It's all up to you

di candycotton
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo Secondo ***



Capitolo 1
*** Capitolo Primo ***


It’s all up to you

 

-- dipende tutto da te --

 

 

 

Capitolo Primo.

 

 

 

 

Ormai mancava poco. Di lì a qualche minuto sarebbe finalmente arrivato il nuovo anno. L’oscurità intorno alla mezzanotte era calma e piatta, la neve attutiva qualsiasi rumore, le stelle brillavano come diamanti in cielo.

L’edificio dell’orfanotrofio era immerso nel buio, e non si udiva alcun tipo di rumore.

L’unica luce era una lanterna, appesa sopra ad una gracile porta secondaria di legno, che espandeva il suo tiepido chiarore sul giardino, illuminando i ciuffi d’erba smossi dal vento e le sfaccettature brillanti della neve.

 Dentro, nella modesta cucina, una ragazza, vestita con un grembiule con la pettorina e con i capelli castani legati in una crocchia scomposta sulla nuca, stava seduta ad un tavolo di legno, china su un mucchio informe a cui stava lavorando. La porta si aprì e una donna non più tanto giovane, e dal fisico asciutto entrò, portando in mano una lanterna, che appoggiò sul tavolo.

“Ho appena controllato i corridoi. I ragazzi stanno dormendo”, disse con una voce forte e non tanto femminile.

Si sfregò le mani una contro l’altra, come per riscaldarsele. Poi diede un’occhiata alla ragazza.

“Celina, che stai facendo?”, domandò squadrandola con sguardo cinico.

La ragazza, Celina, alzò gli occhi per un istante su di lei. “Pulisco i fagioli per domani, signorina Wighby”, rispose, con tutta la tranquillità possibile, come se fosse del tutto normale.

La donna alzò gli occhi al cielo, con un leggero tremolio. “Oh sant’iddio aiutaci tu”, mormorò tra sé e sé.

“Puoi andare a letto, ora, Celina”.

“Oh, no, signorina. Voglio aspettare la mezzanotte. Lei non vuole restare alzata…”

“No”, la interruppe la signorina Wighby, facendo un sospiro tremolante, “credo che me ne andrò a dormire, Celina”.

In quel momento, la campana della chiesa giù in paese rintoccò. Celina alzò per un momento la testa dai fagioli, in ascolto e lanciò uno sguardo assorto alla Wighby, che sbuffò sonoramente.

L’orologio ovale a muro indicava che mancavano cinque minuti a mezzanotte

 

“Dai ragazzi, muovetevi!”, incitò Louis, facendosi stretto contro la parete per lasciare la via libera.

Si spinsero ridacchiando, affrettandosi ad entrare nella stanza.

“… prima che arrivi la vecchia strega!”, concluse Louis, muovendo la testa di folti capelli castani a destra e a sinistra, all’erta.

“Ahi, diamine Stanley!”, sbraitò un ragazzo alto e robusto, spingendo quello gracile che aveva accanto contro lo stipite della porta.

“Chiudi quel forno, Frank”, lo rimproverò Louis, tranquillamente.

Quando furono tutti dentro, Louis chiuse la porta, cercando di fare meno rumore possibile.

I risolini si smorzarono, e i ragazzi smisero di darsi delle pacche e di spingersi l’uno con l’altro. Quando nella stanza fu piombato un insolito silenzio, qualcuno accese una candela, usando un accendino.

La luce illuminò un bel volto, con un sorriso divertito che pareva non doversene andare mai, stampato sulle labbra, rosse e leggermente carnose. Occhi azzurri e vispi vagavano sulle facce dei presenti. Capelli biondo spento gli incorniciavano il volto.

Qualcuno aprì bocca, per parlare, ma il ragazzo gli intimò: “Shhh”. Alzò un dito per indicare di stare in ascolto. Soffiò sulla candela, facendo precipitare la stanza nuovamente nel buio.

Si udì un rumore di passi picchiettare nel corridoio. Era la signorina Wighby che controllava che non ci fosse nessuno in giro. Quando passò oltre, scoppiarono risatine tra il gruppo.

“Dai, Avery, dicci cosa hai in mente!”, esordì Frank, cercando di moderare la sua voce possente in un tono più mite.

Il ragazzo biondo, Avery, riaccese la candela, dando di nuovo luce a quel suo euforico sorrisetto. “Una piccola sorpresa per la nostra amata Cecilia “vecchia strega” Wighby”.

Di nuovo, risolini soffocati riempirono la stanza.

Avery diede un’occhiata al suo orologio. “Manca un quarto d’ora a mezzanotte”, annunciò. “Questo è il piano”

Ed ecco di nuovo quell’ambiguamente euforico sorriso.

 

Uscirono dalla stanza in fila indiana, senza evitare di darsi spintoni e di ridere tra di loro, troppo eccitati per l’imminente scherzo.

Scesero le scale e si infilarono in salotto; i corridoi erano bui e silenziosi, segno che non c’era anima viva in giro.

Il primo rintocco della campana, in lontananza, li fece sussultare. Calpestarono il tappeto color rubino e scavalcarono il tavolino di vetro che se ne stava al centro, avvicinandosi infine al caminetto di pietra, spento e freddo.

Un altro rintocco. Louis allungò una cassetta di plastica ad Avery, che la posizionò dentro al camino, in bilico sul ciglio di pietra. Si voltò verso i suoi compagni e lanciò loro un sorrisetto, faticando a incontrare le loro espressioni, nel buio.

La campana batté il terzo minuto a mezzanotte, e loro erano tutti accovacciati in direzione del camino, euforici.

“Pronti a correre fuori”, sussurrò Avery, accompagnato da altri risolini.

Al rintocco successivo, Avery diede vita alla fiamma del suo accendino, avvicinandolo alla cassetta.

Tutti corsero in corridoio e poi fuori nel freddo dicembrino.

“Felice anno nuovo, signorina Wighby”, sussurrò Avery, mentre dava fuoco al contenuto della cassetta.

La campana rintoccò per l’ultima volta nello stesso istante in cui l’esplosione dei fuochi d’artificio vibrò nel cielo, una, due, tre volte.

Si udì uno strillo provenire dalla cucina e uno sbattere di mani dal di fuori, accompagnato da risate.

Avery si voltò, per uscire, Louis lo aveva aspettato sul ciglio della porta. 

Louis raggiunse la porta, mentre Avery si fiondò su per le scale.

“GROVER!”

L’urlo lo fece bloccare a metà salita.

 

“È stato grandioso, Avery! Sei davvero un maestro in queste cose!”, esordì Frank, mentre il gruppo affollava la hall d’ingresso.

La signorina Wighby avanzava verso di loro, fermandosi a qualche metro di distanza.

Per fortuna ignorò il commento di Frank, sbraitando con un gesto della mano: “A letto, tutti, subito!”

Immediatamente il gruppo di ragazzi si diradò, spargendosi sulle scale e passando accanto ad Avery.

“Signor Stuart, non mi risulta che lei sia immune agli ordini”, fece la Wighby, lanciando uno sguardo di fuoco a Louis, che era rimasto in piedi accanto alla porta, con aria indifferente.

Abbassò il capo e imboccò le scale, dando una pacca sulla spalla ad Avery.

La Wighby fece una smorfia, poi salì il tratto di scale fino ad Avery, lo prese per un braccio e se lo trascinò dietro.

Prima di scomparire oltre il profilo delle scale, Avery incrociò lo sguardo di Celina, la cameriera, in piedi davanti alla porta della cucina.

“In punizione per una settimana, e guai a te se provi ad escogitare qualcosa per sfuggire! Non hai scelto il migliore dei modi per iniziare il nuovo anno, Grover”.

Avery non contava nemmeno più le volte che lei lo aveva messo in punizione per qualche guaio che aveva combinato. Si lasciò trascinare dalla signorina Wighby. Ormai era abituato a quella scena. Era arrivato addirittura a pensare che tutto quello gli sarebbe mancato, se mai se ne fosse andato da lì.

La Wighby lo spinse dentro camera sua e chiuse la porta con violenza.

Avery restò qualche istante nel buio, poi usò il suo accendino, per illuminare la candela sopra al comodino accanto al letto.

Si andò a sedere sul davanzale della finestra. Guardò fuori: una leggera polvere incominciò a cadere dal cielo. Aggrottò le sopracciglia, ma ben presto la polvere prese consistenza e si trasformò in veri e propri fiocchi di neve, morbidi, coprirono ogni cosa.

Avery rimase lì, a guardare la neve cadere. Le uniche luminarie natalizie che la Wighby aveva permesso circondavano il tronco sbilenco di un albero rinsecchito, sotto la sua finestra. Insieme alla neve davano un’atmosfera tranquilla, pacifica, natalizia.

Avery aprì l’ultimo cassetto del comodino, alzò il ripiano, rivelando uno spazio segreto. Tirò fuori una sigaretta da un pacchetto che teneva nascosto lì.

Tornò a sedersi sul davanzale, socchiuse di uno stretto spiraglio la finestra e si accese la sigaretta.

Se la portò tra le labbra, e dopo qualche secondo la tolse, soffiando il fumo fuori dalla finestra, sotto la neve cadente.

 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo Secondo ***


Capitolo Secondo.

 

 

 

 

Toc Toc.

Due colpi secchi gli fecero aprire gli occhi, di scatto. Ansimò e si guardò attorno. La sua stanza era buia. Alzò un braccio e accese la piccola lampada da tavolo. Socchiuse gli occhi per la luce, fastidiosa, da appena svegliato qual era.

Mugugnò, seccato.

“Avery, sono Celina, ti ho portato la colazione”, disse la voce della ragazza che faceva da aiutante della signorina Wighby, dall’altra parte della porta.

Avery lasciò cadere il capo all’indietro, sui cuscini e richiuse gli occhi.

“Sto entrando…”, fece Celina.

Quando lo vide, ancora sotto le coperte, stanco e mezzo addormentato, Celina restò a fissarlo con il vassoio in mano. Poi avanzò verso di lui, sedendo sulla coperta sgualcita.

“Non è un po’ presto…?”, mormorò Avery, con gli occhi mezzi chiusi.

Celina lo guardava, comprensiva. “Mi dispiace, la signorina Wighby…”

“La vecchia strega, c’è sempre lei di mezzo”, farfugliò lui.

“… mi ha detto di portartela adesso”, concluse Celina, cercando di trattenersi dal ridere, indicando con un cenno del capo il vassoio della colazione.

Avery si alzò, appoggiandosi sui gomiti. Guardò Celina, che ricambiò con un sorriso. Poi fece scivolare la sua attenzione al vassoio. In effetti un po’ di fame ce l’aveva. Allungò una mano a prendere il toast rancido imburrato e se lo ficcò tra i denti. Lo masticò con una smorfia.

“Sì, fa schifo lo so”, fece Celina.

Avery continuò a mangiare, fissandola negli occhi ad ogni smorfia.

“È stato davvero un gran bello spettacolo, comunque”.

Avery vide le sue guance arrossarsi, sotto la luce della lampada. Gli venne da ridere, e ricomparve quel suo consueto sorrisetto. Si tirò su a sedere e terminò di consumare il pasto.

“Fai i complimenti alla cuoca da parte mia”, scherzò, mentre si alzava.

Celina si fece da parte goffamente, un po’ imbarazzata. Cercò di guardare da un’altra parte, quando si accorse che Avery indossava dei calzoncini corti.

Lui parve accorgersene, si infilò i pantaloni, senza smettere di ridere.

“Be’, che stai facendo? Non avevi sonno?”

Avery scrollò il capo. “Ora non più. Mi dispiace, è tutta colpa tua”. Le andò vicino, ridendo, e le sfiorò il vestito, poi si allontanò di nuovo e uscì dalla stanza.

Celina rimase per un lungo istante immobile dov’era. Lo fissò, con il vassoio in bilico tra le dita. “Dove stai andando? Non puoi uscire di qui, Avery”, gli ricordò, aggrottando la fronte, confusa.

Lo seguì nel corridoio.

“Vuoi controllarmi anche mentre sono in bagno?”, Avery le inviò un altro dei suoi ambigui sorrisi.

Celina abbassò il mento. “Il tempo di riportare questo in cucina”, disse alzando il vassoio.

Avery annuì e si fiondò in bagno.

Celina tornò dopo una manciata di minuti, e nel corridoio, di Avery non c’era nemmeno l’ombra. Si appoggiò allo stipite della porta della sua stanza e aspettò che uscisse dal bagno. Si chiedeva se la signorina Wighby non lo facesse apposta a ordinarle di controllarlo.

La Wighby era sì un po’ rincitrullita, ma era strano che non avesse capito quello che c’era nell’aria. Era più che evidente che Avery era piuttosto ricercato, ma non rendersi conto che a lei piaceva, doveva proprio essere tonta. Celina scrollò il capo e in quel momento la porta del bagno si aprì; Avery tornò in camera sua.

Si mise sul ciglio della porta, mentre Celina era sul ciglio opposto, dalla parte del corridoio.

“Mi lasci qui così?”, si lamentò lui.

Quanto si divertiva a prenderla in giro in quel modo? Parecchio, di sicuro parecchio, data la sua espressione.

“Devo tornare dalla Wighby”, rispose lei.

“Non ho alcuna speranza, eh?”

Celina scosse il capo, dispiaciuta.

“D’accordo, mi arrendo”.

Celina gli accennò un sorriso fiacco, e lo salutò con un cenno della mano. Chiudere la porta con un giro di chiave gli parve un’idiozia.

 

 

Avery si bloccò un istante, per guardare la sua camera. Ormai la sapeva a memoria, dopo tutte le volte che ci aveva passato chiuso dentro, in punizione.

L’armadio grande, la scrivania di legno, tagliuzzata e consumata in modo ormai irrecuperabile, il letto stipato addosso al muro, che all’inizio gli era parso così scomodo ma a cui poi aveva fatto l’abitudine, la finestra, bianca a quadrata, che era la cosa che più gli piaceva, perché gli permetteva di guardare fuori, gli permetteva di sperare in qualcosa che andasse oltre quelle quattro dannate mura.

 

 

Celina sospirò, una volta arrivata nella modesta cucina. “Ho fatto, signorina”.

Cecilia Wighby si voltò verso di lei, con le sopracciglia arcuate e la squadrò in un istante, poi mugugnò qualcosa in segno di assenso.

“Non crede che sia tempo sprecato, in questo modo?”, disse Celina, inclinando il capo.

La Wighby la guardò alzando un sopracciglio. “Di cosa stiamo parlando, Celina?”, chiese, rivolgendosi a lei come se stesse conversando con una povera imbecille.

“Delle punizioni che impartisce ad Avery, se ogni volta ripete i suoi errori significa che non sono molto utili”.

La Wighby arricciò le labbra. “Se non sono molto utili è perché Grover è soltanto uno stupido che trova ogni modo per apparire migliore e superiore agli altri”.

Celina abbassò il capo. “Lo punirà a vita, se continua così”, mormorò.

Cecilia le arrivò un’altra occhiata sprezzante.

“… signorina”, si affrettò ad aggiungere lei, come per alleggerire il tono.

Sebbene l’espressione di Cecilia Wighby era profondamente dura e composta, i suoi occhi furono per un momento attraversati da un lampo di incertezza.

 

 

Avery scese dal letto, in seguito ad una serie di colpi di nocche alla porta. Ci si schiacciò contro, piegando la testa di lato.

“Avery”, sussurrò qualcuno dall’altra parte.

Avery sorrise. “Frank, che stai facendo?”

“Porto buone notizie, amico”, rispose Frank, sghignazzando.

“Ehi Avery, tutto bene da quelle parti?”, un’altra voce, più calma si aggiunse a quella agitata di Frank.

“Una meraviglia, Louis”, rispose Avery, ironicamente, senza smettere di ridere.

“Aha, e ora andrà ancora meglio”, continuò Frank. Mugugnò, infastidito in seguito ad una spinta di Louis.

“Che sta blaterando, Louis?”, fece Avery, aggrottando le sopracciglia, divertito.

Non ricevette risposta. Dalla fessura sotto la porta apparve una busta bianca, un po’ spiegazzata e aperta con uno strappo secco e irregolare.

Avery la raccolse a l’aprì. Dentro c’era un foglietto giallo, riempito da una scrittura fitta ed elegante.

Avery lo lesse velocemente e gli scappò da ridere. “Che roba è?”, chiese, per averne conferma da loro.

Frank, dall’altra parte, ridacchiò come una iena, e Louis gli intimò di chiudere la bocca.

“Le belle ricche danno una festa per l’anno nuovo e una certa tu-sai-chi ha invitato un certo… tu-sai-chi”. Frank scoppiò ancora a ridere e Louis gli diede una botta sulla nuca, a giudicare dal suono secco e dall’esclamazione di Frank.

“È un invito di Olivia?”, esclamò Avery, sgranando gli occhi.

“Uuuuuuh”, fece Frank.

“Se non te la finisci ti tappo la bocca con lo sturatore del water”, accennò Louis che stava perdendo un po’ della sua naturale indifferenza.

“Wow, Louis non puoi non andarci”, continuò Avery, cercando di rimanere serio abbastanza per parlare.

“Infatti non ha mica intenzione di farsela scappare, il nostro Louis”, ghignò Frank, rischiando di prendersi un’altra botta. “Ma il bello è che può portarsi dietro i suoi cari vecchi amici, una volta tanto!”

Avery sgranò gli occhi, ancora. “Dici davvero?”

“Certo, amico. Ma l’hai letto quel biglietto?”

Avery lo scorse di nuovo, nel p.s. Olivia diceva chiaramente: porta pure i tuoi amici, se ti va.

“Non è geniale?”, riprese Frank.

“Sì che lo è”.

“Oh, io non vedo l’ora. Ma ci pensi Avery? Un mucchio di ragazze belle e ricche che ci invitano ad una loro festa… belle… ricche…”, gorgheggiò Frank, con la testa ormai persa nel mondo dei sogni.

“Già, peccato che io non possa venirci”, disse Avery, afflitto.

“Come? Perché non puoi venirci?”, il tono di voce di Frank si ristabilizzò, tornando alla normalità.

“Sono chiuso qui in punizione, ricordi? A meno che non sia tra una settimana…”

“Be’, io credevo avessi già pensato ad un piano per uscire di là”, borbottò Frank, quasi deluso.

Avery piegò le sopracciglia. “Ragazzi, credo che dovrete andarci senza di me”, fece scrollando il capo.

“Come? Non se ne parla, Avery, ci servi, senza di te non è lo stesso”.

Avery sorrise amaramente, pensando a cosa alludesse Frank con quelle parole. Ad agganciare le ragazze, ad attirarle, a quello serviva in realtà. Era sempre stata un amicizia un po’ approssimata quella con Frank, lui era un po’ a modo suo, non badava troppo a preoccuparsi degli altri, e cercava il più delle volte di trarre profitto per se stesso; semplicemente quello era il suo carattere e dava modo di pensare ad Avery che se fosse andato avanti in quel modo non avrebbe mai trovato dei veri amici.

“Ehi, Avery, pare a me o stai perdendo la voglia di fare lo scemo e metterti nei guai?”, intervenne la voce tranquilla di Louis.

Avery immaginò di vedere i suoi occhi verdi e l’espressione neutra, l’atteggiamento del corpo calmo e rilassato. Fece una smorfia. Per qualche ragione, e non sapeva ancora quale, Louis lo conosceva fin troppo bene, forse molto meglio di quanto lui conoscesse sé stesso. E questo lo mandava in bestia, perché avrebbe tanto voluto avere quel suo stesso potere.

“Be’, ragazzi… vi farò sapere, quand’è che c’e questa festa?”

“Venerdì! È scritto nel biglietto…”, rispose Frank, che dal tono si capiva si stesse ancora chiedendo se Avery avesse veramente letto o meno quel biglietto. “Se decidi di venire, ricordati che non ci saranno grossi problemi a farti uscire da lì”.

Avery annuì vago e passò indietro il biglietto dalla fessura sotto la porta.

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