Non dimenticarmi

di Valeriaep
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Neve ***
Capitolo 2: *** Indimenticabile ***
Capitolo 3: *** Un cuore pieno di battiti ***
Capitolo 4: *** Infinito ***
Capitolo 5: *** Sei raggiante ***
Capitolo 6: *** Ci ritroveremo ***
Capitolo 7: *** Yes, I still love you. ***
Capitolo 8: *** let it be ***
Capitolo 9: *** Ci sarò sempre ***



Capitolo 1
*** Neve ***


Aveva appena varcato la soglia dell’ ospedale.
-House, fermati. Devi venire con me. -
Quella voce irritante, austera, saccente.
Lui si voltò lentamente, e quasi scocciato, mentre in modo buffo mangiava patatine in busta.
-Dove andiamo, Booossss- Rispose 
Abbiamo un caso, a Boston, il direttore dell’ ospedale, ha chiesto di te. C’è un paziente molto grave che soffre di..
-Rifiuto- non lo lasciò terminare.
L’uomo si avvicinò all’altro.
-House, non hai capito. Tu, non puoi rifiutare, perché l’unica scelta che hai è quella di prendere un solo membro del tuo team, e venire con me. Non si discute.-
-E se decidessi invece di..-
Questa volta fu lui a non finire la frase.
-Hai presente il tuo ufficio? La tua televisione al plasma? Il tuo divano?-
-Ok, ok bosss, ho capito.. Quando si parte?-
-Ora-
Il viaggio fu stressante, tra un Foreman silenzioso e una Park, che provava a parlare di tutto.
Arrivarono con due ore di ritardo. Ma arrivarono.
Appena varcò la soglia dell’ospedale Mayer, si sentì osservato, quasi infastidito.
-House, guarda, qui hanno addirittura le scale mobili-
-Evidentemente, hanno un boss DECENTE-
Neanche il tempo di girarsi verso Foreman, che vide quella figura in lontananza, avvicinarsi sempre di più. Quel passo felpato, così terribilmente sexy, i capelli liberi di muoversi dove volevano.. Sembrava quasi surreale.
-Buongiorno- disse lei, rivolgendosi a Foreman.
Aveva quasi dimenticato il suono della sua voce, aveva dimenticato quanto fosse bello il suo sorriso. Rimase immobile, impaurito da quella donna, impaurito dal suo cuore, che si era risvegliato soltanto rivedendola.
-Cuddy- Foreman, si avvicinò alla donna, abbracciandola calorosamente.
 
-Devi scusarmi, ma oggi è una giornata assurda. Ho mille impegni. Queste sono le cartelle- Indicò un piccolo ometto, con in mano uno scatolone troppo pesante. –Ti ho riservato, al secondo piano, un ufficio. Ci tengo al paziente, ci tengo a questo caso. Aggiornami per ogni decisione.-
-Certo- rispose Foreman sorridendole, e afferrando lo scatolone.
-Mi raccomando, fai come se fossi..- un secondo di silenzio e poi continuò –nel tuo ospedale.- 
Andò via, senza degnare di uno sguardo a quell’ uomo  con il bastone. Andò via, proprio come aveva sempre fatto, con disinvoltura, con dignità, trascinandosi dietro un profumo, che troppe volte aveva immaginato, e che non avrebbe mai dimenticato.
 
Aveva bisognodi aria, aria pura. Non riusciva a immaginare che lei fosse a poca distanza da lui. Non riusciva a stare fermo, non riusciva a pensare. E da quando l’aveva vista, non aveva detto una parola, si era limitato a leggere con superficialità le tante, troppe cartelle.
-Dove vai?-
-Ho bisogno di fumare una sigaretta-
-tu non fumi-
-io non fumo in tua presenza, boss.-
Ce l’aveva quasi fatta, era quasi fuori da quella scatola, che gli risucchiava il cervello, ma appena la porta dell’ascensore si aprì, incrociò il suo sguardo. Prima o poi, sarebbe accaduto. Lei, era accerchiata da stupidi, leccaculo, che probabilmente speravano di riuscire a conquistarla. Lui, era solo. Solo con il suo stupido bastone. Quegli occhi, si incrociarono, c’era rabbia e freddezza, in quelli di lei. Troppe emozioni, in quelli di lui. Abbassò lo sguardo, senza volerlo, e la lasciò alle spalle. Arrivò alla porta, stava per uscire fuori. Ma senza neanche pesarci, si voltò. La vide scomparire dietro all’ascensore, riuscì a intravederla, mentre si mordicchiava il labbro inferiore. Sorrise.
Certe cose non cambiano. 
Nel momento stesso in cui lui uscì, iniziò a nevicare. 
-Fantastico-, disse, -non ho neanche l’abbigliamento adatto.-
 
Era sera, nevicava, e lui per scelta aveva deciso di rimanere in ospedale. In quell’ufficio c’era tutto ciò che lui, per anni, le aveva sempre chiesto. Un televisore al plasma, ultimo modello, un divano comodo, una macchina del caffè, pronta a preparare dell’ottimo espresso Italiano. E pensare, che questa volta aveva ottenuto il tutto, senza fare stupidi giochini irritanti. Sorrise all’idea, sorrise al ricordo di quando si punzecchiavano, tra i corridoi di quell’ ospedale. Sorrise, per tutte le volte che si era intromesso nella sua vita privata, facendola arrabbiare. Sorrise, per tutte le volte, che lei, gli dimostrava affetto. Sorrise al ricordo di loro. Sorrise. Giocherellando con la penna.
 Semplicemente sorrise.
 
Ed era lì che sorrideva da solo, immerso nei suoi pensieri, neanche da accorgersi che qualcuno era appena entrato, gli aveva posato una cartella sulla scrivania, ed in silenzio era andato via. Ritornò alla realtà, riportato da quel profumo conosciuto. Uscì immediatamente fuori dallo studio, in tempo per vedere l’ascensore chiudersi. Senza pensarci due volte, scese anche lui, sforzandosi di scendere delle scale, nonostante la gamba. Quando l’ascensore si aprì, guardò all’interno, c’era solo un uomo. Allora penso di andare nel suo ufficio.
-Mi dispiace- venne fermato. –lei non può avvicinarsi.- Un uomo, della sicurezza lo fermò.
House sorrise, lo spinse.- è urgente- disse.
Si avvicinò alla porta, afferrò la maniglia, e poi guardò quel nome fissato su quel vetro.
Dtt.ssa Lisa Cuddy, Williams.
Allentò la presa dalla maniglia, fece qualche passo indietro, quasi come se avesse visto un fantasma.
Sentì un dolore in pieno petto, sentì l’irrefrenabile voglia di correre lontano.
-Signore, deve allontanarsi- Quell’uomo della sicurezza si avvicinò nuovamente.
House lo guardò, mosse il capo, facendo un cenno che somigliava ad un si.
E si allontanò. Si allontanò, mentre la neve ricopriva i suoi abiti, ma non riusciva a ricoprire i suoi pensieri.

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Capitolo 2
*** Indimenticabile ***


..Eppure, in cuor suo, sperava che lei in qualche modo, lo stesse ancora aspettando. Sperava, che non l’avesse dimenticato, che provasse qualcosa per lui, che quella telefonata, per  risolvere un caso nel suo nuovo ospedale, celasse qualcosa dietro. In realtà,  aveva solo viaggiato troppo con la fantasia. Cuddy, è sempre stata una donna forte, doveva immaginarsi, che, andando via da lui, avrebbe ricominciato una nuova storia, una nuova vita. E che lui, in quella vita, sarebbe stato solo un gelido nome.
-Dovevi stare qui, tre ore fa- gli disse Foreman, appena lo vide rientrare nell’ospedale.
-E, tu dovresti conoscere le mie abitudini ormai. Ho capito che vuoi dimostrare al tuo vecchio boss, che sei un bravo boss..-
-Ha avuto un arresto cardiaco-
-Chi?-
-Superman, House.-
-Oh mio dioo, adesso il mondo andrà a rotoli, la gente impazzirà..
-House!-
Il tono di Foreman, divenne serio.
-Ok, vado a fare colazione, e prometto che, tra una ciambella e una tazza di caffè, ci ragiono.-
-Hai dieci minuti di tempo-

Sorrise.
Ancora quel profumo, ad inebriargli i sensi. Si voltò di scatto, fu come una visione. Era lì, che cercava di far mangiare sua figlia. Rachel, era cresciuta, certo, due anni più grande, di come la ricordaba, sempre con quello sguardo vispo, bella, come sua madre. Cercò di non farsi notare. Ma come si fa a non notare House?
-Mi scusi?-
House si voltò lateralmente, -mi dispiace, ma lei qui non può stare- Ancora quell’uomo, quello della sicurezza, che la sera prima provava a non farlo avvicinare a Cuddy.
House sorrise –Vorrei solo una ciambella- Provò a dire con tono da bambino impaurito
-mi dispiace, non mi costringa a chiamare i rinforzi.-
Era irritato, lo aveva chiamato, ma non poteva avvicinarsi a lei, non poteva passarle accanto,  non poteva guardarla da lontano, perché lei non glielo permetteva. Si avvicinò a quell’uomo così grosso, quasi con fare minaccioso. Avrebbe voluto spaccargli la faccia. In realtà era solo arrabbiato con se stesso. Poi si girò verso Cuddy, che lo fissava. –Bene.- fu l’unica cosa che riuscì a dire.
Fu un secondo, lui stava per avvicinarsi all’uscita, che una piccola mano gli afferrò il bastone. Si voltò arrabbiato, ma fu tutto così veloce.
Rachel era sgattaiolata via, senza farsene accorgere e abbracciava la sua gamba, quella che gli procurava tutto quel dolore.
-House, sei tornato?!- Esclamò sorridente.
Era paralizzato. Come potesse ricordarsi di lui. Impossibile
-Rachel, quante volte ti ho detto che non devi importunare degli estranei.-
Una voce machile, afferrò la piccola, tirandola a se.
Un uomo, sulla Cinquantina, con i capelli leggermente brizzolati, così simile a lui, esteticamente, solo che non era zoppo.
-Ma lui è House, l’amico di mamma.-
Quel nome, rimbombò in quella sala, rimbombò nelle orecchie di quell’ uomo, che istintivamente portò indietro la piccola, guardò, Lisa, e in poco tempo, diede un pugno ad House.
Sentiva delle voci, sentiva quel profumo, aveva il labbro superiore che bruciava da morire, e un forte mal di testa, voleva aprire gli occhi, ma la luce lo infastidiva. Vedeva una figura, in lontananza, e poco nitida.
-House, come stai?- Era Park
-come uno che.. diamine, chiudi quelle tende-
La ragazza si mobilitò immediatamente, appena la stanza si oscurò, lui riuscì ad aprire gli occhi.
-che mal di testa-
-è stato il miglior pugno mai visto. Giuro.- La ragazza era quasi emozionata nel raccontare.
Adesso si ricordava tutto. Lisa, Rachel, l’uomo della sicurezza, il pugno in faccia sferrato senza esitazioni.
-il marito della Cuddy, ti  ha..-
-Non c’è bisogno, ricordo tutto, e quello che non ricordo non voglio saperlo. Prendimi i pantaloni.-
-Non puoi.- disse la donna.
La guardò, la fulminò.
La ragazza alla fine acconsentì.
-Dove hai intenzione di andare?-
-Ho un caso da risolvere- Si avvicinò all’ascensore, entrò, non badando alle persone all’interno di essa.– Poi, ho bisogno di andare a casa mia, lavarmi, fare del buon sesso, mangiare un mega panino pieno di schifezze, ubriacarmi , fare nuovamente sesso, e poi ubriacarmi mentre faccio sesso- La guardò, era buffa –vuoi venire con me?- disse ammiccando scherzosamente.
-Io scendo qui- disse la ragazza. Con lei scesero la maggior parte delle persone presenti in quell’ascensore.
Quando questo  si chiuse, risentì quel profumo, troppo vicino, si voltò di scatto. Era lì, in un angolo, ferma, che si mordicchiava quel labbro inferiore, e che fissava dei fogli che aveva in una cartellina. Probabilmente non stava neanche leggendo, probabilmente… Avrebbe voluto fermare quell’attimo, avvicinarsi, accarezzarla, attirarla a se, e baciarla, senza pausa. Ma non poteva.
-Strano che non ci sia anche la tua guardia “facciofuoriHouse”del corpo-
Non rispose. E quel silenzio, lo straziava.
Era arrivato. La porta si aprì, probabilmente quella sarebbe stata la sua ultima occasione per starle così vicino. La guardò ancora un attimo, lei alzò lo sguardo, e ancora una volta i loro sguardi si incrociarono. Quella Cuddy così gelida, gli fece capire quanto fosse stato un coglione.
-Addio.- Avrebbe voluto dirle altro, avrebbe voluto dirle tantissime altre cose. Ma andò via così.
Riuscì a risolvere il caso. Stava uscendo dall’ascensore, in lontananza, vide Foreman e Cuddy, sciogliersi in un abbraccio, che probabilmente stava a significare un “a presto”, o magari un “arrivederci”. Lentamente passò al suo fianco. Non riuscì a guardarla, perché se solo l’avesse guardata un secondo in più sarebbe impazzito. Aveva bisogno di allontanarsi da lei. Aveva bisogno di dimenticarla nuovamente, di scacciare via tutti quei pensieri. Si fermò prima di uscire da quell’ospedale.  Voleva voltarsi, ma incrociare nuovamente quegli occhi, sarebbe stato per lui un suicidio. Sospirò, avvolse intorno al collo quella sciarpa, e andò via. Provando a lasciarsi alle spalle, il suo passato.
Voleva dimenticare una donna indimenticabile.

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Capitolo 3
*** Un cuore pieno di battiti ***


Guardava il soffitto. La sua testa non smetteva di pensare. Voleva ritornare a casa sua.
Voleva seriamente?
Continuava a mentire, mentiva a se stesso, mentiva al suo cuore. In realtà voleva rimanere ancora in quel dannato ospedale, per respirare il suo profumo, per vederla sorridere da lontano, mentre accarezzava qualche paziente, donandogli speranza.
La speranza, quella che mancava a lui. In fondo al cuore aveva sperato molto. Ma tutto, era crollato. Di quell’ esperienza gli rimaneva soltanto un livido, sul naso, e un labbro dolorante. Simbolo, di quanto fosse stato stupido, con lei, di quanto avesse sbagliato.
L’amava, quanto era stato difficile ammetterlo. Gli era entrata dentro, come nessuna donna mai..
Si alzò di scatto da quel letto, afferrò la giacca, lasciando un Foreman dormiente, sull’ altro letto. E uscì.
 
Bussò alla porta.
Nessuno aprì.
Ribussò pesantemente, facendo rimbombare quel maledetto rumore così  irritante di quel bastone legnoso.
-Ma che diavolo.- Park uscì dalla sua stanza, con un buffo pigiama, di troppe taglie più grande, con i capelli scombinati. Evidentemente dormiva.
-Vieni con me, ho fame.-
-Sei impazzito?- disse la ragazza.
-Sono il tuo capo. Se non vieni ti licenzio.-
Era bravo a minacciare le persone.
-Dammi un secondo-
La porta si richiuse, ma si aprì dopo pochi secondi.
-Vieni così?- disse lui.
Quella ragazza era così buffa, che  non riusciva ad essere bastardo con lei, gli ricordava una bambina di tre anni.
Park, aveva deciso di non vestirsi, uscì con il pigiama, coperta da un lungo cappotto, che le copriva il corpo, e un grande cappello, che le copriva il capo.
-Un orso delle nevi, sembri. Uno yeti.-
Non rispose. Era troppo stanca.
Camminarono, senza una meta, girovagarono per le strade di Boston, mangiarono un disgustoso panino al formaggio.
Fin quando House, si fermò su una panchina.
-La mia gamba, necessita di un lieve riposino.-
Ci fu silenzio.
-Sono vere le voci su te e la dottoressa Cuddy?-
Le chiese lei, senza peli sulla lingua, senza timore.
Quella domanda, in qualche modo non lo stupì.
-Sei, gelosa?- disse lui sorridendo.
-Dopo il pugno che hai ricevuto in pieno viso…-
-Non voglio parlare di quel pugno.- cercò di zittirla lui.
-Non voglio parlare del pugno.-
SI guardarono. Poi la ragazza riprese.
-Mentre tu dormivi, lei è venuta da te.-
Quelle parole gli fecero gelare il sangue.
-E’ rimasta sola con te, per una buona oretta, ci ha chiesto di non far entrare nessuno, mentre era con te.-
Adesso il suo cuore era una cascata di battiti. Come poteva essere vero?
-Le infermiere, mi hanno detto che..-
-Si, stavamo insieme, poi lei mi ha lasciato, ed io le sono entrato in casa con un auto.-
Cercò di essere il più superficiale possibile, cercò di nascondere quel fiume di sentimenti. Reprimendoli.
-Tu, la ami.-
Lui la guardò. Era quasi infastidito.
La ragazza gli sorrise.
-Io credo che, l’amore è  una patologia. Devi solo saperla estirpare via. Perché quando il dolore è più grande..-
-Non ti ho chiesto il tuo pensiero- disse lui.
-Sei qui, e vorresti essere da lei. Ti continui a dire di odiarla, ma in realtà la ami profondamente. Menti a te stesso. Probabilmente hai già superato la fase del dolore, adesso c’è quella dell’ angoscia. Vorresti fare mille cose, ma poi il tuo corpo si rifiuta. Non so se lei, ama te. Ma quello che conta è ciò che provi tu.-
Si guardarono ancora-
-diglielo.- disse lei.
-la fai semplice, tu.- disse House. Giocherellando con quel bastone.
 
Aveva trascorso la nottata pensando. Fissando quel soffitto bianco, e pensando a Cuddy, alle parole di Park.
Lui, per lei era il male. Entrare nuovamente nella sua vita, sarebbe stato farla soffrire nuovamente. L’amava, ma ormai aveva perso le sue opportunità. Sarebbe ripartito a breve. E non l’avrebbe più rivista.


Era fermo sul ciglio della strada. Le sue valige erano già state inserite nell’auto. Park, era seduta dietro. Ascoltava della strana musica urlante, e muoveva la testa a ritmo. Foreman, era disperso.
Poi la vide, sull’altro marciapiede, avvolta da un impermeabile grigio, camminava disinvolta su dei tacchi altissimi, e aveva in mano, la sua 24 ore. Probabilmente non abitava distante dall’ospedale. Tipico di Cuddy. Vide il capo della donna girarsi nella sua direzione. D’istinto voltò lo sguardo, fingendo di guardare altrove.
Quando lo rialzò, era praticamente di fronte a lui. Si stupì. Era bella, bellissima, sensuale come non mai. E.. diversa.
-Grazie- disse lei, -per il lavoro svolto.- Porgendogli la mano, e tenendosi a distanza.
Lui, guardò la sua mano. Le sorrise. L’afferrò, professionalmente. Quel contatto, suscitò in entrambi qualcosa. Lui si distaccò da quella stretta, che non gli apparteneva. Lasciandola ancora li. In lontananza vide arrivare Foreman.
-Non preoccuparti, lo so che sei incinta.-
Quella parole, lasciarono sconvolta lei. Mentre lui afferrò la maniglia della porta, e fece quasi per aprirla, la riguardò.
-Non ti sei fatta dei problemi, quando ti sei sposata. Adesso non devi chiedermi il permesso di procreare.-
Era arrabbiato. Aveva dei dubbi, sulla gravidanza di Cuddy. Ma quel silenzio, li elimino tutti. Entrò in macchina sussurrando un semplice e glaciale –Addio.-
Lasciandola ferma sul marciapiede, avvolta in quel meraviglioso abito, con le lacrime agli occhi.
House aveva ragione, era incinta, pochi mesi, probabilmente due. Era felice di quella notizia, ma l’arrivo di House, aveva portato allo scoperto, quei sentimenti che per troppo aveva cercato di reprimere. Sapeva che il suo cuore sarebbe sempre appartenuto ad House, sapeva di aver scelto un altro uomo a lui. Sapeva che forse aveva commesso un errore. Ma ora, non poteva tirarsi indietro. Aveva letto in House, in quei brevi giorni, dolore e dispiacere, aveva letto in House, che provava per lei ancora qualcosa. E sapeva di averlo deluso. Sapeva che se pure nella sua testa contorta voleva recuperare il rapporto con lei, adesso aveva definitivamente messo un punto alla loro lunga e travagliata storia.
Avrebbe voluto, farlo uscire da quell’ auto, abbracciarlo, sentire il suo profumo, farsi prendere in giro.
Ma per loro era arrivata la fine.
Era ferma, lo vedeva andare via.  Mentre il suo cuore, era pieno di battiti. Tutti per lui.

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Capitolo 4
*** Infinito ***


Infinite ore di ambulatorio.
Infinite ore che, avrebbe voluto  trascorrere ad oziare.
Infinite donne che, avrebbe voluto portare a casa.
Infinite birre che, avrebbe voluto scolarsi.
Infiniti pugni che, avrebbe voluto dare al primo coglione che gli tagliava la strada quando era sulla moto.

-Voglio che sia lui a far partorire mio figlio.-
-Non accetterà, e poi, da amico, credo non sia una buona cosa- Disse Wilson alla donna, sotto lo sguardo vigile di Foreman, del quale l’uomo con lo sguardo cercava disperatamente e inutilmente un appoggio.
-Se, sarà lui ad ordinarglielo, non potrà ritirarsi.- Disse la donna, indicando con un dito l’uomo dietro la scrivania.
-io non posso obbligar..- Non finì di parlare.
-Voglio che lui, tiri fuori il mio bimbo. Voglio che lui mi sia affianco durante il parto, voglio che mi veda urlare, voglio che mi asciughi il sudore.. Voglio lui.-
-Cuddy- disse Wilson, con tono austero, -chiedi l’impossibile.-
-E’ questa la mia decis..-
La porta si aprì improvvisamente.
-Capo..- le parole si fermarono sul nascere, House guardò la donna seduta sulla poltrona, gli occhi non riuscirono ad evitare quella pancia, enorme, ormai, al nono mese.
-Vado via, ho finito prima.- Richiuse la porta alla velocità della luce. La donna, si alzò, di scatto da quella sedia, quasi come se non fosse incinta.
Lo inseguì fino al corridoio, afferrò una parte del suo zainetto, obbligandolo a girarsi. E senza pensarci iniziò a parlare.
-Sta per nascere.-
Lui si guardava intorno. Già immaginava le infermiere spettegolare.
-Voglio che sia tu, a farlo nascere.-
Disse, senza prendere fiato. Quella frase obbligò House a guardarla negli occhi.
-Sei  impazzita?!-
Lo aveva spiazzato. La vide mordicchiarsi  il labbro. Quasi impazzì a quella visione.
-Ti farò sapere.- La lasciò alle sue spalle, ancora una volta.
Con infinite emozioni da dover gestire.


Respirava  l’aria primaverile, pensava e ripensava a lei. Sentì dei passi alle sue spalle. Sorrise tra se e se.
-Hai perso il tuo fascino con quel pallone sotto la maglia- Sentì la donna sorridere con semplicità. Finche non la vide accanto a se. La guardò giusto un secondo, per stampare in mente quel profilo.
-Ho messo su, non so quanti chili. Sono una botte-
-Come lo chiamerai?-
Quella domanda, in qualche modo, la stupì.
-Dobbiamo ancora deciderlo.-
-CLARK, è un bel nome…- disse lui- e gli potrai dire, Figlio mio, hai ereditato il nome di un supereroe.. il migliore  tra i supereroi.-
Sorrise ancora. Lo guardò intensamente. Era bello, era terribilmente bello. E così vicina, riusciva anche a sentire il suo profumo. Quanto la faceva impazzire quel profumo?!. Fu un secondo, immagini sbiadite iniziarono a percorrere la sua mente.
 Vedeva la sua bocca, che con veemenza percorreva ogni singolo tratto del suo corpo, le sue mani che, con delicatezza accarezzavano la sua pelle. I suoi movimenti lenti, dentro di lei, per provocarle piacere.
-ti senti bene?-
Fu lui, a farla ritornare alla realtà.
-Si,- disse, velocemente- solo un po’ stanca, meglio che vada.- Aveva dei doveri, di moglie, di madre, non poteva lasciarsi andare in quel modo.
-Cuddy- la fermò lui. Trattenendole la mano, passò un dito sulla sua fede. Sospirò, poi ritornò a guardarle in viso. Le sorrise.Ritornò a guardare quella fede -ricordati di avvisarmi quando si rompono le acque.-
Quanto gli era costato dirlo?
Lei, lo  sapeva che per lui era un sacrificio troppo grande.
Lo abbracciò, mettendo da parte tutto il dolore, che ancora, se in minima parte, provava per lui. Lo abbracciò, da quanto tempo non si sentiva così protetta?. Quando alzò la testa e incrociò quello sguardo, le sembrò quasi che il tempo non fosse passato. Fu istintivo il gesto di avvicinarsi a quella bocca. Appoggiò le sue labbra, a quelle di lui, sentì sul suo volto, la barba pungerla, ma quando stava per lasciarsi andare a qualcosa di più profondo, venne fermata.
-Non possiamo.- staccò la testa dalla sua. –Non è giusto.- Le accarezzò la guancia, poi le tolse un ciuffo che le copriva l’occhio destro. –Non posso rovinarti nuovamente la vita. Ho voglia di baciarti più di quanto tu possa immaginare, ma, non posso avere ciò che voglio, se quello che voglio ha una famiglia.- La guardò intensamente.
-Ci vediamo domani Cuddy.-
Cosa aveva fatto? Infinite volte se ne sarebbe pentito, ma quella era la sua strana dichiarazione d’amore. Avrebbe messo da parte l’immenso amore che provava per lei, pur di non vederla più soffrire. Sapeva che dopo quel bacio, lui avrebbe preteso dell'altro, che lei, non poteva dargli.

Lei era, li, lo vedeva allontanarsi, con quella strana gioia nel cuore. Era cambiato.
Era diverso con lei.
L' House di qualche tempo fa, se ne sarebbe fregato, dei sentimenti, della famiglia..
Era ferma, con la voglia di riaverlo, e con la consapevolezza che non sarebbe mai più accaduto.
Era  sola, con quell' infinito sentimento unicamente per lui.

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Capitolo 5
*** Sei raggiante ***


-Lo  so che ti starai chiedendo se è stata la decisione giusta- disse lei, sdraiata su quel prato con la testa appoggiata sulle ginocchia possenti di quell’uomo, e la mano che accarezzava la sua pancia. Mentre i suoi capelli venivano coccolati da delle dita affusolate.
-Ti sbagli. Stavo solo pensando a quanto sono buone le ciambelle.-
Sorrise. Avevano fatto passi da gigante. Da quando a stento si parlavano, ora erano arrivati nel punto di tregua, quello in cui si è consapevoli di avere una persona fantastica accanto, e che non la si vuole perdere. Non interessa se non si può amare intensamente l’altra. L’importante è sapere che c’è.
-Oggi arrivano Rachel e Joshua.- disse Lisa
Lui non rispose. Era disposto a vivere una Lisa diversa, ma non fino a quel punto.
Improvvisamente lei gli afferrò la mano, la portò sulla sua pancia.
-Senti.-
Era imbarazzato. Era terribilmente imbarazzato, ma vedere Lisa così raggiante, per lui era il massimo.
-Che hai?- disse lei, guardandolo incuriosita.
-sei raggiante.- disse lui, imbarazzando la donna.
-Spesso mi chiedo se io e te..-
-ohh.- Si lamentò lui. –Non farti troppe domande, viviti quello che stai avendo.-
Mentì spudoratamente. Anche lui in quell’ultimo periodo particolarmente si era chiesto cosa sarebbe accaduto se quel bambino fosse stato suo. Cosa sarebbe accaduto se, non si fossero mai separati.
-Era ciò che desideravi. Un lavoro perfetto, un uomo perfetto, una figlia perfetta, tra poco un second...-
-un uomo perfetto..- lei scandì quelle parole. Poi guardò House negli occhi. Sentiva le lacrime voler scorrere liberamente sulle sue guance.
-Hai ragione, ho quello che ho sempre desiderato.-
Entrambi sapevano che non era così.
 
Il telefonò squillò, nel cuore della notte.
Lui era in compagnia di un’ avvenente donna, incontrata la sera stessa in un bar.
-Ignoralo- disse lei
-Non posso- rispose lui.
Lo afferrò.
Era Wilson.
-Vieni qui, si sono rotte le acque.-


Parole sussurrate, sguardi complici, battiti eccessivi, baci, carezze, amore, sesso. Immagini sbiadite. Il vuoto, il silenzio, il bianco intorno a lui. Gli occhi si aprono lentamente, un raggio di sole illumina il suo viso. La luce lo acceca. E poi un tonfo. Una porta che si apre e in malo modo si richiude. Dei passi, vicino al suo letto, che tentano di scostare delle bottiglie di birra che cadono, irritandolo ancora di più.
-ajsjdjfi- non riesce neanche a parlare.
-Alzati. La macchina ci aspetta giù.-
La macchina? Quale macchina? Si obbligò ad aprire gli occhi. Vide Foreman in piedi, in quella stanza, che lo aveva accolto in quella breve permanenza a Boston. E Lisa? E Lisa e il suo pancione? Come poteva aver sognato tutto così nei minimi particolari?.
-Ora vengo.-
 Le uniche cose che riuscì a dire, prima di rinchiudersi in bagno. Si guardò allo specchio, gli sembrò quasi di rivivere una scena. Poi si ricordò, ricordò che dopo la serata con  Park, non ritornò all’hotel, ma si rifugiò in un night club, solo dopo aver chiamato Foreman nel cuore della notte, era riuscito a ritornare sano e salvo in camera.
-Cazzo- esclamò, mentre tentava di lavarsi il viso. Aveva sognato tutto.
Era tardi, tardissimo. In macchina lo aspettava Park, mentre Foreman parlava con Cuddy. La sua Lisa.
Il suo sguardo si fermò sulla sua pancia. Per un attimo ebbe il terrore di vivere un dejavu. Sorrise all’idea.
-Buongiorno.- farfugliò, mentre un strano uomo, vestito da pinguino, prendeva la sua valigia per metterla nel cofano della macchina. Non ricevette risposta. Passò accanto a Lisa. Sfiorando con il suo braccio destro la sua ventiquattrore. Quel tocco, se pure impercettibile fece girare entrambi, si guardarono, fu tutto così improvviso, fu tutto così poco premeditato.
Lui le sorrise. Anche se il volto della donna era così gelido e irriconoscibile, in cuor suo, sapeva che quella sarebbe sempre rimasta la sua Lisa.
-Si, sei proprio raggiante- le disse.




[NB. Innanzitutto vi ringrazio, per tutte le recensioni. Non immaginavo potesse piacervi così tanto la storia. Poi, devo spiegarvi un paio di cose. Ho inserito questo capitolo, velocemente, rispetto all'attesa che vi ho costretto a sopportare per i precedenti capitoli, perchè ho problemi di connessione, e rubo la linea alla vicina, xD quindi è possibile, che i prossimi arriveranno con ritardo. Ma vi assicuro che la storia è finita, devo apportare solo qualche modifica. Piano piano inserirò tutti gli altri capitoli. Abbiate pazienza.
Poi, volevo invitarvi (faccio pubblicità) a visitare la mia pagina su facebook. 
http://www.facebook.com/pages/Vivo-in-un-telefilm/205729896167258  L'avevo creata un po' di tempo fa, ma non ho mai avuto il tempo di dedicarmi troppo ad essa. Quindi è ancora all'inizio, ma se volete possiamo scambiarci lì opinioni, stati d'animo, possiamo condividere emozioni huddyose, per non dimenticarci di questi due personaggi, che credo abbiano vissuto per sette anni, la più bella storia d'amore mai vista in un drama. SONO DI PARTE XD. Inserirò anche in quella pagine piccoli pensieri huddy, che ho sparso in varie cartelle del mio picci. E non solo huddy, io amo i telefilm, in generale, anche se House è il mio preferito..
E.. basta, vi ringrazio ancora una volta. Spero, che in qualche modo, vi abbia incuriosito per i prossimi capitoli, o fatto arrabbiare, o insomma, aver provocato qualche piccola emozione. Grazie ancora.]

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Capitolo 6
*** Ci ritroveremo ***


Vedeva la macchina allontanarsi, nella sua mente quelle parole, “si, sei raggiante”, sussurrate al vento, con una voce calda. Il ricordo di quegli occhi così azzurri, così profondi, così intensi, così impossibili da dimenticare. Il senso di colpa iniziava a farsi spazio tra i suoi pensieri, lo aveva fatto andare via, senza neanche avergli rivolto la parola. Non lo aveva ringraziato per il lavoro svolto, non si era scusata con lui, per il pugno che suo marito gli aveva dato. Era semplicemente rimasta in silenzio, evitandolo il più possibile, cercando di non incrociare il suo sguardo, perché lei sapeva, che solo un attimo gli bastava, per far crollare quel muro invisibile, per far crollare le certezze, per far esplodere mille emozioni dal suo petto. Quello sguardo, quella mattina c’era stato. Anche se per attimi brevi, quello sguardo che a lei mancava profondamente.
Doveva ammetterlo, stava vivendo una nuova vita, e quella vita le piaceva, ma, non era ciò che desiderava, infondo non si può avere sempre tutto. Lei, in quel mondo parallelo, aveva semplicemente cercato di rimuovere i ricordi, quelli negativi, quelli che la torturavano la sera, facendole trascorrere lunghe serate, sul divano, a vedere film d’epoca, perchè proprio non ci riusciva a dormire. Ogni sera, lo ricordava, ricordava quell’uomo, ricordava il momento in cui decise di lasciarlo, di chiudere la sua storia. Ricordava i suoi occhi, pieni di dolore, la bocca socchiusa, delle parole sussurrate inutilmente. E ancora,  il ricordo di House, che gli distrugge la casa, con una macchina. Con quello sguardo gelido, che non gli apparteneva, quello sguardo che l’aveva spaventata, fino al punto di dovergli dire Addio.
Ormai la macchina era scomparsa dalla sua vista. Si era immersa in altre mille macchina, e adesso? Cosa avrebbe fatto? Come avrebbe reagito a quelle sensazioni che provava?. Era una donna forte, forte e delusa, quell’uomo da quando lo conosceva, era stato capace solo di procurarle dolore. E, anche se si sentiva in colpa, anche se provava ancora qualcosa per lui, non sarebbe mai ritornata indietro. C’era ancora troppa rabbia, c’era ancora troppo dolore. C’era ancora troppa delusione.
Entrò nel suo ufficio, in ritardo, aveva mille pratiche da firmare, mille incontri. Aprì la porta, e quel profumo la invase. Si guardò intorno, disorientata, per un secondo le sembrò di essere ritornata al Princeton Plainsboro.  Era stato lì, ne era sicura.
Si avvicinò velocemente alla scrivania.
E poi quelle parole, scritte disordinatamente su un post-it giallo.
Ci ritroveremo amabilmente confusi in un giorno di pioggia, in un silenzio sconcertante. Ci ritroveremo il cuore incollato, frammentato di idee e speranze, frastagliato di odori e sapori. Ci ritroveremo trattenendo il fiato , pieni di parole, mentre gli occhi sfuggono lo sguardo.
Era lì, ferma, riconosceva la scrittura, anche se non era firmato. Quelle parole erano perfette per loro. Si erano ritrovati, dopo anni, di lontananza e di cambiamenti. Dopo anni di dolore e di rabbia. Si erano ritrovati, e l’unico a parlare tra di loro era stato il silenzio, per quei brevi giorni in cui insieme si erano ritrovati nello stesso ospedale, lei ritornava a casa, inebriata da quel profumo, così virile, che gli apparteneva. Anche se non aveva contatti stretti con lui, quel profumo, le era perennemente incollato al corpo. E riusciva ad addormentarsi, lasciandosi coccolare, da quel sogno proibito. Si guardavano di nascosto, quando l'uno non poteva accorgersi dell'altro. Si spiavano in lontananza. Si desideravano segretamente.
Le mancava, era questa la verità. Le mancava litigare per delle cose stupide, le mancava ricevere quei complimenti assurdi, e volgari, che solo lui, si permetteva di fare, ma che forse un po’ tutti pensavano. Le mancavano gli sguardi complici, le mancava passare per il suo ufficio, anche se per una banalità, solo per accertarsi che non era con nessun’ altra donna. Le mancava House, il compagno, l’uomo con cui condividere quella parte di letto, che amava ritrovarsi affianco, quando nel cuore della notta si risvegliava,  e che segretamente accarezzava mentre dormiva.
Le lacrime ormai rigavano il suo volto. Non volevano fermarsi, non riuscivano a fermarsi. E poi quelle parole, simbolo che tra di loro, ci sarà sempre qualcosa di forte, di indistruttibile, e la consapevolezza che mai ritornerà tutto come prima. Perchè la rabbia, quella nonostante tutto, non riusciva a sbollire.
-Ci ritroveremo.- Disse lei, sussurrando. -magari in un'altra vita-

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Capitolo 7
*** Yes, I still love you. ***


Ogni volta che mi guardi, io distolgo lo sguardo.
Ogni volta che distogli lo sguardo, io ti guardo.

Sempre, ogni giorno lei, si soffermava sul suo volto, quando lui era distratto, mentre parlava con amici, stuzzicava qualche ragazza, sonnecchiava durante qualche lezione o mentre era sommerso nella lettura di qualche libro. Poche volte era riuscito a guardarlo negli occhi, quegli occhi così profondi. Quando si ritrovò a dargli degli ordini, dovette costringersi, a guardarlo. Ed ogni sguardo, era sempre più penetrante, era sempre più profondo. Con il tempo divenne quasi un abitudine. Ma il suo cuore. Non riusciva ad abituarsi a quell’uomo, e tutte le volte, sentiva quel vuoto allo stomaco, ogni volta che lui si avvicinava, lei provava quello strano sentimento, che probabilmente è più facile capirlo se hai 12 anni, e sei alle prese con la prima cotta.
-Quando ti vidi, io mi innamorai. E tu sorridesti, tu, lo avevi capito.- Sussurrò lievemente, mentre con le mani sfogliava l’album dei ricordi, mentre tracciava con il dito il profilo di quel ragazzo in quella foto  ormai sbiadita.
La gente se ne va sempre, sussurrava quel cantante sconosciuto, che accompagnava quel pomeriggio triste. Già, la gente va via. In quella circostanza  eri stata tu, ad andare via. Eri stata tu a scappare, perché credevi fosse la cosa più giusta. Eri stata tu a lasciarlo, in preda ai suoi mostri interni, alla sua coscienza, alla sua disperazione. Eri stata tu, la causa della sua rabbia, del suo disprezzo, del suo Dolore.
E ancora foto, tu amavi fare foto, fotografavi di tutto. I tuoi sorrisi, le tue amiche, i tuoi animali, e lui. Spesso lo fotografavi, nascosta in qualche angolo, per poi poterlo ammirare la sera, dopo aver trascorso la tua giornata tra lezioni e biblioteche. Potevi ammirare i suoi occhi, i suoi lineamenti. E quella foto, quella che ti ritrovasti davanti, era la tua preferita. Voi, poca distanza tra i vostri corpi. Il suo sorriso, e il tuo sguardo arrabbiato. Cosa aveva fatto per farti arrabbiare? Non lo ricordavi più, ma quella foto ti è sempre piaciuta.
E’ vero, c’è una storia dietro ad ogni persona. C'è un motivo per cui sono quelle che sono. Non sono così semplicemente perché lo vogliono. Qualcosa nel passato li ha resi tali e alcune volte è impossibile cambiarli.
Tu, hai sperato fino all’ultimo momento un suo cambiamento, e lo devi ammettere, lui ci ha provato. Ma devi anche ammettere che a te, non piaceva. Tu preferivi l’ House, bastardo, che ti perseguitava e ti tormentava con stupide idiozie, solo perché voleva ammirare il tuo seno. E a te, piaceva. A te faceva impazzire, sapere che, lui, ti desiderava..
Alcuni di noi dicono che sia meglio avere qualcosa piuttosto che niente...ma la verità è che avere qualcosa a metà è più difficile che non avere assolutamente niente.
Già, dopo tante avventure, dopo tanti anni, eravate riusciti ad incontrarvi, mettere da parte l’orgoglio. E  cercare, insieme, di percorrere quella strada, che ritenevi fosse giusta. Eri riuscita a farti amare, ti eri illusa di poter vivere una storia d’amore normale. Ma la parola Normale, non è mai andata in sintonia con House. E’ finito tutto così presto, non siete riusciti neanche a festeggiare il vostro primo anno d’amore.. Lo sapevi, decidere di amarlo, sarebbe stato un suicidio. Inizialmente eri disposta a qualsiasi cosa, ma poi hai ceduto. Non ce l’hai fatta.
“Se ti piace, diglielo, perché non aspetterà per sempre.” Trovasti, questa frase scritta su un foglietto. La tua compagna di stanza, e anche la tua miglior amica, fu la prima ad accorgersi di ciò che provavi per lui, fu la prima a farti stare alla larga da lui, fu la prima a darti consigli. E’ stata la prima che hai chiamato, dopo aver iniziato da adulta la tua storia d’amore con lui. E anche colei che ti ha consigliato di ricominciare da zero, con una nuova vita..
-Potrò smettere di amarti un giorno, ma non smetterò mai di amare, i giorni in cui ti ho amato.- Sussurrasti mentre guardavi quella chiave. Ti aveva lasciato le sue chiavi di casa. Ti disse, che ti sarebbero state utili, già. Non gliele hai più restituite. Perché il tuo desiderio più grande è sempre stato quello di piombare a casa sua, ritornare tra le sue braccia e farti amare, ma soprattutto amarlo, incondizionatamente.
Avevi Riposato tutto, in quell’ enorme scatolone giallo. All’interno di quella stanza, che fungeva da deposito. Chiudesti la porta. La tua mano destra era ferma su di essa, accarezzavi il legno lavorato, mentre l’altra stringeva la maniglia.
-Una parte di me, sarà sempre con te, House,- Sospirasti, e poi velocemente ti voltasti.
Ma quell’uomo alle tue spalle, ti spiazzò. Sentisti il cuore congelarsi.

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Capitolo 8
*** let it be ***


Quando le persone fuggono da te, bisogna lasciarle andare. Perché il  tuo destino non è mai legato alle persone che ti lasciano. E che non vuol dire che queste siano persone cattive, significa semplicemente che la loro parte nella tua storia è finita. Nessuno conosceva bene House. Nessuno sapeva quante volte  si era seduto nella sua stanza e aveva  pianto, quante volte aveva perso la speranza, quante volte era stato deluso. Nessuno sapeva quante volte ha dovuto trattenere le lacrime. Nessuno sapeva i pensieri che gli sono passati nella mente quando era triste, e quanto orribili fossero. Nessuno lo conosceva.
-Ho trovato la porta aperta..- si giustificò House.
Aveva ascoltato quelle ultime parole. Lui sapeva tutto, lui lo sapeva da sempre.
-da quanto sei qui?-
-da poco-  rispose lui.
Lei abbassò la testa
-mi dispiace per il tuo.. matrimonio.-
Lei lo guardò, gli sorrise.
-no, non ti spiace per nulla. Cosa vuoi House?-
-Ma perché sei sempre arrabbiata con me, Cuddy.- disse lui, quasi infastidito. Era lì per lei, aveva saputo della fine del suo matrimonio, e anche se forse era l’ultima persona che lei avrebbe voluto vedere, lui era li, per farle capire con i suoi strani modi, che ci teneva ancora. Che ci avrebbe sempre tenuto, anche se erano passati, anni..-
-Io sono arrabbiata con me stessa, non con te. Sono arrabbiata perché sono sempre “carina”, perché chiedo scusa per cose che non ho fatto, sono arrabbiata  perché.. ho fatto di te la mia vita, perché dipendo da te, perchè ti penso, perchè ti desidero, perchè ti sogno. Ma piu' di tutto, perchè non ti odio e so che dovrei ..ma non posso. Non ci riesco.- Le lacrime solcarono il suo viso. Quelle lacrime la accarezzavano, come se volessero coccolarla. Lui si avvicinò a lei, non ci pensò due volte. La strinse a se. Era inebriato da tutto quel calore, era perso in quel momento.
La amava, ma quanto dolore provava dentro di se, dopo il suo addio. Provava all’interno sentimenti contrastanti. Cercò però di essere razionale. Di non farsi prendere dalle troppe emozioni contrastanti.
-Ho prenotato un volo per te e la piccola, tra due giorni. Potrete stare  da Wilson, solo qualche giorno, non ti chiedo di ritornare definitivamente, ma, solo di prenderti una breve pausa, scollegare il cervello, rivedere volti familiari.-
Lei annui.
Lui le sorrise. Istintivamente si avvicinò alla sua guancia, accarezzandola quasi con la sua bocca. Quello fu il bacio più casto, mai dato in vita sua. Probabilmente. Per poi andare via. E lasciare quella donna alle sue spalle, sorridere, da sola.
 
Aprì la porta, aveva un sorriso unico, e quei capelli scombinati, le donavano su quel viso così chiaro.
-Wilson- urlò la donna, -è arrivato House, con il ciboo.- gli sorrise, e lo lasciò entrare.
-Cuddy, tua figlia dorme, se la svegli, te la subisci tu.- Rispose l’amico mentre si affrettava a posizionarsi sul divano con la lattina di birra.

A volte, pensi di aver dimenticato una persona, ma, quando la guardi sorridere, improvvisamente realizzi di star solo fingendo di averla dimenticata, per alleviare il dolore di sapere che non sarà mai tua. Amavi profondamente Cuddy, e lo stare con lei, poterla guardare mangiare schifezze, assistere ai suoi scleri dopo un bicchiere di troppo, ti portava sempre di più alla convinzione che avresti amato sempre solo lei. Però ora la situazione si era complicata. Tu stavi cercando di avere una nuova vita, con una nuova donna. E lei, non lo sapeva, o almeno così speravi... Ma ogni volta che la guardavi, ogni volta che lei apriva bocca, per dire una qualsiasi cosa. Tu eri li, immerso del suo essere. Ad immaginare come fosse stata la tua vita, se adesso lei ne facesse ancora parte. Lei ha sempre voluto un uomo che la tenesse per mano. Ha sempre disperatamente cercato qualcuno che cantasse una qualsiasi canzone per lei, imbarazzandosi e imbarazzandola. Qualcuno che fosse più goffo che romantico. Qualcuno che  si prendesse gioco di lei solo per sentire dopo la sua risata, che giocasse con i suoi capelli per tutto il tempo. Qualcuno con cui giacere su una coperta a contare le stelle. Ma soprattutto, qualcuno  capace sempre di farla sorridere. Ha sempre disperatamente cercato questo in tutti gli uomini che ha fatto entrare nella sua vita.  Ma in realtà sapevi che quello con cui voleva trascorrere la sua vita eri TU.

Dopo  una serata insieme, come tre vecchi amici che si incontrano, e iniziano a parlare dei vecchi ricordi, tra risate, battute squallide e momenti imbarazzanti. Ti accompagnò alla porta..
-Grazie per la serat-
Tu sorridesti, e imbarazzato ti accarezzasti il collo.
Poi la vedesti avvicinare. Appoggiò le sue mani sul tuo petto. Sobbalzasti, forse per il piacere di quel tocco lieve. Ti guardò negli occhi. E con lentezza appoggiò la sua bocca alla tua. In poco tempo, le vostre lingue si muovevano all’unisono, in una danza acrobatica e d’amore. Assaporavi ogni singolo centimetro di quella bocca, mentre lei mordeva le tue labbra, desiderandoti. Avvolgevi il suo corpo nelle tue enormi braccia. Anche tu la desideravi. Poi lentamente vi staccaste. Contro la vostra volontà. Incontrasti i suoi occhi, erano pieni di Te. Le sue mani erano ancora ferme sul tuo petto. Sospirasti. Sapevi che, quella sera, tra di voi non ci sarebbe stato altro, sapevi che tu, dovevi andare via. Sapevi che anche lei, ricambiava lo stesso sentimento che provavi tu. Un semplice bacio, aveva aperto la porta della speranza. Avevi iniziato a pensare che forse non tutto era perso. Che forse avreste potuto avere un’ altra possibilità­. Forse..
Ma poi improvvisamente, quando la porta si chiuse alle tue spalle, quando il suo sguardo non si perdeva nel tuo, ritornasti alla realtà dei fatti. All'impossibilità di una storia tra di voi, alla consapevolezza del dolore che vi siete provocati. Sentivi il cuore scoppiare. Era come se ti fossi svegliato da un bellissimo sogno,  un sogno che ti aveva lasciato quell'amaro in bocca, perchè niente più era possibile tra di voi. A parte quel bacio. 
Ritornasti a casa, accarezzandoti le labbra, sentendola ancora troppo vicina a te.
Scollegasti il cervello. 
Sorridevi.
Pensavi a lei.
Lei it be

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Capitolo 9
*** Ci sarò sempre ***


Erano giorni che non usciva di casa,  fissava il vuoto, ascoltava i rumori intorno a lui. Aveva detto di avere la febbre, per evitare il lavoro. Non aveva nessuna voglia di andarci.
Quella mattina sembrò iniziare come le ultime quattro.
Si era alzato, aveva scostato le tende, per farsi baciare da quei primi raggi di sole. Dopo aver osservato il vicinato, si era precipitato in cucina. Erano rimasti gli ultimi biscotti da affogare nel latte. Adagiandosi poi sul divano, ancora con i capelli scombinati, ancora con il pigiama. Guardò il suo cellulare, fermo sul tavolino.
Un nuovo messaggio
"tra un ora al parco!"

Quel modo così dittatoriale, poteva essere di una sola persona. Colei che era entrate violentemente nella sua vita, colei che con  la stessa violenza ne era uscita. L'ultimo loro incontro, terminò nel migliore dei modi. Finalmente House, era riuscito a riassaporare le sue labbra, a sentirla, anche se per pochi minuti, ancora sua.
Dopo quel bacio, nessuno dei due, si era fatto risentire. Entrambi sapevano, che riprovarci era pericoloso e impossibile.

Arrivò al parco, in ritardo, come suo solito.La vide sgranocchiare delle noccioline, mentre era seduta su una panchina riverniciata male. Assorta nei suoi pensieri. Era sempre più bella, ogni suo movimento, emetteva quella strana melodia, che ti incanta, ti stravolge, ti penetra...
-Posso?- La sua voce roca, la fece sobbalzare, notò un sorriso lieve sul suo volto, e quel modo goffo di riposare le noccioline, e quel modo ancora più goffo di pulirsi le mani, piene di briciole.
-Oh, scusa.. non ti ho neanche chiesto se ne volevi..- fece per riprendere la busta..
-Non ho fame. Grazie- Pochi secondi di silenzio , e poi, nuovamente tu. -cosa c'è?-
Lei ti guardò, notasti il suo solito gesto, quando si mordicchia le labbra..
-Ho capito! Si sono rotti i rubinetti dell'acqua calda, Wilson è incapace ad aggiustarli. Ok, puoi fare la doccia come... volevo dire.. da me!-
Lei sorrise -No!-
-Hai bisogno di un uomo per fare del buon sesso?!-
Questa volta, ti guardò, quasi come se volesse rimproverarti per quelle parole. Poi divenne seria, staccò gli occhi dai tuoi.
-Domani lascio il New Jersey, mi trasferisco con Rachael, in Europa. Stasera, ci sarà una festa di "arrivederci" da Wilson, vorrei che tu ci fossi.-
Quella notizia, anche se non volevi ammetterlo, ti distrusse. Sentisti il cuore tremare.
L'avrebbe ripersa, nuovamente. Probabilmente questa volta per sempre.
Era affranto, il dolore alla gamba aumentò, e non riusciva più, a stare fermo, su quella panchina. La guardò. Aspettò che anche lei, lo guardasse negli occhi. Avrebbe voluto dirle le cose peggiori, era terribilmente arrabbiato per quella decisione. Ma le parole, non ascoltarono la sua testa -A stasera- disse. Lasciandola da sola, alle sue spalle.


Era fermo su uno sgabbello, sorseggiava del vino, invecchiato di qualche anno. La vedeva, parlare e ridere con gli altri. Con spensieratezza, con semplicità, e si domandava, come facesse a nascondere tutta la tristezza. Perchè lui sapeva, che Cuddy, non era felice, come voleva dimostrare. 
Lei era bellissima, i capelli erano sciolti, e le cadevano, perfettamente sulle spalle. Spalle scoperte, e un rossissimo, vestito, le avvolgeva con eleganza il corpo esile. Quel leggero rossore in viso, le donava, e lebbra di colore naturale, risaltavano tra le altre. I suoi occhi, però, nascondevano, dolore, pensieri, timori. 
Lei distolse lo sguardo da quel gruppetto di uomini, che la circondavano, guardando, l'unico uomo che veramente la interessava. Fu un attimo, ma come loro solito, in quell'attimo, mille emozioni esplosero.
Tra la folla, lui provò ad allontanarsi, sentiva il respiro debole. Uscì in terrazza. Wilson, aveva scelto quell'appartamento, anche e soprattutto per la terrazza. Era enorme. Notò due sedie sdraio, indirizzandosi, verso una di queste, decise che, avrebbe trascorso lì, il resto della serata.
Era immerso nei suoi pensieri, e in quella meraviglia piena di stelle, che c'era sopra di lui, tanto da non accorgersi della figura, accanto. Quando si voltò, notò la donna sorridergli.
Quel sorriso lo mandò fuori di testa.
-Rischi di rovinare il vestito, seduta così-
Lei si guardò -ne comprerò un altro.-
 Entrambi alzarono il naso, immergendosi in quel cielo stellato.
-Non mi ero mai reso conto, di quanto fosse bello un cielo notturno.- 
Lei lo guardò - spesso le cose più semplici, sono quelle che ti emozionano di più.-
I loro sguardi si incrociarono nuovamente.
-Dove, ti stabilirai di preciso?-
-Francia- disse, tutto d'un fiato. - mi è sempre piaciuta.-
-Mh, un recente studio, dice che i Francesi, non sono molto dotati.-
Sorrise
-In realtà, a questo punto, tu dovresti dirmi, ti prego non partire, io ho bisogno di te..-
Il tono cambiò, era malinconica, e quasi scostante, quando disse quelle parole.
La guardasti -non siamo i protagonisti di un film, ed io non sono così scontato.-
-Giusto.- Rispose lei.
Aveva le lacrime agli occhi, e questo lui lo notò
-In realtà io vorrei averti ogni singolo minuto qui con me. E il pensiero che tu vada via nuovamente, mi annienta. Il pensiero di perderti, non poter più sentire il tuo odore, invadermi il cervello, o ascoltare la tua voce, mi uccide. Questa volta, di più dell'altra volta.-
Le lacrime scorrevano sul suo viso. Neanche lei, avrebbe voluto, ma sapeva che con lui, non ci sarebbe stato futuro.
-Ti ho amato, sempre, e ti amerò sempre di più ad ogni miglio che ti allontana da me. E so, che, anche tu provi lo stesso, ed entrambi sappiamo che, non potremmo mai stare insieme. Sono sicuro, che tu troverai, l'altra metà della mela, che sappia amarti senza limiti, senza freni.-
Le accarezzò il viso, asciugò quella lacrime che non volevano fermarsi.
-Ci sarò sempre per te. Dottoressa Cuddy.- le sorrise, con dolore, si alzò da quella sedia, e la lasciò nuovamente alle sue spalle.






5 anni dopo..

Era fermo al parco, a sorseggiare un perfetto e caldo caffè Americano. Era sulla solita panchina. qualche tenero raggio di sole colpiva la sua gamba. Faceva freddo, la neve copriva tutto intorno a lui. E il silenzio era la cosa che più amava!
-Mi scusi, lei è il dottor House??-
Un ragazzino lo disturbò, lui alzò la testa, lo scrutò, aveva un pacco tra le mani.
-E' una bomba?-
Il ragazzino guardò il pacco, -Non credo signore.-
House lo afferrò, e apsettò che il ragazzino si allontanasse.
Appoggiò il suo caffè, ancora fumante. E lo aprì.
All'interno, c'era un foglietto.

Mi sono spostata ovunque per allontanarmi da te, mi sono sentita confusa e terribilmente impaurita, tutto perchè ero realmente innamorata di te. Ho cercato disperatamente l'altra metà della mela. Ma ho capito che ce l'hai tu. RIPORTAMELA... 
Cuddy.


Accanto c'era un biglietto, era un volo prenotato di sola andata. 
Destinazione: Mont Saint Michel

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Nb: Mi scuso per il ritardo, purtroppo, il pc, è rimasto guasto per un bel po' di tempo, e in più si è aggiunto lo studio intenso per nuovi esami. In realtà avrei voluto far continuare la storia ancora per molto, ma alla fine mi sono accorta di non avere tempo, per aggiornarla e inserire gli altri capitoli. Quindi ho scritto un capitolo nuovo per questo finale, completamente diverso dalla storia iniziale e da quello che avevo intenzione di fare.. Spero comunque che vi sia piaciuto ugualmente. Per adesso mi prendo una pausa, perchè tra studio e lavoro, ho poco tempo per la creatività, spero però di scrivere presto qualche altra cosa, magari con l'arrivo dell'estate. Intanto aspetto il finale di questa ultima stagione. Sperando in un ritorno, anche se quasi impossibile, o anche, un riferimento, a quell' huddy, che proprio non vuole abbandonare il mio cuore e la mia testa.
Vi invito a scrivere nuove storie, perchè così possiamo sognare attraverso la nostra creatività. Vi ringrazio, perchè in tanti mi leggete. ringrazio chi ha sempre recensito, e chi ha seguito questa storia.
 Un bacio.

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