inerme contro
il mondo ed il dolore.
Potevo solo stringermela al petto;
accostare il suo viso al mio cuore e baciarle il capo, sussurrandole parole
dolci e d’affetto.
Era quella la vera impotenza per gli
uomini.
Niente immortalità, cura del cancro o
soldi infiniti… Il vero problema che l’uomo voleva e doveva risolvere era il dolore dell’anima.
E in quel momento la mia anima
sanguinava, intrecciata a quella di mia figlia. Unite dal dolore ancora da un
briciolo di speranza; ancora da un nome e un viso che stavano sbiadendo davanti
ai miei occhi.
Dov’era la cura? Dove potevamo dissetarci
e sfamarci di speranza io e Lily?
“Daddy,
piangi?”
“No, tesoro. Asciugo le
tue lacrime.”
Iniziai così quel sabato mattina. Ero
turbato, frastornato e terribilmente scosso per quel risveglio così doloroso e
sofferto. Perché? Dov’era la pace per Nicholas Moore? Era possibile che, in
passato, fossi stato così malvagio e meschino per meritarmi tutto quello?
Volevo la pace, l’espiazione, la gioia.
Volevo che Lily sorridesse sempre, come faceva di solito. Invece rimasi tutta
la mattina assorto nei miei pensieri, con gli occhi sporchi ancora di
quell’immagine così degradante: mia figlia in lacrime e tremante.
“Papy, papy! Pomeriggio andiamo dai
nonni?”
Mentre facevo il bucato, chinato davanti
alla lavatrice ed intento a prelevare i panni appena
lavati e profumati dall’elettrodomestico, Lily si dondolava sui talloni.
“Certo, tesoro.” Presi la bacinella e la
portai con me fino al balcone, iniziando così a stendere i pochi vestiti di
Lily, due miei paia di boxer e le nostre lenzuola.
“Papy.”
Mi chinai a prendere una molletta sul
davanzale e le spettinai i capelli.
“Dimmi principessa.”
Lei però non parlò, il che mi fece
insospettire.
“Lily?” Abbassai lo sguardo, mentre con
le mani raddrizzavo le lenzuola rosa di mia figlia.
“Papà, tu hai baciato tanto la mamma?”
Quella mattina era davvero un lento e
lungo cammino verso il supplizio.
Parlare di Mad,
anno dopo anno, faceva meno male. Però certe domande,
erano ancora offlimits per me.
“Come mai me lo chiedi,
bambolina?”
Bambolina.
Proprio come la chiamavi tu, Mad. Ricordi?
“Perché…”
Non parlò ed io mi accovacciai al suo
fianco, accarezzandole i capelli.
Aveva lo sguardo perso, lontano.
“Ho baciato tantissime volte la mamma;ci volevamo tanto
bene.”
Lei annuì, muovendo velocemente la testa
e facendomi comparire un sorriso a fior di labbra.
“Allora è ok. Tutti i genitori dei miei
amichetti si baciano tanto e davanti a loro. Jenny mi racconta che li vede sempre
abbracciati, quando sono soli in una stanza. Tu e la mamma vi abbracciavate, papà?”
“Sempre.”
Lei sorrise, toccandomi il collo. “Papà,
vuoi baciare qualche altra mamma ora che la mamma non
c’è più?”
Qualcosa si incrinò.
Qualcosa di piccolo, quasi inesistente, si incrinò
dentro di me.
E il volto di Elena comparve davanti ai
miei occhi.
“Tu lo vorresti?”
Lily mi abbracciò con forza. “Non lo so. Sono solo triste, perché quando parlano di
queste cose, sono sempre zitta. Matty dice che mi
lascerai per un’altra mamma… È vero, papà? Io lo picchio sempre quando lo dice,
ma ho tanta paura di un’altra mamma. Matty dice che
gli uomini grandi vogliono tanti baci e io gli urlo
che al mio papà ci penso io! E lui…”
“Oh, piccola. Cosa ti dice,
Matthew?”
Le lacrime rigarono le sue piccole e
soffici guance rosee. “Lui dice che i baci dei bambini non sono come quelli dei
grandi... Matty dice che
papà ha tanti bisogni diversi da quelli di Lily.”
I
bambini sono la bocca della verità.
Per quanto Matthew avesse facilmente
perso la mia simpatia, aveva in qualche modo riportato a galla tutta la paura e
l’insicurezza che la frenesia, il calore e la purezza di Elena avevano
perfettamente nascosto ed occultato.
Perché non poteva essere semplice?
Perché non potevo vivere serenamente
almeno un po’ di affetto senza che i sensi di colpa e i luoghi comuni mi
schiacciassero inesorabilmente?
“Lily, Matty
non sbaglia riguardo a certe… cose. Però un padre, per quante madri possa avere al suo fianco,
amerà sempre i propri figli. Per la mia principessa, io ci sarò sempre e vorrò
sempre i suoi baci, più di chiunque altro.”
Non ero sicuro di voler affrontare quel
discorso con una bambina di soli quattro anni… Il suo sguardo limpido, mi intimoriva e mi sentivo così sporco, per aver desiderato
una storia con Elena che aveva tutti i presupposti per fallire inesorabilmente.
“Allora mi vuoi ancora bene,
papà?”
Le baciai teneramente la fronte, le
guance, il mento. “Certo, piccola mia. Sempre.”
Lei sorrise e, accendendo con il
telecomando lo stereo che avevo in camera, iniziammo a
cantare le canzoni che lei amava di più; quelle che anche io amavo cantare a
quattro anni.
Saltammo sul letto, la presi poi in
spalletta e iniziai a trasportarla per la casa, imitando il camion di mio padre
che, in qualche modo ancora a noi sconosciuto, provocava sempre un sorriso o
una gioiosa risata in mia figlia.
Facemmo colazione con pane, nutella e un
bicchiere di latte. Sporcandoci così le dita e le labbra,
prendendo quel nettare divino direttamente con le mani.
Di solito non glielo permettevo, ma, quel
sabato, volevo riportare la serenità nei nostri cuori.
Nel pomeriggio andammo dai miei genitori
e mentre mio padre prese la mia piccola per mostrarle i nuovi frutti del suo
orto, mia madre mi si sedette accanto, porgendomi la sua meravigliosa limonata
fresca.
“Grazie.”
Alzai lo sguardo, inseguendo la figura di
mio padre, con in braccio la gioia della mia vita.
“Come stai, figliolo? Hai uno sguardo
così triste.”
Sorrisi contro il bordo del bicchiere. “In passato mi ostinavo a non capire il perché tu e papà riuscivate
sempre a capire cosa mi turbasse o cosa, invece, mi rendesse improvvisamente
felice. Da quando ho Lily al mio fianco, comincio a capire che fingere
con i propri genitori è come cercare di prendere una A
o una B ad un compito di storia, lasciato completamente in bianco.”
La mano di mia madre, piccola e
leggermente rugosa, si posò sul mio braccio grande, muscoloso e abbronzato.
I miei occhi,
raggiunsero i suoi.
“Tesoro, sai che ti voglio bene, ma non
costringermi a farti parlare con la forza. Ho preparato il gelato alla stracciatella,
il tuo preferito.”
Fregato.
Sospirai, sistemandomi meglio sulla sedia
di paglia.
“Stamattina Lily ha avuto un incubo. Si è
svegliata ed è corsa a piangere tra le mie braccia, supplicandomi di non
lasciarla mai sola, come ha fatto Mad. Mi sono sentito al pari di una mer-”
Mi fermai, mordendomi l’interno della guancia, per lo sguardo severo di mia
madre. “Diciamo che mi sono sentito davvero male e anche in colpa, perché sto
cercando di conoscere una ragazza…”
L’avevo
detto! Bravo, Nicholas, bravo!
“Oh…” Mia madre mi guardò prima allibita
e poi, con un sorriso dolcissimo sulle labbra, avvicinò la sua sedia alla mia.
Le nostre ginocchia si toccavano.
“Scusami, sono così sorpresa!” Con la
mano libera, si fece aria, sorridendomi imbarazzata.
“Lo so che è sbagliato, mamma, macaz-” Mi fermai in
automatico per censurare la parolaccia, ma mia madre - stranamente incurante
della mia distrazione - mi prese entrambe le mani tra le sue, continuando a
sorridere con una dolcezza disarmante.
“Ma no,
sciocchino! Che cosa hai capito?! È la prima volta che
mi dici una cosa simile; credevo che non sarebbe mai arrivato questo momento.
Ne sono felice. Allora? Com’è? Conosco sua madre?”
Deglutii rumorosamente. Non ero più
abituato a quel tipo di discorsi… Mi sentii improvvisamente di nuovo un
adolescente in preda ad una folle cotta per la ragazza di turno.
“È la figlia dei Rinaldi.”
“Uh, la maestra di Lily? Che cara
ragazza! Sì, molto carina… Assomiglia anche a Mad;
capelli scuri, fisico formoso e minuto. Mi piace, tesoro!”
Deglutii di nuovo e più rumorosamente di
prima. Dovevo essere più preciso.
“Mamma… la
sorella di Alice: Elena Rinaldi.”
La sua bocca si spalancò e io lasciai le sua mani, per poggiarci sopra la testa e
grattarmi la nuca nervosamente.
Che casino allucinate.
“Quella biondina con le stampelle che era
alla recita? Oddio… Nicholas, ma è maggiorenne, vero?”
Sorrisi, sollevando di nuovo lo sguardo.
“Sì, ha diciotto anni ed è all’ultimo anno di liceo.
Gioca a baseball come un ragazzo, adora le sfide e mi ha provocato fin
dall’inizio con il suo sguardo così fiero e limpido. Mamma è piccola;
dannatamente piccola e mi sto incasinando la vita.”
Il sorriso tornò sulle sue labbra.
“Baseball, eh?”
Scossi la testa, sorridendo imbarazzato.
“Sì ed è totalmente diversa da Mad..
E’ slanciata, sicura di sé e bella per la sua grinta e la sua forza. Sa cosa
vuole dalla sua vita e non scende mai a compromessi… Versa caffè bollenti
addosso agli estranei e si infastidisce se viene
chiamata principessa da un ragazzo. È tosta e testarda! Terribilmente,
inevitabilmente tosta e testarda.”
Mia madre si portò le mani sulle labbra,
nascondendo gli occhi lucidi.
“Mamma? Tutto ok?”
“Assolutamente sì… E poi? Raccontami.”
Mi portai una mano sul collo,
arrossandolo per quanto lo torturassi con le mani sudate. “È
così attaccata alla vita! In quel frangente le assomiglia moltissimo;
hanno lo stesso sguardo fiero e sicuro di chi vuole combattere per il proprio
futuro e per le proprie ambizioni. Non l’ho mai vista con un paio di tacchi o
con scollature generose, eppure è così dannatamente ammaliante! L’ho anche baciata… Più volte.”
Scoppiai a ridere, vendendo che mia madre
si era avvicinata con il busto al mio viso.
‘La
curiosità è donna!’ Lo diceva spesso nonna Josephine.
“E
poi?”
“Mamma, non crederai che ti racconti i
dettagli!?”
Lei mi diede una leggera spinta, facendomi sorridere. “Che sciocchino
che sei, Nicholas Moore! Sono nata e cresciuta molto prima di te! Ho vissuto a
pieno gli anni ‘70 e se pensi che parlare di sesso e strusciamenti vari mi
possa scandalizzare, non hai proprio idea di che pasta sono fatta! Tutti così
questi giovani… Anche noi ci divertivamo, tesoro mio.”
Mi portai una mano davanti agli occhi,
completamente imbarazzato. “Oddio mamma.. No, non
aggiungere altro! Non voglio avere incubi su te e papà! Mi avete già
scandalizzato abbastanza durante l’adolescenza.”
Riaprii gli occhi e scoppiamo a ridere
entrambi.
“Io e tuo padre abbiamo dieci anni di
differenza. Te lo ricordi, vero?”
Mi morsi le labbra, annuendo. “Lo so,
mamma; ma papà non aveva già una figlia e i tempi erano diversi.”
Lei, pensierosa, mi diede ragione. “È vero anche questo, ma non dovete mica sposarvi! Siete
giovani e belli.. Vuoi un consiglio da una povera
donna che ha un po’ più esperienza di te con gli affari di cuore?”
Alzai gli occhi al cielo, fingendomi
risentito. “E secondo te perché sono qui a parlartene?”
Lei mi accarezzò prima il ginocchio, poi
il viso.
“Questa Elena ti
piace molto e in un modo che ancora non ti è facile capire. Lasciati andare, vivi queste nuove sensazioni, ma non prenderla in
giro. È dannatamente giovane e tu potresti essere il suo primo amore… Capisci
cosa intendo, tesoro? Primo, in tutto e per tutto...”
Scoppia a ridere incredulo, ma lo sguardo
serio di mia madre, mi fece davvero preoccupare.
“Mamma siamo nel
XXI secolo! Non pensi davvero che io sia il primo per lei. Io
stesso…”
Mi fermai, deglutendo, ma sua attenzione
non era su di me. In qualche modo, la situazione sentimentale di Elena era più
importante di suo figlio stesso.
“E cosa c’entra? Non vuol dire proprio
niente, sai? Mi stupisco di te Nicholas Moore, figlio mio e gioia mia. Se lei è
così diversa dalle altre, potrebbe avere anche dei valori diversi o delle aspettative più alte. Davvero non hai mai pensato che tu
potresti essere il primo?”
Il mondo si fermò per un momento e le
parole di mia madre cominciarono a sortire l’effetto desiderato.
Avrei potuto essere il
primo per lei?
Il primo bacio, la vedevo davvero dura visto come era stata sciolta nel baciare me, ma
addirittura il primo amore? La prima volta e il primo batticuore?
In un certo senso mi sembrava tutto così
assurdo, però una leggera ansia nacque dentro al petto,
a livello del cuore.
“No, non l’ho mai lontanamente pensato. Oddio, allora è davvero tutto impossibile! Non posso proprio essere il suo tanto agognato principe
azzurro.”
Sprofondai nella sedia e bevvi in due
sorsi tutto il bicchiere di limonata.
“Cos’è questo muso? Non ti ho di certo
cresciuto per fare il troglodita e il barbaro, sai? Se lei ti vorrà, sii solo
gentile e premuroso. E poi, nonostante tu dica di essere uno sciupa femmine, hai sempre portato
rispetto per tutte le ragazze che hai frequentato anche per poche ore. Lo so,
ti ho cresciuto io e il rispetto per le persone è alla base di qualsiasi cosa;
anche del sesso.”
Ero troppo imbarazzato; decisamente troppo imbarazzato! Parlare di sesso e prime
volte, con mia madre, mi rendeva nervoso ed insicuro.
Ero decisamente
impreparato a tutto quello.
“E se non fosse così? Se lei volesse
qualcosa in più che io non posso offrirle? Forse per
non farla soffrire, dovrei lasciarla in pace.”
Lei scosse la testa, prendendomi una
guancia nella sua mano destra. “No tesoro, se lei ricambia il
tuo affetto, la farei solo soffrire di più, impedendole di viverti come vorrebbe.
Sii te stesso e cerca di dirle sempre la verità, senza
ferirla. L’unico consiglio che posso darti è di seguire il tuo cuore, i
sentimenti e di non usarla per un piacere prettamente fisico… Esistono ragazze
che cercano solo quello e lo sai; credo che Elena meriti e pretenda di più da
te.”
Non risposi, forse nemmeno necessitava
una mia risposta.
Poco dopo Lily e mio padre tornarono da
noi e incominciammo a parlare dell’estate, delle imminenti vacanze estive e dei
progressi di apprendimento di mia figlia.
Non toccammo più l’argomento, nemmeno
dopo la cena che consumammo tutti insieme in giardino,
con il tramonto di fronte.
Tornai a casa alle nove passate e dopo
aver aiutato Lily con la doccia e i capelli, la misi a letto subito, visto che
era visibilmente stravolta per il pomeriggio trascorso a giocare, sotto il caldo
sole di metà maggio.
Poco dopo, mi lasciai andare anch’io
sotto la doccia fresca, con il capo chino e continuamente accarezzato
dall’acqua a corrente.
Ero stato così superbo e stupido. L’avevo
addirittura invitata a cena fuori, come nei cliché più banali e scontati!
Che diamine dovevo fare?
Mi misi a letto con quei pensieri e,
rigirandomi tra le lenzuola madide di sudore, mi addormentai con il sapore
amaro dei suoi baci, inimmaginabilmente ancora sulle mie labbra. Li sognai
tutta la notte.
“Nick ti devi
calmare.”
Avevo il cellulare incastrato tra il
collo e la spalla e stavo infilando i boxer che faticavano a scivolare sulle
mie cosce ancora bagnate dalla doccia.
La domenica era decisamente
volata via tra un picnic al parco con i ragazzi e Lily ed un pomeriggio sul mio
divano a guardare le repliche delle nostre partite di baseball preferite. Lily
era dai nonni a dormire ed io ero completamente lasciato solo a morire tra
l’ansia e le paranoie degne di una prima donna.
“Sono calmo come un misero ramoscello nel
centro di un ciclone. Rendo l’idea, Tom?”
Presi il telefono con la sinistra e
cominciai a frugare nell’armadio alla ricerca di un qualcosa che evidentemente
non riuscivo a trovare.
“Nicholas Moore, ti ordino di sederti,
respirare e ascoltare me. Non dico Logan, ma almeno me!”
Sbuffai, rendendomi conto che stavo
sfiorando una vera e propria crisi di nervi.
Logan era stato invitato a casa di Tom
per una cena in famiglia, alla quale avrei dovuto presenziare
anch’io, se non avessi avuto un altro tipo di impegno.
- Oh, un diavolo di appuntamento galante,
altro che semplice impegno! – Per quel motivo erano entrambi in vivavoce a
darmi manforte.
“Me la sto
facendo sotto. Perché? Dici che il panino alla Logan
mi abbia distrutto l’intestino tenue?”
Sentii Tom ridere e Logan urlarmi contro : “Brutto stronzo che non sei altro! Se sei un coglione cagasotto, non te la prendere con il mio panino al
cetriolino, cipolla, hamburger e taaaanta senape. E’
l’orgasmo in versione tascabile, capito?”
Non gli diedi retta.
“Va bene, ma io ora cosa mi metto? Cazzo,
cazzo e cazzo.”
“Patata, per par condicio!”
“Logan!” Urlammo entrambi, seguiti da
varie risatine idiote.
Per fortuna che avevo che quei due
cretini sempre al mio fianco.
“Tornando seri, Nick… Dove la porti?”
Mi rialzai dal letto, ritornando dentro
l’armadio. “Da Juliette.. Niente di troppo chic, non
che non possa permettermelo, ma non voglio una cena per rimorchiare la trombata
della serata… Devo conquistarla e Julie è la mia chicca.”
I due sospirarono al ricordo della donna.
“Che donna, ragazzi… Hai fatto bene, amico. Poi con i
vestiti troppo eleganti, ti si ammoscia prima che li sbottoni tutti.”
Scossi la testa, come solevo fare dopo
ogni uscita di Logan.
“Comunque” riprese Tom “Direi che canotta
bianca, camicia rossa ‘alla boscaiola’ che ti ha regalato tua madre al tuo
compleanno e jeans stretti con Timberland ai piedi. Direi che tanto
l’abbigliamento è l’ultimo dei tuoi problemi, comunque. Non lo è mai stato,
Nick!”
Annuii, ma mi accorsi che non potevano
vedermi. “Avete ragione, non so cosa mi prende… Ve l’ho detto oggi la storia
del ‘primo’, no? Sono terrorizzato.”
Logan scoppiò a ridere. “Amico, ma dovresti gasarti come un pazzo, invece! Sei come il
primo uomo sulla luna; come un bambino in una fabbrica di giocattoli appena
aperta… È tutta tua, ancora da togliere l’incarto e non devi temere nessun’altro! E poi non sai se lei è già stata scartata o
maneggiata da altri con sicurezza. Quindi…”
Tom si intromise.
“Log sta cercando di dirti di non fasciarti la testa prima di rompertela. Vai,
sii te stesso e basta. Smettila e
preparati che è tardi!”
Chiusero così la telefonata, senza
nemmeno farmi dire la mia o almeno salutare.
Rimasi a bocca aperta, prima di sorridere
e gettare il cellulare sul letto.
Io non ero mai stato insicuro; non del
mio fisico e questo era un dato di fatto.
Osservai tutti i tatuaggi che avevo sulla
pelle; dal primo quando avevo fatto aquattordici anni all’ultimo, solo di
quattro anni prima. Due erano i più importanti e mentre mi infilavo
la canottiera, mi posai le dita sulla labbra e poi sul cuore, sopra a quel tatuaggio.
Vedevo i miei pettorali e addominali in
rilievo sotto il cotone leggero e finsi diverse mosse stupide con le braccia, per
alleviare la tensione.
Mai prepararmi per un appuntamento fu
così difficile.
Indossai però un altro paio di scarpe, le
Timberland erano invernali e poi volevo essere il più comodo possibile, visto che avrei voluto passeggiare un po’ con lei.
Infilai il cellulare nella tasca
anteriore destra, il portafogli dietro nella tasca sinistra e presi le chiavi
per chiudere casa.
Arrivai al pickup e misi in moto,
sfrecciando per una Boston caotica e piena di vita.
L’estate stava arrivando e portava con sé
la gioia e la speranza di un po’ di relax per molti
miei concittadini. Anche la mia, ovviamente.
Mi fermai a qualche casa di distanza da
quella di Elena, decisione presa da lei stessa per evitare gli occhi indiscreti
della madre.
Se non le andavo a genio, la capivo
perfettamente. Non ero proprio il ragazzo perfetto per la sua amata
figlioletta.
Accesi la radio e tamburellai le dita sul
volante a tempo di musica, in attesa della ragazza.
Sollevai lo sguardo giusto in tempo per
vederla uscire da casa e dirigersi verso di me.
Era bellissima.
Indossava un top senza spalline – e forse
anche senza reggiseno – nero, degli shorts molto corti e della
ballerine nere con un fiocchetto sulla punta.
Appena entrò mi
soffermai sulle sue lunghe e toniche gambe, dovute ad anni di movimento e di sport.
Passai poi alle braccia lunghe e magre ed infine al
decolté modesto, ma strizzato in quel top che lo risaltava fin troppo per i
miei occhi affamati.
“Buona sera, eh! Finita la radiografia?”
Scossi la testa, sorridendo malizioso.
“Oh, non ho ancora incominciato,principessa.”
Ingranai la prima, godendomi i suoi sono
sbuffi infastiditi.
Profumava di shampoo e bagnoschiuma.
Niente profumi intensi. Niente modi di porsi congeniati e
programmati.
Era Elena in tutta la sua semplicità
dirompente e nella sua bellezza tanto genuina quanto dolorosa.
“Siamo silenziosi, stasera.”
Muoveva le mani, torturando il suo
giacchetto nero e la pochette piccola che aveva sulle ginocchia.
“Perché voglio sentire parlare te. Che hai fatto oggi?”
Rimase qualche secondo di troppo in
silenzio, tanto che con la coda dell’occhio la osservai mentre il vento le
scompigliava i capelli.
Era sempre più bella, dannazione.
“Ma, solite
cose. Sono stata la mattina a casa a studiare e ad aiutare Alice a sistemare un
po’ il giardino. Pomeriggio, Ash è venuta da me e siamo andate al campetto a
fare qualche tiro. Te?”
Qualche settimana prima avevo ritenuto la
sua voce fin troppo fastidiosa.
Era fastidiosissima come una zanzara,
quando voleva, ma in quel momento era semplicemente cordiale, ironica e
sincera.
Avrei potuto lasciarla parlare per ore,
senza stancarmene.
Dio,
cosa stavo dicendo? Logan mi avrebbe deriso a vita se l’avesse saputo.
Se, ovviamente.
“Picnic con gli
amici e pomeriggio a guardare le repliche di qualche vecchia partita. Stai migliorando il lancio?”
Lei incrociò le braccia sotto al seno. “Certo! Sarei pronta a sfidarti anche ora.”
Risi, girando a destra ad
un incrocio. “Sono lusingato del tuo invito, ma con quel top, ti sarebbe
difficile muoverti senza far uscire qualcosa. Non che mi farebbe schifo...”
La guardai di sottecchi e la vidi prima
arrossire e poi riscuotersi per rispondermi.
“Nick, vaffanculo.”
Risi di nuovo, accostando sul marciapiede
e avvicinandomi al suo viso.
“Solo se vieni con me, Mademoiselle.”
“Ne ora e ne
mai!”
Sorrisi e mi avvicinai alle sue labbra,
ma all’ultimo dirottai il bacio e le solleticai la fronte.
Il
primo.
Ma che cavolo! Quel
pensiero mi avrebbe fatto morire lentamente.
Scesi dalla macchina e lei mi seguì un
po’ titubante, ma ancora così testardamente e adorabilmente risentita nei miei
confronti.
“Vuoi il bacio del principe azzurro per
ritornare a sorridere?”
Camminavamo vicini, lei che si spostava i
capelli da una spalla all’altra ed io che mi immaginavo
di scioglierli per dispetto.
“Penso che stasera mangerò tanto di
quell’aglio da farti stare lontano da me almeno venti metri.”
Incrociò di nuovo le braccia e io non riuscii a trattenermi dallo sfiorare una porzione
di pelle nuda.
Soffice, tonica, perfetta.
Lei sciolse le braccia, forse grazie al
mio tocco, ed io le presi una mano con naturalezza.
“Deduco che la minaccia dell’aglio non
abbia funzionato.”
“No, mi spiace.”
La condussi così nella parte più divertente
e colorata di Boston : il North End, il quartiere
italiano della città.
Ero da sempre un ottimo osservatore, fin
dai tempi del liceo, e sapevo delle origini italiane di Elena. Anche il nome
era un ottimo indizio, no?
Il mio amore per l’Italia, invece, era
dovuto ad un viaggio fatto con i miei genitori e mio
fratello molti anni prima. Avevo appena otto anni, eppure ricordavo con
nostalgia il calore e l’allegria di una Roma spumeggiante e irriverente.
Mi sarebbe piaciuto ritornarci un giorno,
magari con Lily. Le sarebbe piaciuta l’Italia,
soprattutto il cibo.
Scossi la testa e mi accorsi degli occhi
luccicanti di Elena che mi scrutavano stupiti.
“Come lo sai?”
Inclinai la testa, sorridendo. “Nome e
cognome non ti dicono niente?”
Lei aggrottò le sopracciglia, prima di
darmi un buffetto sul braccio. “Ma no, scemo!
Intendevo… Come fai a sapere che North End è la parte che amo di più di Boston?
Accidenti, questo è un colpo basso.”
Lo disse sorridendo e mi
imbarazzai per aver fatto centro.
“Perché è anche la mia preferita.”
In quell’istante, dopo quelle parole,
Elena intrecciò per la prima volta le sue dita con le mie.
Mi stupii così tanto
che mi voltai verso di lei con le labbra leggermente socchiuse, ma lei aveva il
viso completamente girato verso i negozi di Salem Street, non permettendomi di
osservarla o baciarla.
Camminammo un po’ in silenzio,
anche se la baraonda di turisti e gli stessi commercianti chiassosi riempivano
le nostre orecchie.
Trovammo anche un bambino che, con il
bavaglino legato al collo, scappava tutto sorridente dalla madre un po’ meno
felice.
“Marcolì! O vieni qui e mangi da
solo o ti faccio mangiare con tuo padre! Tanto, porci per
porci!”
Sorpassammo il bambino e vidi il viso di
Elena solare e con un sorriso biricchino sulle labbra.
“Hai capito cos’ha detto?”
Lei annuì. “Sì, anche
se non parlo benissimo italiano, capisco quasi tutto. Il bambino stava
scappando, perché non voleva mangiare.”
Proseguimmo così per Salem St, prima di
svoltare e raggiungere Richmond Street, la nostra
meta.
I palazzi erano tutti colorati, dai rossi
vermigli ai verdi smeraldi.
Tra due enormi palazzi c’era una
minuscola via che ci condusse di fronte al nostro ristorante.
“Benvenuta da Ju-
”
Ma lei mi interruppe.
“Juliette! Oddio da quanto non venivo qui! Non ci credo, Nick... Mi stai facendo ritornare bambina.”
E quel sorriso sincero, mi lasciò senza
parole. Era troppo bella quella sera.
“Ma tu sei ancora
una bambina. Guarda come sei piccola.”
E senza darle il tempo per imbarazzarsi,
la portai all’interno del locale.
Il profumo di pesce, pizza e caffè mi
fecero ritornare indietro nel tempo.
Guardai di sottecchi Elena e aveva gli
occhi chiusi e un sorriso ancora più bello sulle labbra. Avrei voluto baciarla,
tecnicamente lo stavo per fare, ma dirottai ancora il bacio su una guancia.
Lei aprì gli occhi e le sue gote
leggermente arrossate, mi scaldarono il cuore.
“Nicolino mio!”
Mi voltai, un po’ scocciato dal dover
distogliere lo sguardo da quella piccola canaglia, per sorridere alla donna che
mi veniva incontro sorridente.
Juliette mi stritolò tra le sue braccia
grosse e il seno troppo prosperoso.
Era una donna in carne, con i capelli marroni e il rossetto sempre e perennemente rosso scarlatto.
Era italiana in tutte le sue divertenti e
sensuali sfumature.
Che avesse cinquant’anni, nessuno ci
avrebbe creduto.
“Julie! Quanto tempo..
E quanto sei sexy.”
Le scoccai un’occhiata maliziosa e lei mi
stritolò una guancia, sorridendo gioconda.
“Sempre il solito, Nick. Non crescerai
mai! Come stanno i tuoi? E Lilian? Uh e questo bocconcino..”
Elena le sorrise, mentre Juliette prese
anche lei tra le sue grandi e soffici braccia.
“Elena Rinaldi!
Come sei cresciuta, santo cielo! Ciliegina dolcissima..”
La donna riservò il medesimo trattamento
anche a lei, che quasi versò una lacrima per la stretta poderosa riservata alle
sue piccole guance.
“Ciliegina…”
Lei mi guardò completamente in imbarazzo e io registrai quell’informazione come se fosse di vitale
importanza.
Ciliegina.
“Ma voi state
insieme? Oh.Mio.Dio! Giuseeeeppe! Beppe, vieni qua!”
Il marito di Juliette - o meglio Giulia - era un uomo altissimo, muscoloso e dagli
occhi più verdi che avessi mai visto.
Aveva la stessa età della moglie, ma
entrambi erano troppo allegri, innamorati e belli per sembrare sposati da
trent’anni e con ben cinque figli e sei nipoti.
Dov’era la tristezza dell’età che passava
inesorabilmente?
Loro erano da sempre – insieme ai miei
genitori – il prototipo di coppia innamorata che avrei voluto essere insieme
alla mia futura compagna.
“Eccomi, Giulietta mia. Oh! Nicholas, ma sei sempre più
bello!”
Mi diede una pacca affettuosa sulla
spalla e nonostante non avessi più sei anni, quell’uomo era rimasto sempre
grosso, virile e terribilmente imponente.
Non che io fossi basso e mingherlino, ma Giuseppe mi batteva alla grande.
“E lei è la tua donna? Elena? Giulia mia
è la nostra Elena, figlia di Giovà e Allison?”
La moglie annuì, venendo di nuovo da me e stritolandomi ancora.
Guardai Elena che, tra le braccia di
Beppe, aveva la mia stessa espressione addolorata.
Scoppiamo a ridere di gusto, seguiti poi
dalla stramba coppia di coniugi.
“Sì, stiamo insieme.” Mi sfuggì, ancora
saturo del clima gioviale e allegro che mi circondava.
Elena si ammutolì e deviò il mio sguardo,
facendomi serrare la bocca dello stomaco.
“Oh, che notizia eccezionale! Il mio
tavolo migliore, in terrazza: subito! Vincé, dove
sei? Forza, scorta questi due pasticcini. Beppe, cuciniamo noi due
personalmente per loro, vero?”
Il marito baciò la moglie dolcemente,
sparendo poi in cucina.
Perché per noi non poteva essere così
semplice?
Dannazione…
Vincenzo, secondogenito alto come il padre
e con gli occhi allegri e scuri della madre, ci scortò per i tre piani del
locale.
Le pareti erano bordeaux,
poi rosse e in fine arancio. Scoppiava tutto di vita e felicità che quasi dimenticai lo sguardo di Elena.
“Scusa…”
Le mormorai scrutando le spalle larghe e
forti del cameriere che ci precedeva.
Se possibile, il suo umore peggiorò.
“Eccoci qua, ragazzi. Il nostro terrazzo
solo per voi. Scegliete il tavolo e godetevi la vista del
Boston Inner Harbor.. Il porto, in questo periodo
dell’anno, è bellissimo.”
Ci lasciò così e
io mi persi nella contemplazione della mia città dall’alto. Vedevo le luci, le
persone che camminavano sotto di noi e mi sporsi sulla ringhiera - piena di
gerani colorati ed edera - con espressione sognante.
Il porto, il faro, qualche peschereccio abbandonato sulla riva e la luce
sfavillante della luna che increspava le onde e illuminava la pelle di Elena,
al mio fianco.
Tra il viaggio in macchina, la breve
passeggiata tra le vie chiassose di North End e l’accoglienza calorosa di Julie
e Beppe, si erano fatte già le nove; la luna non era ancora alta, ma
risplendeva con lenta e dolce pigrizia.
“Non stiamo insieme, mi sono lasciato
sfuggire la situazione di mano.”
Riprovai, ma continuavo a sbagliare
qualcosa.
Lei mi lanciò uno sguardo rancoroso. “Prima dici una cosa e poi la ritratti. Ah,
Nicholas Moore, che uomo tutto d’un pezzo.”
Era amarezza quella che sentivo?
“Non fare la scontrosa, ciliegina. Ci sediamo?”
Lei sbuffò e poi mi sorrise più sciolta.
Ci sedemmo nel tavolo più vicino alla
ringhiera; una candela tra di noi e i suoi occhi nei miei.
“Come mai non ti ho mai vista qua?” Era decisamente strano che lei conoscesse
benissimo questo posto ed io non l’avessi mai incontrata nemmeno di sfuggita.
“Venivo qui
molto spesso quando ero più piccola. Poi Alice è cresciuta ed io sono sempre
così impegnata per dare retta ai miei... Siamo due donne ormai e abbiamo sempre
così tante cose da fare; troppe uscite con le amiche e i ragazzi, che per una
cosa o per l’altra, ci hanno costretta ad accantonare
molte uscire in famiglia. Non giudicarci, vogliamo bene ai nostri genitori,
però penso sia normale allontanarsi da loro con la crescita.”
Sorrise, prendendo il tovagliolo bianco
per posarlo sulle ginocchia nude.
“E come mai non ci sei tornata da sola o
con gli amici?”
Fece spallucce. “Perché
non sarebbe stata la stessa cosa. Non so come spiegarmi, è una sorta di
tradizione dei Rinaldi ed è
strano condividerla con degli estranei.”
Mi piegai verso di lei, scrutandola.
“Anche con me?”
Lei distolse ancora lo sguardo, non
riuscendo a nascondere un sorriso. “Soprattutto con te.”
Arrivò Vincenzo che, sorridendo ad entrambi, posò una cesta di pane al centro del tavolo e
ci versò del vino bianco nei nostri bicchieri. Cercai quasi di fermarlo, lei
era una bambina, ma poi scossi la testa e mi diedi dello stupido.
Era piccola, ma era una donna… E io sarei stato il
primo? Dio, non riuscivo a pensare ad altro.
“Vincenzo, il menù?”
Lui mi sorrise benevolo. “Nick, mi spiace. Mamma e papà sono partiti per la tangente e
vogliono farvi una sorpresa. Sapete come sono fatti.”
Si congedò così e mi passai una mano tra
i capelli, un po’ nervoso.
Eravamo soli. Soli sotto la luna.
“Come sta Lily?”
Elena sorseggiò il suo vino, alzando lo
sguardo su di me.
Chiedeva di mia figlia, nonostante
fossimo ad un appuntamento romantico e i nostri
discorsi dovessero essere incentrati su tutt’altro.
Sorrisi con naturalezza. “Sta bene, ogni
giorno ne combina una, ma è troppo adorabile per potermi
far arrabbiare davvero. Alice sta bene?”
“Sì, sempre immersa nella sua vita.”
Vincenzo arrivò di nuovo con l’insalata
di mare che mi coccolò il palato come una dolce e lenta carezza.
“Buonissima. Juliette è
magnifica come sempre.”
Annuii, tornando a guardarla mentre
mangiava.
Assaporava e mi guardava, si puliva le labbra con la punta della lingua.. Ma si rendeva
conto quanto fosse dannatamente sexy?
La sua naturalezza mi spiazzava
continuamente.
“Quanti ragazzi hai baciato prima di me?”
Non
era la mia voce, vero?
Ahimè, lo era e la conferma mi arrivò da
Elena che quasi si stava strozzando con il cibo.
“Cof- Cos- cof, Cosa?”
I miei occhi erano liquidi, e appoggiando
il mento ad una mano, la pregai con lo sguardo.
“Non sono affari tuoi.”
Mise il broncio e
io risi divertito. “Sei uno spasso, Elena. Perché non mi
rispondi?”
Non potevo essere stato il primo o volevo esserlo?
Il vino, il cibo e i suoi occhi mi
rendevano diverso ed allegro. Forse fin troppo
curioso.
“Due.”
Sorrisi, spazzolando il mio piatto. Poca
competizione. “Baciavano bene?”
Lei posò entrambe le mani sul tavolo,
guardandomi imbarazzata e scandalizzata.
“Non intendo parlare di queste cose
mentre mangio. Ma sei impazzito, Nicholas?”
“Un pochino. Sarà il
vino.”
Lei si risistemò, finendo l’ultima
forchettata di polipo.
“Ne hai bevuto solo mezzo bicchiere;
forse reggi meno di me.”
“Al massimo mi farai ricordare tutto tu,
vero?”
Era troppo divertente vederla sussultare
e nascondere in tutti i modi le sue guance rosee per
l’imbarazzo.
Due soli ragazzi..
Insomma, forse non si era mai innamorata. Questa sì che era forse la parte più
difficile di tutte. Il corteggiamento era fin troppo bello e semplice.
Ma prima di
ricevere una sua risposta, il telefono cominciò a vibrare nella mia tasca e
quando lessi il numero di mia madre, mi preoccupai all’istante.
“Mamma che succede?”
Elena mi guardò allarmata.
“Tesoro, scusami per il disturbo, ma Lily si è svegliata di colpo piangendo. Stava
dormendo da nemmeno mezz’ora ed corsa da noi qui sul
divano e non mi ascolta. Vuole il suo papà..”
Mi rabbuiai, portandomi una mano sulla
fronte. “Passamela.”
Sentii un leggero rumore,
delle voci di sottofondo e la voce disperata di mia figlia. “Papy…”
Mi si strinse il cuore. “Tesoro, ancora i brutti sogni? Vuoi che vengo
a prenderti?”
Spostai lo sguardo di nuovo su Elena che
annuì comprensiva, cercando di sorridermi.
Stavo per rovinare tutto.
“Sì, papà..
Vieni e non andare dalla mamma. Ho paura… Non voglio stare
sola.”
“Riesci ad aspettare un secondo in linea,
tesoro?.”
“Sì, daddy.”
Posai una mano sul microfono del
cellulare, cercando di trovare le parole giuste, ma il mio sguardo parlò per
me.
“Andiamo, Nick, possiamo tornare un’altra
volta.”
“Scusami,
Elena.. Io..”
“Non fa niente, tranquillo.”
E invece faceva male, troppo male.
Era questo il nostro futuro? Era questo
il rapporto che potevo offrirle?
“Lily, il papà arriva tra mezz’ora, ok?
Devo salutare il mio amico, se no poi non mi vuole più bene. Posso? Ce la fai a
resistere?”
Elena mi guardò tristemente.
Questo
è quello che sono, Elena. Questo è quello che non posso cambiare di me stesso.
“Sì, va bene! Ti aspetto, papà.”
“Arrivo, piccola.”
Chiusi la chiamata, sentendomi
dannatamente e profondamente sbagliato ed inutile. Ma mia figlia era e sarebbe sempre rimasta una costante
nella mia vita e niente e nessuno poteva sostituirla: questa era la realtà.
“Elena, mangiamo quello che riusciamo e
poi ti riaccompagno a casa. Scusami, davvero; Lily non dorme bene da qualche
giorno.”
Lei annui, dicendo più volte di non
preoccuparmi, ma avevamo perso quella magia che ci aveva avvolto fino a pochi
minuti prima.
Mangiammo un primo e anche velocemente un fetta di tiramisù. Quando andai a pagare per entrambi,
nonostante Elena si ostinasse a voler tirare fuori del denaro dal suo
portafogli, Juliette e Beppe ce lo impedirono.
“Consideratelo un regalo per il vostro
giovane amore e tornate a trovarci quando volete.” E con quelle parole, salutai
Julie che mi sussurrò ad un orecchio : “È bellissima;
non lasciartela scappare.”
Ma sembravano
parole vane, perché lei non riusciva più nemmeno a guardarmi.
Il ritorno in macchina fu così silenzioso
e tetro, da farmi dimenticare tutti i piccoli passi avanti che avevamo compiuto
solo poche ore prima.
Ero distrutto, abbattuto. Continuavo a
tormentarmi con mille ‘perché’ che non trovavano risposta.
“Allora, ciao.”
Sussurrai, vicino a casa sua. Lei mi
guardò per pochi istanti, non riuscendo a nascondere la tristezza. “Buonanotte,
Nick.”
E mi lasciò così senza un bacio, una
carezza od un sorriso.
Non c’era
speranza e voglia di risentirmi.
Ritornai a casa devastato, cullando Lily
per mezz’ora e facendola finalmente addormentare dopo la mezzanotte.
Avrei voluto chiamare Elena, scusarmi
ancora, ma forse avevamo bisogno entrambi di dormirci sopra.
Quella notte l’unica cosa che pensai
prima di dormire erano le sue labbra, i suoi sorrisi e le sue
guance rosse e morbide.
Buonanotte, Ciliegina.
_________________________
Ed eccoci di ritorno con un nuovo e
lunghissimo capitolo (sedici pagine, ragazze :O ) e abbiamo
anche quasi completato il prossimo :) Finalmente riusciamo a postare senza
ritardi imbarazzanti!
Allora, che ne pensate?
Un capitolo pieno di moltissime cose! Uno
dei nostri preferiti, probabilmente :)
Nick che si espone sempre di più, ma
sembra che nemmeno questo basti.. Elena che si
scioglie pian pianino, ma al tempo stesso non vuole essere presa in giro.
Penso che questo finale dolceamaro vi abbia incuriosito già abbastanza; non dobbiamo aggiungere
altro :)
Pensate che Nick abbia fatto bene a
correre da Lily ed Elena ad andarsene con quell’evidente tristezza dipinta sul
volto?
Fateci sapere!
Noi nel frattempo vi ringraziamo
moltissimo, perché siete sempre dolcissime e carine con noi. Grazie, grazie e GRAZIE:3
Con passo svogliato e stanco, salii le
scale del portichetto sotto lo sguardo vigile e stupito di mia sorella.
“Ma tu non avevi
un appuntamento stasera?”
Non risposi nemmeno, persa nei miei
pensieri già abbastanza demoralizzanti senza che dovessi esprimerli ad alta
voce.
“Ehi, parlo con te.”
“Che vuoi, Al?”
“Sapere come stai; hai una faccia...”
“Sto bene. Posso
entrare adesso?”
“No. Tassativo.
Adesso ti siedi qui e mi racconti.” Insistette, indicandomi un posto accanto a
lei sul dondolo.
Feci come mi chiese: mi sedetti, ma ero
proprio decisa a stare per i fatti miei, tanto che tenni la bocca serrata a
forza. Non volevo parlare, anche se forse mi sarebbe stato utile. In fondo,
Alice conosceva Nicholas meglio di me. Magari lei mi
avrebbe capito.
“Vado a prendere il tè freddo, alla
pesca. Il tuo preferito.”
La guardai negli occhi e lei mi lesse nel
pensiero. “Con quattro cubetti di ghiaccio e una cannuccia, lo so.”
Feci vagare il mio sguardo nel cielo,
seguendo le stelle che iniziavano a mostrarsi prepotenti.
Pur di non pensare, stavo cercando di
unirle tutte con una linea immaginaria, disegnata dalla mia mente. Tuttavia il
mio tentativo non ebbe molto successo, perché dopo poco la mia mente si
distrasse e tornò a rivivere attimi di quella – a dir poco imbarazzante –
serata. E pensare che mi ero persino vestita carina.
Mia sorella tornò dopo pochi minuti e mi
porse un bicchierone di quella bevanda che aveva il potere di distendere i miei
sensi per il suo sapore dolce.
“Mamma e papà?”
“In camera a vedere un film. Anche se
devo ammettere che papà era un po’ preoccupato vedendoti uscire così femminile. L’ho convinto che dovevi
andare ad una festa chic, per quello eri vestita così
carina.”
Annuii solamente. Era chiaro che quelle
chiacchiere erano inutili, eppure lei mi stava assecondando. Per un po’ non
disse niente; chiaramente toccava a me parlare. Il suo tentativo di corrompermi
con il tè alla pesca era così palese.
“Non mi sono mai sentita così a disagio
come stasera.” Dissi focalizzando la mia attenzione sul movimento circolare
della cannuccia nel bicchiere, che causava lo scontro dei cubetti e il loro
tipico tintinnio.
“Ti ha chiesto di..?
Beh, insomma, sai cosa intendo.”
Mi fermai all’istante. Alzai lo sguardo e
iniziammo a parlare a cuore aperto, l’una negli occhi dell’altra. “No, no per
carità. Anche se ogni tanto qualche frecciatina gli scappava. Ma posso capire, insomma è normale. O almeno credo.”
“Piano, piano. Rallenta, prima che il
cervello ti vada in ebollizione.”
“Mi ha portato da Juliette.”
“Buon gustaio il ragazzo. Ottima scelta,
no?” Chiese bevendo un po’ del suo tè.
“Sì, per l’amor
del cielo. Forse quella è stata l’unica parte della serata che è andata
bene. Camminare per il quartiere italiano mi ha tranquillizzato
anche se giravamo per strada mano nella mano in mezzo a tutta quella
gente. È stato il resto che mi ha fatto stare male..”
Posai il bicchiere sul tavolino davanti a noi, tolsi le scarpe e mi raccolsi le
gambe al petto, quasi per proteggermi.
“È andata così male? Tutto pensavo di Nick, ma non che fosse un imbranato negli
appuntamenti.”
“No, ci sa fare. Almeno, di solito.
Questa sera è stato strano. In
macchina mi ha baciato la fronte e al ristorante la guancia. Di solito quando
siamo da soli si spinge un po’ più in là.”
“Questo l’avevo capito, visto come eri
stravolta quando ti ero venuta a prendere a casa sua.”
“Si notava così tanto?”
Annuì con un cenno del capo deciso.
“Cazzo. Comunque stasera che doveva
essere un appuntamento non si è avvicinato di un centimetro.”
“È stato solo questo?”
“No, il meglio arriva adesso: ad un certo punto gli è squillato il cellulare; Lily voleva
che tornasse a casa e lui ha riattaccato dicendo ‘Arrivo tesoro, fammi salutare il mio amico che se no non mi vuole più
bene.’ È stato umiliante.” Mi sentivo nuovamente desolata e quella frase si
ripeteva nella mia testa all’infinito. Ripresi il mio bicchierone e bevvi una
lunga sorsata, che scese veloce nella mia gola causandomi un brivido.
“Evidentemente non ha ancora detto niente
a Lily di te.”
“Quello mi sembra chiaro.” Sorrisi
amaramente.
“Non credo che sia una situazione facile
per lui. Lily è molto gelosa del suo papà e lui ne è consapevole. Fai anche
conto che lei vive con lo spettro di una mamma che non c’è più. Come dovrebbe
fare lui a dirle che sta cercando di conoscere un’altra donna?”
“Perché deve essere tutto così
complicato?”
“Beh, ti sei scelta un padre single, che
ti aspettavi?”
“Forse devo lasciar
perdere e dimenticarmi di lui.” Conclusi, bevendo un altro po’ del mio tè.
“Non credo tu lo voglia veramente.
Insomma, se ti sei lasciata convincere senza combattere per vestirti carina
stasera, vuol dire che ti interessa davvero. Anche se
magari non lo vuoi ancora ammettere.”
Distolsi lo sguardo da mia sorella, non
volevo che mi leggesse dentro, come riusciva a fare ogni volta che fissava i
suoi occhi verdi nei miei. Mi concentrai sulle stelle e per un attimo cercai di
contarle, ma poi rassegnata ammisi: “Sì, okay, lo ammetto: mi
interessa, ma non sempre si può avere tutto quello che vogliamo. No?”
“Lui è disponibile, quindi perché non
tentare?” Asserì, scrollando le spalle.
“Perché so già che non ne uscirò
indenne.”
“Chi ha detto che tu debba uscirne? Non
essere sempre così negativa, Ellie.”
“Tu non ne sei uscita bene dalla storia
con Percy.”
“Non vuol dire che a te spetti la stessa
fine. Magari sarai tu a spezzare il suo cuore.”
“Spero di no,
poveretto. Penso che la vita sia stata già abbastanza crudele con lui,
forse non dovrei mettermi anche io a contribuire.”
“Lascia decidere a lui se sei una componente positiva, o meno, della sua vita. Secondo me sei
abbastanza matura perché ne parliate voi due a quattr’occhi; lui sicuramente lo è. Ormai posso permettermi di dire di conoscerlo bene;
non al livello di Logan e Tom, ma quasi.” La sua affermazione mi fece
riflettere. Se lo conosceva bene come diceva, come mai non l’avevo mai sentita
parlare di lui, prima?
“Posso chiederti una cosa?”
“Certo.”
“Come mai non hai mai parlato di Nicholas
a casa?”
“Perché non c’era niente da dire. Quello
che ci dicevamo doveva rimanere tra di noi. Sapevo quanto per lui fosse
difficile condividere con me il suo dolore all’epoca, per cui ho pensato che
parlare a casa delle sue tragedie non fosse giusto. E
poi io mi occupo di Lily per lavoro, non di lui. Le confidenze da amica le
tengo per me, come te per Ashley.”
“Sì, ma insomma. La situazione è un po’
diversa. Non hai nemmeno parlato di Lily.”
“Ti sbagli. A volte parlo di lei, solo
che non l’hai mai notato prima.”
“Se mi avessi parlato prima di lui,
magari non mi troverei in questa situazione…”
“Sei in errore ancora una volta, secondo
me te ne saresti innamorata ancora prima di conoscerlo.” Mi fece l’occhiolino e
si alzò dal dondolo. “Vado a letto adesso. Non ti
crucciare troppo che non è successo niente. Finché lui non parlerà con Lily,
sarà routine. Devi farci l’abitudine; sua figlia è la cosa più importante per
lui. Questo non lo puoi cambiare.”
Annuii con un
semplice cenno del capo e seguii con lo sguardo il profilo di mia sorella,
finché non si chiuse la porta alle spalle. Rimasi ancora un po’ a osservare
le stelle e poi mi diressi in camera senza far rumore.
Ripercorsi il mio
discorso con Alice nella mente, una volta sotto le coperte. Non aveva tutti
i torti: dovevo parlare con lui a quattr’occhi, ma che gli avrei detto? Che mi
sarei tirata indietro per le troppe responsabilità?
Ero davvero io quella codarda che non
lottava per quello che voleva?
No, assolutamente. Ero sempre stata
combattiva e la maggior parte delle volte ne uscivo vittoriosa; e allora perché
questa volta ero spaventata da morire?
Forse sentivo il peso delle
responsabilità che si sarebbero presentate, se entrambi avessimo
deciso di buttarci in quella relazione.
Forse ero spaventata dalla possibilità di
provare qualcosa di nuovo, che per il mio pessimismo sul fronte amoroso,
sembrava destinato al fallimento.
O forse ancora sentivo il peso delle
bugie che avrei raccontato almeno per un po’ ai miei per vedere Nick. Avrei
dovuto far cambiare idea a mamma prima di parlare a casa di lui; certo avevo
l’appoggio di Alice, ma non era la stessa cosa.
Stremata dalle mie riflessioni, mi
addormentai stringendo tra le dita il mio piccolo scacciapensieri.
La nottata passò tranquilla e al
risveglio ero anche abbastanza riposata, un po’ spenta rispetto al solito, ma
ero pur sempre funzionante.
La mattinata a scuola passò veloce e al
momento della pausa pranzo, vedendo il menù esposto mi passò la fame
immediatamente.
MENU
DEL GIORNO: PRANZO ALL’ITALIANA.
-Primo: Pasta alla
carbonara.
-Secondo:
Cotoletta alla milanese.
-Contorno:
Caprese.
-Dolce: Tiramisù
di fragole.
-Frutta: Agrumi
siciliani.
Qualcuno lassù si stava forse divertendo
a prendersi gioco di me, oppure era uno scherzo bello e buono; fatto sta, che
il mio stomaco si chiuse e mi tornò in mente la frase di Nick. ‘Arrivo tesoro, fammi salutare il mio amico
che se no non mi vuole più bene.’
Presi una misera arancia e mi diressi
senza appetito al tavolo, dove trovai una Ashley
sorridente che mi aspettava.
“No, Ash. Non ho niente da raccontare.
Possiamo non parlare del mio non-appuntamento di ieri sera?”
Dovevo averla spiazzata, perché allarmata
mi fissò per un paio di secondi prima di sorridermi affettuosamente e cambiare
argomento.
“Baby, sai che giorno è
oggi?”
“Lunedì. Perché?”
“Oggi è il grande giorno! Sono aperte le
iscrizioni per il camp estivo dei Red Sox.
Inizia l’ultima settimana di luglio e dura tre settimane. Io non ho speranze di
entrarci, lo sai, ma tu dovresti provarci!”
“Ti prego, dimmi che hai con te la
domanda d’iscrizione.”
“Ovviamente, per chi mi hai presa? Ho firmato anche il tabellone degli interessati
al progetto a nome tuo. Ho scritto Elena Rinaldi a
caratteri cubitali”
“Piccola Basil, io ti adoro!” Avevo un sorriso a trentadue
denti quando mi porse il piccolo fascicolo.
Tirai fuori una penna dallo zaino e
iniziai a compilarlo dimenticandomi di tutto il resto. Aspettavo quel momento
da almeno un anno. Da quando quella squadra professionistica aveva aperto le
iscrizioni anche alle ragazze.
Grazie a quel camp
avrei potuto fare due settimane di allenamenti e l’ultima, se fossi risultata tra i più bravi nuovi talenti del baseball, avrei
potuto giocare una partita d’allenamento con la squadra titolare.
Riempii tutti i campi richiesti e con gli
occhi che brillavano annunciai ad Ash
che mi sarei diretta in segreteria per consegnare la mia application.
“Dimentichi un dettaglio. La firma di un
genitore.”
“Cazzo.” Iniziai a mordicchiarmi le unghie nervosa. “Se non la consegno adesso rischio di non
essere più tra i primi. Io devo essere in quell’elenco, cazzo.”
“Non avrai intenzione di..?”
“Sì.”
“No, Ellie. Non
puoi. Questa non è una circolare dell’istituto, non puoi falsificare la firma
di tuo padre. Ci sono in ballo delle responsabilità in questo caso. Bisogna
pagare anche 400 dollari di iscrizione.”
“Oh andiamo. Sai che quei soldi li sto
mettendo da parte da un anno. Sono soldi miei.”
“Lo so, ma sono le regole. Io non posso farci niente.”
“Ok, allora chiamo papà, adesso.” Mi
alzai dal posto digitando il numero di mio padre, pregando in una sua pronta
risposta.
“Elena?
Va tutto bene?”
“Perché ogni volta che ti chiamo pensi chi ci sia qualcosa che non vada?”
“È
il mio dovere di padre preoccuparmi.”
Iniziai a camminare avanti indietro in
pochi metri e a rigirare i miei capelli tra le dita. “Ti ho
chiamato perché devo chiederti un favore grande. No, di più:
grandissimo. E prima di dire di no, per favore, pensa che mi faresti davvero,
davvero contenta.”
“Elena
cosa hai combinato?”
“Niente ancora. Lo
giuro!”
“Allora
dimmi: cosa posso fare per renderti davvero, davvero felice?” mi scimmiottò.
“Permettimi di andare al camp estivo dei Red Sox.”
“Figlia
mia, è un anno che parli di questo benedetto camp. Non possiamo
discuterne stasera a cena con anche la mamma?”
“No papà, non capisci. È urgente. Devo
consegnare l’iscrizione al più presto.”
“E
vuoi una risposta sui due piedi?”
“Sì, ti prego papà, per favore per
favore.”
“Ma anche se ti autorizzo adesso, come fai a portare i moduli
firmati? Dobbiamo firmarli o io o mamma.”
“Li firmo io.”
“Sì,
ok. Devi firmare anche tu, ma ti serve comunque la firma di un genitore.”
“Non hai capito: faccio io anche la tua
di firma. Ti ho chiamato per questo. Voglio il tuo permesso per falsificarla,
qui al momento.”
Dovevo averlo spiazzato perché sembrò
annaspare prima di rispondermi. “E tu
sapresti falsificare la mia firma?”
“Papà, chiunque saprebbe falsificare la
tua firma: sono il tuo nome e cognome in semplice corsivo.”
“Non è questo il punto, Elena. Almeno dimmi che non l’hai fatto
prima.”
“Quindi mi stai
dicendo che posso farlo adesso? Ti prego, ti prego,
ti prego!” Sorvolammo entrambi quella domanda.
“Dovrei
parlarne con la mamma.”
“Ti prego, papà.
Sai che desidero andare a questo camp. Non parlo di altro da più di un anno ormai! Ti prego, ti prego.”
Mio padre rimase a contemplare le sue alternative per un po’, finché sollecitato nuovamente dalle
mie preghiere, si convinse.
“D’accordo,
hai il mio permesso, ma almeno non usare la stessa penna, come se me l’avessi
fatta firmare in un altro momento.”
“Sei furbo, papà. Grazie dell’idea.”
“Sono
stato giovane anche io, Ellie.
Cosa credi? Io addirittura stropicciavo un po’ il
foglio. Comunque promettimi di non firmare più a nome mio senza dirmelo.”
“Promesso! Grazie mille papà, ti voglio
bene.”
“Anche io, piccola testarda. Ci vediamo stasera a casa.”
Riagganciai troppo entusiasta e pronta a
seguire le direttive di papà per poi correre a consegnare il modulo compilato.
***
“Ciao, Nick!
Sono Ash, l’amica di Elena (non fare il finto tonto,
sai chi sono :P ). Ma-per caso, eh! - devo farti picchiare
da Logan per la tua scarsa disciplina? Ahahaha
Scherzo, dai. Siccome sono molto brava e ho il cuore tenero, ti consiglierei di
fare una capatina al campetto del liceo, verso le 18.
Forza,
Capitano!È il momento di tornare in
campo e vincere, ovviamente!
Ashley”
Rilessi quel messaggio una decina di
volte, sorridendo per la dolcezza di quella ragazzina.
Che coraggio! Cominciavo a capire il
perché Logan ne fosse così stranamente attratto. Oltre ad essere bella aveva
anche carattere.
“Nick, non per essere stronzo, ma potresti
passarmi quel dannato mattone? Sai, non vorrei che questa leggerissima trave mi cada in testa!”
Lasciai scivolare il cellulare nella
tasca dei miei vecchi jeans da lavoro, ritornando concentrato e operativo.
Marcus aveva ragione; ero stato assente
per quasi tutta la giornata, rischiando anche di cadere da un’impalcatura.
Guardai l’orologio, come se non potessi
farne a meno, e il mio collega mi regalò un altro insulto e una pacca poco
amichevole sulla spalla.
Mancavano due ore alle 18
e un’ora e mezza alla fine di un’altra lunga e afosa giornata di lavoro.
Era un monotono e ordinario martedì
pomeriggio e poco importava se era passato un intero giorno da
quell’appuntamento; il mio cuore non era tranquillo. I ricordi e le sensazioni
della domenica precedente, non mi avevano ancora
abbandonato.
Mi sentivo vuoto; deluso da me stesso e
dal destino.
Non avevo minimamente immaginato che
l’appuntamento con Elena potesse finire in quel modo. Ma
d’altronde cosa avrei potuto fare?
Lily aveva bisogno di suo padre ed io ero
corso subito da lei. Era normale, legittimo; eppure mi sentivo in torto nei
confronti di Elena.
Lei meritava di più, lo sapevo bene, ma
non riuscivo a lasciarla andare… Per giunta, l’avevo sognata nelle ultime notti
e solo l’idea di dirle addio in sogno, mi faceva attorcigliare lo stomaco su se
stesso.
Perché non poteva essere più semplice?
Lily stava incominciando a farmi preoccupare;
ogni volta che uscivo di casa, mi chiedeva di tornare
presto da lei. Non si era mai comportata così, ed io stavo rischiando un
esaurimento nervoso.
Cosa stava succedendo?
Lily aveva forse scoperto qualcosa di me
ed Elena? D’altronde, se lei aveva incominciato a fare tutti quegli incubi e
quei capricci anche quando la portavo all’asilo, non potevo certamente dare la colpa a qualche mal di stomaco anomalo. Lily non
stava bene; non a livello fisico, ma mentale.
Però dovevo pensare anche ad Elena.. Anche lei, ci potevo scommettere, stava
soffrendo. Magari in modo diverso, ma mi sentivo egualmente in colpa: facevo
stare male Lily e di conseguenza ne soffriva anche Elena.
Non ne combinavo davvero una giusta…
Per fortuna, le ultime ore di lavoro
passarono velocemente e feci un sospiro di sollievo
quando mi misi al volante del mio pick-up.
18.01
Un minuto di ritardo.
Tirai il freno a mano e mi catapultai
fuori dall’abitacolo più velocemente possibile. Ero ancora vestito da lavoro
con i jeans chiari mezzi stracciati e la maglietta grigia sporca di polvere. Ma poco importava. Dovevo parlare urgentemente con Elena.
Calpestai dolcemente – per quanto possibile
dalla mia andatura veloce – l’erba che delimitava il campo da baseball e la
sensazione che mi pervase era simile al calore che attanaglia il cuore quando
varchi la soglia di casa, dopo un lungo e stancante viaggio.
Alzai lo sguardo verso l’alta recinzione in ferro e vi intrecciai le dita, sorridendo.
Ecco la fonte delle
mie recenti preoccupazioni con indosso solo dei pantaloncini, una maglietta
larga e un cappellino da baseball. Qualunque cosa indossasse, sembrava
fatta su misura per il suo fisico slanciato e longilineo. Santo
cielo, quanto avrei voluto sfidarla un po’ a baseball, solo per prenderla in
giro e toccarle distrattamente i capelli dorati, la vita sottile e le braccia
forti.
Approfittai della mia posizione per
osservarla in silenzio. Era di spalle e non si sarebbe accorta di me per di
diversi minuti.
Era bella; cristallina come l’azzurro di
quel cielo estivo.
Mollai così la recinzione che ondeggiò
leggermente e, con un respiro profondo,ritornai a solcare la terra rossa e
solida del mio vecchio campo da baseball. Era come se i miei piedi non avessero
mai dimenticato la sua consistenza.
Lei, ancora di spalle, si accorse di me
solo quando pochi passi ci dividevano.
Si voltò infastidita, ma quella smorfia
sfumò facilmente in un’espressione di stupore dopo avermi riconosciuto.
“E tu cosa ci fai qui?”
Le sorrisi, alzando gli occhi verso il
sole accecante. “Sono venuto a schiarirmi le idee.”
Elena aggrottò le sopracciglia,
giocherellando con il guantone e la palla. “E stranamente il tuo schiarirsi le idee comprende la mia
presenza?”
Il suo tono era… triste. Così inesorabilmente triste ed
amaro da farmi attorcigliare lo stomaco su se stesso. Sembrava che tutto il peso
del mondo si fosse posato poco elegantemente sullo sterno e si divertisse a
comprimerlo fino a ridurlo in misera poltiglia.
Volevo respirare senza sentire i suoi
occhi pungermi come mille aghi.
“Scusami.”
I suoi occhi si assottigliarono. “Per
essere un padre esemplare? Ti stai scusando per questo,
Nicholas Moore?”
Fece un passo indietro, abbandonando la
palla e il guantone sulla seconda base.
I suoi occhi non mollarono un attimo i
miei.
“No, Elena; scusami per averti ferito,
per non poterti offrire niente di più. Scusami se non sono quello che pensavi;
il capitano dei Lions che ammiravi, purtroppo sono solo un uomo con tutti i suoi molteplici difetti. Non
sono perfetto; nessuno lo è, quindi potremmo partire dalle nostre imperfezioni
per plasmare qualcosa che sfiori – anche distrattamente - le linee della
perfezione.”
Presi una pausa, avvicinandomi di un
passo.
Lei non fiatò; quasi non respirò, ma
continuò a fissarmi intensamente.
“Lily è mia figlia, una sfumatura
indelebile della mia vita che continuerà colorare le giornate grigie del suo
papà. La amo, l’adoro ed è tutto ciò che posso e voglio trovare quando torno a casa la
sera. Non so se capirai, ma ogni volta che vedo un suo sorriso o che ricevo una
sua carezza, io sono felice. Mi riempie, mi fa sentire migliore e niente e
nessuno potrà sostituire quello che provo per lei con qualcosa di vagamente
simile.”
Lei incrociò le braccia, ma non stava
cercando di allontanarmi; semplicemente si proteggeva dalle mie parole.
“Non ho mai voluto prendere
il suo posto.”
Era un sussurro, un’ammissione, ma il suo
tono era fermo, come se volesse evitare di farsi vedere indifesa da me. Ma il
suo petto si muoveva più velocemente, le mani tremavano leggermente e i suoi
occhi, fin troppo lucidi, non riuscivano ad essere
duri e seri come sperava.
“Ma tu vuoi il mio cuore, almeno una
piccola parte di esso, esattamente come io voglio
insinuarmi nei tuoi pensieri, sogni ed emozioni. Vorrei conoscerti meglio;
lasciare cadere quella maschera di forza e ostentata ironia che mostri al mondo
per non farti scoprire fragile ed insicura. Elena, io
non posso essere il ragazzo di diciotto anni con il quale fare esperienza e poi
lasciare appena arriverai al college. Sono così drammaticamente serio che sto cercando una donna con cui condividere più di semplici
baci, flirt e strusciatine nei corridoi scolastici; sto cercando qualcuno da
amare, portare a pranzo dai miei la domenica e con la quale andare a vedere le
recite della mia bambina, senza sentirmi sempre inadeguato, perché sono un
padre single. Non sto chiedendo la tua mano, non sono così superficiale, ma sto
chiedendo il tuo cuore e la tua fiducia. Tu meriti di non essere usata, come
nemmeno io merito di essere illuso e abbandonato per un ventenne universitario
che sfoggia giovinezza, sogni e aspettative che io ho
già messo da parte da un pezzo. Non sono il principe azzurro e non sono
perfetto. La cena di domenica purtroppo non sarà né la prima né l’ultima che potrebbe venire interrotta da mia figlia. Se sono qui oggi è perché… Beh è perché voglio sapere se tu sei
abbastanza forte da accettarmi lo stesso. Se non fosse così, non mi offenderò.
Sono grande abbastanza per non prendermela con gli altri, quando le colpe sono
solo mie.”
Mi accorsi solo in quel momento che mi
era venuto il fiatone. Erano anni che non mi sfogavo in quel modo; che non
mettevo tutti i miei dubbi e frustrazioni davanti agli occhi di qualcun altro
oltre che ai miei.
Mi sentivo, però, anche leggero e
appagato.
Avevo detto quello che volevo e speravo
che la mia sincerità bastasse a convincere anche lei.
“Ecco…” Elena si schiarì la voce,
rimanendo con le labbra socchiuse e umide.
I suoi occhi luminosi e caldi mi
sorrisero, proprio come le sue labbra.
“E ora perché sorridi? Sono
così buffo?”
Ero indispettito.
“Sei il primo ragazzo che parla
liberamente di sentimenti, fiducia e dolori senza sviare l’argomento o senza
fare il macho della situazione… Sono decisamente senza
parole, sei stato così chiaro e deciso, che mi hai quasi intimidita. Quasi,
ovviamente; non è ancora nata la persona che può farmi stare zitta a lungo.” Sorrise mostrando sfacciatamente i denti e facendomi
scioglierei in una risata leggera.
Dov’era finita tutta la tensione
precedente?
Elena aveva un dono strano e decisamente destabilizzante per me: sapeva farmi ridere e
rilassare solo con i suoi sorrisi e la sua fastidiosa - quanto dolce - ironia.
Feci di nuovo un passo verso di lei, ma
questa voltanon
si ritrasse.
Alzò di nuovo il viso e mi sorrise.
“Nicholas Moore, accetto le tue scuse e
devo ammettere che è difficile starti lontano… Sei un ragazzo pulito, simpatico
ad intermittenza e non parli di football tutto il
giorno.. Beh, sono punti a tuo favore, no?”
Scossi la testa, passandomi una mano tra
i capelli. Voleva esasperarmi, accidenti!
“Stai dicendo che mi apprezzi perché mi
lavo?”
Lei arricciò il naso, colpendomi al petto
con la sua tenerezza.
“Sì, può darsi…” Mi fece l’occhiolino,
scoppiando a ridere.
Forse era imbarazzata davvero e l’avevo
spiazzata più di quanto credessi.
“Scommetto che sei imbarazzata, Ciliegina.”
Lei si fermò con in
mano una ciocca di capelli che era sfuggita dal capellino.
Le sue guance si imporporarono
e io sorrisi gongolante.
“Anche tu non sei Mr
Disinvoltura in questo momento.”
Portai due mani avanti, in segno di resa.
“Touché.”
Lei sospirò rumorosamente, intrecciando
le dita delle mani.
“Posso essere sincera, Nick?”
Mi riscossi dai miei pensieri, annuendo.
Lei mi guardò brevemente, prima di
perdersi nella contemplazione del campo intorno a noi. Si portò
due mani intorno al busto, proteggendosi forse dalle sue stesse parole.
“Mi sento sempre strana con te, troppo strana. A volte non mi riconosco e ti confesso che il tuo
modo di starmi vicino, mi terrorizza. Aspetta, non sto dicendo che ho paura di
te; ma sono intimorita da quello che provo quando ti sono vicina. È
elettrizzante ed anche eccitante! Come la sensazione
che ti ingarbuglia lo stomaco prima di salire sulle
montagne russe. Ecco, io mi sento sempre così e il fatto di non aver ancora
scoperto come ci si sente dopo, riesce a bloccarmi e fermarmi sempre. Non
voglio farti soffrire, ma non voglio nemmeno soffrire
io. So perfettamente che Lily sarà sempre tua figlia e soprattutto: sarà sempre
presente nella tua vita. Non voglio prendere il suo
posto, ma voglio sentirmi importante… Voglio…” Sì fermò, guardandomi con gli
occhi lucidi ed emozionati. “Voglio essere importante per te.”
Prima che potessi esprimere ciò che mi
passava per la mente - dopo quelle parole così destabilizzanti -, lei riprese a
parlare.
“Ecco, lo sapevo che stavo dicendo troppe
stronzate!”
Non riuscii a capire molto, visto che
Elena si era voltata improvvisamente e se ne stava andando via.
Ma
che cosa…
“Elena?”
Cominciai a camminarle dietro.
“Vattene via! Non so cosa farmene delle tue
prese per il culo!”
Scossi la testa, sorridendo.
“E perché mai dovrei prenderti in giro?
Elena, ti vuoi fermare?”
“NO!”
Incominciò a correre, ma non arrivò
lontano. Ero più veloce, più allenato e più motivato di lei. La raggiunsi
all’istante, intrappolandola tra le mie braccia.
Cercò di liberarsi, ma capì subito che
era una lotta impari.
“Lasciami andare.”
“No.”
“Nick.”
“No.”
“Dai..”
“No!”
La rigirai tra le mie braccia, troppo
incredulo e allo stesso tempo arrabbiato per quella fuga stupida. “Dove credevi
di andare?”
Lei cercò di spintonarmi
con le mani sul mio petto. “Ad Honolulu! Senti, ti
conviene lasciarmi andare, altrimenti…”
Sollevai un sopracciglio senza riuscire a
togliere l’espressione seria dal mio volto.
“Altrimenti?”
Elena assottigliò lo sguardo. “Potrei
farti molto male, Moore.”
Sospirai, stringendola più forte.
“Mai quanto ora.” Quella frase era decisamente sfuggita dalle mie labbra e fece irrigidire sia
me che lei.
Smise di spintonarmi,
alzando lo sguardo.
“Nick…”
Le baciai la fronte, sopraffatto dagli
eventi, le parole, l’emozioni.
“Non voglio una dichiarazione d’amore,
scema. Non devi vergognarti di dirmi certe cose.”
“Non sarò mai quel tipo di donna.. Non sarò accondiscendete, carina e tutta miele e zucchero.
Sono abituata a contare sulle mie forze e a dedicare tutte le giornate a me
stessa e alle mie passioni. Non so se posso farcela.”
Una mia mano abbandonò la sua vita,
accarezzandole poi lentamente una guancia.
Sospirai di nuovo.
“Non ti sto chiedendo di sposarmi, né di
farmi da tata.”
Lei alzò gli occhi al cielo. “E cosa vuoi
da me, allora?”
“Conoscerti.” Sorrisi. “Voglio essere importante per te.”
“Bastardo.” Ma ricambiò il mio sorriso ed
io avvicinai le labbra alla punta delsuo naso, accarezzandolo pigramente.
“Perché ti eri
arrabbiata domenica quando avevo detto che stavamo insieme?”
Lei si irrigidì,
un po’ per quel bacio stranamente intimo e inaspettato; un po’ per quella frase
scomoda.
“Perché non era vero.”
Sollevai un sopracciglio, ancora
scettico. “Solo per quello?”
“No.”
Le tolsi il berretto, gettandolo a terra
e le accarezzai i capelli. “Allora?”
Mise il broncio prima di rispondere : “Perché poi hai ritrattato e mi hai pure chiesto scusa! O
sei convinto o non lo sei! E poi mi hai definito come un amico.. Un amico? Con tette e armamentario vario? Va bene che sono un maschiaccio, però…”
Le sollevai il mento e la baciai
d’istinto.
Quella ragazza così forte e decisa nascondeva
mille sfumature di debolezze e fragilità che non avevo minimamente preso in
considerazione.
Nonostante mi avesse insultato, evitato e
quasi minacciato di picchiarmi, portò le mani sul mio viso, avvicinandomi a sé.
Aveva bisogno di me, delle mie parole e
rassicurazioni, proprio come ne avevo bisogno io stesso.
Le solleticai il palato, mordicchiai le
labbra morbide e respirai con lei l’aria fresca della sera che scendeva
lentamente.
“Sei sleale, Moore.”
“Mai quanto te. Mi hai costretto a farti
tacere con la forza.”
Le nostre voci roche non suonavano
minimamente minacciose. I nostri occhi sorridevano proprio come le nostre
labbra.
“Quindi…” Mi
schiarii la voce, emozionato. “Tutto risolto?”
“A quanto pare…” Lei mi diede una spinta giocosa, sciogliendo l’abbraccio.
Era così bella.
“Amici come prima?” Enfatizzai.
“Spero di no!” Sorrise, senza riuscire ad
arrossire.
“Ci stiamo frequentando.” Le feci
l’occhiolino, mentre lei rialzava gli occhi al cielo.
“Va bene, MrPerfettino-Moore. Ci stiamo frequentando.”
“E mi sembra ovvio che sia un rapporto
esclusivo…”
Lei aggrottò le sopracciglia. “Cioè?”
Abbassai la voce, sussurrandole
lentamente all’orecchio : “Che frequenterai solo ed
esclusivamente me.”
Elena scosse la testa, disperata. “Quanto sei insistente! Saresti geloso,
eh?”
Feci spallucce. “Forse.”
Dopo pochi minuti nei quali l’aiutai a raccogliere le sue cose, per riaccompagnarla a
casa, mi ricordai improvvisamente delle ripetizioni.
“Elena, quando hai voglia e tempo, puoi
chiamarmi per le ripetizioni.”
Rimase in silenzio qualche minuto, pensierosa.
“Ok, andrebbe bene per te il sabato
pomeriggio? In settimana tra gli allenamenti e i compiti, non so proprio come
fare.”
Sorrisi. “Perfetto
direi. Sabato sono a casa dal lavoro. Vuoi venire da me? Posso portare
Lily dai miei oppure tenerla lì con noi.. Di solito
gioca tranquilla o guarda i cartoni animati.” Era speranza quella che
traspariva dal mio tono? Probabilmente, sì.
“Può rimanere con
noi. Forse in questo momento ha bisogno di sentirti vicino.”
Aveva dannatamente ragione.
“Già. Magari sei tu ad aver paura di
rimanere sola con me…”
Lei sorrise, senza rispondere. “Forza,
Nick; andiamo.”
Così la riaccompagnai a casa, sostando
come al solito qualche metro di distanza da casa sua.
Prima di scendere, però, mi stupì con un
bacio leggero e dolce, lasciandomi con un’espressione da ebete sul viso.
“A sabato,
allora.”
“A sabato, Ciliegina.”
La vidi scomparire dietro le aiuole colorate e ripresi a guidare verso casa.
Quel pomeriggio per quanto burrascoso e
complicato fosse stato all’inizio, si era concluso nei
migliori dei modi.
Sorrisi ancora assaporando con la mente i
baci e il lungo abbraccio che ci aveva avvicinato non solo fisicamente, ma
anche mentalmente.
Sospirai e mi resi conto che non vedevo
l’ora che arrivasse sabato.
Il bello non era ancora arrivato.
Me lo sentivo.
____________________
Buona seeeeeeeeeeeeeeeeeera!
Eccoci di nuovo qui con il capitolo! Sono
passati solo (come siamo
simpatiche xD) dieci giorni dall’ultimo
aggiornamento! Purtroppo, però, non sappiamo quando arriverà il prossimo visto che siamo in piena sessione d’esame L
Tornando a noi, direi che questo capitolo
parla da sé. Nick si sbilancia di più, Elena comincia a capire di essere
davvero interessata al nostro papy single e beh.. Direi che stiamo entrando nel vivo della storia.
Chissà cosa potrebbe succedere durante le
ripetizioni… E Lily, invece? Nick ne parlerà con lei?
Uuuuh, ne vedrete
delle belle! :D
Intanto noi vi ringraziamo davvero,
davvero, davveeeero tantissimo! Siete dolcissime e siamo troppo contente delle ultime recensioni! Rispondiamo
in questi giorni, promesso!
Ora vi lasciamo; augurandovi un caliente
sabato sera e mi raccomando: non bevete troppo :P