Too Much Love Will Kill You di RMSG (/viewuser.php?uid=30472)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Here I Am. ***
Capitolo 2: *** Come And Sit By Me. ***
Capitolo 3: *** You Waited Long Enough. ***
Capitolo 4: *** Sometimes They Come Back. ***
Capitolo 5: *** Too Much Love Will Kil You, In The End. ***
Capitolo 1 *** Here I Am. ***
Io
devo fare dei ringraziamenti. Diversi, a dire il vero. Un grazie a Bellatrix29,
spassionata consigliera.
E poi devo ringraziare una persona speciale. La mia persona speciale.
Grazie, V: ho ripreso a scrivere solo per te, che mi ami e mi sostieni
sempre.
___________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________
Too Much Love Will
Kill You
Capitolo 1: Here I Am.
Amestris, 1918.
Quattro anni, ci
aveva messo,
ma c'era
riuscito, alla fine.
Ora era tornato
a casa.
Gemette,
prendendosi la testa fra le mani, cercando di non piangere. Non poteva
crederci nemmeno lui di averlo fatto. Lentamente
e appoggiandosi al muro si mise in piedi, toccando con la sua mano sana
il muro di chissà quale casa.
Dal vicolo in
cui era stato catapultato dopo la trasmutazione, poteva vedere la luce
proveniente dalla strada poco distante da lui.
Solo qualche
passo e sarebbe stato tutto vero e perfetto come l'aveva sognato ogni
notte per quattro, lunghi anni.
S'avviò
lentamente verso quella luce e mentre il rumore del caos cittadino
aumentava e s'avvicinava sempre più alle sue orecchie, la
luce divenne troppo forte e il rumore svanì quasi del tutto.
Rimase una sola voce, calda e profonda, che parlava in crucco.
“Guten
Morgen, Schatzi!” esclamò un giovane
uomo coi capelli neri, una lunga frangetta, due pozzi di petrolio al
posto degli occhi, la pelle chiarissima e un vassoio colmo di leccornie
per la colazione.
“Morgen,
alte Labertasche…” mugolò
Edward, girandosi nel letto per guardarlo. Il giovane uomo
sbuffò e sollevò gli occhi al cielo.
“Sei
così cattivo con me”, sebbene imbronciato, si
chinò a dare a Ed il bacio del buongiorno, appoggiando
accanto al biondo il vassoio. “Ti ho portato anche la
colazione!”.
“Non
te l'ho mai chiesto, io” l'ex alchimista si
stiracchiò, per poi mettersi seduto e cominciare a mangiare,
imboccando con un biscotto il suo infantile compagno. “Mi
farai quella faccia per tutto il giorno, Schatziii?”
lo prese in giro e si sporse per strofinare il naso col suo.
“Grazie per la colazione”.
Il
moro sorrise, riconoscente, e gli diede un bacio scoccante. Poi si
alzò e andò a prendere la giacca dall'armadio:
“Devo andare a lezione, ora. Ci vediamo a pranzo, vero? O
devi studiare molto?”. Edward rimase per poco tempo incantato
a guardarlo: che uomo meraviglioso aveva di fronte... non lo meritava
affatto.
“Ed?
Mi stai sentendo?”, domandò e dovette alla fine
scuotere una mano per catturare la sua attenzione. “Stai
ancora dormendo?” e ridacchiò bonario. Anche la
sua risata era bella... così sincera! Molto diversa da
quella del suo alter-ego dall'altra parte.
Sorrise
un po'. “Ci vediamo al solito
posto”.
“Perfetto!
Puntale, eh? Non farmi aspettare come l'ultima volta!” gli
regalò uno splendente sorriso e fece per uscire di
casa...
“Ah,
Ed?”. Inghiottì in fretta un biscotto per
prestargli attenzione.
“Ja?”.
“Ti
amo” e uscì di casa contento, senza dare tempo di
rispondere. Edward rimase di sasso e il suo cuore perse un battito.
Prese un altro biscotto e l'osservò attentamente, come se
quell'unico frollino contenesse tutte le soluzioni ai suoi enormi problemi.
“Ti
amo anch'io, Roy...”.
___________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________
München,
21 März 1925.
Quattro anni erano passati.
Il giorno in cui sarebbe tornato a casa era arrivato.
E quel giorno era oggi.
Finita la colazione, messa in ordine un po' la casa, lavatosi per bene
e vestitosi di tutto punto, Edward cominciò a racimolare i
suoi appunti alchemici e a portarli nel salotto. Poi tornò
alla scrivania per prendere la scatola di gessi comprata un
mese prima, quando aveva finalmente capito quale fosse l'unico modo per
pagare il prezzo richiesto.
Afferrò i due fogli che componevano una lettera di scuse e
spiegazioni per il suo amante - il bizzarro tedesco decisamente troppo
tenero per portare quel nome - Roy Mustang... e decise di lasciarla sul
loro letto matrimoniale, insieme a tutti i risparmi raccolti in quattro
anni. Con la crisi che la Germania stava affrontando gli sarebbero
serviti moltissimo.
Nonostante ciò, una parte di lui non voleva andarsene,
voleva rimanere a godere di quel proibito amore fra biscotti, torte di
mele e tè caldi. Tuttavia, la parte di lui che voleva tutto
questo, non era abbastanza forte, né abbastanza grande o
determinata da sconfiggere quella che invece ad Amestris ci voleva
tornare eccome.
A tutto il resto - per esempio a come sarebbe riuscito ancora a
guardare negli occhi quella merda di Colonnello una volta tornato -, ci
avrebbe pensato in seguito.
Prese un profondo respiro e s'avviò in salotto, cominciando
a disegnare il cerchio alchemico. Lo fece lentamente, coi pensieri che
s'affollavano furiosamente nelle sue meningi e che si scontravano fra
loro, in un trascendentale caos che non sembrava volergli dare alcuna
pace.
Finito il suo lavoro, distrusse il gesso stringendolo forte
nell'automail ormai arrugginito e rovinato dalla mancata manutenzione.
La verità era che, nonostante da questa
parte ci fossero degli ottimi prodotti per
oliarlo o quantomeno per mantenerne un uso decente... a Edward non era
passata nemmeno una volta per la testa l'idea di farlo: voleva che
fosse Winry ad aggiustarglielo, perché sapeva che un giorno
avrebbe trovato il modo di tornare.
Sospirò pesantemente e batté le mani. Rimase
fermo, immobile, una statua di sale sospesa per un momento fra due
mondi distanti ma simili come nient'altro potrebbe esserlo.
Aspettò ancora. Solo un altro po'. La Germania gli sarebbe
mancata tanto e più di tutto gli sarebbe mancata la
colazione a letto, i nomignoli in tedesco, i baci, il sesso, le risate,
gli abbracci, i pranzi a base di dolci...
Continuò a esitare e si voltò verso la porta da
dove poco tempo fa Roy era uscito. Alla fine era giusto
così: lo stavano aspettando e questo non era il suo mondo,
non era il luogo dove il suo corpo doveva essere. Lui, come essere
umano, aveva grandi poteri, grandi possibilità e tante,
troppe responsabilità. Era pur vero, infatti, che avesse
già fatto troppi danni in questa dimensione: era ora di
smetterla d'interferire col flusso dell'universo.
Insomma, alla fine andava bene così. L'amore era anche
imparare a rinunciare all'altro nel tentativo di fare la cosa migliore
per tutti e, soprattutto, per coloro che amiamo.
“Addio, Roy”. Si chinò e una luce
immensa mise la parola fine a tutto.
L’Alchimista d’Acciaio ritornò a casa
schiantandosi violentemente su un rigoglioso prato e, aquila dalle ali
– o dal cuore – in frantumi, aprì gli
occhi dorati. Osservò il cielo azzurro d'Amestris e
nient’altro lo avrebbe reso così sicuro di essere
nel luogo giusto.
Rimase zitto e fermo, col respiro raggelato e un po’
dolorante si rimise in piedi, osservando la mano meccanica
ricoperta di fili d’erba. Aveva anche schiacciato un povero
fiorellino. La pulì lentamente, tanto lentamente, come se
sentisse di avere tutto il tempo del mondo ora che era tornato e poi,
per ultima cosa, cercò di risistemare lo stelo del trucidato
germoglio: agli
errori si cerca sempre di porre rimedio. Alzò il
capo e mentre il vento gli scuoteva i capelli diventati incredibilmente
lunghi, fissò l’orizzonte e le verdi colline di
Resembool. Sorrise e s’avviò giù per il
dolce pendio, verso l’Officina Rockbell.
Con in sottofondo solo il fruscio degli alberi e il rumore dei suoi
passi, Edward si trovò di fronte a una porta tanto familiare
quanto inquietante. Bussò e i secondi che ne precedettero
l'apertura furono interminabili. Stava
per rivedere il suo adorato fratellino!
Dopo che la porta venne aperta ci fu un insieme di chiavi
inglesi che si schiantavano a terra, fracasso, grida e lacrime. Winry
stritolò letteralmente un imbarazzato Edward, piangendo
scandalosamente forte, come se lo avesse appena visto morire piuttosto
che ritornare a casa.
“Win... dai, perché piangi?” la
staccò da sé, guardandola negli occhi con un
sorriso gentile. “Ora sono qui. Sono tornato a casa... e non
me ne andrò più” e il sorriso
s'allargò, mentre Winry si ricomponeva e si asciugava le
guance arrossate.
“Oh, Ed... non sai quanto sono felice... ti ho aspettato per
così tanto... e vederti tornare qui fra le mie braccia
è un sogno che s'avvera!” gli buttò le
braccia al collo, con le lacrime che minacciavano di sgorgare
nuovamente e sollevandosi sulle punte - chi avrebbe mai creduto che un
giorno avrebbe dovuto farlo? - lo baciò dolcemente sulle
labbra, stringendosigli come da tanto sperava.
Dal suo canto, Acciaio non sembrò gradire molto e
staccò immediatamente Winry. "W-win! Ma che fai?!"
arrossì, guardandola anche infastidito. A volte bisognerebbe
evitare di prendere l'iniziativa senza aver ben chiari
l’opinione altrui.
“Io… scusami, Ed. Davvero” divenne rossa
come un peperone. “E’ stata l’enfasi del
rivederti…” abbassò lo sguardo.
“E’ che credevo… ecco… beh,
sei venuto qui, senza Al, dopo tanto tempo… e ho pensato che
fossi qui per me, ecco”. La vide rigirarsi i pollici
imbarazzatissima per l’accaduto, mentre Edward si
ritrovò fortemente perplesso.
“Senza Al? Ma come, pensavo fosse qui!”. Winry
smise di perder tempo con le dita e alzò il viso,
guardandolo. Gli occhi azzurri feriti e languidi per le lacrime. Certo,
doveva immaginarselo: come poteva essere tornato direttamente
lì? E senza Alphonse, poi.
“A-Al… è rimasto a East City, da quel
che ne so. E’ da quando sei scomparso che non torna
più qui. Al massimo ci sentiamo per telefono”
spiegò, con l’amarezza che l’invadeva.
“Credo stia facendo delle ricerche per
ritrovarti…”. Ed sbarrò gli occhi,
meravigliato. Quello
stupido! Speriamo che non abbia trovato ancora il modo di aprire il
portale! Ci mancava solo che prendesse il suo posto in Germania!
“Winry, posso fare una telefonata?”
entrò direttamente in casa, avviandosi in fretta verso il
telefono, preoccupato. La ragazza lo lasciò passare, per poi
seguirlo poco dopo. La porta rimase aperta, però: che senso
aveva chiuderla? Ed se ne sarebbe andato molto presto, tanto…
Mortificata l’osservò cercare di ricordare il
numero del Quartier Generale e di proposito non gli disse che ce
l’aveva scritto nell’agendina di fianco il
telefono. Almeno questo lo avrebbe trattenuto un
po’ di più con lei.
Tuttavia, un alchimista doveva per forza avere una memoria di ferro e
infatti stava già componendo, agitato, il numero di telefono.
“Rispondete… rispondete…
rispondete…”
“Qui è l’ufficio del Colonnello Ramset,
con chi parlo?”. Colonnello
Ramset? E
chi cavolo era questo?
“Sono il Maggiore Alchimista di Stato Edward Elric! Credevo
che fosse il numero giusto, questo. Sto cercando il Colonnello
Mustang” e scandì bene il suo nome,
perché lui era unico nel suo genere e non si poteva
confonderlo con nessun altro lurido Taisa.
“Il Colonnello Mustang? Mi dispiace, ma qui a East City non
c’è nessun Colonnello Mustang, che io
sapp…” all’improvviso la voce
s’interruppe e un'altra si sentì da lontano.
“Un momento, Maggiore Elric, il Colonnello Ramset desidera
parlarle”. Ed tamburellò nervoso con le dita,
mentre un’inquietante venuzza gli compariva sulla fronte.
“Chi è che sta cercando Mustang?”.
“Il maggiore Edward Elric! Sono l’Alchimista
d’Acciaio! Insomma, è possibile che nessuno sappia
dirmi dov’è finito Roy Mustang?!”
sbraitò, apparentemente scocciato, ma profondamente
preoccupato.
“Il Colonnello Roy Mustang è stato degradato a
Caporale e trasferito al Nord, da quanto ne so. Era colui che occupava
questo ufficio prima della rivoluzione e del mio arrivo, Alchimista
d’Acciaio” rispose serio, conciso e letale.
Al Nord? Che ci faceva Roy lì? Che ci faceva il Roy Mustang
di questa dimensione col grado di Caporale confinato in mezzo alla neve?
Chiuse il telefono senza dire niente al proprio interlocutore e
deglutì. Che il suo viaggiare da una dimensione
all’altra avesse influito sulla condotta di questo mondo? No,
non era possibile…
Si girò verso Winry. “Hai un numero dove posso
contattare Al?”. La ragazza annuì e
cominciò a dettarglielo, mentre Ed riprendeva a digitare.
“… 07, ecco”, sentì squillare
e l’ansia che suo fratello non rispondesse gli morse il
cuore. Per cosa era tornato, alla fine? Per vedere Mustang ridotto a un
microbo senza possibilità di cambiare il futuro di questo
Paese? Per vedere suo fratello scomparire dall’altra
parte senza
che lui potesse fare niente? Dannazione… si stava pentendo,
sì, era innegabile. Come poteva non pentirsi di star
rischiando d’aver lasciato eternamente Roy per niente?
“Pronto?”. ...
grazie.
“AL!” gridò, gioioso.
“… f-fratellone? Fratellone?! FRATELLONE, SEI
TU?!”. Sentì la risata non metallica di Alphonse
ed Edward scivolò piano contro il muro, per sedersi un
istante sul pavimento e prendere fiato.
“Sì, Al, sono io. Sono tornato a
casa…”.
Note:
*
Buongiorno, tesoruccio;
**
Buongiorno, vecchia borsa chiacchierona (è un bonario
dispregiativo tedesco).
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Come And Sit By Me. ***
Grazie di cuore a tutti coloro
che hanno commentato e a chi ha inserito la mia storia nelle seguite.
Vorrei dire solo una cosa: anche a me piace aprire EFP, andare nel mio
fandom preferito e trovare una fanfiction nuova, appena pubblicata,
magari piacevole. Se decido di leggerla, poi la commento. Per principio
e perché essendo anche io un'autrice so esattamente quanti
sacrifici e fatica ci sono dietro quelle tre o quattro paginette di
Word. Non voglio costringervi a commentare la mia storia, né
a lasciarmi commenti pieni di lodi. Però inserendo la storia
tra le seguite mi dite che vi interessa ciò che scrivo e che
lo trovate bello. E' così terribile e faticoso dedicare
cinque minuti della propria vita a esprimere la propria opinione per
qualcosa che, evidentemente, ci ha dilettati? =)
Grazie per l'attenzione, buona lettura e viva ciò che ci fa
felici.
___________________________________________________________________________________________________
Too Much Love Will
Kill You
Capitolo 2: Come And Sit By Me
Dopo una lunga telefonata col suo adorato fratello ritrovato, Edward
avrebbe voluto prendere il primo treno per East City, ma Winry
insisté nel trattenerlo a pranzo. Ed sapeva
d’averla ferita e che il loro rapporto, ora irrimediabilmente
incrinato, sarebbe andato in rovina sempre di più, giorno
dopo giorno… ma che ci poteva fare? Chi meglio di lui sapeva
che cosa poteva significare desiderare un amore impossibile e
irraggiungibile?
In ogni caso, dopo un delizioso ma taciturno
pasto, Edward lasciò Resembool, diretto a East City, che
raggiunse a pomeriggio inoltrato, quando il sole stava quasi
tramontando. Sul treno aveva riflettuto su molte cose, sui cambiamenti
e sulle possibilità di modifica di questo mondo. Anche sul
fatto che evidentemente avrebbe dovuto trovarsi un nuovo meccanico per
gli auto-mail.
Ma, a parte questo, quando arrivò lì in
città si ritrovò a combattere con una temperatura
più calda di quanto si ricordasse: possibile che anche il
clima fosse cambiato in quattro anni? Incredibile.
Alla
stazione, Edward inizialmente e per istinto non poté che
cercare con lo sguardo un’armatura. D’altronde, era
questo l’ultimo ricordo che aveva del suo fratellino ed era
per non ricordaselo più così, pensandoci bene,
che era finito a Monaco.
Allora cominciò ad andare a caccia, col cuore che gli faceva
le capriole, di un ragazzo biondo dagli occhi verde oliva, magari alto,
in forma e dal cipiglio gentile, ma brillante.
“FRATELLONE!” la sua voce. Quella no, non se la
poteva certo scordare, armatura, cemento o carne che la riproducesse.
Si girò lentamente, come se la pellicola della sua vita si
fosse inceppata, per poi riprendere a funzionare solo quando il suo
unico fratello gli si fosse gettato addosso.
“Oh, Al! Al! Al! Al!” si strinsero, testa contro
testa. Ed pensò che Al era davvero tanto caldo e che aveva
dimenticato quanto fosse bello abbracciarlo.
“Nii-san… dove sei stato?! Io.. ti ho
cercato per tutta Amestris! Sono andato anche all’estero! Ho
pensato persino che fossi morto, perché... non
potevi aver fatto un'altra trasmutazione umana...”. Ed lo
fissò e sorrise, stanco a causa del viaggio –
dimensionale e territoriale.
“Posso spiegarti tutto più tardi? Ho davvero
bisogno di rivedere prima gli altri… andiamo al Quartier
Generale?” disse, con una punta d’entusiasmo nella
voce e gli occhi che si stavano illuminando all’idea di
rivedere tutto il resto della squadra. Tuttavia, la gioia
durò ben poco, perché vide Al incupirsi.
“Che c’è, Al?!”
esclamò, preoccupato.
“Nii-san, vieni: andiamo in albergo. Hai bisogno di stare in
un posto quiete prima che ti spieghi tutto quanto”. Ed
sussultò visibilmente e le parole di quel Ramset gli
ritornarono in mente. "Dopo
la rivoluzione".
"D'accordo...".
Tornarono all'albergo dove Al alloggiava e per prima cosa
ordinarono un sacco di dolci col servizio in camera,
dopodiché, seduti entrambi sul letto matrimoniale al centro
della stanza, si guardarono bene negli occhi.
“Da
dove posso cominciare, Nii-san..." sospirò, Al. "Dopo il
colpo di stato e dopo quello che successe a noi - di cui non
c'è bisogno di parlare ancora -, la squadra del Colonnello
Mustang è andata in frantumi. Breda, Falman e Fury si sono
ritirati a vita privata, Havoc ha chiesto trasferimento a South City,
il Tenente Hawkeye ora prepara i tiratori scelti
all’Accademia e… “
“E Mustang?” chiese, ansioso.
“Mustang, dopo aver eliminato Bradley, aveva due scelte:
essere processato alla Corte Marziale e arrestato per omicidio oppure
chiudere il becco, lasciarsi confinare a Nord in una baita sperduta ed
essere degradato a Caporale”.
“Non posso crederci” aveva l’amaro in
bocca, Edward. “Roy Mustang ridotto a un misero soldato
semplice…”. Al lo guardò dispiaciuto, e
mentre Ed si teneva la testa con una mano, arrivò il
servizio in camera. Rimasto Acciaio sul letto, fu Alphonse a ritirare i
dolciumi e a portarli da lui.
Mentre serviva i vari piatti, Al riprese a parlare: “La cosa
peggiore è che non ha mai voluto parlare con
nessuno” offrì un cucchiaino al fratello
“Infatti, Havoc ci ha provato ad andare a
trovarlo… ma Mustang, così mi ha detto, lo ha
mandato via” e mangiò un bel boccone di gelato.
“Il Sottotenente, al tempo, mi disse che secondo
lui… beh,” sorrise un po’ bonario
“che secondo lui Mustang aspettava che tornassi
tu”. Edward non rispose, facendo finta di essere troppo
impegnato a mangiare. Poi il fratello più piccolo
spezzò nuovamente il ghiaccio.
“Ora tocca a te, fratellone”. Ed smise di mangiare
e lo guardò, sorridendo amaro. Prese un profondo respiro e
cominciò a raccontare.
“Sono finito in universo parallelo, Al” la coppetta
di gelato al cioccolato del fratello cadde sulle lenzuola,
macchiandole. “Quando ti ho ridato il corpo, io volevo
sacrificarmi, ma invece mi sono ritrovato a scoprire che
Amestris è collegata con un mondo del tutto similare, dove
per ogni persona che abita in un mondo è molto probabile che
da qualche parte nell’altro vi sia una persona
dall’aspetto identico. Ho incontrato tanti nostri compagni
nel paese dove mi sono ritrovato, la Germania, e primo fra tutti tu.
Vivevo in una città chiamata Monaco e per i primi anni ho
viaggiato molto, andando anche oltre i confini, in enormi
città come Parigi, in Francia. Lo so, è difficile
da credersi, ma è la verità”.
Sbuffò, mandando giù un boccone di torta.
Appoggiò il capo alla testiera del letto e
continuò a raccontare, più come se stesse
parlando da solo che con Al. “In quel mondo, ti chiamavi
Alfons Heiderich, uno studioso di meccanica. L’unica
differenza fra di voi era il colore degli occhi: lui li aveva
azzurrissimi…” fu dura nascondere la nostalgia, e
infatti non ci riuscì. “Vissi con lui per circa un
anno, ma purtroppo… purtroppo era gravemente malato e
morì ben presto”. Si alzò dal letto,
con le viscere che si contorcevano a quei ricordi. Suo fratello
sembrava quasi non fiatare per quanto doveva essere scioccato dal
racconto. A Ed non importò, preferì piuttosto
continuare col proprio narrare. “Dopo la sua morte, la mia
vita peggiorò. Ero distrutto e senza il minimo coraggio di
continuare a studiare per tornare a casa. Passavo molto del mio tempo
nel bar sotto il mio appartamento, vicino al negozio di fiori della
signora Glacier…”.
“La moglie del signor Hughes?!”. Ed
annuì, un po’ contrito.
“In quel mondo non erano sposati, anzi. La signora Glacier
molto spesso non poteva soffrire Hughes, specie
perché… beh, lui era davvero diverso da
com’era qui”. Risparmiò al fratello i
discorsi sul nazismo e sulle guerre che la Germania aveva affrontato.
“Ho incontrato anche una ragazza molto simile a Rose di
Reole, Noa, anche un tabaccaio di nome Jean Heavok. A Parigi, poi, una
fornaia di nome Riza e di nuovo a Monaco, poi, un insegnante di lingue
antiche – qui non ne abbiamo di simili -, di nome Roy
Mustang”. Un bagliore negli occhi che Al non notò.
“Comunque, stavo dicendo” riprese il filo
“passavo molto del mio tempo nel bar sotto casa e fu
lì che incontrai il Professor Mustang. Diventammo amici e
grazie a lui ripresi la voglia di riprovarci. Fine”,
tagliò corto e questo sì, questo Al lo
notò. Ma non domandò oltre.
“E come… come hai fatto a riaprire… il
portale, ecco”. Ed si girò e lo guardò
serio.
“Ho sacrificato la mia alchimia”. Fu come se una
bomba fosse scoppiata in stanza. “Non potrò
più usare l’alchimia… e non mi
dispiace, a dirla tutta”. Anche ‘stavolta
evitò di dire al fratello che la loro possibilità
di usare l’alchimia era dipesa da tutte le persone che
morivano dall’altra
parte. “Era
l’unico modo per pagare un prezzo così
alto…”. Tornò sul letto e
ricominciò a mangiare. L’aria si distese e divenne
più serena quando Al cominciò a raccontargli
tutto ciò che gli veniva in mente, dalle sue scoperte
a come la maestra Izumi lo avesse addestrato nuovamente
partendo dall'inizio. Finirono in breve tempo i dolci e quando
accumularono i piatti sporchi su un tavolino, Ed si girò
all’improvviso e lo guardò.
“Alphonse…”.
“Sì, Nii-san?”.
“Hai detto che secondo Havoc il Colonnello sta aspettando che
ritorni io per riprendere a lottare…”.
“Sì, esatto”. Acciaio si girò
e l’ardore di un tempo apparve nei suoi occhi.
“Riporterò Mustang qui”.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** You Waited Long Enough. ***
Grazie a
tutti coloro che mi hanno lasciato tanti bei commenti, in particolare a
Child Of Bodom,
che è sempre dolcissimo con me. :)
___________________________________________________________________________________________________
Too
Much Love Will Kill You
Capitolo 3: You Waited Long Enough
“Fratellone,
sei sicuro di volerci andare da solo?”. Disse Al, seduto di
fronte a Edward,
che tornato in una mise di pelle nera più consona alla sua
persona, lucidava i
nuovi auto-mail d’assetto invernale comprati e montati da
poco a Rush Valley.
Sul treno di ritorno a East City, Ed sembrava più essersi
preparato per la
guerra che per andare a recuperare Roy. Certo, se solo Al avesse
saputo,
avrebbe capito che per suo fratello andare in guerra sarebbe stata una
passeggiata in confronto, ma questa era un’altra storia.
“No, Al, te l’ho detto. E’ una cosa che
riguarda solo me. E poi ci metterò
poco, te lo prometto, dovesse anche chiedermi in ginocchio di lasciarlo
marcire
lì, me lo trascinerò dietro!”. Mise via
la stoffa con cui stava pulendo il
braccio e osservò la mano scintillante, sorridendo. Si
aggiustò poi la coda di
cavallo e con lo sguardo brillante fissò il fratello.
“Tu devi solo pensare a
riunire tutta la squadra, capito?” e guardò fuori
dal finestrino. “Bene, stiamo
per arrivare… Al, non tornerò in albergo,
prenderò direttamente il primo treno
disponibile” avvisò. Entrambi si alzarono,
raccogliendo i bagagli e quando il
treno si fermò definitivamente, scesero, per poi separarsi
con qualche
raccomandazione. “Mi raccomando, Nii-san! Sta’
attento!”, ma Ed era già in
cammino verso l’altro binario.
Doveva ammetterlo, distrarsi non sembrava essere così
difficile. Bastava tenere
la mente occupata e fissare il vuoto il più possibile.
Facile, no? Però – e
c’era sempre un però –, non aveva ancora
fatto i conti con la sua coscienza
notturna e né con il rivedere l’amore di una vita.
Senza pensieri, Edward prese il secondo treno dopo circa
un’ora. Stravaccato
nella cabina prenotata, le palpebre gli si chiusero contro la sua
volontà e
finì nel mondo dei sogni.
“Roy, ti ho mai detto che insegni delle lingue
inutili?”. Il tedesco lo
guardò piccato.
“Il fatto che tu non riesca a capirle non significa che siano
inutili, solo che
tu sei stupido. Tsk”.
“Eppure il tedesco l’ho imparato come
niente!”.
“Pffff, è più facile di quanto si
creda! E poi il latino e il greco non sono
lingue per tutti, mi dispiace” affermò,
imboccandolo con la torta di mele.
“E meno male!” bofonchiò, sputacchiando
un po’ di cibo e facendo alzare gli
occhi al cielo all’altro. Inghiottì il boccone e
tornò a sproloquiare parlare:
“Pensa se tutti parlassero come quei matti dei greci!
Bah!”. Roy scosse il
capo, scandalizzato. Era incredibile quanto quel ragazzo fosse
testardo… e pure
ignorante.
“Comunque… continuo a non capire come, da dove
vieni tu, nessuno conosca questi
popoli. Avete mica una storia diversa?” scherzò,
imboccando ancora Ed, che
masticò energico, rimanendo in una calma inquietante, carica
di parole mai
dette.
“Roy?”
“Sì?”
“Se io ti dicessi che vengo da un altro mondo mi
crederesti?”. Roy lasciò il
cucchiaino nel piatto e lo fissò serio.
“Ed, non esistono i mondi paralleli. Credo tu abbia passato
troppo tempo con
quel Fritz Lang, sai? Secondo me quello non ci sta con la testa,
dai”. Ed
sospirò.
“Sì, ma se io… se io ti dicessi che
invece un mondo parallelo esiste,
dove c’è un Roy Mustang tale e quale a te, ma con
peculiarità sottilmente
diverse… mi crederesti?”. Rimasero in silenzio,
ognuno perso nei propri
pensieri, sino a quando Ed non smosse la situazione.
“Non mi rispondi?”. Roy riprese il cucchiaino e lo
imboccò, come per farlo star
zitto.
“Talvolta il silenzio del saggio vale più del
ragionamento del filosofo: è una
lezione per gli impertinenti e una punizione per i colpevoli,
Edward” e guardò
fuori dalla finestra, per evitare gli occhi del suo amato e pazzo
compagno.
“Roy?”
“Sì?”
“Io vengo da un altro mondo che è parallelo a
questo. Si chiama Amestris e lì
esiste qualcosa che per voi è pura magia, ma che noi
conosciamo come alchimia.
Sfrutta vari principi, fra cui lo Scambio Equivalente, ed è
a causa di
quest’ultimo, che dopo una serie di folli peripezie, ho
dovuto sacrificare il
mio corpo per salvare la vita a mio fratello. Sarei dovuto morire, ma
invece
sono passato oltre il Portale e sono finito qui”
spiegò, sicuro di sé. Roy si
alzò dal bordo del letto e lasciò il piattino e
la forchetta sullo scrittoio,
mentre Edward riprendeva. “Contro la mia volontà,
ho conosciuto gli alter ego
di coloro che erano i miei amici, compreso te, ovviamente, che
lì eri il mio
superiore”. Roy si tolse le scarpe e si slacciò la
camicia, facendo finta che
Ed non stesse nemmeno parlando. “Alfons, il ragazzo con cui
vivevo prima, era
l’alterego di mio fratello e anche se ormai sono passati
quattro anni da quando sono
qui, sto ancora disperatamente cercando il modo di tornare a
casa!” esclamò,
sempre grondante di un’immensa speranza.
“Io… Roy, dannazione, mi vuoi
ascoltare?!”. Il moro smise di vestirsi e si girò
a guardarlo.
“Cosa dovrei fare Edward? Tu mi stai parlando di una cosa
totalmente assurda…
mi stai dicendo che sei praticamente… non lo so, un essere
sconosciuto, che non
appartiene alla mia dimensione! Che cosa vuoi che ti dica?
Bravo?!” sbottò,
scocciato. “Io… non ne voglio sapere
niente” ammise. “Voglio rimanerne
all’oscuro. Io sono un uomo del mio tempo, Ed, non posso
andare più in là di
così. Ho dovuto accettare i tuoi pazzeschi arti meccanici,
ho dovuto accettare
di non comprendere i tuoi strani studi, Ed, ora fa’ tu per me
una cosa:
promettimi che non tornerai indietro e che non me ne parlerai mai
più”.
Tutum.
Edward si svegliò di soprassalto per uno scossone del treno
e guardandosi
sperduto intorno alla ricerca di Roy, trovò solo una
vecchietta che lo
osservava incuriosita. Si pulì col dorso della mano sinistra
la piccola scia di
bava e appoggiò la fronte al finestrino, guardando il
paesaggio. Si trovavano
già in un territorio innevato… chissà
quanto aveva dormito. Cercò di
trovare il sole e di vedere quanto fosse alto, ma i nuvoloni glielo
impedirono.
Comunque, era certo che dovevano essere già nel primo
pomeriggio data la fame
che sentiva e decise così di andare nel vagone ristorante a
mangiare qualcosa.
Poco dopo aver finito il pranzo, si rese conto che erano quasi arrivati
e si
sbrigò a tornare in cabina a indossare il pesante cappotto
imbottito, i guanti
e una sciarpa calda, per avviarsi così armato di bagaglio
all’uscita.
Una volta sceso dal treno, i primi fiocchi di neve cominciarono a
scendere e
s’affrettò non poco, allora, ad andare a lasciare
la valigia nell’albergo
prenotato. Sbrigate le pratiche per la consegna della stanza, Ed
sembrò
intenzionato a incamminarsi subito sulla montagna per raggiungere la
baita
del Colonnello, ma l’albergatore glielo sconsigliò.
“Ragazzo, è una follia! Sta arrivando una
tempesta! Rimani qui e non uscire o
potresti anche non tornare più!”. Per un istante
l’ex alchimista sembrò
pensarci sul serio, poi fece no con la testa. Era sopravvissuto per
anni al
clima freddissimo della Germania e aveva passato anche due settimane
nella
gelida Mosca: non solo poteva, ma doveva andare alla baita.
Bene, non era così facile come credeva. Il vento era
fortissimo, tagliente e
nonostante gli automail ora fossero più leggeri, erano
comunque un grande
intralcio. Incrociò le braccia, per stringersi di
più il cappotto. Il freddo
era tremendo, ma quando alzò per un istante la testa, quel
che vide nello
scorcio di un istante, quella specie di macchia marrone, lo
inondò di un
estemporaneo e improvviso calore. Legno. Avanzò verso
ciò che gli era parso di
vedere ed ebbe conferma dell’apparizione: aveva raggiunto
Mustang. Accelerò il
passo, saltando sulla neve e si precipitò alla porta,
prendendola a pugni.
Nessuno gli rispose. Provò ad aprire e notò che
non era chiusa a chiave, così
entrò, chiudendo la porta. Fu investito dal leggero tepore
di un fuoco mezzo
spento e togliendosi la giacca, scosse il capo per liberarsi dalla
neve. Avanzò
nel minuscolo ingresso e chiamò, piano, per istinto
più che altro, il
Colonnello per nome.
“Roy?” se ne pentì molto, ma poi
continuò, optando per qualcosa di più neutro.
“C’è nessuno?”. Si
guardò in giro cautamente, osservando l’ambiente.
Non c’era
arredamento. Qualche sedia, un tavolo, un letto oltre il caminetto e
due
piccoli stanzini, probabilmente cucina e bagno. Fu da uno di questi due
che
Mustang apparve.
“Acciaio!” lo stupore era tale che
sembrò quasi rimbalzare fra le pareti.
Edward lo fissò, altrettanto scioccato, mentre il suo
sguardo era inchiodato
sulla grossa benda nera che gli copriva parte del viso.
“Colonnello” lo salutò, sulla difensiva.
Era spaventoso e terrificante guardare
la fotocopia dell’uomo che aveva tanto amato senza un occhio
e senza la
possibilità di poterlo anche solo chiamare per nome.
“Non sono più un Colonnello, Acciaio”
corresse, visibilmente amareggiato.
“E io non sono più Acciaio, Colonnello
Mustang” ribatté, più
orgoglioso.
Rimasero in silenzio a fissarsi e l’unico occhio di Roy,
brillante di pura e
semplice felicità, sembrava illuminare la stanza come le
languide fiamme del
camino non riuscivano a fare. Come se fosse, dopo tanti tentativi,
ripartita
quella macchina il cui motore lo aveva abbandonato lungo la strada.
“Non sei cambiato. A parte il fatto che sei diventato
più alto…” e gli si
avvicinò, per rapportare la sua nuova statura alla propria.
La differenza non
era più molta, ormai.
“Vorrei dire la stessa cosa di lei, ma vedo che invece ha
deciso di darsi alla
pirateria” lo prese in giro e con un cenno del capo
indicò la sua benda. Roy
sbuffò – come faceva sempre anche un altro stupido.
“Fullmetal, chiudi il becco e dimmi che razza di fine hai
fatto per tutto
questo tempo!” abbaiò e gli offrì un
posto vicino al fuoco.
“E’ una storia lunga” rifiutò
la sedia e si piazzò davanti a lui “che
verrà
dopo”.
“E prima che succede?” domandò, curioso.
“Succede che mi deve spiegare per quale motivo ha abbassato
la testa ed è
scappato qui, come un coniglio, come il più viscido degli
homunculus!” lo
afferrò per il colletto, irruento come fosse ancora il
sedicenne di un tempo.
“Ha lasciato tutto, mandando all’aria anni e anni
di sacrifici! E per cosa? Per
paura di uno stupido giudizio della Corte Marziale?! Non ha mai pensato
che il
suo sogno potesse essere anche quello di qualcun altro?!”.
Roy si beò di quegli
scintillanti occhi dorati per cui tanto aveva sofferto.
“Mi avrebbero accusato di omicidio… stavo
rischiando la pena di morte, Edward”.
“E allora?! Da quando Roy Mustang ha paura della morte? Da
quando ha paura di
qualche vecchio bacucco capace di star solo seduto dietro a un
tribun-…” non
parlò più, Ed. Fu Roy a prender parola, a
cambiare le carte in tavola – o forse
a mettercele –, perché lo baciò. Il
maggiore degli Elric aveva pensato a tutto,
davvero, a ogni cosa, ogni evenienza, era preparato anche a
combatterci, con
Mustang. Ma non era preparato a dover ricevere il suo amore. Di
nuovo.
“Ed, perdonami. Non avrei dovuto, è
stato uno stupido cedimento, fingi che
non sia successo nulla, ti prego” agitava le mani,
preoccupato d’aver rovinato
tutto con quello stupido, stupido bacio! Forse un po’ meno
sconsiderato di
quello che però ora era Ed a dargli.
L’intero universo, allora, sembrò piegarsi nel suo
punto più accecante, ovvero
su quei due corpi avvinghiati, simbolo di un’apocalisse che
diventa mistica
redenzione e di un processo d’autodistruzione che significa
libertà.
“Lieber*, hai mai pensato a quanto incredibilmente
importanti siano le
parole? Solo a seconda di come le si usa si possono creare infinite
combinazioni e possibilità. Se poi si aggiunge la variabile
del quando e con
chi, diventa impossibile calcolarne l’effettiva
potenza” mormorò un
affascinante professore di Letteratura Anticaria vicino a un giovane
scienziato
mentre erano intenti a guardare le stelle. “Le parole sono di
chi ha il
coraggio di prendersene la responsabilità”.
“Non c’è bisogno di pensarci. Tutti lo
sanno” biascicò distratto l’altro.
“Ma dare per scontato qualcosa è il modo migliore
per perderla di vista. In
questo caso, perderne di vista l’importanza”. Ed lo
guardò annoiato.
“Ma devi sempre fare di ogni cosa un trattato
filosofico?”
“Ed, insomma! Io sono qui, faccio parte di questo mondo!
E’ mio dovere
partecipare, anche solo con la mia testa, a questo grande, enorme
flusso che è
l’intera terrena umanità! Non voglio essere un
dannato ignavo!”. Edward lo
guardò e decise che forse era pronto. Prese un gran respiro,
pronto a dire la
più grande di tutte le eterne verità.
“Uno è tutto, tutto è uno,
Roy”. Il moro si girò, perplesso.
“Cosa?”
“Tu sei tu, ma sei anche il tutto. Senza di te, il tutto non
esiste. E senza
quello che tu chiami grande flusso, non esisti tu”.
“Meraviglioso… dove hai sentito questa frase? Di
chi è quest’aforisma? O è di
tua impronta? Sembra riassumere il mio dilemma!”
l’anima da insegnante si
ravvivò, pronta a investigare ogni cosa. Edward ne rise, un
po’ divertito.
“E’ solo un detto popolare molto famoso dalle mie
parti”.
Dopo la tempesta, e si parla sia di quell’esterna
che di quell’interna alla
piccola casa, su quello stesso letto adesso c’era qualcosa di
peccaminoso
quanto celeste nei fiati e nei sudori mescolati.
“Ed…” ansimò, stringendo il
compagno tremante. “Io ti…”
“Non dirlo, ti prego! Ti prego, non
dirlo…” si staccò da lui, mentre gli
occhi
felini terrorizzati e i capelli disordinati e bagnati dal sudore gli
davano
un’aria quasi folle. “Tu non sai la
verità ancora, perciò non dirlo! Le
parole hanno un peso troppo, troppo grande”.
L’ex Colonnello era senza
fiato.
“Ed, ti ascolto. Ti ho aspettato quattro anni, ti
aspetterò per altri quattro
minuti”.
“Hai aspettato abbastanza, Roy.
Devi sapere” e gli argini del fiume si
ruppero. Gli raccontò ogni cosa, dai viaggi in Francia alla
convivenza con
Alfons, dalla sua morte all’incontro col suo alterego. Roy
rimase sobriamente
in silenzio, rispettoso di qualcosa che scindeva da lui e da chiunque
esistesse
qui ad Amestris. Mai sforare in questioni che non ci riguardano.
La lunga serie di aneddoti non finì tanto presto, a dire il
vero, ma quando Ed
finì fiato, parole e forze, Roy gli fece una carezza, in cui
rinchiuse tutto
quello che Acciaio voleva sentirsi dire. Poi il peso delle parole fece
il
resto.
“Ti amo, Ed. In
qualunque dimensione tu possa scappare”.
Note:
*Lieber: caro. Ha più o meno lo stesso significato di 'Dear'
in inglese, ma lo si trova anche nella nostra accezione di 'Amore mio'.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Sometimes They Come Back. ***
Vi
ringrazio moltissimo per le recensioni e i complimenti. Spero che
questo capitolo vi piaccia, anche se è quello che ho odiato
di più, devo ammetterlo. E' il più contorto e
forse fa un po' acqua da tutte le parti. (?) Me lo saprete dire meglio
voi. :)
N.B. Questo capitolo in particolare lo vorrei dedicare a Child of
Bodom, dato il discorso che farà l'Alter Roy sul nulla. LOL
Spero recensirete in molti! Buona lettura.
___________________________________________________________________________________________________
Too
Much Love Will Kill You
Capitolo
4: Sometimes they come back
Di ritorno a East City, Roy si sentiva come
uno scolaretto il primo giorno di scuola piuttosto che un fiero soldato.
“Roy, perché non ti dai una calmata?”
propose il biondo. “Mi metti
ansia!".
Mustang sospirò. "Hai ragione. E' che... ora sto pensando
che non so
nemmeno dove andare ora. Non ho più il mio lavoro, non ho
più i miei obiettivi,
non ho... niente".
"Io mi chiamo Edward, non niente, stupido Colonnello!" e gli
lanciò
un'occhiataccia, un po' ferito, prima di alzarsi e di uscire dallo
scompartimento per sbollire i nervi. Mustang rimase da solo, allora, e
demoralizzato si domandò se stesse facendo la cosa giusta.
Tornare a casa con
Edward era un sogno che diventava realtà.. Tuttavia era ben
conscio del fatto
che una volta tornato, niente sarebbe stato come prima. Non era
più un soldato,
non era più un alchimista, non era più
l’uomo d'un tempo e forse non sarebbe
mai nemmeno riuscito a recuperare ciò che aveva perso. Era
rimasto in attesa
per così tanto tempo che ora si sentiva quasi disintegrato.
Aveva amato Ed per
tutto quel tempo e ora che lo aveva con sé non riusciva ad
approfittarne.
Perché?
In quel momento Edward rientrò nello scompartimento.
“Fullmetal?”
“Mh?”
“Ora che hai recuperato il corpo di Al, ora che sei tornato a
casa e che hai
realizzato tutto ciò che ti eri prefissato… che
cosa farai?”.
Tutum.
Tututum. Tutum. Tututum.
“Nulla”. Roy rimase di sasso, ma accettò
la risposta. Avvicinò la mano a quella
di Ed e gliela strinse, fondendo la sua pelle bianca al grigio e freddo
metallo
dell’automail.
“Ma, Ed… non esiste il nulla”.
“Ancora
stupidi e maledetti tentativi di colpi di stato. Questi cavolo di
nazisti…” gettò il giornale sul tavolo,
preferendo la colazione ai fattacci di
una Germania in declino.
“Secondo me ignorandoli si fa prima. Se nessuno dà
loro importanza, spariranno,
vedrai. Di idioti ce ne sono tanti, al mondo, il problema è
se prendono potere”
bofonchiò Ed fra biscotti e un po’ di
caffè.
“Dici?”
cercò conferma il preoccupato professore.
“Dico. Alla fine che cosa sono, questi nazisti?
Nulla!”. Roy smise di mangiare
e prese la solita aria da pensatore incompreso.
“Ed, non esiste il nulla”.
“Come non esiste?”
“Ogni cosa è qualche cosa. Niente non
può essere niente, capisci?”.
“A dire il vero no” sbatté le palpebre,
ingenuamente confuso. Roy scoppiò a
ridere e gli diede un dolce bacio.
“Ah, sei adorabile, Ed” sorrise e si
alzò da tavola, con un pezzo di pane e
marmellata in bocca. “Un giorno capirai” e datogli
un bacio sul capo uscì per andare
a scuola.
Tutum.
“Ed?” lo chiamò ancora una volta.
“Mh?”.
“Cosa potrei fare oltre il soldato, secondo te?”
appoggiò la testa alla sua.
“Devo ritrovare uno scopo, no?”.
“Potresti fare il professore” Roy sorrise e chiuse
l’unico occhio, cercando di
far pace con se stesso.
“Sì, in un’altra vita, magari”
rispose e anche Edward sorrise, senz’altro più
divertito.
Quando
arrivarono in stazione faceva davvero caldo e il sole picchiava sulle
teste così forte che si poteva anche vedere in giro qualche
signora snob col
proprio ombrellino in pizzo.
“Vieni, è qui vicino
l’albergo”. Roy annuì e lo
seguì, col suo andamento
marziale mai perduto del tutto.
“Lo sai, Roy… non è ancora detto che tu
non possa riacquistare il prestigio di
prima… intendo, nell’ambito militare”
cominciò a dire soprapensiero.
“In che senso? Intendi ricominciare tutto daccapo come
Caporale?”.
“No, intendo rifacendo l'esame da alchimista"
buttò lì, e si fermò di
fronte a una piccola villetta.
"Dove siamo? Credevo andassimo in albergo..."
“Tutti hanno bisogno di una casa in cui tornare”
entrò nel vialetto,
lasciandolo indietro. Aprì la porta e lo invitò a
entrare con un cenno del
capo. “Vieni?”
Forse s’era perso qualche passaggio, ma Roy davvero non
capiva. Di chi era
quella casa? Cosa ci dovevano fare lì?
Lo seguì all’interno, anche incuriosito, e vi
trovò gli amici di una vita tutti
raccolti insieme. C’erano persino Glacier ed Elycia.
“Oh… io, non so che dire,
ragazzi…”. Riza gli si avvicinò e gli
buttò le
braccia al collo, forte.
“Colonnello Mustang…”
“Chiamami Roy, Riza”
“Nossignore. Lei sarà sempre il mio superiore,
l’uomo da seguire ciecamente a
ogni costo, l’uomo dagli ideali e i sogni giusti”.
Si staccò da lui e gli fece
il saluto. Tutti gli altri la imitarono, anche chi
nell’esercito non c’era più.
“Ricominci, Taisa!” esclamarono, tutti insieme,
all’unisono. Roy si domandò
quante volte l’avessero provata, quella scena, fra
quell’idiota di Breda e il
trasognato Havoc. A dire il vero, non aveva molta importanza quanto e
se la
cosa era stata preparata. Ciò che importava era che, se ne
fosse stato ancora
capace, avrebbe versato molte lacrime.
Roy li guardò a uno a uno, poi guardò Ed e si
rese conto che quello stupido
ragazzino era diventato l’unico uomo su cui potesse contare e
senza il quale la
propria vita non avrebbe avuto alcun senso. Successivamente vi fu
un
momento tremendamente commovente, perché ciascuno
raccontò agli altri cosa in
quei quattro anni era accaduto. La maggior parte dei racconti, fra
l’altro,
erano incredibili: Havoc si era persino sposato e stava per diventare
padre,
Breda aveva aperto un ristorante tutto suo, Falman aveva sposato Sheska
e Fury
– che dopo tutto quel tempo continuava ad avere il viso di un
bambino delle
elementari – inventava giochi, Riza era diventata
un’insegnante all’Accademia
Militare, una preparatrice di cecchini.
Sembravano tutti essere andati avanti e quando Ed e Roy furono rimasti
soli,
Mustang aveva tante domande.
“Ed… ma questa casa, di chi
è?”
“E’ tua, Roy. L’ho comprata per te.
Volevo che avessi un posto in cui tornare,
un posto dove ricominciare a costruire pezzo per pezzo tutto
ciò che è
crollato”. In un istante Edward si ritrovò stretto
in un soffocante abbraccio
sulle gambe di Mustang.
“Grazie” disse al suo orecchio. “Non ti
assicuro che sopravvivrò al passato, ma
nemmeno che soccomberò”. Ed gli
accarezzò la fronte, scostandogli i capelli.
“Roy, il passato può fare male. Ma dal passato
puoi scappare, oppure imparare
qualcosa. So che sceglierai l’opzione più
corretta” si alzò dalle sue gambe e
raccolse il cappotto.
“Ma come… non rimani qui? Pensavo che dormissi con
me, ‘stanotte” brontolò,
desideroso d’attenzioni amorose.
“Non ho avvertito, Al, Roy. E poi credo tu abbia bisogno di
adattarti prima da
solo a tutto ciò. Io verrò dopo”. Il
moro si alzò e imperante lo guardò un
po’
irritato.
“Eh, no, eh! Non ci provare! Abbiamo cominciato questa cosa
insieme e la
finiremo insieme! Non puoi lasciarmi!”.
“Roy…” lo chiamò, pacato.
“No, io non lo accetto! Insomma, ti ho aspettato per quattro
anni, ora posso
chiedere d’averti tutto per me?”
“Roy…” riprovò.
“Che ci sarebbe di male, infondo?”
“ROY” sbraitò e Mustang
trasalì, sintonizzandosi nuovamente sulla stessa
frequenza d’onda di Edward. “Sta’
tranquillo, va bene?” gli si avvicinò,
baciandolo. “Io non ti lascio” e, tanto per rafforzare il concetto
delle sue
parole, uscì dalla casa, piantandolo
lì da solo.
Dopo
aver atteso per mesi di poter fare l’esame da alchimista di
stato e
occupato il tempo vedendo Edward, uscendoci e facendoci
l’amore ogni momento
possibile, Roy, tornato Maggiore, si fece varie domande, da scienziato
qual
era, sul passaggio di Ed da una dimensione all’altra.
Per un motivo, per l’altro, perché aveva voglia di
cambiare aria e perché
Edward non riusciva a dirgli di no, Roy si ritrovò col
biondino a Resembool,
esattamente sulla collina dove Ed era apparso quasi tre mesi prima.
“E quindi, alterando la grafica del cerchio alchemico, sei
riuscito a capire
che era possibile impostare come delle coordinate?”.
“Esatto, Colonnello”.
“Ingegnoso. E questo lo hai scoperto
com…” a nessuno piace essere interrotto e di
solito si cerca di evitarlo. In questo caso, quando un uomo apparso dal
nulla più
assoluto si schiantò su di loro, fu inevitabile impedirlo.
Allora, tre uomini adulti si ritrovarono per terra.
“Ma che diavolo!” Edward sgusciò via e
si alzò, rapido, mettendosi in posizione
da combattimento. Ansimava ed era spaventato, come Roy,
d’altronde, che aveva
tirato fuori i guanti e mirava contro l’uomo che giaceva a
pancia in giù.
Quando quest’ultimo cominciò ad alzarsi sembrava
davvero dolorante e acquistò a
fatica un po’ d’equilibrio. Sfortunatamente, una
volta che l’ebbe acquistato,
fu Ed a perdere l’equilibrio e a cadere indietro per lo shock.
“No… no… no…” gli
occhi dorati si riempirono di lacrime. “Non è
possibile…”.
L'Alter Roy svettava di fronte a Ed, agguerrito e pronto a
riprenderselo a
qualsiasi costo.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Too Much Love Will Kil You, In The End. ***
Grazie a tutti
coloro che sono arrivati fino a quest'ultimo capitolo. A chi ha
commentato e anche a chi ha letto il mio lavoro in silenzio.
Grazie di cuore, davvero. Spero che quest'ultimo capitolo sia di vostro
gradimento tanto quanto gli altri e che questa storia vi abbia lasciato
qualcosa nel cuore. Il mio compito e desiderio è sempre
stato questo.
Molto presto tornerò con una nuova fan-fiction, una
one-shot. Spero che ognuno di voi sarà lì a darmi
il proprio parere. Non vedo l'ora che succeda.
Detto questo, buona lettura. E arrivederci.
___________________________________________________________________________________________________
Too
Much Love Will Kill You
Capitolo
5: Too Much Love Will Kill You,
in the end.
Edward si
alzò di scatto e gli corse incontro, tirandogli un ceffone.
“WAS HAST DU
GEMACHT?! * ” le lacrime gli rigarono il viso e fra di loro
cominciò
un’infuocata discussione in una lingua che Mustang
– il soldato –, non
conosceva. Le grida e gli spintoni si fermarono però
piuttosto presto ed Ed si
voltò verso l’altro Roy, quello rimasto in
disparte, confuso e spaventato tanto
quanto lui. Si voltò verso l’Alter Roy e
asciugandosi le lacrime: “Kannst du
english, ja?”
“Doch…”
rispose lui, scocciato, con entrambe le guance arrossate a causa degli
schiaffi ricevuti.
“Colonnello”
cominciò “la nostra lingua, nel suo mondo,
è conosciuta come
inglese. Prima ne parlavamo un’altra” si mise la
mano sul viso, pensando ad
altro.”Ma non ha importanza, perché
questo… questo idiota! Ha passato il
Portale! E non so come abbia fatto e… e ora è un
casino, perché non può tornare
indietro!”.
“Io non
tornerò indietro, infatti. Rimarrò qui con te. E
anche volendo, non
potrei farlo: sono ricercato, lì. Stanno arrestando tutti
gli insegnanti e
Hitler dopo Putsch sta organizzando un altro colpo di stato!”
strinse i pugni
“Ho perso tutto. La mia casa, il mio lavoro, i miei alunni, i
miei libri,
l’uomo che amavo… lì non ci
torno!” alzò di nuovo la voce, prendendo Ed per le
spalle. “Perché te ne sei andato?! Non eri felice
con me?! Potevi portarmi qui
con te!”
“E come
potevo, Roy?! Qui esiste già un Roy Mustang!”.
“Ah, giusto,
il mio sostituto!” gridò, ferito.
“Non dire
stupidaggini! Nessuno di voi due sostituisce qualcun altro. Siete
diversi!”. Il Maggiore Mustang decise ancora per il rimanere
in silenzio,
mentre l’Alter Roy feriva sempre più Ed con le sue
parole. “Allora puoi amarne
solo uno, Edward”.
Entrambi i Roy lo
circondarono e benché si trovassero in uno spazio naturale
sconfinato all’inverosimile, Ed si sentì con le
spalle al muro. Sentiva
un’immaginaria forza prenderlo a pugni sulla cassa toracica e
un’altra
sensazione ancora che lottava dall’interno. Si strinse con le
sue stesse
braccia e pianse lacrime amare, lacrime di coccodrillo.
“Solo uno,
Ed. Solo uno” riprese il tedesco. Il biondino fece qualche
passo
indietro, non sapendo che fare, come reagire o a chi chiedere aiuto.
Per tutta
la vita aveva affrontato situazioni impossibili, sconfitto nemici
imbattibili
ed era dovuto diventare uomo prima del tempo. Ora che invece quel tempo
era
arrivato, si ritrovava a essere un bambino impotente e incapace di
scegliere
fra due giocattoli. Scegliere, che brutta parola.
“Scegli, Ed.
Scegli ora!”.
“Ed”
lo chiamò il soldato. “Ed, ascolta… non
esiste scelta che non comporti una
perdita” gli disse, più calmo e pacato,
più uomo, più leader, più giusto del
suo sosia. “E non è possibile non scegliere.
Certo, devi avere la forza di
scegliere ciò che preferisci e di rimanere coerente
attenendoti alla tua
decisione, ma non stiamo parlando di oggetti, qui”
guardò male il suo alterego,
e in un altro momento Edward sarebbe scoppiato a ridere per la
situazione
paradossale. “Stiamo parlando di uomini, di esseri umani, di
sentimenti. E
siccome tutti hanno il potere di scegliere, io scelgo di
ritirarmi”. A Ed
sembrò di deglutire sabbia, più che saliva.
“Cosa?”
boccheggiò, con il volto rigato e contrito.
“Io ti amo
tanto quanto può amarti lui, ma dato che non puoi scegliere
entrambi, faccio la cosa più giusta: lascio che almeno uno
di noi due ti possa
amare e rendere felice. Per ogni Roy Mustang ci sarà sempre
un Edward Elric da
amare. Per cui, va bene così.” si
avvicinò a lui e gli asciugò le lacrime.
“Vivi con lui. Qui a Resembool, magari, dove nessuno mi
conosce e potrà
disturbarvi. Vivi felice e innamorato, io posso…
accettarlo” gli fece un’ultima
carezza sulla guancia. “E perché no, anche
continuare ad aspettarti, ma senza
scappare dal mio sogno, che è anche il tuo”.
Il tedesco rimase muto
e sporco di vergogna. Quello era l’altro uomo di cui
Edward era innamorato. Un uomo più nobile di lui, un uomo
capace di ritirarsi
con maturità per far felice il proprio compagno. E lui
invece che cos’aveva
fatto oltre a piangere, a gridare e a pestare i piedi per riavere
indietro Ed?
“Roy,
no…”
“E’
giusto così, Fullmetal” e si staccò da
lui, girandosi e tornando indietro
sui propri passi, mentre il suo unico occhio cominciava a piangere le
prime di
mille altre lacrime. Intanto Edward era caduto in ginocchio e
l’Alter Roy lo
aveva raggiunto, cercando i suoi occhi, cercando conforto da qualcuno
che di
conforto non ne aveva più da offrire. Mai aveva compreso
appieno la vita come
in questo momento: per quanto un’ingiustizia sia
relativamente facile da
sopportare, quella che proprio brucia è la giustizia. Si
voltò a guardare le
spalle del suo sosia con quella divisa blu: alla vergogna per il caos
causato,
si aggiunse anche un pizzico d’orgoglio. Era evidente: da
qualche parte, in qualche
mondo, c’è sempre una versione buona di noi stessi.
Edward
accettò con stoica rassegnazione di poter amare solo uno dei
due e
acquistò una minuscola casa a Resembool, dove vivere con il
suo tedesco. Le
giornate scorrevano abbastanza tranquille, persino felici. Ma qualcosa
non
andava in quel, per quanto adorabile, fittizio quadretto di campagna, e
no, non
era un problema di Ed, ma di Roy. La sua coscienza lo divorava
lentamente e
dolorosamente da dentro e la nostalgia della Germania era
più forte di quanto
anche solo avesse potuto immaginare. Più che per la patria,
gli mancava quello
che amava fare più di tutto: insegnare la cultura antica. E
anche parlarne e
studiarne ogni più piccolo dettaglio. Lì invece
cos’aveva? Un compagno
guadagnato dalla sofferenza di un altro se stesso, un posto totalmente
diverso
da casa sua e una vita in un mondo dove tutto quello che lui conosceva
non era
nemmeno mai accaduto. Paradossale: cercando una soluzione ai suoi
problemi,
aveva trovato solo un modo per aumentarli e aggravarli. E la cosa
peggiore, era
che non poteva tornare indietro.
Fu al tramonto, che Ed
se ne accorse. Poco più di due ore prima Roy era andato
a farsi un bagno caldo e solo dopo aver terminato di preparare la cena
e di
ritirare il bucato che si domandò che fine avesse mai fatto.
Attraversò
goffamente il corridoio per via del cesto di vestiti che aveva in
braccio e
bussò alla porta.
“Schatz? Ci
sei morto lì?”. Nessuna risposta. “Roy?
Guarda che sto entrando,
eh, non farmi storie poi!” e girò la maniglia.
Tempo dopo sarebbe anche
arrivato a rimuginare per ore e ore a cosa sarebbe successo se solo
avesse
aperto prima quella porta. Ma si sa, l’istinto e la coscienza
sono come quei
congegni d’allarme che scattano per ogni cosa e col tempo,
nessuno gli dà più retta.
Dovette anche far
incidere un nome diverso sulla lapide: Marcus Tullius Cicero.
Il suo stupido oratore preferito, ma un nome di fantasia qualsiasi per
gli
abitanti di questo mondo. Alla fine era rimasto coerente con le proprie
antiquate idee. Si era persino ucciso come quel Seneca, tagliandosi le
vene e
immergendosi in una vasca d’acqua calda per favorire
l’emorragia. Quasi
teatrale, quasi da Annale.
Lasciò un
mazzo di rose rosse dinnanzi a quella grigia pietra e se ne
andò,
diretto in stazione. Non c’erano più questioni in
sospeso, ora, e la sua
coscienza, ponte gettato fra passato e futuro, gli diceva che poteva
anche
fermarsi un attimo a dar vita a un presente migliore.
Toc toc.
Bussò con
l’automail, così che si potesse sentire con
chiarezza che era
tornato. L’ingresso si aprì, ma di certo la bella
donna bionda in divisa e di
fronte a lui non era esattamente la persona che Ed
s’aspettava di trovare.
“Maggiore
Hawkeye?”. Dopo lo stupore, la gelosia lo infuocò
interamente, tanto
che non poté non notare che per la prima volta Riza aveva la
giacca
dell’uniforme sbottonata e che la maglia nera
d’ordinanza era davvero, davvero
attillata. Ma si sa, un geloso trova sempre più di quanto
cerchi in realtà.
“Ciao,
Edward!” e infatti… “Il Maggiore Mustang
è uscito a comprare il
giornale. Entra, tornerà a momenti”. Ed Edward la
seguì all’interno, un po’
nervoso: per entrare in una casa comprata da lui e regalata al suo
compagno,
non aveva bisogno di permesso.
In ogni caso, una
più che inconsapevole Riza lasciò Edward in
salotto per
andare a finire il bucato, sino a quando non si sentì il
rumore della porta
d’ingresso. Roy apparve nel salotto e rimase di sasso di
fronte a quel
biondissimo ragazzo seduto sul divano.
“Acciaio…”
Ed s’alzò e gli si avvicinò piano,
appoggiando con naturalezza il capo
alla sua spalla, stringendolo e facendosi stringere.
“E’
morto”. Roy sussultò visibilmente.
“Cosa?”
“Si
è suicidato” un’anonima lacrima scorse
sul volto di Ed. Roy lo stritolò
quasi fra le sue braccia.
“Ed, mi
dispiace… io…”
“Shhh, non
è colpa di nessuno. Doveva andare così, fa parte
del flusso”. L’altro
non chiese ulteriori spiegazioni.
“Se posso
permettermi, Edward… credo che alla fine morire sia stato
più
positivo che vivere qui, per lui”.
“In che
senso?”
“Ho sempre
creduto che scegliere la propria fine sia la più grande
manifestazione della libertà. L’ha scelto lui,
nessun altro”.
“Scegliere…”
sussurrò Ed, amareggiato. “Alla fine è
stato lui quello che ha
dovuto scegliere”.
“Tutti
dobbiamo scegliere, credo tu l’abbia capito”
l’altro gli circondò le
spalle ed Edward annuì, rimanendo poi in silenzio.
“Roy?”.
“Mh?”.
“Ho scelto
te”.
* CHE COS'HAI FATTO?
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=1056978
|