Possession

di crazy_world
(/viewuser.php?uid=105883)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo Due ***



Capitolo 1
*** Capitolo Uno ***


Premessa (aggiungerei MOLTO importante): io amo la storia di Batman e ho una passione innata per Joker e Harley Quinn. Putroppo non ho mai letto un fumetto (lo so, lo so, eresia) perché non ho idea di dove trovarne uno. Anzi, se sapete darmi qualche dritta, ve ne sarei grata. Comunque mi sono informata sulla storia di entrambi, ho letto parecchie cose, visto film... Tuttavia, in questa fanfiction stravolgerò tutta la storia della coppia (altra grande eresia) reinventando molte cose. So che mi odierete ora, però vi prego, se vi va, provate a darci un'occhiata e fatemi sapere cosa ne pensate (anche insulti, se me li merito, ahah)
Un bacio !
 
Informazioni:
 Joker: 30 anni. Genio (folle) del crimine.
 Harley: 20 anni. Studentessa di psicologia all'Università di Gotham.
 
 
 
CAPITOLO UNO
 
Harleen Quinzel aprì la porta del suo appartamento nel centro di Gotham City.
Sbuffò nel vedere il porta-ombrelli rovesciato.
«Bud!» esclamò.
Immediatamente, un Jack Russell Terrier comparve nell'ingresso, la coda tra le zampe e le orecchie basse.
«Bud, guarda cos'hai fatto!» lo rimproverò la ragazza, indicando il porta-ombrelli.
Il cane emise un guaito poi tornò svelto in cucina.
«Ehi Bud! Dai, non sono arrabbiata!» disse Harleen in tono leggero. Non vedendo il cagnolino tornare, si strinse nelle spalle e si tolse l'impermeabile, lasciandolo sull'appendi-abiti.
Attraversò il salotto e percorse il corridoio; raggiunse la camera da letto, dove si sfilò i jeans che aveva indossato durante la lunga giornata all'Università. Li depositò sul letto e si tolse anche la camicetta.
Aprì l'armadio e ne estrasse un paio di pantaloni rossi della tuta, molto aderenti alle sue gambe asciutte, e una maglietta bordeaux, anch'essa abbastanza stretta.
Andò davanti allo specchio e si pettinò i lunghi capelli biondi.
Li raccolse in un’alta coda di cavallo; si osservò per qualche secondo, controllando che non ci fossero ciuffi ribelli.
Ma cos’era quella cosa vicina alla porta che vedeva riflessa nello specchio?
No, non era una cosa.
Era qualcuno!
Harleen cacciò un urlo, girandosi di scatto verso la porta della camera da letto.
Terrorizzata, cercò immediatamente qualcosa con cui difendersi, ma vicino a lei non c’era nessun oggetto neanche lontanamente pericoloso.
«Buonasera, Harleen».
La voce di Joker era calda e piacevole. La fissava con attenzione, osservando ogni singolo dettaglio della giovane.
«Io so chi sei» disse la biondina con voce tremante.
«Ah, davvero? E chi sono?»
L’uomo inclinò la testa di lato, incuriosito.
«Tu sei un criminale».
«Ah, suvvia, non direi. Non faccio niente di così grave» ridacchiò lui.
«Hai ucciso delle persone!» esclamò lei, arrabbiata.
«Touché».
Harleen lo fissò terrorizzata. «Ti prego, non uccidermi» sussurrò. «Non ti ho fatto niente di male».
Joker le sorrise teneramente. «Lo so piccina, lo so. Non voglio farti del male infatti».
Lei non si rilassò. «E allora cosa vuoi?» mormorò la ragazza, dubbiosa.
Lui la guardò divertito, il sorriso delle vere labbra si mescolò con quello fittizio del trucco rosso sangue.
«Voglio… giocare. Voglio giocare con te».
Lei trattenne il respiro. «Io non voglio giocare. Per niente».
«Oh, avanti!» esclamò l’uomo. Si staccò dalla parete e le andò incontro. «Ma è un bel gioco!»
Lei scosse la testa con vigore. Era atterrita, sola in casa con un pazzo e nessuno sapeva dov’era. Avrebbe tranquillamente potuto ucciderla e nessuno si sarebbe chiesto che fine aveva fatto Harleen Quinzel.
«E va bene» concesse Joker. «Oggi non mi è andata bene».
Lui continuava ad avanzare verso di lei, che si stava schiacciando contro il muro, pregando perché questo si aprisse e la inghiottisse.
«Non ti avvicinare!» gli intimò disperata, raccogliendo tutto il coraggio che aveva nel minuto corpo.
Lui non si scompose; anzi continuò a sorridere e ad avanzare. Quando fu a pochi centimetri dalla giovane, allungò un braccio, che andò ad avvolgere la vita di Harleen. La bionda si irrigidì.
«Non avere paura di me, bimba» sussurrò.
«Lasciami» disse lei tra i denti.
Il cellulare della ragazza, abbandonato sul letto, prese a squillare allegramente.
L’uomo parve risvegliarsi; la lasciò andare e spalancò la finestra della camera.
Lei si allontanò immediatamente da lui, correndo dalla parte opposta della stanza, ignorando totalmente il telefono.
Non fece in tempo a riportare lo sguardo verso la finestra, che Joker era scomparso.
Si accorse solo in quel momento che stava tremando violentemente; afferrò il cellulare e, non senza difficoltà, pigiò il tastino verde.
«Pronto?»
La voce tremava sensibilmente.
«Harleen, tutto bene?»
Riconobbe la voce di una sua compagna dell’università.
«Sì, tutto bene. Dimmi tut…»
Si bloccò.
Sul vetro della finestra, che qualcuno aveva richiuso – dall’esterno sicuramente – c’era una scritta in rosso.
                                                                                      

                                      Soon

 
«Ti richiamo».
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo Due ***


CAPITOLO DUE
 
Harleen scrutò con attenzione ogni singolo angolo della cucina, alla ricerca di un segno che potesse significare che il pazzo del giorno prima, si era infiltrato nuovamente a casa sua.
Ma di Joker non c’era traccia; così, ancora con gli occhi incredibilmente vigili per essere solo le sette del mattino, si sedette al tavolo per fare colazione.
Aveva dormito malissimo quella notte: i suoi sogni erano stati popolati da labbra senza proprietari, labbra scarlatte che ghignavano.
Bevve una tazza di latte freddo e ci inzuppò un paio di biscotti, poi corse in bagno per lavarsi e vestirsi.
Una volta che ebbe finito anche di truccarsi, salutò Bud con qualche carezza dietro alle orecchie, afferrò la tracolla piena di libri, quaderni e matite, e uscì dall’appartamento, chiudendo attentamente la porta d’ingresso a chiave.
Il traffico di Gotham City era già scatenato; macchine e autobus riempivano le strade, mentre i pedoni affollavano i marciapiedi.
Herleen raggiunse la fermata del suo autobus e, nell’attesa, estrasse un lettore mp3. Si infilò le cuffie nelle orecchie, e immediatamente la sua canzone preferita le riempì la testa, scacciando ogni pensiero.
Trasalì quando qualcuno le picchiettò sulla spalla.
Si voltò di scatto e si trovò faccia a faccia con Janet, una sua compagna dell’Università.
«Jenny» borbottò sollevata, togliendosi gli auricolari. «Ciao».
L’altra ragazza la guardò preoccupata. «Va tutte bene?»
«Certo!» si affrettò a rispondere la bionda, sforzandosi di cancellare la ruga di preoccupazione che – sapeva – di avere sulla fronte. «Non ti aspettavo qui, ecco tutto» disse con un sorriso tirato.
«E io aspettavo che mi richiamassi ieri» disse l’amica con un finto tono di rimprovero.
«Oh, si… scusa, mi sono addormentata. Ero stanchissima» mentì la giovane.
«Ti sei addormentata alle sei del pomeriggio e poi non ti sei più svegliata?» chiese Janet scettica.
No, certo che no. Ho passato buona parte della serata a rimuovere la scritta dalla finestra e a disinfettare il vetro come un’ossessa. Contenta?
L’autobus arrivò, risparmiando alla ragazza la fatica di trovare una risposta che fosse credibile.
«Andiamo?» chiese a Janet. L’altra annuì sospettosa, assottigliando gli occhi.
Per tutto il tragitto, Harleen fece finta di non notare lo sguardo indagatore dell’amica, osservando fuori dal finestrino.
Quando arrivarono all’Università, biascicò un «Ciao Janet» e si dileguò tra la folla.
 
Di nuovo una giornata estenuante, divisa tra studio, corse a perdifiato per i corridoi dello stabile cercando di non arrivare tardi alle lezioni, e gran finale con tanto di salto mortale per non perdere l’autobus che l’avrebbe riportata a casa.
La bionda aprì la porta dell’appartamento ancora con il fiatone, e si catapultò nell’ingresso.
Si tolse la giacca e le scarpe. Raggiunse il divano e si lasciò cadere a peso morto, sperando di riuscire a dormire almeno un po’.
 
«Allora?»
Joker era seduto su una sedia di legno scomoda e scheggiata, nel suo covo.
Davanti a lui, se ne stavano in piedi due dei suoi scagnozzi. Lo fissavano con timore, spaventati all’idea di vederlo esplodere di rabbia. Era sempre così con lui; non c’era modo di capire se quando rideva era sinceramente divertito, o se quando sbraitava c’era un motivo o se era per il semplice gusto di farlo.
«Ora è a casa. Gli altri la stanno osservando dal palazzo di fronte» mormorò il più basso tra i due.
«Quando la rapiranno?»
«Non appena gli daremo il via» rispose pronto il secondo.
Joker guardò fuori dalla piccola finestra, unica fonte di luce in quella topaia.
«Dai l’okay. Portatela dove vi ho detto di portarla. Ricordate all’idiota coi capelli rossi che deve mettere la sicura alla pistola, anche quando la minaccerà. Poi arriverò io a salvare la dolce Harleen…» ridacchiò.
I due annuirono e cominciarono ad indietreggiare.
«Ah, un’ultima cosa» li richiamò il pagliaccio.
Quelli lo fissarono, i nervi a fior di pelle.
«Ricordategli anche che se la sfiora, basta solo con un dito, io gli taglio le braccia. E sapete quanto mi piacciono i coltelli, no?»
I due annuirono di nuovo, freneticamente.
Farfugliarono qualche smanceria rivolta al loro capo e sparirono oltre la porta dell’ingresso del nascondiglio.
Joker si massaggiò le tempie. Si alzò dalla sedia e si avvicinò all’unico specchio che c’era in quel tugurio.
«Cadrà ai miei piedi» disse al suo riflesso.
Scoppiò in una risata folle e acuta.
«Oh, si, si, si, si» mormorò leccandosi le labbra scarlatte. «Sarà mio quel tesorino. Tutto per me, tutto per me, tutto per me».
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1058104