Possibilità

di Il_Genio_del_Male
(/viewuser.php?uid=81001)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Possibilità ***
Capitolo 2: *** Partenza ***
Capitolo 3: *** Suocera - parte 1 ***
Capitolo 4: *** Suocera - parte 2 ***
Capitolo 5: *** Preludio ***
Capitolo 6: *** Auguri! ***
Capitolo 7: *** Quindici anni dopo ***



Capitolo 1
*** Possibilità ***


RATING: Giallo.

GENERE: Commedia, Romantico (?).

PAIRING: Sherlock/John.

AVVERTIMENTI: Fluff (giusto un pizzico), Slash, What if?

DISCLAIMER: I personaggi non mi appartengono, né i diritti della serie (ahimè) che vanno tutti alla BBC. Non guadagno niente dalla mia attività di fangirlamento compulsivo.

DEDICA: A Moffat e Gatiss, perché sono degli slashers in incognito e ci hanno regalato un telefilm meravigliosamente brillante e ambiguo; a Martin Freeman, che è un John Watson perfetto; a Benedict Cumberbatch, perché è un attore straordinario -nonché figo da paura.

NOTE: Ehm, buonsalve a tutti! *scuote la chioma senza un perché*

Avete capito bene: sono tornata, e con me pure la famiglia Watson-Holmes al completo, zia Harry, il duo di architetti d’interni Greg & Myc, Mrs. Hudson e chissà quali altri personaggi, già noti o frutto della mia fantasia malata. Premetto che, a parte qualche obiettivo che mi sono posta, non ho la minima idea della direzione che questa seconda long prenderà, né da quanti capitoli sarà composta. Naturalmente sono sempre curiosa di ascoltare i vostri pareri, sicché se avete suggerimenti, spunti e osservazioni da fare siete i benvenuti.

Ai nuovi lettori: come avrete capito dall’introduzione, questo vuole essere il seguito di un’altra mia storia (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=937909&i=1) che è necessario leggere -se non altro per capirci qualcosa.

Ah, prima che me ne dimentichi: vi lascio il link (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1045093&i=1) di una OS che fa da prequel/spin-off all’intera saga, chiamiamola così.

Buon divertimento (si spera)!

 

 

 

 

 

Mancavano poco meno di due mesi al matrimonio (che, a causa della supervisione da parte della strana coppia Harriet e Mycroft, si preannunciava pericolosamente faraonico) quando un sera, messi a nanna i bambini, John decise di affrontare una questione alquanto delicata con il futuro marito.

“Sherlock”, esordì, “c’è una ragione specifica per cui non ho ancora conosciuto i tuoi genitori?”

L’interpellato si liberò della vestaglia, sotto cui non indossava nient’altro, e la lasciò cadere ai piedi del letto. Poi si infilò sotto le coperte senza proferire verbo.

“Tu e la tua pessima abitudine di dormire completamente nudo con questo freddo” borbottò il dottore, tremando impercettibilmente quando un piede gelido dell’altro gli sfiorò il polpaccio.

“Pessima, dici? Eppure sembri apprezzarla ogni notte di più” si decise finalmente a parlare Sherlock, con l’imperturbabilità di chi si limita a constatare un dato di fatto.

“Veramente sei tu l’attivo prepotente e incontenibile che mi salta addosso non appena abbasso la  guardia” tentò di protestare in modo molto poco assertivo.

Una mano pallida del detective scivolò in basso, verso la zona sudombelicale di John.

“Ah-ah” sedò sul nascere quel tentativo di amoroso assalto. “Vedi che ho ragione? Sei sleale”.

“Perché? Sto solo cercando di sedurti” si voltò a guardarlo.

“Evitando di rispondere alla mia domanda, Sherlock” precisò amabilmente l’altro. “Ti conosco”.

Il detective si prese alcuni secondi per ponderare le parole del compagno. “No” disse poi.

“No cosa?”

“No, non c’è un motivo in particolare per cui non ti ho presentato a coloro che mi hanno messo al mondo… Se si esclude il fatto che mio padre è morto precocemente più di dieci anni fa”.

“Oh. Non ne ero al corrente, scusami” balbettò, imbarazzato per la gaffe commessa.

“Non agitarti, sono cose che capitano e tu ne sai qualcosa” mormorò Sherlock tranquillamente.

“E tua madre, invece?” John si affrettò a domandare. Non amava discutere di genitori defunti anzitempo, proprio perché c’era passato anche lui.

“E’ più instabile del mercurio” ribatté seccamente il detective.

“Intendi dire che ha dei problemi mentali?” si informò con quanta più delicatezza possibile.

“No, o meglio: non proprio. Certamente una qualche anomalia deve avercela, visto che Mycroft ed io abbiamo ereditato metà del suo patrimonio genetico e non siamo del tutto a posto”.

“Le somigliate molto?”

“Fisicamente sì, per quanto mi riguarda; sembro la sua copia carbone di trent’anni più giovane e con un’appendice tra le gambe. Mycroft invece ha preso la corporatura pesante e la predisposizione alla calvizie del ramo paterno” s’interruppe, lasciandosi sfuggire un ghigno derisorio.

John assentì col capo, invitandolo a riprendere il filo del discorso.

“In realtà, ciò che nostra madre ha trasmesso ad entrambi è l’intelligenza sconfinata” asserì senza falsa modestia. “Prendi il mio cervello e quello del mio fratellone, aggiungici il famigerato intuito femminile, rivesti il tutto con tailleur immacolati e collier di perle grandi come biglie ed ottieni Caroline Margareth Victoria Spencer, vedova Holmes”.

“Spencer? Come la principessa Diana?”

“Lontana parente, pace all’anima sua” confermò noncurante Sherlock.

“Wow” esclamò il dottore, sollevando le sopracciglia. “Deve essere una donna straordinaria. Ma c’era da aspettarselo, in fondo sei suo figlio” sorrise in direzione del compagno, sperando che cogliesse l’allusione.

Inutilmente.

“John, forse non mi sono spiegato bene. Mia madre non è una donna straordinaria. Mia madre, sotto l’aspetto di una ex mannequin di sangue blu, nasconde una tempra d’acciaio e una forza di volontà seconde solo alla Regina –e non mi riferisco a Mycroft. E’ pericolosa quanto una bomba termonucleare. Credimi: tu non vuoi veramente conoscerla”. Il suo tono di voce era venato di panico, le pupille dilatate, il respiro lievemente irregolare. Non bisognava essere degli acuti osservatori per capire che si trattavano di inequivocabili manifestazioni di paura.

Sicché Sherlock Holmes, l’indomito e sregolato investigatore più famoso del Regno Unito che non guardava in faccia a nessuno, nutriva un timore reverenziale nei confronti di sua madre. Interessante.

“Sarà come dici tu, ma si tratta pur sempre dell’unica nonna che i nostri figli potranno mai vantare, nonché la mia futura suocera. E’ mio dovere incontrarla”.

 

 

 

 

Il prossimo capitolo cercherò di postarlo a breve, diciamo tra una settimana, dieci giorni circa. Fatemi sapere cosa ve n’è parso, eh! Anche le critiche sono ben accette. Ringrazio già da ora chi commenterà, seguirà, preferirà e ricorderà la storia.

Questa, se vi interessa, è la mia pagina autore su Facebook, per seguire in diretta i miei scleri (http://www.facebook.com/pages/Il-Genio-del-Male-EFP/152349598213950).

A risentirci, un bacio!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Partenza ***


NOTE: Rieccomi, con qualche giorno di ritardo ma con il prossimo capitolo già abbozzato (son soddisfazioni!). Non ho molto altro da dire, se non un grazie immenso a chi ha recensito il primo capitolo.

Buona lettura!

 

 

 

 

 

Tanto John insistette, pietì e mise il broncio che riuscì nel suo intento. Sherlock si vide costretto a cedere e mandò un sms a Mycroft, chiedendogli di avvisare in vece sua la cara mammina della loro imminente visita.

‘E’ così toccante da parte tua, Sherly. Nostra madre ne sarà felice.’ fu la replica immediata del fratello.

‘E’ proprio ciò che temo.’

‘Adesso non esagerare. Sei suo figlio, è normale che voglia riabbracciarti e conoscere John e i bambini.’

‘Come se non sapessimo entrambi che le hai mandato un dossier aggiornato completo di foto su loro quattro, Myc.’

‘Mea culpa: deformazione professionale. Era l’unico modo per tenerla informata sulla tua vita. Le manchi.’

‘Il sentimento non è reciproco, spiacente. Ho acconsentito a questa pagliacciata solamente perché John ha minacciato di fare sciopero sessuale.’

‘Oh oh, il mio fratellino schiavo degli ormoni. Chi l’avrebbe mai detto!’

‘Fa’ poco lo spiritoso e ricordati di mandare un’auto a prenderci martedì mattina alle 8.’

‘Potreste andare in treno, Brighton non è lontana da Londra.’

‘Potremmo, ma così ti giocheresti la possibilità di ricevere gratis la mia consulenza riguardo a quella faccenda con tuo marito.’

‘Per ‘gratis’ intendi farti scarrozzare quando più ti aggrada da un’auto ministeriale con tanto di autista?’

‘Ti rimborseremo le spese della benzina. Non sia mai che i soldi dei contribuenti vengano sprecati per scopi così futili!’

‘Quanto senso civico… Scommetto che è un’idea di John.’

‘Lo scoprirai solo vivendo. Mi raccomando, puntuale alle 8. Salutami Sua Maestà.’ chiuse la conversazione.

“A quale misteriosa faccenda alludevi, prima, con Mycroft?” domandò John, che aveva assistito allo scambio di sms seduto in braccio al compagno e che, effettivamente, aveva proposto di contribuire all’acquisto del carburante perché si sentiva in colpa ad approfittare impunemente della generosità del governo britannico.

“Oh, quella” ghignò il detective. “E’ una sorpresa. A tempo debito saprai tutto”.

 

 

Arrivato che fu martedì mattina, trovarono una limousine ad aspettarli sotto casa. Harriet, che di lì a qualche minuto avrebbe preso la metropolitana per recarsi al lavoro, aiutò il fratello ed il cognato a sistemare i seggiolini dei piccoli sui sedili.

“Bbella tia. Tia bbella” la omaggiò Boswell, protendendo le manine paffute verso di lei.

“Ciao, cucciolo. Fa’ il bravo e saluta la nonna da parte mia” gli sorrise.

“Vabbene. Tonniamo petto, non peoccupatti” affermò il bimbo, serissimo.

“Non mi preoccupo, tesoro, anche se mi mancherete molto” disse, accarezzandogli delicatamente i riccioli scuri e soffici come piume.

I gemelli, imbrigliati nelle cinture, gorgogliavano pacificamente. Irene agitava un sonaglio a forma di papera, deliziata dal suono tintinnante che esso produceva. Hamish, col ciuccio in bocca, cercava di toccarsi la punta delle babbucce con le dita.

“Buon viaggio, piccolini della zia” li salutò, ricevendo in risposta squittii di conferma e dei gran sorrisi sdentati. Ad Hamish cadde di bocca il ciuccio, afferrato al volo dalla sorella.

“Brava ragazza, hai gli stessi riflessi pronti di tuo papà” commentò Harriet orgogliosa.

Intanto, John era impegnato a trafficare con i bagagli, assistito dall’autista. “Sherlock, dove hai messo il borsone dei bambini?”

“Da nessuna parte. Non l’ho proprio preparato, a dire il vero” lo disilluse il detective, la custodia del violino in una mano e quella del laptop nell’altra.

“Tu cosa?”

“Non ci servirà, John. Mia madre ha fatto imbiancare la nursery e l’ha stipata di culle, fasciatoi, lettini, box ed una quantità di tutine e vestitini, pannolini, omogeneizzati e latte in polvere che farebbero la gioia di un qualsiasi neogenitore” si affrettò a spiegare con un moto di fastidio.

“E tu come fai a saperlo, di grazia?”

“Mycroft, ovviamente. Sul cellulare ho le foto che mi ha mandato via mail, se vuoi verificare con i tuoi occhi”.

“No, mi fido” mormorò John, basito. “Ma che motivo aveva tua madre di scomodarsi a tal modo? Non ce n’era bisogno, ci fermeremo a Brighton solo qualche ora.”

“E’ schifosamente ricca, annoiata e con manie di grandezza. Ti avevo messo in guardia su di lei” gli rivolse uno sguardo colmo di rimprovero. “Voleva assumere una puericultrice diplomata in Svizzera perché badasse ai bambini, e ha desistito solo quando Mycroft le ha fatto notare che saremmo ripartiti in giornata”.

“Ah. Bene” il dottore batté le palpebre, frastornato. Cominciava a capire perché Sherlock temesse colei che lo aveva partorito.

Una mano posata sulla spalla lo riscosse dallo stato di semi trance in cui era caduto. “Harriet” disse ancor prima di voltarsi. Ne aveva riconosciuto il tocco gentile ed energico.

“Johnny, devo scappare in ufficio. Vi aspetto per cena, ok?”

“Ah sì, certo. Grazie, Harry, sei un tesoro” sorrise.

“Figurati. Mandami un messaggio quando arrivate e divertitevi!”

La donna baciò sulle guance il fratello, abbracciò Sherlock e assicurò a Mrs. Hudson, affacciatasi dalla porta di casa, che avrebbe fatto un salto durante la pausa pranzo per tenerle compagnia. “Ciao!” urlò un’ultima volta prima di incamminarsi verso la fermata della Tube più vicina.

“In carrozza, signori” li esortò cerimoniosamente Alfred, l’autista, mentre aiutava Mrs. Hudson a infilare nel portabagagli un cestino da picnic ricolmo di cibarie e thermos di té “per rifocillarvi durante il viaggio, miei cari”.

L’affittuaria si commosse un poco, mentre sventagliava un fazzoletto ricamato in direzione dell’automobile che s’immetteva nel traffico.

Partiti.

 

 

 

 

Come ho già anticipato nelle note iniziali, il terzo capitolo è stato scritto. Tuttavia, poiché domenica parto per Roma e conto di rimanerci almeno cinque o sei giorni, potrebbe verificarsi un ritardo nell’aggiornamento. Portate pazienza!

Questa, se vi interessa, è la mia pagina autore su Facebook, per seguire in diretta i miei scleri (http://www.facebook.com/pages/Il-Genio-del-Male-EFP/152349598213950).

Alla prossima e un abbraccio a tutti voi!

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Suocera - parte 1 ***


NOTE: Sono in vergognoso ritardo, mea culpa! *si cosparge il capo di ceneri* Tra l’inizio della sessione estiva e un attacco di pigrizia/inedia acuta ho evitato il computer come la peste, ma adesso è ora di dire no al colesterolo e sì a Valsoia (WTF?), anche perché ‘sto capitolo ce l’avevo pronto da settimane. Ehm. Mi scuso ancora per l’attesa: parola di Lupetto, farò in modo che non si ripeta più.

Buona lettura!

 

 

 

 

 

“Chissà perché, ma questa stanza mi è familiare” sussurrò John sottilmente ironico, alludendo al divano Chippendale su cui erano stati invitati ad accomodarsi da un solerte maggiordomo, al caminetto di marmo, ai tappeti e alle stampe che abbellivano il salotto di Villa Holmes. Gli ricordavano in maniera impressionante…

“Buckingham Palace” annuì Sherlock, leggendogli nel pensiero. “A metà dei favolosi anni ‘90 la nostra amata regina si è fatta dare da mia madre l’indirizzo di Moffat & Gatiss, il migliore studio di interior design su piazza, non prima di averle cortesemente chiesto il permesso di copiare pari pari l’arredamento di casa nostra”.

“Non mi avevi detto che la tua famiglia era così intima dei reali d’Inghilterra” borbottò il dottore, un filino piccato.

“L’ho ritenuta un’informazione inutile e di scarso interesse” fu la risposta secca dell’altro.

Boswell, fino a quel momento rimasto in contemplazione della collezione di animaletti di vetro soffiato esposta su un tavolino di epoca vittoriana, si dichiarò soddisfatto e reclamò l’attenzione dei genitori. “Papà” chiamò, sgambettando verso John. “Dov’è la nonna? Ilene e Amiss si annoiano” e indicò la carrozzina alla sue spalle.

Sherlock si sporse per dare un’occhiata e dovette dare ragione al figlio: le boccucce dei gemelli erano corrucciate, gli occhi assottigliati, le manine erano strette a pugno. Minacciavano di scoppiare a piangere da un momento all’altro. “John, passami la rivoltella. Pericolo neonati urlanti e paonazzi a ore dodici” ordinò.

“Col cavolo! Non ti permetterò di brutalizzare della carta da parati il cui costo a metro quadro è pari ad un mio mese di stipendio” si oppose il compagno.

“E va bene” sbuffò il detective. “Vorrà dire che ripiegherò sul violino”.

Non ce ne fu bisogno, giacché il maggiordomo in livrea che poco prima li aveva fatti entrare comparve sulla soglia. “Lady Caroline Margareth Victoria Spencer, vedova Holmes” annunciò con un inchino rispettoso e si scostò per lasciar passare la donna.

John per poco non rimase secco dallo stupore. La versione femminile e attempata di Sherlock, con indosso uno splendido tailleur vintage che ne esaltava la silhouette, eleganti tacchi a spillo e i riccioli scuri venati di grigio perfettamente acconciati fece il suo altero ingresso nella sala. Sentendosi puntati addosso quei glaciali ed imperscrutabili occhi azzurri tanto simili a quelli del suo uomo, il dottore si affrettò ad alzarsi in piedi, trattenendosi dal rivolgerle il saluto militare. Sherlock lo imitò con un certo disagio, con Boswell in braccio.

“John -posso chiamarla per nome, vero?- carissimo, che piacere fare la sua conoscenza” trillò la nobildonna con un gran sorriso stampato in volto, e gli tese la mano.

L’improvvisa (in realtà temuta e prevista dal detective) affabilità della suocera sconcertò non poco il buon John, che si era aspettato di avere a che fare con una virago spocchiosa. Tuttavia, memore delle lezioni di galateo impostegli dalla madre buonanima quando era ancora in vita, riacquistò la piena padronanza di sé e prese la mano che gli veniva offerta per sfiorarla con un bacio leggerissimo.

“Onorato, Lady Caroline. Mi chiami come più le aggrada” mormorò.

“Oh oh oh, lei sì che sa come lusingare una signora” si sdilinquì. “Ma la prego, niente titoli nobiliari: siamo in famiglia! Mi chiami semplicemente Caroline”.

Il suo sguardo si posò sulla figura del figlio e gli occhi le si accesero di una luce calda, liquida. Commossa. “Sherly, tesoro!” esclamò, muovendo qualche passo verso di lui. Gli circondò il volto con le mani -erano quasi alla stessa altezza- e gli scoccò un bacio in fronte. “Quanto mi sei mancato, bricconcello!”

Bricconcello. John soffocò giusto in tempo una risata incredula.

“Mamma, per favore”.

“Per favore cosa, eh? Sono dieci anni che ti vedo solo in fotografia, che non ricevo una tua telefonata, che non ti sottopongo ad un terzo gra- cioè, che non chiacchieriamo come si deve e tu fai i capricci perché non sopporti le smancerie di tua madre?” si adombrò lei, dandogli dei buffetti sulle guance. “Ti perdono solo perché hai un compagno adorabile e tre frugoletti che muoio dalla voglia di conoscere, mascalzoncello che non sei altro”.

Il dottore, a quel punto, tossicchiò discretamente, evitando d’incrociare lo sguardo di Sherlock.

Caroline liberò (smise di martoriare) il viso del figliol profigo per concentrarsi sul bimbo che gli stava aggrappato addosso come un cucciolo di koala. “E chi è questo bellissimo micino?” tubò, chinandosi verso di lui.

“Bossuell, nonna” rispose lui, compito. “Acche tu sei bbella!” cinguettò, incantato dalla somiglianza tra lei e il babbo.

“Awww, che amore! E come si esprime bene” osservò lei, con gli occhi a cuoricino. “E’ identico a te, Sherly, ma ha ereditato la tua dolcezza, John caro, nonché un certo savoir-faire con le donne” ammiccò. “Dimmi, Bosie, vuoi venire in braccio alla nonna?” si rivolse al nipote.

Visto l’entusiasmo con cui il bambino accettò la proposta, Sherlock lo accontentò.

“Buonno il tuo poffumo, nonna” affermò il piccolo, strofinando il nasino contro il collo sottile della donna.

“Mi stupirebbe il contrario, tesoruccio: è Amouage, la fragranza più preziosa al mondo, creata dal Sultano Qabus dell’Oman come regalo di nozze per la sua incantevole e amatissima sposa”.

“Niente di meno” commentò Sherlock a mezza voce.

John e la madre gli rivolsero occhiate di rimprovero, e Boswell se ne accorse. “Babbo, fai il bbavo” pigolò con la franchezza dei suoi quasi diciassette mesi di vita.

“Sagge parole, figliolo” approvò il dottore. “Ascolta nostro figlio, tesoro, non fare l’antipatico”.

“Uffa” protestò lui.

“Sai, John caro, si comportava così anche da bambino” ridacchiò Caroline. Si avvicinò alla carrozzina. “Posso vedere i gemelli?” chiese, quasi timorosa. “Non vorrei svegliarli”.

“Come no” le venne in aiuto il genero, scostando la copertina per prendere in braccio Irene. “Principessa di papà, di’ ciao alla nonna”.

“Oh” si illuminò la donna mentre cullava al contempo Boswell. “Che bella testolina bionda abbiamo qui”.

La nipotina diede mostra di aver gradito il complimento sbavando tutta contenta sulla sua tutina.

“Sherlock, mi dai una mano con-” non fece in tempo a chiedere John che il compagno era già accanto a lui, intento a tirare fuori dalla carrozzina Hamish, che si ciucciava il pollice di gran lena.

“Ti somiglia tantissimo, John caro” esclamò Caroline. “La stessa bocca, il colore dei capelli, persino le orecchie! Ma ha il naso e gli occhi di Sherly, come Irene”.

“E io che volevo un mini John in tutto e per tutto” mugugnò il detective.

“A me non dispiace affatto, anzi. Tu e tua madre avete degli occhi così belli, di un taglio e di un colore talmente particolari; sarebbe stato un peccato se i bambini non li avessero ereditati” sorrise il dottore, orgoglioso.

Sherlock arrossì, e un pochino anche Caroline.

 

 

 

 

Nota di alcuna rilevanza, ma siccome sono pignola inside vi tocca sopportare; io di cavolate ne invento davvero tante, però la storia di Amouage è vera. Esiste, guardate qui! (http://it.wikipedia.org/wiki/Amouage) Certo, come noterete ho mischiato un pochino le informazioni e la storia del regalo di nozze è farina del mio sacco, ma un tocco di real life ci sta sempre bene. Tra l’altro un’amica di famiglia ne è un’affezionata cliente, e lo usa sempre: ha un profumo magnifico, ve lo garantisco.

Questa, se vi interessa, è la mia pagina autore su Facebook, per seguire in diretta i miei scleri (http://www.facebook.com/pages/Il-Genio-del-Male-EFP/152349598213950).

Buon weekend a tutti, miei cari! Un bacio.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Suocera - parte 2 ***


NOTE: Promessa mantenuta, stavolta ho aggiornato puntualmente (che poi, quella dell’essere in ritardo è un’ansia esclusivamente mia; so benissimo che per voi un giorno o due non fa alcuna differenza, quindi annuite e fingete di assecondarmi).

John e Sherlock alle prese con Lady Caroline, seconda parte. Che altro succederà?

Buona lettura e a risentirci alla fine!

 

 

 

 

 

Ora di pranzo.

“Allora, come sta andando l’incontro con la temibile suocera? Pensi di riuscire a sopravvivervi?” lo raggiunse la voce, venata di preoccupazione, di Harriet.

“Ti dirò, ero preparato al peggio”, rispose John tamburellando con le dita sul cellulare, “e invece non avrei potuto sperare in una signora più affabile e cordiale”.

“No, giura!”

“Croce sul cuore. Davvero, Harry, è completamente diversa dalla squilibrata descritta da Sherlock. E’ un filino eccentrica, non lo nego, ma tutti abbiamo le nostre piccole stranezze. I suoi figli sono molto più difficili da gestire, a mio parere” sospirò il dottore, lanciando un’occhiata all’acquaforte (un Goya originale, se non andava errato) che faceva bella mostra di sé appesa alla parete di fronte a lui.

“Beh, meglio così, no?” commentò la sorella, incoraggiante. “Ai bambini sta simpatica?”

“La adorando almeno quanto adorano te”.

“Un successo su tutti i fronti, insomma” esclamò lei, per niente gelosa. “Ti confesso che muoio dalla voglia di conoscerla, questa superdonna”.

“La incontrerai al matrimonio, se riesco a distrarre Sherlock il tempo sufficiente per consegnarle l’invito. Però ti impedisco sin da ora di flirtare con lei” la ammonì John.

“Oh, ti prego” protestò. “Avrà almeno una sessantina d’anni, giusto? Troppo matura per i miei gusti, se ti può tranquillizzare. Mi piace la carne fresca”.

“Potresti anche cambiare idea” la canzonò. “Sai quanto l’ago della mia bussola sia orientato su Sherlock, eppure non ho potuto astenermi dal fare il cascamorto con Caroline”.

“Ah, Caroline? Vi date già del tu? Entro la fine della vostra visita sarete diventate ottime amiche” Harriet scoppiò in una risata argentina.

“Scema” ridacchiò di rimando lui. “A proposito, c’è un cambio di programma. Siamo stati invitati a fermarci per il tè e ho faticato non poco per costringere Sherlock ad accettare, sicché non riusciremo a tornare in tempo per cena”.

“Ok, non c’è problema. Tra mezzora stacco e faccio un salto a casa per pranzo; avviserò Mrs. Hudson del vostro ritardo”.

“Grazie, Harry, e scusaci. Mi dispiace che tu debba trascorrere la serata da sola a Baker Street” mormorò, contrito.

“Va tutto bene, Johnny Boy” lo rassicurò lei. “Anzi, mi sa che ne approfitterò per prendermi la serata libera. Molly ha promesso di farmi provare la cucina thailandese, conosce un ristorantino che-”

“Molly?” la interruppe il fratello un po’ bruscamente.

“Molly Hooper, sì. Qualcosa non va?” il tono di voce di Harry si fece perplesso.

“Molly Hooper, la patologa nonché ginecologa che lavora al St Bart’s?” incalzò.

“Precisamente. Quante Molly Hooper pensi che esistano a Londra, Johnny Boy?”

“E come l’hai conosciuta, se mi è lecito saperlo?”

“Quando ho preso appuntamento per il Pap test, circa un mesetto fa. Lei stava concludendo il tirocinio e faceva da assistente al primario del reparto di ginecologia. Mi ha riconosciuta -a quanto pare Sherlock le aveva parlato di me, va’ a capire perché- e abbiamo cominciato a chiacchierare” spiegò disinvoltamente, noncurante. Anche troppo.

“Harriet. C’è niente che devi dirmi al riguardo?” si insospettì John.

“Affatto, fratellino. Saresti il primo a saperlo, se ci fosse qualcosa da annunciare” si affrettò a replicare.

“Uhm” mugugnò. “Per stavolta fingerò di non aver mangiato la foglia. Ti chiedo solo di trattarla bene, intesi? Vacci piano. Molly è una ragazza dolcissima e con il cuore spezzato da un genio del crimine e da quel sociopatico del mio uomo, perciò… cautela” si raccomandò.

“Fidati di me, Johnny. Mi prenderò cura di lei” promise Harriet.

“Bene”, tossicchiò un filino a disagio lui, “è ora che riattacchi. Ho lasciato abbastanza a lungo Sherlock nelle amorevoli grinfie della madre e aspettano me per servire il dessert. Ti mando un sms quando abbiamo finito qui”.

“D’accordo. Salutami la famigliola e da’ un bacio ai cuccioli da parte mia”.

“Sarà fatto. Divertiti con Molly” le augurò John prima di chiudere la telefonata.

Uscito che fu dalla stanza si ritrovò nel lunghissimo corridoio del piano terra della villa, ripassò mentalmente il percorso fatto all’andata e infine si diresse a colpo sicuro verso la sesta porta a sinistra. La prodigiosa memoria visiva di Sherlock -pensò distrattamente- doveva essergli stata fondamentale per imparare ad orientarsi in una casa (magione) con venticinque camere da letto, una decina di bagni e addirittura una sala del telefono, dove per l’appunto Caroline aveva gentilmente invitato John ad appartarsi quando gli era squillato a tradimento il cellulare tra una portata e l’altra.

Bussò, poi abbassò la maniglia. “Perdonate l’attesa, mia sorella aveva urgenza di parlarmi” esordì, constatando con sollievo di aver scelto la porta giusta.

“Niente di grave, mi auguro” si accigliò Caroline, porgendo il dito indice ad Hamish perché lo succhiasse.

“Fortunatamente no. Le manda i suoi saluti, comunque, e un bacio ai nipotini”.

Così dicendo John si chinò a baciare sul capo Boswell, accomodato sul seggiolone, ed i gemelli, rispettivamente in braccio alla nonna e al babbo.

“Che zia affettuosa” chiocciò Caroline in segno di approvazione. “Se ti somiglia anche solo la metà di quanto immagino, deve essere una donna deliziosa”.

“Lo è. Le voglio molto bene” ammise il dottore, stringendosi nelle spalle.

“Spero di conoscerla presto” continuò la nobildonna, alzatasi per riporre un assonnato Hamish nella carrozzina.

“E’ proprio questo lo scopo della nostra visita, Caroline” la assecondò allegramente.

“Oh. Ed io che mi illudevo che non vedessi l’ora di conoscermi, John caro” scherzò a sua volta.

“Anche” ridacchiò lui, guardando di sottecchi Sherlock.

Il detective, intuite le intenzioni dell’altro, si affrettò ad adagiare delicatamente Irene nella carrozzina e gli si affiancò. “John” mormorò, posandogli una mano sulla spalla.

“Andiamo, Sherlock. Comunica a tua madre la lieta novella” lo esortò in risposta l’altro con il suo sorriso più smagliante.

“Quale novella? Mycroft non mi ha anticipato nulla” cascò dalle nuvole Lady Spencer.

“Perché l’avevo pregato di tenere la bocca cucita” borbottò Sherlock, incupitosi. “Almeno lui sembra aver rispettato il mio desiderio” fissò truce il compagno.

“Su, non fare il bambino” fu la risposta divertita dell’altro.

“Non ho con me l’invito, John” mormorò a denti stretti. “L’ho dimenticato”.

“Per tua fortuna, tesoro, avevo previsto che te ne saresti casualmente scordato, così ci ho pensato io! Sono o non sono la tua ancora di salvezza?” esclamò gioviale, sventolando una busta di pesante carta color crema. “Considerala una piccola vendetta per non avermi detto nulla dei tuoi sordidi traffici per far mettere insieme mia sorella e Molly; so che ci sei tu dietro” sibilò senza vero rancore.

“Ragazzi, non vi seguo” disse Caroline, confusa da quello scambio di battute.

“Per lei” John le porse la busta.

Le mani di lei tremarono un poco nell’aprirla.  “Non sarà…” si interruppe, per leggere le poche righe vergate sul cartoncino. Trattenne il fiato. Posò lo sguardo sui due uomini di fronte a lei. Un braccio di Sherlock era possessivamente allacciato alla vita di John, che dal canto suo aveva appoggiato la testa sulla sua spalla in un gesto di fiducia e abbandono totale. Entrambi erano radiosi.

“Mamma” il figlio non riuscì a trattenersi dal sorriderle. “Mamma, John ed io ci sposiamo” disse.

“Oh, mio Dio” singhiozzò Caroline mentre gli occhi le si riempivano di lacrime. “Ragazzi, non avreste potuto farmi una sorpresa più gradita. Venite qui, lasciatevi abbracciare!” trillò e, senza permettere ai promessi sposi di reagire in alcun modo, andò loro incontro e li strinse in un abbraccio energico.

John ricambiò con altrettanto entusiasmo, seppure leggermente imbarazzato dal fatto che anche la suocera fosse più alta di lui. Sherlock, apparentemente più distaccato, dovette riconoscere che non era poi così male cedere alle effusioni di sua madre.

“Cari, cari ragazzi” ripeté la donna, commossa. “Sono così orgogliosa di voi. La fortuna mi ha arriso. Non solo ho messo al mondo due figli intelligenti, tsundere e pieni di fascino, ma ho fatto in tempo a vederli gay ed accasati –e addirittura con prole, nel caso di Sherly! Certo, se anche Mycroft ed il suo amabilissimo marito riuscissero a figliare la mia felicità di fangirl e di madre sarebbe completa” sospirò sognante.

Fangirl? John cominciò ad inquietarsi. Ma poi, per quieto vivere, decise che preferiva non approfondire.

“Quanto a questo, mamma, credo che verrai presto accontentata” ghignò Sherlock, sibillino.

 

 

 

 

Note dell’autrice: il Pap test esiste davvero (http://it.wikipedia.org/wiki/Test_di_Papanicolaou) ed è un esame di routine per le donne che hanno almeno venticinque anni.

La definizione di tsundere, nel caso vi stiate chiedendo cosa significhi, la trovate qui (http://it.wikipedia.org/wiki/Tsundere).

Questa, se vi interessa, è la mia pagina autore su Facebook, per seguire in diretta i miei scleri (http://www.facebook.com/pages/Il-Genio-del-Male-EFP/152349598213950).

Buon finesettimana e a risentirci presto. Un bacione a tutti!

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Preludio ***


NOTE: Chiedo umilmente perdono! Dall’ultimo aggiornamento è passato un bel po’ di tempo, ma tra i vari appelli, l’improvvisa ondata di caldo afoso che mi ha privata della voglia di fare alcunché per diversi giorni e la stesura di una one-shot per un contest estivo avevo bisogno di prendermi una pausa prima di dedicarmi a questo capitolo.

Comunicazione di servizio: da oggi mi dichiaro ufficialmente in ferie, almeno per quanto riguarda il fandom di Sherlock (BBC). Non intendo però chiudere i battenti e farmi risentire a settembre; continuerò a scrivere e ad aggiornare, solo con pause più lunghe del solito tra un capitolo e l’altro. Non vi lascio soli, don’t worry.

Buona lettura!

 

 

 

 

 

John non era stupido. L’ambigua affermazione con cui Sherlock aveva salutato la madre sommata al criptico scambio di sms tra lui e Mycroft portavano ad un’unica conclusione: qualcosa bolliva in pentola.

Così, una volta tornati a Londra, il dottore aveva tentato di farsi rivelare da Sherlock cosa stessero macchinando lui e suo fratello. Non ottenendo altro che dei poco convincenti “Te lo spiegherò a tempo debito” in risposta, si era infine confidato con Harriet. La quale, piena di senso pratico, gli aveva suggerito di discuterne direttamente con il secondo componente del machiavellico duo.

“Come se fosse facile” aveva brontolato John. “E’ un agente segreto al servizio di Sua Maestà, nonché colonna portante del governo britannico. Di certo non ha tempo da dedicare ai miei futili interrogativi”.

“Oh, non esserne così sicuro”aveva replicato lei, strizzandogli l’occhio. “Potrebbe risultare molto più semplice di quel che pensi”.

 

 

La mattina dopo, non appena Sherlock fu uscito di casa diretto al commissariato sollecitato da una telefonata da parte di Lestrade, Harriet chiese al fratello di accompagnarla a fare delle commissioni. “Ho già contattato la babysitter, dovrebbe arrivare a momenti” si premurò di informarlo.

“Che tipo di commissioni?” sbadigliò lui, spalmando un generoso strato di marmellata di arance su una fetta biscottata.

“Si tratterebbe di fare una puntatina dal sarto per prendere le misure del tuo abito, ma prima passerei in pasticceria: il proprietario ha promesso di aprire il laboratorio in anticipo appositamente per noi”.

“In pasticceria?” si inquietò.

“Dobbiamo scegliere la torta nuziale, Johnny” Harriet distolse lo sguardo dallo specchietto di cui si stava servendo per truccarsi e lo puntò sul fratello.

“Non intenderai uno di quegli orrori a cinque piani di pan di spagna, glassa dolciastra e decorazioni di dubbio gusto, vero?”

“Mi dispiace deluderti, ma è esattamente ciò che intendo convincerti a commissionare” tracciò il contorno delle labbra con il rossetto. “Che razza di matrimonio sarebbe senza una pacchianissima, indigesta e assurdamente costosa torta nuziale?”

“Non è giusto” borbottò John. “Mycroft e Greg non l’hanno ordinata quando si sono sposati”.

“Poche storie e sbrigati a finire la colazione” Harriet chiuse lo specchietto con uno scatto. “Sarà una giornata proficua, me lo sento!”

 

 

“…Questa qui, invece, è la mia preferita. E’ farcita con una delicatissima salsa di frutti di bosco e uno strato di frutta secca fatta appassire nel brandy: me-ra-vi-glio-sa!” stava spiegando Alex, il capo pasticcere, schioccando le labbra con orgoglio.

“Ne sono certa” lo assecondò gentilmente Harriet. “Che te ne pare, Johnny? Credi che a Sherlock potrebbe piacere?”

“Conoscendolo, dubito che sarà in grado di mangiare alcunché il giorno del nostro matrimonio” sorrise. “Però Boswell adora i frutti di bosco, e nemmeno a me dispiacciono”.

In quel momento si udì una nota voce maschile scusarsi per il ritardo. I due fratelli si voltarono. Uno stranamente affannoso e scomposto Mycroft si fece strada nella cucina, dribblando abilmente una serie di giovani apprendisti che correvano da una parte all’altra della sala trasportando ciotole colme di crema e sacchi di farina.

“Sono mortificato”, sfiatò quando ebbe raggiunto i Watson, “quello che sembrava un piccolo contrattempo si è rivelato essere più serio del previsto”.

“Niente di grave, spero” insinuò Harriet.

“No, no” la rassicurò, rosso in volto in modo sospetto. “John, qual buon vento ti ha spinto ad unirti a noi?” si rivolse poi al dottore.

“Ehm” replicò brillantemente lui. Si era completamente dimenticato del ruolo di wedding planner ufficiale ricoperto da Mycroft.

“Sarà meglio che mi occupi della torta; voi ragazzi restate pure qui a chiacchierare” chiocciò la donna, mostrando i pollici in su al fratello. “Mi scusi, Alex”, prese a braccetto il capo pasticcere, “non avete nulla con le arance? Sa, il matrimonio verrà celebrato a dicembre e l’inverno è la stagione migliore per gli agrumi…”

Rimasti soli, i futuri cognati si presero qualche secondo per fissare con interesse le punte delle loro scarpe.

“Avanti, John, sputa il rospo”.

“Eh? C-Cosa?”

“Mi ritengo una persona discretamente intuitiva. Mi è parso di capire che muori dalla voglia di chiedermi delucidazioni riguardo ad una questione che ti impensierisce non poco, o sbaglio?”

“Oh, beh. In effetti sì, qualcosa di cui volevo parlarti c’è, però non vorrei risultare indelicato”.

“Più di mio fratello? Impossibile” sorrise furbescamente. “Avanti, di che si tratta?”

Il dottore lo rese partecipe dei suoi sospetti. “E come se non bastasse, Sherlock ogni volta fa il vago” concluse. “Sicché, mi stavo chiedendo, non è che-”

“Non è che Greg ed io stiamo cercando di avere un bambino: è questo ciò che intendi?” lo interruppe Mycroft.

L’altro annuì.

“Complimenti, John. Deduzione corretta”.

 

 

 

 

Nessuna sorpresa: che i Mystrade stessero pianificando di scodellare un pupo era chiaro a tutti voi lettori, ho idea. Non per niente il titolo di questo capitolo è Preludio; il meglio, signori miei, deve ancora arrivare!

Questa, se vi interessa, è la mia pagina autore su Facebook, per seguire in diretta i miei scleri (
http://www.facebook.com/pages/Il-Genio-del-Male-EFP/152349598213950).

Che altro dire? Buon inizio d’estate e in bocca al lupo ai maturandi (se ce ne sono) e agli universitari alle prese con gli esami.

A risentirci, un bacio! <3

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Auguri! ***


NOTE: …Sono una donna spregevole e senza cuore (?), nonché culopesa al massimo grado. Avevo promesso di rifarmi viva di tanto in tanto durante l’estate e invece mi sono praticamente eclissata. Solite motivazioni: sessione estiva, troppo caldo, totale mancanza d’ispirazione e una full immersion nel fantastico mondo del k-pop (grazie, Cloud <3) che mi ha fatta delirare e fangirlare non poco. Detto questo, mi dispiace tantissimo di aver mancato di parola. Di solito non sono così cialtrona, giuro!

Per quanto riguarda la storia, è arrivato il momento di decidere se continuarla o meno. Mi spiego: quello che state per leggere potrebbe tranquillamente essere l’ultimo capitolo, perché i finali aperti mi garbano abbastanza e perché non sono decisamente tagliata per le longfiction di più di dieci capitoli (lo so che siamo solo al sesto, ssst). Però, se a qualcuno di voi dovesse interessare leggere qualche altro aneddoto sulla famiglia Watson-Holmes, magari ambientato dieci/quindici anni dopo, potrei farmi violenza da sola e costringermi a scribacchiare ancora per un po’. Sta a voi, lettori carissimi ed affezionati, decidere le sorti di questa storiella.

Buona lettura, ci si risente a fine capitolo!

 

 

 

 

 

Il grande giorno arrivò, alla fine.

Contrariamente alla tradizione (quando mai erano stati una coppia convenzionale?, pensava John) i promessi sposi trascorsero la notte prima delle nozze insieme, consentendo a Boswell di dormire nel lettone con loro e con la camera dei gemelli a portata di baby ricetrasmittente.

Il mattino seguente vennero svegliati all’alba -le sette e mezza- da Harriet, eccitata come una ragazzina durante il primo giorno di saldi. “Giù dalle brande, piccioncini!” esclamò gioviale, lottando nel frattempo con la chiusura del collier di perle che aveva deciso di abbinare ad un elegante tailleur Vivienne Westwood di lana cotta sui toni dell’écru. 

“Doccia veloce, colazione e poi dritti a farvi belli. Animo, animo!” e spalancò la finestra, inspirando a pieni polmoni l’aria frizzante di quella giornata dicembrina.

“Yawn” fu l’inintelligibile replica di John, mentre affondava il viso nel cuscino nel vano tentativo di riaddormentarsi.

Sherlock, al contrario, si dimostrò subito reattivo. Sceso dal letto s’infilò la vestaglia, afferrò un asciugamano pulito dalla pila di panni stirati che Mrs. Hudson aveva lasciato sul comò della loro camera il giorno prima e rivolse uno sguardo divertito al compagno. “Sicuro che, tra voi due, non sia stata Harriet ad arruolarsi nell’esercito?” insinuò a bassa voce.

“Ti ho sentito” la donna si allontanò dalla finestra, rabbrividendo. “Lo prendo come un complimento” sorrise.

“Lo è, infatti” stette al gioco lui, atteggiando le labbra ad una smorfia seducente.

“Ehi, voi due. Piantatela di flirtare sotto i miei occhi o il matrimonio non si farà” borbottò John mentre si tirava pigramente a sedere.

“Non ti azzardare” ribatté la sorella scherzando solo in parte. “Con tutte le energie, il tempo e le risorse finanziarie che sono state impiegate -per non parlare del contributo mio e di Mycroft- questo matrimonio s’ha da fare eccome!”

In quel mentre si sentì un pianto sommesso provenire dalla stanza accanto. Irene ed Hamish si erano svegliati, e quindi per empatia fraterna anche Boswell pensò bene di ridestarsi dal sonno. “Papà?” pigolò, stropicciandosi gli occhi con le manine.

“Sono qui, pulcino” John gli allungò una carezza sui riccioli morbidi come piume. “Dormito bene?”

“Tì tì” rispose, per poi bloccarsi come colpito da un’idea. “Fa ppoco tu e babbo vi pposate, giutto? Dobbiamo sbicacci o aiveemo in itaddo!” si agitò.

“Sagge parole, nipotino mio” approvò Harriet. “Sherlock, fila a lavarti; tu, Johnny, cerca di trascinarti fuori dal letto in tempi ragionevoli. Ai bambini pensiamo Mrs. Hudson ed io” tese le braccia verso il fratello per farsi affidare Boswell.

“Apetta, tia” cinguettò lui circondandole il collo. “Ti aiuto a chiudee la colana” e in pochi secondi le sue dita paffute ebbero la meglio sul fermaglio capriccioso del gioiello.

 

 

Non si sa come, riuscirono ad arrivare in orario alla cerimonia. Buona parte del merito (persino Sherlock dovette riconoscerlo) fu della limousine che Mycroft aveva mandato a prelevarli sotto casa e che li lasciò tutti e sette davanti a Westminser. Il maggiore dei fratelli Holmes ed Harriet non avevano badato a spese: i migliori arredatori -compresi i famigerati Moffat & Gatiss- e florists avevano decorato la navata centrale dell’abbazia con largo uso di organza bianca, peonie profumatissime e candele all’essenza di neroli per creare un’atmosfera suggestiva e romantica. Marks & Spencer aveva accettato di occuparsi del catering e del rinfresco che si sarebbe tenuto niente meno che alla SWISS Re Tower, in via del tutto eccezionale.

“Solo il meglio, per la coppia più chiacchierata di Londra” li accolse sulla soglia il governo britannico in carne ed ossa con uno dei suoi sorrisi più sardonici e raggiante in volto. “I miei uomini sono a stento riusciti a tenere a bada i paparazzi. A quanto pare ogni emittente e testata del Regno Unito ha ritenuto opportuno inviare un reporter a seguire il matrimonio del secolo. Non è divertente? Pensa a tutta la pubblicità gratis per la tua attività, fratellino” ghignò.

“Ciao, Mycroft. Sbaglio o hai messo su peso, ultimamente?” replicò Sherlock, amabile come suo solito, senza fare una piega.

L’altro arrossì impercettibilmente, ma fu sufficiente perché gli sposi mangiassero la foglia.

“Oh, che bella notizia!” si congratulò John. “Non vediamo l’ora di diventare zii, vero tesoro?” diede di gomito al detective.

“Certamente” rise sotto i baffi. “Avvisaci quando Lestrade avrà le prime nausee mattutine, saremo ben lieti di dargli qualche consiglio al riguardo”.

John gli rivolse un’occhiata in tralice, Mycroft avvampò vistosamente.

“Sì, beh- sarà meglio che mi avvii, Greg mi aspetta. Ho fatto accomodare Mrs. Huson, Harriet ed i bambini accanto alla mamma, c’è anche la dottoressa Hooper” farfugliò. “Tra due minuti l’organista attaccherà a suonare, fatevi trovare pronti per l’entrata in chiesa” e si dileguò oltre il portone.

“Greg? Perché lui?” John guardava Sherlock con tanto d’occhi.

“Credevi forse che fosse Mycroft quello incinto?” ribatté non senza una certa dose d’ilarità nella voce.

“Ne sono certo. Potrei metterci la mano sul fuoco. Ha preso almeno tre chili dall’ultima volta che l’ho visto, senza contare che tiene i piedi a papera e le lombari inarcate; persino la sua carnagione risplende. E’ radioso come non mai.”

“Ma dalle analisi che ho preso in prestito”, l’altro tossicchiò discretamente, “dallo studio di Molly  risulta che è il nostro commissario preferito ad essere incinto. E’ scritto nero su bianco” Sherlock si accigliò.

Si scambiarono un’occhiata. Compresero quel che c’era da comprendere. E scoppiarono a ridere.

“Due in un colpo, eh?”

“Hai capito, il mio fratellone… Ed io che pensavo fosse ingrassato per solidarietà con Lestrade. Evidentemente ha voluto fare le cose in grande”

“Scemo” John gli rifilò un’altra gomitata, non riuscendo a trattenere un sorriso.

Proprio in quel momento le prime note della marcia nuziale iniziarono a risuonare per tutta la chiesa.

“E’ora” Sherlock raddrizzò la schiena, improvvisamente solenne. “Andiamo?” offrì il braccio al compagno.

“Andiamo.”

Una nuova avventura li attendeva.

 

 

 

 

Sì, lo so che probabilmente vi aspettavate qualcosa di più eclatante (?), ma di fastosi matrimoni in chiesa ho scritto anche troppo -in altre storie, perlomeno- e non ci tenevo più di tanto a ripetere l’esperienza… Chiedo scusa.

Allora, che ve ne pare? Chiudo qui e tanti saluti oppure volete leggere altro? Fatemi sapere. In ogni caso, grazie a chi mi ha seguita fin qui, a chi ha commentato, letto e partecipato attivamente alla stesura di questa storiella regalandomi tantissimi spunti e idee divertenti: vi lovvo tutti!

Questa, se vi interessa, è la mia pagina autore su Facebook, per seguire in diretta i miei scleri (http://www.facebook.com/pages/Il-Genio-del-Male-EFP/152349598213950).

Un bacio e a risentirci (forse).

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Quindici anni dopo ***


NOTE: Pensavate di esservi liberati di me, ammettetelo. Mi spiace deludervi, miei cari: sono tornata ancora una volta, l’ultima. Alcuni di voi me l’hanno chiesto ed io ho voluto accontentarli, sicché eccovi servito il settimo capitolo –ambientato, come recita il titolo, quindici anni dopo.

Buona lettura, ci si risente a fine capitolo per i ringraziamenti!

 

 

 

 

 

“Papàààààà!”

L’urlo belluino, a stento definibile umano, venne udito fino a Buckingham Palace e dintorni. La porta del bagno venne aperta dall’interno e poi sbattuta con una tale violenza da far tremare le pareti dell’intero appartamento; ne emerse un’adolescente bionda e visibilmente fuori di sé.

“Papà!” sbraitò nuovamente, e raggiunse a grandi passi la cucina adibita a laboratorio dove Sherlock era intento ad esaminare vetrini.

“Sì, Irene?” replicò impassibile senza distogliere lo sguardo dal microscopio.

“Non trovo più l’eyeliner, nel mio beautycase non c’è” spiegò bruscamente. “Non è che l’hai di nuovo preso in prestito a mia insaputa per analizzarne la composizione chimica?”

Il padre si decise a voltarsi verso di lei con un’espressione di innocente sorpresa dipinta in volto. “Mi dichiaro non colpevole, Vostro Onore” alzò le mani in segno di resa. “Prova a chiedere a tuo fratello, potrebbe rivelarsi un testimone chiave”.

Irene rifletté qualche istante sull’affermazione del detective. Poi, con rinnovata ferocia, fece dietrofront e si diresse verso la camera che condividevano i suoi due fratelli. “Boswell!” ululò.

Sherlock si rimise al lavoro, non riuscendo a trattenere un ghigno compiaciuto. In quel mentre John varcò la soglia della cucina, il cardigan abbottonato mezzo storto e gli occhi ancora gonfi di sonno.

“Che ha da urlare nostra figlia alle sette e mezza del mattino?” sbadigliò.

“Non trova il suo eyeliner”.

“Oh- aspetta, non è che glielo hai sgraffignato tu?” si mise sull’attenti.

“Incredibile come Irene ti assomigli” constatò, divertito.

John preferì ignorarlo.

“Dio non voglia che l’abbia preso Boswell, allora”.

Silenzio.

“Ce l’ho io, l’eyeliner di nostra figlia” confessò (prevedibilmente) lui, estraendo dalla tasca della vestaglia il corpo del reato. “Avrà il mio permesso di truccarsi per andare a scuola quando avrà compiuto diciotto anni, non prima” disse in tono definitivo.

“Ci avrei scommesso” sospirò l’altro. “Lei lo sa?”

“Fossi scemo. Le ho suggerito di chiedere a Boswell”.

“Ma perché, se è innocente? Ti sei dimenticato che l’ultima volta che si sono accapigliati a pagarne le conseguenze è stato il servizio da tè regalatoci da Mycroft per il matrimonio?” si mise le mani nei capelli.

“Fidati John, Boswell si sa difendere benissimo. Lo conosco, siamo due gocce d’acqua”.

“Ah beh, adesso sì che mi sento rassicurato”.

 

 

I tre fratelli Watson-Holmes entrarono nel vagone della metropolitana, che a quell’ora era stipata di lavoratori e studenti come loro. Gli altri passeggeri si fecero da parte per lasciarli passare, abbagliati dalla bellezza tipicamente anglosassone e al tempo stesso quasi esotica dei ragazzi.

Boswell era sicuramente quello che attirava più sguardi, con la sua altezza esagerata, gli occhi così azzurri e penetranti, la massa di riccioli scuri e la pelle chiarissima esaltati dalla stoffa blu marine del blazer della divisa. Era la copia vivente di Sherlock e ne aveva ereditato anche la mente analitica. Irene era altrettanto avvenente: lunghi capelli biondi e delicatamente ricci, gli stessi enormi occhi blu cupo di Harriet e una bocca sensuale, con l’arco di Cupido prominente. Sembrava una novella Isotta, ma non bisognava farsi ingannare dalle apparenze; tanto aggraziata era la sua figura, tanto lei era d’indole agguerrita e volitiva. Hamish si considerava il meno appariscente dei tre. Lui e John si somigliavano parecchio. Erano entrambi non troppo alti, di ossatura robusta, chioma liscia e color del grano, labbra sottili. Gli occhi ed il naso, però, erano indubbiamente quelli di Sherlock ed Hamish ringraziava le leggi della genetica per quell’eredità. Inoltre, particolare non irrilevante, a differenza dei suoi fratelli lui poteva vantare un carattere ragionevolmente equilibrato e una certa dose di sanità mentale che loro decisamente non possedevano.

Tanto per cambiare, erano impegnati a portare avanti una sterile polemica come ogni mattina da quando, cinque anni prima, avevano cominciato a prendere la metropolitana tutti insieme per recarsi alla stessa scuola privata.

“Bosie”, Irene pronunciò ad alta voce il diminutivo sapendo quanto l’altro lo detestasse, “sono stufa di ripetertelo: l’eyeliner è mio e non si tocca”.

“Ancora con questa storia? Non c’entro nulla, sorellina; scommetto cinquanta sterline che l’ha requisito papà. Non gli garba che sua figlia vada in giro con gli occhi truccati come quelli di un procione”.

“Come osi?” tuonò lei. “Sei solo invidioso perché io posso metterlo e tu no!”

“Invidioso, io? Ma se mi sta mille volte meglio che a te” scoppiò a ridere.

La gente pigiata addosso a loro iniziava ad osservarli come fossero animali dello zoo, o più probabilmente fenomeni da baraccone, pensò Hamish in preda allo sconforto. Decise di intervenire prima che la discussione degenerasse.

“Ragazzi, per favore, datevi una calmata. Irene, modera il tono di voce e non lanciare accuse senza alcuna prova concreta. Bos, non stuzzicare nostra sorella; e in ogni caso, che tu le abbia fregato l’eyeliner o meno, ricorda che non è igienico utilizzare cosmetici già usati da altre persone, quindi se proprio non puoi farne a meno compratene uno nuovo tutto per te”.

I fratelli fecero tanto d’occhi ma non fiatarono, accettando la ramanzina con aria contrita. Hamish tirò un sospiro di sollievo. Sapeva farsi ubbidire, lui. Che avesse preso da zia Harriet?

 

 

Arrivati a scuola trovarono ad aspettarli davanti al portone d’ingresso le loro cugine, Caroline e Margaret.

Erano nate un anno dopo i gemelli, sicché sin da piccoli i rispettivi genitori avevano preso l’abitudine di farli giocare tutti e cinque insieme. Ben presto Boswell aveva disertato i loro divertimenti puerili per appassionarsi al mestiere del papà detective, ma ciò non aveva intaccato l’amicizia ed il legame di parentela che li univa. Entrambe le sorelle avevano ereditato i lineamenti delicati di Lestrade ed i capelli rossi, fini e leggerissimi di Mycroft. Possedevano un fascino tipicamente inglese, cui andavano aggiunte una grande espansività, una risata argentina e una deliziosa spruzzata di lentiggini su naso e gote che le rendevano istintivamente simpatiche.

“Ciao ragazzi” li accolse Margaret.

“Bos, niente eyeliner oggi? Nemmeno un po’ di matita? Male: hai degli occhi meravigliosi, dovresti truccarli più spesso” Caroline apostrofò il cugino.

“Che ti dicevo, sorellina?” sibilò lui.

“Taci, pallone gonfiato” mormorò a denti stretti Irene.

“Ma non si stancano mai di battibeccare?” Margaret sorrise complice ad Hamish.

“Pensa a me che li devo sopportare anche a casa” si finse esasperato. “Credo sia il loro modo di volersi bene, un po’ come babbo e zia Harriet. Il problema è che a volte, più che un fratello, mi sembra di essere la loro balia”.

“E’ quello che dice papà quando lavora ad un caso con zio Sherlock e zio John” ridacchiò la ragazzina.

“Ma chi, zio Mycroft o zio Greg?”

“Tutti e due, adesso che ci penso”.

 

 

“Harry, amore”.

Il cellulare di Molly aveva preso a squillare proprio mentre lei stava illustrando a Lestrade quanto fossero state fatali le ventotto coltellate inferte al cadavere steso sul tavolo autoptico.

“Sì, in effetti dovrei averne ancora per due ore abbondanti. Dopo devo fare un salto a ginecologia ché ho due ecografie in programma… Certo che sarò a casa per il tè. Passi tu in lavanderia a ritirare il mio giubbotto? Quello blu imbottito, esatto. Grazie, sei un tesoro. No, la spesa la facciamo domani, in frigo c’è cibo sufficiente per stasera. A-ah. Ok. Devo riattaccare, Greg ha bisogno dei dati di un’autopsia; te lo saluto, contaci. A più tardi, Harry. Ti amo anch’io. Ciao. Ciao”.

Rivolse all’ispettore uno sguardo imbarazzato. “Scusami, mi dimentico sempre di impostare la modalità silenziosa quando lavoro”.

“Non preoccuparti, non ho fretta” la rassicurò lui. “Come sta la mogliettina, a proposito?”

Molly ed Harriet erano sposate da ormai dieci anni, ma si comportavano come se vivessero in un’eterna luna di miele. Litigavano molto raramente, si colmavano di premure, si davano appuntamento durante le rispettive pause pranzo e in generale andavano d’amore e d’accordo. Poco prima che Irene ed Hamish compissero il primo anno di età erano andate si erano trasferite in una casa a schiera non troppo lontana dal 221B di Baker Street perché Harriet ci teneva a vedere il più possibile i suoi nipotini.

“Smania per andare in pensione e dedicarsi a tempo pieno al giardinaggio e a Gladstone” sorrise Molly, riferendosi al cucciolo di bulldog che lei e sua moglie avevano adottato di recente.

“Deve trattarsi di una sindrome che colpisce gli ultracinquantenni, sai? Mi sembra di sentire Mycroft. Persino lui continua a ripetere che ne ha abbastanza delle beghe e dei complotti di corte e che preferisce stare a casa a sfornare biscotti con Meg e Carol”.

“Dobbiamo stare in campana, tra qualche anno la crisi di mezz’età toccherà anche a noi”.

“Poveri i nostri ragazzi che ci dovranno sopportare”.

Scoppiarono a ridere.

 

 

“Bos?”

“Uhm?”

“Scusami per stamattina. Papà ha confessato”.

“Lo sospettavo. Mi devi cinquanta sterline”.

“Bos”.

“Che c’è?”

“Ti voglio bene”.

“Anche io, stupidotta. Fatti abbracciare”.

 

 

 

 

Non si può dire addio ad una storia senza ringraziare per bene le persone che ti hanno sostenuto. Un bacio grandissimo alle 15 persone che hanno recensito (Sabry93, Padmini, NomenOmen, bbbgster, Naco, Grinpow, SofiaAmundsen, Taila, irelin, Sevvina, Meramadia94, Deeryl, Selenina, kiba91, BlackCobra ) e alle 8 che hanno inserito ‘Possibilità’ tra le Preferite (Gemini_no_Aki, Glass Heart, isteria, NomenOmen, Sabry93, SofiaAmundsen, SweetBalckDream98, Taila). Un abbraccio stritolante a Court che ha voluto Ricordarla ed infine ai miei 27 lettori (Black Knight, BlackCobra, BritishBooks, dalsia, Deeryl, fliflai, Frida Rush, gimbox, HexRose, irelin, Isidar23, Kei Sagano, Madame Plague, Miku Mercury, Naco, NomenOmen, punk92, rora17, Rumy, Sabry93, Selvy, senny, Sevvina, Shinku Rozen Maiden, TAKeRu_ECHY, violet79, _LadySlytherin_).

Grazie di cuore a tutti. Ci rivedremo, forse, con un’altra storia…

Bye bye!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1055804