Too Much Love Will Kill You

di RMSG
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Here I Am. ***
Capitolo 2: *** Come And Sit By Me. ***
Capitolo 3: *** You Waited Long Enough. ***
Capitolo 4: *** Sometimes They Come Back. ***
Capitolo 5: *** Too Much Love Will Kil You, In The End. ***



Capitolo 1
*** Here I Am. ***


Io devo fare dei ringraziamenti. Diversi, a dire il vero. Un grazie a Bellatrix29, spassionata consigliera. 
E poi devo ringraziare una persona speciale. La mia persona speciale. Grazie, V: ho ripreso a scrivere solo per te, che mi ami e mi sostieni sempre. 


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Too Much Love Will Kill You
Capitolo 1: Here I Am.








Amestris, 1918.

Quattro anni, ci aveva messo,
ma c'era riuscito, alla fine.
Ora era tornato a casa.




Gemette, prendendosi la testa fra le mani, cercando di non piangere. Non poteva crederci nemmeno lui di averlo fatto. Lentamente e appoggiandosi al muro si mise in piedi, toccando con la sua mano sana il muro di chissà quale casa.
Dal vicolo in cui era stato catapultato dopo la trasmutazione, poteva vedere la luce proveniente dalla strada poco distante da lui.
Solo qualche passo e sarebbe stato tutto vero e perfetto come l'aveva sognato ogni notte per quattro, lunghi anni.
S'avviò lentamente verso quella luce e mentre il rumore del caos cittadino aumentava e s'avvicinava sempre più alle sue orecchie, la luce divenne troppo forte e il rumore svanì quasi del tutto. Rimase una sola voce, calda e profonda, che parlava in crucco.




Guten Morgen, Schatzi!” esclamò un giovane uomo coi capelli neri, una lunga frangetta, due pozzi di petrolio al posto degli occhi, la pelle chiarissima e un vassoio colmo di leccornie per la colazione.
Morgen, alte Labertasche…” mugolò Edward, girandosi nel letto per guardarlo. Il giovane uomo sbuffò e sollevò gli occhi al cielo. 
“Sei così cattivo con me”, sebbene imbronciato, si chinò a dare a Ed il bacio del buongiorno, appoggiando accanto al biondo il vassoio. “Ti ho portato anche la colazione!”.
“Non te l'ho mai chiesto, io” l'ex alchimista si stiracchiò, per poi mettersi seduto e cominciare a mangiare, imboccando con un biscotto il suo infantile compagno. “Mi farai quella faccia per tutto il giorno, Schatziii?” lo prese in giro e si sporse per strofinare il naso col suo. “Grazie per la colazione”.
Il moro sorrise, riconoscente, e gli diede un bacio scoccante. Poi si alzò e andò a prendere la giacca dall'armadio: “Devo andare a lezione, ora. Ci vediamo a pranzo, vero? O devi studiare molto?”. Edward rimase per poco tempo incantato a guardarlo: che uomo meraviglioso aveva di fronte... non lo meritava affatto.
“Ed? Mi stai sentendo?”, domandò e dovette alla fine scuotere una mano per catturare la sua attenzione. “Stai ancora dormendo?” e ridacchiò bonario. Anche la sua risata era bella... così sincera! Molto diversa da quella del suo alter-ego dall'altra parte. 
Sorrise un po'. “Ci vediamo al solito posto”. 
 
Perfetto! Puntale, eh? Non farmi aspettare come l'ultima volta!” gli regalò uno splendente sorriso e fece per uscire di casa... 
“Ah, Ed?”. Inghiottì in fretta un biscotto per prestargli attenzione.
Ja?”.
“Ti amo” e uscì di casa contento, senza dare tempo di rispondere. Edward rimase di sasso e il suo cuore perse un battito. Prese un altro biscotto e l'osservò attentamente, come se quell'unico frollino contenesse tutte le soluzioni ai suoi enormi problemi. 
“Ti amo anch'io, Roy...”. 


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München, 21 März 1925.
Quattro anni erano passati. 
Il giorno in cui sarebbe tornato a casa era arrivato.
E quel giorno era oggi.




Finita la colazione, messa in ordine un po' la casa, lavatosi per bene e vestitosi di tutto punto, Edward cominciò a racimolare i suoi appunti alchemici e a portarli nel salotto. Poi tornò alla scrivania per prendere la scatola di gessi comprata un mese prima, quando aveva finalmente capito quale fosse l'unico modo per pagare il prezzo richiesto.
Afferrò i due fogli che componevano una lettera di scuse e spiegazioni per il suo amante - il bizzarro tedesco decisamente troppo tenero per portare quel nome - Roy Mustang... e decise di lasciarla sul loro letto matrimoniale, insieme a tutti i risparmi raccolti in quattro anni. Con la crisi che la Germania stava affrontando gli sarebbero serviti moltissimo. 
Nonostante ciò, una parte di lui non voleva andarsene, voleva rimanere a godere di quel proibito amore fra biscotti, torte di mele e tè caldi. Tuttavia, la parte di lui che voleva tutto questo, non era abbastanza forte, né abbastanza grande o determinata da sconfiggere quella che invece ad Amestris ci voleva tornare eccome.
A tutto il resto - per esempio a come sarebbe riuscito ancora a guardare negli occhi quella merda di Colonnello una volta tornato -, ci avrebbe pensato in seguito. 
Prese un profondo respiro e s'avviò in salotto, cominciando a disegnare il cerchio alchemico. Lo fece lentamente, coi pensieri che s'affollavano furiosamente nelle sue meningi e che si scontravano fra loro, in un trascendentale caos che non sembrava volergli dare alcuna pace. 
Finito il suo lavoro, distrusse il gesso stringendolo forte nell'automail ormai arrugginito e rovinato dalla mancata manutenzione. La verità era che, nonostante da questa parte ci fossero degli ottimi prodotti per oliarlo o quantomeno per mantenerne un uso decente... a Edward non era passata nemmeno una volta per la testa l'idea di farlo: voleva che fosse Winry ad aggiustarglielo, perché sapeva che un giorno avrebbe trovato il modo di tornare.
Sospirò pesantemente e batté le mani. Rimase fermo, immobile, una statua di sale sospesa per un momento fra due mondi distanti ma simili come nient'altro potrebbe esserlo. 
Aspettò ancora. Solo un altro po'. La Germania gli sarebbe mancata tanto e più di tutto gli sarebbe mancata la colazione a letto, i nomignoli in tedesco, i baci, il sesso, le risate, gli abbracci, i pranzi a base di dolci... 
Continuò a esitare e si voltò verso la porta da dove poco tempo fa Roy era uscito. Alla fine era giusto così: lo stavano aspettando e questo non era il suo mondo, non era il luogo dove il suo corpo doveva essere. Lui, come essere umano, aveva grandi poteri, grandi possibilità e tante, troppe responsabilità. Era pur vero, infatti, che avesse già fatto troppi danni in questa dimensione: era ora di smetterla d'interferire col flusso dell'universo.
Insomma, alla fine andava bene così. L'amore era anche imparare a rinunciare all'altro nel tentativo di fare la cosa migliore per tutti e, soprattutto, per coloro che amiamo. 
“Addio, Roy”. Si chinò e una luce immensa mise la parola fine a tutto.

L’Alchimista d’Acciaio ritornò a casa schiantandosi violentemente su un rigoglioso prato e, aquila dalle ali – o dal cuore – in frantumi, aprì gli occhi dorati. Osservò il cielo azzurro d'Amestris e nient’altro lo avrebbe reso così sicuro di essere nel luogo giusto.
Rimase zitto e fermo, col respiro raggelato e un po’ dolorante si rimise in piedi, osservando  la mano meccanica ricoperta di fili d’erba. Aveva anche schiacciato un povero fiorellino. La pulì lentamente, tanto lentamente, come se sentisse di avere tutto il tempo del mondo ora che era tornato e poi, per ultima cosa, cercò di risistemare lo stelo del trucidato germoglio: agli errori si cerca sempre di porre rimedio. Alzò il capo e mentre il vento gli scuoteva i capelli diventati incredibilmente lunghi, fissò l’orizzonte e le verdi colline di Resembool. Sorrise e s’avviò giù per il dolce pendio, verso l’Officina Rockbell.

Con in sottofondo solo il fruscio degli alberi e il rumore dei suoi passi, Edward si trovò di fronte a una porta tanto familiare quanto inquietante. Bussò e i secondi che ne precedettero l'apertura furono interminabili. Stava per rivedere il suo adorato fratellino! 
Dopo che la porta venne aperta ci fu un insieme di chiavi inglesi che si schiantavano a terra, fracasso, grida e lacrime. Winry stritolò letteralmente un imbarazzato Edward, piangendo scandalosamente forte, come se lo avesse appena visto morire piuttosto che ritornare a casa.
“Win... dai, perché piangi?” la staccò da sé, guardandola negli occhi con un sorriso gentile. “Ora sono qui. Sono tornato a casa... e non me ne andrò più”  e il sorriso s'allargò, mentre Winry si ricomponeva e si asciugava le guance arrossate. 
“Oh, Ed... non sai quanto sono felice... ti ho aspettato per così tanto... e vederti tornare qui fra le mie braccia è un sogno che s'avvera!” gli buttò le braccia al collo, con le lacrime che minacciavano di  sgorgare nuovamente e sollevandosi sulle punte - chi avrebbe mai creduto che un giorno avrebbe dovuto farlo? - lo baciò dolcemente sulle labbra, stringendosigli come da tanto sperava.
Dal suo canto, Acciaio non sembrò gradire molto e staccò immediatamente Winry. "W-win! Ma che fai?!" arrossì, guardandola anche infastidito. A volte bisognerebbe evitare di prendere l'iniziativa senza aver ben chiari l’opinione altrui. 
“Io… scusami, Ed. Davvero” divenne rossa come un peperone. “E’ stata l’enfasi del rivederti…” abbassò lo sguardo. “E’ che credevo… ecco… beh, sei venuto qui, senza Al, dopo tanto tempo… e ho pensato che fossi qui per me, ecco”. La vide rigirarsi i pollici imbarazzatissima per l’accaduto, mentre Edward si ritrovò fortemente perplesso.
“Senza Al? Ma come, pensavo fosse qui!”. Winry smise di perder tempo con le dita e alzò il viso, guardandolo. Gli occhi azzurri feriti e languidi per le lacrime. Certo, doveva immaginarselo: come poteva essere tornato direttamente lì? E senza Alphonse, poi.
“A-Al… è rimasto a East City, da quel che ne so. E’ da quando sei scomparso che non torna più qui. Al massimo ci sentiamo per telefono” spiegò, con l’amarezza che l’invadeva. “Credo stia facendo delle ricerche per ritrovarti…”. Ed sbarrò gli occhi, meravigliato. Quello stupido! Speriamo che non abbia trovato ancora il modo di aprire il portale! Ci mancava solo che prendesse il suo posto in Germania! 
“Winry, posso fare una telefonata?” entrò direttamente in casa, avviandosi in fretta verso il telefono, preoccupato. La ragazza lo lasciò passare, per poi seguirlo poco dopo. La porta rimase aperta, però: che senso aveva chiuderla? Ed se ne sarebbe andato molto presto, tanto…
Mortificata l’osservò cercare di ricordare il numero del Quartier Generale e di proposito non gli disse che ce l’aveva scritto nell’agendina di fianco il telefono.  Almeno questo lo avrebbe trattenuto un po’ di più con lei.
Tuttavia, un alchimista doveva per forza avere una memoria di ferro e infatti stava già componendo, agitato, il numero di telefono.
“Rispondete… rispondete… rispondete…”
“Qui è l’ufficio del Colonnello Ramset, con chi parlo?”. Colonnello Ramset? E chi cavolo era questo?
“Sono il Maggiore Alchimista di Stato Edward Elric! Credevo che fosse il numero giusto, questo. Sto cercando il Colonnello Mustang” e scandì bene il suo nome, perché lui era unico nel suo genere e non si poteva confonderlo con nessun altro lurido Taisa.
“Il Colonnello Mustang? Mi dispiace, ma qui a East City non c’è nessun Colonnello Mustang, che io sapp…” all’improvviso la voce s’interruppe e un'altra si sentì da lontano. “Un momento, Maggiore Elric, il Colonnello Ramset desidera parlarle”. Ed tamburellò nervoso con le dita, mentre un’inquietante venuzza gli compariva sulla fronte.
“Chi è che sta cercando Mustang?”.
“Il maggiore Edward Elric! Sono l’Alchimista d’Acciaio! Insomma, è possibile che nessuno sappia dirmi dov’è finito Roy Mustang?!” sbraitò, apparentemente scocciato, ma profondamente preoccupato.
“Il Colonnello Roy Mustang è stato degradato a Caporale e trasferito al Nord, da quanto ne so. Era colui che occupava questo ufficio prima della rivoluzione e del mio arrivo, Alchimista d’Acciaio” rispose serio, conciso e letale. 
Al Nord? Che ci faceva Roy lì? Che ci faceva il Roy Mustang di questa dimensione col grado di Caporale confinato in mezzo alla neve? 
Chiuse il telefono senza dire niente al proprio interlocutore e deglutì. Che il suo viaggiare da una dimensione all’altra avesse influito sulla condotta di questo mondo? No, non era possibile…
Si girò verso Winry. “Hai un numero dove posso contattare Al?”. La ragazza annuì e cominciò a dettarglielo, mentre Ed riprendeva a digitare.
“… 07, ecco”, sentì squillare e l’ansia che suo fratello non rispondesse gli morse il cuore. Per cosa era tornato, alla fine? Per vedere Mustang ridotto a un microbo senza possibilità di cambiare il futuro di questo Paese? Per vedere suo fratello scomparire dall’altra parte senza che lui potesse fare niente? Dannazione… si stava pentendo, sì, era innegabile. Come poteva non pentirsi di star rischiando d’aver lasciato eternamente Roy per niente? 
“Pronto?”. ... grazie.
“AL!” gridò, gioioso.
“… f-fratellone? Fratellone?! FRATELLONE, SEI TU?!”. Sentì la risata non metallica di Alphonse ed Edward scivolò piano contro il muro, per sedersi un istante sul pavimento e prendere fiato.
“Sì, Al, sono io. Sono tornato a casa…”.




Note:
* Buongiorno, tesoruccio;
** Buongiorno, vecchia borsa chiacchierona (è un bonario dispregiativo tedesco).

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Capitolo 2
*** Come And Sit By Me. ***


Grazie di cuore a tutti coloro che hanno commentato e a chi ha inserito la mia storia nelle seguite.
Vorrei dire solo una cosa: anche a me piace aprire EFP, andare nel mio fandom preferito e trovare una fanfiction nuova, appena pubblicata, magari piacevole. Se decido di leggerla, poi la commento. Per principio e perché essendo anche io un'autrice so esattamente quanti sacrifici e fatica ci sono dietro quelle tre o quattro paginette di Word. Non voglio costringervi a commentare la mia storia, né a lasciarmi commenti pieni di lodi. Però inserendo la storia tra le seguite mi dite che vi interessa ciò che scrivo e che lo trovate bello. E' così terribile e faticoso dedicare cinque minuti della propria vita a esprimere la propria opinione per qualcosa che, evidentemente, ci ha dilettati? =)
Grazie per l'attenzione, buona lettura e viva ciò che ci fa felici.

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Too Much Love Will Kill You
Capitolo 2: Come And Sit By Me





Dopo una lunga telefonata col suo adorato fratello ritrovato, Edward avrebbe voluto prendere il primo treno per East City, ma Winry insisté nel trattenerlo a pranzo. Ed sapeva d’averla ferita e che il loro rapporto, ora irrimediabilmente incrinato, sarebbe andato in rovina sempre di più, giorno dopo giorno… ma che ci poteva fare? Chi meglio di lui sapeva che cosa poteva significare desiderare un amore impossibile e irraggiungibile?

In ogni caso, dopo un delizioso ma taciturno pasto, Edward lasciò Resembool, diretto a East City, che raggiunse a pomeriggio inoltrato, quando il sole stava quasi tramontando. Sul treno aveva riflettuto su molte cose, sui cambiamenti e sulle possibilità di modifica di questo mondo. Anche sul fatto che evidentemente avrebbe dovuto trovarsi un nuovo meccanico per gli auto-mail.
Ma, a parte questo, quando arrivò lì in città si ritrovò a combattere con una temperatura più calda di quanto si ricordasse: possibile che anche il clima fosse cambiato in quattro anni? Incredibile.

Alla stazione, Edward inizialmente e per istinto non poté che cercare con lo sguardo un’armatura. D’altronde, era questo l’ultimo ricordo che aveva del suo fratellino ed era per non ricordaselo più così, pensandoci bene, che era finito a Monaco.  
Allora cominciò ad andare a caccia, col cuore che gli faceva le capriole, di un ragazzo biondo dagli occhi verde oliva, magari alto, in forma e dal cipiglio gentile, ma brillante.
“FRATELLONE!” la sua voce. Quella no, non se la poteva certo scordare, armatura, cemento o carne che la riproducesse. Si girò lentamente, come se la pellicola della sua vita si fosse inceppata, per poi riprendere a funzionare solo quando il suo unico fratello gli si fosse gettato addosso.
“Oh, Al! Al! Al! Al!” si strinsero, testa contro testa. Ed pensò che Al era davvero tanto caldo e che aveva dimenticato quanto fosse bello abbracciarlo.
“Nii-san… dove sei stato?! Io.. ti ho cercato per tutta Amestris! Sono andato anche all’estero! Ho pensato persino che fossi morto, perché... non potevi aver fatto un'altra trasmutazione umana...”. Ed lo fissò e sorrise, stanco a causa del viaggio – dimensionale e territoriale.
“Posso spiegarti tutto più tardi? Ho davvero bisogno di rivedere prima gli altri… andiamo al Quartier Generale?” disse, con una punta d’entusiasmo nella voce e gli occhi che si stavano illuminando all’idea di rivedere tutto il resto della squadra. Tuttavia, la gioia durò ben poco, perché vide Al incupirsi. “Che c’è, Al?!” esclamò, preoccupato.
“Nii-san, vieni: andiamo in albergo. Hai bisogno di stare in un posto quiete prima che ti spieghi tutto quanto”. Ed sussultò visibilmente e le parole di quel Ramset gli ritornarono in mente. "Dopo la rivoluzione".
"D'accordo...".
Tornarono all'albergo dove Al alloggiava e per prima cosa ordinarono un sacco di dolci col servizio in camera, dopodiché, seduti entrambi sul letto matrimoniale al centro della stanza, si guardarono bene negli occhi.

Da dove posso cominciare, Nii-san..." sospirò, Al. "Dopo il colpo di stato e dopo quello che successe a noi - di cui non c'è bisogno di parlare ancora -, la squadra del Colonnello Mustang è andata in frantumi. Breda, Falman e Fury si sono ritirati a vita privata, Havoc ha chiesto trasferimento a South City, il Tenente Hawkeye ora prepara i tiratori scelti all’Accademia e… “
“E Mustang?” chiese, ansioso.
“Mustang, dopo aver eliminato Bradley, aveva due scelte: essere processato alla Corte Marziale e arrestato per omicidio oppure chiudere il becco, lasciarsi confinare a Nord in una baita sperduta ed essere degradato a Caporale”.
“Non posso crederci” aveva l’amaro in bocca, Edward. “Roy Mustang ridotto a un misero soldato semplice…”. Al lo guardò dispiaciuto, e mentre Ed si teneva la testa con una mano, arrivò il servizio in camera. Rimasto Acciaio sul letto, fu Alphonse a ritirare i dolciumi e a portarli da lui.
Mentre serviva i vari piatti, Al riprese a parlare: “La cosa peggiore è che non ha mai voluto parlare con nessuno” offrì un cucchiaino al fratello “Infatti, Havoc ci ha provato ad andare a trovarlo… ma Mustang, così mi ha detto, lo ha mandato via” e mangiò un bel boccone di gelato. “Il Sottotenente, al tempo, mi disse che secondo lui… beh,” sorrise un po’ bonario “che secondo lui Mustang aspettava che tornassi tu”. Edward non rispose, facendo finta di essere troppo impegnato a mangiare. Poi il fratello più piccolo spezzò nuovamente il ghiaccio.
“Ora tocca a te, fratellone”. Ed smise di mangiare e lo guardò, sorridendo amaro. Prese un profondo respiro e cominciò a raccontare.
“Sono finito in universo parallelo, Al” la coppetta di gelato al cioccolato del fratello cadde sulle lenzuola, macchiandole. “Quando ti ho ridato il corpo, io volevo sacrificarmi, ma invece mi sono ritrovato a  scoprire che Amestris è collegata con un mondo del tutto similare, dove per ogni persona che abita in un mondo è molto probabile che da qualche parte nell’altro vi sia una persona dall’aspetto identico. Ho incontrato tanti nostri compagni nel paese dove mi sono ritrovato, la Germania, e primo fra tutti tu. Vivevo in una città chiamata Monaco e per i primi anni ho viaggiato molto, andando anche oltre i confini, in enormi città come Parigi, in Francia. Lo so, è difficile da credersi, ma è la verità”. Sbuffò, mandando giù un boccone di torta. Appoggiò il capo alla testiera del letto e continuò a raccontare, più come se stesse parlando da solo che con Al. “In quel mondo, ti chiamavi Alfons Heiderich, uno studioso di meccanica. L’unica differenza fra di voi era il colore degli occhi: lui li aveva azzurrissimi…” fu dura nascondere la nostalgia, e infatti non ci riuscì. “Vissi con lui per circa un anno, ma purtroppo… purtroppo era gravemente malato e morì ben presto”. Si alzò dal letto, con le viscere che si contorcevano a quei ricordi. Suo fratello sembrava quasi non fiatare per quanto doveva essere scioccato dal racconto. A Ed non importò, preferì piuttosto continuare col proprio narrare. “Dopo la sua morte, la mia vita peggiorò. Ero distrutto e senza il minimo coraggio di continuare a studiare per tornare a casa. Passavo molto del mio tempo nel bar sotto il mio appartamento, vicino al negozio di fiori della signora Glacier…”.
“La moglie del signor Hughes?!”. Ed annuì, un po’ contrito.
“In quel mondo non erano sposati, anzi. La signora Glacier molto spesso non poteva soffrire Hughes, specie perché… beh, lui era davvero diverso da com’era qui”. Risparmiò al fratello i discorsi sul nazismo e sulle guerre che la Germania aveva affrontato. “Ho incontrato anche una ragazza molto simile a Rose di Reole, Noa, anche un tabaccaio di nome Jean Heavok. A Parigi, poi, una fornaia di nome Riza e di nuovo a Monaco, poi, un insegnante di lingue antiche – qui non ne abbiamo di simili -, di nome Roy Mustang”. Un bagliore negli occhi che Al non notò. “Comunque, stavo dicendo” riprese il filo “passavo molto del mio tempo nel bar sotto casa e fu lì che incontrai il Professor Mustang. Diventammo amici e grazie a lui ripresi la voglia di riprovarci. Fine”, tagliò corto e questo sì, questo Al lo notò. Ma non domandò oltre.
“E come… come hai fatto a riaprire… il portale, ecco”. Ed si girò e lo guardò serio.
“Ho sacrificato la mia alchimia”. Fu come se una bomba fosse scoppiata in stanza. “Non potrò più usare l’alchimia… e non mi dispiace, a dirla tutta”. Anche ‘stavolta evitò di dire al fratello che la loro possibilità di usare l’alchimia era dipesa da tutte le persone che morivano dall’altra parte. “Era l’unico modo per pagare un prezzo così alto…”. Tornò sul letto e ricominciò a mangiare. L’aria si distese e divenne più serena quando Al cominciò a raccontargli tutto ciò che gli veniva in mente, dalle sue scoperte a come la maestra Izumi lo avesse addestrato nuovamente partendo dall'inizio. Finirono in breve tempo i dolci e quando accumularono i piatti sporchi su un tavolino, Ed si girò all’improvviso e lo guardò.
“Alphonse…”.
“Sì, Nii-san?”.
“Hai detto che secondo Havoc il Colonnello sta aspettando che ritorni io per riprendere a lottare…”.
“Sì, esatto”. Acciaio si girò e l’ardore di un tempo apparve nei suoi occhi.
“Riporterò Mustang qui”. 

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Capitolo 3
*** You Waited Long Enough. ***


Grazie a tutti coloro che mi hanno lasciato tanti bei commenti, in particolare a Child Of Bodom, che è sempre dolcissimo con me. :)
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Too Much Love Will Kill You
Capitolo 3: You Waited Long Enough

“Fratellone, sei sicuro di volerci andare da solo?”. Disse Al, seduto di fronte a Edward, che tornato in una mise di pelle nera più consona alla sua persona, lucidava i nuovi auto-mail d’assetto invernale comprati e montati da poco a Rush Valley. Sul treno di ritorno a East City, Ed sembrava più essersi preparato per la guerra che per andare a recuperare Roy. Certo, se solo Al avesse saputo, avrebbe capito che per suo fratello andare in guerra sarebbe stata una passeggiata in confronto, ma questa era un’altra storia.
“No, Al, te l’ho detto. E’ una cosa che riguarda solo me. E poi ci metterò poco, te lo prometto, dovesse anche chiedermi in ginocchio di lasciarlo marcire lì, me lo trascinerò dietro!”. Mise via la stoffa con cui stava pulendo il braccio e osservò la mano scintillante, sorridendo. Si aggiustò poi la coda di cavallo e con lo sguardo brillante fissò il fratello. “Tu devi solo pensare a riunire tutta la squadra, capito?” e guardò fuori dal finestrino. “Bene, stiamo per arrivare… Al, non tornerò in albergo, prenderò direttamente il primo treno disponibile” avvisò. Entrambi si alzarono, raccogliendo i bagagli e quando il treno si fermò definitivamente, scesero, per poi separarsi con qualche raccomandazione. “Mi raccomando, Nii-san! Sta’ attento!”, ma Ed era già in cammino verso l’altro binario.
Doveva ammetterlo, distrarsi non sembrava essere così difficile. Bastava tenere la mente occupata e fissare il vuoto il più possibile. Facile, no? Però – e c’era sempre un però –, non aveva ancora fatto i conti con la sua coscienza notturna e né con il rivedere l’amore di una vita.
Senza pensieri, Edward prese il secondo treno dopo circa un’ora. Stravaccato nella cabina prenotata, le palpebre gli si chiusero contro la sua volontà e finì nel mondo dei sogni.

“Roy, ti ho mai detto che insegni delle lingue inutili?”. Il tedesco lo guardò piccato.
“Il fatto che tu non riesca a capirle non significa che siano inutili, solo che tu sei stupido. Tsk”.
“Eppure il tedesco l’ho imparato come niente!”.
“Pffff, è più facile di quanto si creda! E poi il latino e il greco non sono lingue per tutti, mi dispiace” affermò, imboccandolo con la torta di mele.
“E meno male!” bofonchiò, sputacchiando un po’ di cibo e facendo alzare gli occhi al cielo all’altro. Inghiottì il boccone e tornò a sproloquiare parlare
: “Pensa se tutti parlassero come quei matti dei greci! Bah!”. Roy scosse il capo, scandalizzato. Era incredibile quanto quel ragazzo fosse testardo… e pure ignorante.
“Comunque… continuo a non capire come, da dove vieni tu, nessuno conosca questi popoli. Avete mica una storia diversa?” scherzò, imboccando ancora Ed, che masticò energico, rimanendo in una calma inquietante, carica di parole mai dette.
“Roy?”
“Sì?”
“Se io ti dicessi che vengo da un altro mondo mi crederesti?”. Roy lasciò il cucchiaino nel piatto e lo fissò serio.
“Ed, non esistono i mondi paralleli. Credo tu abbia passato troppo tempo con quel Fritz Lang, sai? Secondo me quello non ci sta con la testa, dai”. Ed sospirò.
“Sì, ma se io… se io ti dicessi che invece un  mondo parallelo esiste, dove c’è un Roy Mustang tale e quale a te, ma con peculiarità sottilmente diverse… mi crederesti?”. Rimasero in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri, sino a quando Ed non smosse la situazione.
“Non mi rispondi?”. Roy riprese il cucchiaino e lo imboccò, come per farlo star zitto.
“Talvolta il silenzio del saggio vale più del ragionamento del filosofo: è una lezione per gli impertinenti e una punizione per i colpevoli, Edward” e guardò fuori dalla finestra, per evitare gli occhi del suo amato e pazzo compagno.
“Roy?”
“Sì?”
“Io vengo da un altro mondo che è parallelo a questo. Si chiama Amestris e lì esiste qualcosa che per voi è pura magia, ma che noi conosciamo come alchimia. Sfrutta vari principi, fra cui lo Scambio Equivalente, ed è a causa di quest’ultimo, che dopo una serie di folli peripezie, ho dovuto sacrificare il mio corpo per salvare la vita a mio fratello. Sarei dovuto morire, ma invece sono passato oltre il Portale e sono finito qui” spiegò, sicuro di sé. Roy si alzò dal bordo del letto e lasciò il piattino e la forchetta sullo scrittoio, mentre Edward riprendeva. “Contro la mia volontà, ho conosciuto gli alter ego di coloro che erano i miei amici, compreso te, ovviamente, che lì eri il mio superiore”. Roy si tolse le scarpe e si slacciò la camicia, facendo finta che Ed non stesse nemmeno parlando. “Alfons, il ragazzo con cui vivevo prima, era l’alterego di mio fratello e anche se ormai sono passati quattro anni da quando sono qui, sto ancora disperatamente cercando il modo di tornare a casa!” esclamò, sempre grondante di un’immensa speranza. “Io… Roy, dannazione, mi vuoi ascoltare?!”. Il moro smise di vestirsi e si girò a guardarlo.
“Cosa dovrei fare Edward? Tu mi stai parlando di una cosa totalmente assurda… mi stai dicendo che sei praticamente… non lo so, un essere sconosciuto, che non appartiene alla mia dimensione! Che cosa vuoi che ti dica? Bravo?!” sbottò, scocciato. “Io… non ne voglio sapere niente” ammise. “Voglio rimanerne all’oscuro. Io sono un uomo del mio tempo, Ed, non posso andare più in là di così. Ho dovuto accettare i tuoi pazzeschi arti meccanici, ho dovuto accettare di non comprendere i tuoi strani studi, Ed, ora fa’ tu per me una cosa: promettimi che non tornerai indietro e che non me ne parlerai mai più”.

Tutum.
Edward si svegliò di soprassalto per uno scossone del treno e guardandosi sperduto intorno alla ricerca di Roy, trovò solo una vecchietta che lo osservava incuriosita. Si pulì col dorso della mano sinistra la piccola scia di bava e appoggiò la fronte al finestrino, guardando il paesaggio. Si trovavano già in un territorio innevato… chissà quanto aveva dormito. Cercò di trovare il sole e di vedere quanto fosse alto, ma i nuvoloni glielo impedirono. Comunque, era certo che dovevano essere già nel primo pomeriggio data la fame che sentiva e decise così di andare nel vagone ristorante a mangiare qualcosa.
Poco dopo aver finito il pranzo, si rese conto che erano quasi arrivati e si sbrigò a tornare in cabina a indossare il pesante cappotto imbottito, i guanti e una sciarpa calda, per avviarsi così armato di bagaglio all’uscita.

Una volta sceso dal treno, i primi fiocchi di neve cominciarono a scendere e s’affrettò non poco, allora, ad andare a lasciare la valigia nell’albergo prenotato. Sbrigate le pratiche per la consegna della stanza, Ed sembrò intenzionato a incamminarsi subito sulla montagna per raggiungere la baita del Colonnello, ma l’albergatore glielo sconsigliò.
“Ragazzo, è una follia! Sta arrivando una tempesta! Rimani qui e non uscire o potresti anche non tornare più!”. Per un istante l’ex alchimista sembrò pensarci sul serio, poi fece no con la testa. Era sopravvissuto per anni al clima freddissimo della Germania e aveva passato anche due settimane nella gelida Mosca: non solo poteva, ma doveva andare alla baita.

Bene, non era così facile come credeva. Il vento era fortissimo, tagliente e nonostante gli automail ora fossero più leggeri, erano comunque un grande intralcio. Incrociò le braccia, per stringersi di più il cappotto. Il freddo era tremendo, ma quando alzò per un istante la testa, quel che vide nello scorcio di un istante, quella specie di macchia marrone, lo inondò di un estemporaneo e improvviso calore. Legno. Avanzò verso ciò che gli era parso di vedere ed ebbe conferma dell’apparizione: aveva raggiunto Mustang. Accelerò il passo, saltando sulla neve e si precipitò alla porta, prendendola a pugni. Nessuno gli rispose. Provò ad aprire e notò che non era chiusa a chiave, così entrò, chiudendo la porta. Fu investito dal leggero tepore di un fuoco mezzo spento e togliendosi la giacca, scosse il capo per liberarsi dalla neve. Avanzò nel minuscolo ingresso e chiamò, piano, per istinto più che altro, il Colonnello per nome.
“Roy?” se ne pentì molto, ma poi continuò, optando per qualcosa di più neutro. “C’è nessuno?”. Si guardò in giro cautamente, osservando l’ambiente. Non c’era arredamento. Qualche sedia, un tavolo, un letto oltre il caminetto e due piccoli stanzini, probabilmente cucina e bagno. Fu da uno di questi due che Mustang apparve.
“Acciaio!” lo stupore era tale che sembrò quasi rimbalzare fra le pareti. Edward lo fissò, altrettanto scioccato, mentre il suo sguardo era inchiodato sulla grossa benda nera che gli copriva parte del viso.
“Colonnello” lo salutò, sulla difensiva. Era spaventoso e terrificante guardare la fotocopia dell’uomo che aveva tanto amato senza un occhio e senza la possibilità di poterlo anche solo chiamare per nome.
“Non sono più un Colonnello, Acciaio” corresse, visibilmente amareggiato.
“E io non sono più Acciaio, Colonnello Mustang” ribatté, più orgoglioso. Rimasero in silenzio a fissarsi e l’unico occhio di Roy, brillante di pura e semplice felicità, sembrava illuminare la stanza come le languide fiamme del camino non riuscivano a fare. Come se fosse, dopo tanti tentativi, ripartita quella macchina il cui motore lo aveva abbandonato lungo la strada.
“Non sei cambiato. A parte il fatto che sei diventato più alto…” e gli si avvicinò, per rapportare la sua nuova statura alla propria. La differenza non era più molta, ormai.
“Vorrei dire la stessa cosa di lei, ma vedo che invece ha deciso di darsi alla pirateria” lo prese in giro e con un cenno del capo indicò la sua benda. Roy sbuffò – come faceva sempre anche un altro stupido.
“Fullmetal, chiudi il becco e dimmi che razza di fine hai fatto per tutto questo tempo!” abbaiò e gli offrì un posto vicino al fuoco.
“E’ una storia lunga” rifiutò la sedia e si piazzò davanti a lui “che verrà dopo”.
“E prima che succede?” domandò, curioso.
“Succede che mi deve spiegare per quale motivo ha abbassato la testa ed è scappato qui, come un coniglio, come il più viscido degli homunculus!” lo afferrò per il colletto, irruento come fosse ancora il sedicenne di un tempo. “Ha lasciato tutto, mandando all’aria anni e anni di sacrifici! E per cosa? Per paura di uno stupido giudizio della Corte Marziale?! Non ha mai pensato che il suo sogno potesse essere anche quello di qualcun altro?!”. Roy si beò di quegli scintillanti occhi dorati per cui tanto aveva sofferto.
“Mi avrebbero accusato di omicidio… stavo rischiando la pena di morte, Edward”.
“E allora?! Da quando Roy Mustang ha paura della morte? Da quando ha paura di qualche vecchio bacucco capace di star solo seduto dietro a un tribun-…” non parlò più, Ed. Fu Roy a prender parola, a cambiare le carte in tavola – o forse a mettercele –, perché lo baciò. Il maggiore degli Elric aveva pensato a tutto, davvero, a ogni cosa, ogni evenienza, era preparato anche a combatterci, con Mustang. Ma non era preparato a dover ricevere il suo amore. Di nuovo.
“Ed, perdonami. Non avrei dovuto, è stato uno stupido cedimento, fingi che non sia successo nulla, ti prego” agitava le mani, preoccupato d’aver rovinato tutto con quello stupido, stupido bacio! Forse un po’ meno sconsiderato di quello che però ora era Ed a dargli.
L’intero universo, allora, sembrò piegarsi nel suo punto più accecante, ovvero su quei due corpi avvinghiati, simbolo di un’apocalisse che diventa mistica redenzione e di un processo d’autodistruzione che significa libertà.

“Lieber*, hai mai pensato a quanto incredibilmente importanti siano le parole? Solo a seconda di come le si usa si possono creare infinite combinazioni e possibilità. Se poi si aggiunge la variabile del quando e con chi, diventa impossibile calcolarne l’effettiva potenza” mormorò un affascinante professore di Letteratura Anticaria vicino a un giovane scienziato mentre erano intenti a guardare le stelle. “Le parole sono di chi ha il coraggio di prendersene la responsabilità”.
“Non c’è bisogno di pensarci. Tutti lo sanno” biascicò distratto l’altro.
“Ma dare per scontato qualcosa è il modo migliore per perderla di vista. In questo caso, perderne di vista l’importanza”. Ed lo guardò annoiato.
“Ma devi sempre fare di ogni cosa un trattato filosofico?”
“Ed, insomma! Io sono qui, faccio parte di questo mondo! E’ mio dovere partecipare, anche solo con la mia testa, a questo grande, enorme flusso che è l’intera terrena umanità! Non voglio essere un dannato ignavo!”. Edward lo guardò e decise che forse era pronto. Prese un gran respiro, pronto a dire la più grande di tutte le eterne verità.
“Uno è tutto, tutto è uno, Roy”. Il moro si girò, perplesso.
“Cosa?”
“Tu sei tu, ma sei anche il tutto. Senza di te, il tutto non esiste. E senza quello che tu chiami grande flusso, non esisti tu”.
“Meraviglioso… dove hai sentito questa frase? Di chi è quest’aforisma? O è di tua impronta? Sembra riassumere il mio dilemma!” l’anima da insegnante si ravvivò, pronta a investigare ogni cosa. Edward ne rise, un po’ divertito.
“E’ solo un detto popolare molto famoso dalle mie parti”.

Dopo la tempesta, e si parla sia di quell’esterna che di quell’interna alla piccola casa, su quello stesso letto adesso c’era qualcosa di peccaminoso quanto celeste nei fiati e nei sudori mescolati.
“Ed…” ansimò, stringendo il compagno tremante. “Io ti…”
“Non dirlo, ti prego! Ti prego, non dirlo…” si staccò da lui, mentre gli occhi felini terrorizzati e i capelli disordinati e bagnati dal sudore gli davano un’aria quasi folle. “Tu non sai la verità ancora, perciò non dirlo! Le parole hanno un peso troppo, troppo grande”. L’ex Colonnello era senza fiato.
“Ed, ti ascolto. Ti ho aspettato quattro anni, ti aspetterò per altri quattro minuti”.
Hai aspettato abbastanza, Roy.  Devi sapere” e gli argini del fiume si ruppero. Gli raccontò ogni cosa, dai viaggi in Francia alla convivenza con Alfons, dalla sua morte all’incontro col suo alterego. Roy rimase sobriamente in silenzio, rispettoso di qualcosa che scindeva da lui e da chiunque esistesse qui ad Amestris. Mai sforare in questioni che non ci riguardano.
La lunga serie di aneddoti non finì tanto presto, a dire il vero, ma quando Ed finì fiato, parole e forze, Roy gli fece una carezza, in cui rinchiuse tutto quello che Acciaio voleva sentirsi dire. Poi il peso delle parole fece il resto.
“Ti amo, Ed.
In qualunque dimensione tu possa scappare”.



Note:

*Lieber: caro. Ha più o meno lo stesso significato di 'Dear' in inglese, ma lo si trova anche nella nostra accezione di 'Amore mio'.

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Capitolo 4
*** Sometimes They Come Back. ***


Vi ringrazio moltissimo per le recensioni e i complimenti. Spero che questo capitolo vi piaccia, anche se è quello che ho odiato di più, devo ammetterlo. E' il più contorto e forse fa un po' acqua da tutte le parti. (?) Me lo saprete dire meglio voi. :) 

N.B. Questo capitolo in particolare lo vorrei dedicare a Child of Bodom, dato il discorso che farà l'Alter Roy sul nulla. LOL
Spero recensirete in molti! Buona lettura.

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Too Much Love Will Kill You
Capitolo 4: Sometimes they come back






Di ritorno a East City, Roy si sentiva come uno scolaretto il primo giorno di scuola piuttosto che un fiero soldato.
“Roy, perché non ti dai una calmata?” propose il biondo. “Mi metti ansia!".
Mustang sospirò. "Hai ragione. E' che... ora sto pensando che non so nemmeno dove andare ora. Non ho più il mio lavoro, non ho più i miei obiettivi, non ho... niente".
"Io mi chiamo Edward, non niente, stupido Colonnello!" e gli lanciò un'occhiataccia, un po' ferito, prima di alzarsi e di uscire dallo scompartimento per sbollire i nervi. Mustang rimase da solo, allora, e demoralizzato si domandò se stesse facendo la cosa giusta. Tornare a casa con Edward era un sogno che diventava realtà.. Tuttavia era ben conscio del fatto che una volta tornato, niente sarebbe stato come prima. Non era più un soldato, non era più un alchimista, non era più l’uomo d'un tempo e forse non sarebbe mai nemmeno riuscito a recuperare ciò che aveva perso. Era rimasto in attesa per così tanto tempo che ora si sentiva quasi disintegrato. Aveva amato Ed per tutto quel tempo e ora che lo aveva con sé non riusciva ad approfittarne. Perché?
In quel momento Edward rientrò nello scompartimento.
“Fullmetal?”
“Mh?”
“Ora che hai recuperato il corpo di Al, ora che sei tornato a casa e che hai realizzato tutto ciò che ti eri prefissato… che cosa farai?”.

Tutum. Tututum. Tutum. Tututum.
“Nulla”. Roy rimase di sasso, ma accettò la risposta. Avvicinò la mano a quella di Ed e gliela strinse, fondendo la sua pelle bianca al grigio e freddo metallo dell’automail.
“Ma, Ed… non esiste il nulla”.

“Ancora stupidi e maledetti tentativi di colpi di stato. Questi cavolo di nazisti…” gettò il giornale sul tavolo, preferendo la colazione ai fattacci di una Germania in declino.
“Secondo me ignorandoli si fa prima. Se nessuno dà loro importanza, spariranno, vedrai. Di idioti ce ne sono tanti, al mondo, il problema è se prendono potere” bofonchiò Ed fra biscotti e un po’ di caffè.
Dici?” cercò conferma il preoccupato professore.
“Dico. Alla fine che cosa sono, questi nazisti? Nulla!”. Roy smise di mangiare e prese la solita aria da pensatore incompreso.
“Ed, non esiste il nulla”.
“Come non esiste?”
“Ogni cosa è qualche cosa. Niente non può essere niente, capisci?”.
“A dire il vero no” sbatté le palpebre, ingenuamente confuso. Roy scoppiò a ridere e gli diede un dolce bacio.
“Ah, sei adorabile, Ed” sorrise e si alzò da tavola, con un pezzo di pane e marmellata in bocca. “Un giorno capirai” e datogli un bacio sul capo uscì per andare a scuola.

Tutum.
“Ed?” lo chiamò ancora una volta.
“Mh?”.
“Cosa potrei fare oltre il soldato, secondo te?” appoggiò la testa alla sua. “Devo ritrovare uno scopo, no?”.
“Potresti fare il professore” Roy sorrise e chiuse l’unico occhio, cercando di far pace con se stesso.
“Sì, in un’altra vita, magari” rispose e anche Edward sorrise, senz’altro più divertito.


Quando arrivarono in stazione faceva davvero caldo e il sole picchiava sulle teste così forte che si poteva anche vedere in giro qualche signora snob col proprio ombrellino in pizzo.
“Vieni, è qui vicino l’albergo”. Roy annuì e lo seguì, col suo andamento marziale mai perduto del tutto.
“Lo sai, Roy… non è ancora detto che tu non possa riacquistare il prestigio di prima… intendo, nell’ambito militare” cominciò a dire soprapensiero.
“In che senso? Intendi ricominciare tutto daccapo come Caporale?”.
“No, intendo rifacendo l'esame da alchimista" buttò lì, e si fermò di fronte a una piccola villetta. 
"Dove siamo? Credevo andassimo in albergo..."
“Tutti hanno bisogno di una casa in cui tornare” entrò nel vialetto, lasciandolo indietro. Aprì la porta e lo invitò a entrare con un cenno del capo. “Vieni?”
Forse s’era perso qualche passaggio, ma Roy davvero non capiva. Di chi era quella casa? Cosa ci dovevano fare lì?
Lo seguì all’interno, anche incuriosito, e vi trovò gli amici di una vita tutti raccolti insieme. C’erano persino Glacier ed Elycia.
“Oh… io, non so che dire, ragazzi…”. Riza gli si avvicinò e gli buttò le braccia al collo, forte.
“Colonnello Mustang…”
“Chiamami Roy, Riza”
“Nossignore. Lei sarà sempre il mio superiore, l’uomo da seguire ciecamente a ogni costo, l’uomo dagli ideali e i sogni giusti”. Si staccò da lui e gli fece il saluto. Tutti gli altri la imitarono, anche chi nell’esercito non c’era più.
“Ricominci, Taisa!” esclamarono, tutti insieme, all’unisono. Roy si domandò quante volte l’avessero provata, quella scena, fra quell’idiota di Breda e il trasognato Havoc. A dire il vero, non aveva molta importanza quanto e se la cosa era stata preparata. Ciò che importava era che, se ne fosse stato ancora capace, avrebbe versato molte lacrime.
Roy li guardò a uno a uno, poi guardò Ed e si rese conto che quello stupido ragazzino era diventato l’unico uomo su cui potesse contare e senza il quale la propria vita non avrebbe avuto alcun senso. Successivamente vi fu  un momento tremendamente commovente, perché ciascuno raccontò agli altri cosa in quei quattro anni era accaduto. La maggior parte dei racconti, fra l’altro, erano incredibili: Havoc si era persino sposato e stava per diventare padre, Breda aveva aperto un ristorante tutto suo, Falman aveva sposato Sheska e Fury – che dopo tutto quel tempo continuava ad avere il viso di un bambino delle elementari – inventava giochi, Riza era diventata un’insegnante all’Accademia Militare, una preparatrice di cecchini.
Sembravano tutti essere andati avanti e quando Ed e Roy furono rimasti soli, Mustang aveva tante domande.
“Ed… ma questa casa, di chi è?”
“E’ tua, Roy. L’ho comprata per te. Volevo che avessi un posto in cui tornare, un posto dove ricominciare a costruire pezzo per pezzo tutto ciò che è crollato”. In un istante Edward si ritrovò stretto in un soffocante abbraccio sulle gambe di Mustang.
“Grazie” disse al suo orecchio. “Non ti assicuro che sopravvivrò al passato, ma nemmeno che soccomberò”. Ed gli accarezzò la fronte, scostandogli i capelli.
“Roy, il passato può fare male. Ma dal passato puoi scappare, oppure imparare qualcosa. So che sceglierai l’opzione più corretta” si alzò dalle sue gambe e raccolse il cappotto.
“Ma come… non rimani qui? Pensavo che dormissi con me, ‘stanotte” brontolò, desideroso d’attenzioni amorose.
“Non ho avvertito, Al, Roy. E poi credo tu abbia bisogno di adattarti prima da solo a tutto ciò. Io verrò dopo”. Il moro si alzò e imperante lo guardò un po’ irritato.
“Eh, no, eh! Non ci provare! Abbiamo cominciato questa cosa insieme e la finiremo insieme! Non puoi lasciarmi!”.
“Roy…” lo chiamò, pacato.
“No, io non lo accetto! Insomma, ti ho aspettato per quattro anni, ora posso chiedere d’averti tutto per me?”
“Roy…” riprovò.
“Che ci sarebbe di male, infondo?”
“ROY” sbraitò e Mustang trasalì, sintonizzandosi nuovamente sulla stessa frequenza d’onda di Edward. “Sta’ tranquillo, va bene?” gli si avvicinò, baciandolo. “Io non ti lascio” e, tanto per rafforzare il concetto delle sue parole, uscì dalla casa, piantandolo lì da solo.


Dopo aver atteso per mesi di poter fare l’esame da alchimista di stato e occupato il tempo vedendo Edward, uscendoci e facendoci l’amore ogni momento possibile, Roy, tornato Maggiore, si fece varie domande, da scienziato qual era, sul passaggio di Ed da una dimensione all’altra.
Per un motivo, per l’altro, perché aveva voglia di cambiare aria e perché Edward non riusciva a dirgli di no, Roy si ritrovò col biondino a Resembool, esattamente sulla collina dove Ed era apparso quasi tre mesi prima.
“E quindi, alterando la grafica del cerchio alchemico, sei riuscito a capire che era possibile impostare come delle coordinate?”.
“Esatto, Colonnello”.
“Ingegnoso. E questo lo hai scoperto com…” a nessuno piace essere interrotto e di solito si cerca di evitarlo. In questo caso, quando un uomo apparso dal nulla più assoluto si schiantò su di loro, fu inevitabile impedirlo. Allora, tre uomini adulti si ritrovarono per terra.
“Ma che diavolo!” Edward sgusciò via e si alzò, rapido, mettendosi in posizione da combattimento. Ansimava ed era spaventato, come Roy, d’altronde, che aveva tirato fuori i guanti e mirava contro l’uomo che giaceva a pancia in giù. Quando quest’ultimo cominciò ad alzarsi sembrava davvero dolorante e acquistò a fatica un po’ d’equilibrio. Sfortunatamente, una volta che l’ebbe acquistato, fu Ed a perdere l’equilibrio e a cadere indietro per lo shock.
“No… no… no…” gli occhi dorati si riempirono di lacrime. “Non è possibile…”.
L'Alter Roy svettava di fronte a Ed, agguerrito e pronto a riprenderselo a qualsiasi costo.

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Capitolo 5
*** Too Much Love Will Kil You, In The End. ***


Grazie a tutti coloro che sono arrivati fino a quest'ultimo capitolo. A chi ha commentato e anche a chi ha letto il mio lavoro in silenzio.
Grazie di cuore, davvero. Spero che quest'ultimo capitolo sia di vostro gradimento tanto quanto gli altri e che questa storia vi abbia lasciato qualcosa nel cuore. Il mio compito e desiderio è sempre stato questo.
Molto presto tornerò con una nuova fan-fiction, una one-shot. Spero che ognuno di voi sarà lì a darmi il proprio parere. Non vedo l'ora che succeda.
Detto questo, buona lettura. E arrivederci.


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Too Much Love Will Kill You
Capitolo 5: Too Much Love Will Kill You,
in the end. 




Edward si alzò di scatto e gli corse incontro, tirandogli un ceffone.

“WAS HAST DU GEMACHT?! * ” le lacrime gli rigarono il viso e fra di loro cominciò un’infuocata discussione in una lingua che Mustang – il soldato –, non conosceva. Le grida e gli spintoni si fermarono però piuttosto presto ed Ed si voltò verso l’altro Roy, quello rimasto in disparte, confuso e spaventato tanto quanto lui. Si voltò verso l’Alter Roy e asciugandosi le lacrime: “Kannst du english, ja?”
“Doch…” rispose lui, scocciato, con entrambe le guance arrossate a causa degli schiaffi ricevuti.
“Colonnello” cominciò “la nostra lingua, nel suo mondo, è conosciuta come inglese. Prima ne parlavamo un’altra” si mise la mano sul viso, pensando ad altro.”Ma non ha importanza, perché questo… questo idiota! Ha passato il Portale! E non so come abbia fatto e… e ora è un casino, perché non può tornare indietro!”.
“Io non tornerò indietro, infatti. Rimarrò qui con te. E anche volendo, non potrei farlo: sono ricercato, lì. Stanno arrestando tutti gli insegnanti e Hitler dopo Putsch sta organizzando un altro colpo di stato!” strinse i pugni “Ho perso tutto. La mia casa, il mio lavoro, i miei alunni, i miei libri, l’uomo che amavo… lì non ci torno!” alzò di nuovo la voce, prendendo Ed per le spalle. “Perché te ne sei andato?! Non eri felice con me?! Potevi portarmi qui con te!”
“E come potevo, Roy?! Qui esiste già un Roy Mustang!”.
“Ah, giusto, il mio sostituto!” gridò, ferito.
“Non dire stupidaggini! Nessuno di voi due sostituisce qualcun altro. Siete diversi!”. Il Maggiore Mustang decise ancora per il rimanere in silenzio, mentre l’Alter Roy feriva sempre più Ed con le sue parole. “Allora puoi amarne solo uno, Edward”.
Entrambi i Roy lo circondarono e benché si trovassero in uno spazio naturale sconfinato all’inverosimile, Ed si sentì con le spalle al muro. Sentiva un’immaginaria forza prenderlo a pugni sulla cassa toracica e un’altra sensazione ancora che lottava dall’interno. Si strinse con le sue stesse braccia e pianse lacrime amare, lacrime di coccodrillo.
“Solo uno, Ed. Solo uno” riprese il tedesco. Il biondino fece qualche passo indietro, non sapendo che fare, come reagire o a chi chiedere aiuto. Per tutta la vita aveva affrontato situazioni impossibili, sconfitto nemici imbattibili ed era dovuto diventare uomo prima del tempo. Ora che invece quel tempo era arrivato, si ritrovava a essere un bambino impotente e incapace di scegliere fra due giocattoli. Scegliere, che brutta parola.
“Scegli, Ed. Scegli ora!”.
“Ed” lo chiamò il soldato. “Ed, ascolta… non esiste scelta che non comporti una perdita” gli disse, più calmo e pacato, più uomo, più leader, più giusto del suo sosia. “E non è possibile non scegliere. Certo, devi avere la forza di scegliere ciò che preferisci e di rimanere coerente attenendoti alla tua decisione, ma non stiamo parlando di oggetti, qui” guardò male il suo alterego, e in un altro momento Edward sarebbe scoppiato a ridere per la situazione paradossale. “Stiamo parlando di uomini, di esseri umani, di sentimenti. E siccome tutti hanno il potere di scegliere, io scelgo di ritirarmi”. A Ed sembrò di deglutire sabbia, più che saliva.
“Cosa?” boccheggiò, con il volto rigato e contrito.
“Io ti amo tanto quanto può amarti lui, ma dato che non puoi scegliere entrambi, faccio la cosa più giusta: lascio che almeno uno di noi due ti possa amare e rendere felice. Per ogni Roy Mustang ci sarà sempre un Edward Elric da amare. Per cui, va bene così.” si avvicinò a lui e gli asciugò le lacrime. “Vivi con lui. Qui a Resembool, magari, dove nessuno mi conosce e potrà disturbarvi. Vivi felice e innamorato, io posso… accettarlo” gli fece un’ultima carezza sulla guancia. “E perché no, anche continuare ad aspettarti, ma senza scappare dal mio sogno, che è anche il tuo”.
Il tedesco rimase muto e sporco di vergogna. Quello era l’altro uomo di cui Edward era innamorato. Un uomo più nobile di lui, un uomo capace di ritirarsi con maturità per far felice il proprio compagno. E lui invece che cos’aveva fatto oltre a piangere, a gridare e a pestare i piedi per riavere indietro Ed?
“Roy, no…”
“E’ giusto così, Fullmetal” e si staccò da lui, girandosi e tornando indietro sui propri passi, mentre il suo unico occhio cominciava a piangere le prime di mille altre lacrime. Intanto Edward era caduto in ginocchio e l’Alter Roy lo aveva raggiunto, cercando i suoi occhi, cercando conforto da qualcuno che di conforto non ne aveva più da offrire. Mai aveva compreso appieno la vita come in questo momento: per quanto un’ingiustizia sia relativamente facile da sopportare, quella che proprio brucia è la giustizia. Si voltò a guardare le spalle del suo sosia con quella divisa blu: alla vergogna per il caos causato, si aggiunse anche un pizzico d’orgoglio. Era evidente: da qualche parte, in qualche mondo, c’è sempre una versione buona di noi stessi.

Edward accettò con stoica rassegnazione di poter amare solo uno dei due e acquistò una minuscola casa a Resembool, dove vivere con il suo tedesco. Le giornate scorrevano abbastanza tranquille, persino felici. Ma qualcosa non andava in quel, per quanto adorabile, fittizio quadretto di campagna, e no, non era un problema di Ed, ma di Roy. La sua coscienza lo divorava lentamente e dolorosamente da dentro e la nostalgia della Germania era più forte di quanto anche solo avesse potuto immaginare. Più che per la patria, gli mancava quello che amava fare più di tutto: insegnare la cultura antica. E anche parlarne e studiarne ogni più piccolo dettaglio. Lì invece cos’aveva? Un compagno guadagnato dalla sofferenza di un altro se stesso, un posto totalmente diverso da casa sua e una vita in un mondo dove tutto quello che lui conosceva non era nemmeno mai accaduto. Paradossale: cercando una soluzione ai suoi problemi, aveva trovato solo un modo per aumentarli e aggravarli. E la cosa peggiore, era che non poteva tornare indietro.

Fu al tramonto, che Ed se ne accorse. Poco più di due ore prima Roy era andato a farsi un bagno caldo e solo dopo aver terminato di preparare la cena e di ritirare il bucato che si domandò che fine avesse mai fatto. Attraversò goffamente il corridoio per via del cesto di vestiti che aveva in braccio e bussò alla porta.
“Schatz? Ci sei morto lì?”. Nessuna risposta. “Roy? Guarda che sto entrando, eh, non farmi storie poi!” e girò la maniglia. Tempo dopo sarebbe anche arrivato a rimuginare per ore e ore a cosa sarebbe successo se solo avesse aperto prima quella porta. Ma si sa, l’istinto e la coscienza sono come quei congegni d’allarme che scattano per ogni cosa e col tempo, nessuno gli dà più retta.

Dovette anche far incidere un nome diverso sulla lapide: Marcus Tullius Cicero. Il suo stupido oratore preferito, ma un nome di fantasia qualsiasi per gli abitanti di questo mondo. Alla fine era rimasto coerente con le proprie antiquate idee. Si era persino ucciso come quel Seneca, tagliandosi le vene e immergendosi in una vasca d’acqua calda per favorire l’emorragia. Quasi teatrale, quasi da Annale.
Lasciò un mazzo di rose rosse dinnanzi a quella grigia pietra e se ne andò, diretto in stazione. Non c’erano più questioni in sospeso, ora, e la sua coscienza, ponte gettato fra passato e futuro, gli diceva che poteva anche fermarsi un attimo a dar vita a un presente migliore.

Toc toc.
Bussò con l’automail, così che si potesse sentire con chiarezza che era tornato. L’ingresso si aprì, ma di certo la bella donna bionda in divisa e di fronte a lui non era esattamente la persona che Ed s’aspettava di trovare.
“Maggiore Hawkeye?”. Dopo lo stupore, la gelosia lo infuocò interamente, tanto che non poté non notare che per la prima volta Riza aveva la giacca dell’uniforme sbottonata e che la maglia nera d’ordinanza era davvero, davvero attillata. Ma si sa, un geloso trova sempre più di quanto cerchi in realtà.
“Ciao, Edward!” e infatti… “Il Maggiore Mustang è uscito a comprare il giornale. Entra, tornerà a momenti”. Ed Edward la seguì all’interno, un po’ nervoso: per entrare in una casa comprata da lui e regalata al suo compagno, non aveva bisogno di permesso.
In ogni caso, una più che inconsapevole Riza lasciò Edward in salotto per andare a finire il bucato, sino a quando non si sentì il rumore della porta d’ingresso. Roy apparve nel salotto e rimase di sasso di fronte a quel biondissimo ragazzo seduto sul divano.
“Acciaio…” Ed s’alzò e gli si avvicinò piano, appoggiando con naturalezza il capo alla sua spalla, stringendolo e facendosi stringere.
“E’ morto”. Roy sussultò visibilmente.
“Cosa?”
“Si è suicidato” un’anonima lacrima scorse sul volto di Ed. Roy lo stritolò quasi fra le sue braccia.
“Ed, mi dispiace… io…”
“Shhh, non è colpa di nessuno. Doveva andare così, fa parte del flusso”. L’altro non chiese ulteriori spiegazioni.
“Se posso permettermi, Edward… credo che alla fine morire sia stato più positivo che vivere qui, per lui”.
“In che senso?”
“Ho sempre creduto che scegliere la propria fine sia la più grande manifestazione della libertà. L’ha scelto lui, nessun altro”.
“Scegliere…” sussurrò Ed, amareggiato. “Alla fine è stato lui quello che ha dovuto scegliere”.
“Tutti dobbiamo scegliere, credo tu l’abbia capito” l’altro gli circondò le spalle ed Edward annuì, rimanendo poi in silenzio.
“Roy?”.
“Mh?”.
“Ho scelto te”.

 










* CHE COS'HAI FATTO?       

 

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