In Silence

di Invader_from_Hell
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1-2-3 ***
Capitolo 2: *** 4-5-6 ***
Capitolo 3: *** 7-8-9-10 ***
Capitolo 4: *** 11-12-13 ***
Capitolo 5: *** 14-15-16 ***
Capitolo 6: *** 17-18-19-20 ***
Capitolo 7: *** 21-22-23 ***
Capitolo 8: *** 24-25-26 ***
Capitolo 9: *** 27-28-29-30 ***
Capitolo 10: *** 31-32-33 ***
Capitolo 11: *** 34-35-36-37 ***
Capitolo 12: *** 38-39-40 ***
Capitolo 13: *** 41-42-43 ***
Capitolo 14: *** 44-45-46 ***



Capitolo 1
*** 1-2-3 ***


In Silence

In Silence

 

1

 

Un boccale bagnato, ma di birra neppure una traccia remota.

Gli occhi del signora davanti dicono “ E’ saliva!”.

Un litro di giallo sudore, quello che sente muoversi nello stomaco.

Sopra avanzi di cibo. Cibo buono. Una pizza già tagliata e gustosa.

Non sembra prestare attenzione al telefono cellulare. Eppure lo fissa.

È davanti a Lui. Se cerca occhi sconosciuti, non li trova in persone che non ha mai visto.

C’è un uomo in tutti gli occhi che fuggono eccitati nel locale. Lui conosce l’uomo.

Il rosso della borsa della signora davanti a Lui, quel rosso grida a gran voce: “ Siamo stanchi!”.

Rispondono gli occhiali dell’uomo pochi tavoli più avanti: “ Non vedo la fine di questa serata!”.

Lui è solo a quel tavolo. Potrebbe benissimo non esserlo. È solo stasera.

Non sono occhi esperti e risoluti quelli che lui va cercando nel locale, questa sera.

Sono occhi che di un uomo abbiano solo il colore.

 

2

 

Lui vive stasera, e forse non vuol dirlo al telefono cellulare che adesso squilla.

Squilla il telefono cellulare.

L’apparecchio emette suoni conosciuti, e vibra il tavolo.

L’apprensione fa vibrare anche il cuore più dimenticato e lasciato infondo al baratro.

Suona il telefono cellulare, e le note della melodia di ricerca si accostano alla signora davanti.

Il suo bicchiere è ancora pieno.

Il suo bicchiere sembra già vuoto.

Il bicchiere di Lui è vuoto di fatto.

Solo saliva sul bordo. Aspetta che si asciughi.

Brezza di Maggio, si apre una porta. L’entità della corrente fa intendere che è la porta principale.

Nuove presenze nel locale, non tremano i tavoli, nessuno si volta.

L’attenzione su bicchieri che sembrano pieni.

Subito dopo sono vuoti.

Lui alza lo sguardo, le sopracciglia sono inchiodate al tavolo.

Pesano.

Pesa anche la testa.

Pesa qualcosa come il mondo pesava ad Atlante.

Il bicchiere di Atlante doveva essere bagnato di saliva.

 

3

 

Lui squadra il suo boccale.

Un litro di fluido manca all’appello.

Ha chiesto asilo politico nel suo stomaco.

La birra ha paura di perdere il suo colore.

Per questo si rifugia dove non può essere vista.

Nello stomaco di Lui.

Solo Lui stasera la può nascondere.

Lui si guarda intorno e il legno del tavolo sembra seguirlo.

Se cerca occhi, non sono pupille conosciute ed esperte.

Sono pupille sporche di saliva, prive di qualcosa che un uomo ha.

Ma il colore Lui vuole che sia quello degli uomini.

Ci sono occhi così?

Sporchi di saliva.

Se entra il vento, non si copre.

La sala fugge dai muri e dal proprio nucleo.

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** 4-5-6 ***


p class=MsoNormal align=center style='text-align:center'>4

 

Ah, il tempo in cui Lui avrebbe odiato il silenzio. Sono quelli i momenti che cerca.

In un locale, molte parole entrano in boccali colmi ed escono i conati di vomito ripetuti e non evitati.

La voce della bevanda riecheggia nella sala.

A Lui sembra che ami distorcere le voci che altrimenti sarebbero troppo sincere.

Il telefono squilla di nuovo. Le note non suonano più familiare. La mano è pesante sui tasti, e si ferma, non vuole sentire.

Non vuole rispondere, ma tocca i tasti.

Osserva il nome sul piccolo schermo. È ovvio e scontato. Qualcuno che non avrebbe cercato in una serata di vita rubata.

Ah, il tempo in cui credeva che il mare potesse davvero abbracciare il cielo, e che questa profumata visione non fosse solo frutto di uno spirare romantico.

Allora poteva pensare che felicità e serenità si incontrassero in prossimità di quella linea che tra sonno e veglia individua il confine tra giorno e notte. Tra amicizia ed amore.

 

5

 

In un locale, non è tardi.

È un locale nella città di Firenze, non grande, ma accogliente.

Tagliano i suoni e i tavoli sono comodi per urlare.

Il legno greve permette di dominare ogni istinto di repressione.

Molti i tavoli, le sedie sono panche.

Ci sono schienali, non sono imbottiti, ma il legno pesante e scuro è più caldo di qualsiasi imbottitura, lo dicono tutti senza saperlo.

Lo dicono adesso senza pensarci, domani lo diranno senza pensarlo.

Venature profonde nel faggio del banco richiamano foreste lontane, lingue dure, accenti ruvidi e spinosi, un angolo di Germania a volte sognato.

I muri di pietra, calda ruvida pietra che riempie i vuoti del cuore di un edificio, che costruisce un locale imprigionando l’anima del cemento al suo interno.

Le voci dei presenti rombano insieme, in un tumulto di storie, in una raffica di vocali, di toni che si alzano ad ogni boccale che passa.

Sembra impossibile, che questo rumore

Non scalfisca la pietra.

Ma Lui crede che

La pietra

Scalfisca le voci.

 

6

 

Ah, Lui può almeno dire di aver spinto le sue anche a fluttuare tra molte infatuazioni.

Le ha sempre controllate mentre badavano di non sfiorare corpi rotti in un pianto da abbandono, calpestando cuori e sentimenti che non comprendevano.

Lui può dire di aver calpestato molti amori.

Adesso il litro nel suo stomaco calpesta la sua resistenza.

I movimenti si fanno difficili, gli occhi desiderano non vedere.

La visione disturba la via verso il pentimento.

Un telefono non smette di squillare. Erroneamente pensa che non sia il suo.

Tocca i tasti, e accarezza con il pensiero un nome che si allontana sullo schermo, sul piccolo schermo dove cristalli liquidi danzano e fuggono a comando. Squillando forse, squillando forse no.

Ah, lui che può dire di aver calpestato.

Non ricorda la consistenza di un amore sotto la scarpa.

Non ricorda se fosse croccante, un biscotto da sbriciolare.

Non ricorda se sfuggisse come un budello sanguinolento.

Non ricorda se frusciasse distante come un sacchetto di plastica.

Non ricorda se urlasse come una lucertola.

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** 7-8-9-10 ***


style='font-size:11.0pt;mso-bidi-font-size:10.0pt;font-family:Arial'>7

 

In un locale nel cuore della città di Firenze, Lui siede ad un tavolo vuoto. Pesante e sicuro, pronto a sorreggere la sua ubriachezza, così come ha sorretto quella di tanti altri prima di Lui.

Il locale non si trova nel centro della città, e lo si capisce dalla gente che lo frequenta.

Molti i sorrisi, poche le pretese, una raffinata schiettezza nel dirsi quanto tempo sia passato dall’ultima volta che un simile divertimento ci aveva riscaldato il cuore. E riempito lo stomaco di caldo liquido alla spina.

In un locale della città di Firenze, le risate e i discorsi spensierati non sono la cura per l’umidità che si infiltra in un cuore, nel cuore di Lui.

I sorrisi erodono i muri e si insinuano nelle sue ossa, come spifferi in una bagnata notte piovosa di fine novembre. Quando ancora l’idea del Natale non si associa al bisogno di neve.

Il Maggio non profuma nei boccali pieni e vuoti, non si odora nei sorrisi sfiniti e destinati all’estate.

Il Maggio di quest’anno non arriva alle orecchie di Lui, quando il suo naso l’ha da tempo rifiutato, e la sua bocca non vuole saperne di assaggiare i frutti del mese più gentile dell’anno, quello che fa sperare in un’estate misericordiosa e senza difficoltà, dove l’unica sofferenza è quella del non essere arrivati in spiaggia in tempo per dire un’ultima inutile parola al sole che sparisce dietro il mare.

 

8

 

Allora non lo aiutano i sorrisi, le parvenze di divertimento nei presenti, nei gruppi di amici ed amiche che si accalcano intorno ai tavoli. Sorrisi e umorismo sembrano essere impietosi accusatori, le dita che stringono i boccali con gioia e senza pensieri diventano adesso per Lui dita puntate verso il suo viso.

Verso il viso di qualcuno che non si sta divertendo.

E desidera esserne accusato, per presenziare nel più assurdo tribunale, quello in cui finisce per essere affidato alle cure premurose di quegli occhi che va tanto cercando. Si domanda se esistano in una creatura mortale.

I sorrisi limano le coscienze in un sabato sera, serata che vede Lui buttato ed abbandonato accanto al suo compagno sofferente, un amore calpestato senza preavviso ed in modo sciocco.

Le risate sembrano solo ricordargli quello che potrebbe star facendo in quella stessa serata se solo riuscisse a liberarsi del suo compagno, e lo rimproverano prive di qualsiasi escrescenza di misericordia.

Non si concede la grazia a chi non ne ha bisogno.

Perché infondo

Non è colpevole.

 

9

 

Un uomo si avvicina a Lui, in un locale.

Il locale si trova nella città di Firenze, e non è nel centro storico.

Si raggiunge facilmente, però. Molte sono le macchine fuori, si vedono dalla porta a vetri che serve da entrata. È ampia, e si apre senza fatica, nonostante le ragguardevoli dimensioni.

Le vetture sono spruzzate di una pioggia di Maggio che le lucida sporcandole.

La pioggia cade e lascia il segno su tutte le cose tangibili. Evapora quando fa capolino un sole da troppo tempo assente.

Ma anche quando se ne va, lascia un alone calcareo, tanti piccoli aloni, nati da tante piccole gocce.

In questo, a Lui sembrava tale e quale la sofferenza.

Quando anch’essa evapora, gli aloni delle sue gocce sono come campi.

Bruciati, d’inverno, dalla neve.

 

 

 

 

10

 

L’uomo che si è avvicinato a Lui è un cameriere.

Anche se adesso a Lui sembra di non riuscire a vedere bene, lo riconosce dal grembiule che l’uomo indossa.

Indossa un grembiule, non una divisa.

Per questo sembra familiare, potrebbe essergli simile.

L’uomo, che in realtà è un ragazzo – i boccali vuoti che reca in mano lo rendono uomo grazie al loro eco di fine vissuta, e ripetuta ogni volta che un ragazzo li svuota- passa, e invece di fermarsi al tavolo di Lui, prosegue.

Si ferma più in là. Raccoglie qualche ordinazione da una coppia di fidanzati smarriti ma non a disagio. Chissà se hanno mai bevuto birra. Lui ne dubita fortemente.

Chissà quanti amori hanno calpestato i due fidanzati, il cameriere.

Chissà se loro ricordano che rumore fa

Un amore che muore.

Sotto una suola. Fredda.

Liscia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** 11-12-13 ***


11

 

Lo stomaco inizia a tremargli come se avesse ginocchia che non lo reggono più, ginocchia che non reggono una quantità eccessiva di birra. Non fa rumore mentre si dimena nella pancia di Lui.

La mano cerca un ultimo conforto, un’estrema unzione, una definitiva preghiera di conversione;

la cerca sul legno del tavolo, resistente e bagnato del suo sudore, la sua mano è sudata.

Le gambe si sono dimenticate di poggiare sul pavimento, non sentono più le piastrelle di cotto rosso che pavimentano il locale. Come in preda ad un invisibile formicolio hanno perso anche la più superficiale cognizione della superficie che accarezzano i piedi.

Se gli occhi fossero aperti, probabilmente si allarmerebbero nel vedere il cameriere farsi sempre più vicino e rapire il boccale vuoto davanti a Lui.

Ma gli occhi rimangono sepolti sotto palpebre edematose.

L’edema proviene da qualche cosa, da qualcuno che giace sotto la scarpa di Lui.

L’edema proviene dalla birra.

L’edema proviene dall’insoddisfazione. Da quella patina gelatinosa che ricopre il non ricordarsi che rumore faccia un amore che muore.

 

12

 

Questa serata, in silenzio.

Si consuma un dito di Lui sul tasto di un cellulare che squilla.

Lo accarezza, lo tasta, lo sente, ne scandaglia la superficie con gli occhi del tatto.

È ruvido, fatto per una presa salda, per non sfuggire neppure dalle dita della persona più frettolosa.

Sembra impossibile resistervi, il tasto si fa schiacciare.

Ma Lui deve. Lo impone a dita che non sente più sue. Le ha perse nell’ultimo boccale.

Quello che il cameriere ha portato via pochi minuti fa.

Adesso il boccale è insieme ad altri boccali, se gli occhi ubbidissero,

se riuscissero a liberarsi del peso dell’emorragia,

se vincessero l’insoddisfazione,

se accettassero la visione di sorrisi misti di vetriolo e gessi che fischiano su lavagne bianche.

Allora vedrebbero un boccale insieme a tanti altri boccali in un lavabo. Pieni di schiuma.

Ma quello che solo il cuore potrebbe vedere,

è la risposta alla domanda di una sera in un pub.

Nessuno dei compagni del boccale di Lui

Era bagnato di saliva.

Non quanto lo era il suo.

 

13

 

Entra finalmente la rabbia nel tasto del cellulare.

Ancora è appoggiato sul tavolo, ma la conversazione è già attiva.

Si sente una voce, un sogno di voce femminile che si perde nella confusione del pub.

Vola tra i sorrisi e li tinge di apprensione.

Giunge alle orecchie di Lui e lo provoca.

Tocca le mura ed i tavoli e li avverte del suo imminente arrivo.

Entra la rabbia nel tasto del cellulare, che resta sul tavolo.

Lui non vuole portarselo all’orecchio.

Ma la voce femminile riecheggia adesso più forte di qualsiasi sproloquio di un ubriaco.

Per coprire il sangue che potrebbe uscire dall’orecchio destro,

Lui vi porta il cellulare.

“Sì

No.

Sto bene.

Davvero.

No, non importa.

Ma…

Va bene.”

Parole di una discussione di ordinaria preoccupazione.

Meglio che Lui si alzi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** 14-15-16 ***


14

 

Dal telefono è uscita una voce, la stessa che si stava diffondendo nell’aria.

La voce che è uscita dal telefono si stava diffondendo nell’aria poco prima, accarezzando urli e schianti, mitigando la festa di un locale fiorentino e ferendo a morte le orecchie di Lui che tentavano di farsi rapire dalla confusione.

La voce ha parlato, apparteneva ad una ragazza conosciuta, una ragazza che sembrava promettere a Lui di far sparire quella pesantezza che lo teneva inchiodato al tavolo, gli occhi edematosi.

Ha detto molte cose, molte più di quante ne avrebbe potute dire nell’arco di tempo che la telefonata ha occupato;

ha parlato di malessere, di qualche problema che Lui non comprendeva;

ha parlato di un locale, ma suonava più come una domanda;

ha espresso idee confuse riguardo a cause di probabili ebbrezze;

ha fatto menzione di una macchina e di un’altra ragazza;

ha continuato a lungo con parole che sembravano volersi insinuare nelle orecchie di Lui fino a farle esplodere in una detonazione sanguinolenta.

A Lui non è sembrata utile, quella voce.

A lui è sembrata una costrizione, ascoltare quella voce.

Una frase però

Una sola l’ha colpito.

“Arriviamo”

 

15

 

Arriviamo, stai sicuro che arriviamo.

Anche se non vuoi arriviamo.

Perché quando volevi che arrivassimo,

ce l’hai chiesto.

Ci hai chiesto di arrivare anche se non avresti voluto.

Arriviamo.

Preparati.

Alzati che arriviamo.

 

16

 

Una voce di ragazza l’ha invitato ad alzarsi.

Cade il mondo.

Si ribalta e lo sbalza fuori dal suo asse, la pesantezza l’ha tradito.

Il piano di rotazione è stravolto, urla impazzito mentre il pavimento si fa vicino.

Solo il freddo di mattonelle di cotto rosso.

Lo sente sulla guancia che inizia a far male.

La caduta libera si è conclusa sul pavimento rosso di un locale di Firenze.

Per rialzarsi e guardare con nuovi occhi una notte che sta iniziando,

bisogna essere caduti su un pavimento di cotto rosso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** 17-18-19-20 ***


17 

 

“Dite a tutti che sono morto, ditelo ai miei amici, alla persona che amo.

Dite che ho lasciato questo mondo, e che stavolta l’ho fatto a fin di bene.

Dite a tutti che non mi avete trovato quando siete arrivate, raccontate che vi hanno mostrato il mio corpo in un angolo, senza vita.

Descrivete nei minimi particolari la mia bocca digrignata, i miei occhi che rotolavano senza vita da una parte all’altra della stanza, riportate anche le vostre impressioni riguardo a quella musica che suonava mentre io morivo.

In un locale di Firenze.

Prima pagina potenziale.

Ricordo costante e fugace.

Dite che non ci vorrà molto prima che si dimentichino le lettere che compongono il mio nome.

Quando poi le troveranno nella stessa combinazione che un tempo era il mio nome, come in preda ad un dejà-vu accarezzeranno un ricordo che ha lasciato solamente una sedia vuota dietro un banco di scuola, dietro un dovere non ancora rispettato.

Convinceteli che il sentore che si insinua nei loro cuori mentre voi portate loro la ferale notizia, convinceteli che quel sentore non nasconde la consapevolezza di una bugia, persuadeteli che è veramente la verità, quella che voi raccontate loro.

Quel sentimento che voi dovrete illudere e domare, quella sensazione sarà la verità, la tristezza assurda per una morte non ancora avvenuta, per un lutto senza funerale, per una lapide senza nome.

Piangerete una lapide senza nome, se è per questo.”

 

 

18

 

Questi i pensieri di Lui, mentre una macchina sventra le strade bagnate per raggiungere un locale distante dal centro di Firenze, ma ugualmente frequentato perché facile da raggiungere.

È caduto su un pavimento di cotto rosso, e si perde nel desidero che quel rosso sia in realtà il suo stesso sangue.

S’illude di affidare alle mattonelle la sua morte.

Una macchina attraversa veloce strade che conosce piuttosto bene.

Frena quando serve, ma la sua andatura è leggermente irregolare.

Procede con sporadici scatti.

Prudenza che si scioglie corrodendo un’attesa.

Lui si deve alzare, la sua attesa potrebbe terminare da un momento all’altro, e non desidera farsi trovare in quella posizione passiva e scoperta, come un condannato a morte che offre il collo.

Troppo facile.

Per combattere due ragazze preoccupate.

Lui si alzerà.

 

 

19

 

Raccoglie nella sua la prima mano che gli capita di vedere sopra la sua testa, giacente tuttora sul pavimento.

La afferra saldamente e non lo sa.

Non sa se l’ha afferrata saldamente o se è solo una proiezione del suo desiderio, del suo augurio.

La mano non sente più.

La avverte gonfia, e la tumefazione si è interposta tra il tatto e il mondo esterno.

E non vuole collaborare, si ostina a non voler far passare avanti il tatto.

Si ostina a non voler sentire le superfici.

Si ostina a non volerlo collegare.

Si ostina a non voler far sentire il mondo a Lui.

La sua mano è stretta da una mano che sembra sentire col tatto, la mano di qualcuno che non ha bevuto, qualcuno che non ha perso le aspettative in un sabato sera confuso e abbandonato alla sua disarmante ovvietà.

Sente lo stomaco confondersi coi polmoni, il cuore battere nell’intestino, il fegato abbaiare in bocca.

Una forza è scaturita da quella mano, spostando nuovamente l’asse di Lui e portandolo alla normalità.

Lui è in piedi.

 

20

 

Lui vomita un ringraziamento alla mano che l’ha riportato con gli occhi aperti sul mondo, sulla porta del locale. Una porta che è grande abbastanza da fornire un’idea precisa di quello che si nasconde fuori.

E di quello che da fuori potrebbe arrivare.

Una macchina.

Due ragazze.

Ancora niente.

“Bene”

“No, non mi sono fatto nulla, grazie”

A chi si è preoccupato risponde così.

Tutto sembra deriderlo profondamente, deriderlo per la sua caduta, per la sua mancanza di autocontrollo in una serata come tante in un locale fiorentino.

Accetta le offese.

Brezza forte da ovest.

Due ragazze preoccupate.

Davanti sorridono.

Hanno lasciato il fuoco in macchina.

“Ciao”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 7
*** 21-22-23 ***


21

 

Brezza forte da ovest, carica di risentimento, gravida di temporali che aspettano di scatenarsi su una Firenze gocciolante, chiusa dietro ai vetri di una porta di un locale in un quartiere poco distante dal centro e facilmente raggiungibile.

Gli alberi vi crescono senza difficoltà, salvo poi sporadici dialoghi con tifoni indifferenti e mantelli di pioggia che impietosi avvolgono la visione.

Ma le case resistono sempre.

Anche quando le finestre colano tristezza da un vetro freddo e poco pulito.

Le gocce sul tetto fanno addormentare i bambini in un sabato sera che tende alla notte.

Brezza forte da ovest, si piegano gli alberi, gentilmente sottomessi da quella forza misteriosa che è il vento, quel soffio implacabile e refrigeratore.

Due ragazze portano la brezza nel locale.

Una è bionda.

L’altra castana.

Non sono molto differenti in altezza.

Nei loro occhi di colore differente l’immagine ideale di Lui tenta disperatamente di trovare il suo corrispondente reale.

Una lo vede, lo indica all’altra.

Non parlano.

Ma non sono arrabbiate, non si assaggia l’ira nei loro sguardi.

Si guardano, sospirano.

Si avvicinano.

Strisciando petali che non fanno rumore se calpestati.

 

22

 

Nel locale il loro passo è dolce, non è frettoloso.

Una cammina più lentamente dell’altra, indugia maggiormente nei suoi passi, quasi barcollando.

Non lo fa per difficoltà nel movimento, non lo fa volutamente.

Se indugia è perché vuol mettere in un passo solo un’essenza che il suolo potrebbe non voler accettare.

Per questo

Indugia.

Ma non cade.

Mai.

Può cadere invece l’altra, se non pone la giusta attenzione nei suoi passi.

A spingere la seconda ragazza è infatti un desiderio di umiltà, una corda indistruttibile che la trascina in tutta la sua pura luminosità.

La trascina.

Per questo deve stare attenta a non inciampare nei sassi che sporgono.

Chi viene trascinato non ha in realtà

 la possibilità di toccare

con mano

il suolo.

I petali li sogna ridendo.

 

23

 

Questo ben assortito duetto procede nella sala, affettando lo stupore ignaro.

Si dirige verso di Lui, con fare preciso e non frettoloso.

Non c’è fretta.

Chi si è fatto calpestare

Non può avere molto orgoglio da difendere.

Lui non si opporrà.

Semplicemente

Volerà.

Basterà mostrargli che un petalo nero

Facilmente schiarisce.

Che un amore calpestato

Non sempre stride.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 8
*** 24-25-26 ***


24

 

Lui si rimprovera passando.

Non lascia che un tifone ordinario lo colga nel momento di debolezza.

Camminando a fianco di due ragazze.

Lui si rimprovera.

Di aver scritto lettere per ricordare a qualcuno due anni passati tra fuochi, ghiacci e foreste gocciolanti.

Feste noiose.

Il mondo dell’incompleto.

La ragione di un pathos che non accenna a trasferirsi su carta a comando di Lui.

Un pathos che carica tifoni che si abbattono sulla sua città, sulla Firenze che ospita un locale non centrale.

Se finalmente sta andando avanti con la sua vita

Capisce anche che le lettere commemorative non sono mai al loro posto nella buca delle lettere.

Vai e uccidi il postino prima che le porti via.

Uccidilo e guarda se nel portafoglio tiene la foto di una moglie che non ama.

Come fanno certi poliziotti.

Alcuni militari.

Le lettere commemorative finiscono dopo due righe, immergendo in salsa di soia le restanti sciocchezze di cortesia.

Mentre Lui cammina in un locale, leggermente alterato.

Allora, lo colpisce un errore.

L’aver risparmiato troppi saluti.

 

25

 

Ipocondria.

Mentre le due amiche non parlano e cercano miele e rose per cospargere le loro dita che devono sfiorare la pelle affranta di Lui;

ipocondria.

Mentre la notte sembra sfumare un inizio con i colori di giornate che i tre amici hanno speso interamente dialogando col sole e con la terra, profumando le loro magliette con un’erba tagliata da poco;

ipocondria.

Lui se le sente tutte addosso queste malattie.

Un braccio che minaccia di cadere.

Un dolore alla schiena che traccia un’iperbole nella sua felicità lasciata a casa.

A bere ha portato solo la sua misera compostezza.

La compostezza nel mentire sul dolore.

“ Sono di nuovo ipocondriaco” dice.

“ Accidenti, non l’avrei detto!” risponde la ragazza castana. Un ovvio sarcasmo è attorcigliato alla sua gola.

Ipocondria.

Ipocondria e tifoni.

Ipocondria, tifoni e ragazzini.

Ipocondria, tifoni, ragazzini e petali calpestati.

“ Che malattia sei convinto di avere?”

chiede la ragazza bionda. Angelo splendente che con dolcezza rassegnata domanda al paziente cosa sta somatizzando.

“ Mi fanno male i testicoli”

 

26

 

Virilità.

Sei tu la bestia ferita questa sera.

Questa sera che volge alla notte.

Sono appena le undici di sera.

Ma già volge alla notte.

In fondo, non è così presto.

I bambini sono già a dormire e uomini stanchi carezzano sogni di soddisfazioni.

Virilità, ti vedo ferita stasera.

Colpito nel fulcro del suo essere uomo.

Colpito da patemi inesistenti.

Sente lo sperma ribollire e sfiorire come una rosa che ha eiaculato troppo presto tutto il suo splendore.

Le due amiche vedono un ragazzo che lotta trattenendo una virilità che non sta sfuggendo assolutamente.

La stessa pretesa dell’innamorato che desidera un corteggiamento da qualcuno che già è impegnato.

Lui sente quelle sfere irregolari e piene di vita contorcersi e fischiare di dolore solo sognato.

Lui trattiene coi denti una vita che non si è mai mossa dalla sua sede.

I tre sono arrivati alla macchina.

Alla vista del verde acqua della vettura.

Tanto amichevole.

La virilità divora quel ragazzino.

Smette l’inesistente fuga.

Torna in lui.

Carezza di nuovo le gonadi.

Fiorisce sperma.

E la notte inizia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 9
*** 27-28-29-30 ***


27

 

Il tifone tende un braccio verso tre ragazzi che camminano sul marciapiede bagnato.

Le loro teste sembrano volgersi alle dita della bufera sincronizzate, senza lasciare spazio all’immaginazione di chi li vorrebbe come tre entità che non hanno più niente da dirsi dopo una serata di tradimento.

Ma le due amiche non l’hanno trovato a letto con una menzogna.

Non stava accarezzando la pelle liscia e lucida dell’inganno.

Se non si parlano ancora in modo chiaro,

non è certo per una rabbia che stringe il cuore e la gola;

non è sicuramente a causa del loro stupore riguardo la fuga disperata di Lui.

Camminando i tre

Avvertono che in fondo

È perfettamente normale

Scappare

Non parlare.

Non c’è bisogno di parlare quando si cade dalla fune sospesa in aria.

Nessuna elegia funebre.

Chi è caduto, è stato salvato da un rete morbida e leggermente appiccicosa.

Lui barcolla tra le maglie di quella rete.

Cucita in fretta ma bene.

Cucita dalle due ragazze.

Per lui.

 

 

 

 

 

 

 

28

 

Firenze profuma di pioggia attraverso il finestrino della macchina, che adesso viaggia abbastanza veloce su viali quasi deserti.

“ Com’è che non c’è nessuno stasera?” chiede Lui. Prega che l’attenzione gli tolga i suoi occhi di dosso.

“Sai che non lo so? In effetti sembrava strano anche a me, essendo sabato mi aspettavo i viali intasati…” risponde la ragazza che guida, è quella castana. Non lo guarda mentre parla, neppure mediante lo specchietto.

Manca tuttavia la freddezza nella sua voce.

Una freddezza che Lui crede di meritare.

Il cielo rimareggia di nero, e la cupola tempestosa protegge il viaggio dei tre su viali misteriosamente abbandonati, proprio in un sabato sera.

“ Beh, tenete conto che piove come dio la manda, a quanto pare siamo noi gli unici pazzi che hanno voluto uscire con questo tempaccio!” commenta la ragazza bionda. Siede nei posti dietro.

Lui è seduto davanti, accanto all’autiere.

Sospira di nuovo.

Sono uscite per lui.

Sono pazze per lui.

Lui è pazzo per?

“ Credo di stare approfittando inconsciamente del vostro affetto…” decreta poi Lui, senza staccare gli occhi dalle case e dagli alberi che si susseguono fuori, cancellandosi e sfumandosi passando.

“ Niente di più stupido…” è il commento della ragazza dietro. Sulle sue labbra riappoggia un sorriso affettuoso.

“ Concordo..” aggiunge la ragazza al volante. Allunga una mano.

La mano tocca i capelli di Lui.

Lui che si sente d’un tratto stupido ed ingrato.

Lui che infondo, voleva solo sapere fin dove poteva arrivare col dolore.

Gli mancava.

Mancava al suo cuore.

La ragazza al volante lo fissa, Lui se ne accorge.

Sorride, non si volta.

Dato che anche lei sorride.

Una mano lo cinge da dietro.

“ In un’altra situazione ti avrei portato ad ubriacarti, ma visto che ci hai già pensato, cosa vuoi fare?” chiede la ragazza che siede accanto a lui. Al volante.

Una devastante serietà accompagna il suo affettuoso senso pratico.

 

29

 

“ Se non dovete tornare a casa troppo presto…”

“…sì?”

“ beh ecco, vorrei vedere fin dove possiamo arrivare”

“in che senso?”

“voglio vedere quanto ancora possiamo provare, cosa cerco.”

“direi che non ci sono problemi”

“no no, va benissimo, ci sto!”

“ voglio cercare di ricordare che rumore fa un amore

che muore, in questa città, stanotte”

 

30

 

Tre.

Tre lati di una costruzione.

Tre mediane.

Tre altezze.

Tre lati.

Tre perché due senza uno non regge.

Tre perché è il numero dei pareri che servono per decidere.

Tre perché un disegno del fato ha voluto così.

Tre perché sono semplicemente tre.

Un ragazzino.

Un angelo seduto dietro.

Una poetessa che guida.

La città che fuma amore, ricordi.

Che trita vissuti.

Tre in una macchina.

Si apre il centro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 10
*** 31-32-33 ***


31

 

Macte nova virtute, puer! Sic itur ad astra!

Coraggio ragazzo, così si arriva alla gloria!

Gioisci di questa nuova prova di coraggio, ragazzo!

Queste le parole che a lui tornano alla mente, e non ricorda chi gliele rivolse.

Qualcuno il cui parere doveva contare molto, presumibilmente.

E allora macte nova virtute, puer!

Gioisci di questa nuova, ordinaria prova di ostinazione.

Macte nova virtute puer!

Perché domani nessuno considererà un gesto da ragazzino come una prova di coraggio ed ardore.

Domani sarà richiesto di più.

Domani dovrai andare, vedere e vincere

Per far sì che ti lodino.

Macte nova virtute, puer.

Macte nova virtute puer.

E non preoccuparti di chi te lo disse.

Neppure se te l’avesse detto ieri tu lo ricorderesti.

Macte nova virtute, puer!

Anche se sei un codardo, per noi sei coraggioso.

 

32

 

Una mano da dietro gli carezza i capelli.

Un odore di fresca e neutrale pulizia di rose si avvicina ai suoi pensieri.

Nell’angolo destro della sua visione ci sono capelli biondi e lunghi.

Lui sorride.

Sorride perché il momento di farlo.

Oh, Lui che ha conosciuto molti amori e che tutti li ha calpestati, senza neppure chiedere un ultimo volo di rondine nei suoi cieli.

Senza neppure domandarsi che rumore facesse un amore che muore.

Infatti al giorno d’oggi non lo ricorda.

E va cercando un rumore.

Scambi di occhiate tra i tre.

Si esce, si perde e si rientra.

Gara di sguardi tra i tre.

Chi vince parla per primo.

“ fondamentalmente, dove vogliamo andare?” chiede la ragazza al volante. Una parvenza seria e affettuosa la distingue dai due.

In lei è chiarissima la praticità di chi ha la patente, la patina di vita che avvolge chi ha raggiunto la maggiore età.

Non muore però in lei uno spirito bambino che le impedisce di essere celere nelle scelte, un accessorio che luccica e che tratteggia il suo viso sempre fresco.

“ Mah, io proporrei semplicemente di fare un giro by night qui in città…”

risponde Lui. Abbraccia il tifone che si china per ascoltare meglio.

Le due ragazze si guardano.

Se non è puro sadismo divertito quello che mostrano sorridendo, allora è solo curiosità.

Attenti alla stella che stanotte cadrà.

Potete partire.

 

33

 

Quando la destinazione è decisa, manca qualcosa.

Si nota negli occhi dei tre, nei loro discorsi cautamente reticenti.

Si scioglie nel vento che infuria.

A Lui fa venire voglia di calore.

Manca un braccio che non sente più dove dovrebbe stare.

Manca, la posizione è sbagliata.

Manca il peso di una gamba sulla sua.

Non mancava da prima che entrasse nel locale.

Ricordate il locale?

C’è entrato perché qualcosa mancava troppo.

E dai fumi del bere.

Ora è tornato a mancare.

Lui chiede…

“Ne sa niente?”

Cuciti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 11
*** 34-35-36-37 ***


34

 

Un altro personaggio maschile proietta la sua presenza sotto forma di ombra che si lancia  a capofitto su quei tre cuori che per un attimo l’avevano perso di vista.

Avevano omesso la sua presenza e la sua preoccupazione.

La preoccupazione di un ragazzo non eccessivamente diverso da Lui.

Solo opposto.

Per questo

Non troppo diverso.

No, no ragazzi.

Certo che non ne sa niente.

In questa notte è il punto di partenza di Lui.

E l’arrivo giace da qualche parte tra il tifone e la città.

Lui è partito dalla sede dell’altro ragazzo.

Motivo dell’immaginata collera negli occhi delle due ragazze.

Avevano però dimenticatole due.

Niente collera.

No che non ne sa niente.

No.

 

35

 

“ Mi sono sporcato immaginando un’altra mattina rubarmi i contorni della sera”

 

36

 

“ Senti, io credo che dovresti almeno chiamarlo, stasera ti aspettava” dice la ragazza bionda allungando tra le sue dita una ciocca dei capelli di Lui.

Fuori dalla macchina infuria il profumo di terra che respira dopo settimane di sole primaverile.

In questo mondo sono rotti e subito riparati.

Mentre sorridono.

Lui mostra una smorfia poco credibile.

“ No, non credo proprio in realtà.”

Nell’immaginario delle due ragazze qualcosa cade e si frantuma trascinando con sé un parte di loro che rischia di sporgere troppo dal bordo del tavolo.

Sempre che il tavolo non si rovesci.

La ragazza bionda molla la morbida presa dai capelli di Lui.

“ E’ insopportabile quando fa così?”

Dice poi incrociando le braccia. Nello specchietto cerca il consenso della ragazza che sta guidando.

“ E il bello è che non danneggia soltanto se stesso…Senti, credo anche io che lo dovresti chiamare”

sentenzia la ragazza che guida.

Guarda con morbido rimprovero, ed un po’ di apprensione il ragazzo che adesso appare più laconico che mai.

Lui sbuffa.

Vuole fare una nuvola.

Sperando che non assuma il volto della faccia del ragazzo che aspetta ancora seduto un campanello che non suona.

 

37

 

“ Cuciti. Cuciti e non parlare.

Mi bruci più di ogni altra cosa

Quindi vedi di farla finita

Che così non posso andare

Avanti! O indietro?”

“ Mi fai il sacrosanto favore di non dire nulla?

Il potere che hai…”

“ se stanotte infuria così forte un acquazzone

che diavolo di colpa dovrei averne?!”

“ Lo sai, no, che è sempre così”

“Ma lascialo parlare..”

“ non fate come se non fossi presente!”

“Ora chiedi troppo…”

“Cuciti, stanotte cuciti”.

Ricordi.

Mai qualcosa che si avvicini al grido dell’amore ucciso.

Una  città che doveva essersi aperta un’ora prima.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 12
*** 38-39-40 ***


38

 

Gocce di pioggia accarezzano il vetro di una macchina che procede spedita in viali deserti.

Strano, perché anche se piove è sabato.

Ed è anche notte.

Il loro quartiere si assimila sempre più al centro di Firenze.

Il fiumiciattolo che lo attraversa è sempre più gravido di Arno.

Gli alberi si fanno radi.

Quando appaiono si stagliano maestosi ed artificiali verso la tempesta che li spaventa e li unisce nei tre stati d’animo.

Il profumo di terra che respira sotto l’acqua ricorda sempre di più l’odore sterile di antichi palazzi.

E le case.

Le case passano veloci e crescono d’altezza metro dopo metro.

Cambiano i materiali di costruzione.

Cambiano le tracce ancestrali.

Cambia l’intrinseca storia di ogni focolare domestico.

Aumentano gli anni di storia.

Ritornano alla mente inni contadini in un quartiere che anni prima neppure era parte della città.

Campi.

Solo quelli c’erano.

E Lui guarda con la coda dell’occhio quello che nasconde la verità, il frutto più acerbo e allo stesso tempo più appetibile.

Tira leggermente una ciocca bionda.

Quanto basta

Per sentirne il profumo.

E non sentire quello

La cui mancanza è alle porte.

 

39

 

“ Che c’è adesso?” chiede la ragazza bionda.

Le sue parole non intaccano il profumo che emana.

“ Niente, davvero. Non capisco perché ogni volta che non sono esattamente al massimo voi dobbiate pensare che sia effettivamente successo qualcosa di grave…” risponde Lui.

E vorrebbe, sì, vorrebbe somministrare ai pazienti una purga irritante.

Ma è un anestesista che non ricorda più come maneggiare una siringa.

Un artigiano senza mani.

Qualcuno che il suo mestiere l’ha dimenticato.

Per cambiarlo.

La questione non finisce al vento, però.

L’altra ragazza si volta.

Lo guarda con espressione di ovvietà.

“ Lo dovresti sapere… sei un libro aperto.”

Risponde.

“ Al diavolo…” risponde lui.

Non ditegli mai che un sorriso è riuscito a sfuggire al suo controllo.

 

40

 

Il profumo è ormai quello inequivocabile del centro.

E infatti l’essenza di acacia si è persa per strada.

Ma campeggia ancora nella vettura.

Appare lo sfarzo di centomila luci in una sola via.

La loro luce tende da secoli all’arancione

E il colore dei palazzi monumentali non le smentisce di certo.

Lui vede, stanco,

che chi cerca non trova

che chi vuole non ottiene

che chi si commisera non piange

che chi troppo ama fa questa fine.

Centomila luci in fondo

Nascondono le stelle.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 13
*** 41-42-43 ***


41

 

lo stanco blues di campagna non tarda mai a trasformarsi in uno sporco trash tecnico, un ritmo incalzante e battente .

Chitarre che raschiano il cuore e grattugiano ogni commozione su un piatto di luci troppo fluorescenti.

Su un paio d’alberi che gridano a una Firenze che giace eterna come la bellezza meno appariscente.

Su un piazzale profumato turisti stanchi ed estasiati scendono a gruppi dai pullman.

Drogati da quadri che hanno già scordato

Da nomi che trascendevano la loro capacità di pronuncia

Da giganteschi blocchi di pietra levigata

Da profumi seicenteschi

Le coordinate illustri della gloria della città.

Si affacciano alla ringhiera, e rimangono fermi di fronte alla morte.

La morte è una grande cupola rossa.

 

42

 

“ Ma tanto non c’è mai niente da fare quassù…” dice Lui.

Non che voglia ferire

Non che voglia irritare

Non che voglia arguire

Le due ragazze non si toccano, ma…

“ Questo mi sembra ovvio…”

Risponde la ragazza più alta,

quella che ha spinto una macchina attraverso mille viali deserti.

Quella che ha sentito le ruote farsi calde

Quella che accanto a Lui ha soffocato una rabbia fredda e cieca.

“ Ecco, appunto, e allora perché siamo qua?”

Ribatte Lui.

Che voglia litigare?

Che voglia arguire?

Che desideri ferire?

“ Grattatemi il braccio…”

decreta lei.

La ragazza bionda, l’altra ragazza alza gli occhi soddisfatta.

“ Ma sì… grattiamo”

risponde Lui.

Non sorride secondo voi?

 

43

 

Prima con un dito, all’interno del gomito.

- estasi?-

Si passi poi leggermente più in basso, con le tre dita.

- Il cielo sembra un telo nero!-

Scendere poi verso il polso, movimento rotatorio.

- Siete bravissimi!-

Il palmo della mano è sensibilissimo.

- Lo vedi lassù?-

Percorrere il braccio, nuovamente.

- cosa?-

La spalla è importante.

-          Un piccione bianco, vola nel cielo nero, va verso la zona ancora in luce!-

Il mento, la parte fondamentale.

- Stai male..-

Ripetere.

Si ride, su una panchina.

Si scherza.

Si muore anche, se passa un venditore ambulante di rose.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 14
*** 44-45-46 ***


44

 

La città di notte

Spinge la gente a ridere di un piccione bianco

Che vola al buio.

 

45

 

Ogni mente si fa come il piazzale.

E i pensieri sono rapidi e curiosi turisti giapponesi

Che si accalcano incuriositi alla ringhiera

Per vedere questo vulcano che sta per eruttare

Per vedere il magna accumularsi sotto forma di bellezze

Come cupole, cattedrali, basiliche, statue, parchi.

Si accalcano alla ringhiera senza spingere, questi pensieri

E osservano un vulcano che sta per eruttare

Un magna di verità ustionanti che stanno per colmare

Il vuoto desolante del piazzale

Illuminato adesso soltanto da luci sporadiche

Gialle come un ospedale nel dopoguerra

Intense come lucciole abnormi

Lucciole che non si vergognano di inghiottire le stelle.

Avanza il magma, e lo senti gonfiarsi

Lo senti sputare nella fresca brezza estiva

Mentre il take away messicano è ancora aperto

Mentre stanche coppie si avviano al locale

Vicino a quella croce…

Che dicono sia santa.

Si avviano le coppie, stanche, ma brillanti.

Si muovono tutti nel magma

E dall’alto del piazzale sembra una grande fuga

Di ridicole scintille

Che tentano di emergere

Che tentano si soffocare le altre

Per essere le prime in testa alla processione che erutta

E sale verso il lontano piazzale.

Non è la tempesta che fermerà il magma

Nel nero che copre il cielo come un telo

Volano anche i piccioni bianchi

E le panchine sporche del piazzale non saranno bagnate

Non pioverà

Il vento non tuonerà.

Solo, erutterà, erutterà, erutterà.

E le domande non si contengono più.

 

 

 

 

 

 

46

 

“ Ci siete stati al giardino delle rose?”

Chiede la ragazza castana.

“ Certo che ci sono stata! Una delle forche di maggio..”

risponde la ragazza bionda.

I tre sono adagiati sul vuoto del piazzale.

“ come al solito me lo sono perso…”

risponde lui.

C’è un giardino, proprio accanto al piazzale.

È pieno di rose, variopinte.

Non molti lo conoscono però, eppure la sua apertura è un evento.

È aperto solo per un mese all’anno.

Dicono che sia per preservare la bellezza delle rose

Dicono che sia perché quello è il periodo di fioritura delle rose.

“ Penso che sia perché non ce le meritiamo quelle rose”

dice Lui.

“ Noi però le abbiamo viste…”

rispondono le due ragazze sorridendo.

Molte rose.

E secondo alcuni c’è anche un dispero ombroso.

E sotto al dispero c’è una panchina.

E sotto al panchina c’è erba verde.

E sotto l’erba verde c’è terra cittadina pulita

Coltivata dall’antichità.

E sotto la terra c’è la terra.

E sotto la terra c’è terra

E sotto al terra ci sono scheletri e ruderi

E sotto il piazzale ci sono scheletri e ruderi.

Scheletri e ruderi.

Scheletri e ruderi.

Scheletri e ruderi.

Petali e madri.

Rumori morti.

E poi l’acqua.

E sotto l’acqua, schiacciato dalla pressione.

Un amore che muore sotto un petalo.

Per troppa dedizione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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