The Pirate Song

di GreedFan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Shipping Up to Boston ***
Capitolo 2: *** Red Hood ***
Capitolo 3: *** It's a very, very mad world ***
Capitolo 4: *** Suck my balls, Mr.Shue! ***
Capitolo 5: *** The Fury ***
Capitolo 6: *** The Crow's Cunning ***
Capitolo 7: *** Clamour for Glamour ***



Capitolo 1
*** Shipping Up to Boston ***


Shipping up to Boston


I’m a sailor peg

And I lost my leg

I climbed up the topsails

I lost my leg

Kurt ricorda distintamente quello che suo padre gli ha detto quando ha abbandonato la sua casa borghese per scegliere il mare.

Non ne varrà la pena. Uno come te non può sopravvivere in quell’ambiente”.

Eppure, ogni volta che ripensa alla prima volta che ha messo piede su un galeone non può far altro che ricordare con un moto di tenerezza quanto la sua vita sia cambiata in meglio. La salsedine gli è entrata nelle ossa e nel cuore a tal punto che non potrebbe immaginare nessun altra vita che questa, sospeso tra le sartie e le vele candide che si gonfiano di vento e le onde del mare, di un verde cupo che sa di casa e di natura indomita, mugghiante. Vive come un gabbiano, mangiando quello che l’acqua salata sa regalare e lasciandosi trasportare dalle correnti che sferzano il cielo del grande blu.

E ogni volta che vede il sole sorgere o tramontare sulle onde, colorandole di giallo, oro o rosso scarlatto, si sente commosso dalla bellezza incredibile di quello spettacolo, e dalla sensazione di libertà che gli infiamma il petto, meravigliosa e inarrivabile per chi non ha mai provato l’emozione di solcare i mari a bordo di una nave pirata.

La sua condizione di mozzo e tuttofare gli consente, paradossalmente, un’autonomia totale. Non deve combattere, preoccuparsi della rotta o delle condizioni delle vele: svolti i suoi compiti, può arrampicarsi su uno degli alberi e occupare un postazione di vedetta sguarnita. Da lì, il mare gli appare sconfinato e invincibile, ben più grande di qualsiasi città sulla terraferma; si chiede quali segreti celino le sue acque scure, quali mostri vivano nelle profondità abissali, e se si cibino dei marinai che cadono in acqua durante le battaglie.

Ah, gli arrembaggi. Perfino la morte di un uomo, su una nave, appare più nobile che sulla terraferma. Kurt immagina il momento in cui morirà, e il suo corpo verrà lasciato dentro una scialuppa, in balìa delle onde, così che possa viaggiare nella notte fino ai confini del mondo, accompagnato dal canto lugubre della sua ciurma.

I’m shipping up to Boston

Whoa oh oh

I’m shipping up

To find my wooden leg


David è il capitano della nave, e per tutta la vita ha amato il verde del mare.

La sua anima si è fusa con il legno scuro del ponte, con la ruota ruvida del timone e il corpo fine e delicato della polena, eterna guardiana dei suoi viaggi; ha visto molte terre in soli trent’anni di vita, e la vita del pirata l’ha reso più ardito e avido di quanto un uomo della sua età dovrebbe essere.

Eppure, c’è una cosa di fronte alla quale tutti i tesori del mondo non contano niente.

Una cosa - una persona piccola e preziosissima, che Dave ha visto crescere e maturare accanto a lui per quasi cinque anni prima di arrischiarsi a toccarla.

Quando sente il corpo sottile di Kurt tra le dita e si perde nei suoi occhi azzurro-verdi, David pensa che non ha fatto altro che innamorarsi di nuovo del mare, delle onde. Perché Kurt ha il sapore della salsedine e il profumo del sole, la delicatezza evanescente delle albe riflesse sull’acqua e la passione decisa dei tramonti. La sua voce sottile è il canto di una sirena.

E benché sappia che quello che li lega è un desiderio proibito, che va nascosto se vuole evitare di perdere il suo prestigio verso gli altri marinai, il capitano non può esimersi dal cedere, dal prendere per sé quello che lo stesso mozzo gli offre con un amore così sincero e appassionato da non ammettere rifiuto.

I’m a sailor peg

And I lost my leg

I climbed up the topsails

I lost my leg

«Le tue labbra sanno di rum».

Glielo ripete spesso, ma ogni volta David non può fare a meno di sorridere e baciarlo con ancora più ardore, divertito dal tono fintamente disgustato di Kurt. Sono nella sua cabina, nascosti agli sguardi di una ciurma intenta a festeggiare un bottino appena conquistato, e il capitano – già vagamente brillo – gli slaccia la camicia con urgenza, sentendolo tendersi sotto di sé ad ogni tocco.

«Sei l’unico pirata che non regge l’alcool, fatina».

Kurt sbuffa, si libera della bandana che gli avvolge il collo – coprendo segni che i suoi compagni potrebbero non apprezzare, se li vedessero – e poi torna ad accarezzare il viso del capitano, i suoi capelli castani corti e sfibrati dall’acqua salata. David lo guarda – guarda i suoi occhi, la luce che li illumina come se fossero pietre preziose, le guance arrossate dal vino che ha bevuto e che gli ha fatto del tutto perdere la favella, e capisce di non poterne in alcun modo misurare il valore.

Kurt è più prezioso di tutte le perle del Mar dei Caraibi, dell’oro custodito nei galeoni spagnoli. È più bello della corona di una regina perduta, estratta dalle profondità del mare dopo secoli di quiete, più raro del corallo nero che riposa nelle insenature degli atolli più sperduti del mondo.

Ed è suo, completamente suo.

«Ah, capitano... sì, David...» geme, spingendosi contro di lui con il cervello offuscato dal vino.

David, forse un po’ ottusamente, ne approfitta.

«Ti amo, fatina».

É consapevole di averglielo detto proprio ora perché domani il ragazzo se ne sarà dimenticato, troppo ubriaco per serbare memoria di un momento così piccolo.

Eppure, da qualche parte del suo cuore, David spera quasi che se ne ricordi.

I’m shipping off

To find my wooden leg












_Angolo del Fancazzismo_

Oh, era da mesi che aspettavo la Kurtofsky Week. Seriamente, sono la mia coppia preferita in Glee – anche se seguiti a poca distanza dalla Kurtbastian – e fortunatamente ho fatto in tempo ad accorgermi che la week era cominciata, in modo da poterla portare avanti.

Plotbunnies everywhere *_*

Che dire di questa shot. Ho usato sia il prompt “Pirates” che quello “Verde” della Big Damn Table, visto che devo completarla ed è bene sfruttare ogni possibilità che si presenta. È veloce veloce, scritta in un’oretta, e non ha nessunissima pretesa a parte quella di glorificare ulteriormente questa già magnifica – e, a mio parere, poco cagata dal fandom – coppia.

Credo che l’immagine di Kurt/mozzo dagli occhi sgranati mi perseguiterà per giorni.

La canzone che dà il titolo alla storia ed è ampiamente citata al suo interno è questa. Ascoltatela, non ve ne pentirete <3

See you soon,

Roby



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Capitolo 2
*** Red Hood ***


Red Hood


The memories that now rests in this forest

Forever shadowing the sunrise of my heart

Wings leave their nest at my coming

Swaying away to the cold glowing sky

Il manto rosso volteggia sulla neve candida.

Fiocchi congelati turbinano tutt'intorno, nella grande foresta nera. I tronchi degli alberi sono immensi e diritti, altissimi come colonne di palazzi dimenticati, e anelano al cielo bianco protendendo i rami scheletrici e spogli.

Tutto è avvolto da una cappa di silenzio quieto e ovattato, come la nebbia che, in lontananza, trascolora nell'azzurrino gli orizzonti della foresta.

E il ragazzo danza nella neve, il cappuccio scarlatto abbandonato sulle spalle.

I suoi piedi nudi disegnano impronte irregolari nella neve, tracce di giravolte e saltelli che fendono il manto bianco; allarga le braccia, guardando il cielo e gli alberi con occhi chiarissimi e grandi di felicità, canticchia appena le note di una canzone antica. Ha capelli che risplendono dei riflessi castani del miele, e labbra sottili arrossate dal gelo.

Sembra che la foresta palpiti e si risvegli in armonia con il suo canto, circonfusa di un alone di freddo splendore che ne intensifica la bellezza, la profonda armonia delle forme. Le creature viventi tendono a quella voce, risvegliandosi dagli anfratti dove riposano in attesa della fine del freddo inverno; una sola, fra tutte, tarda  ad arrivare.

Il ragazzo, tuttavia, aspetta. Sa che non dovrà attendere ancora a lungo.

Dreaming away for a while

My spirit sighs in peace

Gazing unto the stars

Please take me here

Dalle profondità della selva compare, infine, il lupo.

Il ragazzo ferma per un attimo il suo canto, immobile nella neve, e il manto rosso si adagia nel ghiaccio con una grazia liquida, sanguigna. Protende le braccia verso il lupo, sorridendo, e il suo volto candido si colora di una gioia maliziosa.

La bestia ha occhi come i tronchi coperti di muschio, e capelli appena più scuri dei suoi; il corpo imponente, la pelle arrossata che contrasta dolorosamente con il candore della neve, avanza verso il ragazzo con una fame sopita nello sguardo teso.

Si incontrano, e il lupo stringe il corpo del ragazzo tra le braccia possenti e ne assaggia la pelle, lambendola con la sua voracità di predatore. Inarca il collo, il giovane abbandonato nella stretta del lupo, e le sue dita sottili corrono a slacciare il cordone del mantello scarlatto.

Il suo unico indumento scivola a terra con un fruscio di seta appena percettibile.

I am so alone, so cold

My heart is to scarred to glow

I wish the sunrise to come

Take my soul away

From this cold, lonely shell

I am free

L'ha atteso per così tanto tempo, solo nella foresta. Ogni inverno, ogni volta che la neve principiava a cadere nei burroni più oscuri delle montagne, il ragazzo ha chiamato il lupo e l'ha aspettato con il cuore bruciante di attesa, cercando il suo profilo aguzzo nella forma vaga e distante delle rupi illuminate dalla luna.

E ora che l'ha trovato, ora che si sono trovati, non può fare altro che amarlo lì, nella neve, circondato dal silenzio cupo della foresta e dal calore di quel corpo tanto più grande del suo.

«Non temere,» sussurra, e la sua voce vibra come se stesse per spezzarsi «nulla può più separarci, ormai».

Il lupo ringhia, mordendolo finché sottili strie di sangue non scorrono lungo la pelle delicata della spalla. È uno spirito aggressivo, straripante di rabbia, ma in tutta quell'oscurità il ragazzo legge soltanto una solitudine straziante e incolmabile, una fragilità che lo attira come la fiamma fa con la falena. I suoi occhi verdi, più antichi del tempo, lo implorano di non abbandonarlo di nuovo alla sua gelida vita solitaria.

E il giovane dal manto rosso sorride, perché si sente completo. Il cacciatore e la preda, insieme, formano un connubio perfetto.

From the eternal sea, I rose

Veiled in darkness on either shore

Lost my pride, lost its glow

For me the sun rose no more

Il ragazzo, sa, però, che il lupo non rimarrà eternamente con lui.

Non potrebbe mai costringersi alla vita a cui lui lo obbligherebbe, abbandonare le incessanti cacce sulle montagne e rinunciare al suo branco per lui; sa che ha paura di compiere quell'unico passo che cambierebbe per sempre la sua esistenza di spirito oscuro, immortale.

Così, si costringe ad una scelta ben più penosa di quanto vorrebbe.

Accarezza il petto del lupo, bruciante di una passione che a stento riesce a comprendere.

È calda, la sua pelle, calda e morbida e così diversa dalla sua, così lontana dal gelo da cui lui trae la sua forza. Forse è anche per questo che ne è ossessionato, perché ama la differenza abissale che c'è tra loro.

Ed è un peccato che debba finire così, in maniera poco estetica. Il ragazzo detesta distruggere ciò che è bello, perché sa che così facendo svilisce ulteriormente un mondo già misero, povero di tesori, ma si vede costretto a farlo se non vuole perdere per sempre il suo unico amore.

Così, conficca la mandritta nel petto del lupo.

The forest of October

Sleeps silent when I depart

The web of time

Hides my last trace

Sente il suo cuore battere tra le dita, il sangue caldo scorrere lungo l'avambraccio e sprizzare a terra, tingendo la neve di un rosso meraviglioso e cupo. Il respiro del lupo si fa lento, gorgogliante, e il ragazzo continua a guardarlo negli occhi mentre strappa via il cuore, lentamente.

Ed ecco tutto ciò che resta del suo amore. Una massa di carne calda e compatta che può stringere tra le dita, un brandello di carne che vivrà accanto a lui, nel ghiaccio, per tutta l'eternità.

Lo morde, sente il sangue scorrergli in bocca e lungo il mento, e mai nulla gli è parso più buono.

La vita lo investe con tutta la sua forza, e ad ogni sorso si sente sempre più forte, sempre più libero.

Abbassa lo sguardo, e il corpo del lupo è sulla neve, abbandonato come una foglia morta; il pelo grigio e bianco è inzuppato di sangue, la bocca irta di canini aperta, violacea.

Lo ama così tanto.

Gli accarezza il pelo, lentamente, e la mano affonda in una morbidezza incomparabile, che perde a poco a poco il suo tepore; poi si alza, rimette il mantello scarlatto e osserva la foresta, incantato. Si inchina al cadavere della bestia, con grazia, poi fa un saltello nella neve rossa e, dopo un attimo di incertezza, riprende la sua danza.

La voce cristallina si spande nella foresta come il tintinnio di mille campanelli d'argento.

Dopo qualche tempo, all'orizzonte si profila una sagoma scura, dagli occhi brillanti.

Un lupo.

My blaze travel the last universe

Like the sights of magic

Wrapped in aeons

My mind is one with my soul

I fall alone while leaves fall

From the weeping trees















_Angolo del Fancazzismo_

In questa sottospecie di rivisitazione violenta della fiaba di Cappuccetto Rosso ho immaginato Kurt come una specie di spirito della neve/cacciatore di lupi e Dave come uno spirito lupo/umano. Ciò non significa necessariamente "licantropo", ma voi potete vederla anche così (per chi se lo stesse domandando, non ho visto nel modo più assoluto Cappuccetto Rosso Sangue e ogni somiglianza - che spero non ci sia - è assolutamente casuale).

La canzone citata è "Forest of October" degli Opeth. Ascoltatela, perché è un capolavoro.

Ho usato anche il prompt #011 della Big Damn Table, "Rosso", tanto per gradire :D

Spero che anche la seconda shot della Kurtofsky Week vi sia piaciuta e ringrazio anticipatamente tutti quelli che leggeranno e recensiranno queste mie stranezze.

See you soon,

Roby


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Capitolo 3
*** It's a very, very mad world ***


It's a very, very mad world


And I find it kind of funny

I find it kind of sad

That dreams in which I'm dying

Are the best I've ever had

Dave adora le prove di coraggio.

Dal basso dei suoi sei anni ha capito che dimostrarsi forte davanti agli altri bambini gli garantisce un'autorità superiore anche a quella degli adulti; si sente ammirato, sicuro, non come quando i bambini più grandi lo prendono in giro perché è troppo grasso o perché non riesce a parlare bene.

È per questo che, in un pomeriggio estivo di cielo coperto, entra da solo nel cimitero di Lima.

Non è molto lontano da casa, e i suoi genitori sono troppo impegnati a litigare per accorgersi di quello che fa lui; David non è un bambino particolarmente agile o sveglio, ma sgattaiolare fuori dal giardinetto sul retro e camminare fino al grande cancello del cimitero - sempre aperto - è sorprendentemente facile.

C'è questa sfida, lanciatagli da un suo amico Azimio, di prendere uno dei crisantemi azzurri che stanno sulla tomba di Portia Winfield, la madre del sindaco di Lima. Azimio, naturalmente, ha detto che David non ci riuscirà mai, che è troppo fifone per spingersi fin nel punto più isolato del cimitero - dove, secondo i racconti delle maestre, vivono dei fantasmi terrificanti.

Karofsky, però, è sicuro di potercela fare.

Nel momento in cui varca il cancello si rende conto che le tombe non sono poi così brutte come tutti le descrivono; certo, non gli trasmettono una sensazione di allegria, ma nel loro biancore c'è qualcosa di calmo, di accogliente, e le foto sulle lapidi raffigurano tante persone sorridenti.

I vialetti sono puliti, senza erbacce, e c'è un silenzio interrotto soltanto, di quando in quando, dal frinire delle cicale.

David sa che la tomba della Winfield si trova in fondo al viale principale, in un bel mausoleo che ha visto tante volte anche con i suoi genitori; si stringe addosso la giacchetta, mentre cammina, benché soffi un vento caldo e umido che promette abbondante pioggia, e già vede profilarsi la sagoma del tempietto con la cupola tonda.

È a metà strada, quando una voce lo ferma.

Per un attimo, David si immobilizza e tende le orecchie, la pelle percorsa da un brivido istantaneo; ha sentito qualcosa, una specie di sussurro ripetuto e stridulo, che l'ha fatto pensare ad un fantasma. Si immagina quasi di vederlo comparire da dietro una tomba, bianco e traslucido e pronto a fargli tante cose brutte, prima che il suo sussurro prenda corpo in qualcosa che non si sarebbe mai aspettato.

Un pianto.

Abbandona il suo proposito di scappare a gambe levate e si volta completamente verso la sorgente del rumore, avanzando di qualche passo tra le file di lapidi bordate di fiori e prato all'inglese. Qualcuno sta singhiozzando, con una voce sottile e femminea che sobbalza e stride e si affanna in respiri apparentemente faticosi, non molto lontano da dov'è lui.

Allora perché non vede nessuno?

Gli ci vuole qualche minuto di vagabondaggio per trovare finalmente chi cerca.

E, quando lo vede, Karofsky per un attimo pensa davvero di essere davanti ad un fantasma.

C'è un bambino, forse della sua stessa età, raggomitolato davanti ad una lapide bianchissima, sicuramente nuova; è molto magro, sottile come un filo d'erba, e i capelli castani, tutti scompigliati, coprono il viso arrossato dal pianto e contratto in una smorfia sofferente. Ha la pelle pallida, quasi luccicante.

Non ha l'aria cattiva di un fantasma, ma non sembra nemmeno un bambino normale.

«Ehi,» la voce di David trema di paura, e il bambino è combattuto tra la fuga e la curiosità morbosa che lo spinge a fare ancora qualche passo verso la figura rannicchiata «ehi, sei una... una fata?»

Per qualche secondo sembra quasi che l'altro non l'abbia sentito; poi solleva la testa, si stropiccia gli occhi e lo guarda dritto in viso, e David riesce soltanto a pensare che non ha mai visto un azzurro tanto puro e bello in tutta la sua vita.

Ha un viso che dev'essere proprio quello di una fata, o di un elfo.

«N-no... ma tu chi sei?» La sua voce è sottile e delicata, molto dolce, e a Karofsky fa un effetto strano sentirla così fragile, spezzata dai singhiozzi. In qualche modo lo rende triste, perciò si avvicina ancora di più all'altro bambino.

«Io mi chiamo David e sono qui per fare una prova di coraggio». Esclama, fiero di sé, e nel frattempo lo sguardo gli cade sulla fotografia attaccata alla tomba. Nella cornice c'è una donna con lunghi capelli biondi e occhi uguali a quelli del bambino che piange.

«Tu come ti chiami?» Aggiunge, dopo qualche attimo di silenzio.

«Kurt».

«E perché stai qui a piangere da solo?»

«Perché...» e singhiozza, asciugandosi di nuovo gli occhi, prima di indicare la lapide «... perché lì c'è la mia mamma».

David rimane per un attimo basito. Non ha mai avuto nessun tipo di contatto con la morte, non si è mai nemmeno domandato cosa significhi quando le persone ci sono e un attimo dopo spariscono come per magia, e tutto quello che resta è una tomba con la loro foto e una manciata di oggetti tenuti per ricordo.

Prova a pensare come sarebbe se la sua mamma sparisse all'improvviso e finisse sottoterra, e l'unica sensazione che gliene deriva è una tristezza strana, inevitabile.

«E la tua mamma non tornerà più?»

Kurt scuote la testa, gli occhi sempre più arrossati:«Papà dice che un giorno la rivedrò».

«E allora,» David si accosta al bambino sedendosi accanto a lui sull'erba «non devi essere triste. Non è sparita per sempre».

Karofsky legge qualcosa di strano negli occhi dell'altro bambino, qualcosa di torbido che non riesce a capire bene. Si rende conto che vorrebbe disperatamente aiutarlo, e non ci riesce parlando soltanto.

Così, afferra la sua mano piccola e fredda e la tiene stretta nella sua, accennando un sorriso.

«Possiamo aspettarla insieme. E poi, quando viene, andiamo tutti e tre a prendere i fiori dalla tomba di Portia Winfield, che mi servono per vincere la prova di coraggio. Ti va?»

Kurt annuisce, stirando le labbra in un sorriso timido.

«M-mio padre mi sta cercando, non lo sa che sto qui».

«Allora se non facciamo in tempo oggi possiamo venire tutte le volte che ti va. Ti va di essere amici?»

«Sì».


***


Quando David spinge Kurt contro l'armadietto, forse per la terza volta della giornata, sente una morsa di spiacevole senso di colpa attanagliargli lo stomaco. Sa che non è corretto, sa che non è questo che vorrebbe realmente fare, ma è l'unico modo che ha per toccarlo e manifestare l'interesse morboso che nutre nei suoi confronti.

E gli occhi di Kurt lo guardano con odio, arrossati dalle lacrime.

Ha pensato a lui per anni e anni, dopo quel singolo incontro al cimitero; non si sono mai più visti, lui e la sua fatina, finché una bizzarra serie di coincidenze non li hanno fatti rivedere proprio nell'unico posto dove non possono essere amici. Hummel è sempre stato nel cuore di Dave, nascosto da qualche parte sotto strati e strati di false convinzioni.

Eppure, Kurt, tu non ti sei ricordato di me”.

I find it hard to tell you

I find it hard to take

When people run in circles

It's a very very

Mad world

Mad world
















_Angolo del Fancazzismo_

Salve a tutti e ben venuti al delirio 3/7. Baby!Kurtofsky, perché David in veste di bambino paffuto è quanto di più puccioso una mente umana riesca a concepire, e tristezza a palate, perché il cielo nuvolo tende a far precipitare il mio carattere già di per sé malinconico.

Spero vi sia piaciuta, e vi ringrazio per le recensioni assolutamente fantastiche (e anche troppo buone, se posso esprimere un parere sincero) e il meraviglioso feedback che mi state dando con questa raccolta senza pretese.

La canzone citata all'inizio e alla fine del capitolo è questa, e come al solito ho sfruttato un prompt della Big Damn Table, cioè "Genitori" (lo #027, per intenderci).

Ci vediamo alla prossima shot, e buon primo maggio a tutti/e voi!

See you soon,

Roby



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Capitolo 4
*** Suck my balls, Mr.Shue! ***


Suck my balls, Mr.Shue!


Going down to South Park, gonna have myself a time

Friendly faces everywhere, humble folks without temptation

Going down to South Park gonna leave my woes behind

Ample parking day or night, people shouting HOWDY NEIGHBOR!

Headin' up to South Park gonna see if I can't unwind

I like girls with big fat titties, I like girls with big vaginas!

So come on down to South Park and meet some friends O' mine”.

South Park Opening


«Secondo me dovremmo avviare un commercio di feti abortiti».

Kurt Hummel ha imparato che, se vuole vivere pacificamente nella piccola cittadina di South Park e raggiungere la maggiore età indenne, deve imparare a convivere con David Karofsky. Il suo compagno di banco - quindici anni passati a mangiare patatine e panini dal Mc.Donald's, con un culo che potrebbe diventare tranquillamente il cinquantunesimo Stato americano - costituisce l'incubo di qualsiasi altro studente del South Park High, ma non il suo.

Questo perché Kurt si ritiene troppo superiore per farsi mettere i piedi in testa da un simile individuo.

«Oppure potresti prostituirti. Scommetto che ci sono un mucchio di vecchi con il cazzo moscio pronti a pagare per il tuo culo».

«Karofsky, finiscila».

«Ah, giusto, consiglio inutile. Tanto lo fai già, no?»

Kurt stritola la matita e prega silenziosamente che l'ora di matematica finisca il più presto possibile; è orribilmente stufo di Karofsky, della sua inutile faccia grassa e del cappello blu e giallo che indossa tutti i giorni, con quel ridicolo pon-pon sulla cima.

Si chiede perché gli sia dovuta capitare la sfortuna di un'ora solo con David, senza nessuno dei suoi amici a difenderlo dagli attacchi costanti di quel pervertito.

«Tanto lo sa tutta la scuola che muori dietro a Blaine Anderson, faccia da checca».

Ma la cosa che irrita Kurt più di tutte è che, nonostante il grasso strabordante, le abitudini alimentari inappropriate e la capacità di elaborare piani insensati per la conquista del mondo ogni volta che il caso non lo richiede, David Karofsky non è affatto stupido. Anzi, è forse uno dei ragazzi più intelligenti che conosca.

Del resto, lui si è accorto dei suoi gusti sessuali non propriamente ortodossi, mentre il suo migliore amico Blaine Anderson ancora no.

«Non sono gay». Replica, asciutto, cercando distrattamente di prendere qualche appunto. Ma è ovvio che David non lo lascerà in pace così facilmente.

«Certo che lo sei, altrimenti avresti detto "frocio". Non sono frocio. Nessun americano normale ha rispetto verso le checche».

«Nessun americano incivile come te, Karofsky».

«Ecco, lo dicevo che sei frocio».

Hummel scuote la testa, cercando di pensare a qualcos'altro. È inutile tentare di avviare una conversazione civile con il suo compagno di banco, perché sa che - in un modo o nell'altro - l'avrà sempre vinta lui.

E su discorsi dal tono quantomeno offensivo, come al solito.

«Comunque secondo me dovresti dirglielo. A Anderson, intendo».

Kurt solleva lo sguardo dal quaderno e punta i suoi occhi chiari in quelli di Karofsky, sollevando le sopracciglia in un'espressione di puro scetticismo. Sa essere pungente anche lui, quando vuole.

«Sarebbe un consiglio da amico? E comunque non sono gay, quindi il tuo ragionamento non fila».

«Te lo dico per il tuo bene. Anche perché Anderson è più frocio di te, con quei farfallini terrificanti che si mette, quindi hai delle possibilità».

«David Karofksy!» La replica caustica di Kurt viene bloccata dalla voce l’insegnante di spagnolo, Mr.Shue, un attimo prima che cominci «Posso sapere di cosa stai parlando con Hummel?»

Il professor Shue è un uomo alto e giovanile, sulla quarantina, con i capelli riccioluti e la mascella squadrata; Kurt era arrivato al punto di prendersi una cotta per lui, al suo primo anno di liceo, e a ragione: è un docente simpatico e non troppo severo, una vera e propria rarità a South Park – dove, pare, si radunano periodicamente tutti gli schizzati del continente.

Gli sorride, come per ringraziarlo di quell’intervento provvidenziale. Il suo ghigno si trasforma in una smorfia quando, però, sente la risposta di Karofsky.

«Succhiami le palle, Mr.Shue».

Si volta verso David, gli occhi così spalancati che teme gli cadano fuori dalle orbite e rotolino sul banco. Praticamente tutta la classe fissa il ragazzo a bocca aperta, incredula.

Come diavolo si fa a dire una cosa del genere ad un professore? Quale fegato o profonda idiozia ci vuole per esporsi in quel modo?

«Come hai detto, prego?» Pare che anche Mr.Shue non voglia arrendersi all’evidenza, ma sul viso di David c’è un sorrisetto ironico difficilmente fraintendibile.

«Scusi, riformulo». Karofsky si schiarisce la voce per poi riprendere, ad un volume triplicato e scandendo ogni parola «Che ne direbbe di succhiarmi le palle, Mr.Shue?»

Nel minuto di silenzio che segue, Kurt non può esimersi dall’intervenire.

«Amico,» sussurra, quasi terrorizzato «sei morto».

«E tu che ne diresti di andare dal preside, David?» Mr.Shue non perde una virgola della sua calma, abituato com'è ad avere a che fare con adolescenti arrabbiati che scaricano su di lui e sulla sua materia la frustrazione accumulata a casa e a scuola. Fissa David con leggerezza, aspettando che il ragazzo si alzi.

E, sorridendo, Karofsky scosta la sedia e, con la sua camminata dondolante, esce dalla porta.

Kurt non capisce. Il David che conosce non sorride in quel modo davanti ad un rimprovero, non si piega all'autorità di un professore e, soprattutto, non è così stupido da farsi mettere fuori per una risposta ad un docente senza un secondo fine.

È quasi... curioso di sapere perché mai abbia fatto una cosa del genere.

Così, un po' titubante, alza la mano.

«Sì, Hummel?»

«Posso andare in bagno?»

Mr. Shue annuisce con aria distratta e torna a scrivere qualche parola alla lavagna, mentre Kurt esce dalla classe quasi frettolosamente; come si aspettava, David è piantato nel bel mezzo del corridoio, e lo fissa con un ghigno ironico piuttosto inquietante.

«Non dovresti andare dal preside, tu?» Sussurra, dopo che gli si è avvicinato a passi piccoli, insicuri. Qualsiasi cosa abbia in mente Karofsky, se riguarda lui non può essere necessariamente bella.

«Mh... ho tempo».

«Tempo per cosa, di grazia?»

Kurt non si rende conto del tono sottilmente insinuante che ha usato, nel rivolgere quella domanda a Karofsky; se ne sta lì, immobile, a pendere dalle sue labbra in attesa di una risposta che, lo sa, non dovrebbe interessargli poi così tanto. E poi deve sbrigarsi a tornare in classe.

«Per dimostrarti che ho ragione io. Sul fatto che sei frocio, intendo».

«Ah ah». Se soltanto Karofsky non fosse così irrimediabilmente stronzo, Kurt crede che potrebbe anche piacergli. Ha le spalle ampie, crescendo diventerà sicuramente molto alto, e il suo sguardo verde è intenso e magnetico, molto più profondo di quello di Blaine; non è dolce, certo, non è bello e nemmeno lontanamente romantico, però...

«"Ah ah" è tutto quello che riesci a rispondere? Di solito sei più sveglio, checca».

Però, David è David. Come potrebbe mai innamorarsi di qualcuno che è così spudoratamente malvagio da diffondere fotografie di altri studenti sotto la doccia per il semplice gusto di farlo? Qualcuno che è stato ammesso nel gruppo dei popolari soltanto perché si diverte più di tutti a insultare Rory Flanagan, l'emarginato studente irlandese, organizzando contro di lui scherzi perfidi?

«Davvero, Karofsky, non vedo l'ora di vedere cosa sai fare». Soffia, alzando gli occhi al cielo «Però sbrigati, se non ti dispiace, perché il professor Shue tra qualche minuto manderà qualcuno a cercarmi».

«Ok, ma poi tu non lamentarti».

Quello che succede poi, Kurt non riesce ad impedirlo.

Sente la stretta salda di dita grassocce attorno al suo viso, sulle guance e gli zigomi, e vede gli occhi di Karofsky farsi sempre più vicini. Dopo averlo fissato per una frazione di secondo immobile, quasi a sincerarsi che lui non scappi, David lo bacia.

È una sensazione assurda. Kurt non ha mai baciato nessuno - non in quel modo, almeno - e non si sarebbe mai aspettato, fantasticando sul fatidico momento tra lui e Blaine, che fosse così.

Prima di tutto, è umido. Sente le labbra di Karofsky muoversi sulle sue, e risponde al bacio per un riflesso quasi involontario, le mani improvvisamente sudate; se non fosse completamente concentrato sulle sensazioni contrastanti che il suo cervello gli invia - piacere, attrazione e disgusto perché oh mio Dio sto baciando David Karofsky - forse Kurt potrebbe percepire un calore strano e intenso invadergli lo stomaco, un lungo piacevole brivido che gli fa venire la pelle d'oca.

E, oddio, non fa in tempo a staccarsi da David che realizza di volerne ancora, e questa consapevolezza è ben più infamante di qualsiasi fantasia romantica che abbia per protagonista Blaine Anderson. Improvvisamente, Kurt si sente sporco.

«Lo sapevo che eri froc-»

«Oh, Karofsky, vaffanculo».

David si zittisce, come colpito da un fulmine. In quasi dieci anni di conoscenza e angherie, Hummel non gli ha mai risposto con una parolaccia - o, per essere più precisi, con una scurrilità di qualsiasi genere. È sempre tanto controllato che pensava non le conoscesse neanche.

E gli viene da ridere mentre lo guarda trottare verso il bagno con aria seccata, le guance imporporate da un imbarazzo che, in un certo senso, lo lusinga.

«Ehi, Hummel!»

«Lasciami in pace!»

«Pensa a cosa farebbe Brian Boitano!»








_Angolo del Fancazzismo_

Sì, questa shot è stupida e ne vado tanto fiera. Adoro South Park con ogni fibra del mio essere ed è stato il primo cartoon che mi è venuto in mente quando ho pensato al Kurtofsky (Kurt come Kyle e Dave come Cartman, ovviamente) e avrei tanto voluto poter produrre qualcosa di meglio sul tema.

Purtroppo di là ho i composti ternari (chimica... eeeeeew) che mi attendono, e non posso dilungarmi oltre.

Vari riferimenti qua e là nel testo e la frase finale su Brian Boitano sono ripresi sia dalla serie Tv di S.P. che dal film, mentre il prompt della BDT di questa volta è lo #088, "Scuola".

Spero vi sia piaciuta :3



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Capitolo 5
*** The Fury ***


The Fury


Fuck you!
I'm fed up with you

I'm not as good as you

Fuck no, I'm better than you!

Korn - Divine


Nel momento in cui colpisce con un pugno l'odiosa faccia di Blaine Anderson, David Karofsky non può fare a meno di sorridere.

Sa che ha ventun'anni suonati e fare a botte con qualcuno per una questione che ha vinto dagli anni del liceo non è molto saggio, ma ogni volta che sopracciglia triangolari gli capita davanti non riesce a sottrarsi all'inevitabile litigio che segue il loro primo scambio di battute.

«Maledetto stronzo grassone!» Blaine si pulisce il viso con l'aria offesa, da damerino.

«Ne vuoi un altro, frocio?» The Fury prude ancora, pronto ad assestare qualche altro gancio da manuale al visetto imberbe dell'imbecille che per qualche assurdo motivo è finito nel suo stesso college.

«E comunque,» aggiunge, afferrando Blaine per il collo dell'orrido maglioncino a quadri che indossa «la prossima volta che ti azzardi a nominare Kurt te la spacco per bene, la faccia. Capito?»

Con Hummel alla NYADA e le comunicazioni ridotte ad una conversazione Skype strappalacrime ogni sera, David può togliersi tutti quegli sfizi che gli premono da quando ancora frequentava il McKinley - e Kurt non è tenuto a sapere nulla.











_Angolo del Fancazzismo_

Flash ad alto contenuto di demenza su quello che David potrebbe fare in un futuro prossimo, con Kurt a New York e lui e Blaine rinchiusi in un college nei dintorni di Lima.

E sì, è inutile e non ha il minimo senso, ma esprime tutto il mio profondo amore per Mr.Sopracciglia <3

Il prompt BDT è "Nemici" :3

See you soon,

Roby


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Capitolo 6
*** The Crow's Cunning ***


The Crow’s Cunning


Or words go beyond the moon

Our words go into the shadows

The river sings the endlessness

We write of our journey through night

We write in our aloneness

We want to know the shape of eternity”


La notte nei dintorni della scuola di magia e stregoneria di Hogwarts è buia, terribile, animata da un fitto concerto di fruscii e scricchiolii che, con il tempo, Kurt Hummel ha imparato ad interpretare.

Gli scrocchi secchi che sente ogni tanto, mentre si dirige verso la serra numero tre rimboccandosi la cappa intorno alle caviglie - odia infangarla, sono prodotti dal Platano Picchiatore, che si stiracchia pigramente sotto la luce argentea della luna. Kurt si muove velocemente, quasi correndo nell'erba alta, finché non può nascondersi all'ombra delle grandi serre che la professoressa Holly Holliday, direttrice della casa di Corvonero, ha riempito di piante a volte tanto esotiche quanto pericolose.

A Kurt piace molto la professoressa Holliday (forse, se non facesse parte della sua casa, tutta questa simpatia verrebbe presto ridimensionata da un sincero astio verso la scorrettezza che la docente usa per far sì che i propri alunni vincano tutte le competizioni), forse l'unica insegnante con cui sia riuscito ad instaurare un rapporto di quasi amicizia. È una donna strana, e Hummel è quasi sicuro che il suo accenno a come la serra numero tre abbia la porta stregata e non si riesca a chiudere nemmeno con la magia, forse per un malvagio scherzo di qualche studente sia tutto tranne che casuale.

Niente di cui stupirsi, visto che la Holliday conosce il suo segreto. Kurt non ha ancora capito come abbia fatto a scoprirlo, ma una serie di battutine ambigue su di lui e un certo signor Serpeverde non si possono interpretare diversamente.

Così, incespicando tra le zolle bagnate di rugiada notturna, raggiunge la porta della serra e la spalanca.

Non fa in tempo a varcare la soglia, che un paio di braccia robuste lo afferrano da dietro e lo spingono sul primo tavolo disponibile, dove si accascia tra i vasi di frullobulbi e gerani zannuti. Un recipiente che ospita un'allegra famigliola di orclumpi rotola a terra a causa dell'impatto, e lì si spacca.

«Potresti fare anche più piano». Soffia, sfilando velocemente il mantello e il maglione. La tentazione di far evanescere i vestiti - evitando così di spiegazzarli - è forte, ma sa che l'altro non gradirebbe e non vuole sorbirsi le sue lamentele per tutta la sera.

«Se tu non ci mettessi sei ore ogni volta io non sarei così impaziente».

Una delle cose che ama di David Karofksy è che, per quanto possa essere indelicato e rozzo, gli dimostra un attaccamento così appassionato da stupirlo ogni volta. Perché sa che non dev'essere stato affatto facile, per questo ragazzone alto quasi un metro e ottanta, sfuggire ai controlli della direttrice di Serpeverde (Sue Sylvester, una donna spietata e sadica fino all'eccesso) per fare qualcosa che non riesce tutt'ora a giustificare a se stesso. E sa altrettanto bene che non troverà da nessun'altra parte quelle stesse mani grandi e calde, quella stretta sicura sui suoi fianchi e quella voce profonda che sussurra nel fitto della notte.

«Blaine Anderson non ti si è più avvicinato, vero?»

«Vuoi scherzare? È un Grifondoro!»


***


Seduto ad uno dei tanti tavoli del pub I Tre Manici di Scopa, ad Hogsmeade, David si nasconde dietro il proprio boccale di Burrobirra e spera ardentemente che nessun altro serpeverde del quinto anno decida di entrare nel locale e sedersi accanto a lui.

Non ne ha voglia, non oggi. O meglio, non dopo che ha visto quell'imbecille impomatato di Blaine Anderson incollarsi come una piovra a quello che, tecnicamente, sarebbe il suo ragazzo. Certo, a scuola non lo sa nessuno - e ci mancherebbe! - ma David comunque mal sopporta la presenza di quell'irritante damerino, specialmente durante le rare gite ad Hogsmeade.

Poi, davanti a lui si siede l'ultima persona che si sarebbe aspettato.

Ha i capelli biondi, gli occhi azzurro ghiaccio e indossa un vistoso abito blu notte, trapunto di pietre luccicanti simili a stelle. E lo fissa, ahilui, con un'espressione che non promette nulla di buono.

«P-professoressa Holliday?»

«Mi fa piacere che tu ti ricordi il mio nome, David».

«No, voglio dire... c-come mai è qui?»

«Be', ti ho visto triste e ho pensato di sedermi qua. È successo qualcosa con Kurt?»

David avvampa, stringendo il boccale bagnato di condensa. Come diavolo fa a saperlo?

«Oh, non ti preoccupare, non racconterò niente alla Sylvester o al preside Figgins. Volevo solo avvertirti che la professoressa Beiste ha sistemato la porta della serra numero tre, quindi da stanotte non sarà più agibile. Naturalmente, ho trovato una soluzione anche a questo». Appoggia una mano sul tavolo, e quando la ritira sul legno brilla una chiave d'argento, innaturalmente lucida. Deve essere stregata con chissà quali incantesimi di protezione, e ha un'aria piuttosto familiare.

«Ma quella...»

«È la chiave del laboratorio di astronomia. Fanne buon uso, Karofksy».

La Holliday si alza e fa per andarsene, ma David la blocca con un cenno frettoloso della mano.

«Lei... perché lo fa?»

«Perché Kurt è un mio alunno e voglio solo il suo bene. E tu mi piaci di più di Anderson e... come si chiama quel tuo amico? Smythe? Non lascerò che il mio studente preferito finisca con un pervertito, o peggio... con un Grifondoro».

«Allora... grazie, signorina Holliday».

Una volta che la professoressa è uscita, David afferra la chiave e la soppesa, pensoso.

A conti fatti, non sa se ritenersi nei guai fino al collo o maledettamente fortunato.


Who knows the way it is?

Who knows what time will not tell us?”












_Angolo del Fancazzismo_

Orribile. Vi chiedo formalmente scusa per questa oneshot, ma non ci sono stata per due giorni… e devo necessariamente completare la settimana oggi, altrimenti il mio orgoglio ne uscirà profondamente ferito. Come sempre vi ringrazio per il feedback e le recensioni e spero che l’immagine di un Kurt Hummel in cravatta azzurro grigia culli i vostri sogni più belli :D

Forse stasera sul tardi pubblicherò anche l’ultima shot.

See you soon,

Roby


Ps. La canzone citata è “The River Sings” di Enya, tradotta in inglese (la versione originale è in una lingua inventata dalla cantante, un misto di celtico e fantasia).

Pps. Il prompt della Big Damn Table è “Terra” (per le serre, sapete :P).


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Capitolo 7
*** Clamour for Glamour ***


Clamour for Glamour


People here in your neighbourhood

Act real cool but they dance no good

I don’t care what the others say

When I’ve found a new game to play

Forse David avrebbe dovuto chiedersi come sarebbe stata la sua vita, una volta sposato Kurt Hummel.

Forse, se se lo fosse chiesto seriamente, a quest’ora non sarebbe dov’è.

Probabilmente, però, avrebbe commesso comunque lo stesso errore. E, a conti fatti, non c’è molto di cui possa lamentarsi.

Seduto su una panchina davanti ai grandi magazzini, attorniato da frotte di passanti che calcano il marciapiede carichi di buste come muli da soma, fa saltellare sul ginocchio quel fagotto di pizzo e scarpette di raso che è sua figlia Whitney, lunghi boccoli biondi e grandi occhi azzurri che vagano tutt’intorno, soffermandosi sul verde acceso delle aiuole fiorite. Ha appena due anni.

Kurt ama agghindarla come una principessa e ripetere a tutto il vicinato che l’ha chiamata Whitney perché è assolutamente certo che un giorno sarà una grande cantante, ma David in lei, più che le speranze del marito, vede soltanto una creatura fragile e sola che grazie a lui ha trovato un posto in cui stare. Il loro amore per questa bambina è la cosa più preziosa che conosca, quelle che più di tutte difende.

Anche se, c’è da dire, dovrebbe impegnarsi un po’ di più a difendere Kurt.

Lo pensa quando lo vede uscire dai grandi magazzini, quattro buste gonfie per mano e i capelli visibilmente in disordine; su una guancia campeggiano graffi che sembrano il prodotto di un combattimento all’ultimo sangue.

«Di’ un po’, hai litigato con una tigre?»

«No, molto peggio». Appoggia metà delle buste a terra e, tratto un fazzoletto dal taschino, tampona leggermente i graffi «Non hai idea di quanto taglino quelle maledette unghie ricostruite».

Claim to fame

Clamour for glamour

Oh padeo oh pa padeo

Alla gente che gli chiede cosa mai ci faccia una camera insonorizzata nel suo appartamento, Kurt risponde che la usa per coltivare l’hobby del canto – quando, beninteso, il lavoro gli lascia il tempo di farlo.

Dopo tre anni di matrimonio e l’adozione, però, ha scoperto metodi molto più interessanti per sfruttare quella sua piccola, costosissima chicca.

«Ah, Dio... David...»

Può permettersi di urlare tutte le porcate che gli passano per la testa, visto che la piccola Whitney comunque non sentirà nulla. Hanno bisogno di sfogare lo stress, lui e David, di spingersi e mordersi e urlare quando il tran-tran della vita quotidiana sembra farsi troppo ossessivo.

E poi non è colpa sua se suo marito è meraviglioso a letto.

Get it good

Like I knew you would

«Odio quella strega!»

«Kurt, calmati».

«Nemmeno ne “Il diavolo veste Prada” il capo è così stronzo! Perché doveva capitare proprio a me?!»

Kurt lavora in una rivista di moda come assistente personale del principale e tuttofare. Si occupa di coordinare e supervisionare i servizi fotografici e gli articoli che escono sul mensile, organizza gli appuntamenti per le interviste e ogni genere di collaborazione che contribuisce a rendere “Exposure” una delle riviste più popolari di Manhattan.

Considerato il cospicuo stipendio non sarebbe un lavoro niente male, se soltanto il capo di Kurt non gli causasse regolari crisi isteriche.

«Non dare retta a quell’idiota...»

«Come faccio a non dargli retta?! Prima mi promuove e poi mi insulta per come mi vesto, che diamine!»

«Ehi,» David afferra Kurt per i polsi, facendolo ammutolire, e lo fissa dritto negli occhi «ehi, non dare retta a quel figlio di puttana. Tu ascolta solo me, capito?»

Hummel annuisce.

«Sei bellissimo, Kurt. Ti vesti come vuoi anche se agli altri non sta bene e per questo sei assolutamente magnifico».

Kurt annuisce, poi si slancia verso di lui e lo bacia.

Ogni altra cosa perde di consistenza.

People here in your neighborhood

Act real cool but they dance no good

I don’t care but I’ve been told

That all those people aint’ got no soul

Una mattina, Kurt e David trovano la loro macchina distrutta.

Qualcuno ha spaccato i finestrini e graffiato la vernice, strappato via gli specchietti e ridotto i fari in mille pezzi, bucato le gomme; su una fiancata spicca una scritta color rosa acceso che per qualche secondo fa provare a Kurt un dolore quasi fisico.

Frocio.

David impallidisce vistosamente, stringe la mano di Kurt. Whitney, seduta sul suo avambraccio, si guarda intorno con aria spaesata, non capisce.

«Che c’è?» Chiede, la vocina sottile come quella di un uccellino «Che, papà?»

Il viso di Kurt si contrae come una foglia mangiata dalle fiamme; si ripiega su sé stesso, quest’uomo che non ha ancora del tutto sconfitto le sue paure di bambino, e nasconde la bocca con una mano mentre i singhiozzi gli scuotono le spalle. È tutto così ingiusto, così sbagliato che vorrebbe poterlo dimenticare, in qualche modo.

Ogni lettera sulla carrozzeria gli riporta alla mente gli anni del liceo, quello che ha dovuto passare.

Poi, David passa un braccio attorno alle sue spalle. Lui, che non è mai stato forte quanto lui, che ha sempre cercato di nascondere il suo segreto, adesso lo avvolge come se fosse ancora un ragazzino e gli dice di stare tranquillo, che persone così esistono ed esisteranno sempre e non ci si può arrendere davanti ad ogni scoglio.

Gli viene quasi da ridere, tra le lacrime, per l’assurdità della situazione. Poi, però, annuisce e si sforza di recuperare la calma.

Quando acquistano una nuova macchina, Dave compra un piede di porco. Parcheggia l’auto davanti alla casa, si piazza nel portico con la spranga in mano e ogni sera attende, paziente, nascosto dalle ombre. È rimasto grosso come un tempo, solo che ha sostituito al grasso massa muscolare.

Finché, una sera, loro non ritornano.

Sono ragazzini, forse non hanno più di sedici anni, ed è proprio questo che li salva. David si alza pigramente dalla sdraio, sgranchisce la gambe e percorre silenziosamente i pochi metri che lo separano dalla macchina, il piede di porco stretto nel pugno.

I ragazzini non fanno in tempo a vederlo che si allontanano dalla macchina – qualcuno ha già tirato fuori bombolette e cacciaviti – e scappano via, veloci per quanto lo concedano le gambe.

Dave spalanca le braccia e sorride, visibilmente nervoso.

«E poi sarei io il frocio?»

Il suo grido, a pieni polmoni, pare voglia svegliare l’intero vicinato.

I kick them where the sun don’t shine

And take you down to my side of town

I don’t care what the others say

When I’ve found a new game to play

Nonostante tutto, si rialzano sempre.

Sono una coppia che ha cominciato con i peggiori pronostici, angherie e bullismo e poi la naturale incompatibilità dei loro interessi, ma alla fine entrambi hanno capito quanto sia meraviglioso amare il diverso, qualcuno che può allargare i nostri orizzonti fino a farli combaciare con i suoi in modo del tutto inaspettato.

Kurt continua ad essere sempre la solita fatina amante della moda, di tutto ciò che sbrilluccica e a cui può appioppare l’aggettivo “fabulous” senza provare la minima vergogna, mentre David non ha ancora smesso quella sua aria di macho burbero e scontroso, zelante difensore della propria virilità.

Entrambi hanno scoperto che può essere divertente guardare le partite di football insieme, chi per la squadra preferita e chi per i fisici atletici dei giocatori, o che le creme idratanti non sono poi così malaccio come si potrebbe pensare, e in un certo senso migliorano la qualità della vita e abbassano le probabilità di arrivare ad un colloquio di lavoro con il naso pieno di punti neri.

David ha imparato ad amare ogni cosa di Kurt, ogni particolare del suo essere un fashion victim ossessionato dal glamour e dall’esteriorità; Kurt ha capito che, sotto una crosta dura più del cemento, David nasconde un cuore capace di amare come nessun altro, e di cui non riesce più a fare a meno.

E vanno bene così.

Loro, l’accoppiata più improbabile che si possa immaginare, il bullo e la fatina.

Perché, in fondo, non c’è nulla di più perfetto.

Claim to fame

Clamour for glamour

Oh padeo oh pa padeo

Claim to fame

Clamour for glamour

Oh padeo oh pa padeo
















_Angolo del Fancazzismo_

Ecco, questa valeva già la pena di essere letta xD

È forse l’unica oneshot decente che sia riuscita a scrivere per la Kurtofksy week, e mi dispiace davvero tanto di aver mantenuto la qualità ad un livello decisamente basso. La prossima volta vedrete che m’impegnerò di più!

Prompt BDT #005, “Esteriorità”, e canzone “Clamour For Glamour” dei The Ark. La mia scelta è ricaduta su questo pezzo perché è allegro, spensierato, e perché crea un atmosfera che mi fa pensare maledettamente a Kurt.

See you soon,

Roby


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