The Pirate Song di GreedFan (/viewuser.php?uid=68718)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Shipping Up to Boston ***
Capitolo 2: *** Red Hood ***
Capitolo 3: *** It's a very, very mad world ***
Capitolo 4: *** Suck my balls, Mr.Shue! ***
Capitolo 5: *** The Fury ***
Capitolo 6: *** The Crow's Cunning ***
Capitolo 7: *** Clamour for Glamour ***
Capitolo 1 *** Shipping Up to Boston ***
Shipping
up to
Boston
I’m
a sailor
peg
And
I lost my leg
I
climbed up the
topsails
I
lost my leg
Kurt
ricorda distintamente quello che suo padre gli ha detto quando ha
abbandonato la sua casa borghese per scegliere il mare.
“Non
ne varrà la pena. Uno come te non può
sopravvivere in
quell’ambiente”.
Eppure,
ogni volta che ripensa alla prima volta che ha messo piede su un
galeone non può far altro che ricordare con un moto di
tenerezza
quanto la sua vita sia cambiata in meglio. La salsedine gli
è
entrata nelle ossa e nel cuore a tal punto che non potrebbe
immaginare nessun altra vita che questa, sospeso tra le sartie e le
vele candide che si gonfiano di vento e le onde del mare, di un verde
cupo che sa di casa e di natura indomita, mugghiante. Vive come un
gabbiano, mangiando quello che l’acqua salata sa regalare e
lasciandosi trasportare dalle correnti che sferzano il cielo del
grande blu.
E
ogni volta che vede il sole sorgere o tramontare sulle onde,
colorandole di giallo, oro o rosso scarlatto, si sente commosso dalla
bellezza incredibile di quello spettacolo, e dalla sensazione di
libertà che gli infiamma il petto,
meravigliosa e
inarrivabile per chi non ha mai provato l’emozione di solcare
i
mari a bordo di una nave pirata.
La
sua condizione di mozzo e tuttofare gli consente, paradossalmente,
un’autonomia totale. Non deve combattere, preoccuparsi della
rotta
o delle condizioni delle vele: svolti i suoi compiti, può
arrampicarsi su uno degli alberi e occupare un postazione di vedetta
sguarnita. Da lì, il mare gli appare sconfinato e
invincibile, ben
più grande di qualsiasi città sulla terraferma;
si chiede quali
segreti celino le sue acque scure, quali mostri vivano nelle
profondità abissali, e se si cibino dei marinai che cadono
in acqua
durante le battaglie.
Ah,
gli arrembaggi. Perfino la morte di un uomo, su una nave, appare
più
nobile che sulla terraferma. Kurt immagina il momento in cui
morirà,
e il suo corpo verrà lasciato dentro una scialuppa, in
balìa delle
onde, così che possa viaggiare nella notte fino ai confini
del
mondo, accompagnato dal canto lugubre della sua ciurma.
I’m
shipping up
to Boston
Whoa
oh oh
I’m
shipping up
To
find my wooden
leg
David
è il capitano della nave, e per tutta la vita ha amato il
verde del
mare.
La
sua anima si è fusa con il legno scuro del ponte, con la
ruota
ruvida del timone e il corpo fine e delicato della polena, eterna
guardiana dei suoi viaggi; ha visto molte terre in soli
trent’anni
di vita, e la vita del pirata l’ha reso più ardito
e avido di
quanto un uomo della sua età dovrebbe essere.
Eppure,
c’è una cosa di fronte alla quale tutti i tesori
del mondo non
contano niente.
Una
cosa - una persona piccola e preziosissima, che
Dave ha visto
crescere e maturare accanto a lui per quasi cinque anni prima di
arrischiarsi a toccarla.
Quando
sente il corpo sottile di Kurt tra le dita e si perde nei suoi occhi
azzurro-verdi, David pensa che non ha fatto altro che innamorarsi di
nuovo del mare, delle onde. Perché Kurt ha il sapore della
salsedine
e il profumo del sole, la delicatezza evanescente delle albe riflesse
sull’acqua e la passione decisa dei tramonti. La sua voce
sottile è
il canto di una sirena.
E
benché sappia che quello che li lega è un
desiderio proibito, che
va nascosto se vuole evitare di perdere il suo prestigio verso gli
altri marinai, il capitano non può esimersi dal cedere, dal
prendere
per sé quello che lo stesso mozzo gli offre con un amore
così
sincero e appassionato da non ammettere rifiuto.
I’m
a sailor
peg
And
I lost my leg
I
climbed up the
topsails
I
lost my leg
«Le
tue labbra sanno di rum».
Glielo
ripete spesso, ma ogni volta David non può fare a meno di
sorridere
e baciarlo con ancora più ardore, divertito dal tono
fintamente
disgustato di Kurt. Sono nella sua cabina, nascosti agli sguardi di
una ciurma intenta a festeggiare un bottino appena conquistato, e il
capitano – già vagamente brillo – gli
slaccia la camicia con
urgenza, sentendolo tendersi sotto di sé ad ogni tocco.
«Sei
l’unico pirata che non regge l’alcool, fatina».
Kurt
sbuffa, si libera della bandana che gli avvolge il collo –
coprendo
segni che i suoi compagni potrebbero non apprezzare, se li vedessero
– e poi torna ad accarezzare il viso del capitano, i suoi
capelli
castani corti e sfibrati dall’acqua salata. David lo guarda
–
guarda i suoi occhi, la luce che li illumina come se fossero pietre
preziose, le guance arrossate dal vino che ha bevuto e che gli ha
fatto del tutto perdere la favella, e capisce di non poterne in alcun
modo misurare il valore.
Kurt
è più prezioso di tutte le perle del Mar dei
Caraibi, dell’oro
custodito nei galeoni spagnoli. È più bello della
corona di una
regina perduta, estratta dalle profondità del mare dopo
secoli di
quiete, più raro del corallo nero che riposa nelle
insenature degli
atolli più sperduti del mondo.
Ed
è suo, completamente suo.
«Ah,
capitano... sì, David...»
geme, spingendosi contro di lui
con il cervello offuscato dal vino.
David,
forse un po’ ottusamente, ne approfitta.
«Ti
amo, fatina».
É
consapevole di averglielo detto proprio ora perché domani il
ragazzo
se ne sarà dimenticato, troppo ubriaco per serbare memoria
di un
momento così piccolo.
Eppure,
da qualche parte del suo cuore, David spera quasi che se ne ricordi.
I’m
shipping
off
To
find my wooden
leg
_Angolo
del Fancazzismo_
Oh,
era da mesi che aspettavo la Kurtofsky Week. Seriamente, sono la mia
coppia preferita in Glee – anche se seguiti a poca distanza
dalla
Kurtbastian – e fortunatamente ho fatto in tempo ad
accorgermi che
la week era cominciata, in modo da poterla portare avanti.
Plotbunnies
everywhere *_*
Che
dire di questa shot. Ho usato sia il prompt
“Pirates” che quello
“Verde” della Big Damn Table, visto che devo
completarla ed è
bene sfruttare ogni possibilità che si presenta.
È veloce veloce,
scritta in un’oretta, e non ha nessunissima pretesa a parte
quella
di glorificare ulteriormente questa già magnifica
– e, a mio
parere, poco cagata dal fandom – coppia.
Credo
che l’immagine di Kurt/mozzo dagli occhi sgranati mi
perseguiterà
per giorni.
La
canzone che dà il titolo alla storia ed è
ampiamente citata al suo
interno è questa.
Ascoltatela, non ve ne pentirete <3
See
you soon,
Roby
|
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Capitolo 2 *** Red Hood ***
Red
Hood
The
memories that
now rests in this forest
Forever
shadowing
the sunrise of my heart
Wings
leave their
nest at my coming
Swaying
away to
the cold glowing sky
Il
manto rosso volteggia sulla neve candida.
Fiocchi
congelati turbinano tutt'intorno, nella grande foresta nera. I
tronchi degli alberi sono immensi e diritti, altissimi come colonne
di palazzi dimenticati, e anelano al cielo bianco protendendo i rami
scheletrici e spogli.
Tutto
è avvolto da una cappa di silenzio quieto e ovattato, come
la nebbia
che, in lontananza, trascolora nell'azzurrino gli orizzonti della
foresta.
E
il ragazzo danza nella neve, il cappuccio scarlatto abbandonato sulle
spalle.
I
suoi piedi nudi disegnano impronte irregolari nella neve, tracce di
giravolte e saltelli che fendono il manto bianco; allarga le braccia,
guardando il cielo e gli alberi con occhi chiarissimi e grandi di
felicità, canticchia appena le note di una canzone antica.
Ha
capelli che risplendono dei riflessi castani del miele, e labbra
sottili arrossate dal gelo.
Sembra
che la foresta palpiti e si risvegli in armonia con il suo canto,
circonfusa di un alone di freddo splendore che ne intensifica la
bellezza, la profonda armonia delle forme. Le creature viventi
tendono a quella voce, risvegliandosi dagli anfratti dove riposano in
attesa della fine del freddo inverno; una sola, fra tutte,
tarda
ad arrivare.
Il
ragazzo, tuttavia, aspetta. Sa che non dovrà attendere
ancora a
lungo.
Dreaming
away for
a while
My
spirit sighs
in peace
Gazing
unto the
stars
Please
take me here
Dalle
profondità della selva compare, infine, il lupo.
Il
ragazzo ferma per un attimo il suo canto, immobile nella neve, e il
manto rosso si adagia nel ghiaccio con una grazia liquida, sanguigna.
Protende le braccia verso il lupo, sorridendo, e il suo volto candido
si colora di una gioia maliziosa.
La
bestia ha occhi come i tronchi coperti di muschio, e capelli appena
più scuri dei suoi; il corpo imponente, la pelle arrossata
che
contrasta dolorosamente con il candore della neve, avanza verso il
ragazzo con una fame sopita nello sguardo teso.
Si
incontrano, e il lupo stringe il corpo del ragazzo tra le braccia
possenti e ne assaggia la pelle, lambendola con la sua
voracità di
predatore. Inarca il collo, il giovane abbandonato nella stretta del
lupo, e le sue dita sottili corrono a slacciare il cordone del
mantello scarlatto.
Il
suo unico indumento scivola a terra con un fruscio di seta appena
percettibile.
I
am so alone, so
cold
My
heart is to
scarred to glow
I
wish the
sunrise to come
Take
my soul away
From
this cold,
lonely shell
I
am free
L'ha
atteso per così tanto tempo, solo nella foresta. Ogni
inverno, ogni
volta che la neve principiava a cadere nei burroni più
oscuri delle
montagne, il ragazzo ha chiamato il lupo e l'ha aspettato con il
cuore bruciante di attesa, cercando il suo profilo aguzzo nella forma
vaga e distante delle rupi illuminate dalla luna.
E
ora che l'ha trovato, ora che si sono trovati, non
può fare
altro che amarlo lì, nella neve, circondato dal silenzio
cupo della
foresta e dal calore di quel corpo tanto più grande del suo.
«Non
temere,» sussurra, e la sua voce vibra come se stesse per
spezzarsi
«nulla può più separarci,
ormai».
Il
lupo ringhia, mordendolo finché sottili strie di sangue non
scorrono
lungo la pelle delicata della spalla. È uno spirito
aggressivo,
straripante di rabbia, ma in tutta quell'oscurità il ragazzo
legge
soltanto una solitudine straziante e incolmabile, una
fragilità che
lo attira come la fiamma fa con la falena. I suoi occhi verdi,
più
antichi del tempo, lo implorano di non abbandonarlo di nuovo alla sua
gelida vita solitaria.
E
il giovane dal manto rosso sorride, perché si sente
completo. Il
cacciatore e la preda, insieme, formano un connubio perfetto.
From
the eternal
sea, I rose
Veiled
in
darkness on either shore
Lost
my pride,
lost its glow
For
me the sun
rose no more
Il
ragazzo, sa, però, che il lupo non rimarrà
eternamente con lui.
Non
potrebbe mai costringersi alla vita a cui lui lo obbligherebbe,
abbandonare le incessanti cacce sulle montagne e rinunciare al suo
branco per lui; sa che ha paura di compiere quell'unico passo che
cambierebbe per sempre la sua esistenza di spirito oscuro, immortale.
Così,
si costringe ad una scelta ben più penosa di quanto vorrebbe.
Accarezza
il petto del lupo, bruciante di una passione che a stento riesce a
comprendere.
È
calda, la sua pelle, calda e morbida e così diversa dalla
sua, così
lontana dal gelo da cui lui trae la sua forza. Forse
è anche
per questo che ne è ossessionato, perché ama la
differenza abissale
che c'è tra loro.
Ed
è un peccato che debba finire così, in maniera
poco estetica. Il
ragazzo detesta distruggere ciò che è bello,
perché sa che così
facendo svilisce ulteriormente un mondo già misero, povero
di
tesori, ma si vede costretto a farlo se non vuole perdere per sempre
il suo unico amore.
Così,
conficca la mandritta nel petto del lupo.
The
forest of
October
Sleeps
silent
when I depart
The
web of time
Hides
my last
trace
Sente
il suo cuore battere tra le dita, il sangue caldo scorrere lungo
l'avambraccio e sprizzare a terra, tingendo la neve di un rosso
meraviglioso e cupo. Il respiro del lupo si fa lento, gorgogliante, e
il ragazzo continua a guardarlo negli occhi mentre strappa via il
cuore, lentamente.
Ed
ecco tutto ciò che resta del suo amore. Una massa di carne
calda e
compatta che può stringere tra le dita, un brandello di
carne che
vivrà accanto a lui, nel ghiaccio, per tutta
l'eternità.
Lo
morde, sente il sangue scorrergli in bocca e lungo il mento, e mai
nulla gli è parso più buono.
La
vita lo investe con tutta la sua forza, e ad ogni
sorso si
sente sempre più forte, sempre più libero.
Abbassa
lo sguardo, e il corpo del lupo è sulla neve, abbandonato
come una
foglia morta; il pelo grigio e bianco è inzuppato di sangue,
la
bocca irta di canini aperta, violacea.
Lo
ama così tanto.
Gli
accarezza il pelo, lentamente, e la mano affonda in una morbidezza
incomparabile, che perde a poco a poco il suo tepore; poi si alza,
rimette il mantello scarlatto e osserva la foresta, incantato. Si
inchina al cadavere della bestia, con grazia, poi fa un saltello
nella neve rossa e, dopo un attimo di incertezza, riprende la sua
danza.
La
voce cristallina si spande nella foresta come il tintinnio di mille
campanelli d'argento.
Dopo
qualche tempo, all'orizzonte si profila una sagoma scura, dagli occhi
brillanti.
Un
lupo.
My
blaze travel
the last universe
Like
the sights
of magic
Wrapped
in aeons
My
mind is one
with my soul
I
fall alone
while leaves fall
From
the weeping
trees
_Angolo
del Fancazzismo_
In
questa sottospecie di rivisitazione violenta della fiaba di
Cappuccetto Rosso ho immaginato Kurt come una specie di spirito della
neve/cacciatore di lupi e Dave come uno spirito lupo/umano.
Ciò non
significa necessariamente "licantropo", ma voi potete
vederla anche così (per chi se lo stesse domandando, non ho
visto
nel modo più assoluto Cappuccetto Rosso Sangue e
ogni
somiglianza - che spero non ci sia - è assolutamente
casuale).
La
canzone citata è "Forest of
October" degli Opeth.
Ascoltatela, perché è un capolavoro.
Ho
usato anche il prompt #011 della Big Damn Table, "Rosso",
tanto per gradire :D
Spero
che anche la seconda shot della Kurtofsky Week vi sia piaciuta e
ringrazio anticipatamente tutti quelli che leggeranno e recensiranno
queste mie stranezze.
See
you soon,
Roby
|
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Capitolo 3 *** It's a very, very mad world ***
It's
a very, very
mad world
And
I find it
kind of funny
I
find it kind of
sad
That
dreams in
which I'm dying
Are
the best I've
ever had
Dave
adora le prove di coraggio.
Dal
basso dei suoi sei anni ha capito che dimostrarsi forte davanti agli
altri bambini gli garantisce un'autorità superiore anche a
quella
degli adulti; si sente ammirato, sicuro, non come quando i bambini
più grandi lo prendono in giro perché
è troppo grasso o perché
non riesce a parlare bene.
È
per questo che, in un pomeriggio estivo di cielo coperto, entra da
solo nel cimitero di Lima.
Non
è molto lontano da casa, e i suoi genitori sono troppo
impegnati a
litigare per accorgersi di quello che fa lui; David non è un
bambino
particolarmente agile o sveglio, ma sgattaiolare fuori dal
giardinetto sul retro e camminare fino al grande cancello del
cimitero - sempre aperto - è sorprendentemente facile.
C'è
questa sfida, lanciatagli da un suo amico Azimio, di prendere uno dei
crisantemi azzurri che stanno sulla tomba di Portia Winfield, la
madre del sindaco di Lima. Azimio, naturalmente, ha detto che David
non ci riuscirà mai, che è troppo fifone per
spingersi fin nel
punto più isolato del cimitero - dove, secondo i racconti
delle
maestre, vivono dei fantasmi terrificanti.
Karofsky,
però, è sicuro di potercela fare.
Nel
momento in cui varca il cancello si rende conto che le tombe non sono
poi così brutte come tutti le descrivono; certo, non gli
trasmettono
una sensazione di allegria, ma nel loro biancore c'è
qualcosa di
calmo, di accogliente, e le foto sulle lapidi raffigurano tante
persone sorridenti.
I
vialetti sono puliti, senza erbacce, e c'è un silenzio
interrotto
soltanto, di quando in quando, dal frinire delle cicale.
David
sa che la tomba della Winfield si trova in fondo al viale principale,
in un bel mausoleo che ha visto tante volte anche con i suoi
genitori; si stringe addosso la giacchetta, mentre cammina,
benché
soffi un vento caldo e umido che promette abbondante pioggia, e
già
vede profilarsi la sagoma del tempietto con la cupola tonda.
È
a metà strada, quando una voce lo ferma.
Per
un attimo, David si immobilizza e tende le orecchie, la pelle
percorsa da un brivido istantaneo; ha sentito qualcosa, una specie di
sussurro ripetuto e stridulo, che l'ha fatto pensare ad un fantasma.
Si immagina quasi di vederlo comparire da dietro una tomba, bianco e
traslucido e pronto a fargli tante cose brutte,
prima che il
suo sussurro prenda corpo in qualcosa che non si sarebbe mai
aspettato.
Un
pianto.
Abbandona
il suo proposito di scappare a gambe levate e si volta completamente
verso la sorgente del rumore, avanzando di qualche passo tra le file
di lapidi bordate di fiori e prato all'inglese. Qualcuno sta
singhiozzando, con una voce sottile e femminea che sobbalza e stride
e si affanna in respiri apparentemente faticosi, non molto lontano da
dov'è lui.
Allora
perché non vede nessuno?
Gli
ci vuole qualche minuto di vagabondaggio per trovare finalmente chi
cerca.
E,
quando lo vede, Karofsky per un attimo pensa davvero di essere
davanti ad un fantasma.
C'è
un bambino, forse della sua stessa età, raggomitolato
davanti ad una
lapide bianchissima, sicuramente nuova; è
molto magro,
sottile come un filo d'erba, e i capelli castani, tutti scompigliati,
coprono il viso arrossato dal pianto e contratto in una smorfia
sofferente. Ha la pelle pallida, quasi luccicante.
Non
ha l'aria cattiva di un fantasma, ma non sembra nemmeno un bambino
normale.
«Ehi,»
la voce di David trema di paura, e il bambino è combattuto
tra la
fuga e la curiosità morbosa che lo spinge a fare ancora
qualche
passo verso la figura rannicchiata «ehi, sei una... una fata?»
Per
qualche secondo sembra quasi che l'altro non l'abbia sentito; poi
solleva la testa, si stropiccia gli occhi e lo guarda dritto in viso,
e David riesce soltanto a pensare che non ha mai visto un azzurro
tanto puro e bello in tutta la sua vita.
Ha
un viso che dev'essere proprio quello di una fata, o di un elfo.
«N-no...
ma tu chi sei?» La sua voce è sottile e delicata,
molto dolce, e a
Karofsky fa un effetto strano sentirla così fragile,
spezzata dai
singhiozzi. In qualche modo lo rende triste, perciò si
avvicina
ancora di più all'altro bambino.
«Io
mi chiamo David e sono qui per fare una prova di coraggio».
Esclama,
fiero di sé, e nel frattempo lo sguardo gli cade sulla
fotografia
attaccata alla tomba. Nella cornice c'è una donna con lunghi
capelli
biondi e occhi uguali a quelli del bambino che piange.
«Tu
come ti chiami?» Aggiunge, dopo qualche attimo di silenzio.
«Kurt».
«E
perché stai qui a piangere da solo?»
«Perché...»
e singhiozza, asciugandosi di nuovo gli occhi, prima di indicare la
lapide «... perché lì c'è la
mia mamma».
David
rimane per un attimo basito. Non ha mai avuto nessun tipo di contatto
con la morte, non si è mai nemmeno domandato cosa significhi
quando
le persone ci sono e un attimo dopo spariscono come per magia, e
tutto quello che resta è una tomba con la loro foto e una
manciata
di oggetti tenuti per ricordo.
Prova
a pensare come sarebbe se la sua mamma sparisse all'improvviso e
finisse sottoterra, e l'unica sensazione che gliene deriva è
una
tristezza strana, inevitabile.
«E
la tua mamma non tornerà più?»
Kurt
scuote la testa, gli occhi sempre più
arrossati:«Papà dice che un
giorno la rivedrò».
«E
allora,» David si accosta al bambino sedendosi accanto a lui
sull'erba «non devi essere triste. Non è sparita
per sempre».
Karofsky
legge qualcosa di strano negli occhi dell'altro bambino, qualcosa di
torbido che non riesce a capire bene. Si rende conto che vorrebbe
disperatamente aiutarlo, e non ci riesce parlando soltanto.
Così,
afferra la sua mano piccola e fredda e la tiene stretta nella sua,
accennando un sorriso.
«Possiamo
aspettarla insieme. E poi, quando viene, andiamo tutti e tre a
prendere i fiori dalla tomba di Portia Winfield, che mi servono per
vincere la prova di coraggio. Ti va?»
Kurt
annuisce, stirando le labbra in un sorriso timido.
«M-mio
padre mi sta cercando, non lo sa che sto qui».
«Allora
se non facciamo in tempo oggi possiamo venire tutte le volte che ti
va. Ti va di essere amici?»
«Sì».
***
Quando
David spinge Kurt contro l'armadietto, forse per la terza volta della
giornata, sente una morsa di spiacevole senso di colpa attanagliargli
lo stomaco. Sa che non è corretto, sa che non è
questo che vorrebbe
realmente fare, ma è l'unico modo che ha per toccarlo e
manifestare
l'interesse morboso che nutre nei suoi confronti.
E
gli occhi di Kurt lo guardano con odio, arrossati dalle lacrime.
Ha
pensato a lui per anni e anni, dopo quel singolo incontro al
cimitero; non si sono mai più visti, lui e la sua fatina,
finché
una bizzarra serie di coincidenze non li hanno fatti rivedere proprio
nell'unico posto dove non possono essere amici. Hummel è
sempre
stato nel cuore di Dave, nascosto da qualche parte sotto strati e
strati di false convinzioni.
“Eppure,
Kurt, tu non ti sei ricordato di me”.
I
find it hard to
tell you
I
find it hard to
take
When
people run
in circles
It's
a very very
Mad
world
Mad
world
_Angolo
del
Fancazzismo_
Salve
a tutti e ben venuti al delirio 3/7. Baby!Kurtofsky, perché
David in
veste di bambino paffuto è quanto di più puccioso
una mente umana
riesca a concepire, e tristezza a palate, perché il cielo
nuvolo
tende a far precipitare il mio carattere già di per
sé malinconico.
Spero
vi sia piaciuta, e vi ringrazio per le recensioni assolutamente
fantastiche (e anche troppo buone, se posso esprimere un parere
sincero) e il meraviglioso feedback che mi state dando con questa
raccolta senza pretese.
La
canzone citata all'inizio e alla fine del capitolo è questa,
e come
al solito ho sfruttato un prompt della Big Damn Table, cioè
"Genitori" (lo #027, per intenderci).
Ci
vediamo alla prossima shot, e buon primo maggio a tutti/e voi!
See
you soon,
Roby
|
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Capitolo 4 *** Suck my balls, Mr.Shue! ***
Suck
my balls,
Mr.Shue!
“Going
down to South Park, gonna have myself a time
Friendly
faces
everywhere, humble folks without temptation
Going
down to
South Park gonna leave my woes behind
Ample
parking day
or night, people shouting HOWDY NEIGHBOR!
Headin'
up to
South Park gonna see if I can't unwind
I
like girls with
big fat titties, I like girls with big vaginas!
So
come on down
to South Park and meet some friends O' mine”.
South
Park Opening
«Secondo
me dovremmo avviare un commercio di feti abortiti».
Kurt
Hummel ha imparato che, se vuole vivere pacificamente nella piccola
cittadina di South Park e raggiungere la maggiore età
indenne, deve
imparare a convivere con David Karofsky. Il suo compagno di banco -
quindici anni passati a mangiare patatine e panini dal Mc.Donald's,
con un culo che potrebbe diventare tranquillamente il cinquantunesimo
Stato americano - costituisce l'incubo di qualsiasi altro studente
del South Park High, ma non il suo.
Questo
perché Kurt si ritiene troppo superiore
per farsi mettere i
piedi in testa da un simile individuo.
«Oppure
potresti prostituirti. Scommetto che ci sono un mucchio di vecchi con
il cazzo moscio pronti a pagare per il tuo culo».
«Karofsky,
finiscila».
«Ah,
giusto, consiglio inutile. Tanto lo fai già, no?»
Kurt
stritola la matita e prega silenziosamente che l'ora di matematica
finisca il più presto possibile; è orribilmente
stufo di Karofsky,
della sua inutile faccia grassa e del cappello blu e giallo che
indossa tutti i giorni, con quel ridicolo pon-pon sulla cima.
Si
chiede perché gli sia dovuta capitare la sfortuna di un'ora
solo con
David, senza nessuno dei suoi amici a difenderlo dagli attacchi
costanti di quel pervertito.
«Tanto
lo sa tutta la scuola che muori dietro a Blaine Anderson, faccia
da checca».
Ma
la cosa che irrita Kurt più di tutte è che,
nonostante il grasso
strabordante, le abitudini alimentari inappropriate e la
capacità di
elaborare piani insensati per la conquista del mondo ogni volta che
il caso non lo richiede, David Karofsky non
è affatto
stupido. Anzi, è forse uno dei ragazzi più
intelligenti che
conosca.
Del
resto, lui si è accorto dei suoi gusti sessuali non
propriamente
ortodossi, mentre il suo migliore amico Blaine
Anderson ancora
no.
«Non
sono gay». Replica, asciutto, cercando distrattamente di
prendere
qualche appunto. Ma è ovvio che David non lo
lascerà in pace così
facilmente.
«Certo
che lo sei, altrimenti avresti detto "frocio". Non sono
frocio. Nessun americano normale ha rispetto verso le
checche».
«Nessun
americano incivile come te, Karofsky».
«Ecco,
lo dicevo che sei frocio».
Hummel
scuote la testa, cercando di pensare a qualcos'altro. È
inutile
tentare di avviare una conversazione civile con il suo compagno di
banco, perché sa che - in un modo o nell'altro -
l'avrà sempre
vinta lui.
E
su discorsi dal tono quantomeno offensivo, come al
solito.
«Comunque
secondo me dovresti dirglielo. A Anderson, intendo».
Kurt
solleva lo sguardo dal quaderno e punta i suoi occhi chiari in quelli
di Karofsky, sollevando le sopracciglia in un'espressione di puro
scetticismo. Sa essere pungente anche lui, quando vuole.
«Sarebbe
un consiglio da amico? E comunque non sono gay,
quindi il tuo
ragionamento non fila».
«Te
lo dico per il tuo bene. Anche perché Anderson è
più frocio di te,
con quei farfallini terrificanti che si mette, quindi hai delle
possibilità».
«David
Karofksy!» La replica caustica di Kurt viene
bloccata dalla voce
l’insegnante di spagnolo, Mr.Shue, un attimo prima che
cominci
«Posso sapere di cosa stai parlando con Hummel?»
Il
professor Shue è un uomo alto e giovanile, sulla quarantina,
con i
capelli riccioluti e la mascella squadrata; Kurt era arrivato al
punto di prendersi una cotta per lui, al suo primo anno di liceo, e a
ragione: è un docente simpatico e non troppo severo, una
vera e
propria rarità a South Park – dove, pare, si
radunano
periodicamente tutti gli schizzati del continente.
Gli
sorride, come per ringraziarlo di quell’intervento
provvidenziale.
Il suo ghigno si trasforma in una smorfia quando, però,
sente la
risposta di Karofsky.
«Succhiami
le palle, Mr.Shue».
Si
volta verso David, gli occhi così spalancati che teme gli
cadano
fuori dalle orbite e rotolino sul banco. Praticamente tutta la classe
fissa il ragazzo a bocca aperta, incredula.
Come
diavolo si fa a dire una cosa del genere ad un professore? Quale
fegato o profonda idiozia ci vuole per esporsi in quel modo?
«Come
hai detto, prego?» Pare che anche Mr.Shue non voglia
arrendersi
all’evidenza, ma sul viso di David c’è
un sorrisetto ironico
difficilmente fraintendibile.
«Scusi,
riformulo». Karofsky si schiarisce la voce per poi
riprendere, ad un
volume triplicato e scandendo ogni parola «Che ne
direbbe di
succhiarmi le palle, Mr.Shue?»
Nel
minuto di silenzio che segue, Kurt non può esimersi
dall’intervenire.
«Amico,»
sussurra, quasi terrorizzato «sei
morto».
«E
tu che ne diresti di andare dal preside, David?» Mr.Shue non
perde
una virgola della sua calma, abituato com'è ad avere a che
fare con
adolescenti arrabbiati che scaricano su di lui e sulla sua materia la
frustrazione accumulata a casa e a scuola. Fissa David con
leggerezza, aspettando che il ragazzo si alzi.
E,
sorridendo, Karofsky scosta la sedia e, con la sua camminata
dondolante, esce dalla porta.
Kurt
non capisce. Il David che conosce non sorride in quel modo davanti ad
un rimprovero, non si piega all'autorità di un professore e,
soprattutto, non è così stupido da farsi mettere
fuori per una
risposta ad un docente senza un secondo fine.
È
quasi... curioso di sapere perché mai
abbia fatto una cosa
del genere.
Così,
un po' titubante, alza la mano.
«Sì,
Hummel?»
«Posso
andare in bagno?»
Mr.
Shue annuisce con aria distratta e torna a scrivere qualche parola
alla lavagna, mentre Kurt esce dalla classe quasi frettolosamente;
come si aspettava, David è piantato nel bel mezzo del
corridoio, e
lo fissa con un ghigno ironico piuttosto inquietante.
«Non
dovresti andare dal preside, tu?» Sussurra, dopo che gli si
è
avvicinato a passi piccoli, insicuri. Qualsiasi cosa abbia in mente
Karofsky, se riguarda lui non può essere necessariamente bella.
«Mh...
ho tempo».
«Tempo
per cosa, di grazia?»
Kurt
non si rende conto del tono sottilmente insinuante che ha usato, nel
rivolgere quella domanda a Karofsky; se ne sta lì, immobile,
a
pendere dalle sue labbra in attesa di una risposta che, lo sa, non
dovrebbe interessargli poi così tanto. E
poi deve sbrigarsi a
tornare in classe.
«Per
dimostrarti che ho ragione io. Sul fatto che sei frocio,
intendo».
«Ah
ah». Se soltanto Karofsky non fosse così
irrimediabilmente stronzo,
Kurt crede che potrebbe anche piacergli. Ha le spalle ampie,
crescendo diventerà sicuramente molto alto, e il suo sguardo
verde è
intenso e magnetico, molto più profondo
di quello di Blaine;
non è dolce, certo, non è bello e nemmeno
lontanamente romantico,
però...
«"Ah
ah" è tutto quello che riesci a rispondere? Di solito sei
più
sveglio, checca».
Però,
David è David. Come potrebbe mai innamorarsi di qualcuno che
è così
spudoratamente malvagio da diffondere fotografie di
altri
studenti sotto la doccia per il semplice gusto di farlo? Qualcuno che
è stato ammesso nel gruppo dei popolari
soltanto perché si
diverte più di tutti a insultare Rory Flanagan, l'emarginato
studente irlandese, organizzando contro di lui scherzi perfidi?
«Davvero,
Karofsky, non vedo l'ora di vedere cosa sai
fare». Soffia,
alzando gli occhi al cielo «Però sbrigati, se non
ti dispiace,
perché il professor Shue tra qualche minuto
manderà qualcuno a
cercarmi».
«Ok,
ma poi tu non lamentarti».
Quello
che succede poi, Kurt non riesce ad impedirlo.
Sente
la stretta salda di dita grassocce attorno al suo viso, sulle guance
e gli zigomi, e vede gli occhi di Karofsky farsi sempre più
vicini.
Dopo averlo fissato per una frazione di secondo immobile, quasi a
sincerarsi che lui non scappi, David lo bacia.
È
una sensazione assurda. Kurt non ha mai baciato nessuno - non in quel
modo, almeno - e non si sarebbe mai aspettato, fantasticando sul
fatidico momento tra lui e Blaine, che fosse così.
Prima
di tutto, è umido. Sente le labbra di Karofsky muoversi
sulle sue, e
risponde al bacio per un riflesso quasi involontario, le mani
improvvisamente sudate; se non fosse completamente concentrato sulle
sensazioni contrastanti che il suo cervello gli invia - piacere,
attrazione e disgusto perché oh mio
Dio sto baciando David
Karofsky - forse Kurt potrebbe percepire un calore strano e
intenso invadergli lo stomaco, un lungo piacevole brivido che gli fa
venire la pelle d'oca.
E,
oddio, non fa in tempo a staccarsi da David che realizza di volerne
ancora, e questa consapevolezza è ben
più infamante di
qualsiasi fantasia romantica che abbia per protagonista Blaine
Anderson. Improvvisamente, Kurt si sente sporco.
«Lo
sapevo che eri froc-»
«Oh,
Karofsky, vaffanculo».
David
si zittisce, come colpito da un fulmine. In quasi dieci anni di
conoscenza e angherie, Hummel non gli ha mai risposto con una
parolaccia - o, per essere più precisi, con una scurrilità
di qualsiasi genere. È sempre tanto controllato che pensava
non le
conoscesse neanche.
E
gli viene da ridere mentre lo guarda trottare verso il bagno con aria
seccata, le guance imporporate da un imbarazzo che, in un certo
senso, lo lusinga.
«Ehi,
Hummel!»
«Lasciami
in pace!»
«Pensa
a cosa farebbe Brian Boitano!»
_Angolo
del Fancazzismo_
Sì,
questa shot è stupida e ne vado tanto fiera. Adoro South
Park con
ogni fibra del mio essere ed è stato il primo cartoon che mi
è
venuto in mente quando ho pensato al Kurtofsky (Kurt come Kyle e Dave
come Cartman, ovviamente) e avrei tanto voluto poter produrre
qualcosa di meglio sul tema.
Purtroppo
di là ho i composti ternari (chimica... eeeeeew) che mi
attendono, e
non posso dilungarmi oltre.
Vari
riferimenti qua e là nel testo e la frase finale su Brian
Boitano
sono ripresi sia dalla serie Tv di S.P. che dal film, mentre il
prompt della BDT di questa volta è lo #088, "Scuola".
Spero
vi sia piaciuta :3
|
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Capitolo 5 *** The Fury ***
The
Fury
Fuck
you!
I'm fed up with you
I'm
not as good
as you
Fuck
no, I'm
better than you!
Korn
- Divine
Nel
momento in cui colpisce con un pugno l'odiosa faccia di Blaine
Anderson, David Karofsky non può fare a meno di sorridere.
Sa
che ha ventun'anni suonati e fare a botte con qualcuno per una
questione che ha vinto dagli anni del liceo non
è molto
saggio, ma ogni volta che sopracciglia triangolari
gli capita
davanti non riesce a sottrarsi all'inevitabile litigio che segue il
loro primo scambio di battute.
«Maledetto
stronzo grassone!» Blaine si pulisce il viso con l'aria
offesa, da
damerino.
«Ne
vuoi un altro, frocio?» The Fury
prude ancora, pronto
ad assestare qualche altro gancio da manuale al visetto imberbe
dell'imbecille che per qualche assurdo motivo è finito nel
suo
stesso college.
«E
comunque,» aggiunge, afferrando Blaine per il collo
dell'orrido
maglioncino a quadri che indossa «la prossima volta che ti
azzardi a
nominare Kurt te la spacco per bene, la faccia. Capito?»
Con
Hummel alla NYADA e le comunicazioni ridotte ad una conversazione
Skype strappalacrime ogni sera, David può togliersi tutti
quegli
sfizi che gli premono da quando ancora frequentava il McKinley - e
Kurt non è tenuto a sapere nulla.
_Angolo
del Fancazzismo_
Flash
ad alto contenuto di demenza su quello che David potrebbe fare in un
futuro prossimo, con Kurt a New York e lui e Blaine rinchiusi in un
college nei dintorni di Lima.
E
sì, è inutile e non ha il minimo senso, ma
esprime tutto il mio
profondo amore per Mr.Sopracciglia <3
Il
prompt BDT è "Nemici" :3
See
you soon,
Roby
|
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Capitolo 6 *** The Crow's Cunning ***
The
Crow’s
Cunning
“Or
words go beyond the moon
Our
words go into
the shadows
The
river sings
the endlessness
We
write of our
journey through night
We
write in our
aloneness
We
want to know
the shape of eternity”
La
notte nei dintorni della scuola di magia e stregoneria di Hogwarts
è
buia, terribile, animata da un fitto concerto di fruscii e
scricchiolii che, con il tempo, Kurt Hummel ha imparato ad
interpretare.
Gli
scrocchi secchi che sente ogni tanto, mentre si dirige verso la serra
numero tre rimboccandosi la cappa intorno alle caviglie - odia
infangarla, sono prodotti dal Platano Picchiatore, che si stiracchia
pigramente sotto la luce argentea della luna. Kurt si muove
velocemente, quasi correndo nell'erba alta, finché non
può
nascondersi all'ombra delle grandi serre che la professoressa Holly
Holliday, direttrice della casa di Corvonero, ha riempito di piante a
volte tanto esotiche quanto pericolose.
A
Kurt piace molto la professoressa Holliday (forse, se non facesse
parte della sua casa, tutta questa simpatia verrebbe presto
ridimensionata da un sincero astio verso la scorrettezza che la
docente usa per far sì che i propri alunni vincano tutte le
competizioni), forse l'unica insegnante con cui sia riuscito ad
instaurare un rapporto di quasi amicizia.
È una donna strana,
e Hummel è quasi sicuro che il suo accenno a come la
serra numero
tre abbia la porta stregata e non si riesca a chiudere nemmeno con la
magia, forse per un malvagio scherzo di qualche studente sia
tutto tranne che casuale.
Niente
di cui stupirsi, visto che la Holliday conosce il suo segreto. Kurt
non ha ancora capito come abbia fatto a scoprirlo, ma una serie di
battutine ambigue su di lui e un certo signor Serpeverde
non
si possono interpretare diversamente.
Così,
incespicando tra le zolle bagnate di rugiada notturna, raggiunge la
porta della serra e la spalanca.
Non
fa in tempo a varcare la soglia, che un paio di braccia robuste lo
afferrano da dietro e lo spingono sul primo tavolo disponibile, dove
si accascia tra i vasi di frullobulbi e gerani zannuti. Un recipiente
che ospita un'allegra famigliola di orclumpi rotola a terra a causa
dell'impatto, e lì si spacca.
«Potresti
fare anche più piano». Soffia, sfilando
velocemente il mantello e
il maglione. La tentazione di far evanescere i vestiti - evitando
così di spiegazzarli - è forte, ma sa che l'altro
non
gradirebbe e non vuole sorbirsi le sue lamentele per tutta la sera.
«Se
tu non ci mettessi sei ore ogni volta io non sarei così
impaziente».
Una
delle cose che ama di David Karofksy è che, per quanto possa
essere
indelicato e rozzo, gli dimostra un attaccamento così
appassionato
da stupirlo ogni volta. Perché sa che non dev'essere stato
affatto
facile, per questo ragazzone alto quasi un metro e ottanta, sfuggire
ai controlli della direttrice di Serpeverde (Sue Sylvester, una donna
spietata e sadica fino all'eccesso) per fare qualcosa che non riesce
tutt'ora a giustificare a se stesso. E sa altrettanto bene che non
troverà da nessun'altra parte quelle stesse mani grandi e
calde,
quella stretta sicura sui suoi fianchi e quella voce profonda che
sussurra nel fitto della notte.
«Blaine
Anderson non ti si è più avvicinato,
vero?»
«Vuoi
scherzare? È un Grifondoro!»
***
Seduto
ad uno dei tanti tavoli del pub I Tre Manici di Scopa,
ad
Hogsmeade, David si nasconde dietro il proprio boccale di Burrobirra
e spera ardentemente che nessun altro serpeverde del quinto anno
decida di entrare nel locale e sedersi accanto a lui.
Non
ne ha voglia, non oggi. O meglio, non dopo che ha visto
quell'imbecille impomatato di Blaine Anderson incollarsi come una
piovra a quello che, tecnicamente, sarebbe il suo
ragazzo.
Certo, a scuola non lo sa nessuno - e ci mancherebbe! - ma David
comunque mal sopporta la presenza di quell'irritante damerino,
specialmente durante le rare gite ad Hogsmeade.
Poi,
davanti a lui si siede l'ultima persona che si sarebbe aspettato.
Ha
i capelli biondi, gli occhi azzurro ghiaccio e indossa un vistoso
abito blu notte, trapunto di pietre luccicanti simili a stelle. E lo
fissa, ahilui, con un'espressione che non promette nulla di buono.
«P-professoressa
Holliday?»
«Mi
fa piacere che tu ti ricordi il mio nome, David».
«No,
voglio dire... c-come mai è qui?»
«Be',
ti ho visto triste e ho pensato di sedermi qua. È successo
qualcosa
con Kurt?»
David
avvampa, stringendo il boccale bagnato di condensa. Come diavolo
fa a saperlo?
«Oh,
non ti preoccupare, non racconterò niente alla Sylvester o
al
preside Figgins. Volevo solo avvertirti che la professoressa Beiste
ha sistemato la porta della serra numero tre, quindi da stanotte non
sarà più agibile. Naturalmente, ho trovato una
soluzione anche a
questo». Appoggia una mano sul tavolo, e quando la ritira sul
legno
brilla una chiave d'argento, innaturalmente lucida. Deve essere
stregata con chissà quali incantesimi di protezione, e ha
un'aria
piuttosto familiare.
«Ma
quella...»
«È
la chiave del laboratorio di astronomia. Fanne buon uso,
Karofksy».
La
Holliday si alza e fa per andarsene, ma David la blocca con un cenno
frettoloso della mano.
«Lei...
perché lo fa?»
«Perché
Kurt è un mio alunno e voglio solo il suo bene. E tu mi
piaci di più
di Anderson e... come si chiama quel tuo amico? Smythe? Non
lascerò che il mio studente preferito finisca con un
pervertito, o
peggio... con un Grifondoro».
«Allora...
grazie, signorina Holliday».
Una
volta che la professoressa è uscita, David afferra la chiave
e la
soppesa, pensoso.
A
conti fatti, non sa se ritenersi nei guai fino al collo
o
maledettamente fortunato.
“Who
knows the way it is?
Who
knows what
time will not tell us?”
_Angolo
del Fancazzismo_
Orribile.
Vi chiedo formalmente scusa per questa oneshot, ma non ci sono stata
per due giorni… e devo necessariamente completare la
settimana
oggi, altrimenti il mio orgoglio ne uscirà profondamente
ferito.
Come sempre vi ringrazio per il feedback e le recensioni e spero che
l’immagine di un Kurt Hummel in cravatta azzurro grigia culli
i
vostri sogni più belli :D
Forse
stasera sul tardi pubblicherò anche l’ultima shot.
See
you soon,
Roby
Ps.
La canzone citata è “The River Sings” di
Enya, tradotta in
inglese (la versione originale è in una lingua inventata
dalla
cantante, un misto di celtico e fantasia).
Pps.
Il prompt della Big Damn Table è “Terra”
(per le serre, sapete
:P).
|
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Capitolo 7 *** Clamour for Glamour ***
Clamour
for
Glamour
People
here in
your neighbourhood
Act
real cool but
they dance no good
I
don’t care
what the others say
When
I’ve found
a new game to play
Forse
David avrebbe dovuto chiedersi come sarebbe stata la sua vita, una
volta sposato Kurt Hummel.
Forse,
se se lo fosse chiesto seriamente, a
quest’ora non sarebbe
dov’è.
Probabilmente,
però, avrebbe commesso comunque lo stesso errore. E, a conti
fatti,
non c’è molto di cui possa lamentarsi.
Seduto
su una panchina davanti ai grandi magazzini, attorniato da frotte di
passanti che calcano il marciapiede carichi di buste come muli da
soma, fa saltellare sul ginocchio quel fagotto di pizzo e scarpette
di raso che è sua figlia Whitney, lunghi boccoli biondi e
grandi
occhi azzurri che vagano tutt’intorno, soffermandosi sul
verde
acceso delle aiuole fiorite. Ha appena due anni.
Kurt
ama agghindarla come una principessa e ripetere a tutto il vicinato
che l’ha chiamata Whitney perché è
assolutamente certo che un
giorno sarà una grande cantante, ma David in lei,
più che le
speranze del marito, vede soltanto una creatura fragile e sola che
grazie a lui ha trovato un posto in cui stare. Il loro amore per
questa bambina è la cosa più preziosa che
conosca, quelle che più
di tutte difende.
Anche
se, c’è da dire, dovrebbe impegnarsi un
po’ di più a difendere
Kurt.
Lo
pensa quando lo vede uscire dai grandi magazzini, quattro buste
gonfie per mano e i capelli visibilmente in disordine; su una guancia
campeggiano graffi che sembrano il prodotto di un combattimento
all’ultimo sangue.
«Di’
un po’, hai litigato con una tigre?»
«No,
molto peggio». Appoggia metà delle buste a terra
e, tratto un
fazzoletto dal taschino, tampona leggermente i graffi «Non
hai idea
di quanto taglino quelle maledette unghie ricostruite».
Claim
to fame
Clamour
for
glamour
Oh
padeo oh pa padeo
Alla
gente che gli chiede cosa mai ci faccia una camera insonorizzata nel
suo appartamento, Kurt risponde che la usa per coltivare
l’hobby
del canto – quando, beninteso, il lavoro gli lascia il tempo
di
farlo.
Dopo
tre anni di matrimonio e l’adozione, però, ha
scoperto metodi
molto più interessanti per sfruttare quella sua piccola,
costosissima chicca.
«Ah,
Dio... David...»
Può
permettersi di urlare tutte le porcate che gli passano per la testa,
visto che la piccola Whitney comunque non sentirà nulla.
Hanno
bisogno di sfogare lo stress, lui e David, di spingersi e mordersi e
urlare quando il tran-tran della vita quotidiana sembra farsi troppo
ossessivo.
E
poi non è colpa sua se suo marito è meraviglioso
a letto.
Get
it good
Like
I knew you
would
«Odio
quella strega!»
«Kurt,
calmati».
«Nemmeno
ne “Il diavolo veste Prada” il
capo è così stronzo!
Perché doveva capitare proprio a me?!»
Kurt
lavora in una rivista di moda come assistente personale del
principale e tuttofare. Si occupa di coordinare e supervisionare i
servizi fotografici e gli articoli che escono sul mensile, organizza
gli appuntamenti per le interviste e ogni genere di collaborazione
che contribuisce a rendere “Exposure”
una delle riviste
più popolari di Manhattan.
Considerato
il cospicuo stipendio non sarebbe un lavoro niente male, se soltanto
il capo di Kurt non gli causasse regolari crisi isteriche.
«Non
dare retta a quell’idiota...»
«Come
faccio a non dargli retta?! Prima mi promuove e poi mi insulta per
come mi vesto, che diamine!»
«Ehi,»
David afferra Kurt per i polsi, facendolo ammutolire, e lo fissa
dritto negli occhi «ehi, non dare retta a quel figlio di
puttana. Tu
ascolta solo me, capito?»
Hummel
annuisce.
«Sei
bellissimo, Kurt. Ti vesti come vuoi anche se agli altri non sta bene
e per questo sei assolutamente magnifico».
Kurt
annuisce, poi si slancia verso di lui e lo bacia.
Ogni
altra cosa perde di consistenza.
People
here in
your neighborhood
Act
real cool but
they dance no good
I
don’t care
but I’ve been told
That
all those
people aint’ got no soul
Una
mattina, Kurt e David trovano la loro macchina distrutta.
Qualcuno
ha spaccato i finestrini e graffiato la vernice, strappato via gli
specchietti e ridotto i fari in mille pezzi, bucato le gomme; su una
fiancata spicca una scritta color rosa acceso che per qualche secondo
fa provare a Kurt un dolore quasi fisico.
Frocio.
David
impallidisce vistosamente, stringe la mano di Kurt. Whitney, seduta
sul suo avambraccio, si guarda intorno con aria spaesata, non
capisce.
«Che
c’è?» Chiede, la vocina sottile come
quella di un uccellino «Che,
papà?»
Il
viso di Kurt si contrae come una foglia mangiata dalle fiamme; si
ripiega su sé stesso, quest’uomo che non ha ancora
del tutto
sconfitto le sue paure di bambino, e nasconde la bocca con una mano
mentre i singhiozzi gli scuotono le spalle. È tutto
così ingiusto,
così sbagliato che vorrebbe poterlo dimenticare, in qualche
modo.
Ogni
lettera sulla carrozzeria gli riporta alla mente gli anni del liceo,
quello che ha dovuto passare.
Poi,
David passa un braccio attorno alle sue spalle. Lui, che non
è mai
stato forte quanto lui, che ha sempre cercato di nascondere il suo
segreto, adesso lo avvolge come se fosse ancora un ragazzino e gli
dice di stare tranquillo, che persone così esistono ed
esisteranno
sempre e non ci si può arrendere davanti ad ogni scoglio.
Gli
viene quasi da ridere, tra le lacrime, per
l’assurdità della
situazione. Poi, però, annuisce e si sforza di recuperare la
calma.
Quando
acquistano una nuova macchina, Dave compra un piede di porco.
Parcheggia l’auto davanti alla casa, si piazza nel portico
con la
spranga in mano e ogni sera attende, paziente, nascosto dalle ombre.
È rimasto grosso come un tempo, solo che ha sostituito al
grasso
massa muscolare.
Finché,
una sera, loro non ritornano.
Sono
ragazzini, forse non hanno più di sedici anni, ed
è proprio questo
che li salva. David si alza pigramente dalla sdraio, sgranchisce la
gambe e percorre silenziosamente i pochi metri che lo separano dalla
macchina, il piede di porco stretto nel pugno.
I
ragazzini non fanno in tempo a vederlo che si allontanano dalla
macchina – qualcuno ha già tirato fuori bombolette
e cacciaviti –
e scappano via, veloci per quanto lo concedano le gambe.
Dave
spalanca le braccia e sorride, visibilmente nervoso.
«E
poi sarei io il frocio?»
Il
suo grido, a pieni polmoni, pare voglia svegliare l’intero
vicinato.
I
kick them where
the sun don’t shine
And
take you down
to my side of town
I
don’t care
what the others say
When
I’ve found
a new game to play
Nonostante
tutto, si rialzano sempre.
Sono
una coppia che ha cominciato con i peggiori pronostici, angherie e
bullismo e poi la naturale incompatibilità dei loro
interessi, ma
alla fine entrambi hanno capito quanto sia meraviglioso amare il
diverso, qualcuno che può allargare i nostri orizzonti fino
a farli
combaciare con i suoi in modo del tutto inaspettato.
Kurt
continua ad essere sempre la solita fatina amante
della moda,
di tutto ciò che sbrilluccica e a cui può
appioppare l’aggettivo
“fabulous” senza provare la
minima vergogna, mentre David
non ha ancora smesso quella sua aria di macho burbero e scontroso,
zelante difensore della propria virilità.
Entrambi
hanno scoperto che può essere divertente guardare le partite
di
football insieme, chi per la squadra preferita e chi per i fisici
atletici dei giocatori, o che le creme idratanti non sono poi
così
malaccio come si potrebbe pensare, e in un certo senso migliorano la
qualità della vita e abbassano le probabilità di
arrivare ad un
colloquio di lavoro con il naso pieno di punti neri.
David
ha imparato ad amare ogni cosa di Kurt, ogni particolare del suo
essere un fashion victim ossessionato dal glamour e
dall’esteriorità;
Kurt ha capito che, sotto una crosta dura più del cemento,
David
nasconde un cuore capace di amare come nessun altro, e di cui non
riesce più a fare a meno.
E
vanno bene così.
Loro,
l’accoppiata più improbabile che si possa
immaginare, il bullo e
la fatina.
Perché,
in fondo, non c’è nulla di più perfetto.
Claim
to fame
Clamour
for
glamour
Oh
padeo oh pa
padeo
Claim
to fame
Clamour
for
glamour
Oh
padeo oh pa
padeo
_Angolo
del Fancazzismo_
Ecco,
questa valeva già la pena di essere letta xD
È
forse l’unica oneshot decente che sia riuscita a scrivere per
la
Kurtofksy week, e mi dispiace davvero tanto di aver mantenuto la
qualità ad un livello decisamente basso. La prossima volta
vedrete
che m’impegnerò di più!
Prompt
BDT #005, “Esteriorità”, e canzone
“Clamour For Glamour” dei
The Ark. La mia scelta è ricaduta su questo pezzo
perché è
allegro, spensierato, e perché crea un atmosfera che mi fa
pensare
maledettamente a Kurt.
See
you soon,
Roby
|
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