Set Fire to my Heart

di Alessia NightOwl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Balance of Real Life ***
Capitolo 2: *** Meeting with a God ***
Capitolo 3: *** See you soon Sophie ***
Capitolo 4: *** Shock of Love ***
Capitolo 5: *** The Change is Mine ***
Capitolo 6: *** Twisted Eyes ***
Capitolo 7: *** Home Care ***
Capitolo 8: *** Shadows from the Past ***
Capitolo 9: *** Letter from the Past ***
Capitolo 10: *** Let yourself go ***
Capitolo 11: *** Dancing Bodies ***
Capitolo 12: *** Living in a Fairytale? ***
Capitolo 13: *** Friendship comes First ***
Capitolo 14: *** You'll not break me down ***



Capitolo 1
*** Balance of Real Life ***




Ciao a tutti. Io sono Alessia. Questa non è la prima fan fiction che scrivo e sinceramente non so neanche se si può chiamare tale.
E' una storia completamente inventata, con personaggi e situazioni inventati. Non ho preso spunto da niente in particolare, solo un po' dalla mia vita.

Per scrivere questa storia ho ovviamente usato la musica, in particolare finora ho ascoltato canzoni di Adele e dei Bat for Lashes, ma per questo primo capitolo non c'è una canzone che possa accompagnare la lettura.
Ok, spero che vi piaccia questo primo capitolo e che commenterete dandomi consigli e pareri.
Sono molto critica nei miei confronti, dunque non abbiate paura a dirmi quello che pensate (ovviamente senza offendere).
Credo che ci siamo.

Buona lettura.



-Set Fire to my Heart-


Capitolo 1. (Balance of Real Life)

Ero appoggiata con i gomiti al balcone del mio piccolo appartamento, osservavo la città che si svegliava.

La nebbia autunnale iniziava ad alzarsi e le luci notturne si spegnevano, i rumori del piccolo porto si facevano sempre più forti.

Le prime persone si facevano coraggio ed uscivano a quel freddo così pungente, sembrava quasi inverno, e si immergevano nella vita del paese.

Mi strinsi nel mio maglione di lana, fatto ai ferri dalla mia vecchia nonna tanti anni prima, uno di quei cimeli di famiglia che mi portavo addosso da sempre.

Diedi un'ultima occhiata alla vita esterna, inspirai un po' di quell'aria fresca che al mattino ti fa stare bene, e rientrai in casa.

Andai verso la camera di Sophie, aprii piano la porta e mi sedetti sul bordo del suo letto.

"Sophie, sveglia." Le dissi accarezzandole il viso con dolcezza.

Mia figlia aprì gli occhi contro voglia e iniziò a stiracchiarsi da sotto le sue calde coperte.

"Mamma, dai è già ora di svegliarsi? Non ne ho voglia, uffa."

Ogni mattina la stessa frase, ma ricordavo sempre che anch'io alla sua età non avevo mai voglia di svegliarmi presto, era un vero e proprio trauma.

Mi diressi in cucina, lasciandole il tempo di prepararsi per una nuova giornata di scuola e nel frattempo preparai la colazione per tutte e due.

Ormai ogni situazione era diventata un rito per noi due, sole.

La svegliavo, facevamo colazione insieme, la portavo a scuola e poi ci rivedevamo nel pomeriggio. Non cambiava quasi mai niente nei nostri programmi. Poteva sembrare monotono, ma avevamo trovato il nostro ritmo in quella vita così piatta e finalmente eravamo tranquille.

La salutai di fronte a scuola, mentre lei correva verso le sue amiche. Mi lanciò un bacio da sopra i gradini e poi scomparve dietro le grosse porte di metallo.

Tornai in macchina e accesi il riscaldamento al massimo. Era davvero freddo e non ero ancora abituata, soprattutto per una persona così freddolosa come me.

Il lavoro mi aspettava a braccia aperte, purtroppo e così andai al Tory Harbor Cafè, la tavola calda dove lavoravo ormai da 5 anni.

Era il bar del porto ed era sempre pieno di persone di ogni tipo, gente del paese, ma anche forestieri o semplicemente marinai che venivano a fare la pausa da un tragitto all'altro.

Odiavo quel posto, per l'umidità che lo circondava, ma soprattutto per il mio capo; un ometto di mezz'età, grassoccio molliccio e viscido. Jack era sempre pronto ad attaccarti per qualsiasi minuscolo errore commettessi, o  semplicemente, se la mattina si svegliava con la luna storta, diventavi il bersaglio del suo malumore. Non era piacevole, ma almeno ogni mese avevo la mia paga che mi permetteva di tirare avanti.

Il bar era già affollato, così corsi nel retro a cambiarmi e andai ad aiutare la mia cara amica Claire che era già sommersa di ordini.

"Ehi Elly, eccoti. Stamattina è assurdo, ognuno vuole qualcosa di diverso, ognuno ha una lamentela da fare  e ovviamente Jack ha l'umore nero come la pece, dunque preparati" mi disse mentre mi abbracciava.

"Tranquilla, ora ci divideremo lamentele e umore nero in due" dissi sorridendo. Quella mattina stavo bene, ero allegra ed ero convinta che niente avrebbe potuto cambiare lo stato in cui mi trovavo.

La giornata passò veloce e frenetica. Il mio turno stava per finire, quando Jack venne da me e mi chiamò nel suo ufficio. Sospirai esasperata, mentre Claire mi osservava da lontano, sapevo che sarebbe stata al mio fianco, qualsiasi comunicazione avessi ricevuto dal "grande capo".

"Jack avrei finito. Dimmi cosa c'è?" gli chiesi quando entrai nell'ufficio tirandomi via il grembiule.

Quando alzai lo sguardo quello che vidi non mi piacque per niente, il ghigno dipinto sul volto di Jack e il suo tamburellare nervosamente con le dita sulla sua scrivania erano un cattivo presagio.

"Siediti Eloise, siediti cara."

Continuai a guardarlo dura in viso, mentre mi sedevo. Ero in attesa della brutta notizia.

"Ebbene, ho preso una decisione. Qui al bar a parte me siete in 4, tu Claire e le altre due pasticcione. I turni sono ben coperti, ma non sono molto contento delle due giovani ragazze che coprono il turno serale. E così chiedevo se da oggi potevi venire a fare qualche ora anche alla sera" continuava a guardami con aria di sfida e sapevo bene che questa non era una proposta, ma un ordine.

"Jack, sai bene che non ho nessuno che possa tenere mia figlia alla sera, non posso portarmela dietro. E sai anche che Claire è nella stessa situazione mia" dissi sperando che a quell'uomo così frustrato fosse rimasto un briciolo di buon senso.

"No cara, non vorrei Claire comunque anche se potesse. Voglio te, sei la migliore, potrei darti un aumento, ma ricorda che se non accetterai ci saranno delle conseguenze" ecco le parole magiche: conseguenze.

"Che conseguenze ci saranno Jack, spiegamelo grazie" dissi sempre più nervosa, sapevo che dovevo mantenere la calma per poter avere almeno quello straccio di lavoro, ma certi giorni era davvero complicato.

"Non so ancora di preciso che conseguenze ci saranno, ma stai certa che ci saranno. Non ti licenzio, questo no, ma ti abbasserò la paga e dovrai fare molte più commissioni durante il tuo turno" ecco le sue ultime parole, non potevo certo permettermi una paga inferiore a quel minimo che già prendevo, ma non potevo neanche pensare di lasciare a casa mia figlia da sola per le ore serali che avrei dovuto coprire.

"Jack, puoi lasciarmi qualche giorno per scegliere quale dei due mali è il minore?" gli chiesi sul punto di esplodere.

Il "grande capo" si alzò, girò intorno alla scrivania e venne dietro di me, appoggiò le sue luride mani alle mie spalle e iniziò a muoverle.

"Certo cara, un paio di giorni posso aspettare, ma dopo questi se non avrai ancora deciso, deciderò io per te" sentire il suo fiato pesante sul mio collo e la sua presa molliccia sulle mie spalle mi faceva venire la nausea.

Aveva già provato anni prima a toccarmi dove non avrebbe dovuto e rimediò un bel calcio nelle parti basse, e una denuncia. Sapeva che accettavo molte cose, ma il mio corpo era solo mio, e di certo le minacce non mi portavano a letto con lui, anche se lui avrebbe voluto.

Spostai le sue mani dalle mie spalle e mi alzai.

"Bene, in questi giorni ci penserò e poi ti verrò a dire quale decisione ho preso. Buona giornata Jack" mi girai e scappai da quel tugurio che lui chiamava ufficio. Non mi sarei meravigliata se un giorno l'avessi visto banchettare insieme a scarafaggi e topi di fogna sulla sua scrivania piena di scartoffie, con resti di cibo ormai ammuffito.

Quando uscii dall'ufficio avevo gli occhi di Claire puntati addosso come un radar, mi vide e capì ogni cosa, mi fece un cenno. Ci saremmo viste poco dopo davanti a scuola dei nostri figli e le avrei spiegato tutto. Lei doveva finire di mettere a posto alcune cose e doveva aspettare le altre ragazze che arrivassero.

Claire era la mia migliore amica da tempi ormai lontani, eravamo cresciute insieme e quando decisi di trasferirmi in questa piccola isoletta, lei mi seguì senza avere dubbi "tanto qui a Dublino non ho nessuno, le nostre figlie sono amiche, tu sei la mia migliore amica. Rinizieremo a vivere insieme" ecco cosa mi disse 7 anni fa.

La nostra storia era simile, due madri single che cercavano di sopravvivere. Le differenze sostanziali erano due. Lei aveva divorziato dal marito, mentre il mio fidanzato era scomparso non appena ebbe notizia della gravidanza. La seconda differenza era che i suoi genitori c'erano e l'aiutavano sempre in ogni modo, mentre i miei erano latitanti. Mio padre non lo sentivo da troppo tempo e mia madre, abitando a Londra, faceva quel che poteva.

In poche parole ero davvero sola, ma non mi importava poi molto. Ero finalmente riuscita a trovare un giusto equilibrio nella mia vita e in quella di mia figlia e non me lo sarei certo fatta rovinare da uno stronzetto che pensava di essere padrone del mondo.

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Capitolo 2
*** Meeting with a God ***



Ciao a tutti.
Ebbene sì, sono di nuovo qui.
La mia intenzione iniziale era quella di postare un capitolo ogni settimana, ma visto che per qualche giorno non ci sarò, Natale con i parenti. Ho deciso di mettere subito anche il secondo capitolo.

La storia si evolve leggermente e ci sarà la comparsa di un nuovo personaggio che scombussolerà un po' la protagonista.

Ringrazio tutti quelli che hanno letto la storia senza commentare e quelli che mi hanno lasciato un loro pensiero, sono felice che il primo capitolo vi sia piaciuto tanto, ero titubante all'inizio ma con i vostri commenti avete fatto passare i miei dubbi, ora spero solo che il continuo vi piacerà.

Un piccolo ringraziamento speciale va alla mia migliore amica (Chiara), che non leggerà mai queste parole, ma che senza di lei anche questa storia non avrebbe avuto vita.

Colgo l'occasione per augurare Buone feste a tutti voi, sperando possiate passare dei bei momenti.

Buona lettura a tutti!
PS: Le parti scritte in "corsivo" sono i pensieri di Eloise.







Capitolo 2. (Meeting with a God)

Fuori dalla scuola, in attesa che le piccole uscissero, spiegai tutto a Claire, che rimase a bocca aperta, ma solo per qualche secondo.

"Ormai c'è da aspettarsi di tutto da quel buffone. Comunque non so cosa tu abbia da pensare. Farti abbassare la paga non mi sembra proprio il caso, prendiamo già una miseria. Farai i turni alla sera e basta tesoro" disse dandomi allegramente un buffetto sulla testa.

Claire era sempre così pratica e ottimista.

"Claire, non posso portarmi Sophie dietro e poi sai che quando lavori di sera il turno non finisce mai all'orario in cui dovrebbe terminare..." Claire mi interruppe "Dico, ma mi prendi in giro? Non esiste che ti porti Sophie in quella topaia" la guardavo con aria interrogativa, non capivo cosa volesse dire, era contradditoria.

"Scusa, prima mi dici che devo fare le ore serali, ma poi mi dici che non mi devo portare mia figlia dietro, pensi che la lascerei a casa da sola? Ok  che Tory Harbor è un posto tranquillo, ma non lo farei mai" lo sguardo di Claire era sempre più sorpreso e sembrava mi stesse prendendo in giro.

"Proprio non ci arrivi, vero? Te la tengo io Sophie. Sei proprio scema, cosa vuoi che mi cambi una bimba in più da tenere per un paio di ore e poi sai bene quanto vanno d'accordo i nostri angioletti, dunque non vedo il problema. Tu che problemi insormontabili vedi?"

Claire mi aiutava sempre, mi aveva sempre aiutato e non volevo che anche questa volta ci andasse di mezzo lei, non volevo di nuovo appoggiarmi sulle sue spalle e al suo supporto. Ma sembrava inevitabile. Sapevo che era sincera, se fosse stato per lei 7 anni fa saremmo dovute andare a vivere tutte e quattro insieme, dunque ero certa che per lei non fosse un problema, ma mi scocciava comunque. Mi ero ripromessa che ce l'avrei fatta da sola, ma quando si mettono in mezzo persone che vorrebbero solo rovinarti, continuare a fare l'eroina sola contro tutto il mondo non ha più molto senso.

Proprio nel momento in cui Sophie e Jinny uscirono da scuola, io la guardai e annuii. Lei mi sorrise e mi strinse la mano. Poi ci girammo verso le nostre figlie iniziando con le tipiche "domande dopo scuola".

I due giorni successivi passarono fra ripensamenti miei e continue convizioni di Claire. Io ero testarda e indecisa, ma sulla testardaggine lei era la numero uno.

Ne parlai con Sophie ovviamente, che all'idea di passare del tempo insieme alla sua grande amica si illuminò come una stella e così alla fine accettai; andai da Jack e gli comunicai la mia scelta, lui dal suo sudicio trono sorrise convinto di avermi in pugno e mi disse gli orari che avrei aggiunto al mio solito turno.

Avrei dovuto fare 3 ore serali, dalle 7 alle 10 e avrei preso 200 euro in più, sicuramente ci guadagnavo io, quei soldi avrebbero fatto molto comodo a me e Sophie.


Passarono due settimane senza troppi intoppi, io andavo a lavorare e Sophie stava con Claire e Jinny, a parte un paio di litigate fra le bambine facilmente risolvibili, la situazione sembrava grandiosa.

Ma una sera mentre lavoravo, scivolai dalla scala e mi feci male, io non volevo andare al pronto soccorso, ma Rosy una delle altre due ragazze, insistette per portarmi all'ospedale e controllare che tutto fosse sotto controllo.

Mi feci visitare dal dottor Conner che mi consigliò di fare qualche giorno di riposo, perchè la mia schiena aveva ricevuto un brutto colpo, io gli spiegai che non potevo assolutamente stare a casa da lavorare e che facendo attenzione sarei andata comunque. Sembrava sinceramente preoccupato dalle mie parole, pensavo fosse un tipico modo dei dottori di affrontare i propri pazienti e le scelte stupide che facevano.

Mark Conner, l'uomo più bello che avessi mai visto, non aveva niente di irlandese. Carnagione bronzea, capelli scurissimi e occhi dorati. Alto e snello, sotto quel camice mi immaginavo di trovare milioni di muscoli sodi che si intrecciavano fra loro.

Quando mi accorsi che lo stavo fissando, probabilmente da un bel po' di minuti, distolsi lo sguardo diventando viola in faccia.

Oddio Eloise Walsh, non sei più una bambina, non puoi fare pensieri impuri di fronte a questo ben di Dio. Allora, basta.

I miei pensieri correvano veloci, mentre con la coda dell'occhio mi accorsi che Mark mi stava fissando e sorrideva.

"Dimmi, ho qualcosa fra i denti o un capello fuori posto?" chiese continuando a sorridere.

Oh ti prego, smettila di sorridermi o potrei sciogliermi qui nel tuo ambulatorio.

"Oh no no, scusami. Ero sovrappensiero e mi sono incantata" dissi inventando la scusa più stupida che avessi mai sentito. Mi stavo davvero ridicolizzando.

"Beh allora spero di esserti davanti più spesso quando sei sovrappensiero, essere guardato così da una donna come te è molto lusinghiero" disse mentre si alzava dalla sedia per uscire dall'ambulatorio.

Rimasi a fissare le mie mani che si stavano contorcendo appoggiate alle mie gambe, mi alzai e lo seguii a testa bassa.

Perchè aveva detto quella frase? Non ero di certo una bella donna o qualcuno di desiderabile, anzi piuttosto sembravo uno spaventapasseri.

Ero alta, ma molto magra. Le forme c'erano, ma venivano nascoste dall'abbigliamento extralarge che ero solita usare. Non mi piaceva mettermi in mostra e così pensavo che quel tipo di abbigliamento fosse il modo migliore per evitarlo.

Avevo i capelli lunghi, color cioccolato con qualche riflesso naturale rossiccio e gli occhi azzurri, pelle chiara con qualche lentiggine, che io odiavo con tutta me stessa.

Non mi curavo, andavo pochissimo dal parrucchiere e non mi truccavo quasi mai. Insomma invece che 25 anni, quando mi guardavo allo specchio io vedevo una donna di 40.

Quell'affermazione fatta da Mark mi fece arrovellare il cervello, quelle poche parole continuavano a girare vorticosamente nella mia testa.

Quando andai a prendere Sophie era già tardi, perchè dopo essere stata in ospedale dovetti aspettare Rosy che mi venne a prendere, mi accompagnò al bar a prendere la macchina, dopo di che potei correre da Claire, mandandole un sms per scusarmi del ritardo spiegandole il motivo.

Quando la mia amica aprì vedevo che si comportava come un ladro, camminava di soppiatto e parlava in un sibilo appena accennato.

Andammo nel salotto e capii il perchè di quel modo di fare. Sophie e Jinny si erano addormentate sul divano-letto, mano nella mano con la televisione accesa sul loro canale di cartoni animati preferito.

Io e Claire andammo in cucina per berci una bella cioccolata calda, mi ci voleva proprio. La temperatura era sempre più rigida fuori, inoltre dovevo cercare di tornare sul pianeta Terra e sicuramente Claire e la cioccolata erano il miglior modo per farlo.

"Elly, non ti ricordano me e te alla loro età?" disse mentre osservava le nostre figlie da dietro la porta. Mi avvicinai a lei e la presi per mano "Noi siamo ancora così Clay" ci guardammo e sorridemmo. Quando eravamo piccole io la chiamavo sempre Clay e lei mi aveva sempre chiamato Elly, soprannome che continuava ad usare e che io adoravo.

"Dovresti tornare a chiamarmi così, sai vecchietta" mi disse dandomi una piccola pacca dolce sulla schiena e ridendo.

Rimasi ferma dov'ero. Guardandomi la punta dei piedi, poi mi girai di scatto e buttai fuori tutto come se non avessi parlato per anni.

"Clay, ho conosciuto Mark Conner prima in ospedale. Sai se ricordo bene dev'essere il papà di un compagno di classe delle bimbe. Ma a scuola non l'ho mai visto, viene sempre la signora Conner a prendere il bambino" dissi guardando la mia amica, forse stavo sviando un po' il discorso, ma non potevo scampare ancora per molto alle grinfie di Claire.

"Eloise Walsh, conosco quello sguardo. Raccontami tutto e dimmi cosa è successo con quell'uomo che farebbe eccitare anche una morta" disse ridendo.

"Clayyyyyyyyyyyyyy" urlai, tappandomi subito la bocca. Non volevo svegliare le bambine.  "Che c'è, ho detto la verità è un figo da paura e tutte qui in paese lo sanno e gli sbavano dietro, dunque se lo ammetto a voce alta non c'è niente di male" disse con un'alzata di spalle.

Le ore dopo passarono veloci mentre gli raccontavo quel poco che era successo e quanto la mia testa stesse facendo film su quella frase di Mark.

"Beh Elly, ora andiamo a dormire, spegni il cervello per qualche ora. Stanotte vi ospito, non mi sembra il caso che svegli tua figlia all'1 di notte. Ma domani vediamo un modo per farti conoscere questo 'dottor Stranamore' e non voglio indecisioni da parte tua. E' ora che la piccola e dolce Elly si svegli dal suo sonno da zitella durato troppo a lungo" disse sbadigliando e ridendo nello stesso frangente.

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Capitolo 3
*** See you soon Sophie ***



Buongiorno. Finalmente dopo questi giorni di festa rieccomi con la mia storia.


Spero che possa piacervi anche questo capitolo, ringrazio tutte quelle persone che continuano a leggere la storia e spero che nonostante questo piccolo ritardo, continuerete a farlo.

Mi auguro che tutti voi abbiate passato giorni di festa tranquilli e felici.

Due parole sul capitolo, diciamo che potrebbe essere considerato un "capitolo di transizione", scopriremo un'amico di Sophie e capiremo qualcosa in più su questa "Signora Conner", inoltre ci sarà una partenza.

Beh Buona lettura a tutti, spero di non deludervi.

PS: Qui sotto prima del capitolo troverete una foto dell'isola da cui ho preso spunto per la location della mia storia "Tory Island" a nord dell'Irlanda.



Capitolo 3. (See you soon Sophie)

Purtroppo per il piano di Claire, le settimane successive passarono senza cambiamenti, anzi...

Il dottor Mark Conner sembrava scomparso nel nulla. A scuola vedevamo sempre la madre e per i due controlli che dovetti andare a fare all'ospedale per la schiena trovai sempre altri dottori.

Così un giorno Claire si stancò e decise di accompagnarmi all'ultimo controllo che dovetti fare.

Quando entrammo in ospedale mi lasciò nella sala d'aspetto e iniziò a vagare per stanze, ambulatori e sale. Quando tornò indietro dal suo piccolo viaggio indagatore, capii che aveva scoperto che fine avesse fatto 'dottor Stranamore'.

"Mia cara Elly se tu avessi chiesto prima dove fosse Mark, senza farti troppi problemi, non mi avresti fatto venire una testa enorme con supposizioni fasulle. Il tuo bel dottorino è andato in Francia per un aggiornamento. Almeno così mi ha detto quella simpatica infermiera dopo averla minacciata" disse ridendo fiera di sè.

"L'hai minacciata? Oddio Clay, non ti riconosco più. Dov'è finita la mia amica calma e tranquilla, rispettosa di ogni regola e legge?" le chiesi ridendo a mia volta.

Il controllo passò alla grande, la mia schiena si era rimessa in sesto e non avrei più avuto bisogno di cure, ma sicuramente avrei trovato qualche scusa per tornare in ospedale, dovevo rivedere Mark. Ormai era il mio pensiero fisso.

"Quella simpatica e disponibile infermiera ti ha per caso detto anche quando tornerà Mark?"

"Ha detto che se non ci sono intoppi dovrebbe tornare la settimana prossima perchè purtroppo anche quest'anno i turni delle feste di natale spettano a lui" mi rispose Clay alzandosi e dirigendosi fuori dall'ospedale.

Andammo a prendere le bambine a scuola. L'ultimo giorno prima delle vacanze era sempre molto caotico e pieno di lacrime e sorrisi, i bambini erano emotivi e per loro non vedersi per 20 giorni era un disastro mondiale.

Decidemmo di trascorrere il nostro graditissimo giorno di riposo insieme alle nostre figlie andando a fare un po' di shopping nel mega centro commerciale aperto da poco.

Prendemmo un po' di regali di natale, avevamo poche persone da accontentare per nostra fortuna, l'impegno più grande erano sempre le bambine, che si presentavano con richieste infinite e che spesso non potevamo soddisfare.

Eravamo davanti ad una vetrina di vestiti molto ben allestita, che faceva voglia di entrare e svaligiare tutto il negozio, quando mia figlia mi tirò per il maglione.

"Mamma, quest'anno vorrei fare un regalo in più. Possiamo, ti prego?" mia figlia sbattè le sue lunghe ciglia e il suo sguardo mi sciolse dall'interno.

"Sophie, certo che puoi. Ovviamente sai che non siamo ricche, ma un regalo in più ci sta. E poi devi assolutamente dirmi per chi è. Sai quanto è curiosa la tua mamma" le dissi abbassandomi alla sua altezza.

Lei si avvicinò e mi bisbigliò un nome all'orecchio.

"E' per Seth. Il nostro compagno di classe. Quest'anno è stato molto simpatico e gentile con me, lui è bravissimo e mi aiuta sempre. So che gli piacciono tantissimo gli animali e così volevo prendergli un libro pieno di immagini bellissime" guardò la vetrina lì vicino, piena di libri di ogni genere.

"Diamo il via alla nostra missione tesoro" le dissi prendendole la mano.

Ci raggiunsero subito Claire e Jinny, le due piccole si misero a confabulare fra loro. Si capiva benissimo che Jinny stava prendendo in giro la mia piccola per la sua idea.

Trovammo un libro davvero splendido, dopo di che io e Sophie andammo per la nostra strada. Dovevamo trovare il regalo per Jinny e Claire. Ci saremmo incontrate di nuovo con loro fra un paio d'ore di fronte alla pizzeria.

Mentre ci dirigevamo nel negozio di giocattoli più bello che avessi mai visto, incontrammo la signora Conner con Seth.

Sophie divenne subito allegra e andò incontro a Seth, iniziarono a parlare chiedendosi a vicenda i loro programmi per le vacanze.

Salutai la signora Conner che quel giorno era ben disposta a parlare.

"Sono così piccoli, ma sembrano già degli adulti. Salve Eloise" la guardai sorridendo.

E così conosci il mio nome nonna di Seth, nonché mamma della mia fissazione.

"Salve signora Conner e buone feste. Anche voi siete in giro per i regali?" chiesi porgendole la mano. Ricevetti una stretta di mano che mi bloccò la circolazione per qualche minuto.

"Oh sì. Seth quest'anno aveva tanti amici da accontentare, abbiamo appena comprato il regalo per la sua Sophie. Diciamo che non mi parla di altro da almeno una settimana. Non vedeva l'ora di prenderle il regalo, ma adesso è preoccupato che non le possa piacere." Mi venne da sorridere a quell'idea. Già così piccoli, ma con queste piccole paronoie da adulto.

"Anche noi abbiamo preso un regalo per Seth. Sophie aveva le idee molto chiare, dunque speriamo sarà di suo gradimento" con un occhio tenevo sotto controllo i bambini che si erano allontanati per guardare l'enorme albero di natale in mezzo al centro commerciale e con l'altro guardavo la signora Conner con la speranza che mi parlasse anche di suo figlio.

"Quest'anno Seth verrà con me e mio marito in vacanza, andremo in Francia da parenti. Purtroppo mio figlio lavorerà quasi tutti i giorni e ci ha praticamente costretto ad andare a passare vacanze più allegre" contenta che avesse captato i miei messaggi mentali, mi accorsi subito che nel suo tono di voce c'era un po' di dispiacere.

"Ah guardi, anche mia figlia quest'anno andrà dalla nonna, purtroppo il mio capo non mi ha dato neanche un giorno libero durante le vacanze dei bambini e così abbiamo deciso che rivedere la nonna dopo quasi un anno, non sarebbe stato poi così male."

Le urla dei bambini attirarono la nostra attenzione e lasciammo la nostra conversazione a metà.

Quando arrivammo quasi correndo da loro, li trovammo accovacciati su una piccola figura nera che non riuscivo a vedere.

"Nonna, nonna ti prego dobbiamo portarlo dal veterinario, dobbiamo curarlo poverino, ha un'ala rotta." Seth si rivolse a sua nonna quasi in lacrime. Ecco cos'era quella figura piccola e nera; un' uccellino entrato non si sa come nel centro e che era crollato vicino all'albero.

Sophie si avvicinò a Seth cercando di consolarlo e sorridendogli lo salutò.

"Allora Seth cura questo piccolo uccellino, noi ci rivediamo domani così ci scambiamo i regali, ok?" Seth sorrise, salutai la signora Conner e ci allontanammo.

Pensare che questi bambini avevano solo 8 anni, eppure sembravano davvero degli adulti. Rimasi piacevolmente colpita dal comportamento di Seth, gli animali erano davvero la sua passione. Forse sarebbe diventato un dottore anche lui come il padre, ma un veterinario.

Finimmo i nostri giri, tutti i regali erano stati fatti e andammo a cenare insieme alle nostre amiche.

In pizzeria chiacchierammo tutte insieme, proprio come fossimo una piccola famiglia, ridendo e scherzando.

Era così che consideravo Claire e sua figlia. Come fossero mia sorella e mia nipote.

La giornata era passata veloce ed ero felicissima di aver potuto accontentare mia figlia in ogni richiesta.

Quando tornammo a casa sentii mia madre per metterci d'accordo sugli orari.

Sophie sarebbe andata da lei il giorno della vigilia e sarebbe tornata a casa il giorno della befana. Non mi faceva piacere separarmi da lei per così tanti giorni, ma era l'unica possibilità e in fondo Sophie era felice di passare un po' di tempo insieme alla nonna che non vedeva mai.

Sarebbero tornate a Dublino, nella casa che mia madre possedeva ancora, nonostante tutti noi della famiglia l'avessimo abbandonata, lei ogni anno tornava lì per passare le vacanze di natale.

"Ok Eloise, allora ci vediamo al porto alle 10 e poi per il ritorno ci mettiamo d'accordo più avanti. Non avere preoccupazioni, Sophie starà benissimo. Sai che vorrei fare di più, ma non ce la faccio" ogni volta che risentivo mia madre, mi veniva il groppo in gola.

Ci volevamo un bene dell'anima, ma lei lavorava ancora come maestra e non poteva abbandonare la sua amata Londra e io stavo bene qui, sulla mia piccola isola. Ci vedevamo molto poco, ma ogni incontro era un'emozione unica.

Quella mattina, mentre l'aspettavamo alla tavola calda, Sophie doveva incontrare Seth.

Si scambiarono i regali con tanti sorrisi e abbracci. La signora Conner venne verso di me.

"Auguri Eloise, spero che nonostante il lavoro potrai passare un bel giorno di natale. Immagino come sia dura per te stare senza tua figlia, posso capirlo" disse abbracciandomi.

Rimasi sconvolta da questa dimostrazione d'affetto, ma mi fece piacere. Non ero abituata a ricevere queste attenzioni da altre persone che non fossero Claire.

L'abbracciai forte. "Buone vacanze anche a voi. Divertitevi" dissi con sincero affetto.

Ci scambiammo un'ultima occhiata, poi la signora Conner e il piccolo Seth sparirono nella nebbia del porto, nello stesso momento approdò il battello con sopra mia madre.

L'avvistammo da lontano, io e Sophie iniziammo a correre verso di lei e ci abbracciamo tutte insieme.

"Mamma, sembri ancora una giovincella" le dissi staccandomi dall'abbraccio e guardandola dalla testa ai piedi.

"Tu invece dovresti iniziare a curarti un po' di più, non vorrai mica rimanere single per tutta la vita, vero Elly?" anche mia madre aveva adottato il soprannome datomi da Claire, era più corto e semplice.

"E tu signorina ormai sei alta come la nonna, sai?" disse sorridendo a Sophie.

"Nonnaaaaaa, mi sei mancata tantissimo in tutti questi mesi, ho un sacco di cose da raccontarti" il battello sarebbe ripartito dopo poco, così andai a prendere le valigie di mia figlia.

Abbracciai fortissimo Sophie. "Tesoro mio, ci sentiremo tutti i giorni, sai quanto mi mancherai vero?" lei si attaccò alle mie spalle e non mi lasciò per 10 minuti, aveva gli occhi lucidi ma il sorriso.

"Mamma ti penserò ogni minuto e se non mi chiami tu, ti chiamo io. Faremo arrivare bollette enormi alla nonna" disse ridendo e guardando con la coda dell'occhio mia madre, che sorrideva visibilmente divertita.

"Ok, piccola vai. Non fare arrabbiare nonna Helen, mi raccomando. Divertiti, ma fai anche i compiti. Ci sentiamo quando arrivate, ok?" le dissi scompigliandole i suoi lunghi capelli lisci.

Si allungò per darmi un altro abbraccio, ci riempimmo di baci e poi si allontanò insieme a mia madre.

Le guardai fino a che il battello non scomparse, mi girai e asciugai le lacrime che ormai avevano smesso di scendere.

Il lavoro mi aspettava e non potevo di certo presentarmi in un mare di lacrime.

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Capitolo 4
*** Shock of Love ***


Salve a tutti. Finalmente dopo qualche giorno di pausa posso postare il mio nuovo capitolo.

Prima di tutto vorrei ringraziare tutti voi che leggete e commentate, è sempre un'immenso piacere leggere i vostri pensieri. Grazie perchè non sempre le storie "originali" come la mia riescono a scaturire interesse, dunque spero di poter continuare così.

Due parole sul nuovo capitolo... Dottor Stranamore fa la sua ricomparsa e avrà un'incontro con la nostra Elly. 

Beh, buona lettura, spero di non deludervi.

Capitolo 4. (Shock of Love)

Anche la figlia di Claire era andata a passare le vacanze con i nonni e così ci ritrovammo io e Clay da sole, come una volta.

Con il lavoro che ci impegnava moltissimo, non avevamo molto tempo libero, ma avevamo già fatto qualche progetto per passare bene questi giorni da 'donne single' a tutti gli effetti.

Quella sera ero in turno solo io, le altre ragazze erano tornate tutte a casa prima.

Erano ormai le 10 e stavo iniziando le pulizie prima di chiudere quando sentii la porta aprirsi, una ventata di aria gelida e qualche fiocco di neve entrarono dentro al bar e mi fecero rabbrividire.

"Arrivo subito" dissi da sotto al bancone mentre sistemavo i bicchieri.

Quando mi alzai mi trovai davanti lui. Mark Conner.

Se possibile era ancora più bello dell'ultima volta che ci eravamo incontrati, settimane prima in ospedale.

Forse era la tenuta da 'civile', ma se avessi potuto gli sarei saltata addosso.

"E...Ehi dottor Conner" dissi balbettando.

Oh ti prego Eloise, adesso aggiungiamo alla lista dei tuoi difetti anche la balbuzie?

Cercai di riprendermi, in questi casi la miglior cosa da fare è spegnere il cervello e io ci provai.

"Ah, andiamo Eloise, non chiamarmi dottor Conner anche fuori dall'ospedale. Qui sono Mark per te" disse sorridendo.

Quel sorriso che mi mandò in orbita. I suoi denti perfetti sembravano brillare, il suo viso era liscio e senza una ruga. Era molto curato e rilassato.

Al contrario mio, che sicuramente apparivo come una vecchia racchia. Ero sporca dopo nove ore di turno senza pause, stanca e stressata.

"Ok, proverò a chiamarti Mark. Sei scomparso dalla circolazione, non ti ho più visto in giro per un sacco di giorni" dissi cercando di apparire disinvolta e sicura di me. Nel mentre tenevo impegnate le mie mani, che non volevano stare ferme, pulendo il bancone e tutto quello che mi capitava a tiro.

"Sì sono stato via tre settimane per un aggiornamento che non sembrava finire mai…" fece una piccola pausa. "Scusa, entro in un bar e non mi chiedi se voglio bere o mangiare?" disse sorridendo.

Ecco, probabilmente in quell'attimo diventai rosso porpora. "Oddio hai ragione, scusami Mark. Cosa posso darti? Non farti problemi, se hai fame ti preparo qualcosa" dissi sovrastata dall'imbarazzo.

"No tranquilla, non voglio farti preparare del cibo a quest'ora. Mi basta quel panino rimasto e una bella birra" mi fissava, con quegli occhi che sembravano oro colato.

Perchè mi guarda così? Non capisce che in questo modo blocca ogni mio movimento e pensiero sensato?

"Ok. Un attimo che si scalda il panino" dissi mentre appoggiavo la birra sopra al bancone rischiando di farla cadere proprio addosso a lui.

Lo guardai dispiaciuta mentre cercavo di fermare il tremore delle mie mani.

"Sei nervosa Eloise?" mi chiese mentre prese le mie mani fra le sue.

Andai nel panico. Continuavo a spostare lo sguardo dalle nostre mani al suo viso che si aprì in un sorriso caldo e sensuale... O forse ero solo io che vedevo sensualità in ogni suo piccolo movimento.

"Sto solo cercando di calmare il tuo tremore, tranquilla. Hai preso molti caffè oggi o sei sempre così tremolante?" mi chiese muovendo le sue mani, che nonostante venissero dalla temperatura gelida al di fuori, erano più calde delle mie.

"N-no. Cioè... Oddio no. Non sono sempre così tremolante..." le parole mi si smorzarono in gola, mentre ora il mio sguardo era fisso sulle sue mani che continuavano a massaggiare le mie.

Dovevo sembrare un'adolescente o una pazza, oppure una stupida, fatto sta che Mark lasciò le mie mani e prese un sorso della birra. "Credo che ormai il mio panino sarà bruciato" disse osservando il toaster alle mie spalle che fumava come una ciminiera.

Rimasi immobile a fissare le mie mani calde ancora per qualche attimo, cercando di ricordare ogni momento di quel tocco fra di noi e poi tornai alla realtà.

"Oh signore, il tuo panino. Sono proprio un disastro oggi. Dio mi dispiace. Te ne preparo subito un altro, aspetta qui." Mi dileguai nella piccola cucina e mi appoggiai al muro.

Il mio respiro era affannoso e continuavo a tremare.

"Respira. Respira. Sono anni che non tocco e non vengo toccata da un' uomo che mi piace. E lui è così terribilmente bello e.... irraggiungibile. E' inutile che mi faccio film mentali, potrebbe avere chiunque vuole, non verrà di certo a cercare me" mi dissi cercando di mantenere sotto controllo il tono della mia voce, sicuramente pensava già che fossi pazza, farmi sentire parlare da sola non sarebbe stato il massimo della vita.

Questa mia nuova convinzione mi permise di preparare il panino e tornare di là di fronte a lui, più calma e sorridente. Lo avrei trattato come un qualsiasi cliente del bar.

"Ecco qua Mark, spero ti piaccia. Sicuramente è molto più fresco e buono dell'altro panino che era lì da oggi a pranzo" sorrisi e appoggiai il panino di fronte alla sua birra, sperando non prendesse di nuovo le mie mani che questa volta erano ferme e stabili, proprio come il resto del mio corpo.

Sorrise e iniziò a mangiare. Io mi dedicai alle pulizie, altrimenti avrei finito davvero tardissimo quella sera e lo straordinario non veniva pagato.

"Non ti dispiace se intanto pulisco la sala, vero? Altrimenti non vado più a casa questa notte" sorrisi quasi chiedendo il permesso di voltarmi e iniziare col mio lavoro usuale.

Mi fece cenno con la mano e finì il panino. "Tranquilla, io starò un altro po' qui e poi possiamo parlare anche se lavori, no?"

La sua voce era qualcosa di inspiegabile. Leggermente roca, era rassicurante, calda, dolce e sensuale. Pure la sua voce lo era, come tutto il resto.

Iniziai a pulire più in fretta che potevo cercando di non pensare a quel Dio greco che sedeva a pochi metri da me. Causai qualche altro piccolo danno, ma niente di irreparabile.

Quando finii mi accorsi che Mark era ancora seduto che sorseggiava la birra e mi osservava. Mi sembrava assurdo che fosse rimasto tutto il tempo a fissarmi, senza mai spostarsi; era strano che fosse ancora lì.

"C'è qualcosa che non va?" chiesi, era strano che mi avesse guardato tutto quel tempo, non doveva essere molto interessante guardare una persona mentre pulisce.

"Oh no, va tutto benissimo. Sto solo finendo la mia birra e intanto ti osservo, sei veloce e accurata, si vede che fai questo lavoro da tanto" disse mentre sembrava fissasse ogni centimetro del mio corpo. Sembrava come se mi stesse spogliando con gli occhi.

Sì, ciao Eloise. Ma ti sembra che ti stia spogliando con gli occhi? E' solo una tua impressione. Solo frutto del tuo desiderio.

I miei pensieri negativi mi fecero tornare di nuovo con i piedi per terra.

"Sì. Lavoro qui da 5 anni. Sono sempre le stesse cose da fare, dunque ormai è una cosa meccanica per me" probabilmente nei miei occhi vide un po' di frustrazione perché subito dopo mi chiese se mi piaceva lavorare lì.

Senza volerlo una risata sarcastica uscì dalla mia gola. "Ah no dai. Lavorare qui è orribile, certo conosci tante persone, ma non sempre sono incontri piacevoli e comunque no. Non mi piace lavorare qui, ma almeno porto a casa dei soldi che mi permettono di vivere." risposi riponendo stracci e prodotti vari nell'armadietto vicino ai bagni.

"Ti piacerebbe avere un bar tuo o è proprio l'ambiente che non ti piace?" chiese. Era per caso interessato a me e a cosa mi piace o no? Mi sembrava così strano, ma risposi sinceramente.

"No un bar mio sarebbe tutta un'altra cosa. Quello che rende questo lavoro orribile è il mio capo. Le mie colleghe sono simpatiche e il lavoro non è male se ti poni nel modo giusto. Se potessi fare come vorrei io probabilmente le cose andrebbero ancora meglio. Ma non sono il capo." Lo guardai, dovevo chiudere il locale, non avrei mai voluto entrasse qualcun altro per farmi allungare ancora di più questo turno; ma non avevo voglia di cacciarlo, era piacevole parlare con lui senza balbettare e senza imbarazzo.

"Senti Mark, io dovrei chiudere, altrimenti se entra altra gente io qui non finisco più. Ma se vuoi fermarti ancora un po' non c'è problema. Solo non pensare che ti sto tenendo in ostaggio se chiudo le porte e spengo le insegne" dissi sorridendo, sperando prendesse la mia frase nel modo giusto, cioè con ironia e simpatia.

"Oh, dunque vuoi dire che mi stai INVITANDO a restare con te?" calcò la parola 'invito' in modo pesante.

"Beh, diciamo che nel bar ci siamo solo io e te che chiacchieriamo, sicuramente non è il miglior posto dove passare una serata, ma almeno è caldo e accogliente"

Oddio, mi sono liberata del mio imbarazzo. Sto bene? Spero solo non stia pensando che voglia flirtare con lui. Ma lo sto facendo?

Spensi di nuovo il cervello, pensare mi causava problemi in sua presenza.

"Mi va di chiacchierare un altro po' se non ti dispiace. Ovviamente non voglio farti fare molto tardi, avrai sicuramente tua figlia che ti aspetta" disse mentre mi osservava chiudere le porte e spegnere le insegne del bar.

Sovrappensiero risposi. "No, non c'è nessuno che mi aspetta a casa. Mia figlia è in vacanza dalla nonna" a quel punto mi fermai a pensare alla mia risposta.

Probabilmente a gli occhi di chiunque sarebbe significato "non ho niente da fare possiamo restare qui anche tutta la notte, puoi farmi quello che vuoi" ma probabilmente lo dissi con così tanta 'noncuranza' che anche lui non lesse tra le righe il mio vero pensiero che cercavo in tutti i modi di non liberare.

Rimanemmo a parlare per un altro paio d'ore. Mi offrì due birre che non disdegnai, tanto non mi vedeva nessuno, tanto meno Jack che non lo avrebbe mai saputo.

Io ero stanca e lui forse lo era ancora di più.

"Sono tornato oggi pomeriggio da quel viaggio e sono a pezzi. Odio stare lontano dalla mia piccola città. Sono cresciuto qui e la amo, inoltre odio stare lontano da mio figlio, l'ho visto solo qualche ora oggi e poi è partito con i miei genitori. Tanto domani torno a lavorare e fino al 6 gennaio avrò un solo giorno libero. Non avrei potuto dargli grandi soddisfazioni come padre." sembrava si stesse sfogando.

Incrociò le braccia sul bancone e ci appoggiò la testa sbuffando.

C'era sempre stato il bancone a dividerci, ma pensai che forse aveva bisogno di un po' di conforto.

Andai da lui e mi sedetti di fianco. Gli appoggiai una mano sulla testa, per consolarlo.

Forse era un uomo pieno di dubbi, il suo lavoro gli portava via tantissimo tempo, la madre del bambino non era con lui, tutti in città sapevano che era un uomo single. "Senti Mark. Io credo che tuo figlio sappia quanto gli vuoi bene e quanto ti piaccia il tuo lavoro. L'altro giorno l'ho incontrato, sai?" pensai che parlargli di quanto mi fosse apparso meraviglioso Seth gli avrebbe fatto bene.

Alzò la testa e mi fissò. "Dove vi siete incontrati?" si girò verso di me incuriosito, le nostre ginocchia si sfioravano appena, gli sgabelli del bar erano abbastanza vicino l'uno con l'altro. Un piccolo brivido mi fece tremare, non poteva causarmi questa reazione solo con un semplice tocco sfiorato. Non potevo farci niente, il mio corpo reagiva così.

"Ci siamo incontrati al nuovo centro commerciale, sai che ha aperto qualche giorno fa? Stavamo facendo tutti lo shopping natalizio. Seth era con tua madre e così abbiamo scambiato quattro chiacchiere, poi tutto è stato interrotto da un uccellino con un'ala rotta che tuo figlio voleva curare." dissi sorridendo di nuovo a quelle scene che ripassarono davanti a gli occhi.

Mark mi ascoltava incantato, probabilmente dal racconto di suo figlio.

"E' un bambino bellissimo e ha questa passione smisurata per gli animali, si vedeva dal suo sguardo. Ha quasi pianto mentre chiedeva a sua nonna di portarlo via per curarlo. E mia figlia è incredibilmente affezionata a lui."

"Ah, mio figlio. Il mio orgoglio, il mio più grande amore...."si fermò per qualche istante perso in pensieri che non potevo decifrare. "Sì, è vero. E' da un paio d'anni che ha espresso questo desiderio di diventare veterinario. Ogni volta che incontriamo animali in difficoltà dobbiamo fermarci per curarli. In casa nostra abbiamo già due gatti e un cane trovati in giro abbandonati, non oso immaginare cosa ci sarà fra qualche anno. Se continuiamo così dovrò aprire uno zoo." disse sorridendo.

Ero felice di essere riuscita a far scomparire per un po' quello sguardo di sconforto di qualche attimo prima.

Parlammo per ore ed ore. Soprattutto di suo figlio e della mia, finalmente uno dei due si decise a guardare l'orologio e ci accorgemmo che erano le 2 di notte.

Ci guardammo sbalorditi e ci mettemmo a ridere.

"Il tempo passa davvero veloce insieme a te. Grazie per questa serata, ci voleva e spero potremo ripetere presto." Disse Mark mentre si alzava per infilarsi il cappotto.

Lo guardai incantata, ero stata benissimo anch'io, passati i primi momenti di imbarazzo e pazzia mi ero calmata e il tempo era volato.

Ci salutammo, uscendo tutti e due dal retro del locale; spensi le ultime luci chiusi la porta e me lo ritrovai a pochi centimetri da me.

Le nuvole di vapore causate dal freddo che uscivano dalle nostre bocche si mischiavano insieme. Il suo bellissimo viso era illuminato dai piccoli lampioni che emanavano luce, avrei voluto che il tempo si fermasse così, per poter godere del suo sguardo e della sua vicinanza per il resto della vita.

Accarezzò il mio viso e il suo sguardo si addolcì ulteriormente, mentre io cercai di dire qualcosa, ma non uscì niente dalla mia bocca.

"Elly, posso chiamarti così vero? Questa sera è stata meravigliosa. Grazie. Immagino che domani passerai il natale con la tua amica, ma se ti annoiassi puoi chiamarmi, io ho la pausa nel pomeriggio dal mio turno all'ospedale." dicendo questo si avvicinò ancora di più e posò le sue labbra calde sulla mia guancia ghiacciata. "Ecco il mio numero." mi porse un foglietto bianco, spostò la sua mano che lasciò un'impronta di fuoco sul mio viso e si allontanò.

Non dissi una parola, niente. Mi limitai a guardarlo salire in macchina, ci salutammo con le mani e me ne tornai a casa.

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Capitolo 5
*** The Change is Mine ***


Ciao a tutti. Mi scuso subito per il tremendo ritardo nel postare questo quinto capitolo, ma sono stata indaffarata. Spero non avrete perso la voglia di leggere.

Ringrazio per i vostri commenti. Vorrei ringraziare in particolar modo Jen, che è sempre presente e legge realmente quello che scrivo. Grazie.

Ok, per questo capitolo c'è una canzone. Spero vi possa piacere.
Grazie ancora e buona lettura a tutti.




Capitolo 5. (The Change is Mine)

Ero forse sotto shock?

Quando arrivai a casa mi buttai a peso morto sul letto e iniziai a pensare.

Presi il cellulare e salvai il numero di Mark, se lo avessi perso mi sarei incavolata, mentre salvavo il numero una voglia incredibile di mandargli un sms mi assalì.

Me ne fregai di tutti i pro e i contro che il mio cervello iniziò ad analizzare e scrissi il messaggio.

"Ciao Mark, sono Elly... Cioè Eloise. Non so perché ti sto scrivendo questo sms... Ok, lasciamo stare. Volevo solo salutarti visto che prima là fuori sembravo un pupazzo di neve congelato."

Guardai l'sms più e più volte, decisi di cancellarlo, ma inspiegabilmente lo inviai.

Mi misi a saltare per la stanza come una matta urlando.

"Oddio, oddio ma cos'ho fattoooooooo. Noooooooooo. Chissà quante risate si farà adesso. No, non voglio pensarci." Urlavo sempre di più, per fortuna che nessuno poteva sentirmi visto che la palazzina dove abitavo era quasi completamente vuota a parte un'anziana signora sorda.

Spensi il cellulare e mi infilai sotto le coperte tutta vestita. Non volevo immaginare la reazione di Mark al mio messaggio da bambina idiota e non volevo pensare a cosa avrei trovato il giorno dopo, quando avrei acceso il cellulare.

Cercai di dormire, il mattino avrei dovuto svegliarmi presto per andare da Clay, dovevamo preparare il nostro personale pranzo di natale,  i miei occhi però non collaboravano e tanto meno lo faceva la mia testa.

Ripercorrevo tutta la serata nei minimi particolari, le figuracce iniziali, le sue mani sulle mie, la nostra bellissima chiacchierata e la mia figuraccia finale. Ma più di tutto ripensavo ai suoi occhi su di me e al suo piccolo bacio dolcissimo.

Mi alzai, erano ormai le 7 di mattina ed era inutile rimanessi a letto per un'ora, così decisi di farmi una bella doccia sperando di rilassarmi.

Quando uscii mi guardai allo specchio. Era la giornata di natale, potevo concedermi il lusso di provare ad essere almeno presentabile.

Così andai a rovistare fra le scatole chiuse in soffitta. Cercai trucchi e attrezzi per i capelli con la speranza che qualche vestito carino fosse ancora nel mio armadio.

Mi truccai leggermente, un filo di matita, un po' di ombretto viola e un pizzico di rossetto chiaro. Poi l'impresa divenne ardua quando dovetti mettere a posto i capelli. Sicuramente una parrucchiera avrebbe fatto al caso mio, ma la mattina di natale è difficile trovare qualcosa di aperto, così cercai di usare la piastra come meglio potevo, sistemando meglio i capelli con qualche molletta carina.

Mi sedetti sul letto fissando l'armadio aperto, l'unica cosa che vedevo spuntare fuori erano felpe, jeans stracciati, maglioni e pantaloni della tuta.

Tirai tutto fuori buttando i vestiti sul letto, doveva pur esserci qualcosa di leggermente elegante.

Le scarpe le avevo trovate, l'unico paio di decoltè il mio possesso. Nere lucide semplicissime, ma con un tacco vertiginoso.

Oh povera me, ma riuscirò ancora a camminare su quei trampoli? Sono sicura che mi slogherò la caviglia un paio di volte da qui a stasera. Ma dovrò pure abituarmi di nuovo a portare anche queste scarpe.

Ad un certo punto mi saltò all'occhio qualcosa che poteva assomigliare ad un vestitino, mi avvicinai e lo presi fra le mani.

Era un vecchio vestito di quando ero diciassettenne, sicuramente passato di moda, ma forse mi sarebbe andato ancora bene visto che il mio fisico non era cambiato poi tantissimo in 8 anni.

Me lo provai e mi stava a pennello, ma quando vidi la mia immagine riflessa mi venne da vomitare. Ero orribile, il vestito era nero con piccoli inserti argentati, la schiena era completamente scoperta e davanti era un mix di intrecci di stoffa, mi arrivava a metà coscia, con le scarpe addosso era perfetto, ma su di me orribile.

Cercai di non pensarci fregandomene dello specchio che non mi aiutava di certo, mi ricordai che il cellulare era ancora spento e che erano ormai le 8.30 e sicuramente Clay mi aveva già chiamato un paio di volte.

Lo accesi e la prima cosa che apparve fu un messaggio di Mark.

Mi sedetti sul letto per prevenire svenimenti per terra.

"Dolce Elly, sì ti ho visto abbastanza congelata ieri sera. Purtroppo stanotte non ho dormito molto e sono in coma profondo, ma visto l'orario, ti auguro buona giornata e buon natale. Un bacio."

Crollai all'indietro, la testa girava e il cuore sembrava volesse strapparmi il petto.

Era possibile che mi sentissi una ragazzina con lui? Mi faceva provare sensazioni che non sentivo da tantissimi anni e tutto questo mi procurava grossi problemi.

Ero sempre stata una persona emotiva e molto attaccata all'amore, o almeno all'idea che avevo di esso; ma dopo i problemi con il mio ex, cioè il padre di mia figlia, mi ero ripromessa di lasciare perdere gli uomini, non avevo voglia di soffrire o di far soffrire mia figlia e così mi ero rinchiusa nel mio guscio 'anti-uomo'. Eppure Mark con un solo sguardo e una semplice frase aveva mandato in frantumi quel guscio costruito con tanta accuratezza in anni ed anni di solitudine.

Le lacrime iniziarono a rigare il mio viso, me ne fregai del trucco, non potevo smettere.

Il cellulare suonò e io sobbalzai. Era Claire.

"Ehi, ma dove sei finita? Ti sto aspettando già da un po'. E' tutto ok." Clay si fermò quando si accorse che non riceveva risposta. "Elly, che succede? Parlami." la sua voce passò da nervosa a preoccupata in una frazione di secondo.

"C-C-Clay ho bisogno di te. Il mio guscio è andato in fra-frantumi." tirai su col naso e presi fiato. "Vengo io, aspettami, 10 minuti e sono lì, sono già pronta stavo uscendo." chiusi la telefonata senza lasciarle il tempo di rispondermi.

Sapevo che se avessimo iniziato a parlare al telefono non avremmo più finito e poi sarebbe venuta lei da me, ma io non volevo rovinare il giorno di natale e così presi coraggio, andai a ripulirmi e uscii di casa prendendo il primo giubbotto che mi capitò a tiro.

In macchina accesi il riscaldamento al massimo e cercai di concentrarmi sulla strada piena di neve. Avevo già rischiato di scivolare un paio di volte con questi tacchi e i piedi mi facevano già male, facevo fatica anche a guidare.

Arrivai da Clay dopo poco, la trovai fuori dal portone di casa ad aspettarmi con un maglione enorme.

Quando scesi dalla macchina, rischiando di cadere, mi voltai a guardarla e la ritrovai a bocca aperta.

Mi avvicinai un po' barcollante e la salutai, ero truccata, ma gli occhi gonfi e rossi non si potevano nascondere.

"O MIO DIO. Che fine a fatto la mia stracciona? Elly, dove seiiiiii???" urlò Claire. Era davvero sorpresa di vedermi così.

Mi abbracciò forte tirandomi dentro casa. "Sei uno schianto. Dopo ti convincerò di questo. Adesso dimmi cosa è successo." Mi prese per mano e ci sedemmo sul divano davanti al camino scoppiettante.

"Non so da dove iniziare... Sono sotto shock credo." dissi fissando il tappeto variopinto sotto i miei piedi.

Clay mi alzo il viso con due dita per guardarmi negli occhi.

"Ok, deve per forza essere successo qualcosa ieri sera. Vediamo....." Si mise a pensare, era bravissima a scoprire queste cose.

"Ecco, trovato. Hai visto Mark, giusto? Dimmi cosa è successo, forza." Ecco così era più facile, aveva già capito di cosa le avrei parlato e iniziai a spiegarle per filo e per segno le ore passate poco prima con Mark.

La fine del mio racconto si concluse con le lacrime da parte mia e sorrisi di felicità con abbracci da parte sua.

"Tesoro, ma perché piangi. E' bellissimo, finalmente stai iniziando di nuovo a vivere, a provare emozioni. Non tutti gli uomini sono stronzi, non tutti fanno soffrire. E poi, diamine... Se non provi non potrai mai sapere come sarebbero potute andare le cose." Io la guardavo mentre elargiva i suoi splendidi consigli da donna matura. In confronto a lei mi sentivo sempre più adolescente alle prime armi, se non fosse per il mio cuore che aveva ricevuto troppe ferite in passato.

"E' un bell'uomo. Sembra attratto da te, ma anche se non fosse così... Potreste incontrarvi ogni tanto, farvi una bella chiacchierata, anche solo da amici, non devi pensare subito che vi metterete insieme e le cose andranno male. Vivi la vita così come ti viene data. Hai conosciuto questo splendido uomo, approfittane, conoscilo e poi vedrai." Lei mi guardava con aria dolcissima, le lacrime smisero di scendere e l'abbracciai più forte che potevo.

"Non potrei chiedere amica migliore, sai che sarei persa senza di te. Grazie Clay, ti voglio bene." Le mie parole erano le più sincere che potessero esserci, era davvero così.

Lei era la mia metà, senza di lei non sarei stata Elly, ma un semplice corpo senza anima.

"Bene, adesso che abbiamo chiarito che il tuo guscio è un bene che si sia spezzato, vorrei parlare di questa nuova e super sexy Eloise." Iniziò a toccarmi i capelli, il viso e il vestito; come se fossi una bambolina da ammirare.

"Sei da urlo, strepitosa. Stai benissimo con questo vestito, che fra le altre cose mi ricordo ancora." Si mise a ridere pensando probabilmente a me di fronte al mio armadio cercando qualcosa da mettermi.

"Beh, ho semplicemente pensato che essendo natale, potevo anche rendermi un po' più carina, non ti dico cos'ho dovuto passare per sistemare i miei capelli, ci ho messo un sacco e trovare questo vestito è stata una benedizione. Claire, ti rendi conto che è l'unico vestito 'elegante' che possiedo?" dissi scuotendo la testa in senso di disapprovazione verso il mio abbigliamento.

"Io direi che dobbiamo andare al più presto da un parrucchiere e in quel nuovo negozio che abbiamo visto l'altro giorno. Non dobbiamo spendere una fortuna e prendere vestiti da super figa, ma almeno jeans e maglie della tua taglia sarebbero graditi, soprattutto a gli occhi di Mark." disse punzecchiandomi.

La guardai storto, ma poi iniziai a ridere. "Hai ragione. Devo mettermi un po' a posto, sicuramente sarò più piacevole anche per Sophie che mi rimprovera sempre e pure per i clienti della tavola calda."

Era davvero tardi e il nostro pranzo appariva sempre più lontano.

"Dai forza bella incantata, proviamo a preparare qualcosa" dissi a Clay che continuava a fissarmi, mi tolsi le scarpe, la presi per una manica e la tirai in cucina.

Le ore successive passarono fra i fornelli, con scherzi vari, ci ritrovammo a tavola alle 2 del pomeriggio mezze ricoperte di farina e sorridenti come non mai.

Dopo un po' ricevetti un messaggio.

"Ciao Elly. Come ti ricordi ieri ti dissi che avevo la pausa oggi. In effetti sono qui come un cretino a dirti che la mia pausa durerà un paio d'ore. Dalle 3 alle 5. Bene adesso che sai precisamente gli orari sei libera di fare quello che vuoi. Bacio"

Lessi il messaggio a voce alta, visto che di fianco a me c'era una scalpitante Clay che non vedeva l'ora di sapere ogni nostra mossa.

"Wow, wow, wow. In poche parole ti ha scritto che non vede l'ora di vederti. Bene, vedi di darti una mossa con il dolce e corri da lui. Ovviamente per CHIACCHIERARE." Mi fece l'occhiolino.

Ero un po' a disagio, soprattutto perché non sapevo come sarebbe andata o cosa avremmo fatto, ma la mia voglia di rivederlo superava ogni preoccupazione o dubbio; così trangugiai in due bocconi il dolce, diedi un bacio e un abbraccio a Clay. "Scusa se ti pianto così proprio il giorno di natale."

"Ma vai, dai Cenerentola. Tanto ci rivediamo fra un po' al bar, questa sera anch'io ho il turno. E inoltre direi che hai di meglio da fare. Tranquilla, io verrò a spiarvi." la guardai squadrandola.

"Ovviamente scherzo tesorina." iniziò a ridere e mi spinse fuori dalla porta di casa.

"Ehi, vedi di non scivolare proprio davanti a lui, puoi scivolare prima e dopo ma non durante, ahahahahah".

Senza voltarmi le feci il dito medio da dietro la schiena e finsi una camminata super disinvolta in mezzo alla neve con tacco 12, che finì in una piccola scivolata proprio di fronte alla mia auto.

"Non ridereeeeeeeeeeee." le urlai salendo in macchina e ingranando la marcia mi accorsi che era rientrata in casa e mi spiava da dietro la tende.

Quel giorno era freddissimo e il mio giubbottino di pelle, che mi era capitato fra le mani qualche ora prima, non era di certo l'abbigliamento adatto, se poi mettiamo in conto che sotto ero sbracciata e quasi senza niente addosso, sarei morta di freddo.

Mi fermai sotto l'ospedale e chiamai Mark, non mi piacevano molto gli sms. Erano uno spreco di tempo, quando con una telefonata si faceva molto prima.

Mi rispose dopo appena 2 squilli.

"E-ehi Mark. Ciao. Io sono qui sotto." dissi sentendomi in imbarazzo, senza un vero motivo.

"Oh, Elly. Sai non pensavo saresti venuta visto che non hai risposto all'sms. Comunque dimmi cosa vuoi fare. Di certo passare la mia pausa dentro all'ospedale non è la mia massima ambizione, potremmo andare a fare un giretto al centro commerciale, ho visto che è sempre aperto... Ti va?" la sua voce era vivace e allegra, mi mise subito di ottimo umore.

"Certo che mi va, almeno stiamo al caldo e ci rifacciamo gli occhi fra le vetrine, se non ti scoccia andiamo con la mia macchina. E' già riscaldata e accesa, qui che ti aspetta." dissi ridendo.

"Arrivo subito, dì alla tua macchina che dovrà aspettare pochissimo." stavo per mettere giù quando gli dissi veloce. "Sono parcheggiata vicino alla quercia secolare." speravo mi avesse sentito, non mi sarebbe piaciuto fargli fare il giro di tutto il parcheggio.

Il nervoso si impadronì di nuovo di me, non tanto perché lo avrei visto, ma perché non ero a mio agio con quell'abbigliamento, non ero più abituata e non sapevo come sarei risultata ai suoi occhi.

Iniziai a mettermi a posto continuando a toccare giubbotto e vestito, continuavo a guardarmi nello specchietto cercando di risultare più carina.

Il cellulare suonò. "Ti adorerà." Era Claire, che sicuramente era a conoscenza del mio stato d'animo.

Leggere quelle parole mi fece sorridere e mi calmò. Sentii bussare al vetro e vidi Mark fuori dalla macchina, aprii la chiusura centralizzata della macchina ed entrò ricoperto di neve.

"Ciao dottor Conner" dissi scherzando.

Lui si voltò a guardarmi e non disse una parola. Avevo deciso di non farmi sopraffare da imbarazzo o cavolate simili e così sventolai una mano davanti ai suoi occhi. "Ci sei Mark?" dissi ridendo.

"Ehm... Sì ci sono, credo. Dio Elly, sei stupenda" disse mentre ogni centimetro della mia pelle veniva esaminato dal suo sguardo.

"Ooook, smettila di guardarmi così, ti prego. Devo guidare e mi sento un po' sotto esame. E chiudi anche la bocca che sembri un pesce fuor d'acqua che boccheggia" dissi divertita. Ero felice di aver fatto questo effetto sul bellissimo dio seduto al mio fianco.

Non che lui fosse da meno, probabilmente anche con un sacco della spazzatura addosso sarebbe stato sexy quell'uomo, ma cercai di non pensare troppo e misi in moto.

"Proverò a distogliere lo sguardo, ma non credo sarà facile" disse allacciando la cintura.

Arrivammo al centro commerciale e quando scesi dalla macchina il freddo mi colpì. I miei denti iniziarono a battere incontrollati e sicuramente non ero di bell'aspetto. Forse ero anche un po' violacea in faccia.

"Merda, ma che freddo fa oggi" lui mi fissava, avvicinandosi.

"No, sei tu che sei poco vestita" disse mettendomi un braccio attorno alle spalle. "Non so se potrò scaldarti, ma almeno ci provo fino all'entrata" disse.

Stranamente ero a mio agio e il calore del suo corpo riusciva a passare anche attraverso i vestiti.

Come ci aspettavamo il centro commerciale e abbastanza deserto, ma non ci interessava molto. Eravamo presi l'uno dall'altro.

Gli raccontai del mio pranzo quasi improvvisato con Claire e lui mi raccontò la sua giornata in ospedale, fra vecchiette stramazzate per terra per via del gelo e macchine uscite fuori strada a causa della neve.

Ci fermammo al bar per prendere un caffè, scelse lui il tavolo, il meno in vista di tutto il locale.

Mi sedetti prendendo il menù, ma sentivo i suoi occhi su di me. Così abbassai il foglio e lo fissai.

"Vediamo chi distoglie lo sguardo per prima dottore?" dissi scherzando.

"Hai ragione Elly scusami, è che sei veramente..... Oh beh, non ci sono parole. Ma ti prego, smettila di portare quei vestiti extralarge, non hai niente da nascondere anzi. Il tuo corpo è mozzafiato" si fermò di colpo distogliendo lo sguardo.

"Forse adesso sto esagerando. Scusa ancora" senza pensarci due volte appoggiai una mano sulla sua.

"Ehi, guarda che ad una donna fanno sempre piacere i complimenti. Se poi sono detti da te, a me riempiono di gioia" diventai rossa appena finii di pronunciare le ultime parole, ritirai la mano e abbassai lo sguardo sul menu.

L'aria attorno a noi era elettrizzata, potevo sentirlo e sinceramente speravo potesse sentirlo anche lui.

Gli lanciavo occhiate ogni tanto e ogni volta lo beccavo che mi guardava.

Mentre arrivava la cameriera accavallai le gambe per mettermi più comoda e involontariamente sfiorai una sua gamba, ci guardammo subito negli occhi.

E' passione quella che vedo? Oppure sono solo io che vedo quello che vorrei?

La mia testa iniziò a formulare i soliti film, solo che stavolta erano un po' troppo piccanti per un luogo pubblico.

La cameriera distolse me dai pensieri illeciti e lui dal guardarmi in continuazione.

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Capitolo 6
*** Twisted Eyes ***


Ciao a tutti. Eccomi con l'aggiornamento della mia storia.
Siamo arrivati al sesto capitolo e l'incontro fra Elly e Mark prosegue alla grande, purtroppo che poi gli impegni della vita lo faranno concludere...

Beh, io voglio ringraziare tutti voi per i bei pensieri che avete sempre sulla mia storia e per me. Grazie, mi fate andare avanti con più voglia e passione.

Buona lettura a tutti e anche questa volta ho scelto una canzone per la musica e quello che mi trasmette.
Spero vi piacerà tutto.
With Love Ally :)



Capitolo 6. (Twisted Eyes)

Davanti a me una bella tazza di cioccolata calda, davanti a lui un caffè nero fumante.

Iniziammo di nuovo a parlare dei nostri figli e proprio in quel momento lui ricevette una telefonata.

Si allontanò di poco e torno dopo 10 minuti.

"Era mio figlio. Dice che sta bene e si sta divertendo ma che vorrebbe fossi con lui." Il suo sguardo si spense un po', ma potevo capirlo fin troppo bene.

"Capisco. Anche io oggi ho sentito Sophie, mi ha fatto gli auguri e si è messa a piangere al telefono. Sta bene con la nonna, ma ovviamente vorrebbe ci fossi anch'io con loro a Dublino."

"Ah sono andate a Dublino?" Ed ecco il suo sguardo cambiò ancora e divenne curioso, sporse il suo corpo leggermente in avanti e socchiuse gli occhi, proprio come se stesse studiando i miei pensieri.

"Sì, quando ero giovane vivevo lì. Poi dopo i problemi col padre di mia figlia ho deciso di venire qui a Tory Harbor e mia madre ha avuto il trasferimento a Londra, lei fa l'insegnante. Ora vive là, ma non ha mai pensato di vendere la nostra vecchia casa e così ogni anno per le vacanze passa il tempo a Dublino." Stranamente riuscivo a parlare con lui come se lo conoscessi da una vita. Negli ultimi 7 anni la mia unica confidente era stata Claire, avevamo conosciuto molto persone, ma con nessuna ero riuscita a legare e ancora meno a parlare di me. Mentre con lui era tutto così naturale.

"Anch'io per un piccolo periodo ho vissuto a Dublino, mio padre è medico e per 6 mesi dovette lavorare lì e così tutta la famiglia lo seguì, ma ho un enorme attaccamento alla mia terra, così ogni volta non vedevo l'ora di tornare qui. Come mai hai deciso di trasferirti in questo posto sperduto?" Il suo sguardo era in attesa e mi faceva così tanto piacere che qualcuno si interessasse per davvero a me.

"Avevo bisogno di cambiare aria, di mollare tutta la mia vecchia vita e iniziare da capo in un posto che mi piacesse. Così ho scelto Tory Harbor e la mia amica Claire mi ha seguito in questa avventura. Ecco come siamo capitate qui. Ma adesso ho io una curiosità. Se posso..." aspettai una risposta che non tardò ad arrivare con un movimento del capo.

"Tu non sembri irlandese, in nessun modo... Che origini hai?" Il mio sguardo iniziò a vagare sul suo viso e anch'io ero tremendamente curiosa di sapere di più su di lui. Era come una droga, non ne avevo mai abbastanza della sua voce e soprattutto di lui. Avrei voluto sapere ogni cosa e la speranza che  mi accontentasse non mi abbandonava mai.

"E' vero, mia madre è spagnola. Quando si è sposata ha preso il cognome di mio padre, ma lei si chiama Alma Hernandez. E' così evidente il mio non essere completamente irlandese?" Chiese leggermente divertito, alzò un sopracciglio in attesa di una risposta.

"Beh a dire il vero non lo sembri proprio se non fosse per l'accento. La prima volta che ti ho visto pensavo ti fossi trasferito qui da poco" sorrise all'idea e io ricambiai.

"E che mi dici, ti piacciono gli spagnoli?" Ogni mio muscolo avrebbe voluto protrarsi verso di lui, ma cercai di tenermi a freno.

"Oh molto, amo la lingua spagnola, credo sia molto sensuale."

"Allora dovrò farmi insegnare un po' di spagnolo da mia madre" il suo sguardo era di sfida e io mi persi nei suoi occhi.

I pensieri correvano veloci e le mie mani avrebbero voluto stare su ogni parte del suo corpo. Me lo immaginavo nudo davanti a me, esclusivamente mio. Me lo immaginavo sopra di me, sotto di me... Sognavo i nostri corpi muoversi all'unisono, la sua lingua percorrere il mio corpo....

Mi accorsi di avere caldo e notai che Mark aveva uno sguardo fra il preoccupato e il divertito.

"Che c'è?" chiesi indispettita, non mi ero resa conto che il mio corpo seguiva i miei pensieri.

"Niente, ero affascinato dai tuoi movimenti, poi sei diventata tutta rossa e avevo paura non stessi bene."

"Oddio che ho fatto?" chiesi portandomi le mani al viso, stavo andando a fuoco.

"Avevi gli occhi chiusi e ti mordevi il labbro e giocherellavi con la tazza di cioccolata. A cosa pensavi?"

Il mio sguardo era fisso sul tavolo che ci separava. Se lo avessi scaraventato da una parte e gli fossi saltata in braccio avrebbe pensato male?

"Oh no no. Niente, tutto a posto. Adesso mi passa. E comunque è meglio che tu non sappia a cosa pensavo."

Che mi prende? Non posso continuare così ogni volta che lo vedo, non è possibile. Sono normale? Forse dovrei andare da uno psicologo e farmi curare per pensieri compulsivi sul sesso.

"Cazzo." lo fissai, mi aveva distolto di nuovo dai miei pensieri, ma non era poi così male essere disturbata da lui.

"Cosa c'è che non va?" Chiesi preoccupata dal suo tono di voce e dai suoi occhi cambiati repentinamente.

"E' tardissimo Elly. Sono già le 5 e la mia pausa è finita proprio in questo istante" il suo sguardo era turbato e si alzò di scatto facendo rovesciare la tazzina del caffè, per fortuna vuota.

"Non avevo mai fatto tardi a lavorare, come può essere successo. Cazzo, dobbiamo andare. Se avessi la mia macchina non ti metterei tutta questa fretta, scusami." Mi guardava realmente dispiaciuto, ma era già in piedi, il suo corpo era pronto a scattare verso l'uscita.

"Ehi ehi, tranquillo Mark. Scappiamo subito all'ospedale e inventati una scusa. In effetti anch'io dovrei essere a lavorare fra poco e dovrei passare da casa a cambiarmi."

Ci dirigemmo velocemente verso l'uscita, aveva smesso di nevicare, ma la strada era molto scivolosa. Misi male un piede e mi ritrovai fra le sue braccia.

La sua presa era forte, ma gentile. Rimasi aggrappata alle sue braccia per qualche minuto, i nostri occhi si studiavano e si accarezzavano. I suoi dorati ardevano come due fuochi, sentivo le gambe che mi abbandonavano ancora di più. Avrei voluto rimanere in quell'involucro caldo per sempre.

"Mmh, dovresti stare attenta, con quei tacchi è meglio che non corri. Ti sei fatta male?" mi chiese continuando a tenere gli occhi fissi su di me, senza allentare la presa.

"St-sto bene grazie. Hai ragione non sono il massimo e sinceramente non sono più abituata ad altezze del genere" dissi cercando di alzarmi.

"Appoggiati pure, non mi dà fastidio." prese una mia mano e l'appoggiò sul suo petto. "Posso sostenerti, tranquilla."

In quel momento avrei perso la testa se non fosse stata attaccata al mio corpo.

Sentii sotto i vestiti il corpo di quell'uomo che sognavo di poter toccare da giorni, i suoi muscoli definiti erano tesi, forse pronti per sorreggere il mio peso. Sicuramente faceva qualche sport, ma chissà quale.

Senza accorgermene iniziai a muovere la mano, senza però appoggiarmi. Accarezzavo il suo petto.

Lui rimise la sua mano sulla mia e mi fermò. In quel momento lo guardai. Sorrideva e risplendeva come un sole. Sembrava il sorriso più bello che avessi mai visto.

"Elly, ti aiuto ad alzarti. Altrimenti ti prendo in braccio e ti porto alla macchina, vorrei stare così ancora, con la tua mano su di me, ma non posso" il suo sguardo era dispiaciuto e le parole che uscirono dalla sua bocca, quella frase.... Era così naturale, lui riusciva ad esprimere i suoi pensieri, io non riuscivo. Ma forse potevo provare.

Chiusi gli occhi un attimo, mi stavo concentrando. Volevo fargli capire quello che provavo.

Elly, non avere paura. Prova, se andrà male pazienza. Ma non puoi fare la muta ogni volta che vorresti dirgli qualcosa. Non potete continuare a parlare di figli e lavoro per il resto della vita. Svegliati e impegnati. Prova a piacergli, prova ad essere te stessa in tutto e per tutto.

"Mi dispiace. Scusami, davvero. Mi sento un'idiota. E' così tanto tempo che non tocco il corpo di un uomo...." lasciai morire la frase, mi alzai da lui di scatto e iniziai a correre verso la macchina, il mio tentativo di aprirmi completamente a lui non era fallito del tutto, ma mi sentivo comunque in balia di una sensazione completamente nuova, o forse dimenticata...

"Forza Mark, è tardi" dissi con il tono più freddo che potevo usare parlando con lui.

Per oggi era successo abbastanza e non potevamo di certo cacciarci nei guai per una scappatella da giovincelli, il lavoro aspettava tutti e due.

Il tragitto in macchina fu silenzioso e tremendamente imbarazzante, lui guardava fuori dal finestrino e io guardavo la strada. Non una parola, solo la musica a basso volume ci teneva compagnia.

Nonostante questo, sentivo comunque la solita attrazione per lui, era come se facessimo scintille; come due fuochi che si accendono a vicenda.

Ci salutammo di fronte all'ospedale con uno sguardo che diceva tutto e allo stesso tempo lasciava intendere molte cose. Allungai una mano verso di lui, forse volevo accarezzarlo, non so... Lui la prese e la strinse forte. "Ci sentiamo ok? Stasera a che ora stacchi? Se vuoi possiamo rivederci. Ma solo se ti va."

"Oh sì, non vedevo l'ora me lo chiedessi. Dovrei staccare alle 10, ma sicuramente farò dello straordinario. Ti aspetto alla tavola calda?"

"Ci sarò." Lasciò la mia mano e i nostri occhi si intrecciarono, non volevano più lasciarsi. Continuammo a guardarci mentre lui entrava in ospedale e se avessi potuto avrei abbattuto tutti quei muri che ci separavano per continuare a guardare quegli splendidi occhi che mi avevano stregata.

Ero sola e mi sentivo sola. Lui riempiva i miei spazi, con un semplice tocco, con un  sguardo, con un'umile parola... Lui riempiva me.

 

Guardai l'ora sul cellulare. Erano le 5.30 e io ero in ritardo, c'era anche un messaggio che immaginavo già di chi fosse.

"Tesoro, ti aspetto al bar. Ho io dei vestiti per te, corri sei in ritardo e Jack è già su tutte le furie."

Chiusi il cellulare e lo sbattei sul sedile.

"Cazzo, proprio quello che ci voleva per rovinarmi la giornata idilliaca."

Pensai a Jack incazzato, non era mai divertente discutere col capo e oggi lo sarebbe stato ancora meno.

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Capitolo 7
*** Home Care ***


Ciao a tutti. Come sempre ho un piccolo ritardo nell'aggiornamento, ma spero non mi fucilerete per questo xD
In questo capitolo finalmente Elly si "sveglierà" un po' e inizierà a comportarsi in un modo molto diverso dal solito.
Ovviamente "Dottor Stranamore" sarà il bersaglio dei suoi comportamenti.

Beh lascio a voi il piacere (spero) di leggere questo settimo capitolo. Come sempre ringrazio per ogni recensione ricevuta, ringrazio tutti voi per le splendide e meravigliose parole che avete sempre per la mia storia. GRAZIE!
Ecco a voi la canzone  per il capitolo. E' molto particolare, forse voi non la troverete adatta per i momenti, ma a me ha trasmesso moltissimo.
Buona lettura e buon ascolto .



Capitolo 7. (Home Care)


Arrivai al bar ed entrai dalla porta sul retro. Di certo non avrei scampato la furia di Jack, ma almeno non mi sarei fatta vedere vestita così.

Mi rinchiusi nello spogliatoio e mi sedetti sulla panca. Quel giorno non avevo voglia di lavorare e tanto meno di stare in quel posto.

Iniziai a svestirmi svogliatamente, mi avvicinai allo specchio e guardai l'immagine riflessa.

All'inizio di quella giornata non mi sentivo me stessa truccata e pettinata, ora invece, dopo quelle ore passate in compagnia di Mark mi sentivo bene e mi vedevo anche carina. Decisi di non struccarmi, legai i capelli in una coda di cavallo, misi il grembiule ed uscii sicura di me.

Claire mi guardò sorridente, nonostante fosse natale il bar era pieno di persone, alcune al tavolo sorseggiavano the caldi e biscotti, altri si mangiavano dei panini e alcuni erano al bancone mezzi ubriachi. Sarebbe stata una giornata dura e lei era già piena di ordini fin sopra i capelli. Camminai verso il bancone per iniziare ad aiutarla, ma Jack mi si parò davanti come un bulldozer. I suoi occhi erano rossi di rabbia e sembrava quasi gli uscisse il fumo dalle orecchie.

"Signorina ritardataria, nel mio ufficio. ORA." Il suo grido stridulo fece girare metà della clientela, Claire iniziò a scuotere la testa e io mandai giù un groppo di rabbia che mi chiudeva la gola.

Mi aspettava sulla porta, entrai e lui la chiuse alle mie spalle sbattendola con fragore.

"Siediti e spiegami per quale assurdo motivo dopo 5 anni di lavoro sei arrivata tardi. Sai bene che non accetto ritardi, non ho molte regole che vi impongo e questa è una di quelle. Stasera ti fermerai qui un'ora in più e rimetterai il locale a lucido. Non voglio sentire lamentele" si fermò, speravo che questo treno furioso avesse finito la sua corsa e invece no... "Ah, inoltre rimarrai da sola a farti il culo, Claire andrà via subito dopo cena." Aveva finito, un sorriso compiaciuto gli dipinse il viso e finalmente si sedette sulla sua sedia incrociando le braccia sulla pancia che strabordava dalla giacca.

Non avevo voglia di discutere, anche se non accettavo sicuramente questo comportamento di supremazia. Voleva farmela pagare e l'unico modo che aveva era questo. Era così povero mentalmente che il solo modo che conosceva per provare a farmi sentire una merda era quello di farmi fare straordinari.

"Ok Jack. Non ci sono problemi. Rimarrò qui fino alle 11 e tirerò il locale a lucido. Adesso abbiamo finito, posso tornare di là ad aiutare Claire o vuoi che il locale abbia delle perdite? Sai bene che i nostri clienti non amano aspettare." Le mie labbra si piegarono in un sorriso beffardo, riconoscevo quando Jack aveva voglia di litigare e sapevo che non si aspettava la mia reazione. Inoltre avevo toccato l'unica cosa che realmente gli interessava: il guadagno del locale.

"Vai piccola insolente." Disse a denti stretti, mentre si contorceva le grossocce dita in movimenti isterici.

Mi voltai e il sorriso non mi abbandonò. Mi avvicinai a Claire e intanto che preparavamo caffè e bevande varie, le spiegai cosa era successo dentro il 'tugurio'.

Alle 7 Jack se ne andò e poco dopo dovette andarsene anche Claire.

"Mi dispiace lasciarti tesoro, ma sappiamo tutte e due che fra non molto Jack verrà a controllare e se mi trova ancora qui saranno casini per tutte e due."

La guardai storto, la serata sembrava tranquilla ed io ero abituata a stare da sola in quel piccolo bar.

"Aaaah, Clay vai per favore e non farti paranoie. Se non ricordo male sono io quella delle due che si fa sempre problemi. Vai a casa, rilassati e ci rivediamo domani."

Si avvicinò e mi strinse forte.

"Auguri di buon natale Elly. Ricorda che dovrai raccontarmi la tua giornata con 'dottor Stranamore'. Se quando finisci non hai voglia di andare a casa da sola puoi venire da me." Dicendo questo si allontanò e uscì dalla tavola calda.

Ero sola, non c'era nessun cliente in quel momento, probabilmente la bufera di neve che si era alzata da poco faceva rimanere chiusi in casa gli abitanti dell'isola e forse avevano fermato i tragitti e gli approdi al porto proprio per la brutta situazione meteorologica.

Andai verso lo stereo e misi un cd, nel mio armadietto avevo sempre qualche scorta di buona musica per questi momenti. Alzai il volume e iniziai a pulire l'ufficio di Jack. Non lo aveva messo nella lista di cose da fare, ma sapevo che non ritrovare più tutto quel caos nel suo piccolo mondo, lo avrebbe disorientato.

Quando finii ero davvero stanca, ma ora quella stanza aveva le sembianze di un ufficio e non di uno scantinato abitato solo da topi e scarafaggi.

Il bar continuava ad essere deserto, mi affacciai alla vetrata che dava sul parcheggio e verso il porto, il mare era nero, ma grazie al faro potevo scorgere le onde enormi che si abbattevano contro la baia.

"Stasera sarà un'impresa tornare a casa, speriamo andrà tutto bene." Dissi a voce alta percorrendo tutte le vetrate fino ad arrivare alle strade del paese, anch'esse deserte, erano ricoperte di neve e per ora non si vedeva l'ombra degli spazzaneve.

Cercai di augurarmi il meglio, speravo che nelle due ore successive la bufera si calmasse e che i macchinari per pulire le strade si mettessero in moto. Così ripresi le pulizie.

Quando terminai di pulire tutto il locale erano ormai le 10, dovevo stare lì ancora un'ora, nonostante il locale chiudesse. Non avevo idea di cosa avrei potuto fare, quell'ultima ora sarebbe stata interminabile.

Portai fuori la spazzatura e un giramento di testa mi fece barcollare, mi appoggiai al muro di pietra e cercai di tornare dentro al caldo. Mi sedetti su una sedia del locale e appoggiai la testa al tavolo. Non mi sentivo per niente bene; provai a toccare la mia fronte, era bollente.

Mandai un sms a Mark, anche se non pensavo sarebbe venuto con quel tempaccio.

"Mark, non mi sento bene. Scusami ma credo andrò a casa di corsa a mettermi sotto le coperte calde. Ci sentiamo domani, buonanotte."

La risposta non tardò molto ad arrivare.

"Mi hai letto nel pensiero? Stavo proprio liberando la macchina per venire da te. Sicura che non ti serve niente? Sono un dottore, potrei curarti molto bene." Quando lessi il messaggio iniziai a sorridere. Era così premuroso nonostante ci conoscessimo poco, decisi di chiamarlo.

"Pronto."

"Ciao Mark, me la cavo da sola, davvero. Grazie per l'interessamento, ma adesso mi copro bene e vado a casa al calduccio." Anche la mia voce iniziava ad essere debole, probabilmente mi stavo prendendo una bella influenza.

"Beh, sicuramente girare in mezzo alla neve mezza nuda non deve aver fatto bene alla tua salute. Mi fido di te, ma se hai bisogno di qualsiasi cosa, chiamami ti prego."

Aveva ragione, la colpa era del mio abbigliamento poco adatto alla stagione, ma sicuramente era stato piacevole sentirsi bella per almeno una volta.

"Grazie. Ti chiamerò sicuramente se avrò bisogno. Buonanotte."

Ricambiò l'augurio, ci salutammo e subito dopo mandai un sms a Claire dicendole che non stavo bene e che non sapevo in che condizioni sarei stata la mattina dopo, così mi disse che prima di venire a lavorare sarebbe passata da me a controllare.

Non erano ancora le 11, ma spensi tutte le luci e cercai di farmi strada fra la neve. Il tragitto verso casa, sebbene corto, non fu facile; ma arrivai sana e salva.

Mi spogliai, accesi il camino e andai a farmi una doccia bollente.

Quando finii mi misi il pigiama e invece che andare a dormire in camera, presi il piumone e mi coricai sul divano, proprio di fronte al camino. Il mio corpo era attraversato da tremendi brividi di freddo e sicuramente dormire di fronte al crepitio del fuoco era una grande idea.

 

Il mattino dopo mi svegliai solo al suono ripetuto del campanello di casa. Mi alzai con qualche problema, la testa continuava a girare vorticosamente.

Ovviamente era Claire, che era venuta a controllare le mie condizioni, che sicuramente non erano delle migliori.

"Tesoro, ma tu sei messa malissimo. Guardati, sei uno straccio." Mi disse mentre accarezzava il mio viso bollente.

"Prendi qualcosa e rimettiti subito a letto, ci penso io a dire a Jack che non stai bene. Quando ho finito il turno torno subito a vedere come stai."

"Claire, non sono una bambina, stai tranquilla, è solo un po' di influenza me la caverò" dissi sorridendo debolmente, mi sentivo davvero stanchissima.

Lei mi guardò come una madre in pena per il proprio figlio, ma dopo un paio di lamentele mi lasciò da sola.

Mangiai un toast contro voglia e andai a rovistare nell'armadietto dei medicinali per prendere qualcosa, sperando la febbre si abbassasse.

Finalmente avevo tempo di accendere il computer, così dopo aver buttato un po' di legna nel camino mi rimisi sul divano con il mio portatile in braccio.

Sapevo che mia madre mi aveva mandato un e-mail di aggiornamento delle vacanze.

L'aprii e trovai un messaggio e un paio di foto.

"Ciao mamma. La nonna mi ha lasciato usare il computer e così sto scrivendo io XD.

Comunque qui va tutto benissimo, mi diverto molto e sai oggi pomeriggio per caso abbiamo incontrato Jinny con i nonni e così abbiamo passato un pomeriggio bellissimo, siamo andati al mercatino di natale e poi a fare un po' di slittino sulla collina dietro casa. Te la ricordi? Comunque ti salutano tutti. Ti ho mandato qualche foto, non eravamo bellissime? Mi manchi tanto mammina e non vedo l'ora di rivederti. Un bacione grande anche da parte della nonna. Domani ti chiamo."

Guardai le foto, erano davvero bellissime. Erano tutti sommersi dalla neve, con gli slittini vicino pronti a partire per una bella corsa. Si vedeva mia madre che sorrideva insieme alla nonna di Jinny.

Stava bene e questo era l'importante, erano felici e questo mi rincuorava. L'e-mail era di ieri sera, sicuramente avrei ricevuto la telefonata oggi, così andai a prendere il cellulare in camera e poi mi sdraiai di nuovo. Il sonno non tardò ad arrivare.

Mi svegliai e presi il cellulare fra le mani, erano le 2. Non avevo ricevuto ancora nessuna chiamata. Ma sicuramente pensavano fossi a lavorare, sapevano bene che mentre lavoravo non potevo rispondere al cellulare che di solito rimaneva chiuso nell'armadietto.

Mi alzai con un filo di forza in più in confronto al mattino. Mi avvicinai alla finestra e notai che aveva smesso di nevicare era uscito un debole sole che faceva risplendere tutto quel bianco che circondava l'isola. Il mare si era calmato e i tragitti dall'Irlanda all'isola erano ripresi.

Iniziai a prepararmi un po' di the quando il campanello suonò, ero quasi certa fosse Claire, anche se mi sembrava un po' strano fosse già arrivata.

Quando aprii la porta in pigiama, mi ritrovai di fronte Mark in tutto il suo splendore.

Aveva un cappotto nero, un paio di jeans leggermente strappati e un camicia bianca che spuntava da sotto il suo viso, era rilassato e sorridente. Lui era il mio sole, ecco cos'era.

"Ehi. Non volevo venirti a disturbare, ma prima sono passato dal bar e non c'eri. Così Claire mi ha spiegato che non stavi bene e mi ha detto circa dove abiti. Conosco quest'isola come le mie tasche, non è stato difficile trovarti." Il suo sguardo era incuriosito dalla mia casa e dal mio corpo.

Il mio pigiama era vecchio e liso, trasparente in alcuni punti, con piccoli bottoni davanti che in quel momento erano aperti, si intravedeva il mio reggiseno e sicuramente anche altre parti del mio corpo erano abbastanza visibili. Iniziavo a sentire il freddo che entrava dalla porta, così senza pensarci due volte mi spostai dalla porta per farlo entrare.

"Mi hai fatto una bella sorpresa, sicuramente io e la mia casa non siamo molto presentabili, ma ti diamo il benvenuto a Casa Walsh." Dissi sorridendo, sembrava come un bambino. I suoi occhi erano vivaci, osservavano ogni cosa che lo circondava, entrò con lentezza e poi si fermò vicino alla porta che io richiusi subito dopo, non parlava e non capivo se era per la delusione o per lo stupore.

"Stavo preparando un the, ne vuoi un po'? E poi ti prego, tirati via il cappotto, c'è caldo qui." Allungai una mano verso di lui per prendere il suo cappotto, lo appesi e poi presi un maglioncino per coprirmi almeno la parte sopra.

"Allora dimmi, come stai? Ti senti meglio? Fammi sentire la fronte." Quando mi girai, lo trovai a pochi passi da me e in pochi attimi la sua mano finì sul mio viso.

Non era la prima volta che succedeva, ma il mio respiro aumentò impercettibilmente e il mio cuore iniziò a farsi sentire più del solito.

Forse era l'intimità della situazione, io in pigiama, in casa mia e lui così rilassato.

"Beh la febbre sembra che sia calata, però non sei ancora in forma, da medico ti consiglierei di stare a casa un altro paio di giorni, almeno ti riprendi del tutto. Ma tanto so già che farai come ti pare." Disse sorridendo, facendo scivolare la sua mano sulle mie guance.

Mi incantai a guardarlo, il velo di sole che entrava dalla finestra illuminava i suoi capelli scuri che emanavano un profumo buonissimo e la sua pelle sembrava risplendere come una statua d'oro.

"Sì, infatti credo che domani tornerò a lavorare, non posso permettermi di stare a casa troppo." Allungai una mano e la misi sulla sua, era calda e morbida e subito iniziai ad immaginarla sul mio corpo, ma stranamente questa volta non finii nel mio mondo perverso, rimasi presente e 'cosciente'.

Ci scambiammo sguardi pieni di passione. A quel punto ero quasi certa che anche lui fosse attratto da me in modo irrefrenabile.

Il fischio della teiera colpì il nostro momento di passione, ci spostammo e io andai in cucina per preparare le tazze di the. Gli davo le spalle, ma sentivo i suoi occhi su di me. Potevo immaginare cosa stesse guardando e questa cosa mi riempì di sicurezza e gioia.

Quando mi girai lo trovai seduto alla penisola della cucina in attesa, continuava a guardarmi proprio come se volesse saltarmi addosso da un momento all'altro; così approfittai di questa atmosfera e piena di desiderio mi lanciai in un'opera sensuale che non mettevo in pratica da anni.

Per versargli il the, invece che rimanere dalla mia parte della penisola, andai dalla sua parte e mi abbassai leggermente, nonostante il maglioncino sapevo che le mie forme si sentivano benissimo, così sfiorai la sua spalla con il mio seno mentre gli versavo il the, sentii subito i suoi muscoli irrigidirsi. Lo guardai e gli sorrisi, i suoi occhi era socchiusi e le sue labbra carnose si muovevano leggermente mentre deglutiva.

Tornai verso la dispensa in cucina mi abbassai a gambe tese per prendere i biscotti e ne approfittai anche per slacciarmi il maglioncino; sentii l'orlo del pigiama che premeva fra le mie natiche, quando mi rialzai trovai Mark che con due dita cercava di allentarsi il colletto della camicia, anche se aveva già un bottone slacciato, probabilmente lo sentiva troppo stretto.

Ero compiaciuta dell'effetto che questi pochi movimenti stavano avendo su di lui.

"Ecco i biscotti dottore. Spero sia tutto di suo gradimento." Dissi prendendolo in giro.

Lui sembrava come bloccato, non parlava, continuava solo a fissarmi.

Mi piegai sulla penisola verso di lui, mettendo in mostra la mia scollatura e allungai una mano davanti ai suoi occhi.

"Mark, ci sei? Ti senti bene? No parli da almeno 10 minuti e non è normale." Lui si schiarì la voce ed ero convinta di aver visto un po' di rossore sulle sue guance.

"Sì scusami è tutto ok. Stavo seguendo i tuoi movimenti... Sai, stamattina sei particolarmente sexy, nonostante tu sia in pigiama e completamente spettinata e questa cosa mi crea qualche problema." Disse allungandosi verso di me e prendendo il mio viso fra le mani. A separarci solo qualche centimetro, sentivo il suo respiro profondo sul mio viso e il calore delle sue mani mi provocò piccoli brividi.

Non volevo affrettare le cose, volevo fosse tutto lento e volevo che il desiderio raggiungesse l'apice. Se non fosse stato così avrei scavalcato la penisola e mi sarei messa in braccio a lui strappandogli i vestiti, ma forse con un po' di perfidia e masochismo volevo far soffrire un po' tutti e due.

Con il viso fra le sue mani non mi allontanai e non mi avvicinai. "Ti crea qualche problema e quale? Sei sempre così sicuro di te. Sono solo una povera donna ammalata che cerca di trattare bene il suo ospite." Quando finii la frase mi leccai il labbro superiore lentamente e poi sorrisi.

Sentii la sua presa stringersi di poco e i suoi occhi si allargarono, la sua bocca era socchiusa, ma il suo respiro aumentava di velocità.

"Sai che hai un bel reggiseno Elly. Molto sensuale." I suoi occhi erano dentro alla mia maglietta, probabilmente anche dentro al reggiseno e le sue mani iniziarono a muoversi verso il collo.

Stavo diventando matta, ma mi piaceva. Ogni suo movimento mi provocava piacere, non osavo immaginare cosa sarebbe successo se mi avesse baciato o se mi avesse toccato da qualche altra parte.

Allungai una mano verso di lui e appoggiai un dito sulle sue labbra, poi lo feci scivolare verso il bordo della camicia, mosse leggermente la testa e poi tornò a fissarmi.

"Credo che il the si stia raffreddando." Dicendo questo mi allontanai lentamente e mi sedetti per bere dalla mia tazza.

Lui rimase con le mani a mezz'aria e mi guardò indispettito.

"Sei una piccola vipera, ecco cosa sei. Fino a ieri balbettavi, ti imbarazzavi e neanche mi guardavi e oggi? Cosa ti è successo? Hai deciso di farmi impazzire?"

Non risposi, gli sorrisi e iniziai a fissare il suo petto. La camicia e i jeans erano leggermente attillati. Avrei voluto si alzasse per ammirare anche tutto il resto del corpo, ma per ora mi accontentavo.

"Lo sai vero che dal primo momento che ti ho visto non faccio altro che pensare a te? Ti sogno di notte e ti penso continuamente di giorno. Sai cosa mi provochi quando ti vedo, vero?"

Rimasi sconvolta da questa sua dichiarazione, ma non lo diedi a vedere.

Non pensavo proprio di aver innescato questa reazione anche in lui, pensavo di essere l'unica ad aver perso completamente la testa.

"Avevo intuito qualcosa, ma non sicuramente fino a questo punto. Ma posso capirti, tu invece lo avevi capito che penso a te ogni singolo secondo? Avevi capito quanti film mentali mi sono fatta in questi giorni su di noi?" Ci mettemmo a ridere, ma i nostri sguardi vogliosi non si spensero.

Quel giorno, però, mi sentivo particolarmente stronza, così finii di bere il the e mi alzai.

"Io devo farmi assolutamente una doccia, se ti va puoi aspettarmi qui, c'è la tv, il computer e la musica..." Lui si alzò e rimasi piacevolmente colpita nel vedere il rigonfiamento che appariva nei suoi jeans, guardai solo un attimo per non farmi notare. Non volevo metterlo in imbarazzo proprio ora che le cose andavano come volevo io.

Gli passai molto vicino e sfiorai appena il suo corpo con il mio, poi mi girai verso di lui in attesa di una risposta.

"Ok, se non ti do fastidio credo ti aspetterò qui. Voglio assicurarmi che tu stia davvero bene." Mosse piano una mano verso di me, così la presi e l'appoggiai sul mio petto, in mezzo fra i due seni.

"Che c'è dottore? Ti vedo a disagio... Vorresti venire a fare la doccia con me, vero? Ma non verrai" Dissi allontanandomi, iniziai a camminare lentamente ancheggiando in modo vistoso, mi diressi verso le scale che portavano al piano di sopra e proprio in quel momento suonarono il campanello e nello stesso istante iniziò a suonare il cellulare.

Fanculo, proprio adesso tutti devono avere bisogno di me. So già che tutto verrà rovinato da questo squillare. Uffa.

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Capitolo 8
*** Shadows from the Past ***


Ehi, come state? Io ultimamente sono sempre più impegnata ed infatti continuo a ritardare con gli aggiornamenti della storia.
Spero mi perdonerete, non ho molto da dire questa volta se non che per Elly ci sarà qualche grosso problema con il passato.

Prima di lasciarvi al capitolo, ringrazio tutti voi come sempre che mi lasciate bellissime recensioni.





Capitolo 8. (Shadows from the Past)

Presi in mano il cellulare, era Sophie. Nel frattempo andai verso la porta di casa, sperando non fosse Clay, altrimenti l’avrei uccisa.

“Ciao tesoro, come stai?” dissi a mia figlia.

Guardai dallo spioncino della porta, era un signore alto con un cappellino. Non riuscii a capire chi fosse, così aprii.

“Mamma, come stai? Mi mancavi… Hai visto l’email…” mia figlia era un fiume in piena, ma dovetti interrompere la sua gioia.

“Tesoro, posso richiamarti fra 5 minuti, c’è un piccolo imprevisto di lavoro, ma non preoccuparti.” Dissi guardando quell’uomo enorme che sorridendo falsamente  aspettava con in mano un pacco e il foglio della ricevuta da firmare. Mia figlia non sapeva che ero stata a casa da lavorare per via dell’influenza e quello non era il momento più adatto per avere domande di preoccupazione da parte di Sophie e di mia madre, così preferii dire una piccola bugia. Le avrei spiegato poi tutto in seguito.

“Ah ok mamma, allora a fra poco.” Disse mia figlia mandandomi un bacio.

“Salve, mi scusi per l’attesa.” Dissi guardando curiosa il pacco. Non ricevevo mai posta a meno che non fossero bollette o pubblicità, non riuscivo proprio a capire chi potesse avermi mandato un pacchetto nel periodo di natale.

“Ecco qui signora, grazie e arrivederci” Disse il postino riprendendo la biro con cui avevo firmato e allontanandosi.

Chiusi la porta e mi rigirai il pacchetto fra le mani, quando vidi il nome del mittente mi venne un tonfo al cuore. Il pacco mi cadde dalle mani e io dovetti appoggiarmi alla cassapanca dell’ingresso per non crollare a terra.

Mark, che aveva guardato la scena dalla sala, corse verso di me. “Ehi Elly, tutto ok? Che succede.”

La mia vista si offuscò e svenni.

Mi risvegliai sul divano completamente intontita. Ero svenuta, era incredibile l’effetto che aveva fatto su di me leggere quel nome.

Girai lo sguardo e trovai Mark seduto sulla poltrona che fissava il fuoco nel camino.

“Mmm, Mark… Che è successo?” Dissi cercando di sollevarmi a sedere.

Mark corse verso di me e con dolcezza mi rimise sdraiata.

“Elly, finalmente… Sei svenuta, sei rimasta due ore sul divano a dormire come un ghiro. Per fortuna che ero lì vicino a te quando sei crollata, altrimenti avresti fatto un bel tonfo per terra.” Disse sorridendo e passandomi una mano sulla fronte. “Mi sa che ti è salita la febbre di nuovo.”

Spalancai gli occhi “Ho dormito due ore? Oddio chissà Sophie e mia madre come saranno preoccupate, devo richiamarle subito.” Mi alzai di scatto e la mia testa girò come un uragano.

Di nuovo Mark mi rimise sdraiata. “Stai calma Elly, ha chiamato dopo poco che sei svenuta e ho parlato io con tua figlia, spero di non aver fatto male. Volevo solo tranquillizzarla.”

Io lo guardai sbalordita e il mio cervello iniziò a fare film mentali.

Oddio, ha parlato con Sophie, chissà cosa avrà pensato mia figlia. E chissà cosa avrà detto a mia mamma. Ah, non voglio neanche pensarci. Ti sei messa in un bel casino Eloise.

Probabilmente Mark notò il mio sguardo assente e un po’ terrorizzato, nonostante ci conoscessimo da poco sembrava capire ogni mio singolo movimento.

“Tranquilla Elly, ho detto a tua figlia che sono il padre di Seth e così si è subito calmata, anzi ha iniziato a farmi una marea di domande su mio figlio. Siamo stati al telefono circa 20 minuti. Sicuramente dovrai dare spiegazioni a tua madre, perché tua figlia non mi ha chiesto niente sul perché ho risposto io al tuo cellulare.” Ripensando a quel momento sorrise, guardando la foto dello scorso natale,  che avevo sul camino in cui io e Sophie ci eravamo attorcigliate con le luci dell’albero e facevamo strane espressioni buffe.

Continuai a fissarlo, sembrava davvero l’uomo dei sogni, riusciva a cavarsela in qualsiasi situazione, anche se l’idea di parlare con il “sergente Helen” non era di grande aiuto per me in quel momento, ma cercai di accantonare l’idea di mia madre curiosa e troppo invadente.

“Spero potrò conoscere meglio tua figlia, credo sia una bambina fantastica.” Disse tornando a guardare me con occhi pieni di speranza.

Quell’affermazione mi lasciò a bocca aperta. Voleva conoscere Sophie e questo secondo il mio cervello bacato voleva intendere relazione fissa e importante. Sbattei le palpebre un paio di volte per tornare con i piedi sulla terra, sicuramente la mia immaginazione e le mie speranze si stavano dando man forte a vicenda.

“Sono felice che tu abbia parlato con Sophie, chissà quante cose ti avrà chiesto su Seth… Quando i bambini torneranno dalle vacanze potremmo passare un bel pomeriggio insieme se ti va.”  Non sapevo come fossi riuscita a dire una cosa del genere con così tanta sicurezza, ma la reazione che vidi su Mark mi fece scoppiare il cuore di gioia.

Si avvicinò a pochi centimetri dal mio viso e prese le mie mani fra le sue.

“Dici davvero? Speravo me lo chiedessi. Sai credo farebbe bene ai nostri bambini e probabilmente farà bene anche a noi due single disperati.” Disse ridendo e dando un piccolo bacio sul palmo della mia mano.

Lo guardai e tutta me stessa desiderò abbracciarlo, mi protesi verso di lui, liberai le mie mani dalla sua presa e gli gettai le braccia al collo; affondai il mio viso sulla sua spalla e inspirai tutto il suo profumo.

Lui in ginocchio di fianco al divano si sollevò leggermente per potermi abbracciare meglio e quando sentii le sue braccia attorno al mio corpo diventai un ghiacciolo che si scioglie al sole; sentii le forze abbandonarmi, ma continuai ad abbracciarlo con dolcezza, con una mano gli accarezzavo la schiena e con l’altra i capelli.

“Ah Eloise, rimarrei così per sempre lo sai.” Disse parlando fra i miei capelli. Le sue mani viaggiavano lente percorrendo ogni centimetro della mia schiena.

Aprii le labbra in un sorriso così largo che pensai mi si potesse squarciare la bocca.

“Mi sento a casa fra le tue braccia.” Le parole uscirono così naturali, senza che il mio cervello desse il permesso di pronunciarle, ma mi sentivo così bene e leggera. Non avevo più paura di dire quello che provavo, anzi avrei voluto uscire e gridare a tutta l’isola quanto quest’uomo mi facesse battere il cuore.

Riaprii gli occhi ancora sognanti, ma quando vidi quel maledetto pacco appoggiato al tavolo mi irrigidii e bloccai ogni mio movimento. Le mani di Mark si fermarono, mi prese per le spalle e lentamente mi allontanò.

Guardò la direzione del mio sguardo e capì tutto. “Eloise, perché quel pacco ti fa quest’effetto? Cosa succede?”

Mi tremavano le mani e cercai di parlare. “E’……” Le parole uscivano a fatica. “Quel pacco è…..” Incredibile, non riuscivo a pronunciare il suo nome.

Mark si alzò e andò a prendere il pacco. Lesse il nome sulla carta marrone ad alta voce. “Herbert Walsh… E’ di qualche tuo parente immagino.” Disse fissandomi, sperando io riuscissi a pronunciare una minima parola.

“Mio padre.” Fu l’unica cosa che riuscii a dire, ancora rigida come un sasso, ero pietrificata su quel divano, non muovevo un muscolo.

“Ok, tuo padre ti ha mandato un regalo per natale, penso visto il periodo, e tu reagisci così.” Si avvicinò e si sedette sul divano, di fianco a me, col pacco sulle gambe.

“C’è qualcosa che non va e questo è palese, ma non puoi stare lì così. Aprilo almeno e dopo che avrai visto il contenuto potrai reagire di conseguenza. Potrai incazzarti, piangere o magari essere felice. Tanto io sono qui di fianco a te e sono disposto ad assorbire pugni, lacrime o sorrisi.” Con la sua mano mi tirò a se e mi appoggiai al suo fianco fissando il pacco.

Cercai di fare respiri lunghi e profondi, ma quel nome riportava a me troppi ricordi brutti.

“Tu sarai qui con me? Qualsiasi reazione avrò? Sicuro che non scapperai impaurito?” Dissi cercando di liberare un piccolo sorriso, dalla morsa di ansia che mi attanagliava in quel momento.

Mark mi guardò e mi strinse un po’ di più a sé. “Non vado da nessuna parte Elly, so che non sarà facile per te fidarti. Ma credimi.” Il suo calore, il suo sguardo così dolce e i movimenti lenti delle sue mani sulle mie braccia mi tranquillizzò.

“Ok, però prima voglio richiamare Sophie, cercherò di inventarmi una scusa ragionevole con mia madre.” Mi staccai da Mark per prendere il cellulare sul bracciolo del divano e tornai ad accoccolarmi accanto a lui mentre chiamavo Sophie.

Come mi aspettavo rispose mia madre. “Eloise, cosa succede? Sophie mi ha detto che ha parlato con un certo Mark. Dove sei?” Ah, mi mancava un po’ questo lato impiccione di mia madre. Da quando il mio ex mi aveva lasciato, non avevo più avuto nessun tipo di relazione con uomini e l’unica mia amica era Claire; così mia madre non aveva molto di cui impicciarsi.

“Mamma, calmati. E’ tutto a posto. Ero a lavorare, ma c’è stato un problema con un uomo ubriaco, così Mark conoscendo la mia situazione, quando ha visto comparire sul cellulare il nome di mia figlia, ha pensato di tranquillizzarla. Inoltre aveva assistito alla chiamata di poco prima, avevo detto a Sophie che l’avrei richiamata subito ed essendo anche lui padre ha immaginato che Sophie si sarebbe preoccupata.”  Mia madre sembrava essersi convinta, fece un sospiro rumoroso sul telefono.

“Ok, l’importante è che stai bene. Sophie è tutta contenta perché ha conosciuto qualcosa in più del suo amichetto Seth. Oggi abbiamo fatto un pupazzo di neve enorme, ti abbiamo mandato le foto per e-mail.” Non sentivo nessun tipo di rumore, di solito mia figlia si faceva sentire per parlare con me, invece niente.

“Mamma, dove hai spedito Sophie per farmi queste domande?” Chiesi insospettita.

“Donna di poca fede, non ho spedito mia nipote da nessuna parte, è semplicemente sul divano che fa un riposino. Si stanca molto qui, usciamo sempre e spende ogni sua energia fra la neve, inoltre con i compiti completa l’opera di sfinimento.” Disse mia madre sorridendo e sbuffando.

Sicuramente l’energia di mia figlia stava prosciugando anche quelle delle nonna.

“Ok mamma, l’importante è che state bene, che Sophie sia brava, che si diverta e che faccia i compiti.”

“Tranquilla, è in buone mani. Ci sentiamo domani allora? Fai in modo di poter parlare un po’ con tua figlia.” Ci salutammo e immediatamente tornai ad osservare il pacco ancora sulle gambe di Mark. Lui non aveva smesso un attimo di accarezzarmi braccia e schiena, mi faceva sentire la sua presenza e vicinanza in ogni modo possibile.

“Ok, prima di aprire il pacco è meglio che ti spiego le mie reazioni.” Dissi schiarendomi la voce e raccogliendo tutto il mio coraggio; non era mai piacevole parlare di mio padre e l’unica che conoscesse tutta la vera storia era Clay.

Lui in tutta risposta strinse la presa intorno a me con un braccio e mi prese una mano con dolcezza, alzai lo sguardo e Mark mi stava sorridendo annuendo. Era pronto, pronto ad ascoltare ogni mio problema e turbamento.

“Mio padre non è mai stato un vero padre per me. Se ne è andato di casa quando io avevo 10 anni, dopo di che non abbiamo più avuto sue notizie. Ma in fondo è stato un sollievo. Quando i miei genitori stavano insieme era un dramma, litigi, sfuriate e incomprensioni erano all’ordine del giorno. Mio padre se la prendeva con mia madre per qualsiasi cazzata succedesse  fuori o dentro casa; un problema di lavoro, un problema con amici, l’auto rotta, il cibo freddo… Ogni pretesto era buono per attaccar briga. Le cose sono peggiorate quando mio padre la picchiò così forte che mia madre dovette andare all’ospedale. Da quel giorno mio padre veniva a casa sempre meno, fino a quando un giorno è scomparso senza preavviso. La reazione di mia madre alla sua scomparsa fu un sospiro di sollievo e un forte abbraccio per me.

In tutto questo, io ero sempre di sfondo, per mio padre era come se non esistessi. Quando mia madre cercava di fargli vedere i mie progressi a scuola o nella danza, lui si voltava dall’altra parte sbuffando.

I momenti di vita quotidiana insieme erano i peggiori, io mi rinchiudevo nella mia cameretta sentendomi esclusa e rifiutata da lui; mentre loro al piano di sotto litigavano in continuazione.

Ora sai il motivo delle mie reazioni. Per me lui non è un padre, ma l’uomo che ha distrutto la vita di mia madre per vent’anni. L’ultima cosa che voglio vedere è una sua lettera o un suo regalo.” Quando mi fermai avevo il fiatone, avevo buttato fuori tutto d’un fiato. Era un peso così enorme per me che se mi fossi fermata, ne sarei rimasta schiacciata.

Mark non parlava, ma mi bastava sentire le sue labbra sui miei capelli e le sue braccia che chiudevano il mio corpo in una stretta piena di comprensione e dolcezza.

Non mi ero accorta che avevo il viso bagnato dalle lacrime, nonostante tutti gli anni passati, parlare di quell’uomo così crudele mi faceva ancora stare male.

“Adesso basta piccola mia. L’unica cosa che puoi fare è vedere cosa vuole Herbert e reagire di conseguenza.” Disse Mark asciugando le mie lacrime con il pollice.

Mi alzai dal suo fianco, quando le sue braccia mi liberarono mi sentii nuda. “No, ti prego. Continua ad abbracciarmi Mark, ti prego.” Sapevo che la mia voce correva fra la disperazione e la depressione.

Mentre Mark mi circondava di nuovo con le sue braccia io presi il pacco dalle sue gambe e iniziai a rigirarmelo fra le mani; era piccolo ma decisamente pesante, non riuscivo proprio ad immaginare cosa potesse contenere.

Stracciai la carta e trovai un’altra scatola con attaccata una lettera bianca, staccai quel foglio e il primo impulso fu quello di gettarlo fra le fiamme del camino, ma mi trattenni e lo aprii.

Cara Eloise, come stai?

So bene che spuntare così dal nulla non deve  essere piacevole per te e ti chiedo subito scusa, ma non avevo altro modo per contattarti.

Prima che tu ti faccia strane idee, il tuo indirizzo attuale me lo ha dato una tua vecchia compagna di scuola, l’unica che è riuscita a dirmelo, degli altri tuoi vecchi amici nessuno lo sapeva.

Non sono stato un padre per te e sicuramente non mi vedi neanche come un uomo, più probabilmente ti ricordi di me come una bestia e forse hai ragione a ricordarmi così.

Volevo solo scriverti che mi dispiace, anche se questo non farà passare la rabbia e l’odio che provi verso di me. Dopo tanti anni di riflessioni, so di aver sbagliato e di aver perso te come figlia, non so niente di te e non me ne interessavo. Ma ora le cose sono cambiate, sono cambiato io da tanti anni. Non so perché ho scelto questo periodo e quest’anno per scriverti. Ma mi mancavi terribilmente….” Mi fermai e chiusi quella carta leggera fra le mie mani, stavo piangendo e tremavo. Leggere quelle parole era devastante per me, la voragine nel mio petto si riaprì velocemente e minacciava di risucchiare qualsiasi cosa.

Incrociai le gambe sul divano e mi rannicchiai su di esse piangendo come una bambina. “Non è possibile che quest’uomo mi stia scrivendo tutto questo, non è possibile….”

Mark era lì al mio fianco, come mi aveva promesso.

“Elly, alzati per favore. Guardami.”

Alzai lo sguardo e sprofondai nei suoi occhi, sembrava stesse soffrendo insieme a me. Aveva gli occhi lucidi e gli angoli della bocca piegati in una smorfia triste. “Io sono qui. Se non te la senti di continuare fermati. Leggerai dopo. Non devi fare tutto insieme, puoi anche fare un passo alla volta. Ma non fare così, non voglio vederti soffrire. So che la mia è una pretesa assurda per questo momento, ma non voglio vederti così, mi spezzi il cuore.” Mi attirò a sé e mi abbracciò forte, a quel contatto le lacrime scesero ancora più copiose.

“Da dove sei arrivato tu? Chi ti ha mandato qui da me? Chi devo ringraziare per averti qui al mio fianco? Tu sei un angelo!” Le mie domande retoriche non avrebbero mai avuto risposta forse, ma Mark si impegnò a darmi una prova del fatto che fosse lì per me e solo per me.

Si spostò leggermente e mi baciò. Un bacio disperato, dolce e pieno d’amore. La passione sfrenata di poco prima ci aveva abbandonato, ora avevamo solo bisogno l’una dell’altro. Nient’altro che noi.

Ricambiai il bacio muovendo lentamente le mie labbra screpolate sulle sue morbide e vellutate, le mie lacrime bagnate iniziarono ad insaporire le nostre salive, i nostri corpi avvinghiati in un abbraccio unico. Come fossimo una cosa sola.

Quando staccò le sue labbra dalle mie, sentii solo che ero sua. Mi faceva stare bene, mi faceva sentire amata e protetta; proprio quello di cui avevo assoluto bisogno.

Appoggiò le mani sul mio viso e mi diede un bacio sul naso “Sei così bella piccola Elly, non piangere più.” Asciugò le mie lacrime e baciò i miei occhi.

Le mie mani erano appoggiate al suo torace, la sua camicia ormai sgualcita dalle mie innumerevoli strette. “Sei tu quello bello e perfetto qui. Mi fai sentire in paradiso, è come se tu riuscissi ad assorbire ogni mia parte negativa e farla scomparire. Grazie, per esserci stato e per continuare a rimanere.”

Tirò il mio viso al suo e mi baciò ancora. Lo abbracciai e mi abbandonai su di lui. Avrei voluto che quel bacio continuasse all’infinito. Ma quando ci staccammo rimanemmo abbracciati, l’una con le coccole dell’altro.

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Capitolo 9
*** Letter from the Past ***


Buonasera a tutti. Eccomi qui con il nuovo capitolo.
Prima di tutto vorrei annunciarvi una piccola novità; da oggi anche questa storia avrà un banner
 di presentazione e per questo ringrazio con tutto il cuore la mia piccola Afu, sempre presente e disponibile con me.

Banner

Che ne dite? E' davvero splendido, a me piace moltissimo.
Ora veniamo al nuovo capitolo, come capirete dal titolo è come se fosse la seconda parte del capitolo 8.
Ringrazio tutti voi per le bellissime recensioni e per la voglia che mi date per andare avanti.
Grazie di cuore a tutti. Buona lettura.



Capitolo 9. (Letter from the Past)

Ero sul divano da sola, Mark era dovuto andarsene un’ora prima perché doveva fare il turno notturno a lavorare.
“Scusami, ti prego. Sai che vorrei rimanere qui con te tutta la sera e tutta la notte, vero? Però voglio che ti ricordi di una cosa, per qualsiasi cosa, chiamami o mandami un messaggio, io per te ci sarò sempre.” Così mi aveva detto prima di andarsene, mi diede un bacio dolce ed uscì da casa mia. Ripensare a quei comportamenti faceva stampare sul mio viso un sorriso da ebete, ero veramente felice perché sentivo come se fossimo una normalissima coppia e invece in realtà ancora non lo eravamo. Era successo tutto in modo naturale, senza forzature, lui mi era stato accanto in uno dei momenti forse più difficili e io non glielo avevo dovuto chiedere. 

Il pacco mandato da mio padre era ancora lì, imponente appoggiato sul tavolo, con sopra quella lettera che ancora dovevo finire di leggere, mi sentivo una bambina, ma avevo bisogno che qualcuno fosse accanto a me per continuare e l’unica persona oltre a Mark era la mia Claire.
La stavo aspettando, quando avrebbe finito il turno alla tavola calda sarebbe venuta da me, si sarebbe fatta una bella doccia e avremmo mangiato una pizza e poi chissà… Forse avrei continuato a leggere e avrei aperto il pacco o forse no. Forse avremmo semplicemente parlato delle mie ore passate con Mark.
Il mio cervello stava viaggiando troppo velocemente, così mi alzai dal divano e andai sul balcone. Sicuramente l’aria fredda e pungente della sera mi avrebbe fatto riprendere.  

“Ehi, signorina.” Sentii quando misi piede fuori. Era Clay, che aveva appena parcheggiato la macchina. Guardai l’orologio, erano le 6. Aveva finito prima di lavorare e questo non poteva che farmi piacere.
Rientrai per aprirle la porta e quando me la vidi di fronte l’abbracciai così forte che pensai avrei potuto soffocarla.
“Non ne hai avuto ancora abbastanza di abbracci?” Disse guardandomi e sorridendo. Sapeva che avevo passato la giornata con Mark e le avevo accennato del pacco di mio padre, ma non sapeva niente di più.
“Oh, sai che io vivrei di abbracci, dunque adesso sbrigati a farti la doccia che così ti racconto tutto.” La curiosità della mia amica guizzò nei suoi occhi, così saltellando come una bambina andò al piano di sopra per lavarsi, quando fu in cima alle scale si girò verso di me. “Vedi di ricordarti ogni minimo dettaglio di qualsiasi cosa, io DEVO sapere.”
“Vaiiiiii, che potrei dimenticarmi tutto in un secondo” Le urlai da sotto. 

Intanto che l’aspettavo mi misi a preparare il tavolo per la cena, spostai il pacco come se contenesse materiale radioattivo, stando attenta a non avvicinarmi più del dovuto, senza smuoverlo troppo, lo appoggiai sul divano; fissai la lettera ripiegata a metà e mi venne un brivido.
Ancora non riuscivo a capacitarmi del fatto che quell’uomo mi avesse scritto, dopo tutti quegli anni di completa assenza cosa si aspettava da me? Cosa voleva?
Un moto di rabbia  smosse la mia voglia di buttare quel foglio di carta nel camino scoppiettante.
“Non fare niente di insensato Elly, potresti pentirtene, non voglio che ti butti nel fuoco per recuperare carta bruciata.” La voce di Claire era ironica, ma anche sicura di sé, dietro le mie spalle.
Mi girai, gli occhi erano ancora un po’ gonfi per i pianti delle ore prima e feci scivolare le braccia lungo i miei fianchi, come in segno di arresa.
“Questa lettera è per te e devi leggerla fino in fondo. Il dolore che ti ha fatto passare tuo padre non credo potrà essere superato da qualcosa di peggiore, dunque devi farti coraggio e leggere tutto, fino in fondo. Tanto sai che io sarò qui e se ce ne sarà bisogno andrò da tuo padre a riempirlo di bastonate.” Clay si avvicinò e mi prese le mani.
“Dov’è andata a finire quella ragazza forte e coraggiosa che si è trasferita anni fa in un paesino sconosciuto? Dov’è finita quella persona che è andata avanti da sola, con una figlia senza chiedere aiuto a nessuno?”
“No, ho chiesto aiuto a te in questi anni. Clay lo sai anche tu che non sono mai stata forte, sono riuscita ad andare avanti perché c’eri tu e basta.” Le lacrime stavano risalendo prepotenti verso i miei occhi, ma non volevo piangere. Non era il momento ancora, avrei avuto tempo più tardi per disperarmi fra le braccia della mia amica.
“Beh, se sei andata avanti perché c’ero io, potrai farlo benissimo anche adesso, perché io sono qui con te.”  Mi abbracciò forte e sospirò fra i miei capelli. “Quante persone dovranno continuare a farti soffrire ancora?” Era più un suo pensiero detto ad alta voce ecco perché non risposi, mi limitai a stringerla forte. 

Finalmente le pizze arrivarono, andai ad aprire al giovane ragazzo e lo pagai. Per nostra fortuna le pizze erano ancora fumanti nonostante le temperature sotto zero al di fuori.
Quando ci sedemmo a tavola l’argomento principale diventò Mark. Quando Clay diceva che voleva sapere tutto, intendeva proprio tutto. Le raccontai del suo improvviso arrivo, di come io ero stata seducente nei suoi confronti; anche se raccontandolo ora mi veniva da ridere e speravo che anche lui non avesse provato le stesse sensazioni mie di ora. Le dissi del postino che arrivò e del mio svenimento. Di come Mark era stato vicino a me, della sua chiacchierata con Sophie. Dei baci, delle coccole e degli abbracci.
“Aaaaaaaaaaah lo sapevo che vi sareste baciatiiiiiii.” Era felice come una bambina.
“Siete fatti per stare insieme, l’ho detto fin dal primo momento io. Cavolo dovrei aprire un negozio e fare la cartomante, ci azzecco sempre. Dai com’è stato baciarlo e sentirti fra le sue braccia? Racconta a questa povera ragazza in astinenza da coccole e baci.”
Mi faceva ridere, Clay era sempre stata una persona frizzante e piena di energia, ma sapevo bene quanto anche lei si sentisse sola e speravo che trovasse qualcuno che le facesse battere il cuore come batteva il mio in questi giorni.
“Non so spiegarti com’è stato. Posso solo dirti che mi sembrava di andare a fuoco stando in paradiso. Mi fa provare emozioni che non ho mai provato in vita mia, mi fa sentire a mio agio in qualsiasi situazione. Riesce a starmi vicino anche se mi conosce poco, mi capisce e si comporta di conseguenza. Il mio cuore ha rischiato di fermarsi un paio di volte, ma poi è stato tutto davvero così naturale, ho spento il cervello e mi sono detta ‘Succeda quel che succeda’ e così è stato. Non mi sono fatta problemi o paranoie ed è stato bellissimo. Spero potremo ripetere presto.” Ripensando a quei momenti ripresi a sognare, da quanto una persona non mi faceva stare così bene?
“Aaaaah Eloise Walsh, lo sapevo che ti saresti lasciata andare. Era ora. Finalmente hai trovato l’uomo della tua vita, vedi di non fartelo scappare altrimenti ti uccido e poi te lo rubo io.” Prese una birra e se la scolò in un sorso e poi si accese una sigaretta.


“Clay, da quando hai ripreso a fumare?? Hai per caso una scorta segreta e non me lo hai detto?”
Avevamo deciso di smettere di fumare un mese prima, insieme. Volevamo farlo per noi e per le nostre figlie, ma come tutti sapranno è un vizio duro da lasciar andare.
“Passamene una dai.” Come facevamo mesi prima, spegnemmo le luci, aprimmo le finestre e ci mettemmo a fumare di fronte alla finestra, con una coperta sulle spalle; guardando il mondo offuscato dalle nostre sbuffate di fumo.
“Elly, sono felice per te. Credimi. Ma quando penso a me vedo tutto grigio. Ormai in questo paesino conosco tutti e non c’è un uomo che mi interessi, sono tutti scialbi; l’unico interessante te lo sei accalappiato tu e sei stata grande.” Misi un braccio intorno alle spalle della mia amica.
“Clay, sarai di nuovo felice anche tu. E’ impossibile che una persona splendida come te rimanga sola in questo mondo. Vedrai che incontrerai un bel lupo di mare che ti farà perdere la testa e dopo saremo sistemate tutte e due per il resto della vita.”
Sembravano i discorsi che facevamo da adolescenti, quando ancora credevamo nell’amore per tutta la vita, quando ancora credevamo che bastava l’amore per fare andare tutto bene. Ora eravamo cresciute e sapevamo che non era così, ma nessuno ci toglieva la possibilità di sognare e essere ancora bambine ogni tanto.
Appoggiò la testa sulla mia spalla e continuammo a guardare il mare illuminato dalle luci del porto e dalla luna che si rifletteva; una nave in lontananza viaggiava calma e silenziosa, probabilmente la mattina dopo ce la saremmo ritrovata a pochi passi; domani infatti sarebbero iniziati i mercatini tipici del luogo e come ogni anno attiravano un sacco di turisti. 

“Da domani ci sarà da sgobbare cara amica mia. Non voglio immaginare che turni dovremo fare.” Sospirammo tutte e due. Quello era sempre il periodo più brutto perché la nostra piccola isola si riempiva di persone e il passaggio dalla tavola calda era quasi d’obbligo. 

Ci stavamo congelando, così chiudemmo la finestra e riaccendemmo le luci. Guardai il pacco e la lettera e decisi di farla finita con quella storia. Andai sul divano e ripresi la lettera fra le mani, Clay si sedette di fianco a me osservando il fuoco.
“…Ma mi mancavi terribilmente. Non pretendo di rimettere tutto a posto con queste poche righe, ma mi piacerebbe poter imparare a conoscerti, piano piano, non ho fretta. Sono passati tanti anni e ai tuoi occhi sarò ancora la bestia che maltrattava tua madre e che si disinteressava a te, ma posso prometterti che sono cambiato.
Mi sono rifatto una famiglia, ora ho una moglie e due figli che sono tuoi fratelli. Gli ho parlato di te e vorrebbero tanto conoscerti, come vorrebbe conoscerti mia moglie. Ripeto, non ho fretta, ma se avessi voglia di rispondere a questa lettera o chiamarmi ti lascio il mio indirizzo e il numero di telefono. Voglio provare a rimediare al danno che ho fatto e spero me ne darai la possibilità.
Nella scatola troverai alcune foto, almeno potrai capire chi sono ora e se avrai voglia potrai vedere la famiglia che mi sono messo su. C’è anche un piccolo regalo che spero accetterai perché fatto col cuore e non per costringerti a vedermi  di nuovo come padre.
Ti mando un bacio sperando tu stia bene e che anche la piccola Sophie sia in grande forma.”
 
Non una lacrima stava scendendo sulle mie guance, ma un moto di rabbia si fece strada dentro di me.
Strinsi la lettera fra le mani e la buttai per terra. “Come si permette quest’uomo di intrufolarsi nella mia vita. Chi si crede di essere? Pensa di poter aggiustare tutto mandandomi lettere e foto della sua nuova famiglia felice? Pensa che potrò accettarlo come padre o anche solo come uomo? Per me è una bestia che ha distrutto la vita di mia madre e che ha ridotto a brandelli la mia infanzia. Non voglio lettere, non voglio foto e tanto meno regali. Deve sparire, deve essere un’ombra com’è stato per tutti questi anni. Non lo voglio, non mi interessa. Non mi serve un padre a 25 anni. Che continui a stare con la sua bella famigliola, qui nessuno ha bisogno di lui.” Stavo camminando nervosamente per il salotto, con Clay che dal divano seguiva ogni mio movimento, stava lì a guardarmi aspettando che la mia rabbia calasse.
“Dio quanto è stupido. Cosa pensa di ottenere? E poi quella stronza di Julie non poteva starsene zitta e tenere il mio indirizzo per lei? Chi le ha dato il diritto di dare queste informazioni, mi fidavo di lei; l’unica persona rimasta di cui mi fidavo e lei cosa fa? Si è fatta abbindolare da un padre che non è mai stato mio. Ma cosa le è saltato in mente? Adesso la chiamo e gliene dico quattro.” Ecco il momento in cui Clay intervenne. Si alzò e mi diede uno schiaffo.
Rimasi immobile di fronte a lei. Il viso infuocato. “Clay ti ci metti anche tu adesso? Cosa cazzo fai?”
“Adesso basta. Falla finita, non sei una bambina Elly.” Urlò contro il mio viso  facendomi sentire realmente una bambina.
“Siediti e calmati, tu non farai niente adesso. Starai qui sul divano immobile fino a quando non ti sarai calmata e sai bene che posso tenerti testa in fatto di forza dunque non provare a fare niente, altrimenti ti lego al divano.” Mi prese per le spalle e con forza mi fece sedere.
“Ma Clay, cosa stai dicendo non dirmi che credi a quello che ha scritto….”
“Ti ho detto basta. Quando sarai calma potremo ragionare su tutto quello che vuoi, ma adesso non serve a niente parlare con te.” 

Così dicendo mi lasciò sola e andò a preparare qualcosa in cucina, non mi girai a guardare cosa stava combinando, ripresi in mano la lettera e la guardai e riguardai; volevo stracciarla in mille pezzettini, ma non lo feci.
Clay aveva ragione, dovevo calmarmi, così presi una sigaretta e mi sdraiai sul divano con i pensieri che correvano a perdifiato nella mia mente.
Probabilmente passarono ore prima che Clay tornò di fianco a me, decisi di aprire il pacco.
“Sicura di essere pronta?” Mi chiese stringendo una mia mano, la guardai negli occhi. Ero pronta. 

La prima cosa che mi balzò agli occhi furono le decine di foto che aveva messo nella scatola, ma non erano solo della sua attuale famiglia. C’erano delle foto mie di quando ero piccola e di mia madre e dietro ad ogni foto c’era scritto la data e il momento in cui furono scattate.
Guardai le foto dei suoi figli, erano bellissimi. Due ragazzi ormai adolescenti e la moglie era una donna minuta e molto dolce. Mi chiesi se sapessero realmente cosa aveva fatto a me e mia madre.
Poi trovai una foglietto bianco, pensai ad un’altra lettera, ma quando lo aprii mi si fermo il fiato in gola.
Era un assegno. Un assegno da 30.000 euro.
Mi girai a guardare Clay e credo proprio che avesse il mio stesso sguardo di sorpresa.
“Mmm questo proprio non lo capisco.” Disse continuando ad osservare quel foglio. Non avevamo mai visto tutti quei soldi insieme e ci sembrava così assurdo.
“Pensa forse di potermi comprare con i soldi?” Di nuovo la rabbia salì dentro di me, ma la fermai prima che uscisse in urli e bestemmie.
“Beh qualsiasi cosa pensa Herbert, ormai questi soldi sono tuoi, sta a te decidere se usarli o no. Solo tu puoi decidere cosa fare.” Tutte e due continuavamo a fissare quell’assegno.
Poi notai che nella scatola c’era un altro piccolo foglietto. 

“Questi soldi sono sempre stati tuoi. Da quando eri piccola li mettevo da parte per te, volevo poter arrivare ad una buona cifra per poterteli dare, in realtà l’assegno è solo un acconto. C’è ancora un conto bancario aperto a tuo nome, ma visto che eri piccola lo gestivo io. Adesso se tu volessi quei soldi dovresti venire qui  a Londra e firmare in banca. Non so se lo farai, ma ti dico solo che non voglio niente in cambio e che non è uno scherzo. Non sono stato un padre, ma a quei tempi l’unica cosa che conoscessi realmente erano i soldi e così ho pensato a te in questi termini. Ti mando un lista dei movimenti del tuo conto bancario, così potrai capire che non ti sto prendendo in giro.”
Presi l’altro foglio e notai che il conto era stato aperto quando io ancora ero piccolissima e poi guardai quanti soldi c’erano ancora oltre ai 30.000 che erano fra le mie mani. 

“Ok cara Elly, sei diventata ricca in meno di 5 minuti.” Disse Clay sorridendo.
Non sapevo come reagire, cosa pensare o cosa fare. Avevo bisogno di tempo per riordinare le idee. Volevo parlare con mia madre, sapeva di questo conto? Sapeva queste cose di Herbert?
Avrei voluto chiamarla subito, ma pensai che probabilmente le avrei rovinato le vacanze. Quando avrebbe riportato indietro Sophie si sarebbe fermata un po’ da noi prima di ripartire, quello sarebbe stato il momento perfetto.
Feci un mezzo sorriso pensando a cosa avrei voluto fare con quei soldi, ma ancora non sapevo se accettarli o meno. Non sapevo niente e dovevo assolutamente farci una dormita sopra. Quel giorno era stato devastante per me e il mio cervello era arrivato al limite, non sopportava più pensieri contorti. 

Salutai Clay che mi abbracciò come solo lei sapeva fare, dandomi sicurezza e tanto appoggio. Lei era Claire, c’era sempre stata per me e con me ci sarebbe stata anche d’ora in avanti con o senza soldi.
Mi diressi a letto lasciando foto assegno e lettere sul divano, dovevo staccarmi da quei momenti e non potevo di certo portarmi tutta quella roba in camera. 

Quando mi misi a letto decisi di mandare un sms a Mark.
“La giornata per me è finita, finalmente. Ho finito di leggere la lettera e ho aperto il pacco. Vorrei tanto averti qui con me per spiegarti cosa è successo questa sera. Io domattina dovrò andare a lavorare e ancora non so quante ore dovrò fare. Spero comunque di poterti vedere o sentire. Buon lavoro ‘Dottor Stranamore’, mi manchi.”
Mandai il messaggio, non speravo mi rispondesse subito, stava lavorando… Passarono pochi secondi e ricevetti la risposta. Aprii il messaggio con tanta foga che se avessi potuto mi ci sarei buttata dentro.
“Elly, non vedevo l’ora di ricevere un tuo segno di vita. Sono felice che tu sia riuscita a completare quello che avevamo iniziato. Sono sicuro che in quella lettera e pacco non ci sia niente di così insormontabile. Anch’io spero di poterti vedere domani, così se vorrai mi racconterai tutto. Ti mando un bacio anche se vorrei poter essere lì per dartelo di persona. Buonanotte angioletto.”
Mi addormentai con il cellulare appoggiato sul petto, avrei sicuramente sognato il mio Mark.

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Capitolo 10
*** Let yourself go ***


Buongiorno a tutti. Eccomi qui con un nuovo aggiornamento della storia.

Questo capitolo non mi piace molto, ma dopo averlo riletto una decina di volte le opzioni erano due, o lo cancellavo o lo modificavo; ma non avevo altre idee così il capitolo è rimasto scarso.
Questa volta facciamo felice anche l'amica di Elly, Clay.

Ringrazio come sempre tutte le persone che mi leggono e mi sostengono. In particolare volevo mandare un enorme grazie a Ilaria e Jennifer; due delle migliori amiche che io abbia mai avuto.
Un grazie enorme ad Afu per esserci sempre e per il banner della storia che è opera sua.
Mille grazie ad Alba e Miriam che leggono con fervore e voglia questa storia.
Grazie grazie e ancora grazie a tutti quanti.

Buona lettura.


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Capitolo 10. (Let yourself go)

La mattina dopo mi svegliai risanata, ero riuscita a dormire rilassata e tutto il peso del giorno prima si era volatilizzato.
Mentre mi preparavo un paio di toast per colazione decisi di chiamare mia madre sperando Sophie fosse già sveglia, iniziava a mancarmi terribilmente; nonostante tutte le novità di quei giorni non c’era momento che non pensassi a lei.
“Pronto Elly, come mai già in piedi? Non dovevi fare il pomeriggio oggi?” Mia mamma stava quasi sussurrando e immaginai che mia figlia stesse ancora dormendo, in effetti erano solo le 7.
“Ciao mamma, scusa se ho chiamato a quest’ora. Avevo voglia di sentire Sophie ma come immaginavo sta ancora dormendo. Va tutto bene lì?” Intanto che parlavo mi misi i toast su un piatto e iniziai a mangiucchiare.
“Sì sta dormendo e anche bene. Ieri siamo andati a fare un giro alla festa che c’è in piazza e siamo tornate decisamente tardi. Ti ha voluto comprare un regalo, quando torniamo vedrai.”
Mia figlia era un dolce angelo pensai, era sempre stata molto sveglia e intelligente, ma aveva anche  gentilezza e rispetto verso le persone, rari per bambine della sua età. Ero contenta di come stavo riuscendo a crescerla, mi dava soddisfazioni nuove ogni giorno.
“Ok mamma. Allora quando si sveglia dille che ho chiamato. Io oggi fino alle 5 sarò a lavorare. Ci sentiamo dopo, ok? Comunque va tutto bene i compiti riesce a farli, vero?” Una sottile risata dall’altra parte del telefono.
“Tranquilla tesoro, tua figlia è bravissima e sta cercando di mettersi avanti per avere dei giorni completamente liberi. Se riusciamo volevamo invitare qui qualche giorno Jinny così si divertiranno insieme, i nonni sono d’accordo ne abbiamo già parlato. Ma abbiamo detto alle bambine che prima devono portarsi un po’ avanti con i compiti. Sono brave, non preoccuparti. Allora ci risentiamo stasera Elly?” Un sorriso si dipinse sul mio volto. Adoravo mia madre, era sempre premurosa e attenta a tutto. Avrei dovuto ringraziarla di tante cose al suo ritorno.
“Allora a stasera mamma, buona giornata. Dai un bacio a Sophie.” 

Iniziava ad essere tardi, lanciai il cellulare sul divano e corsi di sopra a prepararmi.
Finalmente la neve si era sciolta e così non ci furono ritardi da parte mia e di Clay.
Quando ci incontrammo di fronte alla tavola calda iniziò a venirci qualche sospetto.
Nel periodo di natale aprivamo un po’ più tardi e di solito eravamo sempre noi le prime ad arrivare, ma quella mattina il locale era già aperto.
Io e Clay ci guardammo e entrammo dentro, l’ufficio di Jack aveva la porta spalancata e si sentiva una voce provenire dall’interno.
Io andai nello spogliatoio a prepararmi mentre Clay curiosa andò verso l’ufficio. Mi aspettavo di sentire qualche urlo, Jack al mattino presto era sempre di cattivo umore, invece non sentii niente. Silenzio completo. Aspettai che arrivasse Clay, ma non si fece vedere, così uscii a vedere cosa stava succedendo.


La sentivo che parlava nell’ufficio così mi affacciai anch’io e mi ritrovai di fronte un ragazzo mai visto in vita mia.
“Oh eccoti. Sean questa è Eloise, l’altra ragazza.” Clay non toglieva gli occhi di dosso da quel ragazzo, in effetti era molto piacevole da guardare.
“Piacere Eloise, sono Sean, il nipote di Jack.” Mi tese una mano e la strinsi.
“Jack ha avuto un infarto ieri sera e adesso è all’ospedale. Non si è ancora ripreso e così è venuto Sean da Dublino. Jack deve stare un paio di settimane sotto controllo.” Clay continuava imperterrita a fissarlo senza rendersi conto che forse stava un po’ esagerando. Le diedi una gomitata cercando di non farmi vedere, lei si girò e con lo sguardo cercai di farle capire che stava superando dei limiti.
“Sì per ora non sappiamo quando mio zio riuscirà a riprendersi. E’ sotto controllo all’ospedale ma ha ricevuto una bella batosta. Mi ha chiesto lui di occuparmi del locale fino a quando non si rimetterà. Ovviamente ragazze dovrete lasciarmi un po’ di tempo per capire come vanno le cose qui.” Disse mentre si andava a sedere alla scrivania di Jack guardando tutte le carte riguardanti il locale.
“Beh allora direi che noi iniziamo ad aprire se hai bisogno di sapere qualcosa non farti problemi a chiedere. Lavoriamo qui da 5 anni e un po’ di cose le sappiamo” dissi tirando Clay fuori dall’ufficio.
Sean sorrise e abbassò di nuovo la testa sulla montagna di carte. 

“Ma che cavolo ti prende Claire, sembravi una bambola senza vita là dentro.” Dissi scuotendo la mia amica.
“No dico, Elly lo hai visto? E’ meraviglioso. Deve essere mio.” Dicendo così ci mettemmo a ridere insieme e la nostra giornata iniziò.
Non sapevamo niente della vita privata di Jack, non ci eravamo mai interessate. Pensavamo fosse solo, ma evidentemente qualche famigliare vicino lo aveva.
Durante la giornata vedemmo passare avanti e indietro Sean una dozzina di volte, sicuramente Jack non era un esempio di ordine e probabilmente Sean stava impazzendo dentro quell’ufficio.
Nel pomeriggio con una piccola spintarella da parte mia, Clay decise di portargli un pasto caldo nell’ufficio; avrebbe dovuto staccare la spina 10 minuti altrimenti sarebbe diventato pazzo.
Vidi scomparire la mia amica dietro quella porta, il locale era abbastanza pieno, ma me la cavavo alla grande. Ero curiosissima di sapere cosa stava succedendo in quella stanza, tant’è che ogni 2 minuti fissavo la porta chiusa.
Quando Clay uscì aveva un sorriso che si sarebbe notato ad un paio di chilometri di distanza, si avvicinò di corsa a me; il nostro turno stava per finire e sicuramente voleva raccontarmi tutto. Le ragazze che ci avrebbero dato il cambio dopo poco arrivarono, spiegammo loro la situazione e finimmo di servire un paio di clienti. 

Quando entrammo nello spogliatoio Clay iniziò a parlare a raffica.
“Oddio Elly, mi sono innamorata. Quel ragazzo è qualcosa di semplicemente unico. Ha un sorriso che mi fa fermare il cuore, i suoi occhi sembrano due smeraldi. Ha una voce così sensuale che gli sarei saltata addosso in quell’ufficio. Devo conoscerlo meglio, voglio sapere chi è e perché è così bello.” Clay si sedette sulla panca sognando.
“Ok, adesso calmati Clay. Dovrà stare qui un po’ di tempo e credo avrai modo di conoscerlo e farlo innamorare. Sapendo come sei, non ti arrenderai finché non succederà, dunque vai e buttati.”
Clay si cambiò in fretta e furia e mi tirò fuori dallo spogliatoio. “Adesso io lo invito a fare un giro e tu stai qui di fianco a me così mi dai forza.” La guardai ridendo e mi misi sull’attenti. “Sono ai suoi ordini signorina Claire.”
In quel momento Sean aprì la porta dell’ufficio, aveva i capelli scompigliati e il viso stanco.
“Ragazze, non ne posso più. Il locale è sempre andato bene, ma mio zio per le parti amministrative proprio non ci sa fare, ci sono un sacco di cose fuori posto. Per oggi però mi fermo, sono distrutto.”
Gli occhi di Clay si illuminarono, era la sua occasione e non l’avrebbe buttata al vento.
“Beh Sean che ne dici di venire a fare un giro, così ti rilassi un po’ e ti rinfreschi le idee.” Io continuavo ad osservarli, ma piano piano mi allontanai da loro. Volevo lasciarli soli e poi io avevo voglia di vedere Mark.
“Speravo qualcuno me lo chiedesse, non conosco quest’isola, è sempre stato mio zio a venirmi a trovare, io non sono mai venuto qui. Aspetta Claire, dico un paio di cose alle altre ragazze e poi sono pronto.” 

Clay si girò per farmi l’occhiolino ed io esultai per lei. “Ci sentiamo dopo signorina Claire” dissi scherzando. Salutai tutti e uscii. Andai verso la macchina e ritrovai Mark appoggiato alla portiera che mi aspettava sorridendo. 
Mi era mancato, erano poche ore che stavamo lontani, ma mi sembrava fosse passato un secolo.
Mi avvicinai e lui aprì le braccia, mi ci buttai dentro e lo abbracciai forte. Non mi interessava di tutte le persone che ci stavano osservando in quel momento, sapevo che era un uomo desiderato e invidiato da molti in paese; ma non mi interessava volevo solo stare fra le sue braccia.
“Ciao Elly. Hai finito ora? Com’è andata? Sei guarita?”
“Ehi, ma quante domande oggi” dissi ridendo. “Sì ho finito ora e sto alla grande. Inoltre anche Clay sta benissimo.” Proprio in quel momento la mia amica uscì dal locale con Sean vicino, stavano chiacchierando amabilmente e non si accorsero nemmeno di noi.
“E chi è quel bel fusto?” Chiese Mark incuriosito mentre li osservava allontanarsi.
“E’ il futuro marito di Claire. No scherzo, è il nipote del capo; è venuto a sostituirlo e Clay lo ha già intrappolato nelle sue grinfie.” Dissi divertita.
“Io quel ragazzo l’ho già visto da qualche parte, ma non ricordo dove. Comunque, cosa vuoi fare di bello oggi? Io mi sono svegliato poco fa, il turno di stanotte è stato molto pesante.”
“Probabilmente lo avrai visto stanotte in ospedale, Jack è stato male, ha avuto un infarto e Sean è venuto qui per occuparsi di lui e del locale.” Mi girai di nuovo verso di lui e mi persi nei suoi occhi. Avevo voglia di baciarlo, ma non sapevo se voleva farsi vedere o se voleva che lo baciassi. 

Al diavolo, mi ha baciato lui per primo ieri e ora ne deve subire le conseguenze, se non avesse voluto imbarcarsi in questa avventura avrebbe tenuto mani e bocca a posto ieri.
Lentamente mi strinsi a lui e avvicinai il mio viso al suo, le nostre bocche erano a pochi centimetri, nessuno dei due si muoveva.
“Mi sei mancata in queste ore Elly.” Disse mentre appoggiò le sue labbra alle mie. Ed ecco quel sapore. Il suo sapore. Ecco il calore che lo contraddistingueva. Ecco la morbidezza, dolcezza e passione.
Ricambiai il bacio abbandonandomi a lui, sentii la sua lingua spingere verso la mia bocca che aprii un po’ di più.
Le nostre lingue si unirono, come se stessero danzando insieme, lentamente e dolcemente stavamo assaporando questo bacio, scoprendoci insieme.
“Ok, forse è meglio che ci fermiamo un attimo.” Disse con un leggero fiatone.
Mi guardai attorno e molti ci stavano fissando, ma non mi accorsi che eravamo praticamente sdraiati sul cofano della macchina, io sopra di lui, con una gamba fra le sue; le mani fra i suoi capelli e lui che mi accarezzava la schiena fino ad arrivare ai glutei.
“Ehm, sì forse è meglio che ci fermiamo. Scusami, non mi ero accorta di quello che stava succedendo al di fuori delle nostre bocche.” Dissi sorridendo e tirandomi su da lui. Si alzò anche lui e iniziò a ridere.
“Ti assicuro che nemmeno io me ne stavo accorgendo, poi ho iniziato a sentire il freddo e duro della tua macchina e allora ho aperto gli occhi e me ne sono reso conto.” Mi passò un braccio sulle spalle e mi attirò a lui. 

“Allora dottor Conner, qui fuori fa freddo. Decidiamo cosa fare prima che diventiamo due statue di ghiaccio.” Iniziammo a camminare verso la sua macchina. “Ti andrebbe di vedere casa mia? Io la tua l’ho vista, ora devi ricambiare.” Disse stuzzicandomi.
“Ok, ti ringrazio per l’invito e lo accetto molto volentieri caro. Sono curiosa di scoprire il tuo mondo e cosa combini quando non sei in ospedale.”
Salimmo in macchina e mentre partivamo mise una mano sulla mia gamba. “Spero ti piacerà, è un po’ fuori paese, leggermente in campagna.”
Guardavo la sua mano e la immaginavo mentre si muoveva sul mio corpo, ero davvero senza speranza. Ogni volta che mi toccava speravo sempre di finire a letto con lui.
“Beh, io amo la campagna. Ho sempre desiderato viverci, ma purtroppo ho trovato questo appartamento in centro e sono comoda così. E sicuramente amerò la tua casa solo per il fatto che è tua.” Mi girai a guardarlo, il suo profilo era perfetto.
“Che bella cosa che hai detto Elly. Non hai idea di quanto sia contento di come stanno andando le cose. Cercavo una persona come te da una vita, ma non sapevo ti avrei trovato a pochi chilometri da me, ho fatto bene ad aspettare.”
Allungai una mano accarezzando il suo volto. Avrei voluto baciarlo, ma in quel momento non era il caso, così mi limitai ad appoggiarmi alla sua spalla mentre guidava, era un gesto semplice, ma sarei rimasta così per ore ed ore. Era come se la sua spalla fosse stata costruita apposta per accogliere il mio viso. Sembrava fossimo stati fatti con lo stampo, io mi adattavo a lui e lui a me.


Quando arrivammo mi ritrovai di fronte una tenuta di campagna enorme. La casa era su due piani, circondata da un giardino maestoso che nonostante il tempo freddo rimaneva comunque molto curato. Dietro alla casa si intravedeva una piccola fattoria con dei campi che sicuramente erano di loro proprietà.
Rimasi a bocca aperta per qualche attimo, prima di incamminarmi insieme a lui verso l’entrata.
“Dio è enorme Mark, come facevi anche solo a pensare che non mi piacesse la tua casa.” Quando aprì la porta un profumo di rosa mi invase.
“Prego signorina, le do il benvenuto a casa Conner, sai quando le persone vedono casa mia pensano subito che io sia un riccone senza cervello, ecco perché avevo dei dubbi.” Disse Mark facendo un gesto con il braccio in senso di accoglienza.
“Grazie signor Conner. Adesso però deve farmi visitare questo posto. Voglio scoprire ogni angolo, che non ti passi più per la testa che possa non piacermi casa tua.” Dissi sorridendo e prendendo la sua mano.
“Diciamo che il piano di sotto è dei miei ed io in teoria ho l’entrata privata dietro, per salire su da me. Piano tutto ed esclusivamente mio.” Disse curiosando nel mio sguardo.
Giravo su me stessa per apprezzare ogni angolo di quella casa. “Tua madre ha buongusto, mi piace moltissimo lo stile semplice ma accogliente che ha dato alla casa.”
“Mmm, come hai fatto a capire che è tutta opera di mia madre?” Chiese continuando a guardarmi.
“Beh si vede lo stile femminile. Si percepisce e poi con tutti questi fiori e piante, c’è un profumo buonissimo. Ma dimmi, tu non mi sembri molto.... ‘botanico’, chi si occupa di tutti questi fiori e del giardino durante l’assenza di tua madre?” Chiesi continuando a guardare tutti i colori che mi circondavano.
“Hai ragione, amo i fiori, ma non mi piace prendermene cura. Un’amica di mia madre viene qui tutti i giorni per curare tutto ciò. Inoltre il figlio di questa signora lavora nella fattoria insieme a mio padre.” Disse camminando verso la prima stanza. 

Passammo attraverso una cucina a dir poco enorme piena di mensole e dispense, su una di queste spiccava un enorme ricettario. Sicuramente la signora Conner era un’ottima cuoca.
Passammo nel corridoio per dirigerci in salotto, quando intravidi una foto appesa al muro, rallentai il passo per poter osservare meglio ed ebbi la conferma di quello che avevo intravisto.
Cercai di non far notare a Mark il mio disagio per quella foto appena vista e lo seguii in sala.
Abbassai lo sguardo chiedendo a me stessa se fare la fidanzata gelosa era la mossa giusta, visto che non lo ero, o almeno non “ufficialmente”.

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Capitolo 11
*** Dancing Bodies ***


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Salve a tutti... Mamma mia, è un sacco che non aggiorno la storia, dunque spero mi perdonerete.


Beh questo capitolo è stato difficile per me ed ancora adesso non mi piace per niente. Devo ringraziare (ormai come sempre) il mio tesoro Ila, che ha sopportato i miei scleri e mi ha risollevato.
A lei a cui voglio un gran bene dedico questo capitolo...
Non voglio aggiungere altro, spero solo potrà piacervi almeno un pochino, ma se non sarà così vi dò il permesso di lanciarmi uova marcie xD
Buona lettura a tutti voi.




Capitolo 11. (Dancing Bodies)

Il salotto era accogliente come tutto il resto della casa, con un enorme tappeto dai colori caldi e un camino enorme che troneggiava su tutta la stanza; quadri e foto riempivano ogni parete.

Il pensiero tornò subito alla foto vista poco prima, volevo poterla vedere meglio.

Elly, calma. Non sei la sua fidanzata e non puoi sapere il motivo per cui una foto del suo matrimonio con la sua ex moglie sia ancora appena nella sua casa. Oddio, so già che diventerò matta e gli farò una scenata. Respira Elly, respira….

“Vieni dai, ti faccio vedere il piano di sopra; ma non aspettarti di trovare tutta questa pulizia e armonia.” Disse sorridendomi e tornando nel corridoio per salire al piano di sopra.

Lo guardai cercando di accennare un sorriso più convincente del dovuto.

“Elly, va tutto bene? Sicura che hai voglia di vedere la casa? Se vuoi fare altro devi solo dirmelo, non voglio annoiarti.” Mark tornò indietro e si fermò di fronte a me, mi prese una mano e la baciò.

Come poteva un uomo così perfetto nascondere qualcosa in una stupida foto.

“No Mark, sono giorni che sogno di vedere casa tua. Sono solo un po’ stanca, ma questo non mi fermerà.” Dissi stringendo la sua mano e facendo l’occhiolino. Speravo che la mia finta disinvoltura lo convincesse.

“Ok, mi fido. Ma se qualcosa non va dimmelo subito. Non voglio farti sentire a disagio.” Per fargli capire che volevo continuare il tour gli diedi una piccola spinta sulla schiena e lui si mise a ridere.

La foto era a pochi passi da noi, Mark mi precedette per farmi strada e iniziò a salire le scale, per mia fortuna non poteva seguire il mio sguardo.

La foto era contenuta in una cornice color bronzo; erano due foto vicine, di due matrimoni diversi con la stessa cornice identica.

La prima ritraeva il matrimonio dei genitori di Mark, erano giovani e sembravano tanto felici.

Nella seconda c’era Mark che teneva in braccio la sua ex moglie…. Un momento, sono sicura fosse realmente la sua ex? Forse sono ancora sposati. Non abbiamo mai parlato molto di questo. Aaaaah, non voglio farmi paranoie, se ne avrò voglia ne parlerò con lui, cercando di non fare la donna super gelosa.

…Lei aveva un vestito da principessa e un sorriso smagliante, sembravano due modelli di quelli che appaiono sulle riviste per future spose.

Era bionda con degli occhi che sembravano fissarmi attraverso una foto e attraverso anni e anni... Ma quanti anni? Quando si sono sposati? Come si chiama? Perché la foto è ancora qui?

Le domande mi stavano mandando in tilt il cervello e mi accorsi che Mark ormai era in cima alle scale e stava aprendo la porta, quando stava per girarsi io salii i primi scalini. Forse mi ero salvata.

“Sai anche se sono i miei genitori ho preferito una porta con una chiusura molto buona, le mamme sono sempre molto curiose e non amo che i miei ficchino il naso in casa mia senza il mio permesso.” Sembrava volesse spiegare il suo continuo girare la chiave nella toppa, mi chiedevo quante mandate potesse contenere quella porta; sorrisi cercando di limitare il mio desiderio di tornare indietro, prendere la foto e spiaccicargliela in faccia.

“Ecco qui il mio piccolo mondo.” Disse Mark, tutto era nella penombra le persiane erano socchiuse in ogni stanza, di porte ce n’erano poche, sembrava tutta un enorme stanza.

“Aspetta, apro qualche finestra almeno puoi vedere qualcosa.” Andò alla finestra più vicina e nel mentre sentii qualcosa toccarmi una gamba. Feci un salto di qualche metro e trattenei a stento un urlo.

Quando finalmente venni sommersa di luce mi ritrovai una piccola palla di pelo vicino al mio piede che miagolava dolcemente.

“Oh scusa. Come sei bello piccolo.” Dissi mentre mi rannicchiai vicino a quel micetto.

“E’ una lei e si chiama Milly.” Disse Mark mentre ci osservava fare amicizia.

La piccola gatta si rovesciò subito sulla schiena giocherellando con la mia mano, era bellissima e pensai subito che fosse uno di quegli animali che portava a casa suo figlio.

“E’ uno dei trovatelli di Seth?” Chiesi mentre mi rimettevo in piedi per poter iniziare ad ammirare la casa.

“Esatto, è l’ultima arrivata e per fortuna si è ambientata subito. Credo che per casa troverai qualche altro animale.” Disse ridendo mentre mi prendeva il cappotto e si toglieva il suo.

Iniziai a girare per tutte le camere. L’arredamento era ben diverso, molto più moderno e minimalista. Pochi mobili e molti colori tenui. Il bianco risaltava su tutto il resto. Le uniche stanze che avevano la porta erano le due camere con i rispettivi bagni, tutto il resto era completamente aperto.

“Mi piace molto, un mondo completamente diverso dal piano dei tuoi genitori.” Dissi mentre continuavo ad ammirare stupefatta. “Sono convinta che questo è tutto opera tua.” Dissi mentre vidi un paio di gatti sull’enorme letto di Mark.

“Ehi voi due, giù dal letto. Sapete che questa camera è off-limits. Cavolo devo essermi dimenticato la porta aperta oggi.” Disse mentre faceva uscire le due bestiole e richiudeva la porta alle sue spalle.

La mia attenzione venne attirata da altre foto, per fortuna questa volta niente donne bionde; solo tante foto di Seth, di animali e di un altro ragazzo che non riconoscevo.

Mark notò il mio sguardo verso le foto. “Questo era mio fratello. E’ morto 3 anni fa in un incidente in auto.” Il suo sguardo si spense leggermente ecco perché non indagai ulteriormente, non era quello il momento; quando sarebbe stato giusto me ne avrebbe parlato lui.

“Mi dispiace molto Mark. Ma per fortuna tutte queste altre foto strappano un sorriso e ridanno un po’ di equilibrio.” Dissi sperando di aver trovato le parole giuste.

Lui annuì e da dietro mi strinse per i fianchi appoggiando il suo mento alla mia spalla. “Sono sempre più convinto e desideroso di fare un’uscita tutti insieme con i nostri figli.” Sentivo il suo respiro vicino al mio collo e piccoli brividi iniziarono a muoversi sulla mia schiena.

“Ah Mark, non vedo l’ora torni Sophie, mi manca così tanto. Inoltre sai quanto questa tua idea mi piaccia, ecco un altro motivo per cui spero questi giorni passeranno più in fretta possibile.” Dissi appoggiando a mia volta la testa alla sua.

Rimanemmo in quella posizione in silenzio, osservando le foto di fronte a noi. I sorrisi stampati sulle bocche di tutti e due erano l’unica cosa che serviva in quel momento.

“Ehi, che ne dici di uno spuntino?” Disse schioccandomi un bacio sulla guancia.

“Certo che sì, inizio ad aver un certo appetito.” Alzai lo sguardo e vidi l’orologio. Erano quasi le sei di pomeriggio e io non avevo nemmeno pranzato quel giorno; ora capivo il motivo del continuo borbottio del mio stomaco.

“Tu mettiti comoda in sala, io preparo qualcosa per arrivare fino a cena senza morire di fame.” Disse mentre abbandonava la mia mano per dirigersi in cucina.

Mi sedetti sul divano e ci sprofondai dentro, letteralmente; era molto comodo e decisi di lasciar perdere la televisione. Rimasi lì mezza sdraiata guardando fuori dalla finestra e senza rendermene conto mi appisolai.

Quando riaprii gli occhi mi ritrovai addosso una coperta bianca, una luce soffusa illuminava la stanza, appena alzai la testa vidi Mark seduto in fondo dai miei piedi che leggeva un libro.

“Ben svegliata bella addormentata.” Disse mentre mi accarezzò una gamba.

Sorrisi stiracchiandomi senza rendermi conto dell’orario.

“Mmm, ma che ore sono? Fuori è già buio…” Dissi con la bocca ancora un po’ impastata e capendo piano piano che doveva essere passato un bel po’ di tempo.

“Sono le otto di sera, lo spuntino me lo sono mangiato da solo. Immagino che avrai fame, dunque se vuoi possiamo uscire a cena oppure ordinare qualcosa. Sinceramente io ora non ho voglia di preparare da mangiare e non dovresti nemmeno tu.”  Disse continuando a muovere lentamente la mano sulle mie gambe; a separare la nostra pelle c’erano i miei pantaloni e la coperta, ma sentivo lo stesso il suo calore e il suo tocco dolce.

“Mi dispiace un sacco, non volevo addormentarmi ma questo divano è un sonnifero. Io direi di ordinare qualcosa e mangiarlo a casa, si sta così bene qui.” Dissi guardando il fuoco del camino, spostai lo sguardo su di lui che mi osservava.

“So che non sono un gran bello spettacolo appena sveglia. Ti ho chiesto scusa.” Mi tirai la coperta fin sopra i capelli e subito dopo sentii il suo corpo allungarsi sul mio e una mano che spostava la coperta.

Mi ritrovai il suo viso a pochi centimetri dal mio. “Non ti azzardare mai più a dire una cosa del genere. Sei bellissima, il tuo viso è riposato e meraviglioso.” Speravo che nella penombra non notasse le mie guance che prendevano colore, ma mi sbagliai.

“Quanto tempo dovrà passare prima che ti abitui a questi complimenti. Sono sinceri e qualsiasi cosa tu dica non cambierà quello che penso.” Disse toccando il mio naso col suo; allungai una mano e infilai le dita fra i suoi capelli tirandolo a me.

La sua bocca calda e morbida si appoggiò sulla mia e iniziò a muoversi lentamente, il calore invase subito ogni cellula del mio corpo; lo desideravo come mai nessuno prima di lui.

Con l’altra mano accarezzai la sua schiena, i suoi muscoli erano tesi e potevo sentirli sotto la sua sottile maglietta di cotone.

Mi staccai da lui e i suoi occhi appassionati affondarono nei miei, in un attimo persi la testa.

Con le mani tirai su la maglietta e finalmente potei toccare la sua pelle, lui prese il mio viso fra le mani e mi baciò con passione.

Con la lingua disegnava le mie labbra e il mio respiro si abbatteva sul suo viso.

“Sai che non potrò rimanere un gentiluomo ancora per molto Elly?” Queste parole fecero scattare qualcosa in me. Io non volevo rimanesse un ‘gentiluomo’, io lo volevo su di me, dentro di me, intorno a me.

“Io ti voglio dottor Conner e non mi interessa del gentiluomo in questo momento.” Con un piccolo scatto lo feci alzare e mi scoprii; il suo sguardo era pieno di desiderio proprio come il mio.

Si levò la maglietta, mi mise un braccio dietro la schiena e mi tirò su. Subito dopo mi ritrovai seduta sopra di lui.

Le sue labbra sul mio collo e le sue mani sotto la mia camicia cercavano di slacciare il reggiseno.

Era di fronte a me mezzo nudo, iniziai a toccare il suo torace e il suo petto, mi soffermavo su ogni muscolo e poi mi abbassai per dargli piccoli baci ovunque. Sentivo che si muoveva sotto di me, sentivo che i suoi pantaloni iniziavano ad essere stretti.

Qualche piccolo verso uscì dalla mia bocca quando Mark mi alzò la maglietta e affondò il suo viso sul mio seno, le sue labbra e la sua lingua mi scoprivano con passione.

Continuavo a toccarlo e baciarlo sul collo, lui si alzò e mi prese in braccio tenendomi per il sedere; le nostre bocche non si staccavano un attimo e finimmo in camera da letto.

Mi appoggiò sul letto e iniziò a slacciarsi i pantaloni, lo fermai con una mano. Volevo essere io a continuare a scoprire il suo corpo.

Il mio viso era all’altezza del suo ventre e il rigonfiamento nei suoi pantaloni era ben visibile.

Iniziai a muovere le mie dita molto lentamente, slacciai la cintura e infilai un paio di dita dentro ai jeans, per solleticarlo un po’; alzai lo sguardo per ammirarlo e vidi il suo viso molto eccitato.

Sempre più desiderosa slacciai i pantaloni e li abbassai, iniziai ad accarezzare il suo membro attraverso il tessuto dei boxer, le mani di Mark viaggiavano veloci sulla mia schiena e stringeva i miei capelli.

Abbassai anche i boxer e con la bocca iniziai a compiere piccoli movimenti circolari, dapprima con lentezza per poi muovermi sempre più veloce.

Sentii le mani di Mark che mi tiravano su, lui stava scoppiando e io non ero da meno. Desideravo sentire le sue mani su di me.

“Adesso è il mio turno.” Disse ansimando, mi ributtò sul letto e si sdraiò sopra di me completamente nudo.

Io avevo ancora addosso i jeans ma il seno era scoperto e lui iniziò proprio da lì.

Con la lingua partì dal seno, muovendosi lentamente fino alla pancia per poi arrivare ai jeans, li slacciò con una mano, mentre con l’altra continuava a massaggiarmi i seni.

Io non riuscivo a stare ferma, ogni parte del mio corpo tremava di desiderio, ma non era ancora il momento.

Mi tirò via pantaloni e slip in un colpo solo e sentii il suo viso affondare nella mia intimità. La sua lingua si muoveva veloce e dolce su di me.

Mi sentivo calda, troppo calda. Lo desideravo dentro di me, così ansimando sempre più velocemente cercai di tirarlo su.

Per fortuna lui non si fece pregare, il suo viso tornò all’altezza del mio, era leggermente sudato e tremendamente sexy.

“Ti voglio Mark e non voglio più aspettare.” Dissi respirando sempre più a fatica.

Con una mossa veloce lui entrò dentro di me e mi si aprì il paradiso.

Ci muovevamo con lo stesso ritmo, il suo corpo si alzava e si abbassava e io lo seguivo, come fossimo una cosa sola. I nostri respiri avevano la stessa frequenza e i nostri cuori battevano all’unisono.

 

Ci ritrovammo sdraiati uno di fianco all’altro, ancora eccitati e sudati. Lui accarezzava le linee del mio corpo e io giocavo con il suo.

“E’ inspiegabile quello che ho provato e quello che sto provando in questo momento tesoro.” Disse mentre mi prese il viso per baciarmi.

Sentirmi chiamare tesoro da lui, in quel momento mi fece andare ancora di più in estasi.

Ricambiai il bacio e mi accoccolai fra le sue braccia.

“Vale lo stesso per me, non posso spiegarti come mi sento, ma sono sicura che tu possa capirlo. E’ stato favoloso, anche se è comunque riduttivo. Rimarrei così per ore ed ore.”

Lui si allontanò leggermente da me, giusto quel tanto che bastava per potermi guardare negli occhi.

“Elly, possiamo rimanere così per tutto il tempo che vuoi, non posso chiedere altro. Ti desideravo da giorni ed ora sto così bene che non vorrei far altro che stare qui con te.”

Mi persi nei suoi occhi e il mio cuore si perse fra le sue parole, non mi sembrava vero, non dopo tutto quello che mi era successo in passato. Mi sembrava tutto così perfetto che avevo paura di rovinare quel momento facendo o dicendo qualsiasi cosa. Così mi limitai a baciarlo e accarezzarlo in silenzio ammirando il suo corpo illuminato dalla luna che entrava dalla finestra.

L’unica cosa che riuscì a rovinare quel momento era un borbottio insistente che proveniva dalle nostre pance.

Ci mettemmo a ridere fragorosamente tutti e due.

“Oooook, credo sia il momento di nutrirci, non voglio morire su questo letto; anche se morire con te nuda di fianco a me non sarebbe niente male.” Gli tirai un pugno sulla schiena e mi misi a ridere.

“Che ore sono?” Dissi allungandomi su di lui per vedere l’orologio sul comodino; lui prese letteralmente un mio seno in bocca e sorridendo mi guardava.

“Mmm, così però non vale. Se fosse per me mi basteresti tu per nutrirmi.” Dissi mentre mi abbassavo verso il suo viso per baciarlo con passione.

“No, hai ragione. Dobbiamo mangiare, non sono ammesse altre distrazioni.” Si alzò dal letto e tutto il suo corpo si illuminò. Mi incantai a fissare il suo fondoschiena sodo e ben definito.

“Guarda che so che mi stai fissando piccola stalker.” Disse ridendo e buttandosi sul letto a peso morto.

“Aaaaah, ma hai gli occhi dietro la schiena? E comunque non posso farne a meno, il tuo corpo è perfetto, dunque se non vuoi farti guardare copriti per favore.” Dissi liberando dal mio peso una coperta del letto.

Mark appoggiò la sua testa alla mia pancia. “Cosa vuoi mangiare splendore?” A quest’ora non credo ci saranno molti posti disposti a fornirci cibo.” Disse ridendo.

Erano quasi le undici di sera e l’unico posto che mi venne in mente che poteva essere ancora aperto fu il ristorante cinese.

“Beh, se ti piace possiamo provare con il cinese. Forse sono ancora aperti.” Lui mi guardò sorridendo e allungò una mano verso il mio viso.

“Hai ragione. Hai preferenze o faccio io?” Disse mentre si alzava circondandosi con la coperta.

“No, mi fido del tuo buongusto. Che faccio ti aspetto qui?” Lo guardavo ed era praticamente imbambolato di fronte a me.

“Eh non vale neanche da parte tua però. Copriti anche tu, altrimenti questa telefonata non la farò mai.” Iniziai a ridere e mi infilai sotto il lenzuolo leggero.

“E comunque certo che mi aspetti qui, dove vorresti andare? Non c’è nessuno che ci vieta di mangiare nudi sul letto.” Disse mentre usciva dalla stanza, io gli tirai un cuscino dietro che rimase per terra inerme; la mia mira era veramente pessima.

Chiusi gli occhi e mi coprii il viso col lenzuolo mentre iniziai a piangere di gioia. Mi sentivo la donna più felice dell’universo, era come se potessi volare.

Non solo l’atto che avevamo appena compiuto, ma ogni cosa era avvenuta con semplicità e facilità.

La dolcezza, il modo di scherzare… Tutto sembrava perfetto e la mia testa si perse in pensieri di felicità completamente disconnessi.

Mi allungai nel letto sperando Mark tornasse presto, sentivo già la sua mancanza e nonostante tutto questa cosa mi faceva un po’ paura.

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Adesso invece è il momento di qualche link xD
Se vi interessa potete trovarmi su Facebook.
E poi vorrei lasciarvi il link di un paio di storie che trovo davvero bellissime.
I've lost who I am di Apletos.
Red Dot di Ofelia.
A questo punto buona lettura a tutti e fate un salto in queste
bellissime storie che vi rapiranno *-*

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Capitolo 12
*** Living in a Fairytale? ***




Buonasera a tutti. Eccomi di nuovo qui per aggiornare, il dodicesimo capitolo.

Vorrei ringraziare come sempre tutte quelle persone che passano di qui e mi fanno felici con le loro recensioni, ma anche quelle persone che leggono in silenzio senza dire niente. A me fa sempre piacere sapere che la mia storia viene letta.

Questa volta non ho molto da dire, questo capitolo vi farà capire ancora meglio la forte e profonda amicizia che legga Elly e Clay.

Buona lettura a tutti voi e buon ascolto. Questa canzone mi fa venire i brividi da quanto mi emoziona.
 





Capitolo 12. (Living in a Fairytale?)

Mi svegliai con il rumore forte dei tuoni, aprii un occhio alla volta cercando di mettere a fuoco la stanza, era leggermente illuminata, girai lo sguardo verso la finestra e notai che le persiane erano aperte e che fuori c’era la tipica luce bluastra dei temporali.

Mi alzai appoggiandomi su un gomito e notai che di fianco a me appoggiato sul piumone c’era un foglietto bianco.

Guardai l’orario per capire dove fosse Mark, improvvisamente mi sentivo a disagio in quella casa non mia senza la sua presenza.

Dormivi così bene che ho preferito non svegliarti. Faccio il turno di mattino oggi e così sono uscito da casa mia come un ladro per non disturbarti J

Fai come se fossi a casa tua, preparati la colazione, fatti una doccia… Insomma, tutto quello che vuoi e ricorda che la giornata di ieri sarà per sempre nella mia memoria e nel mio cuore. Un bacio dolce stella.”

Strinsi quel piccolo foglietto al petto ripensando a quell’uomo che mi aveva fatto perdere la testa, ma mi aveva fatto ritrovare il cuore; finalmente lo sentivo battere di vero amore, ero certa di esserne innamorata, era palese. Ma come sempre un velo di paura invase i miei pensieri.

Non conoscevo molto di Mark, ma nonostante questo ero riuscita a fidarmi ciecamente, proprio come se lo conoscessi da una vita. Avevo paura che tutto fosse troppo perfetto, avevo paura che fosse uno di quei bellissimi sogni che facevo, avevo paura che con uno schioccare di dita tutto sfuggisse al mio controllo e scomparisse nel nulla.

Sbuffai innervosita da quei pensieri che mi rovinarono quel bel momento. Riguardai il foglietto e lo accarezzai con due dita.

Quello che si dice della scrittura dei dottori non apparteneva di certo a Mark, la sua era comprensibile, fluida, regolare e precisa. Mi piaceva, anche quello mi piaceva di lui. Avrei mai trovato qualcosa che non mi andasse bene di quell’uomo?

Decisi di alzarmi e provare a vedere di prepararmi qualcosa da mangiare, notai che Mark aveva lasciato i miei vestiti accuratamente piegati ai piedi del letto. Non li indossai, vidi la sua vestaglia e decisi di mettermi quella. Mi avvolsi in essa sentendo il suo profumo che mi inebriò all’istante, rimasi qualche attimo ferma a coccolarmi in quella stoffa morbida e profumata.

Non mi piaceva curiosare nelle case altrui, ecco perché cercai di aprire solo gli sportelli necessari per prepararmi un tè con qualche biscotto, aprii le persiane e mi sedetti di fronte alla finestra.

Il panorama era mozzafiato, si vedeva la scogliera in lontananza e tutto il territorio collinare e verdeggiante, pensai a come sarebbe stato svegliarsi ogni mattina in quel posto; era rilassante e paradisiaco.

Pensi già ad una vita insieme a lui? Non credi sia un po’ troppo presto Elly? Stiamo bene insieme, ma non per questo vuol dire che lui voglia una relazione seria.

Ed ecco che quel pensiero mi colpì e affondò. Forse la mia paura continua dipendeva da questo dubbio, di certo non potevo andare da lui e chiedergli se avrebbe voluto convivere con me. Non eravamo ragazzini, avevamo dei figli e prima di tutto doveva interessarci il loro benessere.

Pensai subito a Sophie e decisi di chiamare mia mamma, erano già le dieci di mattina e speravo fossero sveglie.

Mi rispose Sophie dopo pochi squilli… “Ciao mammaaaaaa. Non vedevo l’ora di sentirti, la nonna mi ha detto che ieri hai chiamato che ancora dormivo.” Mi vennero gli occhi lucidi a sentire la sua voce squillante e allegra, mi mancava come può mancare l’aria.

“Piccola mia, come stai? Continuano bene le tue vacanze?”

“Sì, vanno benissimo e sai finalmente ho quasi finito i compiti così pensavamo di sentire Jinny e i suoi nonni per i primi giorni di gennaio; così per passare un po’ di tempo insieme. Tanto di posto qui a casa della nonna ce n’è tanto.”

Ero felice di sapere che la mia piccola Sophie si impegnava e si ricordava sempre della sua amica. Sicuramente sarebbero riusciti ad organizzarsi e poi finalmente l’avrei rivista.

“Sono contenta che ti stai divertendo e che le cose vadano bene. La nonna sta bene, vero?”

“Sì, è un po’ raffreddata, ma è sempre lei quella che ha idee per passare il tempo, mi sta facendo divertire un sacco. E tu mamma, come stai?”

Decisi di iniziare a parlarle di Mark, non mi piaceva tenere nascoste le cose, meno di tutti a lei.

“Va tutto bene tesoro, come sempre. Sai che ho conosciuto il papà di Seth, è un uomo molto simpatico e ci ha invitato ad uscire tutti insieme al ritorno tuo e di suo figlio. Ti andrebbe?”

Mi sembrava il modo migliore per iniziare il discorso, ma dall’altra parte del telefono mi colse inaspettatamente il silenzio di mia figlia.

“Sophie, ci sei? Guarda che se non ti va basta che me lo dici, sai che non ci sono problemi.”

Un urlo mi ruppe quasi un timpano. “Mamma, sei impazzita? Non mi va, ma certo che mi vaaaaaaaaaaa. Wow, una serata insieme a Seth. Ci divertiremo tantissimo, non vedo l’ora dunque mettetevi d’accordo per giorno e ora.” Rimasi sbigottita, ecco la piccola adolescente precoce che usciva in Sophie.

Iniziai a ridere e non riuscivo più a smettere.

“Ok… ahahahah… piccola va bene, ci organizziamo così quando tornate saremo pronti per questa bellissima uscita.”

Sophie in balia di un ‘isterismo pre – appuntamento mi passò mia mamma, probabilmente facendo cadere il cellulare perché sentii un tonfo.

Appena mia madre rispose al telefono mi ritornò in mente la fantomatica riapparizione di mio padre, purtroppo non era argomento di cui volevo parlare al telefono, anche se era un peso che in certi attimi mi opprimeva.

Cercai di ristabilire un tono di voce accettabile e iniziammo a parlare della data di rientro, mi serviva per far passare prima i giorni che ancora mancavano. Decidemmo che probabilmente sarebbero tornate il 5 gennaio, qualche giorno prima di quello che avevamo pensato all’inizio. Poi mia madre si sarebbe fermata da me per un paio giorni prima di tornare a Londra per il lavoro.

Quando conclusi la telefonata mi diressi verso il bagno e aprii l’acqua per farla scaldare un po’.

Come sempre sotto la doccia i pensieri fluivano veloci.

Mi sentivo inesorabilmente sua, volevo essere sua con tutta me stessa. Il mio cuore voleva trovare un rifugio caldo e accogliente in lui. Il respiro mi mancava quando non ero vicino a lui e il mio cuore perdeva dei battiti per la sua assenza. Possibile che fossi caduta nel vortice della ‘dipendenza’ così in fretta? Forse ero troppo esagerata, ma dovevo avere pazienza. Lui era coinvolto, potevo percepirlo, ma non fino a questo punto, almeno così pensavo io.

Uscii dalla doccia e mi vestii per uscire, presi con me il biglietto di Mark e lo infilai nel portafoglio, proprio come fosse un piccolo tesoro.

Quando passai di nuovo per le scale mi soffermai di fronte alla foto del matrimonio. Le domande tornarono a tamburellare la mia mente e decisi che appena avessi rivisto Mark gliene avrei parlato; avevo già troppi dubbi su questa ‘relazione’ e di certo pensieri aggiuntivi non mi facevano bene.

Era un problema facile da risolvere, sperai.

Sentii per sms Clay e decidemmo di incontrarci per una pizza al centro commerciale. Avevamo cose da raccontare tutte e due.

Eravamo ancora nel parcheggio a parecchi metri di distanza che iniziammo a correre una contro l’altra. Immaginavo quelle scene a rallentatore che si vedono nei film, quando due persone si incontrano dopo anni… Beh, noi non ci eravamo viste per un giorno.

Ci abbracciamo così forte che pensai ci saremmo stritolate a vicenda e parlammo nello stesso istante.

“Ho così tante cose da raccontarti.” Ci guardammo e iniziammo a ridere.

Una volta sedute davanti ad una pizza e una bella birra ci calmammo e smettemmo di parlare contemporaneamente.

“Allora com’è andata con Sean? Come avete passato il pomeriggio?” Capii subito dallo sguardo sognante di Clay che le cose erano andate alla grande, ma non avevo mai avuto un dubbio che sarebbe stato il contrario.  Quella ragazza era splendida e ti trascinava nel suo mondo meraviglioso, era impossibile non amarla.

“Siamo andati in giro per l’isola, gli ho fatto vedere la piccola cattedrale, la piazza e gli altri tipici monumenti, poi l’ho portato ad ammirare il panorama dal faro. In tutto questo non ci siamo mai fermati un attimo con le chiacchiere, lui mi ha raccontato la sua vita e io la mia. E’ un uomo meraviglioso.”

Continuavo a fissarla in attesa di news più succulente, ma Clay taceva.

“Ma allora, vuoi continuare? Poi cosa è successo? Dai, non tenermi sulle spine.” Con un’alzata di spalle mi guardò ridendo.

“Come sei curiosa amica mia. E poi niente, abbiamo cenato insieme e siamo andati a vedere un film, insomma niente di che per un primo appuntamento.”

“Tu dai della curiosa a me quando tu vorresti sapere ogni secondo dei miei incontri con Mark? E comunque una tranquilla serata, al cinema col buio……..” Iniziai a prenderla in giro e lei mi tirò un paio di calci da sotto il tavolo.

“Sì sì, prendimi pure in giro. Tanto stasera dopo il turno mi ha invitato a ballare in un locale di Dublino.” Rimasi sbigottita, la mia amica era molto più audace di me, speravo solo prendesse tutto molto alla leggera, non volevo vederla soffrire.

“Ah bene, andate già a ballare, bravi… Immagino come vi struscerete.” Lo sguardo di Clay cambiò repentinamente.

“E tu invece cos’hai combinato piccola strega?” Le spiegai quello che era successo la sera e notte prima e la reazione di Claire fu quella di saltarmi addosso per abbracciarmi dalla gioia urlando.

“La mia piccola zitella che si innamora e trova l’uomo della sua vita.” Ci scambiammo sguardi di intesa, i suoi erano veramente felici per me e i miei erano persi fra il ricordo dei baci appassionati di Mark.

“Non mi va di parlare ancora d’amore Clay. Sai ci conosciamo da poco e per ora le cose sono ancora molto strane. Voglio conoscerlo meglio prima di dire che lo amo.” Abbassai lo sguardo contorcendo le dita, ecco di nuovo quella fitta di paura.

“Beh le tue parole dicono questo, ma il tuo sguardo dice esattamente il contrario. So che hai paura, ma prova a vivere le cose come vengono. Non farti troppe domande, non farti venire dubbi. Le cose vanno come vuole il destino e se voi siete destinati a stare insieme così avverrà. Non voglio più vedere sguardi tristi o persi nel vuoto ora che c’è lui.” Ed ecco la mia migliore amica che mi confortava come solo lei poteva fare.

“Clay, io ho paura perché Mark è diventato il centro del mio universo troppo velocemente. Non doveva accadere così, abbiamo un passato complicato e nel nostro presente e futuro ci saranno sempre i nostri figli. Dobbiamo pensare a loro prima di tutto.”

“Elly, tu non hai mai pensato per prima a te. Anche quando non c’era Sophie il tuo benessere è sempre stato all’ultimo posto delle tue priorità ed ora è arrivato il momento di pensare a Eloise, solo a lei. Concediti un po’ di egoismo. Pensa al tuo benessere, perché poi questo si rifletterà anche su tua figlia e soprattutto non pensare al tuo passato, ormai è andato e finito; non serve a niente rimuginare su fatti ormai secolari. Vivi il presente così come ti viene mandato dal destino.”

Guardai Clay e la strinsi con le lacrime a gli occhi. Sapevo che aveva ragione, ma sarei riuscita a pensare solo a me lasciando da parte il passato e i dubbi?


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Capitolo 13
*** Friendship comes First ***




Salve a tutti. Sono orrendamente in ritardo con questo aggiornamento e chiedo perdono, ho avuto problemi. Spero solo voi siate stati abbastanza pazienti da aspettarmi.

In questo capitolo ritroveremo di nuovo la forte amicizie fra le due donne, ma soprattutto un personaggio vi deluderà enormemente :)

Spero lo apprezzerete.
La canzone che ho scelto è della stessa artista che ho "usato" per il capitolo precedente. La sua voce scaturisce in me tantissime emozioni diverse.

Ah e prima che mi dimentichi. Ringrazio tutte le persone che lasciano un pensiero. Tutte quelle persone che mi spronano ad andare avanti. Non avrei mai pensato che una "semplice" storia come questa potesse piacere. Grazie di cuore!

Buona lettura e buon ascolto.



Capitolo 13. (Friendship comes First)

Ero rimasta sola alla caffetteria, avevo detto a Sean e Claire di andare a passare la loro bella serata; io mi sarei arrangiata, tanto quella sera il locale era abbastanza deserto.

Come sempre accesi la musica che mi riempì di energia e voglia di fare, decisi di dare una bella pulita a gli spogliatoi, troppo spesso lasciati da parte.

Stavo canticchiando in attesa che arrivasse Mark, mi aveva detto qualche ora prima che verso le undici sarebbe venuto a trovarmi; sentii il cellulare suonare nella tasca del mio giubbotto appeso all’anta dell’armadietto.

Il numero era di Clay, non capivo cosa volesse visto che era insieme alla sua nuova fiamma.

“Ehi piccola mia, non ti diverti? Non puoi fare a meno della tua migliore amica neanche in questi momenti?” Risposi ridendo pensando di prenderla un po’ in giro.

Dall’altra parte del telefono sentii solo dei singhiozzi. Il mio tono cambiò repentinamente, proprio come il mio respiro che si affannò subito.

“Clay, cosa succede? Dove sei? Parlami.”

“El-Elly…Sono in una…stanza di un hotel, penso a Dublino.” La voce della mia amica era spezzata dal pianto e facevo fatica a capirla dato che parlava in un sussurro.

“Ok, sei in una camera d’albergo, e? Cosa ti ha fatto Sean?” Ero sempre più in preda al panico, erano anni che non la sentivo così sconvolta.

“Abbiamo fatto sesso e poi lui è scomparso, mi ha lasciato qui da sola dicendomi che aveva ottenuto quello che voleva. Una serata carina in cui spassarsela con una bella donna.” Clay buttò fuori tutto in un fiato e poi precipitò ancora fra le lacrime disperate.

“Ma ti ha fatto del male?” Non potevo pensare che potesse essere successo qualcosa di brutto, la vista si annebbiò… Clay era parte di me, come una sorella gemella, non avrei sopportato niente, inoltre odiavo sentirla piangere.

“No, non mi ha fatto niente… Ero consenziente, ma non me lo aspettavo, ci sono rimasta di merda. Mi sembrava un uomo così buono e gentile…. Se ne è andato lasciandomi qui e non so come tornare a casa…” Di nuovo le lacrime.

“Ok, riesci a vedere il nome dell’hotel, vengo a prenderti io. Tu non muoverti di lì.”

Mentre parlavo buttai per terra la scopa e mi infilai il giubbotto, mi salvai il nome dell’hotel sul cellulare e corsi fuori spegnendo le luci; presi le chiavi e chiusi la porta del locale.

Sentii una mano che mi toccò la spalla e sobbalzai dallo spavento. “Ehi tesoro, calmati. Cosa succede?” Era Mark, ma non c’era tempo di spiegare.

“Mark mi dispiace per stasera non posso rimanere. Devo andare da Claire, ha bisogno di me.” Dissi mentre mi allontanavo, dovevo prendere il traghetto e quello che stava per partire era proprio l’ultimo tragitto della serata. Non mi interessai di fare il biglietto, mi diressi verso la macchina per imbarcarla.

Mark mi fermò per un braccio. “Aspetta, ti accompagno, prendiamo la mia macchina è più veloce ed ha il navigatore.” Disse tirandomi verso la sua Mercedes.

Imbarcammo la macchina e rimanemmo seduti. Il percorso del traghetto era abbastanza veloce e sicuramente l’auto di Mark sarebbe stata d’aiuto a percorrere tutti quei chilometri che avrebbero separato Dublino da Portstewart; il porto in cui saremmo arrivati.

Io tremavo e Mark mi guardava, mi prese la mano e la strinse. “Cosa sta succedendo Elly? La tua amica è in pericolo?”

Mi girai a fissarlo, come fosse un fantasma, sobbalzai. “Oddio, no no non è in pericolo. Non deve essere in pericolo. Dobbiamo andarla a prendere in un hotel a Dublino. Quel bastardo di Sean l’ha lasciata lì senza dirle niente.”

Ero in preda al panico e stavolta nemmeno la presenza di Mark serviva a calmarmi.

“Ok, fammi vedere il nome dell’hotel, così lo impostiamo nel navigatore e vediamo di trovare la via più veloce.” Anche in questa situazione sapeva come comportarsi. Sapeva che niente avrebbe distolto la mia attenzione da Clay e così concentrò anche la sua, due menti erano meglio di una.

Guardando il navigatore non ci accorgemmo che eravamo quasi arrivati. Per fortuna avevamo trovato una via veloce per raggiungerlo ed eravamo ancora più fortunati perché nessuno si accorse che eravamo saliti senza biglietto.

Mark uscì dal porto e ingranò la marcia, la sua macchina sfrecciava fra le strade buie e trafficate.

Non parlavamo, non sarei stata in grado di affrontare nessun discorso, fissavo la strada e poi il navigatore e ancora la strada. Non vedevo l’ora che la voce metallica mi distogliesse dai pensieri per avvisarci che eravamo arrivati.

Presi il cellulare e provai a chiamare Claire, che non rispose. Ripresi a tremare e sudare. Perché non rispondeva? Cosa succedeva? Stava bene?

Continuai a chiamare e sentire squillare a vuoto mi stava facendo cadere in un buco nero. DOVEVO sentire la sua voce.

Finalmente dopo la quarta telefonata Clay rispose.

“Si può sapere dove cazzo eri finita? Sono quattro volte che ti chiamo, vuoi farmi venire un infarto per caso?” Avevo il fiatone ed ero terrorizzata dalla sua risposta.

“No, Elly ti prego calmati. Va tutto bene, ero solo in bagno che cercavo di ripulirmi il viso da tutto il trucco sbavato. Va tutto bene, sono qui che ti aspetto.” La voce di Clay era sicuramente più tranquilla della prima telefonata, ma sentivo comunque una piccola punta di disperazione nella sua voce, che lei cercava di nascondere con destrezza.

“Ok, scusami. Ho solo bisogno di vederti con i miei occhi, poi riuscirò a calmarmi anch’io. Comunque fra mezzora saremo lì, fatti trovare nella hall così ce ne andiamo subito.”

Quando infilai il cellulare in tasca sbuffai fuori tutta l’ansia che mi stava distruggendo i nervi. Volevo così tanto bene a Claire, lei era metà della mia anima, non avrei potuto stare senza di lei e non potevo nemmeno immaginare che fosse sola in una situazione potenzialmente pericolosa.

Forse a gli occhi di Mark sembravo esagerata, ma non era così. Tenevo a lei come fosse mia sorella, mia figlia, mia madre… Lei era tutte loro messe insieme. Lei era Claire.

“Tesoro, fai un bel respiro. Quando arriveremo dovrai sostenerla e farla sfogare, non puoi farti trovare in queste condizioni.”

Aveva perfettamente ragione, mi girai a guardarlo e gli sorrisi. “Grazie Mark.” Mi limitai a dire quelle parole, ma le sputai fuori insieme ad un pezzo del mio cuore.

Lui mi attirò a se con un braccio e mi baciò la fronte sorridendo. “Andrà tutto bene Elly. Claire è fortunata ad avere un’amica come te che corre subito in suo aiuto. Riuscirete a superare questa situazione insieme.”

Né io né lui sapevamo chiaramente cosa fosse successo, ma nonostante questo le sue parole mi fecero calmare perché sapevo che era così. Sapevo che insieme avremmo superato tutto, era sempre stato così. Io e Clay eravamo fatte per superare i problemi.

Scesi dalla macchina e entrai nella hall dell’hotel come un treno in corsa. Clay era seduta su un divanetto con gli occhi chiusi.

Corsi da lei e l’abbracciai subito, senza nemmeno salutarla. Lei scoppiò a piangere fra le mie braccia, non servivano parole in quel momento, bastava il calore dell’amicizia.

L’aiutai ad alzarsi e tornammo in macchina, scambiando due veloci occhiate con Mark decisi di sedermi sui sedili posteriori insieme a lei.

Finalmente smise di piangere e iniziò a parlare senza che io le chiedessi niente.

“Sai, ieri sera eravamo stati così bene insieme, quando parlavamo mi sembrava già di conoscerlo da una vita. Era stato gentile e dolce e alla fine tutti e due ammettemmo di essere stati molto bene.” Fece una piccola pausa e si appoggiò al mio petto emettendo piccoli singhiozzi, io le accarezzavo i capelli in attesa che continuasse.

“Stasera invece mi sono lasciata andare, sono stata una stupida; mi sono fatta convincere dalle sue maniere da gentiluomo, mi sono fatta attirare dal suo comportamento così affabile… Ci sono cascata come una stupida, come fossi ancora un’adolescente.” Un’altra pausa, stavolta il suo tono di voce era di rimprovero, verso se stessa; certo non era stata attenta a lasciarsi andare così, ma la capivo e non mi andava di giudicarla per questa sua azione avventata.

“Mi ha portato in albergo perché doveva prendere delle sue cose, ha detto lui. Poi ci siamo lasciati andare, è successo tutto molto velocemente ed ero sinceramente contenta alla fine di tutto. Poi lui è cambiato repentinamente, il suo sguardo è diventato beffardo e duro. Dopo poco era vestito e pronto ad uscire. ‘E’ stato bello e troppo facile. Pensavo che essendo una donna così vissuta avresti opposto più resistenza. Beh comunque grazie per la scopata. Addio Claire.’ Ecco cosa mi ha detto prima di sbattere la porta. Io ero nuda e dopo essermi vestita sono corsa giù alla hall per vedere e capire se avesse lasciato un messaggio o una sua traccia, ma niente.”

La sua voce si spense e si raggomitolò addosso a me. La mia rabbia saliva prepotentemente e mi accorsi che anche Mark era decisamente nervoso. Guidava male e scuoteva la testa con vigore, le sue mani erano avvinghiate al volante e le sue nocche erano bianche da quanto era forte la presa.

“E’ stato un stronzo. Tu hai sbagliato a cadere nella sua trappola, ma di certo lui è stato un enorme e grosso stronzo.” Ero la sua migliore amica, ecco perché non diedi la colpa completa a Sean, non mi piaceva dare ragione a Clay solo perché era la mia migliore amica. Doveva capire che anche lei aveva fatto i suoi errori. Mi resi conto che ne era consapevole e che si era già ‘frustata’ abbastanza per l’errore commesso.

“Quando torniamo domattina andiamo in ufficio da Sean e gliene diciamo quattro.” Dissi tamburellando le dita sul vetro.

“Oh cazzo. Non avevo pensato al fatto che domattina me lo ritroverò davanti.” Un piccolo tremito di paura la percosse. La situazione non sarebbe certo stata facile e capivo il suo disagio.

“Se non ti va ci parlo solo io, certo non gliela faccio passare liscia.”

Il resto del viaggio continuò in silenzio, Mark accese la musica per alleviare il peso di quel mutismo.

Tutti ci rilassammo, addirittura Clay si addormentò fra le mie braccia.

L’accompagnammo a casa e le chiesi se voleva che le tenessi compagnia, ma la risposta fu un ‘no’ sorridente. Per fortuna stava un po’ meglio. Il resto dei problemi li avremmo affrontati insieme il giorno dopo.

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Capitolo 14
*** You'll not break me down ***


Buongiorno, cosa posso dire oltre che mi dispiace da morire per il ritardo (se così vogliamo chiamarlo) enorme per l'aggiornamento. Purtroppo ho passato un periodo pieno di impegni e completamente senza idee, quando tornavo a casa e mi mettevo al pc  avevo solo voglia di rilassarmi e non pensare a niente.
Spero che potrete perdonarmi, non mi aspetto di ritrovare tutti i lettori di quando ho iniziato, ma spero comunque che ci sia qualcuno che ha sperato io aggiornassi.
Buona lettura.
PS: La canzone questa volta è decisamente molto "dura" visto le situazioni che incontrerete nel capitolo :)






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Capitolo 14. (You’ll not break me dawn)

Quella mattina mi svegliai molto presto, lasciai un bacio fra i capelli profumati di Mark – che si era fermato da me quella notte – mi preparai di corsa ed uscii per andare alla tavola calda. Volevo arrivare là prima di Claire per aver modo di parlare con Sean di quello che era successo la sera appena trascorsa.

Quando arrivai mi trovai di fronte qualcosa che non avrei mai immaginato di vedere.

Due macchine della polizia erano parcheggiate proprio di fronte al locale  e c’era un via e vai di poliziotti.

Scesi dalla macchina e mi diressi verso l’entrata. “Mi scusi signorina, lei dove pensa di andare?” Mi disse uno degli uomini in divisa appena fuori dalla tavola calda.

“Lavoro qui e vorrei entrare per parlare col mio capo e capire cosa è successo.” Guardai quel poliziotto in malo modo, odiavo quel comportamento che assumevano sempre in questi casi, come se chiunque fosse un possibile assassino o ladro.

Dall’interno si sentì la voce di Sean che assicurava quel poliziotto. “La faccia passare, è una mia dipendente.” Disse osservandomi come se realmente fossi io la causa di tutto quel trambusto, ma se i suoi occhi facevano intendere questo, il suo sorrisino mi faceva dubitare.

“Sean, si può sapere cosa è successo qui?” Dissi guardandomi attorno. Il locale era sottosopra, un paio di poliziotti erano dietro al bancone vicino alla cassa e un altro paio li intravedevo nell’ufficio.

“Forse potresti dirmi tu cosa è successo. Questa notte sono entrati nel locale e hanno portato via tutti i soldi, anche quelli della cassaforte.” Il suo sguardo era duro e accusatorio.

Rimasi sbalordita di fronte a quell’accusa. “Scusa Sean, cosa c’entro io? Io ieri sera sono rimasta qui fino a che non ho ricevuto la telefonata in lacrime di Claire.” Dissi dando enfasi ad ogni singola parola. “Quando sono uscita ho chiuso tutto e sono corsa a Dublino a riprenderla, visto che TU l’hai lasciata sola.” La rabbia stava salendo, ma cercai di tenerla a freno soprattutto per capire per quale motivo Sean mi accusasse, strinsi i pugni e misi le braccia lungo i fianchi.

“Sei proprio sicura di aver chiuso tutto quanto? Io non credo proprio visto che non c’è nessun segno di effrazione e qui le chiavi le abbiamo solo io, tu e Claire. Le altre due ragazze non ne sono in possesso. Claire sappiamo benissimo tutti e due dov’era e qui c’eri solo tu. Sei uscita di corsa, in pena per la tua amica. Sono sicuro che tu ti sia dimenticata di chiudere la porta.” L’accusa era forte e il tono di rimprovero – come fossi una bambina – era insopportabile.

“Come scusa? Certo sono uscita di corsa per colpa di uno stronzo come te, ma non sono così scema da lasciare aperta una porta che chiudo automaticamente tutte le sere quando lascio questo posto. Lavoro qui da 6 anni e non ho mai commesso un errore simile, nemmeno quando dovevo correre da mia figlia perché stava male.” Il mio sguardo sosteneva il suo e l’odio che provavo per lui aumentava a dismisura, avrei voluto prendere quella sua testa di cazzo e sbatterla contro al muro del locale.

“Non ci sono scuse Eloise. Sei stata tu, non c’è altra spiegazione. Non mi interessa tutte le congetture che puoi costruire in questo momento. Tu eri qui, tu eri responsabile del locale e tu lo hai lasciato aperto. Non posso ammettere errori simili, soprattutto perché hanno rubato tutto l’incasso di quel giorno e anche tutti i soldi della cassaforte, si sono fatti un bel gruzzoletto.” In quel momento si avvicinò un poliziotto, probabilmente attirato dai toni accesi della nostra discussione; si affiancò a me, come un avvoltoio in attesa del suo pasto.

“Beh, perché non vieni a perquisire casa mia Sean, magari sono stata proprio io a rubare tutto. Ma andiamo mi consideri così tanto stupida, so fare il mio lavoro. Mi sembra assurdo che tu mi stia accusando, quando sono sempre stata la più sveglia qui dentro.” Sean esagerava con le accuse e io non riuscivo a tenere a freno la lingua. Anzi era già molto che riuscissi a tenere a freno le mie mani, che prudevano e avevano una voglia matta di tirare due schiaffi a quell’uomo.

“Signorina, sicuramente verremo a fare un giro a casa sua, intanto se posso chiederle di aprirci la macchina, vorremo dare un’occhiata. Se quello che il suo capo dice è la verità, lei è la prima sospettata.” Si avvicinò un altro poliziotto, sembravano in procinto di arrestarmi e io ero sull’orlo di una crisi di nervi.

“Avete un mandato per frugare nella mia macchina? Beh procuratevelo, dopo di che potrete fare quello che vorrete. Non ho paura, perché sono pulita.” Li guardai sfidandoli, ci avrebbero messo poco ad avere il mandato, ma intanto potevo rompere ancora un po’ le palle a Sean.

I due poliziotti si dileguarono fuori dal locale, ma non prima di avermi avvertito. “Signorina Walsh, per favore non si muova dal locale, non peggiori ancora di più la sua situazione.” Rimasi a bocca aperta per quelle parole.

Ma cosa cazzo succede? Ho per caso ammazzato qualcuno? Cosa ho fatto di male? Spero solo che questo non sia un pretesto di Sean per vendicarsi, sarebbe davvero troppo perfido e sbagliato. Ma posso aspettarmi di tutto da uno come lui.

Seguii Sean nell’ufficio, gli altri due poliziotti erano impegnati a cercare indizi nel locale e non facevano caso a noi, chiusi la porta e fissai con le braccia incrociate sul petto Sean.

“Adesso che siamo soli puoi spiegarmi le tue reali intenzioni Sean. So che queste sono tutte cazzate che ti stai inventando, si percepisce dal tuo sguardo. Stai cercando di prendere per il culo me e i poliziotti, solo che io non ti credo. So precisamente quello che ho fatto.” Il mio sguardo era fisso su di lui, si sedette sulla sua morbida poltrona e mi fissò congiungendo le mani sotto al mento.

“Eloise, puoi pensare quello che vuoi, qui dentro non interessa a nessuno. Non mi interessa quello che è successo ieri sera. Semplicemente non ti voglio più qui. Puoi andartene.” Abbassò lo sguardo e si mise a scrivere su dei fogli, ignorandomi proprio come se non ci fossi.

“Come scusa? Cosa intendi per ‘non ti voglio più qui’?” La mia domanda era retorica, avevo capito subito le sue intenzioni e sapevo bene cosa voleva da me; volevo solo sentirmelo dire chiaramente.

Alzò gli occhi su di me, la sua risata era sardonica. “Vattene di qui Eloise Walsh. Sei licenziata, non voglio ladri ne falsi nel mio locale.” Rimasi fissa a guardarlo. Sapevo che voleva questo, ma rendermi conto che era davvero così mi fece impallidire.

Questo lavoro è uno schifo, Sean è un verme e per suo zio vale lo stesso. Ma io ho bisogno di lavorare. Devo mantenere mia figlia, devo farla vivere bene.

Chiusi gli occhi, presi un respiro e allentai la presa delle mie mani, stavo stringendo così forte i pugni che mi ero conficcata un paio di unghie nel palmo. Aprii le mani e le appoggiai alla scrivania. Gli occhi chiusi e il respiro sempre più regolare.

“Sean, mi dispiace solo che tu sia di una pochezza così ampia. Pensi di farmi del male trattandomi così? Pensi che mi distruggerai la vita? Beh fattelo dire caro. Quando uscirò da questo locale le uniche persone che ci rimetteranno sarete tu e Jack. Se ti senti così solo e poco apprezzato da doverti vendicare su di me, non è certo colpa mia. Ma sono sicura che in futuro pagherai per la tua perfidia e la tua superficialità. Addio spaccone.” Dissi tutto in un fiato e poi uscii dall’ufficio. Una lacrima iniziò a scivolare sul mio viso, ma l’asciugai subito con la mano. Alzai lo sguardo e mi ritrovai di fronte Clay con lo sguardo attonito.

Le spiegai cosa era successo sperando non la prendesse troppo male e sperando che non le venisse una crisi di panico.

“Io qui senza di te non ci rimango Elly.” Così dicendo mi scansò e si diresse verso l’ufficio.

La presi per un polso. “Clay, non fare la stupida. Basta una sola di noi senza lavoro. Tu non hai fatto niente. Sean ce l’ha con me e non so perché. Tu non c’entri, non fare la ‘paladina della giustizia’ che non serve a niente.” Lei mi guardò sorridendo e prese le mie mani nelle sue.

“Tesoro, io qui SENZA DI TE non rimango. Non c’è altro da dire e non mi interessa cosa pensi di me o di quello che sto per fare, ti passerà e tutto tornerà come prima. Qui con Sean non sarebbe più lo stesso per me. Inizieremo insieme di nuovo come abbiamo sempre fatto, da sole non ce la facciamo; ma insieme siamo più forti di qualsiasi cosa.” La guardai, la sua voce sicura tradiva le lacrime che stavano rigando il suo volto. “Clay, ok. Vengo con te.” Le presi la mano e entrammo nell’ufficio insieme.

Sean non si aspettava di vederci lì insieme con lo sguardo di due tigri.

Io avevo già detto tutto a Sean, ma Clay no. Si allungò sulla scrivania e picchiò una mano sulla superficie dura.

“Tu, sei semplicemente uno schifoso. Non so se chiamarti uomo o pezzo insignificante di mondo. Non so se guardarti e piangere o ridere per la pena che mi fai. Me ne vado anch’io, tanto non ti serve una… Mmm, come mi hai chiamato ieri sera? Troietta da quattro soldi che si fa fregare da uno sguardo dolce.” Clay lo guardò e si mise a ridere, poi si voltò e uscì dall’ufficio con le spalle dritte.

Io rimasi immobile a fissare Sean che non si aspettava niente di simile, era sorpreso e sicuramente titubante. “Come ti senti adesso caro Sean? In bocca al lupo per la tua bellissima vita.” Dissi ironicamente, sputai nel suo ufficio ed uscii per andare da Clay; mi aspettavo che lui ci rincorresse e ci fermasse, ma nessuno aprì quella porta.

Clay era fuori dal locale che fumava una sigaretta appoggiata al muretto, guardava il mare e si capiva subito che stava piangendo. La raggiunsi proprio nell’attimo in cui ritornarono i due poliziotti.

“Ragazzi, come siete efficienti nel vostro lavoro.” Dissi prendendoli in giro, gli tirai le chiavi della mia macchina, uno dei due le prese al volo e mi guardò in modo incerto. Non si aspettavano questo mio modo di fare e sinceramente non mi interessava. “La macchina è vostra, fate quello che volete. Ma per favore in fretta che devo andarmi a cercare un altro lavoro. Grazie.” Ero già girata per andare da Clay. Le misi le braccia intorno al collo e lei sbuffò esausta.

“Anche la tua macchina stanno perquisendo? Cosa pensano di trovare quegli stupidi?” Disse buttando fuori un po’ di fumo.

“Pensa che forse verranno a farmi visita anche a casa. Non mi interessa davvero, so quello che ho fatto. Adesso il mio primo pensiero è trovare un altro lavoro per tutte e due.” Rimanemmo sedute su quel muretto a contemplare la forza della natura, il mare era in tempesta e stava iniziando a piovere violentemente sulla nostra piccola isola.

Un cenno del poliziotto mi fece capire che avevano finito, passai di fianco a loro e presi le chiavi. “Contenti della ricerca? Devo aspettarvi anche a casa mia? Volete il tè per le 5?” Dissi facendomi beffe di loro. Mi guardarono scuotendo il capo. “Ci scusi signora Walsh, ma deve capire che dobbiamo tenere in gioco ogni possibilità.” Li guardai e avrei voluto sputare anche addosso a loro, ma mi limitai a scoccargli uno sguardo di ghiaccio.

Feci cenno a Clay di seguirmi con la macchina e ci ritrovammo al bar del centro commerciale, sperando di riuscire a rilassarci e farci venire qualche buona idea.

Mandai un sms a Mark dove spiegai brevemente quello che era successo. Di lì a poco ci avrebbe raggiunto, era incazzato nero. Così mi aveva fatto intendere dalle sue gentili parole per Sean. “Quello stronzo, saremo noi a rovinare la vita a lui. La pagherà cara per averti trattato così. Mi prudono le mani, ma prima vengo da voi per capire meglio cosa è successo, poi deciderò che fare di lui.”

Sorrisi a quel pensiero, era protettivo nei miei confronti e non poteva farmi altro che piacere. Era un piccolo conforto in quel momento. Presi la mano di Clay e la strinsi, mi fissava con sguardo dolce ma era terribilmente abbattuta. Le ci era voluta una grande forza per entrare in quell’ufficio e affrontare così l’uomo che l’aveva appena ‘distrutta’. L’ammiravo per questo. “Ti voglio bene Clay. Insieme unite contro tutto e tutti.” Dissi quelle parole come un mantra, quella era la frase che ci dicevamo da quando avevamo 5 anni e le cose erano sempre le stesse, nulla era cambiato nella nostra amicizia.

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