Yume

di taemotional
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il cielo è incolore, la luna è stanca. ***
Capitolo 2: *** Siamo fatti della stessa materia con cui sono fatti i sogni. ***



Capitolo 1
*** Il cielo è incolore, la luna è stanca. ***


Commento: Non temete! Tra un po' di giorni tornerò a casa e prometto che mi impegnerò a scrivere nuove storie! Per il momento continuo a postare vecchie ficci che, alla fine, per voi sono inedite ^^ Questa ficci inizialemente era divisa in due "yume" e "yume 2" ma qui ho deciso di creare due capitoli della stessa storia ^^ Spero vi piaccia! Buona lettura! 
PoV: Ueda Tatsuya

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“Facendo in modo che nessuno possa cancellarle, continuo a lasciare impronte.
 
Per sempre, incessantemente, continuerò ad andare avanti.
Perché un giorno riuscirò a ricongiungermi alla tua strada.
E’ una storia che è partita da qua, con noi due.


Anche se siamo separati, il cielo che guardiamo non cambierà.”

 

Raggiungo il backstage. Non vedo più niente e anche il mio udito si fa debole. Solo una voce penetra a fatica.
“Andrà tutto bene”
 
- Londra, XVIII secolo -
 
Stringe la mia schiena e inizia a volteggiare sulla pista.
Io non so ballare bene e lascio che sia lui a guidare. Dopotutto, questa sera, io sono una ragazza.
Indosso una lunga gonna a balze rossa e un corpetto imbottito per nascondere il fatto di non avere seno per niente.
Perché io sono un ragazzo, ovvio.
Poi improvvisamente si ferma e mi porta ai bordi della pista.  Mi lascia da solo, mentre va a salutare i suoi genitori appena scesi dalle loro stanze.
Sono proprio una famiglia ricca, mi ritrovo ad osservare guardando la sala. Cerco di non pensare al mio passato.
 
Il mio cuore diviene agitato dalla dolce vista della tua figura.
La tua schiena da sola è così bella.
 
Poi torna. Il suo sorriso mozzafiato ancora stampato sul volto.
“Tatsuya, sistemati il cappello” mi dice soffiandomi sull’orecchio, mentre un gruppo di ragazze vicine all’età da prendere marito ci indica. O meglio, indicano il mio Junno.
Faccio un mezzo sorrisetto.
“Perché non mi aiuti te?” gli dico tenendo d’occhio quelle ragazzine eccitate, poi faccio scivolare la mia mano verso il suo sedere. Taguchi sussulta e mi trascina lontano dalla pista, verso il balcone che dà sul giardino.
 
“Tatsuya! Non puoi fare quelle cose in pubblico!” mi rimprovera nel momento in cui raggiungiamo l’esterno.
La luna è alta nel cielo e crea strane ombre scontrandosi con le fronde degli alberi. Lo guardo illuminato da questa luce bianca e ho la sensazione di vivere in un sogno.
“Ma non siamo venuti a questo ballo insieme per far vedere a tutti il nostro fidanzamento?” dico col broncio.
“Sì, ma le cose non sono così semplici... per prima cosa i miei genitori dovrebbero parlarti e vedere se...”
“Chi?”
“I miei genitori”
“...c’è una stanza libera in questo palazzo?” lo interrompo senza aver ascoltato una singola parola di quello che aveva detto.
“Eh..? Che centra ora?”
“Voglio fare l’amore con te... adesso”. Quanto sono insicuro.
Taguchi resta un momento esitante, poi mi prende per mano e si fa strada prima attraverso la grande sala da ballo, poi su per le scale e infine dentro una stanza.
 
Resto un secondo incantato dello sfarzo presente anche in quella piccola camera, sicuramente adibita agli ospiti.
Poi improvvisamente mi risveglio sentendo le braccia di Taguchi che mi stringono la vita da dietro.
“Mi chiedo come facciano le ragazze... questo corpetto è soffocante” sussurro sorridendo e subito lui inizia a slacciarlo.
Mi volto tra le sue braccia e a mia volta gli sfilo la giacca piena di pizzi e merletti color celeste chiaro.
“Questo colore ti sta bene” gli dico lasciando che lui scopra il mio petto. Sorride.
“Invece io ti preferisco così,” risponde baciandomi il collo oramai libero da stoffe e gioielli, “Col tuo colore naturale”
Inizia a lasciarmi segni evidenti sulla pelle. Sicuramente ora il mio colore non è poi più tanto naturale.
Poi mi spinge sul letto e resta qualche secondo a fissarmi negli occhi.
 
Voglio essere riflesso in questi occhi innocenti.
C’è un solo tipo di calore in questo mondo a cui voglio affidarmi.
 
Inizia ad accarezzarmi il petto, mentre si sistema tra le mie gambe, e sorride. Ancora quel sorriso che ogni volta mi fa scollegare il cervello.
Prende a baciarmi le labbra come fosse la cosa più normale del mondo, quando invece per me ogni volta è come se fosse la prima.
Poi torna a mordermi il collo, mentre le sue mani grandi continuano ad ispezionare il mio corpo sempre più bollente.
Mi lascio sfuggire un gemito e sebbene per me sia alquanto umiliante so che a lui piace.
Sorrido al pensiero che non faccio altro che cercare di compiacerlo.
Dopotutto io sono un ragazzo e lui cosa ne guadagna ad amare uno come me? Mi dispiace, perché il mio corpo non è morbido e perché fare sesso con me è difficile.
 
“Junno... fa male...” gemo ad un certo punto.
“Scusa...” dice e fa per allontanarsi ma io mollo i lenzuoli che stavo stringendo e gli circondo la schiena con forza.
“No, ti prego, continua”
 
Non avrei mai pensato di voler vivere per qualcuno.
Per la prima volta,
ho trovato qualcuno così prezioso che voglio amare.
Non voglio piangere da solo,
aiutami a cercare la mia luce.
 
Taguchi si accascia al mio fianco respirando forte.
“Ti amo” gli dico disperato. Mi guarda e, sorridendo, mi sposta i capelli umidi dalla fronte. Non si accorge della mia incertezza.
 
Poi, improvvisamente, la mia luce mi viene strappata.
 
Entrano nella stanza. Lui cerca di nascondere il mio corpo. Gridano. È vero, sono un maschio. Lo portano via di peso.
“Andrà tutto bene” mi dice ma io non riesco più a pensare. Qualcuno chiama dei servi. Devono sbattermi nelle prigioni sotterranee. Ma nel frattempo mi lasciano sul letto e chiudono la porta a chiave.
 
Nello specchio vedo un uomo solo.
Questo corpo bagnato e nudo nasconde un cuore confuso.
Nello specchio vedo un uomo solo.
 
Sei di nuovo solo, Cinderella boy, il tuo principe non c’è più, dice una voce dentro di me. E’ la verità.
Scappo dalla finestra ma atterro malamente. Sento un dolore acuto al piede sinistro ma non smetto di correre.
 
Poco prima di raggiungere il cancello principale mi acciuffano. Mi riportano dentro e mi coprono con degli stracci.
La madre di Taguchi mi guarda come si fa con gli appestati. Sorride sprezzante e ordina di rilasciarmi. Perché? Gli chiedo dov’è Junno ma non risponde.
Cosa gli faranno?
 
Il giorno dopo scopro che è stata fissata la sua esecuzione.
 
Un sole rosso fa capolino all’orizzonte.
Raggiungo la piazza già brulicante di gente. Cosa volete voi?
Poi lo vedo che viene trascinato sul palchetto in legno su cui pende un cappio bianco. Provo a piangere ma ho versato tutte le mie lacrime quella notte, aspettando l’alba e la fine di tutto.
Ha le mani legate e il suo viso è spento. Taguchi, sorridi, ti prego.
 
Mi avvicino al palco di corsa e salgo sopra di esso, cercando di avvicinarmi a lui ma vengo intercettato. Urlo con tutto il fiato dei miei polmoni.
 
Perché lui sì e io no? Voglio andarmene con lui, lasciate che lo raggiunga.
 
Mi tengono per le braccia. Tento di divincolarmi invano mentre gli mettono la corda attorno al collo. Tutto quello che riesco a fare è gridare, ma lui non mi guarda.
 
Non andrà tutto bene.
 
Abbassano la leva. Lui sorride.
 
- Tokyo, XXI secolo -
 
In quel momento mi svegliai con un grido. Il dolore al piede sinistro era reale.
“Taguchi! Taguchi!” mi ritrovai ad urlare nel mio letto d’ospedale, mentre avevo le coperte attorcigliate attorno al corpo.
 
Dove sono?
 
Mi sentii soffocare. Riuscii a divincolarmi e spalancai le finestre respirando l’aria dell’alba.
Guardai nella stanza: c’era solo quel letto anomalo e un paio di stampelle bianche.
Era solo un sogno, continuai a dirmi. Era solo un sogno.
 
“Tatsuya! non puoi alzarti!”
Mi voltai e lui era lì, con in mano una bottiglietta d’acqua. Vivo.
“Junno...” mormorai e scoppiai a piangere. Mi abbracciò.
“E’ tutto apposto, stai bene... sei solo caduto durante il tuo solo... ‘Marie Antoinette’”
Non capii niente di quello che stava dicendo, ma forse la cosa era collegata col fatto che mi trovavo all’ospedale.
“Junno... Ti amo”
“Anche io ti amo, Tatsuya... ma cos...?”
“Non importa” lo interruppi sorridendo, “Andrà tutto bene, ora..”
 
Taguchi, balliamo?

 
“Ti amo” esce dalle tue labbra.
Potrei vivere solo con l’eco di queste parole.
Balliamo, abbracciando gentilmente questo cielo notturno.
“Baciami, rompi il mio corpo ancora di più”

 

29.08.2010   21:00/23:00

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Capitolo 2
*** Siamo fatti della stessa materia con cui sono fatti i sogni. ***


“...E la nostra piccola vita è avvolta nel sonno.”  

 
Il rimbombo delle proprie parole, ‘Andrà tutto bene’, si andò a mescolare con i battiti irregolari del cuore.
 
- Osaka, XVIII secolo
 
“Sua Maestà Imperiale...” mi chiamò un uomo inchinandosi di fronte al mio baldacchino “...lo shogun vorrebbe incontrarla, oggi stesso.”
Alzai il viso: attraverso quei veli di seta che circondavano il mio futon, cercai di captare qualche raggio di luce.
Il mio palazzo sfavillava di pietre preziose e di ricami dorati, ma la luce del sole non osava penetrarci. E io la bramavo più di ogni altra cosa.
Non è calore, quello che si percepisce sfiorando quelle fredde lenzuola di lino.
Non mi era permesso nemmeno di uscire. Questo era un periodo di grande instabilità per il paese e più volte avevano attentato alla mia vita.
Ma cosa volete?Non sono io che decido per il mio popolo. Non più.
Alla fine, avevo persino dimenticato i colori delle stagioni.
Scansai con le dita quei veli soffocanti.
“D’accordo. Ditegli che lo riceverò.”
 
Camminai a passo veloce lungo i corridoi stretti del palazzo. Non c’era un suono, se non quello della mia veste che frusciava sul tatami.
Quando aprii l’anta che dava sulla stanza principale del palazzo, lo shogun spostò il viso da una stampa sul muro verso la mia figura.
“Questo decoro deve essere prezioso,” sentenziò con un sorriso beffardo.
“Può essere,” risposi. Si avvicinò e poi chinò il capo, “Sua Maestà Imperiale” disse.
Lo guardai: quanta ipocrisia, pensai.
“Da quand’è che l’imperatore non si fa aprire la porta dai propri servi?”
“Loro sono solo umili amici,” risposi, e volsi lo sguardo verso la geisha che lo accompagnava. Lei chinò il viso, e le perle che gli ornavano i capelli tintinnarono agitate.
Lo shogun parve interessato a quell’argomento e rise ironico.
“Umili amici? Sono solo schiavi.”
“Siamo tutti schiavi, perché condividiamo la stessa sorte, o sbaglio?”
Quell’uomo digrignò i denti. “Voi, guida spirituale del mio paese, non dovreste parlare di morte.”
Sorrisi.
“E’ stato un caso che io sia imperatore. Come è stato un caso che voi foste shogun... e la ragazza...” dissi indicandola, “...il suo spirito è nobile quanto il mio.”
Lo shogun diventò improvvisamente rosso di rabbia e prese la geisha per un braccio, buttandola a terra. Una smorfia le deformò il viso per un secondo.
“Eccolo il suo nobile spirito!” gridò, e mi diede le spalle, “L’ho beccata a rubare nelle mie cantine e ho pensato che potesse essere una buona moglie per voi, che nemmeno avete mai pensato ad un erede,” poi si avviò verso l’uscita.
“Immagino che non ci sarà nessuno che mi aprirà la porta di questo dannato castello,” commentò gelido.
Mi avvicinai a lui, e gli spalancai l’anta.
Yoroshiku onegai shimasu,” dissi chinando leggermente il capo. Quello mi guardò gelido e se ne andò senza dire nulla.
 
Quando mi voltai, quella ragazza fasciata da un kimono rosa perlato era ancora a terra.
Mi avvicinai, ma sembrava spaventata dal mio tocco.
“S-Sua Maestà...” disse solo, chinando di più il capo, fino a toccare la fronte col terreno.
Osservai la sua figura socchiudendo gli occhi, poi presi il suo viso e la costrinsi a guardarmi. I suoi occhi erano del colore dell’oscurità. La stessa che attanagliava la mia esistenza.
“E’ vero che hai rubato, giovane uomo?” chiesi senza dare alcun tono alla mia voce.
Restò incerto qualche istante, poi annuì tremando. Il mio popolo muore di fame.
Presi un lembo della mia veste e gli tolsi quella maschera bianca che gli nascondeva la pelle del viso.
Chiuse gli occhi, e quando ebbi finito li riaprì.
“Perché?” gli domandai.
Esitò di nuovo. I suoi occhi chiedevano perdono.
“Lo shogun sa che sei un ragazzo?” chiesi ancora “Basta che tu muova il capo”.
Scosse la testa. Sorrisi.
Perfetto.
“Ti vestirò da uomo, e poi sarai libero,” dissi alzandomi “Andrà tutto bene, nessuno ti riconoscerà.”
“No!” gridò implorandomi e mi afferrò un lembo del vestito “Vi prego, per ringraziarvi, permettetemi di essere vostro servo.”
“Io non ho servi.”
“Allora sarò vostro amico, perché non posso darvi l’erede che cercate.”
Non cerco eredi, avrei voluto rispondere, ma non potevo. Perché quello di continuare la stirpe era rimasto il mio unico dovere.
Tornai ad accucciarmi e gli sfiorai una guancia.
“Fatemi restare.”
Perché vuoi essere anche te intrappolato in questa gabbia di cristallo?
Continuai a toccargli il viso, che pian piano diventò rosso. Il calore del corpo umano mi era sconosciuto e quel piccolo fuoco che ardeva davanti a me mi apparve della stessa consistenza del sole, e i suoi occhi erano le macchie solari, che lo rendono ancora più bello alla vista.
“Sono i tuoi capelli questi?” chiesi, sciogliendoli dal fermaglio che li legava, e questi scesero fino alle sue spalle, neri come la notte, e la frangia andò a confondersi con le iridi.
Annuì. “Mi travestono da donna da quando sono piccolo...” disse e notai nella sua voce uno sforzo, come se quel ricordo gli provocasse dolore, “Mia madre mi lasciò dicendomi che le geisha non avrebbero avuto molti problemi da affrontare. Perché se fossi rimasto uomo mi sarei dovuto arruolare, mentre in questo modo la mia unica preoccupazione sarebbe stata quella di trovarmi un danna che potesse mantenermi... ma ovviamente... io sono un uomo, e ogni volta che lo scoprivano...” ma lasciò la frase in sospeso, mentre il suo sguardo sembrò perdere consistenza e perdersi in qualche ricordo passato.
Quelle parole fluivano come acqua che sgorga improvvisamente da una falla. Era uno sfogo. Come se la sua esistenza, oltre ad essere stata priva di libertà, fosse anche fatta di sola carta, imbevuta però dai sette colori della luce.
Immaginai di poterci costruire un piccolo aeroplano, e di farlo volare in alto, fino a confondersi col sole stesso.
Sorrisi.
“Che ne dici se sarò io il tuo danna d’ora in poi?”
Quel ragazzo sbarrò leggermente gli occhi, poi le sue guancie esplosero, di un colore simile a quello del tramonto.
“Sua... Maestà... io...”
“Allora è deciso!” conclusi e lo feci alzare prendendolo per mano, “D’ora in avanti io sarò solo Junnosuke per te, d’accordo?”
“J-Junnosuke..” ripeté con uno sforzo.
“E il tuo nome?”
“Nome?”
“Sì, come potrò chiamarti?”
“Tatsuya...”
Tatsuya...un nome forte come la sua anima, lo immaginavo.
 
Lo condussi nelle mie stanze e lui ne rimase incantato.
Gli dissi che poteva intanto accomodarsi, mentre io cercavo qualche vestito adatto a lui, e lui si sedette su un cuscino, accanto al mio futon. Avevo anche troppi capi nei miei cassetti, e non fu difficile trovarne uno adatto alla sua statura. Sorrisi: ne avevo scelto uno rosso, con sopra ricamato un drago in una qualche tonalità inferiore a quella del tessuto.
“Ecco, ti piace questo?” chiesi e mi avvicinai.
Lui annuì.
Presi a sciogliergli i nodi del kimono, mentre lentamente il suo corpo si adeguava ai miei tocchi, fino a rilassarsi completamente, quando sfilai le maniche.
Restai  a guardare un momento la sua pelle rosata. I fiori di pesco non avevano mai avuto un colore così bello.
Notai una chiazza più rossa, sul suo braccio, nel punto in cui lo shogun lo aveva afferrato. Ci passai prima un dito, poi lo sfiorai con le labbra, e il suo corpo rabbrividì.
“Non è la prima volta che qualcuno ti tocca, no?” chiesi.
Abbassò lo sguardo.
“Veramente sì... non ho mai permesso a nessuno di farlo.”
Fissai i suoi occhi, che cercavano di sfuggire ai miei.
“Sei stato una brava geisha allora.”
Sorrise, i suoi occhi brillarono per un istante.
“Non è per il fatto di essere un’artista o meno...”
Annuii e sorrisi di rimando, poi poggiai le mie labbra di nuovo sulla sua pelle e presi a risalire il suo braccio, sfiorandolo appena. Trattenne il fiato.
“Junnosuke...” sussurrò con voce tremante.
Lui era diverso. Lui non aveva paura di pronunciare il mio nome.
“Non ti farò del male,” gli dissi, non appena arrivai a baciare il suo collo, che lui piegò, adeguandosi. Portai una mano dietro la sua schiena e lui la inarcò, mentre lentamente lo distendevo sotto di me.
Era tutto come una danza perfetta. Io conducevo e lui si adattava ad ogni mio movimento e mi seguiva nei movimenti.
Eppure era tutto troppo familiare.
“Tatsuya, non ti sembra che ci siamo già conosciuti tempo fa? Magari in una vita passata...”
Non rispose, ma annuì debolmente. Il suo piccolo cuore batteva irregolare sotto alle mie dita. Non volevo spaventarlo, così gli spostai la frangia e baciai dolcemente la sua fronte, poi mi sedetti accanto al suo corpo.
“Che dici se ti spunto un po’ i capelli?” chiesi, andando a cercare un coltellino.
Lui si alzò dal letto e in poco tempo si mise quei vestiti che gli avevo preparato. Non aveva ancora riacquistato il suo normale colorito e io ne risi. Si portò veloce le dita sulle guancie rosate, come per voler nascondere un peccato.
“Scusami, è colpa mia” dissi sfiorando i suoi capelli “Poi posso tenere una ciocca?” chiesi sorridendo.
Annuì e si voltò.
“Il tuo castello è strano...” disse, con la voce che ancora tremava un po’.
“Perché?”
“E’ tutto molto luminoso... ma... la luce che entra viene sempre filtrata da vetri colorati o offuscati...”
“Non ti piacciono i colori?” gli chiesi, col fiato sospeso, perché lui aveva già capito tutto, e rinfilai il coltellino nella sua fodera.
“Sì...” disse con la voce che rideva, “Ma preferisco quello del tramonto.”
Restai un secondo in silenzio, e gli finii di sistemare i capelli.
“Non lo ricordo... il colore del cielo quando tramonta il sole,” dissi poi.
“Non puoi uscire di qui... vero?” mi chiese. Annuii, ma lui non poté vedermi. “Perché?” chiese ancora.
Esitai. Non volevo parlare di questo argomento, ma lui mi aveva aperto il suo cuore e io volevo ricambiare.
“La mia vita è in pericolo da quando sono piccolo... lo shogun... vuole il paese tutto per sé, ed è per questo che ha costruito questo palazzo e mi ci ha relegato all’interno.”
Abbassò il capo.
“Vorrei...” disse “...vorrei poter rubare un po’ di cielo, e donartelo, insieme ai raggi del sole.”
Lo feci voltare e senza dire niente lo strinsi a me, e gli baciai le labbra rosa e piccole, come si bacia un fiore di ciliegio appeso al suo ramo. Lui chiuse gli occhi, ma non arrossì.
“Questa sera, quando gli uomini del mio palazzo staranno cenando, e le loro menti saranno inebriate dai vapori del vino... io e te usciremo di nascosto, e, insieme, ci godremo le sfumature del sole che muore. Vuoi?”
Un’ombra passò un secondo sui suoi occhi. E’ pericoloso, sembrava volesse dirmi.
“Ti prego...” dissi, e lo baciai una seconda volta.
 
L’aria serale entrò con forza nei miei polmoni.
Tenevo la mano di Tatsuya, e intanto correvo lungo il muro esterno del palazzo, nascosto dagli occhi delle sentinelle che camminavano lungo la recinzione.
“E’ quasi ora!” gli sussurrai, senza riuscire a staccare gli occhi dal cielo. Tatsuya sorrise alle mie spalle e strinse di più la mia mano.
Lo portai sul giardino posteriore e rimasi stupito dalle piante che, in tutto quel tempo, erano cresciute a dismisura.
“Non venivo più qui da quando mio padre era ancora vivo,” dissi e, titubante, mi staccai un po’ dal muro del palazzo e mi addentrai verso quella radura artificiale.
“Come ho fatto a dimenticarmi di questi colori...” commentai sospirando, con tono melanconico.
“Se dici così, vuol dire che non li hai mai dimenticati veramente...” disse lui.
Risi, come fosse una liberazione.
Poi, improvvisamente, qualcosa fischiò vicino al mio orecchio destro. Non feci in tempo a rendermi conto di niente che Tatsuya mi spinse più in là, mentre un altro coltello vibrò a pochi centimetri dal mio volto.
“Sua Maestà!” gridò qualcuno, forse una sentinella dalle mura esterne. Tatsuya mi prese per un braccio e mi spronò. Iniziai a correre.
 
Quando raggiunsi il portone principale, le guardie del mio palazzo mi accerchiarono.
“Sua Maestà Imperiale! State bene? Perché siete uscito senza permesso?” chiedevano, ma non erano arrabbiate.
Io invece sì.
“Dov’è il ragazzo che era con me?” chiesi, quasi gridando. Quelle si guardarono intorno.
“Sono qui...” disse Tatsuya facendosi largo tra di loro. Lo presi per un braccio, forse gli feci male, e rientrai dando ordine che nessuno si avvicinasse alle mie stanze per tutta la notte.
“Junnosuke... mi dispiace,” sussurrò Tatsuya una volta che si fu chiuso alle spalle l’anta della mia camera.
Scossi la testa. Quello che avevo intravisto nella semi oscurità del tramonto, quel ninja che aveva voluto spaventarmi, non certo uccidermi, era un fidato dello shogun.
La rabbia con cui mi ero rivolto ai miei uomini mutò in un singhiozzo. E Tatsuya mi abbracciò, riscaldando la mia notte.
 
Mi svegliai con un sussulto. Era di nuovo mattina. Una strana sensazione mi attanagliò. Cos’era quel vuoto?
“Tatsuya?” chiamai flebilmente, tastando il futon. Mi alzai di scatto e scansai veloce i veli del baldacchino. “Tatsuya?”
Fuori dalla mia camera si sentiva un certo trambusto.
Qualcosa non quadrava. Cos’era quel sentimento soffocante che provavo?
Improvvisamente qualcuno spalancò l’anta della mia camera e piombò all’interno ansimando.
“Tatsuya... cosa?” il mio cuore si fermò. Le sue mani erano imbrattate di sangue.
“Junnosuke..” disse ridendo “Lo shogun... non c’è più... sei contento?” e si fiondò tra le mie braccia.
Lo strinsi, macchiando anche i miei vestiti di rosso.
“Cosa hai fatto...?”
Non rispose.
“Cosa hai fatto!?” gridai e lo sentii singhiozzare contro il mio petto. Gli afferrai il volto e presi a baciarlo avido, come se quel contatto violento potesse contaminare il mio corpo con quella colpa e, in qualche modo, redimere il suo.
“Tatsuya...” mormorai piano.
“Mi cercano...” disse lui e si staccò bruscamente, “Non mi devono vedere qui, tu non sei coinvolto.”
In quel momento, dei rumori di passi e di armi mi fecero rabbrividire. Lo afferrai e lo gettai tra i veli oscuranti del mio futon.
Cadde all’indietro. “Andrà tutto bene” gli dissi, e poi i suoi occhi scomparvero tra la seta.
Mi voltai di scatto.
“E’ l’imperatore!” gridò il mio generale sguainando la spada “E’ lui l’assassino!”
“No!!”
“Tatsuya, va via!”
“Non me ne vado!” e il generale lo uccise, sotto i miei occhi, come si recide lo stelo di un fiore.
Restai pietrificato. Nemmeno le lacrime possono uscire dalla pietra.
E lo osservai a terra, il viso di lato come se dormisse, mentre il drago ricamato sul suo petto si tingeva di nero.
 
- Tokyo, XXI secolo
 
Mi svegliai di soprassalto, sotto le mie braccia c’era un letto, bianco e bagnato dalle mie lacrime.
Tatsuya...
Lui era là, e dormiva in quel letto d’ospedale. Il ricordo della sera prima, di quando si era ferito al piede durante il live esplose vivido nella mia mente.
Era solo un sogno, continuai a dirmi. Era solo un lungo, complicato sogno.
E tornai a sorridere, asciugandomi il viso.
Decisi di alzarmi e di andare a comperare qualcosa da bere. Avevo la gola veramente asciutta.
 
Quando tornai lui era già in piedi, e stava aprendo la finestra, lasciando filtrare la luce dell’alba.
“Tatsuya! non puoi alzarti!” gridai, e lui si voltò, spaventato.
 “Junno...” mormorò e scoppiò a piangere. Lo abbracciai.
“E’ tutto apposto, stai bene... sei solo caduto durante il tuo solo... Marie Antoinette,” dissi, cercando di discernere la realtà dal sogno.
“Junno... Ti amo”
“Anche io ti amo, Tatsuya... ma cos...?”
“Non importa,” mi interruppe sorridendo “Andrà tutto bene, ora...”
 
 

Non importa quanto sia lunga questa notte,
la mattina arriverà sicuramente.
 
Queste lacrime diventeranno presto dei sorrisi.
Non perderti tra di esse,
Io sarò con te.

 

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Commento: Che ne dite? Quando l'ho scritta non sapevo ancora nulla né di shogunato né della condizione dell'imperatore al tempo del bakufu, eppure rileggendola ora vedo che non ho scritto cavolate xD anzi! Sono fiera di me stessa ahah xD devo essermi documentata per bene! *non pensare all'esame di storia del giappone*
Cambiando discorso! Quando ho scritto questa seconda parte sapevo che il solo in cui ueda si era rotto il piede non era affatto marie antoniette, ma, ovviamente, ormai avevo scritto la prima parte e non potevo modificarlo ^^ modificarlo significava anche dover riscrivere tutto il primo sogno dal momento che ho preso spunto dal titolo del singolo per ambientarlo ^^ 
Spero vi sia piaciuto! 
Alla prossima!!! <3

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