Dysturbia____

di Dadasopher
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il preludio con stile: La costellazione dei Personaggi. ***
Capitolo 2: *** Perditempo ***
Capitolo 3: *** Tra Diletti e Inganni congetturati. ***
Capitolo 4: *** Fatalità avverse o forse no ? ***
Capitolo 5: *** Kunstwerk ***
Capitolo 6: *** La pantomima della sublimazione amorosa ***
Capitolo 7: *** Vecchi parrucconi in potenza ***
Capitolo 8: *** Il dilemma del Porcospino ***



Capitolo 1
*** Il preludio con stile: La costellazione dei Personaggi. ***


dYSTURBIA____

{Una Tragedia Semiseria in numerosi e confusi atti.}*





Rating: giallo.
Pairing: ruki x ................. ???
Genere: introspettivo, romantico, erotico
Disclaimer: I personaggi di questa fan fiction non mi appartengono e tutto quello che ho scritto è frutto della mia mente. Tuttavia se ci dovessero essere delle minime somiglianze ai personaggi reali questo non può che essere un fattore estremamente positivo, non vi pare?

«...lottammo a denti stretti entrambi, lei contro il pavimento e io contro la perdizione, due “p” , principio comune per futuri fallimenti...». Aggiungeteci pure un altro personaggio (in cerca di autore) a vostra scelta. Bene, sappiate che non sarà mai in grado di battere il terzo prescelto, integrante della storia.



Buona Lettura.



Il preludio con stile: La costellazione dei Personaggi.


Giunse sino alle mie delicate narici un intenso puzzo di bruciato, spezzando l'equilibrio mattutino della mia stanza dormiente: oltre che a coprire la costante presenza di polvere accumulata sulle tende broccate (dalle fantasie piuttosto pacchiane, per via della bassa qualità del prodotto, dato che la mamma le aveva prese in fretta e furia in un posto anonimo tra una cicca e l'altra, pagando il meno possibile), questo nauseabondo odoraccio interruppe e surclassò pure il ticchettio ameno della pioggia contro il vetro, ingrassato dai miei continui tentativi di ricalcare il moto degli uccelli nel cielo. Nonostante il puzzo di stantio fosse elevato lì dentro, quel nuovo odore riuscì inspiegabilmente a sovrastare il tutto; La sua natura era inconfondibile, dato che potevo distinguerlo tra la mistura indefinita di sapori/odori che mi si erano appiccicati su labbra e dita.
Così alzai metà busto, giusto per coglierlo totalmente e arricchire il mio panorama della sfera olfattiva. Era caramello fuso, probabilmente sgocciolato chissà da quale tegame; l'unica cosa certa era che adesso mi arrivava direttamente in viso, impregnandolo di uno schifoso appiccicume. Lo sentivo posarsi sulla mia pelle, invaderla ed ungerla fino alle clavicole, con un tocco di indecenza.
Strofinati gli occhietti scuri con le mie ditina grassottele mi diressi verso la fonte, che credevo essere erroneamente mia madre. E come ho sottolineato poc'anzi, il fautore di tutto quel susseguirsi di travasamenti/ rumori molesti non era una figura piacevole alla vista, bensì qualcuno di cui non conoscevo proprio nulla.
Se lo avessi analizzato con gli occhi di un moralista, ve lo avrei descritto come un burbero quarantenne incline all'indecenza, e qui metterei sotto la vostra attenzione i boxer cadenti e una pelle flaccida e antiestetica sul punto vita, ma siccome mi ritengo tutt'altro che tale, preferisco darne un ritratto ancor più pittoresco, quasi sfociando nel blasfemo.
Apparte il fatto che ancora non mi capacito come mia madre riesca a portare in casa certi elementi sbagliati, e poi diamine, non ti accorgi che quel diavolo di un codino è passato di moda tra i "vecchi" della tua età? Questa proprio a mia madre non gliela passo! E poi guardate un po' come impugna quella povera creatura, una volta conosciuta come "tegame" e mi riferisco in particolare all'altro giorno quando aveva ancora un sesso definito (sempre considerando il fatto che i tegami ne abbiano uno), vogliamo poi osservare con quanta non chalance porta le sue mani sulla parte posteriore e trae conforto da una grattatina? Insomma mai gli avrei dato un centesimo a quel tipo lì.
- Lascia qui- commento dall'enormità della XL , che tra l'altro mi arriva ai piedi, parendo un piccolo uomo abbandonato al suo mondo di stoffa nero; Ma se vogliamo fare una storia di quell'indumento potrei pure dirvi che apparteneva a mio padre.
-Mmm ?- mi squadrò dalla testa ai piedi, con la tipica aria dei conquistadores spagnoli alla vista di un indigeno di colore. E notare qui l'indignazione dipingersi sul suo volto. Ah cari e vecchi vincoli sociali ormai surclassati! Aggiunse una frase sconnessa a quel mugolio scocciato di un attimo fa - Che cosa vuoi moccioso?- da notare è con quale amorevole tono ha interpellato la mia persona, voglio dire, neanche di fronte a un imperatore ci si rivolge con tanta sopraffina gentilezza!
In risposta mi venne naturale uno sbuffo altrettanto reale, seguito da un discorso interrotto sul più bello dalla voce stridula di un terzo cortigiano. E qui la situazione rasentò il paradossale.
-Senta signore, non so chi l'abbia invitata qui dentro, ma è cortesemente pregato di non appiccare incendi, uno per la convivenza pacifica e due perché non si trova in casa sua. E detto in parole meno composite, MOLLA QUEL DANNATO TEGAME E VATT...-
-Sono pronte le crepes? Insomma quanto ti ci ...- un altro individuo si parò con l'imponenza di un metro e sessantasette davanti ai nostri occhi allibiti, e anch'egli sembrò reagire allo stesso modo nostro. Subito dopo usò l'arma dei dilettanti: un dito puntato contro di noi e la domanda retorica, come se fosse il padrone di casa
-E voi chi diamine siete?-
A questo punto credo che sia naturale porsi degli interrogativi circa la provenienza di certi elementi, e visto che siamo in tema riflessione, perché non interrogarsi pure sul motivo di tale parata dell'idiozia? Non mi soffermerò sulla descrizione vivida dell'ultimo giunto, anche perché è meno pittoresca dell'uomo al mio fianco.
Ovviamente tre presenze maschili in un campo così ristretto a rigore di logica richiede una presenza femminile, da ritrovarsi possibilmente nei paraggi o comunque non molto distante dal baccano sollevato.
-T A K A N O R I !- urlò la paladina al sentore di una lite piuttosto vicina e si fiondò nella cucina lillà, anch'essa scelta per la convenienza e non per il gusto comune, che l'avrebbe senz'altro catalogata come kitsch e annoverata tra le serie più anti estetiche dell'arredamento anni 70. Certo, mica potevamo permetterci qualcosa di economico risalente alla nostra epoca super tecnologica! Ci si doveva ridurre al mobilio retrò e poco comodo di un'epoca ormai superata da un buon ventennio.
Comunque sia, torniamo alla nostra scena buffonesca, che vede nel suo fulcro tre attori principali, con un intervento posteriore della bellissima signora "ciabattona so tutto io" e della sua amabile vestaglia rosa confetto ( oddio almeno quella è guardabile ).
Come da copione l'attrice recitò la sua grande sorpresa nel vedere tre individui girovagare per la cucina a un'ora tanto strana ( perché le signore della sua classe ritengono le nove del mattino un orario inaccettabile per quel baccano) nel piccolo e ristretto spazio della cucina. Indignata ci guardò uno alla volta, pretendendo di rimetterci in riga sempre nell'ordine precedente.
-Tu, piccolo stronzetto non dovresti essere a scuola già da un'ora? Muoviti e vatti a vestire! Facciamo i conti dopo!- con quale dolcezza materna mi aveva suggerito di prepararmi, senza negarmi la prima colazione.
Il tono si fece più grave nei confronti dei due uomini, giusto perché erano conoscenti di un certo rilievo. Gli altri dialoganti così chiamati al dibattito, espressero il loro stupore e disapprovazione nei confronti della rispettabile signora, ripetendo pedantemente come non sapessero della mia esistenza e di come l'accordo fosse stato preso in principio.
Ora pretendevo uno sviluppo interessante e uso quel verbo per esprimere il mio desiderio profondo, perché una storia che inizia in un certo modo, necessita di sviluppi altrettanto stravaganti.
Questa è una delle motivazioni per cui non sono mai scappato da qui per cercare una vita migliore altrove. Il discorso sarebbe veramente lungo, poiché dovrei innanzitutto spiegarvi qual è la mia storia e poi date le dovute premesse munite di esempi, inoltrarmi nel vivido della vicenda. Ma detto tra me e voi, non ho assolutamente voglia di ricordare lo squallore dei vecchi tempi, anche se ci sono stati dei momenti "indimenticabili".
Spiando la vicenda da un angolo del salotto, nascosto dietro la poltrona verde bile dalla fantasia interpretabile a seconda dell'umore (e quindi di dubbio gusto), seguii lo svolgersi fino alla sua fine.
Non mi dilungo sui particolari della scenografia e tanto meno sugli indumenti rimasti addosso ai protagonisti, giusto per lasciarvi il beneficio del dubbio in testa, e giungo direttamente alla fine.
So solamente che su quel tavolo non ci mangerò più. Parola di Matsumoto Takanori.

Fui attento a non farmi vedere mentre me ne fuggivo da quel manicomio variopinto, sapete non vorrei beghe e rimproveri per quello che si è consumato la dentro, e giunsi nella mia adorabile stanzetta di figlio "dedito e amorevole". In realtà questa è tutta una copertura per apparire a voi, miei cari ascoltatori o lettori o sventurati che siate (perché per fermarvi a sentire le mie storie dovete essere anche voi dello stesso calibro di quelli lì di cui prima avete avuto l'onore di conoscere gli intrighi oppure non avete nulla da fare), il soggetto più "integro" di tutti, per quanto possa esserlo in realtà.
Il caso ha voluto che quello fosse il momento della verità.


NdA:

  • Tragedia Semiseria: solitamente si è soliti trovare l'espressione cristallizzata “Opera Semiseria”, riferendoci al genere d'opera tra il serio e il buffo molto in auge in Francia, Italia e Germania a partire dalle ultime decadi del'700. Ho mantenuto la struttura: un personaggio buffo, un intreccio quasi patetico e il finale dovrebbe essere lieto...vedremo qui come andrà a finire, niente spoilers ù.ù”
**

Una ulteriore precisazione: ho iniziato questo pseudo racconto un po' di mesetti fa, prendendo spunto dall'esperienza personale e adesso che ci sto ancora lavorando continuo a sentirlo mio (il che è un fattore positivo, visto che ogni mia long fic mi schifa nell'animo ahhahaah)
Anche se non è ancora finita (seppure abbia la trama già scritta in mente) ci tenevo a pubblicarla oggi, data importantissima per me.

Questo primo capitolo non è niente in confronto a ciò che verrà... aspettate e vedrete :D

Valja.




PS: [Дуроку поэту] è dedicata a te, stupido Pseudo poeta, te la sei proprio meritata. Con affetto,
"quella" che usi chiamare "Valjushka".

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Capitolo 2
*** Perditempo ***







Perditempo.

15 Maggio XXXX*


«Benedetto sia 'l giorno e'l mese e l'anno
e la stagione e'l tempo e l'ora e'l punto
e'l bel paese e'l loco ov'io fui giunto
da'duo begli occhi che legato m'ànno »*¹



Nonostante odiassi quei piccoli spazi, terribilmente stretti e angusti, continuavo a infilarci le dita insistentemente. Era uno spasso pregustarsi il sapore dolce tra le labbra mentre ti affannavi tra i bordi ristretti con il ditino grassottello per prendere il meglio. Chi di voi non ha mai preso la parte più gustosa, insomma, il meglio del meglio? Non fate i furbi, tutti siete stati piccolini un tempo immemore, probabilmente è un ricordo troppo lontano e disperso per poterlo ricordare chiaramente. Selezionare il “buono” e il “cattivo” direi che è naturale, specialmente quando ci si trova davanti un bel problema come il mio, voglio dire, chi mai non cercherebbe di avere nella bocca calda tutto quel succo prelibato, che solo delle pareti linde e accuratamente conservate possono contenere?
-E ora a noi due mio barattolino di cioccolato!- avidamente passavo i polpastrelli entro la concavità ripiena di quella dolce scioglievolezza cioccolatosa, notando che non c'era nessuno avversario pericoloso di fronte a me. Potevo tranquillamente starmene seduto lì a quel tavolo di granito grattato e sbizzarrirmi nei graffi sulla sua superficie, tanto non poteva diventare più brutto di quello che in realtà era.
Traballava tutto, era instabile come i nervi della mamma” constatò la mia indole ribelle al tatto contro quelle porosità sgradevoli e ruvide. Ovviamente non potevamo permetterci di meglio di uno stupido tavolo comprato in qualche improbabile discount, di luglio, per gli sconti estivi. Il tipico giorno in cui la gente senza il becco di un quattrino, come si dice nel gergo comune, faceva le file chilometriche sotto il sole cocente e te lì, un puntino in mezzo a donne di mezza età scalmanate, ne uscivi con qualche livido -se ti andava bene- in caso contrario ti ritrovavi in scontri corpo a corpo senza neanche volerlo. (E poi le senti lamentarsi dal medico per il fatto che siano acciaccate!TSK!)
La mamma ripeteva sempre che non c'erano abbastanza soldi nel suo portafogli, ormai era una litania costante la sua. Tre parole messe in croce, che solitamente assumevano la forma del rimprovero infondato, ogni volta che i miei lineamenti femminei gli ricordavano la sua giovinezza o i miei occhi profondi richiamavano ai suoi pensieri i problemi con papà. Lo sapevo troppo bene che invidiava la mia freschezza giovanile e scommetto che avrebbe perfino venduto l'anima al diavolo per essere gradevole alla vista quanto me!
Non accettava le profonde "scavature" nel suo viso ai lati della bocca e intorno agli occhi, non sosteneva la secchezza dei capelli tinti fino allo sfinimento, come non tollerava la mia somiglianza congenita all' ex marito. E soprattutto non aveva mai accettato che io fossi il figlio di primo letto di una donna che non fosse lei. Ogni qual volta che mi guardava, ci imprimeva disprezzo profondo rimarcando il suo concetto di obbligo nei miei confronti. Da qui ne derivano una svariata serie di conseguenze: non si è mai sprecata in cucina, tanto che al supermercato sceglie i prodotti surgelati in base al prezzo, ficcandoli velocemente nel carrello senza verificare la qualità; preferisce concedersi più tempo nel reparto di cosmetica, dove conosce a menadito le ultime novità per ottimi risultati. Ovviamente il rifiuto per la cucina deriva da una serie di motivi frivoli, come "mi si spezzano le unghie" oppure "mi si impuzzoliscono i capelli"; passa ore di fronte alla televisione seguendo quei programmi stupidi che ti inculcano idiozie nel capo riguardo certe diete dimagranti, oppure esercizi di fitness per rimuovere completamente in due settimane gli inestetismi della cellulite.
Sapete, a volte credo di recitare in una sit com americana, quelle in cui ci sono i soliti personaggi sommersi da disavventure quotidiane-per colpa di emeriti idioti- che quando arrivano alla fine non credono di aver vissuto tanto intensamente. A un tratto, quando le distrazioni sono diminuite, ti rendi conto che nella tua vita tra una scena e l'altra non ci sono pause pubblicitarie ed è una scoperta nociva, insomma è la botta finale, sì, proprio quella che ti catapulta nel mondo crudo e nudo.
Apparte queste constatazioni piuttosto deprimenti, sulle quali credo che sia meglio sorvolare, pena uno stato acuto di isolamento da depressione, infilo un'ultima volta il cucchiaino entro quel delizioso spazietto limitato, gustandomi nuovamente il suo contenuto.

Questo è uno dei modi in cui solitamente passo i lunghi pomeriggi piovosi, segregato in casa, diviso tra l'aritmetica e un cucchiai di schifezze indefinite.
Naturalmente tutti gli altri compiti per casa, che non riguardano la matematica e affini, rimangono vuoti fino alla mattina dopo, tanto sono troppo stupidi per me e non mi ci vuole mica tanto a riempirli con sgraziata grafia, proprio per sottolineare che "il qui presente Takanori Matsumoto li fa per grazia divina e con svogliatezza e non tanto perché siano un obbligo morale!"
L'unica materia altamente degna di mia nota era l'aritmetica con le sue formule chiare e concise. Ti presenta un quesito basilare e tu, con tutto il tuo ingegno da bravo ometto, ti cerchi le tue soluzioni che ti porteranno solo a una sola scelta giusta. Ora che ci penso, papà mi diceva a proposito delle scelte che un tizio, il cui nome ora mi sfugge, ma pare fosse uno importante nell'Occidente (tipo Kierkegaard? ** *Kieerkegart? qualcosa di assurdo) che parlava sempre di scelte giuste o sbagliate, poiché nella vita siamo posti sempre di fronte al bivio e una scelta è inevitabile "aut aut" , nevvero?
Fatto sta che questo aveva già capito tutto della vita! è terribilmente vero, anche io nella mia condizione di minuscolo bipede insignificante so che quando avrò una certa età, esattamente tra dodici anni (oddio sembra un'eternità!) sarò destinato a qualcosa e lo vedo come un "mondo" introiettato in uno più grande fatto di lavoro, una gentile compagna e amici.
Sì, la prospettiva è allettante!
-Ops!- una gocciolina di cioccolata mi era caduta sulla equazione appena ricopiata sul quaderno. Ci passai diligentemente la lingua sopra in modo da portare via tutto quel ben di Dio di lì! Secondo me la diarrea non me la avrebbe tolta nessuno!
Comunque sia, l'aritmetica a dirla tutta non mi entusiasmava più di tanto, anche perché le maestre dicevano sempre che ero un piccolo genietto per le cose di logica, anche se avevo la sufficienza tirata, il che dipendeva dall'impegno che impiegavo durante le lezioni. Non era colpa mia se trovavo tutte le lezioni noiose, insulse, banali e finivo con l'addormentarmi oppure con il completare sudoku. E anche le maestre si erano stancate di riprendermi, lasciavano perdere me, il mio angolino solitario e le mie attività "illegali". Se così mi catalogavano le maestre, chissà come mi vedevano i bimbi. Di certo non brillavo per "socializzazione".
Cosa dovevo dire a quegli stupidi bambini? Non me ne fregava niente del calcio, delle figurine da scambiare e nemmeno di altri argomenti allo stesso modo stra-quotati tra uomini in potenza "comuni". A parte il fatto che ci avevo provato a giocare a calcio, davvero, ed ero piuttosto bravo a dirla tutta, però mi stava immensamente fatica rincorrere una palla. Diventava in un certo qual senso ripetitivo, allora decisi di mollare tutto per rimanermene rintanato in casa, tra le quattro mura di cemento armato (che di certo mi faceva poco bene) e immaginarmi come fosse il mondo al di fuori del mio piccolo paesino sperduto. Di come ad esempio si vivesse in una grande città, di come la gente potesse tirare avanti. Ma tutto mi appariva oscuro da quella stanza obsoleta, dimenticata dal resto del mondo (e al contrario di qualche decennio più tardi, non disponevo del potente mezzo di comunicazione chiamato internet né tanto meno del pc, quindi ero propriamente tagliato fuori).
Giorno per giorno il mio pallore aumentava e non si trattava semplicemente di una gradazione più chiara dell'incarnato, bensì di quel inconfondibile segnale di "inquinamento" spirituale derivato sia dalle mie deleterie abitudini sia dalle sostanze nocive provenienti dai muri. [ Maggiore imputato? La carta da rivestimento di bassa qualità, acquistata dalla mamma ovviamente al solito discount. Ragazzi, mia madre è sempre stata una donna dall' estremo savour-fair e a caccia perpetua di sconti, anche del più piccolo centesimo
Che amarezza.
T A C C A G N A .]
Trovai successivamente un rifugio sicuro nei libri di mio padre, seppure fossero molto complessi. Sapete lui è laureato in Fisica quantistica e nella veloce fuga di casa si è dimenticato qualche manuale, a cui la mamma affibbia il nome di "libracci puzzolenti". Per me sono l'unica prova di un mondo migliore, un mondo dove posso rifugiarmi quando sono solo -sempre- anche se ci sono scritte cose piuttosto incomprensibili per un bamboccio come me. Eppure tutte queste lunghe espressioni fatte di numeri e lettere non mi urtano, né mi mettono rabbia per il fatto che non le capisco, anzi, mi rassicurano perché penso che un tempo molto lontano anche mio papà ha sfogliato queste pagine.
[L'unico contatto fisico che ho con lui. Quando sento gli occhi bruciarmi con quel senso di oppressione pazzesco, afferro uno di quei manuali. Al solo contatto con quella carta pregiata sto meglio, perché la celluloide è impregnata delle nostre ditate e so che in qualche modo ci unisce]
D'altra parte come dovevo riempire i miei pomeriggi inconsistenti?
Con quei filmetti insulsi? Con le soap opera spazzatura alla TV? Mannò. Sapete in un certo senso odiavo quei film, allo stile di "Mamma ho perso l'aereo", perché mostravano solo bimbi agiati e viziati, zucconi con una "Happy ending" assicurata. Probabilmente li mandano in onda perché vanno incontro ai gusti del grande pubblico consumatore e soprattutto per ostentare la vita dei ricconi al sottoproletariato che sopravvive con questi stipendi da cani; o peggio : è la proiezione delle persone frustrate che desidererebbero vivere in quegli agi, ignorando l'aridità e la falsità di quelle pellicole.
Noterete che sono un grande chiacchierone, ma se non lo faccio qui nella mia pseudo-confessione dove è che dovrei raccontare le mie cose? A chi? preferisco di gran lunga il lettore casuale a qualche confessore con la lingua lunga.
Passiamo oltre, oh, discorrendo non mi ero accorto che le lancette segnassero le sei. è proprio vero che quando qualcosa ti prende non ti rendi minimamente del tempo che scivola e ti strappa minuti di giovinezza. [Qui il taccagno sono io, mi pare.]
Sfoggio una risata amara per quello che ho pensato e che ovviamente si ripete per la stanza, facendomi apparire come un ipotetico malato di mente (sottolineo il fatto che fossi solo io lì dentro).

-TAKANORI!- un urlo selvaggio squarciò il rilassante silenzio creatosi intorno, segnale che saremmo stati in principio due, ma che poi si sarebbe formata una allegra combriccola di ubriaconi e donne di mezza età -con problemi ad accettare le righe d'espressività intorno a occhi e labbra.
-Seh, dimmi- mi limitai a rispondere con uno pseudo-grugno, tenendo tra i molari il matitone ormai sbucciato alle estremità per i continui morsi a cui era sottoposto quotidianamente. Ero ormai conscio di come sarebbe finita la serata. La vecchia mi avrebbe detto col suo tono acido "tieni, compratici la cena e esci con gli amici invece di tenere il culo in casa tutto il giorno" mentre estraeva quei soldacci dal portafogli pitonato, sempre di quel dubbio gusto ormai caratteristico dei "Matsumoto" (cognome che peraltro non aveva cambiato anche se era divorziata da papà), con l'aria profondamente stizzita e quella perenne disgustosa sigaretta in bocca.
-Takanori caro, senti la mamma stasera ha organizzato una cena con delle amiche, vai a comprarmi delle cose che mi sono dimenticata al supermercato per cortesia-
rimasi sconvolto per quel tono affettuoso che stava usando nei miei confronti.
Se avere due uomini al proprio servizio per soddisfare "appetiti" maligni portava a questo, allora per me se ne poteva fare anche dieci su quel lurido tavolo.
-Sì, vado a cambiarmi in fretta, tu lasciami un post it con quello che ti serve- per la prima volta fui anche io gentile con lei.

Fece bene a entrambi.
Infatti, mi sorrise.


Tuta sportiva fuori moda di un bluastro appositamente sbiadito, infradito nere e t-shirt contro la deforestazione. Che nerd ragazzi. Camminavo pacatamente per i vialetti silenziosi della cittadina, illuminata da flebili raggi pomeridiani ricordando al passante che stava giungendo sera, quando la mia attenzione fu rapita dagli elementi tipici del paesaggio.
Certo che i miei compaesani sono stravaganti nella loro piccolezza provinciale! Hanno le villette a schiera alla maniera americana, muniti di non so quanti metri quadrati di verde circostante senza farsi mancare barbecue, gazebo e compagnia bella, e in giornate come queste, quelle che staresti spaparazzato in spiaggia porcinamente, non organizzano nemmeno cene all'aperto. Blasfemia, blasfemia oh miei lettori!
Io invece mi ci vedrei tra qualche annetto dedito alla preparazione del barbecue, regalatoci ovviamente dai genitori di lei, così perso ed entusiasta di fare una bella cena fuori con gli amici o in famiglia; lei che si occupa di altre piccolezze domestiche e un pargoletto che scorrazza per il giardino chiamandomi per mostrarmi come va in bici.

Divagando tra quelle proiezioni future da grande bambinone, non mi accorsi proprio della macchina (e neanche del suo conducente) che sfrecciava a grande velocità per la carreggiata, anche se era impossibile non farlo dato che era un veicolo straniero e non la solita utilitaria triste.
Si fermò proprio qualche metro più indietro di me e di conseguenza decisi di arrestare il mio moto per volgermi, curioso, e strappare delle scene di vita a questi strani abitanti marziani. Dalla targa capii che era un forestiero: veniva dalla grande metropoli, Tokyo.
Convenni che sarebbe stato meglio nascondersi dietro l'albero appena poco più a destra rispetto alla posizione attuale che occupavo e così feci. Da lì scorgevo tranquillamente il tutto con la comodità di non essere visto da terzi occhi.
Con uno slancio vitale si catapultò fuori dal macchinone notte un bel fanciullo, al massimo con venti anni sulla schiena, reso ancora più affascinante dal portamento austero e dignitoso unito all'inconfondibile camminata sicura di ogni uomo che si rispetti.
Certamente qualsiasi donna avrebbe fatto follie per un tipo apposto come quello, e deduco che dal mazzo di rose bianche, ne aveva già conquistata una, magari della sua stessa portata.
Incrociai il suo sguardo solo per un istante quando si era voltato nella mia direzione alla ricerca di qualcosa. Ancora più determinato mi parve dagli occhi caliginosi e impenetrabili: vi rifulgeva una forza inaudita, una temerarietà congenita di poche persone, forse lui era l'unico a cui appartenesse propriamente e sapeva esserle fedele. Non riuscii a fare più inferenze di quelle che suggerivano i pochi elementi raccolti nell'osservazione e del resto non ne avevo neppure il tempo.
Poi conoscerete l'evolversi a menadito: scese la ragazza, ci fu lo scambio di un bacio e bla bla bla.

Ripresi il cammino contrariato.
Non li invidio affatto questi "ricconi". [Bugiardo] Ebbene sì, abitare in questo viale che sto finendo di percorrere equivale ad avere nella busta paga annuale molti soldini, non so di preciso quanti mila di yen possano essere, però immagino che siano tanti. I poveri sfigati come noi, vivono nell'aria periferica fiancheggiata dagli inseparabili casermoni industriali, estremamente antiestetici. Comincio a credere che alla parola "Matsumoto" non possa associarsi niente di positivo.

L'appartamento al mio ritorno era invaso da una inaspettata e diffusa aria gioiosa: luci pirotecniche nel soggiorno accompagnate da una musica ascoltabile solo per le vecchie generazioni, palloncini sparsi qua e là, gambe diversissime calpestavano il pavimento ormai lurido e sorrisetti maliziosi scambiati furtivamente da partner già impegnati, ma non per questo meno temerari nell'approccio.
Mi ci vollero quindici minuti per giungere in cucina con quelle buste, in questo caso non vanto le dimensioni della stanza che a dirla tutta sono modestissime, bensì il caos che vi regnava dentro. Non sapevo che a madre piacessero i luoghi affollati e pieni di tanta ilare superficialità.
Ivi c'era il biondone inciabattato, che per l'occasione s'era buttato addosso un vestito di un arancio inguardabile tanto che a prima vista la scambiai per parte dell'arredamento tipicamente matsumotiano (massì ormai ho forgiato pure l'aggettivo). La regina delle feste mi venne incontro tirandomi le guance (cosa che odio) e ripetendo, per farsi sentire dagli altri, che ero un bimbo così adorabile e carino, e mi prese le buste dalle mani. Gli altri approvarono in coro e mi riempirono di sguardi compassionevoli e disgustosi. Sono sempre stato allergico a questa attenzione falsa e pertanto salutati i convitati mi ritirai nelle mie stanze.
Mia madre non si preoccupò più di tanto, motivando quel mio ingiustificato comportamento spocchioso come un fattore di timidezza estrema. Ci fu una seconda approvazione collettiva. Al che presi e alzai i tacchi definitivamente.

Che carnevalata irriverente si stava perpetuando in quel appartamento chiassoso.
Vanità straboccante di vita,
Luci e rossetti ,
Rumori di tacchi unicamente tirati fuori per l'occasione, e forse indossati per qualche ricorrenza passata,
Risate risate risate ...
...
e
silenzio notturno.




NdA:
*¹ Prima strofa di “Benedetto sia ’l giorno, et ’l mese, et l’anno”, del Canzoniere, (61) di Francesco Petrarca.

*15 maggio XXXX : Una data che non ha scadenza temporale negli anni (XXXX) ma ha un limite nei giorni. Maggio non è forse un mese perfetto per innamorarsi?

**Kierkegaard: Takanori ovviamente essendo un bamboccio nel capitolo non sa quale sia lo spelling più adeguato, perciò per indicare l'agrammaticalità del significante ho posto un * antecedente alla parola errata.

Attraverso un pallosissimo monologo interiore abbiamo conosciuto il nostro Takanori preadolescente, preso da mille dubbi esistenziali e osservatore della realtà circostante. È cinico e distaccato per alcuni versi (e chi non lo sarebbe in una situazione analoga?) ma estremamente sognatore dall'altra (vedi pensieri sul futuro).
C'è già citato il terzo personaggio (in cerca di autore). Non sottovalutato l'intreccio della storia, non è così banale come può sembrare ;D quindi...non vi resta che seguire!


Dunque come avrete notato il setting della storia è il Giappone, seppure non sia calcato di citazioni dotte dell'ambiente né di riferimenti di vita/paesaggistici precisi. In primis, è una scelta legata alle mie conoscenze del Giappone (che non vanno oltre 4 o 5 cose a riferimento storico, culturale note a tutti); pertanto preferivo non avere la presunzione di descrivere il tutto in maniera realistica, dato che non ci vivo e non conosco approfonditamente le cose/luoghi per farlo. In secondo luogo, i personaggi hanno un legame particolare col posto in cui vivono, che viene esplicitato dal punto di vista di Taka (qui).

Bene, tengo a ringraziare Guren che mi ha fatto dei bellissimi commenti :D sono curiosa di sapere cosa pensi di questo piccolo frammentuccio di storia.

Alla prossima!

Valja.

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Capitolo 3
*** Tra Diletti e Inganni congetturati. ***



Tra Diletti e Inganni congetturati.



                                                                                                                             ***


Nessun anima può realmente tangere la terra fertile, inumidita dalle macchie grossolane sgocciolate dal cielo sgozzato.
Si è tinto tutto di un rosso intenso, come se fosse stata combattuta una battaglia strenua tra le forze antiche.
Una cesoia ha aperto un taglio ben definito nella carne non ancora stellata, un tempo celeste e armoniosa,
vi ha conficcato le sue punte malvagiamente e ha continuato a strappare via i fili tinteggiati di un antico armonioso colore.




Osservazione del cielo in una notte invernale solitaria,
Takanori.



                                                                                                                              ***



Scattata la maggiore età era praticamente scontato che tu fossi: cauto, consapevole, coscienzioso, credente e quante altre belle parole seguivano a questa breve elencazione. Il fatto è che decidono tutto loro per te, fin da l'inizio. Ma chi sono in realtà loro? Eh, bella domanda.
Non hanno né indirizzo, né identità accreditata eppure li cerchi accanitamente per reclamare la tua singolarità. Ah certo, sono i fatti. Eccoli.
Gli stessi che hanno cresciuto fin dalle fasce quelli che consideri genitori e che a loro volta hanno operato nello stesso modo con te. Ad alcuni regalano una vita modesta ad altri donano la stupidità.
Ed è qui che inizia la storia mia.
Inizia dai turbamenti di una donna che si è ritrovata con un figliastro sulle spalle, dopo che l'uomo della sua vita l'aveva miseramente lasciata perché stanco di lei e dei suoi interminabili vizi. Però non "li" aveva abbandonati, arrivava sempre quell'assegno mensile a ricordargli che un tal dei tali, residente in un posto migliore del loro ammetteva di avere un figlio (anche se non era mai più stato a trovarlo da quel giorno) e gli cedeva la sua parte giuridica per vivere.
Imparai a capire il valore del denaro quando l'assegno cessò di arrivare, esattamente il giorno in cui avevo raggiunto la maturità.

Avevamo cambiato paese e casa, rimanendo sempre fedeli alla zona spostandoci solo di qualche chilometro, con la prospettiva che anche il futuro mutasse. Ed era quell'insignificante cambiamento, che credevamo essere una svolta, a darci la forza di vivere ancora e di sorridere alla misera vita.
Eravamo cresciuti entrambi, con la differenza che io avevo una testa sulle spalle e lei no. A dire la verità era invecchiata terribilmente con lo svantaggio di non attrarre più come prima gli uomini e per questo s'era rinchiusa in un silenzio inquietante. Almeno aveva preservato la sua rispettabilità; erano stati gli stessi fatti a farla diventare così.
Sentivo di doverla proteggere per quanto poco la stimassi e fossi ricambiato dallo stesso sentimento. Chissà com'era atroce per una donna ottusa come lei non avere avuto un proprio figlio e non essere riuscita a fare nulla della propria vita, a differenza dell'uomo che le era stato accanto.
Per qualche strano motivo avevo un ritratto ideale di mio padre glorioso, forgiato in tal modo solo da ricordi confusi e da qualche dialogo infantile. Insomma il quadro finale era il seguente: lui era un uomo eccezionale con qualche piccolo difettuccio e quella sbagliata era sempre stata lei.

E adesso com'è che mi ero messo a riflettere tanto tristemente sul trascorso? Non c'era tempo, dovevo uscire tra una ventina di minuti e non perdere tempo a osservarmi a vuoto nello specchio del bagno. Finii di passarmi l'eyeliner sugli occhi stando attento alle rifiniture. Ero d'una calma spaventosa se mi ci mettevo, ma stranamente ora la mano mi tremava e mi era venuto fuori un enorme schifezza.
Afferrai l'asciugamano, mi strofinai via il trucco portando via quel mascherone tremendo che rimase stampato esattamente sul giallo canarino; con quell'atto avrei mostrato la mia vera faccia da schiaffi al mondo.
Tanto non avrei di certo rimorchiato stasera se non c'ero riuscito in mesi e mesi di trucco e tiratura.

Prima di evadere andai a salutare la donna in salotto e la trovai addormentata sulla sedia, come l'avevo lasciata prima. Al mio tocco si ridestò e mi guardò
-Taka che ore sono?-
-Sono le nove e mezza esatte esatte e ti eri addormentata al tavolo- aggiunsi un po' preoccupato. Ultimamente capitava troppo spesso che la trovassi a giro in stati del genere.
-Non fare troppo tardi, d'accordo? Domani devi andare a lavoro...- si mosse dalla sedia dirigendosi al divano.
-Veramente domani è domenica-
-Ah, giusto...- si dimostrò imbarazzata per l'errore grossolano che aveva commesso.
-Non aspettarmi alzata, ho intenzione di fare tardi- pronunciate queste parole feci per andarmene
-Taka- invocò il mio nome
-Uhm?- mi girai di scatto già sulla soglia
-Quando me la presenti la tua ragazza?- in quell'istante le brillavano gli occhi.
-Ciao-e richiusi la porta dietro di me.

Probabilmente ora piangeva, sola su quel divano con la coperta tirata fin sopra le cosce ricordandosi di come si era conosciuta con papà.
Le faceva compagnia il tic tac dell'orologio.


Finii nel ritrovarmi in un pub irlandese con quei vecchiacci dei miei amici, diviso trai fumi delle nostre sigarette intellettuali, birre medie doppio malto e le battute scadenti della Feccia Sedicente.
Lui si spacciava per il duro della situazione. E tutti lo detestavamo. Quando se ne andò, a detta sua per incontrare la sua donna, fummo tutti enormemente sollevati.
Eravamo rimasti in quattro, il vero fulcro vivente e compatto della nostra compagnia sgangherata. Si passavano le serate inneggiando quegli ultimi mesi tra vissuti e scorribande, le cretinate che facevamo sempre dichiarandoci aderenti al culto del bello e immorale, un po' futuristi per l'approccio col mondo circostante. Non mancavano di certo gli sfoggi di poesie lascive antiche che avevamo imparato, sfoggiate sempre con le immancabili labbra cariche di risate e divertimento. Io e l'altro cretino laggiù, il Buddha Illuminato, eravamo i due più esaltati del gruppo per queste cose semiserie, seppure la nostra cultura non terminasse solo in versi licenziosi.
Eravamo ragazzi tranquilli alla fine e le droghe del momento poco ci interessavano, preferivamo di gran lunga “sballarci” rincorrendo con uova marce i punk (o come il Buddha li chiama “pAnchettoni”) oppure andare a prendere una birra al pub, il solito ormai da anni e anni.
A proposito di ragazze.
Chissà perché a me tutte finivano con non darmela mai, mentre gli altri invece riscuotevano enorme successo. La scusa era sempre la solita "Sì, sei carino ma vedi...sono uscita da una storia triste e non me la sento e BLA BLA BLA".
Ci intrippammo troppo nel guardare l'approccio di Pisello con una piuttosto carina, che aveva visto in pista pochi minuti prima. Ed erano partite le scommesse sul tempo che sarebbe trascorso prima che gli avrebbe aperto le gambe.
"Che animali ragazzi, che animali!" commentavano due tipe dietro a noi mentre ci guardavano schifate, o almeno così volevano farci credere. Gli altri due si alzarono e andarono a conversare con le finte pudiche per convincerle del fatto che tutti quei ragazzi là dentro erano animali e da lì uscirono discorsi interessanti, mentre io me rimasi con la birra seduto da solo.
Stufo della mia posizione solitaria presi il bicchiere e me ne andai a giro per il locale, pronto ad attaccare bottone col primo stronzo che mi capitasse sotto mano. Ne avevo bisogno, diavolo se ne necessitavo. E mi sarei scelto qualcuno di interessante, purché vi fosse realmente stato lì dentro.

Casualmente in un angolino scuro del locale c'era un uomo molto familiare a me, seppure non ricordassi a quale situazione avrei dovuto associarlo per farmi venire in mente chi egli fosse. A volte quei casi determinano radicalmente le ore della nostra esistenza in modo irreversibile e così fu per noi due.
-Per caso è occupato qui?- posai la mano sulla sedia proprio di fronte a lui. In un primo momento non si era mica accorto della mia presenza e non a caso avevo approfittato della sua distrazione per agire.
-No, prendila pure- ancora quello sguardo intenso.
"è lui, è lui non c'è dubbio". Riavvolsi il nastro indietro a molti anni prima ed effettivamente i due combaciavano alla perfezione. Pieno di esaltazione immotivata riempii lo spazio con la mia presenza fisica. Attesi qualche secondo di imbarazzo per pronunciare qualcosa. Lui s'era acceso una sigaretta non lasciando trapelare nessuna emozione dal suo viso stanco.
E sì, rispetto a qualche tempo prima il suo volto appariva mutato, ma non per questo meno rispettabile.
-Insomma quale buon vento ti manda qui da me?- teneva la Gitanes tra le dita sottili col solito sguardo intenso appeso
-Eri l'unico in mezzo a tanta gente che mi ispirava fiducia- mi accesi pure io una sigaretta.
-Fiducia eh?-fece un sorrisetto riprendendo a fumare non togliendomi però gli occhi di dosso
-Ho come l'impressione di averti visto altrove, sai? Ma dimmi sei sempre così solitario tu?- bevvi l'ultimo sorso della mia Du demon.
Non fece allusioni alla mia osservazione, si limitò a un monosillabo
-Nah-
Per lui probabilmente il dialogo era finito lì e io ero uno scocciatore dell'ultima ora. Ma data la mia indole dispettosa mi divertii a dialogare con quell'uomo
-Ah beh, sei di poche parole e solitario. Un uomo Byroniano- allusi alla figura del bello e dannato per vedere fin dove arrivasse. Almeno avrei potuto valutare se ne fosse realmente valsa la pena di perderci del tempo oppure se sarebbe stato meglio ricercare i ragazzi.
-Invece a te noto che piace fare domande- rispose con un velo di sarcasmo senza essere maleducato- Mi vedi tanto maledetto solo perché una sera mi becchi appartato in un pub? Sei affrettato tu nelle conclusioni- stava al mio gioco e mi piaceva assurdamente la piega della nostra non-conversazione.
-Non è detto che siano conclusioni, erano supposizioni...ehm....come posso chiamarti? Piacere io sono Takanori- sorrisi molto dolcemente porgendogli la mano.
-Oh Takanori, che bel nome. Bah io sono L'uomo Byroniano, no?- rise ricambiando la stretta. L'avevo colto un po' alla sprovvista
-No seriamente, dai, dammi un nome da associare alla tua figura- lo supplicai
-E va bene va bene...Sono Ryo- aveva spento la Gitanes nel portacenere, rificcandosi il pacchetto in tasca.
-Ryo...Uhm...-finsi di pensare volgendo gli occhi al cielo.
-Mentre tu pensi io vado un attimo in bagno- si alzò poco dopo e scomparve lasciando solo una scia di profumo dietro di sé.
Non è che voleva lasciarmi lì solo perché lo avevo seccato con la mia presenza? Fu la prima cosa che mi balenò nella testa e stavo per convincermene se non fu per il tocco gentile che mi riportò alla realtà. Mi aveva poggiato una mano sulla spalla destra e chiamato, così mi girai.
-Pensato abbastanza?- rise nuovamente.
Sussultai.
-Che c'è?- mi si avvicinò un poco per fare passare una tipa, approfittando dell'occasione per guardarle il fondo schiena disinvolto.
Io allora pensai che non era poi così rispettabile. Beh, era naturale per un ragazzo guardare una ragazza, allora perché sul momento mi aveva tanto lasciato attonito? Quel ragazzo trasformato dal tempo in uomo non doveva essere ora molto più serio di quella volta?
Riflettei, giungendo alla conclusione che se fosse realmente stato tale, non si troverebbe in un pub pullulante di single di notte e per giunta da solo. Probabilmente era successo qualcosa tra di loro.
-Poi dai a me del pensieroso eh-constatò e si riappoggiò sulla sedia
-Scusami stavo solo riflettendo- ero leggermente imbarazzato. Capii che era lui a farmi sentire così.
-E su che cosa?-
-Bah, sull'oziare. A volte vorrei essere un panda-
-Un panda? Scherzi?-
-No, affatto. Loro sì che si godono la vita. Mangiano e dormono, basta. Pensa che gli sta pure fatica riprodursi- giocherellavo nervoso col tappetino del bicchiere.
-Ahaahah- era divertito - Hai ragione, però che buffo pensarci di sera. Solitamente i ragazzi giovani come te sono a rimorchiare...- notò giustamente
-Si vede che stasera non mi sento tanto animale come gli altri. Poi mi passa la voglia, insomma mi sento "passivo"- commentai ironico sulla natura degli uomini
-Così giovane e passivo? Maddai- si allungò per darmi una pacchina fraterna sulla solita spalla.
-E tu com'è che sei qui solo soletto?- ribattei guardandolo. Volevo sapere più cose su di lui.
-Bah sono uscito tardi da lavoro e volevo bere- non aggiunse altro e io non chiesi di più. Compresi immediatamente che quell'uomo era consumato da qualcosa e non glielo volli far pesare ulteriormente. Lui parve ringraziarmi per questo, almeno con lo sguardo. Preso alla sprovvista da questo silenzio imbarazzante non fui in grado di girarmi verso il locale e commentare come avrei fatto al mio solito se mi fossi trovato in una situazione analoga. Fu lui piuttosto a ridare una piega al nostro "conoscerci". Riportò con la destra il bicchiere al centro del tavolo abbastanza vicino a sé cosicché potesse giocherellarci e mentre fissava il vetro scheggiato su un bordo mi chiese, con un tono singolare e curioso
-Com'è che i giovani di oggi amano farsi le body modification?- probabilmente si riferiva al mio dilatatore sul lobo destro
-Ti stai autoescludendo dalla categoria forse?- la buttai sull'ironia
-Beh non mi sembra di essere così giovane, caro Takanori. Ormai faccio parte della frangia di quei trentenni che si distacca dall'uomo casa&chiesa&famiglia- commentò la mia osservazione e chiamò la cameriera. Rimasi senza parole di fronte a tanta amarezza velata in una risposta dettata più dallo sconforto del momento che da un reale convincimento personale.
No, si vedeva dai suoi occhi caparbi e brillanti, lui aveva le carte giuste per essere uno di quelli ai vertici, lui era intelligente abbastanza per ottenere quello che voleva. E tutto ciò mi disarmava e incuteva terrore allo stesso tempo.
Osservai come occupava quello spazio durante la conversazione con la cameriera per informarsi degli ultimi cambiamenti riguardo le bevute: occhi rivolti al bicchiere sul tavolo e orecchie concentrate sulle parole della ragazza ed estrema educazione nel chiederle di specificare i nomi delle birre che servivano. Prese una rossa media e io gli feci compagnia allo stesso modo.
-Ah sei uno della Old School, Red Dragon Ale- la buttò lì per obliare la battuta precedente.
-Seh anche io amo le "bibite forti"-risi un poco- dunque caro Ryo di cosa ti occupi?- mi venne spontaneo chiederglielo
-Lavoro nel campo del Marketing da qualche mesetto e non dirlo a nessuno -si avvicinò a me con aria furtiva-...detesto quelle risciacquature mentali che facciamo alla gente. Sai tutta quella "propaganda" mentale, studiamo la gente e decidiamo cosa fargli comprare in base alle nostre esigenze economiche. Fecce dell'umanità stampate su billboards e mandati in onda in TV. *Woland sarebbe felice del nostro operato-scoppiò in una risata spontanea.
Da tutti quei riferimenti criptati a cui mi sottopose intuii che egli era molto acculturato o quanto meno amava leggere, anche se le sue letture non erano propriamente cosine "leggere". Tutto ciò me lo faceva apparire ancora più intrigante. Quando ci fu portata la birra ebbi modo di constatare che aveva delle movenze alquanto buffe: afferrava il bicchiere tenendo il polso piegato in modo che la mano lo prendesse da sopra e non lo sostenesse dal basso, come un saccente bevitore; poi portava alle labbra l'imboccatura del vetro e tirava due sorsetti ascoltandomi.
-Vuoi?- mi offrì una Gitanes prolungando il braccio
-No, grazie. Ma come sono codeste sigarette?- chiesi curioso
-Hanno un tabacco particolare, nero. Sono molto pesanti ma buone, sì sì. Le marche comuni non mi soddisfano così tanto...- si rigirò il pacchetto tra le dita- e poi le fumavano dei grandi, sai?-
glorificò ancora una volta la marca nominandomi Morrison e altri illustri signori.
-Sei un raffinato fumatore, credi poco nel merchandising, bevi birre forti...poi cos'altro ti distingue dalla massa grigia?-
-Esagerato adulatore- sorrise a mo' di gentiluomo- Non sono molto diverso da questi qui che ci circondano sai? Sono un uomo comune senza particolarità- alzò un sopracciglio fissando il rosso spento della bevanda.
-Gli uomini intelligenti parlano così, mi sembra un punto a tuo vantaggio -contro ribattei- su non fare il modesto...oltre al marketing tendi verso qualche altra professione? Immagino di sì per come mi hai descritto entusiasticamente le prospettive lavorative-
-Takanori sei molto acuto- ricalcò il concetto guardandomi dal basso con occhi vispi- Ho studiato legge e ho provato a lavorare in qualche studio ma non era proprio per me quell'ambiente, anche se si fanno bei soldi. A me manca la voglia di stare dietro all'amministrazione e nemmeno il penale è in grado di darmi grandi emozioni, ma preferisco non dilungarmi sui dettagli. In compenso sono un appassionato dell'elettronica e sto vedendo di prendere dei titoli in ingegneria informatica per trovare un lavoro che faccia al mio caso- straordinario come stesse iniziando ad aprirsi con me. Non lo avrei mai detto da uno come lui.
-Ah e quindi lavori e studi?- piegai leggermente la testa a sinistra dopo aver bevuto
-Esattamente-stavolta mandò giù un bel sorso di birra, come per scrollarsi di dosso una idea che non gli piaceva. Vedevo il suo pomo di Adamo rigonfiarsi per l'azione e tornare al suo posto. Con la testa gettata leggermente all'indietro era esattamente il simbolo della virilità, solo per quello scorcio che offriva sotto una luce diffusa.
Attesi da lui una contro domanda, simile ai miei toni, ma questa non ci fu e lo attribuii alla sua estrema riservatezza.
Finimmo le nostre compagne notturne di bevuta scambiandoci ancora qualche battuta insensata riguardante le persone circostanti e venne poi il momento in cui c'era da congedarsi, perché era tardi. Giusto, la famosa scusa del tempo che ricorre spesso e in questa evenienza, troppo presto. A volte la santifico e prego che mi salvi specialmente nelle situazioni imbarazzanti.
Chissà se quella era una situazione da cui dovevo essere salvato...
-Beh Takanori, ti auguro buon proseguimento e mi raccomando vedi di essere meno passivo!-mollò una pacchina sulla mia spalla, la solita di tutta la serata.
-Ma come, mi abbandoni così su due piedi?- lo fermai prima che si alzasse dal tavolo.
-Come ti abbandono scusami?- chiese interrogativamente sbalordito
-Insomma.... non sappiamo se ci rincontreremo mai più...e pensavo che...beh...- l'estrema sicurezza che sfoderavo dimostrava quanto fossi a mio agio con lui (sono ovviamente ironico)
-Massì Taka, la città è piccola, vedrai. Poi sono all'unico edificio di Marketing qui in zona, quindi...-fece spallucce
-Ma che ne so io che abiti qui, potresti esserci capitato e...-non feci in tempo a concludere
-Scusami devo andare, stammi bene- e con ciò mi lasciò lì.

Io? Per l'eccitazione non dormii quella notte, né quella dopo né tanto meno le seguenti. Continuavo a ripetermi mentalmente quello strampalato dialogo.
Ero dannatamente stupido e convinto che l'avrei rivisto. La malvagia idea che se incontri qualcuno non è certamente per caso me l'aveva inculcata la mia matrigna e io ero stata pure a sentirla mentre me lo diceva. Ma ero troppo piccolo e ingenuo per capire se fosse o no qualcosa di serio; però sono quelle cose che ti rimangono dentro e che ti ripeti per trovare un appiglio, anche se sai essere fallaci.

NdA:


  • Woland: è il nome che si da al diavolo nella tradizione tedesca. Io l'ho ripreso dal “Maestro e Margherita” di Bulgakov.
  • Faccio riferimenti alla cultura occidentale non a caso, per due motivi che vi spiegherò: la mia elementare conoscenza della cultura nipponica e specialmente della letteratura, che non mi permette citazioni dotte da lì. Perciò ho trovato più prolifero usare dei modelli che conosco.
    In secondo luogo i personaggi non si sentono radicati nelle loro tradizioni, non a caso escono nel pub Irlandese e “parlano del mondo che sta di qua e non del mondo che sta di la” da loro. Forse sono delusi o amareggiati dalla rigidità della società giapponese, chissà...
  • Il registro del capitolo è volutamente basso, perché necessitavo di esprimere il mondo di Takanori con i suoi coetanei, mentre invece con Ryo riacquista un tono più elevato.


[ E alla fine arriva...LUI. ]
E così si sono conosciuti ufficialmente i nostri due protagonisti della Romance, anche se per Taka era stato amore a prima vista anni e anni prima, inconsapevole della propria sessualità. Beh se fosse solo così sarebbe un'altra fan fiction di amore&sesso, ma io non voglio che la mia fic "odori di sperma" (citaz. Sanguineti su D'annunzio, il piacere) bensì voglio che presenti un modo di vedere la vita diverso, di intepretare l'amore più complessamente di un rapporto sessuale o di uno scambio di effusioni unito a parole d'amore.
Ad ogni modo vedremo se sono riuscita nel mio intento solo a storia finita.

Grazie per l'attenzione,
Valja.



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Capitolo 4
*** Fatalità avverse o forse no ? ***


Fatalità avverse

                           o forse no ?



Missione compiuta.
Alla fine Pisello aveva fatto colpo e oggi sono tre mesi che stanno assieme, pensate un po' che malvagità nell'approccio deve essere insita in un tale individuo! Quando ci annunciò ufficialmente la relazione ci furono le congratulazioni dalla combriccola e le relative domande. Il guru del gruppo, che si era guadagnato ammirazione da parte di tutti per le imprese impossibili, raccontò sorvolando i dettagli piccanti, di come era riuscito ad attirarla a sé con facilità; in sostanza se l'era lavorata pian pianino. Tutti sapevamo che gliene importava poco e anche lui ne era consapevole. Era una scopata facile, come del resto lo era per gli altri un qualsiasi rapporto, seppure si dimostrassero carini e gentili sul momento. L'unico cretino ero io lì dentro, ma non tanto da rivelare le mie posizioni "puriste" in fatto d'amore.
Se una donna avesse approfondito il rapporto con me ero sicuro che si sarebbe innamorata immediatamente. Io ero la controprova della bastardaggine maschile, del tipico modello a cui basta avere un rapporto "che tutto fila liscio". Deprimeva pure me, che ero uomo, sapere che a quell'età l'unico scopo della nostra vita era soddisfare solo i nostri bisogni fisiologici. Un ventenne è fallocentrico, non c'è nulla da fare.
Do la colpa di questo mio distaccamento dalla massa dei caproni alle letture che mi venivano imposte nell'età della ribellione dalla mia matrigna, dai, almeno per questo era stata utile. All'epoca ero un ragazzotto che dava i primi segni di trasgressione, si sentiva figo rispetto al mondo. Ricordo bene che fu un evento a scatenare la dura repressione della donna. Un pomeriggio presi dall'armadietto del bagno il rasoio elettrico per la barba che mio padre aveva lasciato e deciso lo passai sulla testa. Ero un
punk pure io adesso: un bel crestone storto verde. Uscii dal bagno tutto contento, con un sorriso a trentadue denti, pronto a fare la vita del duro, di quello che vuole spaccare tutto, di quello che ha vissuto la miseria.
A mia madre caddero le braccia quando mi vide e io con quel sorriso sornione sbandieravo il mio “no netto” al vissuto travagliato del passato, sfoggiavo l'assoluta contestazione a tutto, non rendendomi conto di essere più conformista degli altri.
La scoperta dei
Sex Pistols mi aveva reso “grande e indipendente” oltre che tremendamente incazzato (permettetemelo, sto spiegando quella che era la mia filosofia pAnC).
Insomma da quel dì, dopo una chiacchierata di due ore con la ciabattona, fui costretto o meglio accompagnato ogni giorno in biblioteca comunale per prendere dei libri da leggere e indovinate?
La mia matrigna avendo sentito come ripetevo fedelmente la frase più quotata di Rotten, omettendo il
figlio di madre ignota (mi sembra ovvio) «uno che ha fatto del marciapiede il suo regno, un figlio maledetto di una patria giubilata dalla vergogna della Monarchia, senza avvenire e con la voglia di rompere il muso al suo caritatevole prossimo », volle farmi provare a tutti i costi cosa volesse dire essere punk, tanto da mandarmi a pulire “le latrine” e i marciapiedi. Mi servì veramente da lezione. Imparai, seppure in modo diverso, cosa volesse dire “essere il padrone del marciapiede”.
Da allora tutte quelle ideologie rivoluzionarie quanto anarchiche se ne andarono a farsi friggere e il vecchio Takanori rinacque dalle ceneri, seppure in altre vesti, ma di questo avremo tempo di parlarne poi.
Dicevo, la colpa del mio romanticismo, si fa per dire, risiedeva in tutti quei i libri che avevo preso in prestito dalla biblioteca. Leggendo un po' di narrativa europea mi appassionai delittuosamente ai grandi romanzi russi e francesi, però la mia moralità era sempre legata alle grandi lezioni che attingevo da Musashi. Takezo e Osho erano da sempre il mio modello puro da seguire per la via dell'amore casto, beh, loro erano per me la massima autorità che si potesse venerare, oltre che alle sregolatezze europee dal fascino direi quasi delittuoso agli occhi di un ragazzetto coi primi ormoni che spuntano fuori.
Concretizzai fin da subito questa mia diversità da altri ragazzi, che grossomodo andavano dietro alla carnalità, e convenni di non rivelare a nessuno questo lato "intimo" e sconveniente, specialmente di fronte agli occhi spietati delle nuove generazioni.
Mi trovavo a rispondere al guru onnipotente con le frasi che voleva sentirsi dire cercando di non andare mai contro gli altri, malgrado venissero fuori discorsi da tratti misogini e detestabili. Insomma quelli che declamavano di non essere "animali" in conclusione finivano per esserlo nel peggior modo possibile. Che stupidi eravamo, davvero! Eppure era divertente starsene a parlare in quel modo, ti sembrava che fosse perfino naturale l'argomento della conversazione. Senza nemmeno accorgercene sfociavamo alle prime esperienze sensuali per arrivare addirittura alla primordiale scoperta di quel oggetto comune al sesso maschile, e spesso ricordavamo le facce delle nostre madri sconvolte o soltanto sorprese che tale comportamento si fosse presentato tanto prematuramente nei loro piccoli e indifesi bimbi.
Almeno così dicevamo e io raccontavo con molta inventiva storie analoghe alle loro; in realtà le mie scoperte furono semplicemente individualistiche e casuali.
Ma la copertura di tua madre scandalizzata al sentore che il proprio figlio abbia scoperto l'utilizzo del diletto sensuale, beh, ti rendeva figo di fronte a quegli occhi illusi e creduloni perfino di più del guru incontrastato del sesso.
Contemporaneamente a queste mille parole scambiate tra ormai veterani dell'approccio, pensavo che non avevo più rivisto il tizio, Ryo, da quella serata giù al pub; strano che il mio incontro combaciasse nel tempo con il semi rapporto amoroso tra pisello e la sua dolce metà.. E più tempo che passava e più beh, ero meno convinto che provassi
semplicemente una modesta simpatia per quel buzzurro. Non dilunghiamoci troppo però su questo mio monologo interiore oh lettori appassionati perché è più importante portare alla luce i fatti e non le catene mentali che mi si perpetuano continuamente nell'animo.

Eravamo a cinque passi dalla stazione della metrò in uno di quei giardinetti ben ordinati e curati padroneggiato, nei pomeriggi primaverili, dal binomio madre (o padre che sia) e figlioletto.
I fanciullini, li vedevi correre maestosamente su quei prati con la purezza dipinta negli occhi ed era bello che almeno loro potessero mantenerla inalterata.
Chissà se anche io nei tempi d'oro sarei parso a un passante come tutti gli altri bambini, considerando che non avevo nessuno a lodare le mie prodezze. Andare ai giardinetti voleva dire spezzare quel rapporto matematico a 3 insito nelle famiglie "normali" e come avrete capito noi Matsumoto eravamo l'eccezione universale a qualsiasi regola comune. Forse per questo senso la nostra originalità poteva essere vantata, anche se, analizzando più a fondo non ne rimarrebbe che putredine indistinta.

Era una tranquilla serata di estate e noi la trascorrevamo nel modo più anticonformista del mondo, lontano dallo sfarzo e ostentazione dei locali fighetti, posto in cui si riunivano quei tipi che come unico denominatore comune avevano la "sbruffonaggine". Non dilunghiamoci a lungo su spiegazioni dettagliate, comprendete soltanto il principio che regola le nostre scelte di "alternativi" e imparate a farne uso e consumo quando poi penserete alle nostre avventure, ammesso che io ve le descriva in dettaglio tutte quante.

Per qualche assurdo motivo dovevamo separarci prima quella sera e non trascorrerla fino a notte fonda divisi tra chiacchiere giovanili col pretesto che fossero pseudointelletuali. Ovviamente, e lo sottolineo con enfasi, Takanori aveva dimenticato il suo fidato ombrello a casa e sempre rientrando nei puri casi della normalità qualcuno di imprecisato aveva deciso di prendersi beffa delle sue dimenticanze, tanto da mandare un nuvolone nero sopra il paesino provinciale tanto cupo e minaccioso da coprire la volta stellata.
I ragazzi alle prime gocce risero ignari, poi quando esse si fecero sempre più fitte, quasi da essere un manto indistinto di acqua, scherzarono meno. Sfrecciarono via in direzioni diverse e io come loro accorrevo a un riparo sicuro. Completamente mezzo da capo a piedi attesi solitario l'arrivo della metro, diviso tra pensieri poco piacevoli e la paura più totale che ci fosse qualche poco di buono a importunarmi. Fortunatamente ero l'unico a viaggiare in ore tanto bizzarre e con premesse della stessa sfumatura. Quello che destava in me più perplessità era il tragitto del ritorno, piuttosto lunghetto, senza la possibilità di evitare un altro inzuppamento completo e quindi di buscarmi tremendi raffreddori seguiti da broncopolmoniti durature. Mi viene spontaneo domandarmi fino a quando il caso mi verrà incontro tanto “piacevolmente”.
Sorpreso mi girai indietro notando di come una grossa macchina nera stava rallentando e ormai mi era praticamente di lato. Si abbassò un finestrino
et voilà! Inconfondibile, curato come sempre c'era l'uomo che aveva attirato la mia attenzione tanto egoisticamente, vantando un certo fascino recondito.
-
Posso darti un passaggio?- chiese gentilmente mettendo in folle.
-
Oh Ryo- sorpreso per l'incontro borbottai- Non ti preoccupare, sono quasi arrivato grazie
-
Uhm, dai sei fradicio di certo anche per pochi metri ti farà bene stare al calduccio- sorrise amabilmente.
Come potevo rifiutare una cortesia così sincera? Nemmeno il tempo di replicare ed ero seduto al suo fianco nella mia timidezza estrema, seppure l'atto del salire mi fosse venuto spontaneo. Il desiderio che lui sopraggiungesse dal nulla e ci rincontrassimo si era realizzato, finalmente.
-
Dove siamo diretti?- domandò ancora fermo al lato della strada.
Gli spiegai con poche parole il tragitto che ci avrebbe condotti alla
divin dimora ospitante il degenero regale firmato da Moi e Miss Ciabattona, attuale detentrice del titolo mondiale di trash.
Non importa che mi dilunghi sul come finì, nevvero? Sarebbe una sequenza di azioni piuttosto deducibili e meccaniche, se non fosse che il
bellimbusto ben vestito e dalla tinta anticonformista mi avesse posato gentilmente la mano sulla spalla per fermarmi e affermare immancabilmente con la luce sibillina negli occhi

-
Ora sei tu che mi abbandoni senza un motivo, Taka- aggiunse un sorriso pacato per rafforzare quella immagine che ormai aveva voluto impormi fin da subito ostentando estrema sicurezza.
Non risposi preso alla sprovvista da quella battuta che sembrava essere stata detta fuori luogo o al massimo anticipata dal maldestro attore, il quale evidentemente nel proprio cervellino aveva già superato di fantasia da un pezzo la contro risposta dell'interlocutore, ovvero io.
-
Non mi guardare perplesso, piuttosto dettami il tuo numero di telefono biondo- estrasse dalla tasca dei pantaloni in rapida sequenza pacchetto di sigarette e telefono
-
Ahh sì, okay, come vuoi...-risposta denotante una estrema e imbarazzante ebetaggine del sottoscritto. Imbambolato attendevo che digitasse i numeretti sui tasti e non davo minimo accenno di volermi alzare da lì.
-
Beh...AUG- alzò la mano per accennarmi un saluto e ripartì subito dopo, rapido e impercettibile lungo quei vialoni svuotati di vita.

Contemplai quei fasci di luce camaleontici riflessi sull'asfalto sudicio in pozzangherette distribuite senza logica, giungendo poco a poco a un
grande perché.

A rendere particolarmente memorabile la chiusura di un giorno tanto bislacco fu il rientro trionfale nella casa dell'Eroe dei giorni nostri. Non solo l'atmosfera cupa lo precedette subito dopo l'ingresso, determinando un Blackout senza precedenti, forse lo stesso qualcuno di qualche ora prima dalla postazione della sua regia trovava divertente stuzzicare quel poveretto sempre più frequentemente, ma ci s'era messo anche l'umore della donna ad alimentare l'angoscia domestica del suddetto. Tal donna, di cui il nome non ci è ancora stato svelato, credendo quei movimenti sospetti, aveva prontamente pensato di accogliere l'ospite con “
una grande sorpresa”.

Allo stato attuale si contano un paio di bernoccoli, di cui il più grosso sulla fronte, e vari ematomi sparsi per il corpo.
Di certo l'Eroe, made in Japan, si sarebbe aspettato di tutto tranne che ricevere pesanti scopate sul corpo slombato ed estremamente provato.
Il colpo di grazia (fisico) non c'era mancato. Solo dei lamenti tardi seppero far desistere la donna, -intontita da dei tranquillanti- dai propri intenti omicidi nei confronti del nuovo“
visitatore”.
-
Ma sei pazza dico io!?!- urlai isterico facendo luce con l'accendino.

Non dimenticherò mai quelle pupille
perse, inumane, opache che aveva sovrapposto al complesso vitalistico quotidiano. In più aveva appeso un viso arso dalla paura.

[Un tonfo risonante e inquieto - Fu così che cadde esanime a terra - e mi salutò per dieci minuti.]

L'aiutai a vomitare quel mix di pasticche, lottammo a denti stretti entrambi,
lei contro il pavimento e io contro la perdizione, due “p” , principio comune per futuri fallimenti.




NdA:

Come ho pure scritto nella mia BREVE presentazione,
amo la provocazione.
Ho detto che sarebbe stata una storia diversa perché così è, ma vorrei che si evitasse di pensare che io lo dica vantando la mia scrittura o chissà che sia. Lo dico semplicemente per provocarvi, per avere una reazione da voi. Non mi piace peccare di superbia, ci mancherebbe altro.

Nel prossimo capitolo scopriremo più a fondo dei lati di Takanori bizzari ;D

Ah, colgo l'occasione per darvi
Buon Natale a tutti e ringraziare GurenSuzuki per le sue recensioni <3
Valja.






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Capitolo 5
*** Kunstwerk ***


KUNSTWERK*.

Fui tormentato per interi giorni, mesi (che dico, anni) dall'immagine di LUI che entra dal fioraio per comprarle i fiori.
Per voi sarà pure una superflua fantasia, però sappiate che dal modo in cui un uomo sceglie il fiore da portare in dono alla propria dolce metà, si capisce quanto sia in realtà coinvolto nella liaison.
[Scordatevi che io vi riveli la top ten dei tipi di fiori più significativi, mica voglio avere altri potenziali rivali nel mio lavoro!]
C'è però una cosa che mi sono sempre chiesto durante quel periodo tormentoso, e che forse mi domando ancora. A quale categoria appartiene LUI?
Baldanzoso gentleman? (che Dio ce ne liberi!) Timido conquistatore? Cacciatore esperto? Oppure l'individuo indifferente? (Mi si gela il sangue al sol pensiero!)
All'epoca confidavo nel fatto che quel mazzo di rose non rientrasse in nessuna di queste categorie. Solo con l'esperienza avrei scoperto la risposta esatta al mio quesito. E poi...
LUI ERA LUI. Fine.
Da quel mondo “visionario” partì l'idea di vendere fiori e ci ricamai sopra altrettante fantasie, sapete i sognatori spesso hanno progetti futuri ancora più elaborati e precisi rispetto a quelli dei realisti.
Quando mi chiedevano cosa sarei voluto diventare usavo la copertura efficace del “pompiere” cosicché nessuno mettesse in dubbio la mia virilità. E poi avrebbe fatto colpo sulle donne, non vi pare? Ebbeh si sa che l'uomo impegnato nel sociale (stile super eroe) e al servizio dei più deboli è sempre piaciuto e sempre piacerà!
E invece mi ritrovo a ventun anni immerso le camaleontiche manifestazioni della natura.
Pompiere, Fioraio, Studente, Ingegnere della NASA qualunque ruolo avessi scelto potevo stare certo che nessuna donna avrebbe mai fatto a cazzotti per me.

Nonostante tutto questo vaneggiare inutile, nel mio piccolo mi ritengo un ragazzo estremamente generoso: ogni giorno regalo sorrisi disinteressati alle persone che incontro nel mio cammino- o almeno a me piace metterla così- ed è bello pensare a se stessi in termini tanto alti, considerando il negativismo diffuso in questi tempi.
So perfettamente che a destare nella gente quel moto d'animo, riconducibile talvolta allo stupore o alla semplice ilarità dello spirito, sono i graziosi colori del mondo che io coltivo tanto amorevolmente.
Ebbene sì, oltre a essere estremamente geloso del primordiale stupore di certi clienti alla vista dei fiori, io coltivo come se fossi una madre amorosa quei colori che piacciono tanto e che continuano a fare breccia in molti cuori.
E mentre loro esprimono la gioia che li pervade (suscitata dalla vista di una gradazione cromatica differente rispetto a quel loro opaco grigiastro quotidiano) io fotografo avidamente nella mia mente le loro facce o meglio tutto ciò che possa essere ricondotto lontanamente alla felicità, vantando un bel album di “foto ideali”. Sfogliandolo mentalmente arrivo perfino a sognare la coesione famigliare che mi è sempre parsa un orizzonte irraggiungibile.

Da Takanori non troverete solamente uno scambio di cordialità e di merci reperibili in ogni angolo della terra, ma un amico e chi è disposto a coccolarvi con i suoi “frutti della natura”. Vicendevolmente io otterrò di più che le solite mascherate quotidiane, quelle dei posti ove la gente predilige freddezza e furia. I miei clienti infatti oltrepassano la soglia il più delle volte portando un pezzo nuovo di mondo qua dentro e te lo mostrano coi loro mezzi più svariati usando tutta la calma immaginabile; tu, dietro a quel bancone circondato da mille mila particolarità arboree, aggiungi al tuo catalogo giornaliero una nuova gradazione vitalistica dell' esistere nel mondo.
Pertanto se siete indecisi da quale fioraio recarvi venite da me e vi assicuro che non ve ne pentirete affatto.
Sapete cosa da veramente soddisfazione a fine giornata? Avere incartato tanti mazzi di fiori per qualche d'uno di speciale, un tal dei tali che accoglierà quella meraviglia nel suo privato e la contemplerà innalzandone la bellezza, come del resto succede a me quando ripenso al dì che i miei occhi furono onorati di incrociare una bellezza non meno dignitosa di queste specie floreali.
E come lui aveva varcato la soglia di un qualsiasi altro negozio di fiori dedicando una mezz'oretta alla sua dolce metà, altrettanti innamorati si addentrano qui per dedicarsi anima e corpo alla persona amata. Quanto sono leziose queste creature! Come non poterne studiare – e caso mai invidiare- gli sguardi persi d'amore! Amo servire quelle solitudini isolate graziose e distinte dall'immensa spazzatura del mondo. Essere a tu per tu con spiriti spontanei come questi ti porta irrimediabilmente a sentirti sereno, quasi ti rigenerassi semplicemente grazie al loro amorevole sguardo. Invece, non suscitano in me molte simpatie quelli che entrano con passo prepotente o affrettato nel negozio e ti chiedono disinteressati “il primo fiore che hai sotto mano, tanto è indifferente”. Questi sempliciotti qui, che comprano un mazzo di fiori solo per adempiere a un obbligo sociale di cortesia, ignorando il complesso linguaggio floreale, sono i più disperati di tutti e lo leggi dai loro occhi aridi, dai loro volti stanchi e cadenti. Immersi nella materialità pura, incapaci di dedicarsi spontaneamente a un ambiente così rilassante e scambiare due chiacchiere amichevoli, non pretendo di certo da tutti un dialogo impegnativo, ma almeno un poco di educazione sì.
Pensandoci su sono una genitrice con dei principi sani anche se mi piange il cuore nel momento in cui debbo strappare i miei adorati figli dalle loro culle, recidere i loro legami-radici, vestirli affinché possano attrarre l'attenzione dei passanti e divenire merce di guadagno. Mi sento in qualche modo un traditore, un puttaniere della peggiore specie.

Ma in fondo in fondo, cosa potevo farci se amavo così tanto le mie creature? Ero pazzo d'amore per loro, calcavo in loro il rapporto ideale che fin da piccolo immaginavo d'avere con la mia mamma naturale. Ai miei occhi ella era qualcosa di assolutamente puro, benché fosse fatta di carne e passioni terrene, e quindi veniva associata alle cose pristine circostanti. Tutti i bambini considerano le loro madri qualcosa di “bello”, anzi, la cosa più meravigliosa che c'è nel mondo. Io non ero convinto del fatto che quella singolare dolcezza potesse ricondursi in qualche modo a me, essendo frutto del suo seno, strasicuro che Takanori e graziosità dimorassero in due luoghi ben diversi. Tuttavia avevo continuato a cercare attorno segnali della sua presenza e non mi davo mai per vinto, ancora non ero esausto di tutte quelle ricerche infondate.
La disperazione ti porta a fare queste stronzate.
Forse è questo il motivo per cui mi ostinavo a recitare e ad assumere il ruolo asimmetrico-genitore nei confronti dei miei prodotti di lavoro. Naaaa, se fossero stati semplicemente merce mi sarei sentito alienato pure nel mio lavoro. Invece per me il lavoro da sempre equivale alla parola orgoglio, non tanto di ciò che si guadagna, bensì delle proprie capacità.

Com'è ovvio che sia di tutta questa concezione del mio lavoro non ne avevo mai parlato a nessuno, figurarsi a quegli imbecilli dei miei amici, mi avrebbero preso in giro per tutta la vita. Quando eravamo in tema, dicevo che era stato il primo buco che avevo trovato e allora Pisello ci scherzava su dicendo che forse era l'unico buco che avrei mai trovato. La Sedicente Feccia dunque stava al gioco e iniziava a prendermi per il culo a ruota. Cercavo di evitare l'argomento a priori con loro, tanto non avrebbero mai capito nulla dei miei sentimenti e sinceramente poco me ne importava.

Una sera, quando abbassai il bandone del negozio segnalando così il cambio ruolo da Fioraio a Takanori, mi successe la cosa più bella del mondo, e non scherzo quando lo dico.
Ora, vorrei vedere le vostre facce, per capire a cosa state pensando. Fosse per me, vi terrei sulle spine sadicamente e solamente alla fine vi rivelerei questo evento eccezionale...ma in via del tutto straordinaria farò un eccezione per voi. Ecco, dicevo, presente quando si è stanchi, un po' mesti e terribilmente scocciati di tornare in un posto che non ci piace tanto? Bene, io mi sentivo decisamente a quel modo, e non avrei desiderato altro che un letto bello comodo per le seguenti tredici ore con tanto di addio in gran stile al pianeta.
Finalmente qualcuno era venuto a cercarmi, nel momento e luogo più inaspettato. Mi brillarono gli occhi d'un bagliore intenso e esclamai tutto intenerito
-Ma ciau come sei cariiiiiiiiinoooooooooo tuuuu!- era stato amore a prima vista.
Una piccola palla di pelo nera mi guardava con due occhioni grandissimi da sotto e chiedeva attenzioni, possibilmente differenti dalle brutte “carezze”. Era un randagio abbandonato al suo destino che di certo non avrebbe avuto un avvenire felice se non mi avesse incontrato.
Ammaccato ovunque, piuttosto malnutrito visto che gli si vedevano le costole e di sicuro prossimo alla morte.
Io dove potevo metterlo questo nanetto tanto simpatico? La mia coscienza mi impediva di abbandonarlo lì, cavoli, mi sarei sentito complice di un delitto assieme a chi l'aveva lasciato in quello stato di degrado assoluto (era impossibile che fosse nato sulla strada, qualcuno doveva averlo barbaramente gettato fuori dalle loro esistenze). Sentivo una certa affinità a questa bestiolina, sia per la nostra statura (entrambi siamo dei bei nanetti a quanto pare eh!) sia per la simpatia che suscitava col suo musino tenero tenero, specie per quelle sopracciglia marroncine che davano la parvenza di un omettino tanto fedele. Ragazzi il mio compagno a quattro zampe era un indifeso chihuahua nero focato col pelo lungo lungo, così mi disse il veterinario sotto casa mia dopo avergli fatto non so quante punture contro potenziali malattie killer. Si faceva fare di tutto la palla di pelo, a patto che sentisse di potersi fidare, e infatti si mostrò collaborativo con entrambi; aveva compreso di poter morire se avesse agito diversamente. Mi furono raccomandate una sfilza di tipi di alimento e una dieta equilibrata per far sì che la sua infiammazione al colon venisse a scomparire; probabilmente nel periodo randagio si era accontentato di qualsiasi schifezza avesse trovato arrivando a infiammarsi prontamente l'intestino.
Quando uscimmo dall'amico dottore degli animali, provai ad affibbiargli un nome, tanto per distinguerlo dal gatto bastardo Rossano, quel obeso felino fulvo regnante tirannicamente in casa Matsumoto ,appropriatosi della poltrona verde che nessuno voleva. Altro problema: come potevano andare d'accordo quei due in una casa minuscola come la nostra? Il re dei Felini aveva marcato il suo territorio con le “pisciate a dispetto”(come amo chiamarle io) in segno di protesta contro me e la mia matrigna quando lo sgridavamo. Ebbene sì, avevamo pure il gatto anarchico noi, non ci facevamo mancare proprio nulla.
Intanto al simpatico musino affibbiai il soprannome di Koron, giusto per gradire, dati i suoi problemini. Piccolino lui, era condannato all'eterna infelicità intestinale! Lo pensai con una punta di sarcasmo mentre il peluche animato continuava a guardarmi con chissà quale pensiero per la testa.
Perfino lui si era fatto una idea del sottoscritto. Almeno spero che mi consideri un padrone in grado di amarlo e di dargli una esistenza migliore.
Adesso avevo un altro figlioletto acquisito da accudire. Questo il mio apprendistato sociologico in vista di una futura famiglia felice.


NdA:

*das Kunstwerk (n): dal tedesco kunst = arte e werk = lavoro; quindi “opera d'arte”.

Qui inizia già a disvelarsi il leitmotiv di tutta la storia che sto provando a raccontarvi e devo ammettere che è stato piuttosto difficile esprimere tutto questo. Non saprei nemmeno dire perché, ma penso che manchi qualcosa ancora, in sostanza non sono totalmente soddisfatta di com'è venuto fuori il capitolo. Sì, sono una perfezionista, forse come la maggior parte di voi.
Ho ricambiato per l'ennesima volta la presentazione perché ero ancora alla ricerca della frase essenziale che potesse presentare la fiction e questa, estratta da questo capitolo, mi sembra quella più ideale e reale. Ho deciso che terrò questa, a meno che non mi prenda lo sghiribizzo o il genio artistico e riesca a trovare qualcosa di meglio (ma non penso).
Questo è il capitolo che vi lascio da leggere per adesso, prima di scomparire tra i libri.
Tornerò probabilmente tra un mesetto con un capitolo nuovo, per adesso gustatevi questo ;D

Valja.

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Capitolo 6
*** La pantomima della sublimazione amorosa ***


La Pantomima della Sublimazione Amorosa.


Lui era il tipico stronzo mozzafiato, dall'incedere audace e lentissimo, pronto a toglierti minuti preziosi della tua esistenza soltanto sfoderando quel sorriso serrato, anche se il più era giocato dal suo sguardo impenetrabile, che a sua volta era capace di paralizzarti e i sensi. Non saprei dire se fosse più pericolosa la dimostrazione di onnipotenza generata dalle sue pupille nere o quella scaturita dall'impostazione di tutta la sua figura longilinea. Di sicuro quello lo avresti notato ovunque, anche nei paesi in cui il canone orientale non è considerato (e qui aggiungo erroneamente) parte integrante del concetto di bellezza. Avevamo deciso di frequentarci nella stagione invernale. Solitamente lo aspettavo alla stazione del metro, ovviamente quella ubicata nelle vicinanze del plesso dove egli spendeva la propria interessante giornata lavorativa; lo attendevo anche intere ore con le cuffie nelle orecchie ascoltandomi canzoni melense,visto che ero tutto preso dalla parola “noi”, a tal punto da non poter perdere un briciolo di tempo nell'osservare i passanti. Per la prima volta mi sentivo fortunato di fronte alla mia misera vita, per una volta il fato aveva baciato la mia fronte amorevolmente come sogliono fare le madri amorose coi propri figli prediletti. Avevo una possibilità di uscire da tutto questo schifo. Ryo era la mia porta di accesso secondario al grande mondo della felicità, non che mi figurassi grandi cose, sono sempre stato un tipo a cui basta poco per considerarsi “soddisfatto” (preferisco non alludere alla gioia totale dei sensi, onde evitare la chiamata della sfiga in anticipo). Quando l'ora dell'appuntamento si avvicinava NON facevo altro che cercarlo tra la massa, il mio Ryo, e già il suo nome mi arrivava dalle labbra alle orecchie con suono ameno (avrei scoperto più tardi che suddetto nome mi sarebbe perfino giunto al cuore). Da qui si capisce quanto fosse vitale anche solo il fatto di sentire un qualsiasi schioccar di labbra pronunciare un suo omonimo, ed ecco che mi separavo (nemmeno sapendo come) dal tutto e diventavo un automa Ryo-dedicato. Tanto più lo guardavo giungere da me con quel suo passo elegante e distaccato, mentre spuntava lentamente fuori da quel tunnel fuligginoso, tanto mi convincevo della sua unicità, associandolo alla figura del cavaliere senza macchia e paura, fautore di un amore sincero. E mentre lui avanzava, NON riuscivo a NON pensare che alle sue piccole particolarità, dallo sguardo che mi rivolgeva per salutarmi, da come si muoveva in mezzo alla gente, NON riuscivo a staccargli gli occhi di dosso. Era difficile dimenticarsi del suo essere Ryo con tutti quei richiami circostanti e mille riferimenti. Mi sembrava che in quel periodo le cose più contingenti assumessero connotati in qualche modo coinvolti con lui o col suo modo di vivere. Finalmente sapevo che esisteva pure lui nel mondo, l'uomo dei miei sogni. Potrei dilungarmi per ore a spiegarvi di come mi porgeva il saluto o con quale disinvoltura mi cingeva le spalle e ci avviavamo da qualche parte. Forse tutto questo NON denota che il sottoscritto è totalmente devoto alla sua figura di Gentleman? Nel momento in cui sono al suo fianco mi permetto di NON rimuginare troppo, ma so perfettamente che quell'angolo dove lui ha detto questo e quest'altro in futuro avrà un significato diverso, magari pure malinconico; Ho costantemente quel vago presentimento che prima o poi ripasserò per quel posto sacro senza di lui, magari ripensandolo mestamente ...Oddio Ryo mi manda in tilt il cervello. Lui è anche quel tipo di persona che ti fa sminuire involontariamente, mi chiedo se vicino a lui così bello e alto potessi parere un incidente della natura, io che di grazioso ho ben poco nel mio essere minuto, benché tenti di esternare cotanta sicurezza additatami più d'una volta. Certamente ero invidiato moltissimo, vista la mia posizione privilegiata al suo fianco e il senso di possessione inconscio dimostrato da lui in rare occasioni (seppure illuminanti riguardo a certi suoi atteggiamenti). A Ryo potevi perdonare tutto, anche quel suo lato nevrotico spiacevole che spesso allontanava tutti gli altri tranne me (a dire la verità compresi di avere davanti un soggetto un poco nevrastenico solo molto dopo, all'inizio notavo solo sprazzi non diffusi di malessere). Dopo qualche mesetto conoscevo molto di lui e lui credo che mi considerasse una sorta di psicoterapeuta, tanto si spingeva a confidarmi i suoi segreti e pensieri, anche i più indicibili per la stupidità di fondo. Nonostante tutto, rimaneva nella mia testa materializzato sempre come l'ideale degli ideali e sotto l'etichetta “pregevole e d'ottima forgiatura”. Anzi, mi ero perfino convinto della strampalata idea che la sua agitazione determinasse il mio acceso interesse nel scoprire cosa ci fosse in fondo al pozzo. D'altro canto come avrei potuto motivare questa mia tendenza a cercarmi dei malati? Se lui era malato io sicuramente lo ero più di lui. Secondo voi, e qui interpello la vostra sensibilità, uno che prima di ogni appuntamento ritaglia attentamente dal giornale il riquadro contente il proprio oroscopo e quello di Ryo e li attacca sulla bacheca personale di camera in modo ordinato e cronologico, non è forse più MALATO del tipo a cui va dietro?
[Oltretutto pecco di prolissità, perdonatemi]

Tutto questo fine collegamento di pensieri sparpagliati si dissolveva all'improvviso non appena lui intrecciava le sue dita calde alle mie ghiacciate e mi faceva notare, con una certa insistenza, quanto fosse inquietante quel particolare su un nanetto come me. Allora mi staccavo dal suo corpo protettivo e mi fingevo indiavolato proseguendo di qualche passo da solo, lasciandomelo alle spalle. Al massimo resistevo qualche secondo, poi sentivo la necessità di voltarmi (e cedergli), cercarlo con lo sguardo e pensare che fosse di mia appartenenza.
Quella sera che mi portò a cena fuori, reagii allo stesso modo. A dire la verità ero solito farlo quando il signorino si divertiva a notare quanto fossimo strani insieme, il gigante e il nano. Allora rideva divertito, riprendendomi tra le sue braccia come se fossi una trottolina, impedendomi così di scappare dal suo dominio incontrastato.
Mica si era accorto che quello strampalato era solo lui [TSK. Permettetemi qualche rivincita personale ogni tanto].
Dicevo, passato il momento di ilarità, Ryo si fermò d'un tratto come colto da un'idea, forse una delle sue solite stramberie solipsistiche e mi disse con tono secco
-Bello che sei- e togliendosi un guanto di pelle mi afferrò il viso, respirandomi praticamente sul viso- Una volta mangiato potremmo pure chiuderci in bagno e fare l'amore- ed ecco che la sua sfera animale era giunta alla rivelazione. Non appena vide il mio viso attonito lasciò la presa, pronto a fumarsi l'ennesima sigaretta col solito volto serio appeso.

Chiacchierammo tutta la sera piacevolmente e io al solito pendevo dalle sue labbra sapienti, conoscitrici di ogni anfratto e porzione di pelle, quelle labbra così cariche d'esperienza che cercavano solamente carne nuova per ripetersi dal principio nella loro ricerca affamata.
Avevo intuito che a Ryo non potevo dare segni di attaccamento evidenti, quali i nomignoli che ci si è soliti scambiare tra innamorati, oppure qualsiasi altra frase struggente. La parola con lui doveva essere abolita, taciuta. Al riguardo mi illuminò sia quella serie di racconti che mi fece del suo passato amoroso sia la sua intrinseca paura ad attaccarsi alle novità. Lui tanto forte, tanto indipendente dal mondo infondo infondo sapeva benissimo il pericolo che avrebbe corso seguendo il sentimento. Mi domandai se a trentanni fosse ancora legittimo scappare.
Venivo puntualmente tradito nel mio intento di distacco dal modo in cui lo guardavo. Gli occhi trasudavano l'amore che non potevo donargli se non con languidi e taciti sguardi.[ Soffocavo sempre di più quell'istinto amoroso latente in me, quel desiderio profondo di chiamarlo Amore mio ]
Devo ammettere che la consapevolezza di non potergli dire quanto lo amassi mi destabilizzava. Allo stesso tempo, sembrava frenarmi quella freddezza creata da Ryo nei momenti deliranti in cui mi raccontava di come delle tipe si fossero innamorate di lui in pochi mesi e gli avessero detto
-TI AMO- rigirava l'accendino tra le dita allungate e aggiungeva- Ma come potevano amarmi in realtà dopo due mesi? Scopavamo e basta. Come potevano amarmi?- e non pareva accorgersi di quali pugnalate mi stesse tirando. Non perché fossimo andati a letto o chissà cosa, ma per il semplice motivo che a un uomo come quello non potrai mai dichiararti e vi assicuro che realizzarlo fa molto più male di quanto non sembri. Mi sentivo annullato. Ciò nonostante mi imposi un obiettivo nei confronti suoi, sarei stato io a farlo cambiare, a non farlo più fuggire dalla coppia.

Studiandolo mi accorsi che non aveva certe finezze del fin amator e qui mi riferisco alle due o tre tattiche seduttive che si imparano uscendo con qualcuno; anzi a volte mi sembrava perfino più impacciato di me nell'approcciarsi col mio corpo. Mi chiedo a questo punto come interagisse con le donne durante il “corteggiamento”, se così si fosse potuto chiamare. Io invece lo stuzzicavo come potevo. Sarà per quello che finimmo la serata a casa sua. Fu la prima volta che andai a letto con Ryo.


Contrariamente a quello che mi aspettavo il suo piccolo appartamento era molto pulito, non mancando di splendore neanche negli angoli più nascosti. Indice di un uomo attento, amante dell'ordine e forse più complessato delle casalinghe doc.
-WOW come sei ordinato- esclamai passando un dito sopra al ripiano pulito della cucina per saltellare successivamente vicino al tavolo.
Sorrideva e mi guardava mentre finiva la tediosa operazione di rimozione della scarpa destra sulla soglia di casa, ovviamente mantenendo il più assoluto silenzio. L'attimo successivo mi dava le spalle, seduto sullo scalino, forse avendo convenuto che appoggiato avrebbe fatto meno fatica in quell'atto meccanico. Ed eccomi a coglierlo dolcemente di sorpresa con le dita insinuate al di sotto della camicia, che tentoni cercavano di liberarlo dal raso nero. Mentre ero dedito a quella attività piuttosto singolare giunse alle mie delicate narici un intenso odore di maturità, per lo più rappresentato dal forte aroma sprigionato dalla sua pelle lasciva e da quell'acqua di colonia tanto audace quanto penetrante. Mi eccitai.
Cominciai a mordergli delicato il lobo salendo fino alla cartilagine e lui sotto il mio dominio farfugliava qualcosa tenendo gli occhi chiusi.
-Taka questi sono giochetti pericolosi-
Non mi interessava se fossero realmente tali o cosa, avevo voglia. Evitai di rispondergli concentrandomi meglio su altri dettagli. Certo che stentavo a rendermi conto di essere nella casa di quell'uomo affascinante che molti anni prima avevo timidamente sognato al mio fianco. Se non fosse stato per l'olfatto, mica ci avrei creduto che quello era veramente il biondo mozzafiato e tanto meno di starlo toccando tanto famelicamente. Ancora i respiri erano regolari ma gli animi in fiamme.
Lasciai che si alzasse, seppure in quel modo avessi un vantaggio di altezza non del tutto sottovalutabile.
-Insomma non me la mostri la tua cameretta Boy?- incalzai per spezzare l'atmosfera creatasi.
Lui mi guardò come per sottolineare che avevo fatto una emerita stronzata a parlare in quel momento, e io sapendolo misi un visetto divertito.
-Beh se sei proprio così impaziente di fare un giro turistico della casa...ti accontento- e si mise bellamente a mostrarmi veramente tutte le stanze, enumerandole e aggiungendo ai loro nomi alcuni dettagli bizzarri. Mi rilassai e feci male, perché questa volta fu lui a cogliermi alla sprovvista buttandomi sul suo letto.
-Sottomesso, Sir- mi leccò la guancia giusto quel poco, come se fosse un gattino
Risi, risi e risi. Certo che solleticandomi non poteva farmi venire fuori altre reazioni, mi sembra scontato. Era stupido, come piaceva a me, e io ero ingenuo, come faceva comodo a lui.


Finì per essere la solita cosa meccanica.
[ Era sesso]
In quelle scene confuse sentii solo il richiamo della carne.
 [Era stupido sesso]
In un attimo mi fu chiaro che non avevo bisogno di lui,
[ Era sesso scontato ]
Esattamente quando con aria distaccata mi aprì le gambe e cercò la mia via di accesso.
 [Era solo sesso]


Accanto a lui mi sentivo morto dentro.
Finì che la cosa più dolce del mondo mi fece ribrezzo.
...

Io non me lo ero mica immaginato così...Nelle mie fantasie lo volevo coinvolto, volevo più carezze, volevo più impeto animalesco, volevo sentirlo mio tutto...volevo che fosse indimenticabile la prima volta con lui...insomma lo volevo totalmente innamorato.

-Ti prego smettila, mi fai male- mi dimenai conficcando le dita nelle lenzuola.
-Per carità, se deve farti male...non voglio che tu soffra- mi richiuse le gambe di scatto e mi portò al suo petto. Aveva un non so che di patetico e schifoso tutto questo.

Andai a fumarmi una sigaretta in cucina, dopo le mie constatazioni.

Patetico, veramente. Altro che la durata erculea e dimensioni spropositate che vantava ogni volta nei messaggi o direttamente nel mio orecchio. Ero invelenito, ferito ma tremendamente innamorato. Tanto lo sapevo che gli avrei perdonato pure l'evidenza, e come se lo avrei fatto. Cercavo di convincermi del fatto che non si fosse totalmente eccitato perché il profilattico davvero gli dava qualche problema e non si sentisse a suo agio indossandolo [Me lo aveva detto subito, quasi cercando di difendersi o meglio di difendere il suo orgoglio ferito di uomo].

Lo trovai disteso a letto con lo sguardo nel vuoto. Fu così che, impietosito, gli misi la sigaretta in bocca
-Dai fumaci sopra- lui fu catturato dalla turgidezza del mio sesso imponente ancora insoddisfatto, che gli era praticamente di fronte al naso.
Mentre gli accendevo la cicca mi teneva la mano sul gluteo infreddolito, quasi per non farmi andare via. Dovevo ammetterlo, aveva lo sguardo da cane bastonato.
-Ryo sono io che non ti piaccio forse?- glielo chiesi spontaneamente
-No, Taka. Anche ad altri glielo fa...davvero. Mi spiace...-
Non gli proposi neanche altre soluzioni alternative, tanto farsi dominare da me non era nemmeno da pensarlo.
Però un piccolo capriccio personale volevo togliermelo, non ero del resto in grado di prendermi cosa volevo? Se non fosse stato il suo cuore mi sarei preso altro.
Lo riscaldai a modo mio, come potevo far meglio. Lui ne fu felice e apprezzò molto le doti della mia bocca.

-Notte- dormimmo dandoci le spalle.

L'indomani mi alzai molto presto, per un fattore di abitudine non per altro, e felicemente constatai che Ryo dormiva profondamente. Ero sollevato, la notte era passata velocemente.
Afferrai il cardigan e tutto ciò che avevo scaraventato a terra, perché mica mi aveva spogliato il signorino -avevo dovuto fare da solo quella parte- e me ne andai via.
Di me rimasero solo saluti freddi impressi in un bigliettino sul tavolo,
e quel “CRETINO” scritto sulla pancia del biondo con l'eyeliner.


Evitai di pensarci ancora, preferivo concentrarmi su cosa mi avrebbe atteso a casa; ormai era tutto un programma “la nostra famiglia”.
Girai la chiave nella toppa due volte prima di accedere nel caos. E, davvero, stavolta lo era. C' era una indescrivibile quantità di roba in terra, scaraventata con una indicibile rabbia contro il pavimento e pezzi disseminati di cotto rotto, di sicuro per l'urto. Subito pensai ai ladri e mi precipitai dentro a ogni stanza chiamando mia madre; e qui farei notare il dubbio mestolo che impugnavo come difesa e la paura che mi era entrata addosso. Il fatto più inusuale era che neanche Koron si vedeva a giro; di solito i cani sentono sempre se c'è un intruso. Beh Rossano il gatto bastardo è un capitolo a parte, lui vive nel suo mondo obeso isolato da tutto.
Quando arrivai in camera la trovai a letto con Koron ringhiante vicino.
-Mamma! mamma!- la strattonai due o tre volte, ma non mi rispose. Continuai a chiamarla disperato tenendomela stretta tra le braccia. Finalmente dette un segno di vita
-Takanori...ma che ore sono?- era leggermente assente.
-Sono le sei. Cosa è successo? Cos'è quel caos giù? Diavolo! Pensavo fossero entrati i ladri!-
-No, nessun ladro-fece segno di mettermi seduto- è tornato tuo padre...-




E sentii tutta la pesantezza del mondo gravarmi sulle spalle.





NdA:

La tragedia si è compiuta del tutto o quasi.
Questa è forse la parte che più può risultare banale rispetto al resto, me ne rendo conto, ma è fondamentale per la coppia. Del resto si tratta di una tragicommedia no? Quindi bisogna soffrire prima o poi, come nella vita di tutti i giorni.

Non aggiungo altro in merito, oltre alla spiegazione doverosa del titolo. Scusate la mia frammentarietà e ermetismo, non sono in vena di dire di più, anche perché sarebbe un puro spoiler aggiungere altro materiale integrativo.

Come vi sarà ben noto la Pantomima è la rappresentazione muta di un'azione scenica, che viene espressa mediante movimenti corporei e gesti. Va detto che è utilizzata prevalentemente nel balletto e quasi elude il teatro d'opera, se non per rappresentare scene di particolare suggestione.
Se portiamo su un piano pratico ciò che esprime la teoria, e ivi specificatamente la fiction, avremo che la scena di suggestione e tensione è rappresentata dall'atto sessuale. Tuttavia ho voluto riprendere l'abolizione della parola anche per dare un ulteriore senso al rapporto creatosi tra i due uomini.
La sublimazione amorosa è invece riferita al monologo, quasi delirante e con toni patetici, di Takanori che fa nella prima parte e che ci spiega irrazionalmente, perché è il sentimento che parla, la visione che ha del rapporto amoroso.

Grazie per aver letto,
Valja.



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Capitolo 7
*** Vecchi parrucconi in potenza ***


Vecchi parrucconi in potenza.


« Viviamo in un mondo regolato da precisi ingranaggi, assemblati complessamente tra di sé affinché possano controllare un intero sistema evitando difformità, stranezze di qualsiasi genere e natura. Io non sono un ingranaggio né tanto meno vivo sotto il giogo di un razionale macchinario; allora che qualcuno mi spieghi perché si pretenda che reagisca meccanicamente anche ai sentimenti, perfino quando è in ballo l'amor puro. Io non ho fili elettrici capaci di alimentarmi finché arriva la corrente, tanto meno vanto di bulloni disseminati nel corpo né reagisco agli stimoli con un linguaggio predefinito. Sono fatto di ossa, legamenti, pelle e sentimenti. Non posso essere riaggiustato con le pinze, tenaglie o pappagallo, le mie ferite si cicatrizzano solo dopo aver versato sangue. E non sono nemmeno da rottamare quando il mio hardware si fonde, tutt'altro. Se il cervello mi si crasha non esiste nessun tecnico che possa ripararmi, sarebbe come dire che un chirurgo riassembli parti meccaniche delle persone. »



Certe persone proprio non possono essere salvate.
Si impara a nostre spese.
Papà e Ryo erano due esempi lampanti di questo insieme disgiunto dal resto del mondo.
Chissà se vuoti o no, almeno loro speriamo che siano coincidenti tra di loro.
Molto molto complessi.
Almeno ora riesco a spiegarmi perché tutti e due hanno scelto percorsi matematici, i numeri complessi devono stare da sé, in un universo parallelo con le loro coordinate, benché contengano tutti gli altri. Questi numeri non esistono, sono immaginari.
Specialmente nella vita di tutti giorni essi sembrano dissolversi tra i loro calcoli astrusi e lasciare tutto il resto sotto chili di polvere. Questo volevo provare a spiegarlo a mia madre, con semplici parole, perché ero sicuro che mi avrebbe capito, in fondo non eravamo nella stessa situazione sentimentale? Abbandonati, usati, lacerati senza nessun motivo apparente. E io mi riconoscevo nella follia albergante dei suoi occhi, come lei poteva rispecchiarsi in quella che i miei emanavano in risposta alla sua. Per la prima volta sentivo di doverle riconoscere almeno qualcosa, l'umanità del dolore. La rassicurai prima che cadesse nuovamente nel sonno più assoluto, quello che la strappava da settimane dal ritmo folle della vita. Stringendola tra le braccia mi sentivo pure io nelle fila dei traditori, sapevo che col mio atteggiamento solipsistico l'avevo ignorata da sempre, offuscato dall'odio represso e considerandola inferiore in tutto, senza mai averla ascoltata realmente.
Io questa donna l'amavo e fu quell'attimo evanescente a farmelo capire, quando colsi l'odore delicato di una madre venirmi a cercare mentre la stringevo.
-Mamma svegliati che dobbiamo andare...- in realtà non saprei dirvi se mi sono mai rivolto a lei così, ma stavolta c'era tutto il sentimento d'amore che le avevo negato fin da quando aveva varcato la porta di casa.

Ricordo benissimo che quando mi fu presentata come “madre” io la rinnegai, non la volevo nella mia casa, nella mia intimità quella sconosciuta, non l'avrei mai potuta accettare. Io volevo solo la mia mamma, la donna che mi aveva portato in grembo tanto amorevolmente per sette mesi.

Lei non pareva neanche rendersi conto di dove fossimo non appena le mie parole la toccarono dolcemente. Aiutai a farla alzare, ma la sua debolezza fece sì che il suo peso gravasse su di me.
Fui uomo, l'uomo che aveva sempre sognato in quei momenti e che ahimè non era mai stato capace di esserci. La lasciai in ottime mani, sicuro che i medici si sarebbero presi cura di lei mentre io ero via a rimettere apposto la nostra vita.

Stringendo il volante della mia piccola utilitaria non mi ero mai sentito tanto motivato nel fare qualcosa, solitamente ero ucciso nei miei intenti vitalistici dal dolore o dalla quotidianità del circostante. In qualche modo era come se un tubo invisibile mi risucchiasse tutto l'entusiasmo per vivere, per riuscire a essere felice provocandomi la sensazione sgradevole di stare in un posto schifoso. Scattai al verde fluorescente e giù per la via che mi avrebbe condotto verso l'inizio della fine.
Era uno splendido mattino di un tanto anonimo giorno di febbraio, fatto di luci soavi e lampadine spente della cittadina, ricordando che c'era da risparmiare in quel periodo di crisi nazionale. Evidentemente però a casa di quel simpatico signore si trasgrediva alla grande quello sforzo unanime per avere energie da sfruttare in un futuro venturo. Non ci fu nemmeno bisogno che l'attesa durasse a lungo perché mi venne subito incontro il diretto interessato al primo toc sulla porta.
-Buon giorno, cosa posso fare per lei?- in un formale giapponese col solito sorrisetto di circostanza a ricordarti che sei totalmente un estraneo e tale rimarrai
-Potresti comportarti da persona seria, papà- controribattei invelenito in uno slang periferico.
-Takanori...-parvero mancargli le frasi di effetto sfoggiate poco prima.
-Fammi entrare, dobbiamo parlare- feci segno di farmi spazio. Di sicuro non mi sarei comportato così in altre situazioni, ma lui se lo meritava eccome.
Fui accontentato, almeno si sarebbe risparmiato che il vicinato lo sentisse discutere con me.
-Vedo che tuo figlio è stata la priorità assoluta una volta rientrato in città, vero? Forza da quanto è che sei qui?- inveii subito
-Takanori calmati un attimo e ne parliamo da persone civili- mi zittì con la sua freddezza.

Cercai di trattenere tutta la rabbia accumulata dentro, ricordandomi che lui era l'unico a cui potevo chiedere qualcosa di più, l'unico che mi era rimasto in famiglia. Non vi sorprenderebbe affatto sapere che l'albero genealogico dei Matsumoto vanta di molte diramazioni, perfino straniere e intricate, ma al suo interno sembrano esserci motivi oscuri, talmente tanto oscuri da separare segretamente buona parte degli appartenenti, o meglio noi. Il primo ricordo familiare che ho è piuttosto bizzarro e lo ammetto qui, dove nessuno di loro può rintracciarmi o controribattere. Fin da quando ero molto piccolo associo con estrema fatica una faccia al ruolo di zio, mi era più congeniale immaginarmelo con i volti proposti dai libri per bimbi, dove ci sono raffigurate le famiglie felici e con delle belle facce. Disteso sulla moquette, in quei pomeriggi fanciulleschi interminabili, mi chiedevo dal cantuccino mio se anche i miei avi o parenti avessero bei visi come quelli che vedevo, sognavo. Sorridenti, amichevoli, gioiosi. Io a differenza degli altri bambini non lo sapevo affatto cosa fosse il regalo di Natale dei nonni ed essendomi abituato alla totale mancanza di certe figure di riferimento, ignoravo completamente la loro importanza. In me era maturata la stessa freddezza di mio padre, quella che ricordo gli leggevo sempre sul viso scuro alla fatidica domanda “ma i nonni quando li andiamo a trovare?”
Conoscere i suoi tabù e accettarli mi aveva reso esattamente il riflesso della sua aridità umana, un robot incapace di amare. Poi ruppi questi vincoli, stufo di essere legato da troppe regole a un mondo che mai mi era appartenuto e tornai finalmente a vivere. In un certo modo sapevo di avere dentro qualcosa di speciale tramandatomi da mia madre, la donna che mi aveva concepito. Ancora oggi mi chiedo se quando la sua pancia fu feconda fosse stata sola, e lo sguardo distaccato di questo uomo me lo conferma. Lui c'era solo per donarle il suo seme, per darle me e poi abbandonarci.
-E va bene, ma vedi di girarci poco intorno- lanciai una occhiata bigia contro la sua persona calma e posata.
-Posso capire che tu sia arrabbiato, ma vedi ho le mie buone motivazioni per aver fatto le mie scelte- prese una tazza e mi indicò il tè. Feci un cenno di diniego, al che si versò lentamente il liquido verdastro nella tazzona. La sua lentezza mi innervosì a tal punto che sbottai in una romanzina piuttosto sentita
-Avrai pure le tue motivazioni ma ti sei comportato da cane, non ci hai lasciato un centesimo per condurre una vita decente. A fine mese ci arriviamo a stento e tu intanto vai a giro con le tue puttanelle...-
-Avrò pure sbagliato come padre, ma si può sempre rimediare...-ribatté estraendo un libretto degli assegni dai pantaloni
-E ora intendi rimediare coi tuoi sporchi soldi la presenza che non ci hai mai dato?- aggiunsi velenoso
-Di altri rimedi non mi pare che ce ne siano, figliolo, al momento. Sai che ho molto da fare per lavoro ma che ti ho sempre voluto bene- strappò quell'assegno dal blocchetto porgendomi una possibilità nuova. Al principio non avrei accettato, ma quei soldi mi servivano per curare mia madre.
-Li prendo solo per curare tua ex moglie, non perché voglio l'elemosina da te-continuai sulla linea dell'acidezza.
-Perché che cosa ha?-parve volersi informare riguardo alla sua salute, lasciando passare le mie risposte
-è ricoverata in una clinica...Pare che sia affetta da demenza senile- osservai il bordo del centrino sul tavolino tra di noi come se fosse qualcosa di estremamente interessante.
-Oh, mi spiace-si interruppe dopo questa frase convenzionalizzata e adatta a tutti i nomi e sessi che ci si volevano mettere- Takanori aspettami qui, vado a prendere una cosa- si alzò di scatto come se fosse stato illuminato da qualcosa di detto.
Non sapevo minimamente cosa fare, chi odiare, cosa pensare di tutto questo. Ero terribilmente confuso e affranto da un dolore tanto profondo da essere incapace di muovermi, perfino da quella poltrona dove avevo trovato un momentaneo riposo.
Tornò da me con una scatola tra le mani, sapete una scatola normalissima da scarpe però elegantemente decorata con fiorellini laccati sopra ad arte. Quando tolse il coperchio mi mostrò implicitamente un mondo nuovo, costruito con la stessa minuziosità del suo “guscio”, tra scatoline e quadernetti color pastello.
-Questa scatola era della tua vera madre. Mi ha chiesto di fartene dono solamente quando avresti raggiunto ventuno anni, l'età in cui morì di parto- me la posò sulle ginocchia fragili, che in quella rivelazione avevano trovato un ulteriore peso da sostenere oltre quello dell'anima e del corpo.
Il mondo non mi era mai gravato così tanto sulle spalle. Caddi in un fosso profondo non so nemmeno lungo quanti chilometri, consapevole solamente del fatto di essere anonimamente solo.
[Lei non se ne era andata come mi era stato sempre detto, lei era morta per darmi alla luce]
Passarono forse le ore più tragiche della mia inconsistente vita attraverso le spiegazioni dettagliate di alcuni ritagli di esistenza che avrei dovuto accettare e integrare nei miei ricordi inaccessibili. Di sicuro quegli occhi stanchi aggiunsero molte emozioni al non detto, implicito pure in modi di porsi e gestualità confusa. Sottovalutai il dolore che ci avrebbe provocato rievocare vivamente tutta la nostra storia escludendo la possibilità di un pianto silenzioso quanto sincero.

Finii ancora di cercare mia madre nel corpo di Ryo, illudendomi che il suo amore materno potesse coesistere con quello carnale di un uomo, poco incline ad aprirsi a me. Nonostante non capissi più chi fosse quel uomo per me, precipitai sotto casa sua, mi feci aprire e gli caddi tra le braccia ancora una volta, più indifeso della volta precedente.
Mi accolse stupito con la mente lontana, forse pensando a quei calcoli astrusi che da diverso tempo lo impegnavano in nottate intere senza la più remota possibilità di vedersi. Che razza di uomo è uno come lui? Non riuscivo a realizzarlo al momento e nemmeno pareva tangermi più di tanto.
-Ryo facciamo sesso-fui lapidario e irremovibile nella mia richiesta, già occupandomi della sua maglia.
Lui rimasto di sasso dalla mia frettolosità si fece spogliare benché con lo sguardo cercasse di mettermi in soggezione, come suo sovente faceva quando qualcosa non gli quadrava.
Io non mi feci intimorire, perché quella volta lo avrei usato io ai miei scopi il suo corpo e non viceversa.

Fu una notte dove infiammai pure il suo spirito dormiente e dall'oscurità di un animo inaccessibile estrassi sentimento vivo, rimanendo nella forma dei gesti e non in quella delle parole.
Lui era disposto a darmi solo un sentimento intransitivo, incapace di farlo passare insieme ai baci dalle labbra.


Certe persone non possono essere salvate dal loro avvenire e neanche vogliono che nessuno lo faccia. Sono i peggiori di tutti. Pensate che anche quando trovano l'Amore della loro vita, per quello strafottutissimo orgoglio, sono disposti a rinunciare a un futuro certamente felice. Ryo era parte di questi, vero mamma?



NdA:

Eccoci al punto cruciale di tutto, annunciatore della fine imminente. Nel prossimo capitolo, quello che chiuderà questa long fic, capiremo quale sia l'elemento innovatore e se effettivamente ci sia qualcosa di differente dalle altre storie ReitaxRuki. Un piccolo assaggio c'è, ma non credo che sia possibile immaginarne lo sviluppo, perché davvero è una via piuttosto inusuale.
Mi ha fatto molto male scrivere il capitolo precedente e questo, vedendomi talvolta riflessa in uno dei personaggi di cui ho parlato. Fortunatamente non sono (ancora) così sfigata come il piccolo Taka, però ognuno ha la sua storia bella da raccontare, e sicuramente per uno di loro ci sarà...

Alla prossima,
Valja


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Capitolo 8
*** Il dilemma del Porcospino ***


Atto Finale.

Il dilemma del Porcospino.


(3.)

«Oggi, appena entrato nella tua casa,
mi sono sentito
a disagio.
Tu celavi qualcosa nell'abito di seta
e s'effondeva nell'aria un profumo di incenso.
Sei felice?
Hai risposto un freddo:
molto”
[…]

Lo so,
ormai l'ha consunto l'amore.
Da tanti segni indovino la noia.
Fammi tornare giovane nell'anima.
La gioia del corpo fa di nuovo conoscere al cuore.

[...]

Gioisci,
gioisci
d'avermi finito!
Ora è tale l'angoscia che desidero
soltanto fuggire al canale
e il capo cacciare nell'acqua digrignante

[...]

Oh, questa
che notte!
Ho spremuto a non finire la mia disperazione.
Al mio pianto e al mio riso
il muso della stanza s'è torto in una smorfia di orrore.

[…]

Tu che hai saccheggiato il mio cuore,
privandolo di tutto,
e nel delirio, m'hai lacerato l'anima,
accogli, il mio dono,
forse più nulla io potrò inventare.

[…] »*


L'albeggiare filtrava cautamente attraverso gli spifferi della tapparella mettendo in rilievo il disordine che io e il signorino avevamo creato artisticamente giusto un po' di ore prima: svariati calzini spaiati pendenti pericolosamente dallo schienale bluastro della sedia e disseminati sulla sua scrivania (superficie piana sulla quale mi ero adagiato durante le ore della passione), la sua camicia inamidata gettata frettolosamente all'estremità del letto e salendo da lì, procedendo vertiginosamente nella nostra direzione, c'erano vari indumenti spiegazzati dal nostro impeto animalesco, ora sparpagliati chissà come ovunque. La stanza era così animata da Ryo, da me e tutti i nostri stracci quotidiani ingarbugliati in modo inspiegabile tra e intorno a noi.
Tanto improvvisamente mi aveva colto il sonno -rivelando peraltro le mie attitudini bambinesche- che mi ero addormentato stringendo la sua maglia di pile tra le braccia esili.
Un tempo questo pezzetto di stoffa scadente usava essere di un colore tendente al blu oltremare; poi da quella luminosità e intensità tipica dei capi freschi di negozio si era fatto piuttosto sbiadito nei risvolti delle maniche, per non parlare delle fodere delle tasche completamente sdrucite e rattoppate alla bell'e meglio. Così quell'acquisto, vantato più volte come a buon mercato, aveva finito irrimediabilmente nel trasformarsi in una fregatura. Tant'è che lo usava solamente per scopi domestici e se gli capitava anche di uscirci per sbaglio se ne vergognava. Eppure era comodissimo, abbondante sui fianchi, tutto dimesso e in netto contrasto con le camicie da impiegato che soleva tenere al di sotto per pigrizia in alcune sere, anche dopo essere uscito dall'ufficio. “Le cose vecchie e lacere sono sempre le migliori!” Pensai scherzosamente. Tenendomelo stretto sentivo il profumo penetrante di Ryo impresso in quelle fibre semplici; non era sgradevole come uno potrebbe immaginarsi, tutt'altro. All'odore balsamico di fondo dell'ammorbidente e del bagnoschiuma al sandalo si aggiungeva timidamente quello della sua pelle matura che manteneva ancora una leggera punta di latte, come se il bambino in lui fosse sempre presente per giunta nella fragranza della sua persona. Io di caratteristico avevo tutte le mie stramberie modaiole matsumotiane di una raffinata pacchianeria domestica e non, mentre Suzuki in ambienti intimi vestiva di una semplice straccionaggine cucitagli alla perfezione addosso, quasi egli fosse un ordito di stracci e depressione.
Alla fine il manufatto tessuto con quel binomio particolare – e poi ribattezzato da sua madre al momento della creazione-nascita “modello Ryo”– una volta tanto resistente quanto il fustagno, si era evidentemente lacerato troppo da lasciare in alcuni punti dei buchi notevoli. Allo stesso modo aveva fatto lui ultimamente, aveva permesso che le tarme affamate gli divorassero poco a poco la maglia che indossava quotidianamente, lasciandolo inerme nei confronti del mondo con dei vuoti nell'anima.
Mi carezzò il viso un leggero anelito o forse ebbi soltanto l'impressione del suo ricordo e spezzò la salda catena di pensieri del dormiveglia. Non saprei dire se questo piccolo segnale sia stato frutto della mia mente fantasiosa o cosa. Davvero. Decisi. Indagai.
Aprii gli occhi su quello scenario di giacente irrequietudine, sicuro di trovarmi di fronte le sue spalle tornite e glabre accompagnate dal odore di nicotina, impregnatosi già nelle tende e federe. Invece a darmi il buongiorno fu la delicatezza del suo respiro e le sue mani possenti, che ricalcavano, non senza qualche incertezza, le linee del mio viso imberbe soffermandosi sulle imperfette estremità quadrate del mio mento.
-Buongiorno- disse carezzevole, scostando un ciuffo dai miei occhi cosicché potesse osservarmi in toto.
Nel tepore del risveglio mi sentii di commentare ingenuamente quel gesto piuttosto contrario alla sua natura coriacea.
-Non credevo che ti piacesse guardare le persone dormire- scossi il capo per fare tornare i ciuffi davanti al mio viso, mi vergognavo a mostrarmi così nudo a lui.
-Non è che ti guardo da ore eh. È solo che mi hai fatto il solletico coi capelli svegliandomi!- rise dando baci al mio collo mentre il suo corpo, sovrastandomi, cercava di bloccarmi contro il materasso.
-Dai Ryo!- strillai- Puzzi di animale. Vatti a lavare e dopo ti abbraccio quanto vuoi!- volevo una scusa per scrollarmelo di dosso.
-Gne gne gne- prese possesso delle mie labbra per qualche secondo- Tra poco...Bah profumato te allora!- iniziò a spettinarmi
-Sei un disturbatore della quiete, Puzzola- e come tutta risposta mi rigirai a pancia all'ingiù.
Cadde a sua volta accanto a me, intontito più del solito dal sonno.
Uno scatto repentino di molla e il materasso finalmente era diventato un territorio di mia appartenenza. In uno scambio di battute veloce ero riuscito a conquistarmi la morbidezza incontrastata, il giaciglio d'amore ancora caldo dove rotolarsi senza alcun ostacolo!
Tutto ciò che animava l'appartamento era lo scorrere dell'acqua, poi regnava la calma incontrastata.
Eppure c'era qualcosa che stonava in quella situazione, lo percepivo distintamente sebbene mi fosse impossibile delineare la semplice idea di cosa si trattasse. Vagliai accuratamente le varie ipotesi del caso, attento a non cadere in ragionamenti troppo scontati o animati da interesse personale. Il risultato fu assolutamente deludente, del resto cosa avrei potuto pretendere da me stesso a quell'ora? E poi....che ore erano? Da lì iniziò una travagliata ricerca del mio orologio entro le pareti di cartongesso della stanza precarie quanto noi due; Scossi il materasso, alzai i cuscini, poi pensai addirittura che potesse essere finito tra le federe e il cuscino tanto che vi indagai, irrequieto cercai sotto le lenzuola, tra il piumone ed esse, sotto il letto, sui tappetti gattonando disperato, sotto ai calzini, gettando occhiate sui mobili, e di nuovo giù in terra per finire sul letto, ma qui per scopi di comodità. Tutto a un tratto la gelida stretta di lui si era impossessata del mio bacino, serrando la mia virilità tra le sue dita.
-Cosa stai andando a cercare così pazzamente? Ti ho osservato sai?-bisbigliò rapace all'orecchio
Incapace di rispondergli qualcosa, mugugnai andando a sovrapporre le mie mani sulle sue.
Passò un attimo di silenzio, in cui si divertì come un sadico a tormentare il mio lato perverso, passando poi a palpare le mie cosce provando un certo gusto sopraffino.
-Sa Matsumoto lei ha delle cosce così morbide...com'è morbido Lei...uhm-cambiava registro qualora volesse delineare un qualcosa di strano oppure apprezzabile. Era uso tra noi due dire di queste sciocchezze nei nostri discorsi. Era il feeling che avevamo costruito io e lui. Per concludere in bellezza, naturalmente aggiungeva sovente delle piccole onomatopee delineanti gaudio.
Posi fine violentemente a quel contatto, spingendolo pochi passi più distante da me.
-Smettila Ryo, smettila di farmi male così...-avevo la voce spezzata da un profluvio di lacrime.
Evitò di chiedermi cosa mi stesse succedendo, sapendo preventivamente che sarei esploso come una pentola a pressione surriscaldata. Girandomi verso di sé fu mosso a compassione e si mise ad asciugarmi il viso con le dita
-Perché stai piangendo?- almeno quella volta fu affabile.
-So che mi vuoi bene, ma non mi sento amato da te. Mi sento così morto ecco un anno e mezzo di tribolazioni silenziose confessato.
-Takanori...lo sai che ti voglio tanto bene, che tu ne sia convinto o no sinceramente, ma sai che non sono ancora pronto...- tutto d'un tratto assunse un atteggiamento compassato.
-Ryo è passato più di un anno. Io voglio darti amore, ho tanto bisogno di amarti, di farti credere che c'è qualcosa di migliore. Tu hai costruito un muro di fronte a me, tu non mi permetti di amarti!- il tono crescente finale venne da sé.
-Takanori lo sai che sono uscito da una storia difficile. Perché dobbiamo sempre parlare delle solite cose? Viviamo così come viene la cosa...e poi...guardiamo- rispose piuttosto seccato, come se la “cosa” non lo toccasse.
-Forse intendi storia per cosa. Diamo un nome alle “cose”.E poi... Ti ho aspettato per un anno, ti sono stato accanto SEMPRE, mi sono donato a te...e tu perché non me l'hai detto subito chiaramente che non te la sentivi? Hai sempre cercato di eludere dal discorso con tutte quelle tue chiacchiere.-
-E va bene. Io però mai ti ho detto “mettiamoci insieme”, ti ho sempre detto chiaramente che non volevo una cosa seria...Lo sai il motivo comunque...-
-RYO CAZZO è PASSATO UN ANNO E MEZZO!-ridimensionai il mio tono, accorgendomi di essermi fatto prendere dalla furia del momento- Io ti ho aspettato per tutto questo tempo, non ho mai avuto occhi se non per te, per le tue pene e dolori. E sono stato felice di averti aiutato, credimi. Ma potevi spezzare subito le mie illusioni. Ed evitami la storia dei sei anni e mezzo passati con quella...tutto ciò fa parte del passato ormai, che tu lo voglia o no-
-Takanori...-mi afferrò le mani- Come devo spiegartelo che non ho da donarti nulla? Io tengo a te e tenevo sinceramente a lei...ma non posso rendervi felici-
-Tu sei un codardo! Te lo dico io cosa...Tu a trenta e passa anni hai paura di amare! Di legarti a qualcuno!-inveii. Lui non ammise apertamente che avevo perfettamente ragione, probabilmente l'avrebbe confermato a se stesso tacitamente tra qualche annetto, dandosi di stupido per aver perso un'occasione d'oro nella sua vita. Badate, di questo ne sono sicuro.

Afferrai furioso le mie cose disseminate per terra e mi vestii come meglio potevo, nonostante le mie mani tremassero per la rabbia. L'ultima possibilità la riposi in un tentativo da parte sua di fermarmi, di ribellarsi alle mie parole, di dimostrarmi che tutto ciò non era stato vano. Ma come ogni ottimista che convinto potrebbe morire per le sue aspettative, io attesi invano, vedendo la sua mollezza e fiaccaggine rimanere le solite e anzi aumentare portandolo a sedere sul letto con lo sguardo perso nel vuoto.
-Ciao Ryo- sbattei la porta dietro di me.
Lui era convinto che me ne sarei tornato da lui con la coda tra le gambe in un batter d'occhio; ed effettivamente fui tentato molte volte di ripetere i miei errori del passato, di continuare a fingere di stare bene, di tralasciare quel implicito problema che ci trascinavamo dietro da mesi a questa parte.
Tanto più alto è il dolore tanta più è la dignità. Fu la massima tramutatasi in imperativo categorico con la quale mi imposi di affrontare il dolore soffocante che mi toglieva la forza, la vitalità, la mia dimensione personale. Mi ero annullato. Adesso apparivo come un coacervo inanimato di più istinti contrastanti e vivevo quella futile esistenza per inerzia, perché di privare quel piccolo corpo della sua singolarità non ne avevo il coraggio. Ripensando alla mia condizione infelice ero devastato dal pensiero di essere in qualche modo simile a lui, sgomentato dal fatto che ancora qualcosa mi legava alla sua parallela esistenza, sebbene fossero delle coincidenze generiche e non più articolate come quelle passate. Inutile dire come mi sentissi straziato e anche se provassi con la massima precisione a descrivervi gli stati d'animo e sofferenze con le quali convivevo allora, non riuscirei nel mio intento dandovi solo parole vacue, troppo generiche, usate spesso pure dagli altri e sfruttate senza criterio. Non era mica per lo smacco subito, ho imparato da tempo a lasciare l'orgoglio da parte, ritengo maggiormente verosimile che sia stata spezzata quella riposta fiducia negli altri, l'impossibilità di fare del bene a farmi precipitare tanto a fondo.

Se davvero avessi potuto avrei sacrificato la mia intera esistenza per renderlo felice; poi ho realizzato che non è necessario mettersi in gioco a tal punto affinché qualcuno a noi caro trovi la propria felicità, d'altra parte essa è personale. Sì ognuno è capace di conquistarla anche se sul momento sembra un'impresa ardua e irraggiungibile. Alla fine non è questa la bellezza del nostro stare al mondo? Sorrido al pensiero di aver formulato in un tempo non tanto remoto un pensiero tanto sciocco. Con questo non intendo dire che sia sbagliato sacrificarsi per gli altri, per il semplice motivo che sarei un ingrato verso la fonte della mia vita, la mia vera genitrice. Però comprendo l'importanza della conquista individuale, in quanto aiuta a districarsi nel complicato labirinto della vita. Amavo così inconsciamente questo uomo accanto a me, da non rendermi conto di essere stato coinvolto in qualcosa di più grande. Adesso non dico di non provare nulla, la differenza delle due condizioni sentimentali giace nella lucidità con cui ho vissuto la cosa e ne fui consapevole solamente l'ultima volta che lo vidi.

Dall'angolo della strada proveniva un piacevole odore di caffè misto a paste appena sfornate, calde di quelle che mangeresti senza pietà per ore di seguito, senza il minimo ritegno e autocontrollo. Ricordai della mia golosità congenita, di quando assaporavo la favolosa cioccolata a cucchiaiate sentendomi improvvisamente meglio e questo era uno dei miei numerosi episodi fanciulleschi di ghiottoneria.
Entrai guidato là dentro più dal fiuto che dai miei piedi, bisognoso di un break prima di rigettarmi a capo fitto nella vita di sempre, pieno come ero di visite ospedaliere e problemi molte volte originali. Al di là del bancone se ne stava una ragazza sulla ventina, non particolarmente avvenente, in attesa di avventori fortuiti e io ero uno di quelli. Rimasi fedele alla brioche riempita con gustosa cioccolata accompagnata da un cappuccino; per l'appunto lo stupido mi aveva raccontato che qui si fanno ottimi espressi perciò mi era sempre rimasta la voglia di venirci e tra una cosa e l'altra non avevo mai avuto l'occasione di farci un giro.
-Buongiorno Matsumoto- una voce stranamente allegra mi sorprese alle spalle.
-Buongiorno a Lei- fui altrettanto cordiale nel salutare.
-Un caffè per favore- chiese espressamente quando fu accanto a me- Anche lei a prendersi un bel caffè per iniziare al meglio?- sorrise squisitamente.
-Ebbeh mi pare d'obbligo, no? Lei ha finito i turni oppure attacca adesso?- era più carina del solito senza l'uniforme bianco, nei suoi panni privi di etichettatura professionale.
-Ah io ho finito il turno di notte proprio una trentina di minuti fa! Stanotte sua madre è stata più brava del solito sa?-la sua voce si fece più sommessa e riservata- L'ha chiamata solo un paio di volte, pensi voleva solo lei! Poi le abbiamo spiegato che sarebbe venuto l'indomani a trovarla-
-Mi spiace che vi disturbi così tante volte durante la notte, davvero. Immagino che con tutto lo sgambare che abbiate sia un po' noioso stare dietro alle sue “bambinate”. Non so veramente come ringraziarvi di tutto...-fui intimamente grato alla ragazza per le parole che stava spendendo con me, ne avevo veramente bisogno. E forse ella lo aveva capito solo guardandomi, comprendendo il motivo della mia stanchezza.
-Matsumoto via non mi ringrazi! Questo è il mio lavoro e lo faccio volentieri!- mi fece un occhiolino- Vedo che sua madre è molto attaccata a lei, deve essere un figlio d'oro. Non tutti se ne prenderebbero cura come fa lei!- pareva molto affascinata dal mio operato paziente e scrupoloso. Spesso evitavo a Lei e alle sue colleghe di spendere molto tempo dietro a ogni esigenza di mia madre, che purtroppo ne aveva tante, occupandomi delle sue abluzioni mattutine, dei suoi pasti e delle piccole cose. Adesso ero io il genitore e lei la creatura da accudire; ma forse era sempre stato così e non mi faceva particolarmente effetto né mi destava alcuna fatica.
- Vedi, ti do del tu- una luce strana mi si accese negli occhi- io cerco di darle il meglio non per scrupolo di coscienza, ma perché ho bisogno di vederla stare bene...-lasciai in sospeso la frase sicuro che altre parole sarebbero state superflue. Lei parve capire ciò a cui alludessi e non commentò se non con uno sguardo comprensivo.
Alla fine quel viavai era servito a farmi ricordare da Lei.


***

-Papà, papà!-urlava correndo verso di me, con quel vestitino di velluto rosso tutto gonfio, con le maniche a sbuffo sembrando una minuta e graziosa fragolina matura. Un sorrisetto furbastro, i piccoli dentini da latte sulle labbra altrettanto rosse e gli occhietti da cerbiatta posati su di me
-Papà la nonna mi ha rubato le caramelle! Diglielo che sono mie!-si aggrappò ai miei jeans da dietro cercando un appoggio nella sua piccola lotta fanciullesca.
-Oh, ci sono tante caramelle nel barattolo! Dividetele su Ayumi!- lasciai la brace per un attimo concentrandomi su di lei, in ginocchioni- Amore mio, la nonna vuole giocare con te. Vai su e offrigliele da brava bimba, come ti ha insegnato tuo papà. Te ne compro quante ne vuoi...però non dirlo a mamma eh!- le baciai amorevolmente la fronte e poi via, libera nel praticello a correre.

Era tutta sua madre non c'è che dire e di mio, beh apparte il cognome, aveva la vitalità fanciullesca e lo sguardo curioso verso i misteri del mondo. Ayumi era la mia certezza inconfondibile da ormai quattro anni e mi era parso che le nostre esistenze fossero sempre state collegate in qualche modo, solo che non lo avevamo mai saputo prima. Succedeva che la spiassi a lungo dalla fessura, senza essere visto e ogni volta venivo colto dall'idea di essere sempre vissuto per concepirla, perché lei era stata realmente la gioia più grande che avessi avuto. E non parlo solo della contentezza di poterti donare liberamente a qualcuno, ma anche della condizione di farlo privo di interessi. Quell'amore incondizionato, puro mai datomi dai due uomini più importanti della mia vita.
Dopo il biondo a essere sincero credevo di non riuscire più a vivere l'innamoramento spensierato, dato che tutti i miei sforzi erano stati abbattuti deplorevolmente dall'egoismo di una certa persona malata. Invece trovai il modo di costruirmi una mia piccola oasi di felicità con tanta semplicità e sforzi, ma non era forse quello l'obiettivo di Takanori Matsumoto?
Avere una famiglia, un lavoro modesto e vivere. Ora potevo aggiungerci pure la modalità: felicemente.
In mia moglie avevo trovato la complementarità, se non perfetta, almeno coincidente con i miei lati più nobili e vi avevo lasciato tutto ciò che avrei amato alla follia, Ayumi. Maggio non era stato semplicemente il mese più caldo e adatto ad innamorarsi ma aveva dato i suoi frutti: avrebbe portato una nuova meravigliosa vita tra di noi. E più mi spingevo dentro e verso il grembo di mia moglie, consapevole del mio atto di creazione, tanto più raggiungevo quello spazio dove un tempo anche io avevo dormito tanto tempo prima. Finalmente avevo riabbracciato mia madre.
Ayumi era stata voluta tra le nostre lacrime di gioia, predestinata a una famiglia “originale” e di sicuro non si sarebbe mai annoiata tra le birichinate di sua nonna e i baci dolci di suo padre.
Se ci penso adesso, neppure in condizione stessa di padre comprendo il coraggio che ebbe a sua volta quell'uomo ad abbandonarmi in un così malo modo. Che essere abietto!

Voglio raccontarvi anche questa: ogni sera io e la piccola guardiamo dalla finestra-oblò il mantello blu incantato ricamato di stelle e impreziosito dalle luci della città. Spesso mi chiede se la sua nonna brilla con loro e io le do la conferma, sussurrandole cose dolci. Lei allora mi abbraccia e mi dice che sono il papà più bravo del mondo e a me scappano due lacrime.
Dopo che le ho rimboccato le coperte e lei si è addormentata volgo sempre uno sguardo al cielo, proiettandomi a quell'ultima volta.

Rividi per caso Ryo molto tempo dopo dalla nostra frequentazione pretenziosamente intellettuale in uno di quei bar in fondo alla città. Parlammo, ma soprattutto lui riversò tutto quello che aveva passato durante quella lunga separazione, mantenendo l'impeto e la convinzione di un tempo. Fu meraviglioso constatare che mi ero finalmente liberato dai suoi flussi logorroici. Ormai non l'ascoltavo con quella rapita attenzione amorosa di un tempo. Era tutto finito. Il fantasma di Ryo Sukuzi non mi tormentava più.






Sai mamma,

avevo ragione...“Certe persone non possono essere salvate dal loro avvenire e neanche vogliono che nessuno lo faccia.” Io e te siamo stati molto sfortunati nella nostra vita fino ad adesso incontrando delle persone che ci hanno ferito così profondamente da farci credere di aver perso ogni speranza. Senza di te è stata veramente dura, avrei tanto voluto avere qualcuno con cui confidarmi quando soffrivo, avrei voluto condividere con te le piccolezze della vita, ti avrei voluta accanto nel giorno del mio matrimonio o quando Ayumi ha perso il primo dentino.
Eppure so che tu mi tieni sempre per mano o che mi carezzi il viso con l'impeto del vento ricordandomi di essere come te.

Mamma ti voglio bene,
il tuo bambino Takanori.


FINE.




Note dell'autrice:

Sono realmente emozionata, sono tantissimi anni che scrivo (e poi puntualmente cancello con costanza ciò che creo) ed è la prima long fic che finisco. In tutto questo tempo molte persone sono andate, venute nella mia vita e mi sento un po' come Takanori, deluso da quello che la vita gli ha dato ma desideroso di trovare la sua pace. E a lui l'ho fatta trovare sul serio, come mai nessuno gli ha permesso- o almeno da quello che leggo io nelle fiction e se sbaglio vi prego di correggermi. Ho voluto regalargli la gioia di essere padre, dato che anche il vero pare amare i bambini e in più ho fatto riferimento al rapporto femmina-madre che si viene a completare nell'ultimo pezzo.

Riguardo al titolo di questo capitolo “Il dilemma del Porcospino” ho preso ispirazione dalla teoria Freudiana (in “Psicologia delle masse e analisi dell'Io”) e poi Schopenaueriana (in “Parerga und Paralipomena”) dell'amore. Questa teoria compara l'amore di due persone a quella dei porcospini in quanto più questi si avvicinano tanto più si feriscono tra di sé per gli aculei. Se poi si estende al rapporto di coppia, Schopenauer dice che quando si inizia a prendersi cura l'uno dell'altro e a fidarsi qualsiasi cosa di spiacevole che accade a uno ferisce irrimediabilmente anche l'altro, causando incomprensioni ben maggiori e problemi. Pertanto è importante trovare la giusta distanza per vivere e non farsi del male a vicenda. Quindi diventa un amore masochista (e si entra nel cerchio del conte Masoch ) e strumento di tortura autoinflitta dal quale è impossibile scampare.
Riguardo al titolo della fan fiction l'ho ripreso con la variazione ortografica della y, dal film “Disturbia” (2007) diretto da Caruso per le analogie tra i due riguardanti l' “osservazione della vita” degli altri e del vivere apatico in una situazione famigliare difficile (anche se la mia fan fiction è contraddistinta da una diversa reazione vitalistica).

*Questi pezzi di poesia sono ripresi dal “Flauto di Vertebre” di Vladimir Majakovskij, tradotti da Guido Carpi,edito da BUR, 2010.
Mi sembra scontato il motivo per cui abbia deciso di metterli qui. Riassumono un po' tutta la storia anche se ovviamente gli sviluppi della poesia e della mia storia sono diversissimi. Ricordo a chi leggerà le mie note che Majakovskij dedicò questa poesia alla femme fatale Lilicka della quale era follemente innamorato, invece nella mia storia fa riferimento al rapporto omosessuale , sempre travagliato ma più fortunato nella fine rispetto alle vicende del poeta russo. Vi consiglio comunque di leggerla integralmente se avete voglia e curiosità, perché è di una bellezza unica. Capirete il motivo per cui egli è diventato tanto famoso e la sua bravura e originalità scrittoria.
Oltretutto l'ho scelto tra molte poesie (anche perché di poesie d'amore ce ne sono a bizzeffe!) perché lui è l'autore preferito della persona a cui ho dedicato questa storia e che mai (forse) leggerà questa semplice fiction.

Ci terrei a ringraziare particolarmente GurenSuzuki per i suoi commenti splendidi che mi hanno dato la forza di continuare e coloro che l'hanno messa tra le seguite, quindi BlackSwan, Kinokochan, momo89,Pad_foot e fantasy_40 che addirittura l'ha messa tra le preferite. Certo non vi nascondo che mi piacerebbe sapere il motivo per il quale avete deciso di seguirla o addirittura l'abbiate messa tra le preferite.
Se volete rendermi felice sapete come fare ;D

Grazie di tutto e alla prossima!
Essì ho in progetto un'altra long fic con i gaze...mooooolto particolare ;D niente spoilers però!

Valja.

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