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Ciao a tutti. Io sono Alessia. Questa non
è la prima fan fiction che scrivo e sinceramente non so
neanche se si può chiamare tale.
E' una storia completamente
inventata, con personaggi e situazioni inventati. Non ho preso spunto
da niente in particolare, solo un po' dalla mia vita.
Per scrivere questa storia ho
ovviamente usato la musica, in particolare finora ho ascoltato
canzoni di Adele e dei Bat for Lashes, ma per questo primo capitolo non
c'è una canzone che possa accompagnare la lettura. Ok, spero che vi piaccia questo
primo capitolo e che commenterete dandomi consigli e pareri. Sono molto critica nei miei
confronti, dunque non abbiate paura a dirmi quello che pensate
(ovviamente senza offendere). Credo che ci siamo.
Buona lettura.
-Set Fire to my
Heart-
Capitolo 1.
(Balance of Real Life)
Ero appoggiata con i gomiti al
balcone del mio piccolo appartamento, osservavo la città che
si svegliava.
La nebbia autunnale iniziava
ad alzarsi e le luci notturne si spegnevano, i rumori del piccolo porto
si facevano sempre più forti.
Le prime persone si facevano
coraggio ed uscivano a quel freddo così pungente, sembrava
quasi
inverno, e si immergevano nella vita del paese.
Mi strinsi nel mio maglione
di lana, fatto ai ferri dalla mia vecchia nonna tanti anni prima, uno
di quei cimeli di famiglia che mi portavo addosso da sempre.
Diedi un'ultima occhiata
alla vita esterna, inspirai un po' di quell'aria fresca che al mattino
ti fa stare bene, e rientrai in casa.
Andai verso la camera di
Sophie, aprii piano la porta e mi sedetti sul bordo del suo letto.
"Sophie, sveglia." Le dissi
accarezzandole il viso con dolcezza.
Mia figlia aprì gli
occhi contro voglia e iniziò a stiracchiarsi da sotto le sue
calde coperte.
"Mamma, dai è
già ora di svegliarsi? Non ne ho voglia, uffa."
Ogni mattina la stessa
frase, ma ricordavo sempre che anch'io alla sua età non
avevo
mai voglia di svegliarmi presto, era un vero e proprio trauma.
Mi diressi in cucina,
lasciandole il tempo di prepararsi per una nuova giornata di scuola e
nel frattempo preparai la colazione per tutte e due.
Ormai ogni situazione era
diventata un rito per noi due, sole.
La svegliavo, facevamo
colazione insieme, la portavo a scuola e poi ci rivedevamo nel
pomeriggio. Non cambiava quasi mai niente nei nostri programmi. Poteva
sembrare monotono, ma avevamo trovato il nostro ritmo in quella vita
così piatta e finalmente eravamo tranquille.
La salutai di fronte a
scuola, mentre lei correva verso le sue amiche. Mi lanciò un
bacio da sopra i gradini e poi scomparve dietro le grosse porte di
metallo.
Tornai in macchina e accesi
il riscaldamento al massimo. Era davvero freddo e non ero ancora
abituata, soprattutto per una persona così freddolosa come
me.
Il lavoro mi aspettava a
braccia aperte, purtroppo e così andai al Tory Harbor
Cafè, la tavola calda dove lavoravo ormai da 5 anni.
Era il bar del porto ed era
sempre pieno di persone di ogni tipo, gente del paese, ma anche
forestieri o semplicemente marinai che venivano a fare la pausa da un
tragitto all'altro.
Odiavo quel posto, per
l'umidità che lo circondava, ma soprattutto per il mio capo;
un
ometto di mezz'età, grassoccio molliccio e viscido. Jack era
sempre pronto ad attaccarti per qualsiasi minuscolo errore commettessi,
o semplicemente, se la mattina si svegliava con la luna
storta,
diventavi il bersaglio del suo malumore. Non era piacevole, ma almeno
ogni mese avevo la mia paga che mi permetteva di tirare avanti.
Il bar era già
affollato, così corsi nel retro a cambiarmi e andai ad
aiutare
la mia cara amica Claire che era già sommersa di ordini.
"Ehi Elly, eccoti.
Stamattina è assurdo, ognuno vuole qualcosa di diverso,
ognuno
ha una lamentela da fare e ovviamente Jack ha l'umore nero
come
la pece, dunque preparati" mi disse mentre mi abbracciava.
"Tranquilla, ora ci
divideremo lamentele e umore nero in due" dissi sorridendo. Quella
mattina stavo bene, ero allegra ed ero convinta che niente avrebbe
potuto cambiare lo stato in cui mi trovavo.
La giornata passò
veloce e frenetica. Il mio turno stava per finire, quando Jack venne da
me e mi chiamò nel suo ufficio. Sospirai esasperata, mentre
Claire mi osservava da lontano, sapevo che sarebbe stata al mio fianco,
qualsiasi comunicazione avessi ricevuto dal "grande capo".
"Jack avrei finito. Dimmi cosa
c'è?" gli chiesi quando entrai nell'ufficio tirandomi via il
grembiule.
Quando alzai lo sguardo
quello che vidi non mi piacque per niente, il ghigno dipinto sul volto
di Jack e il suo tamburellare nervosamente con le dita sulla sua
scrivania erano un cattivo presagio.
"Siediti Eloise, siediti cara."
Continuai a guardarlo dura in
viso, mentre mi sedevo. Ero in attesa della brutta notizia.
"Ebbene, ho preso una
decisione. Qui al bar a parte me siete in 4, tu Claire e le altre due
pasticcione. I turni sono ben coperti, ma non sono molto contento delle
due giovani ragazze che coprono il turno serale. E così
chiedevo
se da oggi potevi venire a fare qualche ora anche alla sera" continuava
a guardami con aria di sfida e sapevo bene che questa non era una
proposta, ma un ordine.
"Jack, sai bene che non ho
nessuno che possa tenere mia figlia alla sera, non posso portarmela
dietro. E sai anche che Claire è nella stessa situazione
mia"
dissi sperando che a quell'uomo così frustrato fosse rimasto
un
briciolo di buon senso.
"No cara, non vorrei Claire
comunque anche se potesse. Voglio te, sei la migliore, potrei darti un
aumento, ma ricorda che se non accetterai ci saranno delle conseguenze"
ecco le parole magiche: conseguenze.
"Che conseguenze ci saranno
Jack, spiegamelo grazie" dissi sempre più nervosa, sapevo
che
dovevo mantenere la calma per poter avere almeno quello straccio di
lavoro, ma certi giorni era davvero complicato.
"Non so ancora di preciso che
conseguenze ci saranno, ma stai certa che ci saranno. Non ti licenzio,
questo no, ma ti abbasserò la paga e dovrai fare molte
più commissioni durante il tuo turno" ecco le sue ultime
parole,
non potevo certo permettermi una paga inferiore a quel minimo che
già prendevo, ma non potevo neanche pensare di lasciare a
casa
mia figlia da sola per le ore serali che avrei dovuto coprire.
"Jack, puoi lasciarmi qualche
giorno per scegliere quale dei due mali è il minore?" gli
chiesi sul punto di esplodere.
Il "grande capo" si
alzò, girò intorno alla scrivania e venne dietro
di me,
appoggiò le sue luride mani alle mie spalle e
iniziò a
muoverle.
"Certo cara, un paio di
giorni posso aspettare, ma dopo questi se non avrai ancora deciso,
deciderò io per te" sentire il suo fiato pesante sul mio
collo e
la sua presa molliccia sulle mie spalle mi faceva venire la nausea.
Aveva già provato
anni prima a toccarmi dove non avrebbe dovuto e rimediò un
bel
calcio nelle parti basse, e una denuncia. Sapeva che accettavo molte
cose, ma il mio corpo era solo mio, e di certo le minacce non mi
portavano a letto con lui, anche se lui avrebbe voluto.
Spostai le sue mani dalle mie
spalle e mi alzai.
"Bene, in questi giorni ci
penserò e poi ti verrò a dire quale decisione ho
preso.
Buona giornata Jack" mi girai e scappai da quel tugurio che lui
chiamava ufficio. Non mi sarei meravigliata se un giorno l'avessi visto
banchettare insieme a scarafaggi e topi di fogna sulla sua scrivania
piena di scartoffie, con resti di cibo ormai ammuffito.
Quando uscii dall'ufficio
avevo gli occhi di Claire puntati addosso come un radar, mi vide e
capì ogni cosa, mi fece un cenno. Ci saremmo viste poco dopo
davanti a scuola dei nostri figli e le avrei spiegato tutto. Lei
doveva finire di mettere a posto alcune cose e doveva aspettare le
altre ragazze che arrivassero.
Claire era la mia migliore
amica da tempi ormai lontani, eravamo cresciute insieme e quando decisi
di trasferirmi in questa piccola isoletta, lei mi seguì
senza
avere dubbi "tanto qui a Dublino non ho nessuno, le nostre figlie sono
amiche, tu sei la mia migliore amica. Rinizieremo a vivere insieme"
ecco cosa mi disse 7 anni fa.
La nostra storia era simile,
due madri single che cercavano di sopravvivere. Le differenze
sostanziali erano due. Lei aveva divorziato dal marito, mentre il mio
fidanzato era scomparso non appena ebbe notizia della gravidanza. La
seconda differenza era che i suoi genitori c'erano e l'aiutavano sempre
in ogni modo, mentre i miei erano latitanti. Mio padre non lo sentivo
da troppo tempo e mia madre, abitando a Londra, faceva quel che poteva.
In poche parole ero davvero
sola, ma non mi importava poi molto. Ero finalmente riuscita a trovare
un giusto equilibrio nella mia vita e in quella di mia figlia e non me
lo sarei certo fatta rovinare da uno stronzetto che pensava di essere
padrone del mondo.
Ciao a tutti.
Ebbene sì, sono di nuovo qui.
La mia intenzione iniziale era quella di postare un capitolo ogni
settimana, ma visto che per qualche giorno non ci sarò,
Natale con i parenti. Ho deciso di mettere subito anche il secondo
capitolo.
La storia si evolve leggermente e ci sarà la comparsa di un
nuovo personaggio che scombussolerà un po' la protagonista.
Ringrazio tutti quelli che hanno letto la storia senza commentare e
quelli che mi hanno lasciato un loro pensiero, sono felice che il primo
capitolo vi sia piaciuto tanto, ero titubante all'inizio ma con i
vostri commenti avete fatto passare i miei dubbi, ora spero solo che il
continuo vi piacerà.
Un piccolo ringraziamento speciale va alla mia migliore amica (Chiara),
che non leggerà mai queste parole, ma che senza di lei anche
questa storia non avrebbe avuto vita.
Colgo l'occasione per augurare Buone feste a tutti voi, sperando
possiate passare dei bei momenti.
Buona lettura a tutti!
PS: Le parti scritte in "corsivo" sono i pensieri di Eloise.
Capitolo 2. (Meeting with a God)
Fuori dalla scuola, in attesa
che le piccole uscissero, spiegai tutto a Claire, che rimase a bocca
aperta, ma solo per qualche secondo.
"Ormai c'è da
aspettarsi di tutto da quel buffone. Comunque non so cosa tu abbia da
pensare. Farti abbassare la paga non mi sembra proprio il caso,
prendiamo già una miseria. Farai i turni alla sera e basta
tesoro" disse dandomi allegramente un buffetto sulla testa.
Claire era sempre
così pratica e ottimista.
"Claire, non posso portarmi
Sophie dietro e poi sai che quando lavori di sera il turno non finisce
mai all'orario in cui dovrebbe terminare..." Claire mi interruppe
"Dico, ma mi prendi in giro? Non esiste che ti porti Sophie in quella
topaia" la guardavo con aria interrogativa, non capivo cosa volesse
dire, era contradditoria.
"Scusa, prima mi dici che devo
fare le ore serali, ma poi mi dici che non mi devo portare mia figlia
dietro, pensi che la lascerei a casa da sola? Ok che Tory
Harbor è un posto tranquillo, ma non lo farei mai" lo
sguardo di Claire era sempre più sorpreso e sembrava mi
stesse prendendo in giro.
"Proprio non ci arrivi, vero?
Te la tengo io Sophie. Sei proprio scema, cosa vuoi che mi cambi una
bimba in più da tenere per un paio di ore e poi sai bene
quanto vanno d'accordo i nostri angioletti, dunque non vedo il
problema. Tu che problemi insormontabili vedi?"
Claire mi aiutava sempre, mi
aveva sempre aiutato e non volevo che anche questa volta ci andasse di
mezzo lei, non volevo di nuovo appoggiarmi sulle sue spalle e al suo
supporto. Ma sembrava inevitabile. Sapevo che era sincera, se fosse
stato per lei 7 anni fa saremmo dovute andare a vivere tutte e quattro
insieme, dunque ero certa che per lei non fosse un problema, ma mi
scocciava comunque. Mi ero ripromessa che ce l'avrei fatta da sola, ma
quando si mettono in mezzo persone che vorrebbero solo rovinarti,
continuare a fare l'eroina sola contro tutto il mondo non ha
più molto senso.
Proprio nel momento in cui
Sophie e Jinny uscirono da scuola, io la guardai e annuii. Lei mi
sorrise e mi strinse la mano. Poi ci girammo verso le nostre figlie
iniziando con le tipiche "domande dopo scuola".
I due giorni successivi
passarono fra ripensamenti miei e continue convizioni di Claire. Io ero
testarda e indecisa, ma sulla testardaggine lei era la numero uno.
Ne parlai con Sophie
ovviamente, che all'idea di passare del tempo insieme alla sua grande
amica si illuminò come una stella e così alla
fine accettai; andai da Jack e gli comunicai la mia scelta, lui dal suo
sudicio trono sorrise convinto di avermi in pugno e mi disse gli orari
che avrei aggiunto al mio solito turno.
Avrei dovuto fare 3 ore serali,
dalle 7 alle 10 e avrei preso 200 euro in più, sicuramente
ci guadagnavo io, quei soldi avrebbero fatto molto comodo a me e Sophie.
Passarono due settimane
senza troppi intoppi, io andavo a lavorare e Sophie stava con Claire e
Jinny, a parte un paio di litigate fra le bambine facilmente
risolvibili, la situazione sembrava grandiosa.
Ma una sera mentre lavoravo,
scivolai dalla scala e mi feci male, io non volevo andare al pronto
soccorso, ma Rosy una delle altre due ragazze, insistette per portarmi
all'ospedale e controllare che tutto fosse sotto controllo.
Mi feci visitare dal dottor
Conner che mi consigliò di fare qualche giorno di riposo,
perchè la mia schiena aveva ricevuto un brutto colpo, io gli
spiegai che non potevo assolutamente stare a casa da lavorare e che
facendo attenzione sarei andata comunque. Sembrava sinceramente
preoccupato dalle mie parole, pensavo fosse un tipico modo dei dottori
di affrontare i propri pazienti e le scelte stupide che facevano.
Mark Conner, l'uomo
più bello che avessi mai visto, non aveva niente di
irlandese. Carnagione bronzea, capelli scurissimi e occhi dorati. Alto
e snello, sotto quel camice mi immaginavo di trovare milioni di muscoli
sodi che si intrecciavano fra loro.
Quando mi accorsi che lo stavo
fissando, probabilmente da un bel po' di minuti, distolsi lo sguardo
diventando viola in faccia.
Oddio Eloise Walsh, non sei
più una bambina, non puoi fare pensieri impuri di fronte a
questo ben di Dio. Allora, basta.
I miei pensieri correvano
veloci, mentre con la coda dell'occhio mi accorsi che Mark mi stava
fissando e sorrideva.
"Dimmi, ho qualcosa fra i denti
o un capello fuori posto?" chiese continuando a sorridere.
Oh ti prego, smettila di
sorridermi o potrei sciogliermi qui nel tuo ambulatorio.
"Oh no no, scusami. Ero
sovrappensiero e mi sono incantata" dissi inventando la scusa
più stupida che avessi mai sentito. Mi stavo davvero
ridicolizzando.
"Beh allora spero di esserti
davanti più spesso quando sei sovrappensiero, essere
guardato così da una donna come te è molto
lusinghiero" disse mentre si alzava dalla sedia per uscire
dall'ambulatorio.
Rimasi a fissare le mie mani
che si stavano contorcendo appoggiate alle mie gambe, mi alzai e lo
seguii a testa bassa.
Perchè aveva detto
quella frase? Non ero di certo una bella donna o qualcuno di
desiderabile, anzi piuttosto sembravo uno spaventapasseri.
Ero alta, ma molto magra. Le
forme c'erano, ma venivano nascoste dall'abbigliamento extralarge che
ero solita usare. Non mi piaceva mettermi in mostra e così
pensavo che quel tipo di abbigliamento fosse il modo migliore per
evitarlo.
Avevo i capelli lunghi, color
cioccolato con qualche riflesso naturale rossiccio e gli occhi azzurri,
pelle chiara con qualche lentiggine, che io odiavo con tutta me stessa.
Non mi curavo, andavo
pochissimo dal parrucchiere e non mi truccavo quasi mai. Insomma invece
che 25 anni, quando mi guardavo allo specchio io vedevo una donna di 40.
Quell'affermazione fatta da
Mark mi fece arrovellare il cervello, quelle poche parole continuavano
a girare vorticosamente nella mia testa.
Quando andai a prendere Sophie
era già tardi, perchè dopo essere stata in
ospedale dovetti aspettare Rosy che mi venne a prendere, mi
accompagnò al bar a prendere la macchina, dopo di che potei
correre da Claire, mandandole un sms per scusarmi del ritardo
spiegandole il motivo.
Quando la mia amica
aprì vedevo che si comportava come un ladro, camminava di
soppiatto e parlava in un sibilo appena accennato.
Andammo nel salotto e capii il
perchè di quel modo di fare. Sophie e Jinny si erano
addormentate sul divano-letto, mano nella mano con la televisione
accesa sul loro canale di cartoni animati preferito.
Io e Claire andammo in cucina
per berci una bella cioccolata calda, mi ci voleva proprio. La
temperatura era sempre più rigida fuori, inoltre dovevo
cercare di tornare sul pianeta Terra e sicuramente Claire e la
cioccolata erano il miglior modo per farlo.
"Elly, non ti ricordano me e te
alla loro età?" disse mentre osservava le nostre figlie da
dietro la porta. Mi avvicinai a lei e la presi per mano "Noi siamo
ancora così Clay" ci guardammo e sorridemmo. Quando eravamo
piccole io la chiamavo sempre Clay e lei mi aveva sempre chiamato Elly,
soprannome che continuava ad usare e che io adoravo.
"Dovresti tornare a chiamarmi
così, sai vecchietta" mi disse dandomi una piccola pacca
dolce sulla schiena e ridendo.
Rimasi ferma dov'ero.
Guardandomi la punta dei piedi, poi mi girai di scatto e buttai fuori
tutto come se non avessi parlato per anni.
"Clay, ho conosciuto Mark
Conner prima in ospedale. Sai se ricordo bene dev'essere il
papà di un compagno di classe delle bimbe. Ma a scuola non
l'ho mai visto, viene sempre la signora Conner a prendere il bambino"
dissi guardando la mia amica, forse stavo sviando un po' il discorso,
ma non potevo scampare ancora per molto alle grinfie di Claire.
"Eloise Walsh, conosco quello
sguardo. Raccontami tutto e dimmi cosa è successo con
quell'uomo che farebbe eccitare anche una morta" disse ridendo.
"Clayyyyyyyyyyyyyy" urlai,
tappandomi subito la bocca. Non volevo svegliare le bambine.
"Che c'è, ho detto la verità è un figo
da paura e tutte qui in paese lo sanno e gli sbavano dietro, dunque se
lo ammetto a voce alta non c'è niente di male" disse con
un'alzata di spalle.
Le ore dopo passarono veloci
mentre gli raccontavo quel poco che era successo e quanto la mia testa
stesse facendo film su quella frase di Mark.
"Beh Elly, ora andiamo a
dormire, spegni il cervello per qualche ora. Stanotte vi ospito, non mi
sembra il caso che svegli tua figlia all'1 di notte. Ma domani vediamo
un modo per farti conoscere questo 'dottor Stranamore' e non voglio
indecisioni da parte tua. E' ora che la piccola e dolce Elly si svegli
dal suo sonno da zitella durato troppo a lungo" disse sbadigliando e
ridendo nellostesso
frangente.
Buongiorno. Finalmente dopo questi giorni di festa rieccomi con la mia
storia.
Spero che possa piacervi anche
questo capitolo, ringrazio tutte quelle persone che continuano a
leggere la storia e spero che nonostante questo piccolo ritardo,
continuerete a farlo.
Mi auguro che tutti voi abbiate
passato giorni di festa tranquilli e felici.
Due parole sul capitolo,
diciamo che potrebbe essere considerato un "capitolo di transizione",
scopriremo un'amico di Sophie e capiremo qualcosa in più su
questa "Signora Conner", inoltre ci sarà una partenza.
Beh Buona lettura a tutti,
spero di non deludervi. PS: Qui sotto
prima del capitolo troverete una foto dell'isola da cui ho preso spunto
per la location della mia storia "Tory Island" a nord dell'Irlanda.
Capitolo 3. (See you soon
Sophie)
Purtroppo
per il piano di Claire, le settimane successive passarono senza
cambiamenti,
anzi...
Il
dottor Mark Conner sembrava scomparso nel nulla. A scuola vedevamo
sempre la
madre e per i due controlli che dovetti andare a fare all'ospedale per
la
schiena trovai sempre altri dottori.
Così
un giorno Claire si stancò e decise di accompagnarmi
all'ultimo controllo che
dovetti fare.
Quando
entrammo in ospedale mi lasciò nella sala d'aspetto e
iniziò a vagare per
stanze, ambulatori e sale. Quando tornò indietro dal suo
piccolo viaggio
indagatore, capii che aveva scoperto che fine avesse fatto 'dottor
Stranamore'.
"Mia
cara Elly se tu avessi chiesto prima dove fosse Mark, senza farti
troppi
problemi, non mi avresti fatto venire una testa enorme con supposizioni
fasulle. Il tuo bel dottorino è andato in Francia per un
aggiornamento. Almeno
così mi ha detto quella simpatica infermiera dopo averla
minacciata" disse
ridendo fiera di sè.
"L'hai
minacciata? Oddio Clay, non ti riconosco più.
Dov'è finita la mia amica calma e
tranquilla, rispettosa di ogni regola e legge?" le chiesi ridendo a mia
volta.
Il
controllo passò alla grande, la mia schiena si era rimessa
in sesto e non avrei
più avuto bisogno di cure, ma sicuramente avrei trovato
qualche scusa per
tornare in ospedale, dovevo rivedere Mark. Ormai era il mio pensiero
fisso.
"Quella
simpatica e disponibile infermiera ti ha per caso detto anche quando
tornerà
Mark?"
"Ha
detto che se non ci sono intoppi dovrebbe tornare la settimana prossima
perchè
purtroppo anche quest'anno i turni delle feste di natale spettano a
lui"
mi rispose Clay alzandosi e dirigendosi fuori dall'ospedale.
Andammo
a prendere le bambine a scuola. L'ultimo giorno prima delle vacanze era
sempre
molto caotico e pieno di lacrime e sorrisi, i bambini erano emotivi e
per loro
non vedersi per 20 giorni era un disastro mondiale.
Decidemmo
di trascorrere il nostro graditissimo giorno di riposo insieme alle
nostre
figlie andando a fare un po' di shopping nel mega centro commerciale
aperto da
poco.
Prendemmo
un po' di regali di natale, avevamo poche persone da accontentare per
nostra
fortuna, l'impegno più grande erano sempre le bambine, che
si presentavano con
richieste infinite e che spesso non potevamo soddisfare.
Eravamo
davanti ad una vetrina di vestiti molto ben allestita, che faceva
voglia di
entrare e svaligiare tutto il negozio, quando mia figlia mi
tirò per il
maglione.
"Mamma,
quest'anno vorrei fare un regalo in più. Possiamo, ti
prego?" mia figlia
sbattè le sue lunghe ciglia e il suo sguardo mi sciolse
dall'interno.
"Sophie,
certo che puoi. Ovviamente sai che non siamo ricche, ma un regalo in
più ci
sta. E poi devi assolutamente dirmi per chi è. Sai quanto
è curiosa la tua
mamma" le dissi abbassandomi alla sua altezza.
Lei
si avvicinò e mi bisbigliò un nome all'orecchio.
"E'
per Seth. Il nostro compagno di classe. Quest'anno è stato
molto simpatico e
gentile con me, lui è bravissimo e mi aiuta sempre. So che
gli piacciono
tantissimo gli animali e così volevo prendergli un libro
pieno di immagini
bellissime" guardò la vetrina lì vicino, piena di
libri di ogni genere.
"Diamo
il via alla nostra missione tesoro" le dissi prendendole la mano.
Ci
raggiunsero subito Claire e Jinny, le due piccole si misero a
confabulare fra
loro. Si capiva benissimo che Jinny stava prendendo in giro la mia
piccola per
la sua idea.
Trovammo
un libro davvero splendido, dopo di che io e Sophie andammo per la
nostra strada.
Dovevamo trovare il regalo per Jinny e Claire. Ci saremmo incontrate di
nuovo
con loro fra un paio d'ore di fronte alla pizzeria.
Mentre
ci dirigevamo nel negozio di giocattoli più bello che avessi
mai visto,
incontrammo la signora Conner con Seth.
Sophie
divenne subito allegra e andò incontro a Seth, iniziarono a
parlare chiedendosi
a vicenda i loro programmi per le vacanze.
Salutai
la signora Conner che quel giorno era ben disposta a parlare.
"Sono
così piccoli, ma sembrano già degli adulti. Salve
Eloise" la guardai
sorridendo.
E
così conosci il mio nome nonna di Seth, nonché
mamma della mia fissazione.
"Salve
signora Conner e buone feste. Anche voi siete in giro per i regali?"
chiesi porgendole la mano. Ricevetti una stretta di mano che mi
bloccò la
circolazione per qualche minuto.
"Oh
sì. Seth quest'anno aveva tanti amici da accontentare,
abbiamo appena comprato
il regalo per la sua Sophie. Diciamo che non mi parla di altro da
almeno una
settimana. Non vedeva l'ora di prenderle il regalo, ma adesso
è preoccupato che
non le possa piacere." Mi venne da sorridere a quell'idea.
Già così
piccoli, ma con queste piccole paronoie da adulto.
"Anche
noi abbiamo preso un regalo per Seth. Sophie aveva le idee molto
chiare, dunque
speriamo sarà di suo gradimento" con un occhio tenevo sotto
controllo i
bambini che si erano allontanati per guardare l'enorme albero di natale
in mezzo
al centro commerciale e con l'altro guardavo la signora Conner con la
speranza
che mi parlasse anche di suo figlio.
"Quest'anno
Seth verrà con me e mio marito in vacanza, andremo in
Francia da parenti.
Purtroppo mio figlio lavorerà quasi tutti i giorni e ci ha
praticamente
costretto ad andare a passare vacanze più allegre" contenta
che avesse
captato i miei messaggi mentali, mi accorsi subito che nel suo tono di
voce
c'era un po' di dispiacere.
"Ah
guardi, anche mia figlia quest'anno andrà dalla nonna,
purtroppo il mio capo
non mi ha dato neanche un giorno libero durante le vacanze dei bambini
e così
abbiamo deciso che rivedere la nonna dopo quasi un anno, non sarebbe
stato poi
così male."
Le
urla dei bambini attirarono la nostra attenzione e lasciammo la nostra
conversazione a metà.
Quando
arrivammo quasi correndo da loro, li trovammo accovacciati su una
piccola
figura nera che non riuscivo a vedere.
"Nonna,
nonna ti prego dobbiamo portarlo dal veterinario, dobbiamo curarlo
poverino, ha
un'ala rotta." Seth si rivolse a sua nonna quasi in lacrime. Ecco
cos'era
quella figura piccola e nera; un' uccellino entrato non si sa come nel
centro e
che era crollato vicino all'albero.
Sophie
si avvicinò a Seth cercando di consolarlo e sorridendogli lo
salutò.
"Allora
Seth cura questo piccolo uccellino, noi ci rivediamo domani
così ci scambiamo i
regali, ok?" Seth sorrise, salutai la signora Conner e ci allontanammo.
Pensare
che questi bambini avevano solo 8 anni, eppure sembravano davvero degli
adulti.
Rimasi piacevolmente colpita dal comportamento di Seth, gli animali
erano
davvero la sua passione. Forse sarebbe diventato un dottore anche lui
come il padre,
ma un veterinario.
Finimmo
i nostri giri, tutti i regali erano stati fatti e andammo a cenare
insieme alle
nostre amiche.
In
pizzeria chiacchierammo tutte insieme, proprio come fossimo una piccola
famiglia, ridendo e scherzando.
Era
così che consideravo Claire e sua figlia. Come fossero mia
sorella e mia
nipote.
La
giornata era passata veloce ed ero felicissima di aver potuto
accontentare mia
figlia in ogni richiesta.
Quando
tornammo a casa sentii mia madre per metterci d'accordo sugli orari.
Sophie
sarebbe andata da lei il giorno della vigilia e sarebbe tornata a casa
il
giorno della befana. Non mi faceva piacere separarmi da lei per
così tanti
giorni, ma era l'unica possibilità e in fondo Sophie era
felice di passare un
po' di tempo insieme alla nonna che non vedeva mai.
Sarebbero
tornate a Dublino, nella casa che mia madre possedeva ancora,
nonostante tutti
noi della famiglia l'avessimo abbandonata, lei ogni anno tornava
lì per passare
le vacanze di natale.
"Ok
Eloise, allora ci vediamo al porto alle 10 e poi per il ritorno ci
mettiamo
d'accordo più avanti. Non avere preoccupazioni, Sophie
starà benissimo. Sai che
vorrei fare di più, ma non ce la faccio" ogni volta che
risentivo mia
madre, mi veniva il groppo in gola.
Ci
volevamo un bene dell'anima, ma lei lavorava ancora come maestra e non
poteva
abbandonare la sua amata Londra e io stavo bene qui, sulla mia piccola
isola.
Ci vedevamo molto poco, ma ogni incontro era un'emozione unica.
Quella
mattina, mentre l'aspettavamo alla tavola calda, Sophie doveva
incontrare Seth.
Si
scambiarono i regali con tanti sorrisi e abbracci. La signora Conner
venne
verso di me.
"Auguri
Eloise, spero che nonostante il lavoro potrai passare un bel giorno di
natale.
Immagino come sia dura per te stare senza tua figlia, posso capirlo"
disse
abbracciandomi.
Rimasi
sconvolta da questa dimostrazione d'affetto, ma mi fece piacere. Non
ero
abituata a ricevere queste attenzioni da altre persone che non fossero
Claire.
L'abbracciai
forte. "Buone vacanze anche a voi. Divertitevi" dissi con sincero
affetto.
Ci
scambiammo un'ultima occhiata, poi la signora Conner e il piccolo Seth
sparirono nella nebbia del porto, nello stesso momento
approdò il battello con
sopra mia madre.
L'avvistammo
da lontano, io e Sophie iniziammo a correre verso di lei e ci
abbracciamo tutte
insieme.
"Mamma,
sembri ancora una giovincella" le dissi staccandomi dall'abbraccio e
guardandola dalla testa ai piedi.
"Tu
invece dovresti iniziare a curarti un po' di più, non vorrai
mica rimanere
single per tutta la vita, vero Elly?" anche mia madre aveva adottato il
soprannome datomi da Claire, era più corto e semplice.
"E
tu signorina ormai sei alta come la nonna, sai?" disse sorridendo a
Sophie.
"Nonnaaaaaa,
mi sei mancata tantissimo in tutti questi mesi, ho un sacco di cose da
raccontarti" il battello sarebbe ripartito dopo poco, così
andai a
prendere le valigie di mia figlia.
Abbracciai
fortissimo Sophie. "Tesoro mio, ci sentiremo tutti i giorni, sai quanto
mi
mancherai vero?" lei si attaccò alle mie spalle e non mi
lasciò per 10
minuti, aveva gli occhi lucidi ma il sorriso.
"Mamma
ti penserò ogni minuto e se non mi chiami tu, ti chiamo io.
Faremo arrivare
bollette enormi alla nonna" disse ridendo e guardando con la coda
dell'occhio mia madre, che sorrideva visibilmente divertita.
"Ok,
piccola vai. Non fare arrabbiare nonna Helen, mi raccomando. Divertiti,
ma fai
anche i compiti. Ci sentiamo quando arrivate, ok?" le dissi
scompigliandole i suoi lunghi capelli lisci.
Si
allungò per darmi un altro abbraccio, ci riempimmo di baci e
poi si allontanò
insieme a mia madre.
Le
guardai fino a che il battello non scomparse, mi girai e asciugai le
lacrime
che ormai avevano smesso di scendere.
Il
lavoro mi aspettava e non potevo di certo presentarmi in un mare di
lacrime.
Salve
a tutti. Finalmente dopo qualche giorno di pausa posso postare il mio
nuovo capitolo.
Prima
di tutto vorrei ringraziare tutti voi che leggete e commentate,
è sempre un'immenso piacere leggere i vostri pensieri.
Grazie perchè non sempre le storie "originali" come la mia
riescono a scaturire interesse, dunque spero di poter continuare
così.
Due
parole sul nuovo capitolo... Dottor Stranamore fa la sua ricomparsa e
avrà un'incontro con la nostra Elly.
Beh,
buona lettura, spero di non deludervi.
Capitolo
4. (Shock of Love)
Anche
la figlia di Claire era andata a passare le vacanze con i nonni e
così ci
ritrovammo io e Clay da sole, come una volta.
Con
il lavoro che ci impegnava moltissimo, non avevamo molto tempo libero,
ma
avevamo già fatto qualche progetto per passare bene questi
giorni da 'donne
single' a tutti gli effetti.
Quella
sera ero in turno solo io, le altre ragazze erano tornate tutte a casa
prima.
Erano
ormai le 10 e stavo iniziando le pulizie prima di chiudere quando
sentii la
porta aprirsi, una ventata di aria gelida e qualche fiocco di neve
entrarono
dentro al bar e mi fecero rabbrividire.
"Arrivo
subito" dissi da sotto al bancone mentre sistemavo i bicchieri.
Quando
mi alzai mi trovai davanti lui. Mark Conner.
Se
possibile era ancora più bello dell'ultima volta che ci
eravamo incontrati,
settimane prima in ospedale.
Forse
era la tenuta da 'civile', ma se avessi potuto gli sarei saltata
addosso.
"E...Ehi
dottor Conner" dissi balbettando.
Oh
ti prego Eloise, adesso aggiungiamo alla lista dei tuoi difetti anche
la
balbuzie?
Cercai
di riprendermi, in questi casi la miglior cosa da fare è
spegnere il cervello e
io ci provai.
"Ah,
andiamo Eloise, non chiamarmi dottor Conner anche fuori dall'ospedale.
Qui sono
Mark per te" disse sorridendo.
Quel
sorriso che mi mandò in orbita. I suoi denti perfetti
sembravano brillare, il
suo viso era liscio e senza una ruga. Era molto curato e rilassato.
Al
contrario mio, che sicuramente apparivo come una vecchia racchia. Ero
sporca
dopo nove ore di turno senza pause, stanca e stressata.
"Ok,
proverò a chiamarti Mark. Sei scomparso dalla circolazione,
non ti ho più visto
in giro per un sacco di giorni" dissi cercando di apparire disinvolta e
sicura di me. Nel mentre tenevo impegnate le mie mani, che non volevano
stare
ferme, pulendo il bancone e tutto quello che mi capitava a tiro.
"Sì
sono stato via tre settimane per un aggiornamento che non sembrava
finire mai…"
fece una piccola pausa. "Scusa, entro in un bar e non mi chiedi se
voglio
bere o mangiare?" disse sorridendo.
Ecco,
probabilmente in quell'attimo diventai rosso porpora. "Oddio hai
ragione,
scusami Mark. Cosa posso darti? Non farti problemi, se hai fame ti
preparo
qualcosa" dissi sovrastata dall'imbarazzo.
"No
tranquilla, non voglio farti preparare del cibo a quest'ora. Mi basta
quel
panino rimasto e una bella birra" mi fissava, con quegli occhi che
sembravano oro colato.
Perchè
mi guarda così? Non capisce che in questo modo blocca ogni
mio movimento e
pensiero sensato?
"Ok.
Un attimo che si scalda il panino" dissi mentre appoggiavo la birra
sopra
al bancone rischiando di farla cadere proprio addosso a lui.
Lo
guardai dispiaciuta mentre cercavo di fermare il tremore delle mie mani.
"Sei
nervosa Eloise?" mi chiese mentre prese le mie mani fra le sue.
Andai
nel panico. Continuavo a spostare lo sguardo dalle nostre mani al suo
viso che
si aprì in un sorriso caldo e sensuale... O forse ero solo
io che vedevo
sensualità in ogni suo piccolo movimento.
"Sto
solo cercando di calmare il tuo tremore, tranquilla. Hai preso molti
caffè oggi
o sei sempre così tremolante?" mi chiese muovendo le sue
mani, che
nonostante venissero dalla temperatura gelida al di fuori, erano
più calde
delle mie.
"N-no.
Cioè... Oddio no. Non sono sempre così
tremolante..." le parole mi si
smorzarono in gola, mentre ora il mio sguardo era fisso sulle sue mani
che
continuavano a massaggiare le mie.
Dovevo
sembrare un'adolescente o una pazza, oppure una stupida, fatto sta che
Mark
lasciò le mie mani e prese un sorso della birra. "Credo che
ormai il mio
panino sarà bruciato" disse osservando il toaster alle mie
spalle che
fumava come una ciminiera.
Rimasi
immobile a fissare le mie mani calde ancora per qualche attimo,
cercando di
ricordare ogni momento di quel tocco fra di noi e poi tornai alla
realtà.
"Oh
signore, il tuo panino. Sono proprio un disastro oggi. Dio mi dispiace.
Te ne
preparo subito un altro, aspetta qui." Mi dileguai nella piccola cucina
e
mi appoggiai al muro.
Il
mio respiro era affannoso e continuavo a tremare.
"Respira.
Respira. Sono anni che non tocco e non vengo toccata da un' uomo che mi
piace.
E lui è così terribilmente bello e....
irraggiungibile. E' inutile che mi
faccio film mentali, potrebbe avere chiunque vuole, non
verrà di certo a
cercare me" mi dissi cercando di mantenere sotto controllo il tono
della
mia voce, sicuramente pensava già che fossi pazza, farmi
sentire parlare da
sola non sarebbe stato il massimo della vita.
Questa
mia nuova convinzione mi permise di preparare il panino e tornare di
là di
fronte a lui, più calma e sorridente. Lo avrei trattato come
un qualsiasi
cliente del bar.
"Ecco
qua Mark, spero ti piaccia. Sicuramente è molto
più fresco e buono dell'altro
panino che era lì da oggi a pranzo" sorrisi e appoggiai il
panino di
fronte alla sua birra, sperando non prendesse di nuovo le mie mani che
questa
volta erano ferme e stabili, proprio come il resto del mio corpo.
Sorrise
e iniziò a mangiare. Io mi dedicai alle pulizie, altrimenti
avrei finito
davvero tardissimo quella sera e lo straordinario non veniva pagato.
"Non
ti dispiace se intanto pulisco la sala, vero? Altrimenti non vado
più a casa
questa notte" sorrisi quasi chiedendo il permesso di voltarmi e
iniziare col
mio lavoro usuale.
Mi
fece cenno con la mano e finì il panino. "Tranquilla, io
starò un altro
po' qui e poi possiamo parlare anche se lavori, no?"
La
sua voce era qualcosa di inspiegabile. Leggermente roca, era
rassicurante,
calda, dolce e sensuale. Pure la sua voce lo era, come tutto il resto.
Iniziai
a pulire più in fretta che potevo cercando di non pensare a
quel Dio greco che
sedeva a pochi metri da me. Causai qualche altro piccolo danno, ma
niente di
irreparabile.
Quando
finii mi accorsi che Mark era ancora seduto che sorseggiava la birra e
mi
osservava. Mi sembrava assurdo che fosse rimasto tutto il tempo a
fissarmi,
senza mai spostarsi; era strano che fosse ancora lì.
"C'è
qualcosa che non va?" chiesi, era strano che mi avesse guardato tutto
quel
tempo, non doveva essere molto interessante guardare una persona mentre
pulisce.
"Oh
no, va tutto benissimo. Sto solo finendo la mia birra e intanto ti
osservo, sei
veloce e accurata, si vede che fai questo lavoro da tanto" disse mentre
sembrava fissasse ogni centimetro del mio corpo. Sembrava come se mi
stesse
spogliando con gli occhi.
Sì,
ciao Eloise. Ma ti sembra che ti stia spogliando con gli occhi? E' solo
una tua
impressione. Solo frutto del tuo desiderio.
I
miei pensieri negativi mi fecero tornare di nuovo con i piedi per terra.
"Sì.
Lavoro qui da 5 anni. Sono sempre le stesse cose da fare, dunque ormai
è una
cosa meccanica per me" probabilmente nei miei occhi vide un po' di
frustrazione perché subito dopo mi chiese se mi piaceva
lavorare lì.
Senza
volerlo una risata sarcastica uscì dalla mia gola. "Ah no
dai. Lavorare
qui è orribile, certo conosci tante persone, ma non sempre
sono incontri
piacevoli e comunque no. Non mi piace lavorare qui, ma almeno porto a
casa dei
soldi che mi permettono di vivere." risposi riponendo stracci e
prodotti
vari nell'armadietto vicino ai bagni.
"Ti
piacerebbe avere un bar tuo o è proprio l'ambiente che non
ti piace?" chiese.
Era per caso interessato a me e a cosa mi piace o no? Mi sembrava
così strano,
ma risposi sinceramente.
"No
un bar mio sarebbe tutta un'altra cosa. Quello che rende questo lavoro
orribile
è il mio capo. Le mie colleghe sono simpatiche e il lavoro
non è male se ti
poni nel modo giusto. Se potessi fare come vorrei io probabilmente le
cose
andrebbero ancora meglio. Ma non sono il capo." Lo guardai, dovevo
chiudere il locale, non avrei mai voluto entrasse qualcun altro per
farmi
allungare ancora di più questo turno; ma non avevo voglia di
cacciarlo, era
piacevole parlare con lui senza balbettare e senza imbarazzo.
"Senti
Mark, io dovrei chiudere, altrimenti se entra altra gente io qui non
finisco
più. Ma se vuoi fermarti ancora un po' non c'è
problema. Solo non pensare che
ti sto tenendo in ostaggio se chiudo le porte e spengo le insegne"
dissi
sorridendo, sperando prendesse la mia frase nel modo giusto,
cioè con ironia e
simpatia.
"Oh,
dunque vuoi dire che mi stai INVITANDO a restare con te?"
calcò la parola
'invito' in modo pesante.
"Beh,
diciamo che nel bar ci siamo solo io e te che chiacchieriamo,
sicuramente non è
il miglior posto dove passare una serata, ma almeno è caldo
e accogliente"
Oddio,
mi sono liberata del mio imbarazzo. Sto bene? Spero solo non stia
pensando che
voglia flirtare con lui. Ma lo sto facendo?
Spensi
di nuovo il cervello, pensare mi causava problemi in sua presenza.
"Mi
va di chiacchierare un altro po' se non ti dispiace. Ovviamente non
voglio
farti fare molto tardi, avrai sicuramente tua figlia che ti aspetta"
disse
mentre mi osservava chiudere le porte e spegnere le insegne del bar.
Sovrappensiero
risposi. "No, non c'è nessuno che mi aspetta a casa. Mia
figlia è in
vacanza dalla nonna" a quel punto mi fermai a pensare alla mia risposta.
Probabilmente
a gli occhi di chiunque sarebbe significato "non ho niente da fare
possiamo restare qui anche tutta la notte, puoi farmi quello che vuoi"
ma
probabilmente lo dissi con così tanta 'noncuranza' che anche
lui non lesse tra
le righe il mio vero pensiero che cercavo in tutti i modi di non
liberare.
Rimanemmo
a parlare per un altro paio d'ore. Mi offrì due birre che
non disdegnai, tanto
non mi vedeva nessuno, tanto meno Jack che non lo avrebbe mai saputo.
Io
ero stanca e lui forse lo era ancora di più.
"Sono
tornato oggi pomeriggio da quel viaggio e sono a pezzi. Odio stare
lontano
dalla mia piccola città. Sono cresciuto qui e la amo,
inoltre odio stare
lontano da mio figlio, l'ho visto solo qualche ora oggi e poi
è partito con i
miei genitori. Tanto domani torno a lavorare e fino al 6 gennaio
avrò un solo
giorno libero. Non avrei potuto dargli grandi soddisfazioni come
padre."
sembrava si stesse sfogando.
Incrociò
le braccia sul bancone e ci appoggiò la testa sbuffando.
C'era
sempre stato il bancone a dividerci, ma pensai che forse aveva bisogno
di un
po' di conforto.
Andai
da lui e mi sedetti di fianco. Gli appoggiai una mano sulla testa, per
consolarlo.
Forse
era un uomo pieno di dubbi, il suo lavoro gli portava via tantissimo
tempo, la
madre del bambino non era con lui, tutti in città sapevano
che era un uomo
single. "Senti Mark. Io credo che tuo figlio sappia quanto gli vuoi
bene e
quanto ti piaccia il tuo lavoro. L'altro giorno l'ho incontrato, sai?"
pensai che parlargli di quanto mi fosse apparso meraviglioso Seth gli
avrebbe
fatto bene.
Alzò
la testa e mi fissò. "Dove vi siete incontrati?" si
girò verso di me
incuriosito, le nostre ginocchia si sfioravano appena, gli sgabelli del
bar
erano abbastanza vicino l'uno con l'altro. Un piccolo brivido mi fece
tremare,
non poteva causarmi questa reazione solo con un semplice tocco
sfiorato. Non
potevo farci niente, il mio corpo reagiva così.
"Ci
siamo incontrati al nuovo centro commerciale, sai che ha aperto qualche
giorno
fa? Stavamo facendo tutti lo shopping natalizio. Seth era con tua madre
e così
abbiamo scambiato quattro chiacchiere, poi tutto è stato
interrotto da un
uccellino con un'ala rotta che tuo figlio voleva curare." dissi
sorridendo
di nuovo a quelle scene che ripassarono davanti a gli occhi.
Mark
mi ascoltava incantato, probabilmente dal racconto di suo figlio.
"E'
un bambino bellissimo e ha questa passione smisurata per gli animali,
si vedeva
dal suo sguardo. Ha quasi pianto mentre chiedeva a sua nonna di
portarlo via
per curarlo. E mia figlia è incredibilmente affezionata a
lui."
"Ah,
mio figlio. Il mio orgoglio, il mio più grande amore...."si
fermò per
qualche istante perso in pensieri che non potevo decifrare.
"Sì, è vero.
E' da un paio d'anni che ha espresso questo desiderio di diventare
veterinario.
Ogni volta che incontriamo animali in difficoltà dobbiamo
fermarci per curarli.
In casa nostra abbiamo già due gatti e un cane trovati in
giro abbandonati, non
oso immaginare cosa ci sarà fra qualche anno. Se continuiamo
così dovrò aprire
uno zoo." disse sorridendo.
Ero
felice di essere riuscita a far scomparire per un po' quello sguardo di
sconforto di qualche attimo prima.
Parlammo
per ore ed ore. Soprattutto di suo figlio e della mia, finalmente uno
dei due
si decise a guardare l'orologio e ci accorgemmo che erano le 2 di notte.
Ci
guardammo sbalorditi e ci mettemmo a ridere.
"Il
tempo passa davvero veloce insieme a te. Grazie per questa serata, ci
voleva e
spero potremo ripetere presto." Disse Mark mentre si alzava per
infilarsi
il cappotto.
Lo
guardai incantata, ero stata benissimo anch'io, passati i primi momenti
di
imbarazzo e pazzia mi ero calmata e il tempo era volato.
Ci
salutammo, uscendo tutti e due dal retro del locale; spensi le ultime
luci
chiusi la porta e me lo ritrovai a pochi centimetri da me.
Le
nuvole di vapore causate dal freddo che uscivano dalle nostre bocche si
mischiavano insieme. Il suo bellissimo viso era illuminato dai piccoli
lampioni
che emanavano luce, avrei voluto che il tempo si fermasse
così, per poter
godere del suo sguardo e della sua vicinanza per il resto della vita.
Accarezzò
il mio viso e il suo sguardo si addolcì ulteriormente,
mentre io cercai di dire
qualcosa, ma non uscì niente dalla mia bocca.
"Elly,
posso chiamarti così vero? Questa sera è stata
meravigliosa. Grazie. Immagino
che domani passerai il natale con la tua amica, ma se ti annoiassi puoi
chiamarmi, io ho la pausa nel pomeriggio dal mio turno all'ospedale."
dicendo questo si avvicinò ancora di più e
posò le sue labbra calde sulla mia
guancia ghiacciata. "Ecco il mio numero." mi porse un foglietto
bianco, spostò la sua mano che lasciò un'impronta
di fuoco sul mio viso e si
allontanò.
Non
dissi una parola, niente. Mi limitai a guardarlo salire in macchina, ci
salutammo con le mani e me ne tornai a casa.
Ciao
a tutti. Mi scuso subito per il tremendo ritardo nel postare questo
quinto capitolo, ma sono stata indaffarata. Spero non avrete perso la
voglia di leggere.
Ringrazio per i vostri commenti. Vorrei ringraziare in particolar modo
Jen, che è sempre presente e legge realmente quello che
scrivo. Grazie.
Ok, per questo capitolo c'è una canzone. Spero vi possa
piacere.
Grazie ancora e buona lettura a tutti.
Capitolo
5. (The Change is
Mine)
Ero
forse sotto shock?
Quando arrivai a casa mi
buttai a peso
morto sul letto e iniziai a pensare.
Presi
il cellulare e salvai il numero di Mark, se lo avessi perso mi sarei
incavolata, mentre salvavo il numero una voglia incredibile di
mandargli un sms
mi assalì.
Me
ne fregai di tutti i pro e i contro che il mio cervello
iniziò ad analizzare e
scrissi il messaggio.
"Ciao
Mark, sono Elly... Cioè Eloise. Non so perché ti
sto scrivendo questo sms...
Ok, lasciamo stare. Volevo solo salutarti visto che prima là
fuori sembravo un
pupazzo di neve congelato."
Guardai l'sms più
e
più volte, decisi di cancellarlo, ma inspiegabilmente lo
inviai.
Mi
misi a saltare per la stanza come una matta urlando.
"Oddio,
oddio ma cos'ho fattoooooooo. Noooooooooo. Chissà quante
risate si farà adesso.
No, non voglio pensarci." Urlavo sempre di più, per fortuna
che nessuno
poteva sentirmi visto che la palazzina dove abitavo era quasi
completamente
vuota a parte un'anziana signora sorda.
Spensi
il cellulare e mi infilai sotto le coperte tutta vestita. Non volevo
immaginare
la reazione di Mark al mio messaggio da bambina idiota e non volevo
pensare a
cosa avrei trovato il giorno dopo, quando avrei acceso il cellulare.
Cercai
di dormire, il mattino avrei dovuto svegliarmi presto per andare da
Clay,
dovevamo preparare il nostro personale pranzo di natale,i miei occhi
però non collaboravano e tanto
meno lo faceva la mia testa.
Ripercorrevo
tutta la serata nei minimi particolari, le figuracce iniziali, le sue
mani
sulle mie, la nostra bellissima chiacchierata e la mia figuraccia
finale. Ma
più di tutto ripensavo ai suoi occhi su di me e al suo
piccolo bacio
dolcissimo.
Mi
alzai, erano ormai le 7 di mattina ed era inutile rimanessi a letto per
un'ora,
così decisi di farmi una bella doccia sperando di rilassarmi.
Quando
uscii mi guardai allo specchio. Era la giornata di natale, potevo
concedermi il
lusso di provare ad essere almeno presentabile.
Così
andai a rovistare fra le scatole chiuse in soffitta. Cercai trucchi e
attrezzi
per i capelli con la speranza che qualche vestito carino fosse ancora
nel mio
armadio.
Mi
truccai leggermente, un filo di matita, un po' di ombretto viola e un
pizzico
di rossetto chiaro. Poi l'impresa divenne ardua quando dovetti mettere
a posto
i capelli. Sicuramente una parrucchiera avrebbe fatto al caso mio, ma
la
mattina di natale è difficile trovare qualcosa di aperto,
così cercai di usare
la piastra come meglio potevo, sistemando meglio i capelli con qualche
molletta
carina.
Mi
sedetti sul letto fissando l'armadio aperto, l'unica cosa che vedevo
spuntare
fuori erano felpe, jeans stracciati, maglioni e pantaloni della tuta.
Tirai
tutto fuori buttando i vestiti sul letto, doveva pur esserci qualcosa
di
leggermente elegante.
Le
scarpe le avevo trovate, l'unico paio di decoltè il mio
possesso. Nere lucide
semplicissime, ma con un tacco vertiginoso.
Oh
povera me, ma riuscirò ancora a camminare su quei trampoli?
Sono sicura che mi
slogherò la caviglia un paio di volte da qui a stasera. Ma
dovrò pure abituarmi
di nuovo a portare anche queste scarpe.
Ad
un certo punto mi saltò all'occhio qualcosa che poteva
assomigliare ad un
vestitino, mi avvicinai e lo presi fra le mani.
Era
un vecchio vestito di quando ero diciassettenne, sicuramente passato di
moda,
ma forse mi sarebbe andato ancora bene visto che il mio fisico non era
cambiato
poi tantissimo in 8 anni.
Me
lo provai e mi stava a pennello, ma quando vidi la mia immagine
riflessa mi
venne da vomitare. Ero orribile, il vestito era nero con piccoli
inserti
argentati, la schiena era completamente scoperta e davanti era un mix
di
intrecci di stoffa, mi arrivava a metà coscia, con le scarpe
addosso era
perfetto, ma su di me orribile.
Cercai
di non pensarci fregandomene dello specchio che non mi aiutava di
certo, mi
ricordai che il cellulare era ancora spento e che erano ormai le 8.30 e
sicuramente Clay mi aveva già chiamato un paio di volte.
Lo
accesi e la prima cosa che apparve fu un messaggio di Mark.
Mi
sedetti sul letto per prevenire svenimenti per terra.
"Dolce
Elly, sì ti ho visto abbastanza congelata ieri sera.
Purtroppo stanotte non ho
dormito molto e sono in coma profondo, ma visto l'orario, ti auguro
buona
giornata e buon natale. Un bacio."
Crollai
all'indietro, la testa girava e il cuore sembrava volesse strapparmi il
petto.
Era
possibile che mi sentissi una ragazzina con lui? Mi faceva provare
sensazioni
che non sentivo da tantissimi anni e tutto questo mi procurava grossi
problemi.
Ero
sempre stata una persona emotiva e molto attaccata all'amore, o almeno
all'idea
che avevo di esso; ma dopo i problemi con il mio ex, cioè il
padre di mia figlia,
mi ero ripromessa di lasciare perdere gli uomini, non avevo voglia di
soffrire
o di far soffrire mia figlia e così mi ero rinchiusa nel mio
guscio
'anti-uomo'. Eppure Mark con un solo sguardo e una semplice frase aveva
mandato
in frantumi quel guscio costruito con tanta accuratezza in anni ed anni
di
solitudine.
Le
lacrime iniziarono a rigare il mio viso, me ne fregai del trucco, non
potevo
smettere.
Il
cellulare suonò e io sobbalzai. Era Claire.
"Ehi,
ma dove sei finita? Ti sto aspettando già da un po'. E'
tutto ok." Clay si
fermò quando si accorse che non riceveva risposta. "Elly,
che succede?
Parlami." la sua voce passò da nervosa a preoccupata in una
frazione di
secondo.
"C-C-Clay
ho bisogno di te. Il mio guscio è andato in fra-frantumi."
tirai su col
naso e presi fiato. "Vengo io, aspettami, 10 minuti e sono
lì, sono già
pronta stavo uscendo." chiusi la telefonata senza lasciarle il tempo di
rispondermi.
Sapevo
che se avessimo iniziato a parlare al telefono non avremmo
più finito e poi
sarebbe venuta lei da me, ma io non volevo rovinare il giorno di natale
e così
presi coraggio, andai a ripulirmi e uscii di casa prendendo il primo
giubbotto
che mi capitò a tiro.
In
macchina accesi il riscaldamento al massimo e cercai di concentrarmi
sulla
strada piena di neve. Avevo già rischiato di scivolare un
paio di volte con
questi tacchi e i piedi mi facevano già male, facevo fatica
anche a guidare.
Arrivai
da Clay dopo poco, la trovai fuori dal portone di casa ad aspettarmi
con un
maglione enorme.
Quando
scesi dalla macchina, rischiando di cadere, mi voltai a guardarla e la
ritrovai
a bocca aperta.
Mi
avvicinai un po' barcollante e la salutai, ero truccata, ma gli occhi
gonfi e
rossi non si potevano nascondere.
"O
MIO DIO. Che fine a fatto la mia stracciona? Elly, dove seiiiiii???"
urlò
Claire. Era davvero sorpresa di vedermi così.
Mi
abbracciò forte tirandomi dentro casa. "Sei uno schianto.
Dopo ti
convincerò di questo. Adesso dimmi cosa è
successo." Mi prese per mano e
ci sedemmo sul divano davanti al camino scoppiettante.
"Non
so da dove iniziare... Sono sotto shock credo." dissi fissando il
tappeto
variopinto sotto i miei piedi.
Clay
mi alzo il viso con due dita per guardarmi negli occhi.
"Ok,
deve per forza essere successo qualcosa ieri sera. Vediamo....." Si
mise a
pensare, era bravissima a scoprire queste cose.
"Ecco,
trovato. Hai visto Mark, giusto? Dimmi cosa è successo,
forza." Ecco così
era più facile, aveva già capito di cosa le avrei
parlato e iniziai a spiegarle
per filo e per segno le ore passate poco prima con Mark.
La
fine del mio racconto si concluse con le lacrime da parte mia e sorrisi
di
felicità con abbracci da parte sua.
"Tesoro,
ma perché piangi. E' bellissimo, finalmente stai iniziando
di nuovo a vivere, a
provare emozioni. Non tutti gli uomini sono stronzi, non tutti fanno
soffrire.
E poi, diamine... Se non provi non potrai mai sapere come sarebbero
potute
andare le cose." Io la guardavo mentre elargiva i suoi splendidi
consigli
da donna matura. In confronto a lei mi sentivo sempre più
adolescente alle
prime armi, se non fosse per il mio cuore che aveva ricevuto troppe
ferite in
passato.
"E'
un bell'uomo. Sembra attratto da te, ma anche se non fosse
così... Potreste
incontrarvi ogni tanto, farvi una bella chiacchierata, anche solo da
amici, non
devi pensare subito che vi metterete insieme e le cose andranno male.
Vivi la
vita così come ti viene data. Hai conosciuto questo
splendido uomo,
approfittane, conoscilo e poi vedrai." Lei mi guardava con aria
dolcissima, le lacrime smisero di scendere e l'abbracciai
più forte che potevo.
"Non
potrei chiedere amica migliore, sai che sarei persa senza di te. Grazie
Clay,
ti voglio bene." Le mie parole erano le più sincere che
potessero esserci,
era davvero così.
Lei
era la mia metà, senza di lei non sarei stata Elly, ma un
semplice corpo senza
anima.
"Bene,
adesso che abbiamo chiarito che il tuo guscio è un bene che
si sia spezzato,
vorrei parlare di questa nuova e super sexy Eloise." Iniziò
a toccarmi i
capelli, il viso e il vestito; come se fossi una bambolina da ammirare.
"Sei
da urlo, strepitosa. Stai benissimo con questo vestito, che fra le
altre cose
mi ricordo ancora." Si mise a ridere pensando probabilmente a me di
fronte
al mio armadio cercando qualcosa da mettermi.
"Beh,
ho semplicemente pensato che essendo natale, potevo anche rendermi un
po' più
carina, non ti dico cos'ho dovuto passare per sistemare i miei capelli,
ci ho
messo un sacco e trovare questo vestito è stata una
benedizione. Claire, ti
rendi conto che è l'unico vestito 'elegante' che possiedo?"
dissi
scuotendo la testa in senso di disapprovazione verso il mio
abbigliamento.
"Io
direi che dobbiamo andare al più presto da un parrucchiere e
in quel nuovo
negozio che abbiamo visto l'altro giorno. Non dobbiamo spendere una
fortuna e
prendere vestiti da super figa, ma almeno jeans e maglie della tua
taglia
sarebbero graditi, soprattutto a gli occhi di Mark." disse
punzecchiandomi.
La
guardai storto, ma poi iniziai a ridere. "Hai ragione. Devo mettermi un
po' a posto, sicuramente sarò più piacevole anche
per Sophie che mi rimprovera
sempre e pure per i clienti della tavola calda."
Era
davvero tardi e il nostro pranzo appariva sempre più lontano.
"Dai
forza bella incantata, proviamo a preparare qualcosa" dissi a Clay che
continuava a fissarmi, mi tolsi le scarpe, la presi per una manica e la
tirai
in cucina.
Le
ore successive passarono fra i fornelli, con scherzi vari, ci
ritrovammo a
tavola alle 2 del pomeriggio mezze ricoperte di farina e sorridenti
come non
mai.
Dopo
un po' ricevetti un messaggio.
"Ciao
Elly. Come ti ricordi ieri ti dissi che avevo la pausa oggi. In effetti
sono
qui come un cretino a dirti che la mia pausa durerà un paio
d'ore. Dalle 3 alle
5. Bene adesso che sai precisamente gli orari sei libera di fare quello
che
vuoi. Bacio"
Lessi
il messaggio a voce alta, visto che di fianco a me c'era una
scalpitante Clay
che non vedeva l'ora di sapere ogni nostra mossa.
"Wow,
wow, wow. In poche parole ti ha scritto che non vede l'ora di vederti.
Bene,
vedi di darti una mossa con il dolce e corri da lui. Ovviamente per
CHIACCHIERARE." Mi fece l'occhiolino.
Ero
un po' a disagio, soprattutto perché non sapevo come sarebbe
andata o cosa
avremmo fatto, ma la mia voglia di rivederlo superava ogni
preoccupazione o
dubbio; così trangugiai in due bocconi il dolce, diedi un
bacio e un abbraccio
a Clay. "Scusa se ti pianto così proprio il giorno di
natale."
"Ma
vai, dai Cenerentola. Tanto ci rivediamo fra un po' al bar, questa sera
anch'io
ho il turno. E inoltre direi che hai di meglio da fare. Tranquilla, io
verrò a
spiarvi." la guardai squadrandola.
"Ovviamente
scherzo tesorina." iniziò a ridere e mi spinse fuori dalla
porta di casa.
"Ehi,
vedi di non scivolare proprio davanti a lui, puoi scivolare prima e
dopo ma non
durante, ahahahahah".
Senza
voltarmi le feci il dito medio da dietro la schiena e finsi una
camminata super
disinvolta in mezzo alla neve con tacco 12, che finì in una
piccola scivolata
proprio di fronte alla mia auto.
"Non
ridereeeeeeeeeeee." le urlai salendo in macchina e ingranando la marcia
mi
accorsi che era rientrata in casa e mi spiava da dietro la tende.
Quel
giorno era freddissimo e il mio giubbottino di pelle, che mi era
capitato fra
le mani qualche ora prima, non era di certo l'abbigliamento adatto, se
poi
mettiamo in conto che sotto ero sbracciata e quasi senza niente
addosso, sarei
morta di freddo.
Mi
fermai sotto l'ospedale e chiamai Mark, non mi piacevano molto gli sms.
Erano
uno spreco di tempo, quando con una telefonata si faceva molto prima.
Mi
rispose dopo appena 2 squilli.
"E-ehi
Mark. Ciao. Io sono qui sotto." dissi sentendomi in imbarazzo, senza un
vero motivo.
"Oh,
Elly. Sai non pensavo saresti venuta visto che non hai risposto
all'sms.
Comunque dimmi cosa vuoi fare. Di certo passare la mia pausa dentro
all'ospedale non è la mia massima ambizione, potremmo andare
a fare un giretto
al centro commerciale, ho visto che è sempre aperto... Ti
va?" la sua voce
era vivace e allegra, mi mise subito di ottimo umore.
"Certo
che mi va, almeno stiamo al caldo e ci rifacciamo gli occhi fra le
vetrine, se
non ti scoccia andiamo con la mia macchina. E' già
riscaldata e accesa, qui che
ti aspetta." dissi ridendo.
"Arrivo
subito, dì alla tua macchina che dovrà aspettare
pochissimo." stavo per
mettere giù quando gli dissi veloce. "Sono parcheggiata
vicino alla
quercia secolare." speravo mi avesse sentito, non mi sarebbe piaciuto
fargli fare il giro di tutto il parcheggio.
Il
nervoso si impadronì di nuovo di me, non tanto
perché lo avrei visto, ma perché
non ero a mio agio con quell'abbigliamento, non ero più
abituata e non sapevo
come sarei risultata ai suoi occhi.
Iniziai
a mettermi a posto continuando a toccare giubbotto e vestito,
continuavo a
guardarmi nello specchietto cercando di risultare più carina.
Il
cellulare suonò. "Ti adorerà." Era Claire, che
sicuramente era a
conoscenza del mio stato d'animo.
Leggere
quelle parole mi fece sorridere e mi calmò. Sentii bussare
al vetro e vidi Mark
fuori dalla macchina, aprii la chiusura centralizzata della macchina ed
entrò
ricoperto di neve.
"Ciao
dottor Conner" dissi scherzando.
Lui
si voltò a guardarmi e non disse una parola. Avevo deciso di
non farmi
sopraffare da imbarazzo o cavolate simili e così sventolai
una mano davanti ai
suoi occhi. "Ci sei Mark?" dissi ridendo.
"Ehm...
Sì ci sono, credo. Dio Elly, sei stupenda" disse mentre ogni
centimetro
della mia pelle veniva esaminato dal suo sguardo.
"Ooook,
smettila di guardarmi così, ti prego. Devo guidare e mi
sento un po' sotto
esame. E chiudi anche la bocca che sembri un pesce fuor d'acqua che
boccheggia" dissi divertita. Ero felice di aver fatto questo effetto
sul
bellissimo dio seduto al mio fianco.
Non
che lui fosse da meno, probabilmente anche con un sacco della
spazzatura
addosso sarebbe stato sexy quell'uomo, ma cercai di non pensare troppo
e misi
in moto.
"Proverò
a distogliere lo sguardo, ma non credo sarà facile" disse
allacciando la
cintura.
Arrivammo
al centro commerciale e quando scesi dalla macchina il freddo mi
colpì. I miei
denti iniziarono a battere incontrollati e sicuramente non ero di
bell'aspetto.
Forse ero anche un po' violacea in faccia.
"Merda,
ma che freddo fa oggi" lui mi fissava, avvicinandosi.
"No,
sei tu che sei poco vestita" disse mettendomi un braccio attorno alle
spalle. "Non so se potrò scaldarti, ma almeno ci provo fino
all'entrata" disse.
Stranamente
ero a mio agio e il calore del suo corpo riusciva a passare anche
attraverso i
vestiti.
Come
ci aspettavamo il centro commerciale e abbastanza deserto, ma non ci
interessava molto. Eravamo presi l'uno dall'altro.
Gli
raccontai del mio pranzo quasi improvvisato con Claire e lui mi
raccontò la sua
giornata in ospedale, fra vecchiette stramazzate per terra per via del
gelo e
macchine uscite fuori strada a causa della neve.
Ci
fermammo al bar per prendere un caffè, scelse lui il tavolo,
il meno in vista
di tutto il locale.
Mi
sedetti prendendo il menù, ma sentivo i suoi occhi su di me.
Così abbassai il
foglio e lo fissai.
"Vediamo
chi distoglie lo sguardo per prima dottore?" dissi scherzando.
"Hai
ragione Elly scusami, è che sei veramente..... Oh beh, non
ci sono parole. Ma
ti prego, smettila di portare quei vestiti extralarge, non hai niente
da
nascondere anzi. Il tuo corpo è mozzafiato" si
fermò di colpo distogliendo
lo sguardo.
"Forse
adesso sto esagerando. Scusa ancora" senza pensarci due volte appoggiai
una mano sulla sua.
"Ehi,
guarda che ad una donna fanno sempre piacere i complimenti. Se poi sono
detti
da te, a me riempiono di gioia" diventai rossa appena finii di
pronunciare
le ultime parole, ritirai la mano e abbassai lo sguardo sul menu.
L'aria
attorno a noi era elettrizzata, potevo sentirlo e sinceramente speravo
potesse
sentirlo anche lui.
Gli
lanciavo occhiate ogni tanto e ogni volta lo beccavo che mi guardava.
Mentre
arrivava la cameriera accavallai le gambe per mettermi più
comoda e
involontariamente sfiorai una sua gamba, ci guardammo subito negli
occhi.
E'
passione quella che vedo? Oppure sono solo io che vedo quello che
vorrei?
La
mia testa iniziò a formulare i soliti film, solo che
stavolta erano un po'
troppo piccanti per un luogo pubblico.
La cameriera distolse me dai pensieri illeciti e lui dal guardarmi in
continuazione.
Ciao
a tutti. Eccomi con l'aggiornamento della mia storia.
Siamo
arrivati al sesto capitolo e l'incontro fra Elly e Mark prosegue
alla grande, purtroppo che poi gli impegni della vita lo faranno
concludere...
Beh,
io voglio ringraziare tutti voi per i bei pensieri che avete
sempre sulla mia storia e per me. Grazie, mi fate andare avanti con
più voglia e passione.
Buona
lettura a tutti e anche questa volta ho scelto una canzone per la
musica e quello che mi trasmette.
Spero
vi piacerà tutto.
With
Love Ally :)
Capitolo
6. (Twisted Eyes)
Davanti
a me una bella tazza di cioccolata calda, davanti a lui un
caffè nero fumante.
Iniziammo
di nuovo a parlare dei nostri figli e proprio in quel momento lui
ricevette una
telefonata.
Si
allontanò di poco e torno dopo 10 minuti.
"Era
mio figlio. Dice che sta bene e si sta divertendo ma che vorrebbe fossi
con lui."
Il suo sguardo si spense un po', ma potevo capirlo fin troppo bene.
"Capisco.
Anche io oggi ho sentito Sophie, mi ha fatto gli auguri e si
è messa a piangere
al telefono. Sta bene con la nonna, ma ovviamente vorrebbe ci fossi
anch'io con
loro a Dublino."
"Ah
sono andate a Dublino?" Ed ecco il suo sguardo cambiò ancora
e divenne
curioso, sporse il suo corpo leggermente in avanti e socchiuse gli
occhi,
proprio come se stesse studiando i miei pensieri.
"Sì,
quando ero giovane vivevo lì. Poi dopo i problemi col padre
di mia figlia ho
deciso di venire qui a Tory Harbor e mia madre ha avuto il
trasferimento a
Londra, lei fa l'insegnante. Ora vive là, ma non ha mai
pensato di vendere la
nostra vecchia casa e così ogni anno per le vacanze passa il
tempo a
Dublino." Stranamente riuscivo a parlare con lui come se lo conoscessi
da
una vita. Negli ultimi 7 anni la mia unica confidente era stata Claire,
avevamo
conosciuto molto persone, ma con nessuna ero riuscita a legare e ancora
meno a
parlare di me. Mentre con lui era tutto così naturale.
"Anch'io
per un piccolo periodo ho vissuto a Dublino, mio padre è
medico e per 6 mesi
dovette lavorare lì e così tutta la famiglia lo
seguì, ma ho un enorme
attaccamento alla mia terra, così ogni volta non vedevo
l'ora di tornare qui.
Come mai hai deciso di trasferirti in questo posto sperduto?" Il suo
sguardo
era in attesa e mi faceva così tanto piacere che qualcuno si
interessasse per
davvero a me.
"Avevo
bisogno di cambiare aria, di mollare tutta la mia vecchia vita e
iniziare da
capo in un posto che mi piacesse. Così ho scelto Tory Harbor
e la mia amica
Claire mi ha seguito in questa avventura. Ecco come siamo capitate qui.
Ma
adesso ho io una curiosità. Se posso..." aspettai una
risposta che non
tardò ad arrivare con un movimento del capo.
"Tu
non sembri irlandese, in nessun modo... Che origini hai?" Il mio
sguardo
iniziò a vagare sul suo viso e anch'io ero tremendamente
curiosa di sapere di
più su di lui. Era come una droga, non ne avevo mai
abbastanza della sua voce e
soprattutto di lui. Avrei voluto sapere ogni cosa e la speranza che mi accontentasse non mi
abbandonava mai.
"E'
vero, mia madre è spagnola. Quando si è sposata
ha preso il cognome di mio
padre, ma lei si chiama Alma Hernandez. E' così evidente il
mio non essere
completamente irlandese?" Chiese leggermente divertito, alzò
un sopracciglio
in attesa di una risposta.
"Beh
a dire il vero non lo sembri proprio se non fosse per l'accento. La
prima volta
che ti ho visto pensavo ti fossi trasferito qui da poco" sorrise
all'idea
e io ricambiai.
"E
che mi dici, ti piacciono gli spagnoli?" Ogni mio muscolo avrebbe
voluto
protrarsi verso di lui, ma cercai di tenermi a freno.
"Oh
molto, amo la lingua spagnola, credo sia molto sensuale."
"Allora
dovrò farmi insegnare un po' di spagnolo da mia madre" il
suo sguardo era
di sfida e io mi persi nei suoi occhi.
I
pensieri correvano veloci e le mie mani avrebbero voluto stare su ogni
parte
del suo corpo. Me lo immaginavo nudo davanti a me, esclusivamente mio.
Me lo
immaginavo sopra di me, sotto di me... Sognavo i nostri corpi muoversi
all'unisono, la sua lingua percorrere il mio corpo....
Mi
accorsi di avere caldo e notai che Mark aveva uno sguardo fra il
preoccupato e
il divertito.
"Che
c'è?" chiesi indispettita, non mi ero resa conto che il mio
corpo seguiva
i miei pensieri.
"Niente,
ero affascinato dai tuoi movimenti, poi sei diventata tutta rossa e
avevo paura
non stessi bene."
"Oddio
che ho fatto?" chiesi portandomi le mani al viso, stavo andando a fuoco.
"Avevi
gli occhi chiusi e ti mordevi il labbro e giocherellavi con la tazza di
cioccolata. A cosa pensavi?"
Il
mio sguardo era fisso sul tavolo che ci separava. Se lo avessi
scaraventato da
una parte e gli fossi saltata in braccio avrebbe pensato male?
"Oh
no no. Niente, tutto a posto. Adesso mi passa. E comunque è
meglio che tu non
sappia a cosa pensavo."
Che
mi prende? Non posso continuare così ogni volta che lo vedo,
non è possibile.
Sono normale? Forse dovrei andare da uno psicologo e farmi curare per
pensieri
compulsivi sul sesso.
"Cazzo."
lo fissai, mi aveva distolto di nuovo dai miei pensieri, ma non era poi
così
male essere disturbata da lui.
"Cosa
c'è che non va?" Chiesi preoccupata dal suo tono di voce e
dai suoi occhi
cambiati repentinamente.
"E'
tardissimo Elly. Sono già le 5 e la mia pausa è
finita proprio in questo
istante" il suo sguardo era turbato e si alzò di scatto
facendo rovesciare
la tazzina del caffè, per fortuna vuota.
"Non
avevo mai fatto tardi a lavorare, come può essere successo.
Cazzo, dobbiamo
andare. Se avessi la mia macchina non ti metterei tutta questa fretta,
scusami." Mi guardava realmente dispiaciuto, ma era già in
piedi, il suo
corpo era pronto a scattare verso l'uscita.
"Ehi
ehi, tranquillo Mark. Scappiamo subito all'ospedale e inventati una
scusa. In
effetti anch'io dovrei essere a lavorare fra poco e dovrei passare da
casa a
cambiarmi."
Ci
dirigemmo velocemente verso l'uscita, aveva smesso di nevicare, ma la
strada
era molto scivolosa. Misi male un piede e mi ritrovai fra le sue
braccia.
La
sua presa era forte, ma gentile. Rimasi aggrappata alle sue braccia per
qualche
minuto, i nostri occhi si studiavano e si accarezzavano. I suoi dorati
ardevano
come due fuochi, sentivo le gambe che mi abbandonavano ancora di
più. Avrei
voluto rimanere in quell'involucro caldo per sempre.
"Mmh,
dovresti stare attenta, con quei tacchi è meglio che non
corri. Ti sei fatta
male?" mi chiese continuando a tenere gli occhi fissi su di me, senza
allentare la presa.
"St-sto
bene grazie. Hai ragione non sono il massimo e sinceramente non sono
più
abituata ad altezze del genere" dissi cercando di alzarmi.
"Appoggiati
pure, non mi dà fastidio." prese una mia mano e
l'appoggiò sul suo petto.
"Posso sostenerti, tranquilla."
In
quel momento avrei perso la testa se non fosse stata attaccata al mio
corpo.
Sentii
sotto i vestiti il corpo di quell'uomo che sognavo di poter toccare da
giorni,
i suoi muscoli definiti erano tesi, forse pronti per sorreggere il mio
peso.
Sicuramente faceva qualche sport, ma chissà quale.
Senza
accorgermene iniziai a muovere la mano, senza però
appoggiarmi. Accarezzavo il
suo petto.
Lui
rimise la sua mano sulla mia e mi fermò. In quel momento lo
guardai. Sorrideva
e risplendeva come un sole. Sembrava il sorriso più bello
che avessi mai visto.
"Elly,
ti aiuto ad alzarti. Altrimenti ti prendo in braccio e ti porto alla
macchina,
vorrei stare così ancora, con la tua mano su di me, ma non
posso" il suo
sguardo era dispiaciuto e le parole che uscirono dalla sua bocca,
quella
frase.... Era così naturale, lui riusciva ad esprimere i
suoi pensieri, io non
riuscivo. Ma forse potevo provare.
Chiusi
gli occhi un attimo, mi stavo concentrando. Volevo fargli capire quello
che
provavo.
Elly,
non avere paura. Prova, se andrà male pazienza. Ma non puoi
fare la muta ogni
volta che vorresti dirgli qualcosa. Non potete continuare a parlare di
figli e
lavoro per il resto della vita. Svegliati e impegnati. Prova a
piacergli, prova
ad essere te stessa in tutto e per tutto.
"Mi
dispiace. Scusami, davvero. Mi sento un'idiota. E' così
tanto tempo che non
tocco il corpo di un uomo...." lasciai morire la frase, mi alzai da lui
di
scatto e iniziai a correre verso la macchina, il mio tentativo di
aprirmi
completamente a lui non era fallito del tutto, ma mi sentivo comunque
in balia
di una sensazione completamente nuova, o forse dimenticata...
"Forza
Mark, è tardi" dissi con il tono più freddo che
potevo usare parlando con
lui.
Per
oggi era successo abbastanza e non potevamo di certo cacciarci nei guai
per una
scappatella da giovincelli, il lavoro aspettava tutti e due.
Il
tragitto in macchina fu silenzioso e tremendamente imbarazzante, lui
guardava
fuori dal finestrino e io guardavo la strada. Non una parola, solo la
musica a
basso volume ci teneva compagnia.
Nonostante
questo, sentivo comunque la solita attrazione per lui, era come se
facessimo
scintille; come due fuochi che si accendono a vicenda.
Ci
salutammo di fronte all'ospedale con uno sguardo che diceva tutto e
allo stesso
tempo lasciava intendere molte cose. Allungai una mano verso di lui,
forse
volevo accarezzarlo, non so... Lui la prese e la strinse forte. "Ci
sentiamo ok? Stasera a che ora stacchi? Se vuoi possiamo rivederci. Ma
solo se
ti va."
"Oh
sì, non vedevo l'ora me lo chiedessi. Dovrei staccare alle
10, ma sicuramente
farò dello straordinario. Ti aspetto alla tavola calda?"
"Ci
sarò." Lasciò la mia mano e i nostri occhi si
intrecciarono, non volevano
più lasciarsi. Continuammo a guardarci mentre lui entrava in
ospedale e se
avessi potuto avrei abbattuto tutti quei muri che ci separavano per
continuare
a guardare quegli splendidi occhi che mi avevano stregata.
Ero
sola e mi sentivo sola. Lui riempiva i miei spazi, con un semplice
tocco, con
unsguardo, con
un'umile parola... Lui
riempiva me.
Guardai
l'ora sul cellulare. Erano le 5.30 e io ero in ritardo, c'era anche un
messaggio che immaginavo già di chi fosse.
"Tesoro,
ti aspetto al bar. Ho io dei vestiti per te, corri sei in ritardo e
Jack è già
su tutte le furie."
Chiusi
il cellulare e lo sbattei sul sedile.
"Cazzo,
proprio quello che ci voleva per rovinarmi la giornata idilliaca."
Pensai
a Jack incazzato, non era mai divertente discutere col capo e oggi lo
sarebbe
stato ancora meno.
Ciao a
tutti. Come sempre ho un
piccolo ritardo nell'aggiornamento, ma spero non mi fucilerete per
questo xD In
questo capitolo
finalmente Elly si "sveglierà" un po' e inizierà
a comportarsi in un modo molto diverso dal solito. Ovviamente
"Dottor Stranamore" sarà il bersaglio dei suoi
comportamenti. Beh
lascio a voi il piacere (spero) di leggere questo settimo capitolo.
Come sempre ringrazio per ogni recensione ricevuta, ringrazio tutti voi
per le splendide e meravigliose parole che avete sempre per la mia
storia. GRAZIE! Ecco
a voi la canzone per il capitolo. E' molto particolare,
forse voi non la troverete adatta per i momenti, ma a me ha trasmesso
moltissimo. Buona
lettura e buon ascolto
.
Capitolo 7. (Home Care)
Arrivai
al bar ed entrai dalla porta sul retro. Di certo non avrei scampato la
furia di
Jack, ma almeno non mi sarei fatta vedere vestita così.
Mi
rinchiusi nello spogliatoio e mi sedetti sulla panca. Quel giorno non
avevo
voglia di lavorare e tanto meno di stare in quel posto.
Iniziai
a svestirmi svogliatamente, mi avvicinai allo specchio e guardai
l'immagine
riflessa.
All'inizio
di quella giornata non mi sentivo me stessa truccata e pettinata, ora
invece,
dopo quelle ore passate in compagnia di Mark mi sentivo bene e mi
vedevo anche
carina. Decisi di non struccarmi, legai i capelli in una coda di
cavallo, misi
il grembiule ed uscii sicura di me.
Claire
mi guardò sorridente, nonostante fosse natale il bar era
pieno di persone,
alcune al tavolo sorseggiavano the caldi e biscotti, altri si
mangiavano dei
panini e alcuni erano al bancone mezzi ubriachi. Sarebbe stata una
giornata
dura e lei era già piena di ordini fin sopra i capelli.
Camminai verso il
bancone per iniziare ad aiutarla, ma Jack mi si parò davanti
come un bulldozer.
I suoi occhi erano rossi di rabbia e sembrava quasi gli uscisse il fumo
dalle
orecchie.
"Signorina
ritardataria, nel mio ufficio. ORA." Il suo grido stridulo fece girare
metà della clientela, Claire iniziò a scuotere la
testa e io mandai giù un
groppo di rabbia che mi chiudeva la gola.
Mi
aspettava sulla porta, entrai e lui la chiuse alle mie spalle
sbattendola con
fragore.
"Siediti
e spiegami per quale assurdo motivo dopo 5 anni di lavoro sei arrivata
tardi.
Sai bene che non accetto ritardi, non ho molte regole che vi impongo e
questa è
una di quelle. Stasera ti fermerai qui un'ora in più e
rimetterai il locale a
lucido. Non voglio sentire lamentele" si fermò, speravo che
questo treno
furioso avesse finito la sua corsa e invece no... "Ah, inoltre rimarrai
da
sola a farti il culo, Claire andrà via subito dopo cena."
Aveva finito, un
sorriso compiaciuto gli dipinse il viso e finalmente si sedette sulla
sua sedia
incrociando le braccia sulla pancia che strabordava dalla giacca.
Non
avevo voglia di discutere, anche se non accettavo sicuramente questo
comportamento di supremazia. Voleva farmela pagare e l'unico modo che
aveva era
questo. Era così povero mentalmente che il solo modo che
conosceva per provare
a farmi sentire una merda era quello di farmi fare straordinari.
"Ok
Jack. Non ci sono problemi. Rimarrò qui fino alle 11 e
tirerò il locale a
lucido. Adesso abbiamo finito, posso tornare di là ad
aiutare Claire o vuoi che
il locale abbia delle perdite? Sai bene che i nostri clienti non amano
aspettare." Le mie labbra si piegarono in un sorriso beffardo,
riconoscevo
quando Jack aveva voglia di litigare e sapevo che non si aspettava la
mia
reazione. Inoltre avevo toccato l'unica cosa che realmente gli
interessava: il
guadagno del locale.
"Vai
piccola insolente." Disse a denti stretti, mentre si contorceva le
grossocce
dita in movimenti isterici.
Mi
voltai e il sorriso non mi abbandonò. Mi avvicinai a Claire
e intanto che
preparavamo caffè e bevande varie, le spiegai cosa era
successo dentro il
'tugurio'.
Alle
7 Jack se ne andò e poco dopo dovette andarsene anche Claire.
"Mi
dispiace lasciarti tesoro, ma sappiamo tutte e due che fra non molto
Jack verrà
a controllare e se mi trova ancora qui saranno casini per tutte e due."
La
guardai storto, la serata sembrava tranquilla ed io ero abituata a
stare da
sola in quel piccolo bar.
"Aaaah,
Clay vai per favore e non farti paranoie. Se non ricordo male sono io
quella
delle due che si fa sempre problemi. Vai a casa, rilassati e ci
rivediamo
domani."
Si
avvicinò e mi strinse forte.
"Auguri
di buon natale Elly. Ricorda che dovrai raccontarmi la tua giornata con
'dottor
Stranamore'. Se quando finisci non hai voglia di andare a casa da sola
puoi
venire da me." Dicendo questo si allontanò e uscì
dalla tavola calda.
Ero
sola, non c'era nessun cliente in quel momento, probabilmente la bufera
di neve
che si era alzata da poco faceva rimanere chiusi in casa gli abitanti
dell'isola e forse avevano fermato i tragitti e gli approdi al porto
proprio
per la brutta situazione meteorologica.
Andai
verso lo stereo e misi un cd, nel mio armadietto avevo sempre qualche
scorta di
buona musica per questi momenti. Alzai il volume e iniziai a pulire
l'ufficio di
Jack. Non lo aveva messo nella lista di cose da fare, ma sapevo che non
ritrovare più tutto quel caos nel suo piccolo mondo, lo
avrebbe disorientato.
Quando
finii ero davvero stanca, ma ora quella stanza aveva le sembianze di un
ufficio
e non di uno scantinato abitato solo da topi e scarafaggi.
Il
bar continuava ad essere deserto, mi affacciai alla vetrata che dava
sul
parcheggio e verso il porto, il mare era nero, ma grazie al faro potevo
scorgere le onde enormi che si abbattevano contro la baia.
"Stasera
sarà un'impresa tornare a casa, speriamo andrà
tutto bene." Dissi a voce
alta percorrendo tutte le vetrate fino ad arrivare alle strade del
paese, anch'esse
deserte, erano ricoperte di neve e per ora non si vedeva l'ombra degli
spazzaneve.
Cercai
di augurarmi il meglio, speravo che nelle due ore successive la bufera
si
calmasse e che i macchinari per pulire le strade si mettessero in moto.
Così
ripresi le pulizie.
Quando
terminai di pulire tutto il locale erano ormai le 10, dovevo stare
lì ancora
un'ora, nonostante il locale chiudesse. Non avevo idea di cosa avrei
potuto
fare, quell'ultima ora sarebbe stata interminabile.
Portai
fuori la spazzatura e un giramento di testa mi fece barcollare, mi
appoggiai al
muro di pietra e cercai di tornare dentro al caldo. Mi sedetti su una
sedia del
locale e appoggiai la testa al tavolo. Non mi sentivo per niente bene;
provai a
toccare la mia fronte, era bollente.
Mandai
un sms a Mark, anche se non pensavo sarebbe venuto con quel tempaccio.
"Mark,
non mi sento bene. Scusami ma credo andrò a casa di corsa a
mettermi sotto le
coperte calde. Ci sentiamo domani, buonanotte."
La
risposta non tardò molto ad arrivare.
"Mi
hai letto nel pensiero? Stavo proprio liberando la macchina per venire
da te.
Sicura che non ti serve niente? Sono un dottore, potrei curarti molto
bene." Quando lessi il messaggio iniziai a sorridere. Era
così premuroso
nonostante ci conoscessimo poco, decisi di chiamarlo.
"Pronto."
"Ciao
Mark, me la cavo da sola, davvero. Grazie per l'interessamento, ma
adesso mi
copro bene e vado a casa al calduccio." Anche la mia voce iniziava ad
essere debole, probabilmente mi stavo prendendo una bella influenza.
"Beh,
sicuramente girare in mezzo alla neve mezza nuda non deve aver fatto
bene alla
tua salute. Mi fido di te, ma se hai bisogno di qualsiasi cosa,
chiamami ti
prego."
Aveva
ragione, la colpa era del mio abbigliamento poco adatto alla stagione,
ma
sicuramente era stato piacevole sentirsi bella per almeno una volta.
"Grazie.
Ti chiamerò sicuramente se avrò bisogno.
Buonanotte."
Ricambiò
l'augurio, ci salutammo e subito dopo mandai un sms a Claire dicendole
che non
stavo bene e che non sapevo in che condizioni sarei stata la mattina
dopo, così
mi disse che prima di venire a lavorare sarebbe passata da me a
controllare.
Non
erano ancora le 11, ma spensi tutte le luci e cercai di farmi strada
fra la
neve. Il tragitto verso casa, sebbene corto, non fu facile; ma arrivai
sana e
salva.
Mi
spogliai, accesi il camino e andai a farmi una doccia bollente.
Quando
finii mi misi il pigiama e invece che andare a dormire in camera, presi
il
piumone e mi coricai sul divano, proprio di fronte al camino. Il mio
corpo era
attraversato da tremendi brividi di freddo e sicuramente dormire di
fronte al
crepitio del fuoco era una grande idea.
Il
mattino dopo mi svegliai solo al suono ripetuto del campanello di casa.
Mi
alzai con qualche problema, la testa continuava a girare vorticosamente.
Ovviamente
era Claire, che era venuta a controllare le mie condizioni, che
sicuramente non
erano delle migliori.
"Tesoro,
ma tu sei messa malissimo. Guardati, sei uno straccio." Mi disse mentre
accarezzava il mio viso bollente.
"Prendi
qualcosa e rimettiti subito a letto, ci penso io a dire a Jack che non
stai
bene. Quando ho finito il turno torno subito a vedere come stai."
"Claire,
non sono una bambina, stai tranquilla, è solo un po' di
influenza me la
caverò" dissi sorridendo debolmente, mi sentivo davvero
stanchissima.
Lei
mi guardò come una madre in pena per il proprio figlio, ma
dopo un paio di
lamentele mi lasciò da sola.
Mangiai
un toast contro voglia e andai a rovistare nell'armadietto dei
medicinali per
prendere qualcosa, sperando la febbre si abbassasse.
Finalmente
avevo tempo di accendere il computer, così dopo aver buttato
un po' di legna
nel camino mi rimisi sul divano con il mio portatile in braccio.
Sapevo
che mia madre mi aveva mandato un e-mail di aggiornamento delle vacanze.
L'aprii
e trovai un messaggio e un paio di foto.
"Ciao
mamma. La nonna mi ha lasciato usare il computer e così sto
scrivendo io XD.
Comunque
qui va tutto benissimo, mi diverto molto e sai oggi pomeriggio per caso
abbiamo
incontrato Jinny con i nonni e così abbiamo passato un
pomeriggio bellissimo,
siamo andati al mercatino di natale e poi a fare un po' di slittino
sulla
collina dietro casa. Te la ricordi? Comunque ti salutano tutti. Ti ho
mandato
qualche foto, non eravamo bellissime? Mi manchi tanto mammina e non
vedo l'ora
di rivederti. Un bacione grande anche da parte della nonna. Domani ti
chiamo."
Guardai
le foto, erano davvero bellissime. Erano tutti sommersi dalla neve, con
gli
slittini vicino pronti a partire per una bella corsa. Si vedeva mia
madre che
sorrideva insieme alla nonna di Jinny.
Stava
bene e questo era l'importante, erano felici e questo mi rincuorava.
L'e-mail
era di ieri sera, sicuramente avrei ricevuto la telefonata oggi,
così andai a
prendere il cellulare in camera e poi mi sdraiai di nuovo. Il sonno non
tardò
ad arrivare.
Mi
svegliai e presi il cellulare fra le mani, erano le 2. Non avevo
ricevuto
ancora nessuna chiamata. Ma sicuramente pensavano fossi a lavorare,
sapevano
bene che mentre lavoravo non potevo rispondere al cellulare che di
solito
rimaneva chiuso nell'armadietto.
Mi
alzai con un filo di forza in più in confronto al mattino.
Mi avvicinai alla
finestra e notai che aveva smesso di nevicare era uscito un debole sole
che
faceva risplendere tutto quel bianco che circondava l'isola. Il mare si
era
calmato e i tragitti dall'Irlanda all'isola erano ripresi.
Iniziai
a prepararmi un po' di the quando il campanello suonò, ero
quasi certa fosse
Claire, anche se mi sembrava un po' strano fosse già
arrivata.
Quando
aprii la porta in pigiama, mi ritrovai di fronte Mark in tutto il suo
splendore.
Aveva
un cappotto nero, un paio di jeans leggermente strappati e un camicia
bianca
che spuntava da sotto il suo viso, era rilassato e sorridente. Lui era
il mio
sole, ecco cos'era.
"Ehi.
Non volevo venirti a disturbare, ma prima sono passato dal bar e non
c'eri.
Così Claire mi ha spiegato che non stavi bene e mi ha detto
circa dove abiti.
Conosco quest'isola come le mie tasche, non è stato
difficile trovarti."
Il suo sguardo era incuriosito dalla mia casa e dal mio corpo.
Il
mio pigiama era vecchio e liso, trasparente in alcuni punti, con
piccoli
bottoni davanti che in quel momento erano aperti, si intravedeva il mio
reggiseno e sicuramente anche altre parti del mio corpo erano
abbastanza
visibili. Iniziavo a sentire il freddo che entrava dalla porta,
così senza
pensarci due volte mi spostai dalla porta per farlo entrare.
"Mi
hai fatto una bella sorpresa, sicuramente io e la mia casa non siamo
molto
presentabili, ma ti diamo il benvenuto a Casa Walsh." Dissi sorridendo,
sembrava come un bambino. I suoi occhi erano vivaci, osservavano ogni
cosa che
lo circondava, entrò con lentezza e poi si fermò
vicino alla porta che io
richiusi subito dopo, non parlava e non capivo se era per la delusione
o per lo
stupore.
"Stavo
preparando un the, ne vuoi un po'? E poi ti prego, tirati via il
cappotto, c'è
caldo qui." Allungai una mano verso di lui per prendere il suo
cappotto,
lo appesi e poi presi un maglioncino per coprirmi almeno la parte sopra.
"Allora
dimmi, come stai? Ti senti meglio? Fammi sentire la fronte." Quando mi
girai, lo trovai a pochi passi da me e in pochi attimi la sua mano
finì sul mio
viso.
Non
era la prima volta che succedeva, ma il mio respiro aumentò
impercettibilmente
e il mio cuore iniziò a farsi sentire più del
solito.
Forse
era l'intimità della situazione, io in pigiama, in casa mia
e lui così
rilassato.
"Beh
la febbre sembra che sia calata, però non sei ancora in
forma, da medico ti
consiglierei di stare a casa un altro paio di giorni, almeno ti
riprendi del
tutto. Ma tanto so già che farai come ti pare." Disse
sorridendo, facendo
scivolare la sua mano sulle mie guance.
Mi
incantai a guardarlo, il velo di sole che entrava dalla finestra
illuminava i
suoi capelli scuri che emanavano un profumo buonissimo e la sua pelle
sembrava
risplendere come una statua d'oro.
"Sì,
infatti credo che domani tornerò a lavorare, non posso
permettermi di stare a
casa troppo." Allungai una mano e la misi sulla sua, era calda e
morbida e
subito iniziai ad immaginarla sul mio corpo, ma stranamente questa
volta non
finii nel mio mondo perverso, rimasi presente e 'cosciente'.
Ci
scambiammo sguardi pieni di passione. A quel punto ero quasi certa che
anche
lui fosse attratto da me in modo irrefrenabile.
Il
fischio della teiera colpì il nostro momento di passione, ci
spostammo e io
andai in cucina per preparare le tazze di the. Gli davo le spalle, ma
sentivo i
suoi occhi su di me. Potevo immaginare cosa stesse guardando e questa
cosa mi
riempì di sicurezza e gioia.
Quando
mi girai lo trovai seduto alla penisola della cucina in attesa,
continuava a
guardarmi proprio come se volesse saltarmi addosso da un momento
all'altro;
così approfittai di questa atmosfera e piena di desiderio mi
lanciai in
un'opera sensuale che non mettevo in pratica da anni.
Per
versargli il the, invece che rimanere dalla mia parte della penisola,
andai
dalla sua parte e mi abbassai leggermente, nonostante il maglioncino
sapevo che
le mie forme si sentivano benissimo, così sfiorai la sua
spalla con il mio seno
mentre gli versavo il the, sentii subito i suoi muscoli irrigidirsi. Lo
guardai
e gli sorrisi, i suoi occhi era socchiusi e le sue labbra carnose si
muovevano
leggermente mentre deglutiva.
Tornai
verso la dispensa in cucina mi abbassai a gambe tese per prendere i
biscotti e
ne approfittai anche per slacciarmi il maglioncino; sentii l'orlo del
pigiama
che premeva fra le mie natiche, quando mi rialzai trovai Mark che con
due dita
cercava di allentarsi il colletto della camicia, anche se aveva
già un bottone
slacciato, probabilmente lo sentiva troppo stretto.
Ero
compiaciuta dell'effetto che questi pochi movimenti stavano avendo su
di lui.
"Ecco
i biscotti dottore. Spero sia tutto di suo gradimento." Dissi
prendendolo
in giro.
Lui
sembrava come bloccato, non parlava, continuava solo a fissarmi.
Mi
piegai sulla penisola verso di lui, mettendo in mostra la mia
scollatura e
allungai una mano davanti ai suoi occhi.
"Mark,
ci sei? Ti senti bene? No parli da almeno 10 minuti e non è
normale." Lui
si schiarì la voce ed ero convinta di aver visto un po' di
rossore sulle sue
guance.
"Sì
scusami è tutto ok. Stavo seguendo i tuoi movimenti... Sai,
stamattina sei
particolarmente sexy, nonostante tu sia in pigiama e completamente
spettinata e
questa cosa mi crea qualche problema." Disse allungandosi verso di me e
prendendo il mio viso fra le mani. A separarci solo qualche centimetro,
sentivo
il suo respiro profondo sul mio viso e il calore delle sue mani mi
provocò
piccoli brividi.
Non
volevo affrettare le cose, volevo fosse tutto lento e volevo che il
desiderio
raggiungesse l'apice. Se non fosse stato così avrei
scavalcato la penisola e mi
sarei messa in braccio a lui strappandogli i vestiti, ma forse con un
po' di
perfidia e masochismo volevo far soffrire un po' tutti e due.
Con
il viso fra le sue mani non mi allontanai e non mi avvicinai. "Ti crea
qualche problema e quale? Sei sempre così sicuro di te. Sono
solo una povera
donna ammalata che cerca di trattare bene il suo ospite." Quando finii
la
frase mi leccai il labbro superiore lentamente e poi sorrisi.
Sentii
la sua presa stringersi di poco e i suoi occhi si allargarono, la sua
bocca era
socchiusa, ma il suo respiro aumentava di velocità.
"Sai
che hai un bel reggiseno Elly. Molto sensuale." I suoi occhi erano
dentro
alla mia maglietta, probabilmente anche dentro al reggiseno e le sue
mani
iniziarono a muoversi verso il collo.
Stavo
diventando matta, ma mi piaceva. Ogni suo movimento mi provocava
piacere, non
osavo immaginare cosa sarebbe successo se mi avesse baciato o se mi
avesse
toccato da qualche altra parte.
Allungai
una mano verso di lui e appoggiai un dito sulle sue labbra, poi lo feci
scivolare verso il bordo della camicia, mosse leggermente la testa e
poi tornò
a fissarmi.
"Credo
che il the si stia raffreddando." Dicendo questo mi allontanai
lentamente
e mi sedetti per bere dalla mia tazza.
Lui
rimase con le mani a mezz'aria e mi guardò indispettito.
"Sei
una piccola vipera, ecco cosa sei. Fino a ieri balbettavi, ti
imbarazzavi e
neanche mi guardavi e oggi? Cosa ti è successo? Hai deciso
di farmi
impazzire?"
Non
risposi, gli sorrisi e iniziai a fissare il suo petto. La camicia e i
jeans
erano leggermente attillati. Avrei voluto si alzasse per ammirare anche
tutto
il resto del corpo, ma per ora mi accontentavo.
"Lo
sai vero che dal primo momento che ti ho visto non faccio altro che
pensare a
te? Ti sogno di notte e ti penso continuamente di giorno. Sai cosa mi
provochi
quando ti vedo, vero?"
Rimasi
sconvolta da questa sua dichiarazione, ma non lo diedi a vedere.
Non
pensavo proprio di aver innescato questa reazione anche in lui, pensavo
di
essere l'unica ad aver perso completamente la testa.
"Avevo
intuito qualcosa, ma non sicuramente fino a questo punto. Ma posso
capirti, tu
invece lo avevi capito che penso a te ogni singolo secondo? Avevi
capito quanti
film mentali mi sono fatta in questi giorni su di noi?" Ci mettemmo a
ridere, ma i nostri sguardi vogliosi non si spensero.
Quel
giorno, però, mi sentivo particolarmente stronza,
così finii di bere il the e
mi alzai.
"Io
devo farmi assolutamente una doccia, se ti va puoi aspettarmi qui,
c'è la tv,
il computer e la musica..." Lui si alzò e rimasi
piacevolmente colpita nel
vedere il rigonfiamento che appariva nei suoi jeans, guardai solo un
attimo per
non farmi notare. Non volevo metterlo in imbarazzo proprio ora che le
cose
andavano come volevo io.
Gli
passai molto vicino e sfiorai appena il suo corpo con il mio, poi mi
girai
verso di lui in attesa di una risposta.
"Ok,
se non ti do fastidio credo ti aspetterò qui. Voglio
assicurarmi che tu stia
davvero bene." Mosse piano una mano verso di me, così la
presi e
l'appoggiai sul mio petto, in mezzo fra i due seni.
"Che
c'è dottore? Ti vedo a disagio... Vorresti venire a fare la
doccia con me,
vero? Ma non verrai" Dissi allontanandomi, iniziai a camminare
lentamente
ancheggiando in modo vistoso, mi diressi verso le scale che portavano
al piano
di sopra e proprio in quel momento suonarono il campanello e nello
stesso
istante iniziò a suonare il cellulare.
Fanculo,
proprio adesso tutti devono avere bisogno di me. So già che
tutto verrà
rovinato da questo squillare. Uffa.
Ehi, come state? Io ultimamente
sono sempre più impegnata ed infatti continuo a ritardare
con gli aggiornamenti della storia. Spero mi
perdonerete, non ho molto da dire questa volta se non che per Elly ci
sarà qualche grosso problema con il passato.
Prima
di
lasciarvi al capitolo, ringrazio tutti voi come sempre che mi lasciate
bellissime recensioni.
Capitolo 8. (Shadows from the
Past)
Presi
in mano il cellulare, era Sophie. Nel
frattempo andai verso la porta di casa, sperando non fosse Clay,
altrimenti
l’avrei uccisa.
“Ciao
tesoro, come stai?” dissi a mia figlia.
Guardai
dallo spioncino della porta, era un signore
alto con un cappellino. Non riuscii a capire chi fosse, così
aprii.
“Mamma,
come stai? Mi mancavi… Hai visto
l’email…”
mia figlia era un fiume in piena, ma dovetti interrompere la sua gioia.
“Tesoro,
posso richiamarti fra 5 minuti, c’è un
piccolo imprevisto di lavoro, ma non preoccuparti.” Dissi
guardando quell’uomo
enorme che sorridendo falsamenteaspettava con in mano un pacco e il foglio della ricevuta
da firmare.
Mia figlia non sapeva che ero stata a casa da lavorare per via
dell’influenza e
quello non era il momento più adatto per avere domande di
preoccupazione da
parte di Sophie e di mia madre, così preferii dire una
piccola bugia. Le avrei
spiegato poi tutto in seguito.
“Ah
ok mamma, allora a fra poco.” Disse mia figlia
mandandomi un bacio.
“Salve,
mi scusi per l’attesa.” Dissi guardando
curiosa il pacco. Non ricevevo mai posta a meno che non fossero
bollette o
pubblicità, non riuscivo proprio a capire chi potesse avermi
mandato un
pacchetto nel periodo di natale.
“Ecco
qui signora, grazie e arrivederci” Disse il
postino riprendendo la biro con cui avevo firmato e allontanandosi.
Chiusi
la porta e mi rigirai il pacchetto fra le
mani, quando vidi il nome del mittente mi venne un tonfo al cuore. Il
pacco mi
cadde dalle mani e io dovetti appoggiarmi alla cassapanca
dell’ingresso per non
crollare a terra.
Mark,
che aveva guardato la scena dalla sala, corse
verso di me. “Ehi Elly, tutto ok? Che succede.”
La
mia vista si offuscò e svenni.
Mi
risvegliai sul divano completamente intontita.
Ero svenuta, era incredibile l’effetto che aveva fatto su di
me leggere quel
nome.
Girai
lo sguardo e trovai Mark seduto sulla
poltrona che fissava il fuoco nel camino.
“Mmm,
Mark… Che è successo?” Dissi cercando
di
sollevarmi a sedere.
Mark
corse verso di me e con dolcezza mi rimise
sdraiata.
“Elly,
finalmente… Sei svenuta, sei rimasta due ore
sul divano a dormire come un ghiro. Per fortuna che ero lì
vicino a te quando
sei crollata, altrimenti avresti fatto un bel tonfo per
terra.” Disse
sorridendo e passandomi una mano sulla fronte. “Mi sa che ti
è salita la febbre
di nuovo.”
Spalancai
gli occhi “Ho dormito due ore? Oddio
chissà Sophie e mia madre come saranno preoccupate, devo
richiamarle subito.”
Mi alzai di scatto e la mia testa girò come un uragano.
Di
nuovo Mark mi rimise sdraiata. “Stai calma Elly,
ha chiamato dopo poco che sei svenuta e ho parlato io con tua figlia,
spero di
non aver fatto male. Volevo solo tranquillizzarla.”
Io
lo guardai sbalordita e il mio cervello iniziò a
fare film mentali.
Oddio,
ha parlato con Sophie, chissà cosa avrà pensato
mia figlia. E chissà cosa avrà
detto a mia mamma. Ah, non voglio neanche pensarci. Ti sei messa in un
bel
casino Eloise.
Probabilmente
Mark notò il mio sguardo assente e un
po’ terrorizzato, nonostante ci conoscessimo da poco sembrava
capire ogni mio
singolo movimento.
“Tranquilla
Elly, ho detto a tua figlia che sono il
padre di Seth e così si è subito calmata, anzi ha
iniziato a farmi una marea di
domande su mio figlio. Siamo stati al telefono circa 20 minuti.
Sicuramente
dovrai dare spiegazioni a tua madre, perché tua figlia non
mi ha chiesto niente
sul perché ho risposto io al tuo cellulare.”
Ripensando a quel momento sorrise,
guardando la foto dello scorso natale,che avevo sul camino in cui io e Sophie ci eravamo
attorcigliate con le
luci dell’albero e facevamo strane espressioni buffe.
Continuai
a fissarlo, sembrava davvero l’uomo dei
sogni, riusciva a cavarsela in qualsiasi situazione, anche se
l’idea di parlare
con il “sergente Helen” non era di grande aiuto per
me in quel momento, ma
cercai di accantonare l’idea di mia madre curiosa e troppo
invadente.
“Spero
potrò conoscere meglio tua figlia, credo sia
una bambina fantastica.” Disse tornando a guardare me con
occhi pieni di
speranza.
Quell’affermazione
mi lasciò a bocca aperta. Voleva
conoscere Sophie e questo secondo il mio cervello bacato voleva
intendere
relazione fissa e importante. Sbattei le palpebre un paio di volte per
tornare
con i piedi sulla terra, sicuramente la mia immaginazione e le mie
speranze si
stavano dando man forte a vicenda.
“Sono
felice che tu abbia parlato con Sophie,
chissà quante cose ti avrà chiesto su
Seth… Quando i bambini torneranno dalle
vacanze potremmo passare un bel pomeriggio insieme se ti va.”Non sapevo come fossi
riuscita a dire una
cosa del genere con così tanta sicurezza, ma la reazione che
vidi su Mark mi
fece scoppiare il cuore di gioia.
Si
avvicinò a pochi centimetri dal mio viso e prese
le mie mani fra le sue.
“Dici
davvero? Speravo me lo chiedessi. Sai credo
farebbe bene ai nostri bambini e probabilmente farà bene
anche a noi due single
disperati.” Disse ridendo e dando un piccolo bacio sul palmo
della mia mano.
Lo
guardai e tutta me stessa desiderò abbracciarlo,
mi protesi verso di lui, liberai le mie mani dalla sua presa e gli
gettai le
braccia al collo; affondai il mio viso sulla sua spalla e inspirai
tutto il suo
profumo.
Lui
in ginocchio di fianco al divano si sollevò
leggermente per potermi abbracciare meglio e quando sentii le sue
braccia
attorno al mio corpo diventai un ghiacciolo che si scioglie al sole;
sentii le
forze abbandonarmi, ma continuai ad abbracciarlo con dolcezza, con una
mano gli
accarezzavo la schiena e con l’altra i capelli.
“Ah
Eloise, rimarrei così per sempre lo sai.” Disse
parlando fra i miei capelli. Le sue mani viaggiavano lente percorrendo
ogni
centimetro della mia schiena.
Aprii
le labbra in un sorriso così largo che pensai
mi si potesse squarciare la bocca.
“Mi
sento a casa fra le tue braccia.” Le parole
uscirono così naturali, senza che il mio cervello desse il
permesso di
pronunciarle, ma mi sentivo così bene e leggera. Non avevo
più paura di dire
quello che provavo, anzi avrei voluto uscire e gridare a tutta
l’isola quanto
quest’uomo mi facesse battere il cuore.
Riaprii
gli occhi ancora sognanti, ma quando vidi
quel maledetto pacco appoggiato al tavolo mi irrigidii e bloccai ogni
mio
movimento. Le mani di Mark si fermarono, mi prese per le spalle e
lentamente mi
allontanò.
Guardò
la direzione del mio sguardo e capì tutto.
“Eloise, perché quel pacco ti fa
quest’effetto? Cosa succede?”
Mi
tremavano le mani e cercai di parlare.
“E’……” Le
parole uscivano a fatica. “Quel pacco
è…..” Incredibile, non riuscivo a
pronunciare il suo nome.
Mark
si alzò e andò a prendere il pacco. Lesse il
nome sulla carta marrone ad alta voce. “Herbert
Walsh… E’ di qualche tuo
parente immagino.” Disse fissandomi, sperando io riuscissi a
pronunciare una
minima parola.
“Mio
padre.” Fu l’unica cosa che riuscii a dire,
ancora rigida come un sasso, ero pietrificata su quel divano, non
muovevo un
muscolo.
“Ok,
tuo padre ti ha mandato un regalo per natale,
penso visto il periodo, e tu reagisci così.” Si
avvicinò e si sedette sul
divano, di fianco a me, col pacco sulle gambe.
“C’è
qualcosa che non va e questo è palese, ma non
puoi stare lì così. Aprilo almeno e dopo che
avrai visto il contenuto potrai
reagire di conseguenza. Potrai incazzarti, piangere o magari essere
felice.
Tanto io sono qui di fianco a te e sono disposto ad assorbire pugni,
lacrime o
sorrisi.” Con la sua mano mi tirò a se e mi
appoggiai al suo fianco fissando il
pacco.
Cercai
di fare respiri lunghi e profondi, ma quel
nome riportava a me troppi ricordi brutti.
“Tu
sarai qui con me? Qualsiasi reazione avrò?
Sicuro che non scapperai impaurito?” Dissi cercando di
liberare un piccolo
sorriso, dalla morsa di ansia che mi attanagliava in quel momento.
Mark
mi guardò e mi strinse un po’ di più a
sé.
“Non vado da nessuna parte Elly, so che non sarà
facile per te fidarti. Ma
credimi.” Il suo calore, il suo sguardo così dolce
e i movimenti lenti delle
sue mani sulle mie braccia mi tranquillizzò.
“Ok,
però prima voglio richiamare Sophie, cercherò
di inventarmi una scusa ragionevole con mia madre.” Mi
staccai da Mark per
prendere il cellulare sul bracciolo del divano e tornai ad accoccolarmi
accanto
a lui mentre chiamavo Sophie.
Come
mi aspettavo rispose mia madre. “Eloise, cosa
succede? Sophie mi ha detto che ha parlato con un certo Mark. Dove
sei?” Ah, mi
mancava un po’ questo lato impiccione di mia madre. Da quando
il mio ex mi
aveva lasciato, non avevo più avuto nessun tipo di relazione
con uomini e
l’unica mia amica era Claire; così mia madre non
aveva molto di cui
impicciarsi.
“Mamma,
calmati. E’ tutto a posto. Ero a lavorare,
ma c’è stato un problema con un uomo ubriaco,
così Mark conoscendo la mia
situazione, quando ha visto comparire sul cellulare il nome di mia
figlia, ha
pensato di tranquillizzarla. Inoltre aveva assistito alla chiamata di
poco
prima, avevo detto a Sophie che l’avrei richiamata subito ed
essendo anche lui
padre ha immaginato che Sophie si sarebbe preoccupata.”Mia madre sembrava essersi
convinta, fece un
sospiro rumoroso sul telefono.
“Ok,
l’importante è che stai bene. Sophie è
tutta
contenta perché ha conosciuto qualcosa in più del
suo amichetto Seth. Oggi
abbiamo fatto un pupazzo di neve enorme, ti abbiamo mandato le foto per
e-mail.” Non sentivo nessun tipo di rumore, di solito mia
figlia si faceva
sentire per parlare con me, invece niente.
“Mamma,
dove hai spedito Sophie per farmi queste
domande?” Chiesi insospettita.
“Donna
di poca fede, non ho spedito mia nipote da
nessuna parte, è semplicemente sul divano che fa un
riposino. Si stanca molto
qui, usciamo sempre e spende ogni sua energia fra la neve, inoltre con
i compiti
completa l’opera di sfinimento.” Disse mia madre
sorridendo e sbuffando.
Sicuramente
l’energia di mia figlia stava
prosciugando anche quelle delle nonna.
“Ok
mamma, l’importante è che state bene, che
Sophie sia brava, che si diverta e che faccia i compiti.”
“Tranquilla,
è in buone mani. Ci sentiamo domani
allora? Fai in modo di poter parlare un po’ con tua
figlia.” Ci salutammo e
immediatamente tornai ad osservare il pacco ancora sulle gambe di Mark.
Lui non
aveva smesso un attimo di accarezzarmi braccia e schiena, mi faceva
sentire la
sua presenza e vicinanza in ogni modo possibile.
“Ok,
prima di aprire il pacco è meglio che ti
spiego le mie reazioni.” Dissi schiarendomi la voce e
raccogliendo tutto il mio
coraggio; non era mai piacevole parlare di mio padre e
l’unica che conoscesse
tutta la vera storia era Clay.
Lui
in tutta risposta strinse la presa intorno a me
con un braccio e mi prese una mano con dolcezza, alzai lo sguardo e
Mark mi
stava sorridendo annuendo. Era pronto, pronto ad ascoltare ogni mio
problema e
turbamento.
“Mio
padre non è mai stato un vero padre per me. Se
ne è andato di casa quando io avevo 10 anni, dopo di che non
abbiamo più avuto
sue notizie. Ma in fondo è stato un sollievo. Quando i miei
genitori stavano
insieme era un dramma, litigi, sfuriate e incomprensioni erano
all’ordine del
giorno. Mio padre se la prendeva con mia madre per qualsiasi cazzata
succedessefuori o
dentro casa; un
problema di lavoro, un problema con amici, l’auto rotta, il
cibo freddo… Ogni
pretesto era buono per attaccar briga. Le cose sono peggiorate quando
mio padre
la picchiò così forte che mia madre dovette
andare all’ospedale. Da quel giorno
mio padre veniva a casa sempre meno, fino a quando un giorno
è scomparso senza
preavviso. La reazione di mia madre alla sua scomparsa fu un sospiro di
sollievo e un forte abbraccio per me.
In
tutto questo, io ero sempre di sfondo, per mio
padre era come se non esistessi. Quando mia madre cercava di fargli
vedere i
mie progressi a scuola o nella danza, lui si voltava
dall’altra parte
sbuffando.
I
momenti di vita quotidiana insieme erano i
peggiori, io mi rinchiudevo nella mia cameretta sentendomi esclusa e
rifiutata
da lui; mentre loro al piano di sotto litigavano in continuazione.
Ora
sai il motivo delle mie reazioni. Per me lui
non è un padre, ma l’uomo che ha distrutto la vita
di mia madre per vent’anni.
L’ultima cosa che voglio vedere è una sua lettera
o un suo regalo.” Quando mi
fermai avevo il fiatone, avevo buttato fuori tutto d’un
fiato. Era un peso così
enorme per me che se mi fossi fermata, ne sarei rimasta schiacciata.
Mark
non parlava, ma mi bastava sentire le sue
labbra sui miei capelli e le sue braccia che chiudevano il mio corpo in
una
stretta piena di comprensione e dolcezza.
Non
mi ero accorta che avevo il viso bagnato dalle
lacrime, nonostante tutti gli anni passati, parlare di
quell’uomo così crudele
mi faceva ancora stare male.
“Adesso
basta piccola mia. L’unica cosa che puoi
fare è vedere cosa vuole Herbert e reagire di
conseguenza.” Disse Mark
asciugando le mie lacrime con il pollice.
Mi
alzai dal suo fianco, quando le sue braccia mi
liberarono mi sentii nuda. “No, ti prego. Continua ad
abbracciarmi Mark, ti
prego.” Sapevo che la mia voce correva fra la disperazione e
la depressione.
Mentre
Mark mi circondava di nuovo con le sue
braccia io presi il pacco dalle sue gambe e iniziai a rigirarmelo fra
le mani;
era piccolo ma decisamente pesante, non riuscivo proprio ad immaginare
cosa potesse
contenere.
Stracciai
la carta e trovai un’altra scatola con
attaccata una lettera bianca, staccai quel foglio e il primo impulso fu
quello
di gettarlo fra le fiamme del camino, ma mi trattenni e lo aprii.
“Cara
Eloise, come stai?
So
bene che spuntare così dal nulla non deveessere piacevole per te e ti chiedo subito scusa, ma non
avevo altro
modo per contattarti.
Prima
che tu ti faccia strane idee, il tuo indirizzo attuale me lo ha dato
una tua
vecchia compagna di scuola, l’unica che è riuscita
a dirmelo, degli altri tuoi
vecchi amici nessuno lo sapeva.
Non
sono stato un padre per te e sicuramente non mi vedi neanche come un
uomo, più
probabilmente ti ricordi di me come una bestia e forse hai ragione a
ricordarmi
così.
Volevo
solo scriverti che mi dispiace, anche se questo non farà
passare la rabbia e
l’odio che provi verso di me. Dopo tanti anni di riflessioni,
so di aver
sbagliato e di aver perso te come figlia, non so niente di te e non me
ne
interessavo. Ma ora le cose sono cambiate, sono cambiato io da tanti
anni. Non
so perché ho scelto questo periodo e quest’anno
per scriverti. Ma mi mancavi
terribilmente….” Mi fermai e chiusi
quella carta leggera fra le mie mani, stavo piangendo e tremavo.
Leggere quelle
parole era devastante per me, la voragine nel mio petto si
riaprì velocemente e
minacciava di risucchiare qualsiasi cosa.
Incrociai
le gambe sul divano e mi rannicchiai su
di esse piangendo come una bambina. “Non è
possibile che quest’uomo mi stia
scrivendo tutto questo, non è
possibile….”
Mark
era lì al mio fianco, come mi aveva promesso.
“Elly,
alzati per favore. Guardami.”
Alzai
lo sguardo e sprofondai nei suoi occhi,
sembrava stesse soffrendo insieme a me. Aveva gli occhi lucidi e gli
angoli
della bocca piegati in una smorfia triste. “Io sono qui. Se
non te la senti di
continuare fermati. Leggerai dopo. Non devi fare tutto insieme, puoi
anche fare
un passo alla volta. Ma non fare così, non voglio vederti
soffrire. So che la
mia è una pretesa assurda per questo momento, ma non voglio
vederti così, mi
spezzi il cuore.” Mi attirò a sé e mi
abbracciò forte, a quel contatto le
lacrime scesero ancora più copiose.
“Da
dove sei arrivato tu? Chi ti ha mandato qui da
me? Chi devo ringraziare per averti qui al mio fianco? Tu sei un
angelo!” Le
mie domande retoriche non avrebbero mai avuto risposta forse, ma Mark
si
impegnò a darmi una prova del fatto che fosse lì
per me e solo per me.
Si
spostò leggermente e mi baciò. Un bacio
disperato, dolce e pieno d’amore. La passione sfrenata di
poco prima ci aveva
abbandonato, ora avevamo solo bisogno l’una
dell’altro. Nient’altro che noi.
Ricambiai
il bacio muovendo lentamente le mie
labbra screpolate sulle sue morbide e vellutate, le mie lacrime bagnate
iniziarono ad insaporire le nostre salive, i nostri corpi avvinghiati
in un
abbraccio unico. Come fossimo una cosa sola.
Quando
staccò le sue labbra dalle mie, sentii solo
che ero sua. Mi faceva stare bene, mi faceva sentire amata e protetta;
proprio
quello di cui avevo assoluto bisogno.
Appoggiò
le mani sul mio viso e mi diede un bacio
sul naso “Sei così bella piccola Elly, non
piangere più.” Asciugò le mie
lacrime e baciò i miei occhi.
Le
mie mani erano appoggiate al suo torace, la sua
camicia ormai sgualcita dalle mie innumerevoli strette. “Sei
tu quello bello e
perfetto qui. Mi fai sentire in paradiso, è come se tu
riuscissi ad assorbire
ogni mia parte negativa e farla scomparire. Grazie, per esserci stato e
per
continuare a rimanere.”
Tirò
il mio viso al
suo e mi baciò ancora. Lo
abbracciai e mi abbandonai su di lui. Avrei voluto che quel bacio
continuasse
all’infinito. Ma quando ci staccammo rimanemmo abbracciati,
l’una con le
coccole dell’altro.
Buonasera
a tutti. Eccomi qui con il nuovo capitolo. Prima
di tutto vorrei annunciarvi una piccola novità; da oggi
anche questa storia avrà un banner
di presentazione e per
questo ringrazio con tutto il cuore la mia piccola Afu,
sempre presente e disponibile con me.
Che
ne dite? E' davvero splendido, a me piace moltissimo. Ora
veniamo al nuovo capitolo, come capirete dal titolo è come
se fosse la seconda parte del capitolo 8. Ringrazio
tutti voi per le bellissime recensioni e per la voglia che mi date per
andare avanti. Grazie
di cuore a tutti. Buona lettura.
Capitolo 9. (Letter from the Past)
Ero
sul divano da sola, Mark era dovuto andarsene
un’ora prima perché doveva fare il turno notturno
a lavorare.
“Scusami, ti prego. Sai che vorrei rimanere qui
con
te tutta la sera e tutta la notte, vero? Però voglio che ti
ricordi di una
cosa, per qualsiasi cosa, chiamami o mandami un messaggio, io per te ci
sarò sempre.”
Così mi aveva detto prima di andarsene, mi diede un bacio
dolce ed uscì da casa
mia. Ripensare a quei comportamenti faceva stampare sul mio viso un
sorriso da
ebete, ero veramente felice perché sentivo come se fossimo
una normalissima
coppia e invece in realtà ancora non lo eravamo. Era
successo tutto in modo
naturale, senza forzature, lui mi era stato accanto in uno dei momenti
forse
più difficili e io non glielo avevo dovuto chiedere.
Il
pacco mandato da mio padre era ancora lì,
imponente appoggiato sul tavolo, con sopra quella lettera che ancora
dovevo
finire di leggere, mi sentivo una bambina, ma avevo bisogno che
qualcuno fosse
accanto a me per continuare e l’unica persona oltre a Mark
era la mia Claire.
La stavo aspettando, quando avrebbe finito il turno
alla tavola calda sarebbe venuta da me, si sarebbe fatta una bella
doccia e
avremmo mangiato una pizza e poi chissà… Forse
avrei continuato a leggere e
avrei aperto il pacco o forse no. Forse avremmo semplicemente parlato
delle mie
ore passate con Mark.
Il mio cervello stava viaggiando troppo
velocemente, così mi alzai dal divano e andai sul balcone.
Sicuramente l’aria
fredda e pungente della sera mi avrebbe fatto riprendere.
“Ehi,
signorina.” Sentii quando misi
piede fuori.
Era Clay, che aveva appena parcheggiato la macchina. Guardai
l’orologio, erano
le 6. Aveva finito prima di lavorare e questo non poteva che farmi
piacere.
Rientrai per aprirle la porta e quando me la vidi
di fronte l’abbracciai così forte che pensai avrei
potuto soffocarla.
“Non ne hai avuto ancora abbastanza di
abbracci?”
Disse guardandomi e sorridendo. Sapeva che avevo passato la giornata
con Mark e
le avevo accennato del pacco di mio padre, ma non sapeva niente di
più.
“Oh, sai che io vivrei di abbracci, dunque adesso
sbrigati a farti la doccia che così ti racconto
tutto.” La curiosità della mia
amica guizzò nei suoi occhi, così saltellando
come una bambina andò al piano di
sopra per lavarsi, quando fu in cima alle scale si girò
verso di me. “Vedi di
ricordarti ogni minimo dettaglio di qualsiasi cosa, io DEVO
sapere.”
“Vaiiiiii, che potrei dimenticarmi tutto in un
secondo” Le urlai da sotto.
Intanto
che l’aspettavo mi misi a preparare il
tavolo per la cena, spostai il pacco come se contenesse materiale
radioattivo,
stando attenta a non avvicinarmi più del dovuto, senza
smuoverlo troppo, lo
appoggiai sul divano; fissai la lettera ripiegata a metà e
mi venne un brivido.
Ancora non riuscivo a capacitarmi del fatto che
quell’uomo mi avesse scritto, dopo tutti quegli anni di
completa assenza cosa
si aspettava da me? Cosa voleva?
Un moto di rabbiasmosse la mia voglia di buttare quel foglio di carta nel
camino
scoppiettante.
“Non fare niente di insensato Elly, potresti
pentirtene, non voglio che ti butti nel fuoco per recuperare carta
bruciata.”
La voce di Claire era ironica, ma anche sicura di sé, dietro
le mie spalle.
Mi girai, gli occhi erano ancora un po’ gonfi per
i
pianti delle ore prima e feci scivolare le braccia lungo i miei
fianchi, come
in segno di arresa.
“Questa lettera è per te e devi
leggerla fino in
fondo. Il dolore che ti ha fatto passare tuo padre non credo
potrà essere
superato da qualcosa di peggiore, dunque devi farti coraggio e leggere
tutto,
fino in fondo. Tanto sai che io sarò qui e se ce ne
sarà bisogno andrò da tuo
padre a riempirlo di bastonate.” Clay si avvicinò
e mi prese le mani.
“Dov’è andata a finire quella
ragazza forte e
coraggiosa che si è trasferita anni fa in un paesino
sconosciuto? Dov’è finita
quella persona che è andata avanti da sola, con una figlia
senza chiedere aiuto
a nessuno?”
“No, ho chiesto aiuto a te in questi anni. Clay lo
sai anche tu che non sono mai stata forte, sono riuscita ad andare
avanti
perché c’eri tu e basta.” Le lacrime
stavano risalendo prepotenti verso i miei
occhi, ma non volevo piangere. Non era il momento ancora, avrei avuto
tempo più
tardi per disperarmi fra le braccia della mia amica.
“Beh, se sei andata avanti perché
c’ero io, potrai
farlo benissimo anche adesso, perché io sono qui con
te.”Mi
abbracciò forte e sospirò fra i miei
capelli. “Quante persone dovranno continuare a farti soffrire
ancora?” Era più
un suo pensiero detto ad alta voce ecco perché non risposi,
mi limitai a
stringerla forte.
Finalmente
le pizze arrivarono, andai ad aprire al
giovane ragazzo e lo pagai. Per nostra fortuna le pizze erano ancora
fumanti
nonostante le temperature sotto zero al di fuori.
Quando ci sedemmo a tavola l’argomento principale
diventò Mark. Quando Clay diceva che voleva sapere tutto,
intendeva proprio
tutto. Le raccontai del suo improvviso arrivo, di come io ero stata
seducente
nei suoi confronti; anche se raccontandolo ora mi veniva da ridere e
speravo
che anche lui non avesse provato le stesse sensazioni mie di ora. Le
dissi del
postino che arrivò e del mio svenimento. Di come Mark era
stato vicino a me,
della sua chiacchierata con Sophie. Dei baci, delle coccole e degli
abbracci.
“Aaaaaaaaaaah lo sapevo che vi sareste
baciatiiiiiii.” Era felice come una bambina.
“Siete fatti per stare insieme, l’ho
detto fin dal
primo momento io. Cavolo dovrei aprire un negozio e fare la cartomante,
ci
azzecco sempre. Dai com’è stato baciarlo e
sentirti fra le sue braccia?
Racconta a questa povera ragazza in astinenza da coccole e
baci.”
Mi faceva ridere, Clay era sempre stata una persona
frizzante e piena di energia, ma sapevo bene quanto anche lei si
sentisse sola
e speravo che trovasse qualcuno che le facesse battere il cuore come
batteva il
mio in questi giorni.
“Non so spiegarti com’è
stato. Posso solo dirti che
mi sembrava di andare a fuoco stando in paradiso. Mi fa provare
emozioni che
non ho mai provato in vita mia, mi fa sentire a mio agio in qualsiasi
situazione. Riesce a starmi vicino anche se mi conosce poco, mi capisce
e si
comporta di conseguenza. Il mio cuore ha rischiato di fermarsi un paio
di
volte, ma poi è stato tutto davvero così
naturale, ho spento il cervello e mi
sono detta ‘Succeda quel che succeda’ e
così è stato. Non mi sono fatta
problemi o paranoie ed è stato bellissimo. Spero potremo
ripetere presto.”
Ripensando a quei momenti ripresi a sognare, da quanto una persona non
mi
faceva stare così bene?
“Aaaaah Eloise Walsh, lo sapevo che ti saresti
lasciata andare. Era ora. Finalmente hai trovato l’uomo della
tua vita, vedi di
non fartelo scappare altrimenti ti uccido e poi te lo rubo
io.” Prese una birra
e se la scolò in un sorso e poi si accese una sigaretta.
“Clay, da quando hai ripreso a fumare?? Hai per
caso una scorta segreta e non me lo hai detto?”
Avevamo deciso di smettere di fumare un mese prima,
insieme. Volevamo farlo per noi e per le nostre figlie, ma come tutti
sapranno
è un vizio duro da lasciar andare.
“Passamene una dai.” Come facevamo mesi
prima,
spegnemmo le luci, aprimmo le finestre e ci mettemmo a fumare di fronte
alla
finestra, con una coperta sulle spalle; guardando il mondo offuscato
dalle
nostre sbuffate di fumo.
“Elly, sono felice per te. Credimi. Ma quando
penso
a me vedo tutto grigio. Ormai in questo paesino conosco tutti e non
c’è un uomo
che mi interessi, sono tutti scialbi; l’unico interessante te
lo sei
accalappiato tu e sei stata grande.” Misi un braccio intorno
alle spalle della
mia amica.
“Clay, sarai di nuovo felice anche tu.
E’
impossibile che una persona splendida come te rimanga sola in questo
mondo.
Vedrai che incontrerai un bel lupo di mare che ti farà
perdere la testa e dopo
saremo sistemate tutte e due per il resto della vita.”
Sembravano i discorsi che facevamo da adolescenti,
quando ancora credevamo nell’amore per tutta la vita, quando
ancora credevamo
che bastava l’amore per fare andare tutto bene. Ora eravamo
cresciute e
sapevamo che non era così, ma nessuno ci toglieva la
possibilità di sognare e
essere ancora bambine ogni tanto.
Appoggiò la testa sulla mia spalla e continuammo
a
guardare il mare illuminato dalle luci del porto e dalla luna che si
rifletteva; una nave in lontananza viaggiava calma e silenziosa,
probabilmente
la mattina dopo ce la saremmo ritrovata a pochi passi; domani infatti
sarebbero
iniziati i mercatini tipici del luogo e come ogni anno attiravano un
sacco di
turisti.
“Da
domani ci sarà da sgobbare cara
amica mia. Non
voglio immaginare che turni dovremo fare.” Sospirammo tutte e
due. Quello era
sempre il periodo più brutto perché la nostra
piccola isola si riempiva di
persone e il passaggio dalla tavola calda era quasi d’obbligo.
Ci
stavamo congelando, così chiudemmo la finestra
e
riaccendemmo le luci. Guardai il pacco e la lettera e decisi di farla
finita
con quella storia. Andai sul divano e ripresi la lettera fra le mani,
Clay si
sedette di fianco a me osservando il fuoco. “…Ma
mi mancavi terribilmente. Non pretendo di rimettere tutto a posto con
queste
poche righe, ma mi piacerebbe poter imparare a conoscerti, piano piano,
non ho
fretta. Sono passati tanti anni e ai tuoi occhi sarò ancora
la bestia che
maltrattava tua madre e che si disinteressava a te, ma posso
prometterti che
sono cambiato. Mi
sono rifatto una famiglia, ora ho una moglie e due figli che sono tuoi
fratelli. Gli ho parlato di te e vorrebbero tanto conoscerti, come
vorrebbe
conoscerti mia moglie. Ripeto, non ho fretta, ma se avessi voglia di
rispondere
a questa lettera o chiamarmi ti lascio il mio indirizzo e il numero di
telefono. Voglio provare a rimediare al danno che ho fatto e spero me
ne darai
la possibilità. Nella
scatola troverai alcune foto, almeno potrai capire chi sono ora e se
avrai
voglia potrai vedere la famiglia che mi sono messo su.
C’è anche un piccolo
regalo che spero accetterai perché fatto col cuore e non per
costringerti a
vedermidi nuovo
come padre. Ti
mando un bacio sperando tu stia bene e che anche la piccola Sophie sia
in
grande forma.”
Non una lacrima stava scendendo sulle mie guance,
ma un moto di rabbia si fece strada dentro di me.
Strinsi la lettera fra le mani e la buttai per
terra. “Come si permette quest’uomo di intrufolarsi
nella mia vita. Chi si
crede di essere? Pensa di poter aggiustare tutto mandandomi lettere e
foto
della sua nuova famiglia felice? Pensa che potrò accettarlo
come padre o anche
solo come uomo? Per me è una bestia che ha distrutto la vita
di mia madre e che
ha ridotto a brandelli la mia infanzia. Non voglio lettere, non voglio
foto e
tanto meno regali. Deve sparire, deve essere un’ombra
com’è stato per tutti
questi anni. Non lo voglio, non mi interessa. Non mi serve un padre a
25 anni.
Che continui a stare con la sua bella famigliola, qui nessuno ha
bisogno di
lui.” Stavo camminando nervosamente per il salotto, con Clay
che dal divano
seguiva ogni mio movimento, stava lì a guardarmi aspettando
che la mia rabbia
calasse.
“Dio quanto è stupido. Cosa pensa di
ottenere? E
poi quella stronza di Julie non poteva starsene zitta e tenere il mio
indirizzo
per lei? Chi le ha dato il diritto di dare queste informazioni, mi
fidavo di
lei; l’unica persona rimasta di cui mi fidavo e lei cosa fa?
Si è fatta
abbindolare da un padre che non è mai stato mio. Ma cosa le
è saltato in mente?
Adesso la chiamo e gliene dico quattro.” Ecco il momento in
cui Clay
intervenne. Si alzò e mi diede uno schiaffo.
Rimasi immobile di fronte a lei. Il viso infuocato.
“Clay ti ci metti anche tu adesso? Cosa cazzo fai?”
“Adesso basta. Falla finita, non sei una bambina
Elly.” Urlò contro il mio visofacendomi
sentire realmente una bambina.
“Siediti e calmati, tu non farai niente adesso.
Starai qui sul divano immobile fino a quando non ti sarai calmata e sai
bene
che posso tenerti testa in fatto di forza dunque non provare a fare
niente,
altrimenti ti lego al divano.” Mi prese per le spalle e con
forza mi fece
sedere.
“Ma Clay, cosa stai dicendo non dirmi che credi a
quello che ha scritto….”
“Ti ho detto basta. Quando sarai calma potremo
ragionare su tutto quello che vuoi, ma adesso non serve a niente
parlare con
te.”
Così
dicendo mi lasciò sola e
andò a preparare
qualcosa in cucina, non mi girai a guardare cosa stava combinando,
ripresi in
mano la lettera e la guardai e riguardai; volevo stracciarla in mille
pezzettini, ma non lo feci.
Clay aveva ragione, dovevo calmarmi, così presi
una
sigaretta e mi sdraiai sul divano con i pensieri che correvano a
perdifiato
nella mia mente.
Probabilmente passarono ore prima che Clay tornò
di
fianco a me, decisi di aprire il pacco.
“Sicura di essere pronta?” Mi chiese
stringendo una
mia mano, la guardai negli occhi. Ero pronta.
La
prima cosa che mi balzò agli occhi furono le
decine di foto che aveva messo nella scatola, ma non erano solo della
sua
attuale famiglia. C’erano delle foto mie di quando ero
piccola e di mia madre e
dietro ad ogni foto c’era scritto la data e il momento in cui
furono scattate.
Guardai le foto dei suoi figli, erano bellissimi.
Due ragazzi ormai adolescenti e la moglie era una donna minuta e molto
dolce.
Mi chiesi se sapessero realmente cosa aveva fatto a me e mia madre.
Poi trovai una foglietto bianco, pensai ad
un’altra
lettera, ma quando lo aprii mi si fermo il fiato in gola.
Era un assegno. Un assegno da 30.000 euro.
Mi girai a guardare Clay e credo proprio che avesse
il mio stesso sguardo di sorpresa.
“Mmm questo proprio non lo capisco.”
Disse
continuando ad osservare quel foglio. Non avevamo mai visto tutti quei
soldi
insieme e ci sembrava così assurdo.
“Pensa forse di potermi comprare con i
soldi?” Di
nuovo la rabbia salì dentro di me, ma la fermai prima che
uscisse in urli e
bestemmie.
“Beh qualsiasi cosa pensa Herbert, ormai questi
soldi sono tuoi, sta a te decidere se usarli o no. Solo tu puoi
decidere cosa
fare.” Tutte e due continuavamo a fissare
quell’assegno.
Poi notai che nella scatola c’era un altro piccolo
foglietto.
“Questi
soldi sono sempre stati tuoi. Da quando eri piccola li mettevo da parte
per te,
volevo poter arrivare ad una buona cifra per poterteli dare, in
realtà
l’assegno è solo un acconto.
C’è ancora un conto bancario aperto a tuo nome, ma
visto che eri piccola lo gestivo io. Adesso se tu volessi quei soldi
dovresti
venire quia Londra
e firmare in banca.
Non so se lo farai, ma ti dico solo che non voglio niente in cambio e
che non è
uno scherzo. Non sono stato un padre, ma a quei tempi l’unica
cosa che
conoscessi realmente erano i soldi e così ho pensato a te in
questi termini. Ti
mando un lista dei movimenti del tuo conto bancario, così
potrai capire che non
ti sto prendendo in giro.”
Presi l’altro foglio e notai che il conto era
stato
aperto quando io ancora ero piccolissima e poi guardai quanti soldi
c’erano
ancora oltre ai 30.000 che erano fra le mie mani.
“Ok
cara Elly, sei diventata ricca in meno di 5
minuti.” Disse Clay sorridendo.
Non sapevo come reagire, cosa pensare o cosa fare.
Avevo bisogno di tempo per riordinare le idee. Volevo parlare con mia
madre,
sapeva di questo conto? Sapeva queste cose di Herbert?
Avrei voluto chiamarla subito, ma pensai che
probabilmente le avrei rovinato le vacanze. Quando avrebbe riportato
indietro Sophie
si sarebbe fermata un po’ da noi prima di ripartire, quello
sarebbe stato il
momento perfetto.
Feci un mezzo sorriso pensando a cosa avrei voluto
fare con quei soldi, ma ancora non sapevo se accettarli o meno. Non
sapevo
niente e dovevo assolutamente farci una dormita sopra. Quel giorno era
stato
devastante per me e il mio cervello era arrivato al limite, non
sopportava più
pensieri contorti.
Salutai
Clay che mi abbracciò come solo lei
sapeva
fare, dandomi sicurezza e tanto appoggio. Lei era Claire,
c’era sempre stata
per me e con me ci sarebbe stata anche d’ora in avanti con o
senza soldi.
Mi diressi a letto lasciando foto assegno e lettere
sul divano, dovevo staccarmi da quei momenti e non potevo di certo
portarmi
tutta quella roba in camera.
Quando
mi misi a letto decisi di mandare un sms a
Mark.
“La giornata per me è finita,
finalmente. Ho finito
di leggere la lettera e ho aperto il pacco. Vorrei tanto averti qui con
me per
spiegarti cosa è successo questa sera. Io domattina
dovrò andare a lavorare e
ancora non so quante ore dovrò fare. Spero comunque di
poterti vedere o
sentire. Buon lavoro ‘Dottor Stranamore’, mi
manchi.”
Mandai il messaggio, non speravo mi rispondesse
subito, stava lavorando… Passarono pochi secondi e ricevetti
la risposta. Aprii
il messaggio con tanta foga che se avessi potuto mi ci sarei buttata
dentro.
“Elly, non vedevo l’ora di ricevere un
tuo segno di
vita. Sono felice che tu sia riuscita a completare quello che avevamo
iniziato.
Sono sicuro che in quella lettera e pacco non ci sia niente di
così insormontabile.
Anch’io spero di poterti vedere domani, così se
vorrai mi racconterai tutto. Ti
mando un bacio anche se vorrei poter essere lì per dartelo
di persona.
Buonanotte angioletto.” Mi addormentai con
il cellulare appoggiato sul
petto, avrei sicuramente sognato il mio Mark.
Buongiorno a tutti. Eccomi qui
con un nuovo aggiornamento della storia.
Questo capitolo non mi piace
molto, ma dopo averlo riletto una decina
di volte le opzioni erano due, o lo cancellavo o lo modificavo; ma non
avevo altre idee così il capitolo è rimasto
scarso. Questa volta facciamo felice
anche l'amica di Elly, Clay.
Ringrazio come sempre tutte le
persone che mi leggono e mi sostengono.
In particolare volevo mandare un enorme grazie a Ilaria e Jennifer; due
delle migliori amiche che io abbia mai avuto. Un grazie enorme ad Afu per
esserci sempre e per il banner della storia
che è opera sua. Mille grazie ad Alba e Miriam
che leggono con fervore e voglia questa
storia. Grazie grazie e ancora grazie a
tutti quanti.
Buona lettura.
Capitolo
10. (Let yourself go)
La mattina dopo mi svegliai
risanata, ero riuscita
a dormire rilassata e tutto il peso del giorno prima si era
volatilizzato.
Mentre mi preparavo un paio di toast per colazione
decisi di chiamare mia madre sperando Sophie fosse già
sveglia, iniziava a
mancarmi terribilmente; nonostante tutte le novità di quei
giorni non c’era
momento che non pensassi a lei.
“Pronto Elly, come mai già in piedi?
Non dovevi
fare il pomeriggio oggi?” Mia mamma stava quasi sussurrando e
immaginai che mia
figlia stesse ancora dormendo, in effetti erano solo le 7.
“Ciao mamma, scusa se ho chiamato a
quest’ora.
Avevo voglia di sentire Sophie ma come immaginavo sta ancora dormendo.
Va tutto
bene lì?” Intanto che parlavo mi misi i toast su
un piatto e iniziai a
mangiucchiare.
“Sì sta dormendo e anche bene. Ieri
siamo andati a
fare un giro alla festa che c’è in piazza e siamo
tornate decisamente tardi. Ti
ha voluto comprare un regalo, quando torniamo vedrai.”
Mia figlia era un dolce angelo pensai, era sempre
stata molto sveglia e intelligente, ma aveva anchegentilezza e rispetto verso le persone, rari
per bambine della sua età. Ero contenta di come stavo
riuscendo a crescerla, mi
dava soddisfazioni nuove ogni giorno.
“Ok mamma. Allora quando si sveglia dille che ho
chiamato. Io oggi fino alle 5 sarò a lavorare. Ci sentiamo
dopo, ok? Comunque
va tutto bene i compiti riesce a farli, vero?” Una sottile
risata dall’altra
parte del telefono.
“Tranquilla tesoro, tua figlia è
bravissima e sta
cercando di mettersi avanti per avere dei giorni completamente liberi.
Se
riusciamo volevamo invitare qui qualche giorno Jinny così si
divertiranno
insieme, i nonni sono d’accordo ne abbiamo già
parlato. Ma abbiamo detto alle
bambine che prima devono portarsi un po’ avanti con i
compiti. Sono brave, non
preoccuparti. Allora ci risentiamo stasera Elly?” Un sorriso
si dipinse sul mio
volto. Adoravo mia madre, era sempre premurosa e attenta a tutto. Avrei
dovuto
ringraziarla di tante cose al suo ritorno.
“Allora a stasera mamma, buona giornata. Dai un
bacio a Sophie.”
Iniziava ad essere tardi,
lanciai il cellulare sul
divano e corsi di sopra a prepararmi.
Finalmente la neve si era sciolta e così non ci
furono ritardi da parte mia e di Clay.
Quando ci incontrammo di fronte alla tavola calda
iniziò a venirci qualche sospetto.
Nel periodo di natale aprivamo un po’
più tardi e
di solito eravamo sempre noi le prime ad arrivare, ma quella mattina il
locale
era già aperto.
Io e Clay ci guardammo e entrammo dentro,
l’ufficio
di Jack aveva la porta spalancata e si sentiva una voce provenire
dall’interno.
Io andai nello spogliatoio a prepararmi mentre Clay
curiosa andò verso l’ufficio. Mi aspettavo di
sentire qualche urlo, Jack al
mattino presto era sempre di cattivo umore, invece non sentii niente.
Silenzio
completo. Aspettai che arrivasse Clay, ma non si fece vedere,
così uscii a
vedere cosa stava succedendo.
La sentivo che parlava nell’ufficio
così mi
affacciai anch’io e mi ritrovai di fronte un ragazzo mai
visto in vita mia.
“Oh eccoti. Sean questa è Eloise,
l’altra ragazza.”
Clay non toglieva gli occhi di dosso da quel ragazzo, in effetti era
molto
piacevole da guardare.
“Piacere Eloise, sono Sean, il nipote di
Jack.” Mi
tese una mano e la strinsi.
“Jack ha avuto un infarto ieri sera e adesso
è
all’ospedale. Non si è ancora ripreso e
così è venuto Sean da Dublino. Jack deve
stare un paio di settimane sotto controllo.” Clay continuava
imperterrita a
fissarlo senza rendersi conto che forse stava un po’
esagerando. Le diedi una
gomitata cercando di non farmi vedere, lei si girò e con lo
sguardo cercai di farle
capire che stava superando dei limiti.
“Sì per ora non sappiamo quando mio zio
riuscirà a
riprendersi. E’ sotto controllo all’ospedale ma ha
ricevuto una bella batosta.
Mi ha chiesto lui di occuparmi del locale fino a quando non si
rimetterà.
Ovviamente ragazze dovrete lasciarmi un po’ di tempo per
capire come vanno le
cose qui.” Disse mentre si andava a sedere alla scrivania di
Jack guardando
tutte le carte riguardanti il locale.
“Beh allora direi che noi iniziamo ad aprire se
hai
bisogno di sapere qualcosa non farti problemi a chiedere. Lavoriamo qui
da 5
anni e un po’ di cose le sappiamo” dissi tirando
Clay fuori dall’ufficio.
Sean sorrise e abbassò di nuovo la testa sulla
montagna di carte.
“Ma che cavolo ti
prende Claire, sembravi una
bambola senza vita là dentro.” Dissi scuotendo la
mia amica.
“No dico, Elly lo hai visto? E’
meraviglioso. Deve
essere mio.” Dicendo così ci mettemmo a ridere
insieme e la nostra giornata iniziò.
Non sapevamo niente della vita privata di Jack, non
ci eravamo mai interessate. Pensavamo fosse solo, ma evidentemente
qualche
famigliare vicino lo aveva.
Durante la giornata vedemmo passare avanti e
indietro Sean una dozzina di volte, sicuramente Jack non era un esempio
di
ordine e probabilmente Sean stava impazzendo dentro
quell’ufficio.
Nel pomeriggio con una piccola spintarella da parte
mia, Clay decise di portargli un pasto caldo nell’ufficio;
avrebbe dovuto
staccare la spina 10 minuti altrimenti sarebbe diventato pazzo.
Vidi scomparire la mia amica dietro quella porta,
il locale era abbastanza pieno, ma me la cavavo alla grande. Ero
curiosissima
di sapere cosa stava succedendo in quella stanza,
tant’è che ogni 2 minuti
fissavo la porta chiusa.
Quando Clay uscì aveva un sorriso che si sarebbe
notato ad un paio di chilometri di distanza, si avvicinò di
corsa a me; il
nostro turno stava per finire e sicuramente voleva raccontarmi tutto.
Le ragazze
che ci avrebbero dato il cambio dopo poco arrivarono, spiegammo loro la
situazione e finimmo di servire un paio di clienti.
Quando entrammo nello
spogliatoio Clay iniziò a
parlare a raffica.
“Oddio Elly, mi sono innamorata. Quel ragazzo
è
qualcosa di semplicemente unico. Ha un sorriso che mi fa fermare il
cuore, i
suoi occhi sembrano due smeraldi. Ha una voce così sensuale
che gli sarei
saltata addosso in quell’ufficio. Devo conoscerlo meglio,
voglio sapere chi è e
perché è così bello.” Clay
si sedette sulla panca sognando.
“Ok, adesso calmati Clay. Dovrà stare
qui un po’ di
tempo e credo avrai modo di conoscerlo e farlo innamorare. Sapendo come
sei,
non ti arrenderai finché non succederà, dunque
vai e buttati.”
Clay si cambiò in fretta e furia e mi
tirò fuori
dallo spogliatoio. “Adesso io lo invito a fare un giro e tu
stai qui di fianco
a me così mi dai forza.” La guardai ridendo e mi
misi sull’attenti. “Sono ai
suoi ordini signorina Claire.”
In quel momento Sean aprì la porta
dell’ufficio,
aveva i capelli scompigliati e il viso stanco.
“Ragazze, non ne posso più. Il locale
è sempre
andato bene, ma mio zio per le parti amministrative proprio non ci sa
fare, ci
sono un sacco di cose fuori posto. Per oggi però mi fermo,
sono distrutto.”
Gli occhi di Clay si illuminarono, era la sua
occasione e non l’avrebbe buttata al vento.
“Beh Sean che ne dici di venire a fare un giro,
così ti rilassi un po’ e ti rinfreschi le
idee.” Io continuavo ad osservarli,
ma piano piano mi allontanai da loro. Volevo lasciarli soli e poi io
avevo
voglia di vedere Mark.
“Speravo qualcuno me lo chiedesse, non conosco
quest’isola, è sempre stato mio zio a venirmi a
trovare, io non sono mai venuto
qui. Aspetta Claire, dico un paio di cose alle altre ragazze e poi sono
pronto.”
Clay si girò per
farmi l’occhiolino ed io esultai
per lei. “Ci sentiamo dopo signorina Claire” dissi
scherzando. Salutai tutti e
uscii. Andai verso la macchina e ritrovai Mark appoggiato alla portiera
che mi
aspettava sorridendo.
Mi era mancato, erano poche ore che stavamo
lontani, ma mi sembrava fosse passato un secolo.
Mi avvicinai e lui aprì le braccia, mi ci buttai
dentro e lo abbracciai forte. Non mi interessava di tutte le persone
che ci
stavano osservando in quel momento, sapevo che era un uomo desiderato e
invidiato da molti in paese; ma non mi interessava volevo solo stare
fra le sue
braccia.
“Ciao Elly. Hai finito ora?
Com’è andata? Sei
guarita?”
“Ehi, ma quante domande oggi” dissi
ridendo. “Sì ho
finito ora e sto alla grande. Inoltre anche Clay sta
benissimo.” Proprio in
quel momento la mia amica uscì dal locale con Sean vicino,
stavano
chiacchierando amabilmente e non si accorsero nemmeno di noi.
“E chi è quel bel fusto?”
Chiese Mark incuriosito
mentre li osservava allontanarsi.
“E’ il futuro marito di Claire. No
scherzo, è il
nipote del capo; è venuto a sostituirlo e Clay lo ha
già intrappolato nelle sue
grinfie.” Dissi divertita.
“Io quel ragazzo l’ho già
visto da qualche parte,
ma non ricordo dove. Comunque, cosa vuoi fare di bello oggi? Io mi sono
svegliato poco fa, il turno di stanotte è stato molto
pesante.”
“Probabilmente lo avrai visto stanotte in
ospedale,
Jack è stato male, ha avuto un infarto e Sean è
venuto qui per occuparsi di lui
e del locale.” Mi girai di nuovo verso di lui e mi persi nei
suoi occhi. Avevo
voglia di baciarlo, ma non sapevo se voleva farsi vedere o se voleva
che lo
baciassi.
Al
diavolo, mi ha baciato lui per primo ieri e ora ne deve subire le
conseguenze,
se non avesse voluto imbarcarsi in questa avventura avrebbe tenuto mani
e bocca
a posto ieri.
Lentamente mi strinsi a lui e avvicinai il mio viso
al suo, le nostre bocche erano a pochi centimetri, nessuno dei due si
muoveva.
“Mi sei mancata in queste ore Elly.”
Disse mentre
appoggiò le sue labbra alle mie. Ed ecco quel sapore. Il suo
sapore. Ecco il
calore che lo contraddistingueva. Ecco la morbidezza, dolcezza e
passione.
Ricambiai il bacio abbandonandomi a lui, sentii la
sua lingua spingere verso la mia bocca che aprii un po’ di
più.
Le nostre lingue si unirono, come se stessero
danzando insieme, lentamente e dolcemente stavamo assaporando questo
bacio,
scoprendoci insieme.
“Ok, forse è meglio che ci fermiamo un
attimo.”
Disse con un leggero fiatone.
Mi guardai attorno e molti ci stavano fissando, ma
non mi accorsi che eravamo praticamente sdraiati sul cofano della
macchina, io
sopra di lui, con una gamba fra le sue; le mani fra i suoi capelli e
lui che mi
accarezzava la schiena fino ad arrivare ai glutei.
“Ehm, sì forse è meglio che
ci fermiamo. Scusami,
non mi ero accorta di quello che stava succedendo al di fuori delle
nostre
bocche.” Dissi sorridendo e tirandomi su da lui. Si
alzò anche lui e iniziò a
ridere.
“Ti assicuro che nemmeno io me ne stavo
accorgendo,
poi ho iniziato a sentire il freddo e duro della tua macchina e allora
ho
aperto gli occhi e me ne sono reso conto.” Mi
passò un braccio sulle spalle e
mi attirò a lui.
“Allora dottor
Conner, qui fuori fa freddo.
Decidiamo cosa fare prima che diventiamo due statue di
ghiaccio.” Iniziammo a
camminare verso la sua macchina. “Ti andrebbe di vedere casa
mia? Io la tua
l’ho vista, ora devi ricambiare.” Disse
stuzzicandomi.
“Ok, ti ringrazio per l’invito e lo
accetto molto
volentieri caro. Sono curiosa di scoprire il tuo mondo e cosa combini
quando
non sei in ospedale.”
Salimmo in macchina e mentre partivamo mise una
mano sulla mia gamba. “Spero ti piacerà,
è un po’ fuori paese, leggermente in
campagna.”
Guardavo la sua mano e la immaginavo mentre si
muoveva sul mio corpo, ero davvero senza speranza. Ogni volta che mi
toccava
speravo sempre di finire a letto con lui.
“Beh, io amo la campagna. Ho sempre desiderato
viverci, ma purtroppo ho trovato questo appartamento in centro e sono
comoda
così. E sicuramente amerò la tua casa solo per il
fatto che è tua.” Mi girai a
guardarlo, il suo profilo era perfetto.
“Che bella cosa che hai detto Elly. Non hai idea
di
quanto sia contento di come stanno andando le cose. Cercavo una persona
come te
da una vita, ma non sapevo ti avrei trovato a pochi chilometri da me,
ho fatto
bene ad aspettare.”
Allungai una mano accarezzando il suo volto. Avrei
voluto baciarlo, ma in quel momento non era il caso, così mi
limitai ad
appoggiarmi alla sua spalla mentre guidava, era un gesto semplice, ma
sarei
rimasta così per ore ed ore. Era come se la sua spalla fosse
stata costruita
apposta per accogliere il mio viso. Sembrava fossimo stati fatti con lo
stampo,
io mi adattavo a lui e lui a me.
Quando arrivammo mi ritrovai di fronte una tenuta
di campagna enorme. La casa era su due piani, circondata da un giardino
maestoso che nonostante il tempo freddo rimaneva comunque molto curato.
Dietro
alla casa si intravedeva una piccola fattoria con dei campi che
sicuramente
erano di loro proprietà.
Rimasi a bocca aperta per qualche attimo, prima di
incamminarmi insieme a lui verso l’entrata.
“Dio è enorme Mark, come facevi anche
solo a
pensare che non mi piacesse la tua casa.” Quando
aprì la porta un profumo di
rosa mi invase.
“Prego signorina, le do il benvenuto a casa
Conner,
sai quando le persone vedono casa mia pensano subito che io sia un
riccone
senza cervello, ecco perché avevo dei dubbi.”
Disse Mark facendo un gesto con
il braccio in senso di accoglienza.
“Grazie signor Conner. Adesso però deve
farmi
visitare questo posto. Voglio scoprire ogni angolo, che non ti passi
più per la
testa che possa non piacermi casa tua.” Dissi sorridendo e
prendendo la sua
mano.
“Diciamo che il piano di sotto è dei
miei ed io in
teoria ho l’entrata privata dietro, per salire su da me.
Piano tutto ed
esclusivamente mio.” Disse curiosando nel mio sguardo.
Giravo su me stessa per apprezzare ogni angolo di
quella casa. “Tua madre ha buongusto, mi piace moltissimo lo
stile semplice ma
accogliente che ha dato alla casa.”
“Mmm, come hai fatto a capire che è
tutta opera di
mia madre?” Chiese continuando a guardarmi.
“Beh si vede lo stile femminile. Si percepisce e
poi con tutti questi fiori e piante, c’è un
profumo buonissimo. Ma dimmi, tu
non mi sembri molto.... ‘botanico’, chi si occupa
di tutti questi fiori e del
giardino durante l’assenza di tua madre?” Chiesi
continuando a guardare tutti i
colori che mi circondavano.
“Hai ragione, amo i fiori, ma non mi piace
prendermene cura. Un’amica di mia madre viene qui tutti i
giorni per curare
tutto ciò. Inoltre il figlio di questa signora lavora nella
fattoria insieme a
mio padre.” Disse camminando verso la prima stanza.
Passammo attraverso una
cucina a dir poco enorme
piena di mensole e dispense, su una di queste spiccava un enorme
ricettario.
Sicuramente la signora Conner era un’ottima cuoca.
Passammo nel corridoio per dirigerci in salotto,
quando intravidi una foto appesa al muro, rallentai il passo per poter
osservare meglio ed ebbi la conferma di quello che avevo intravisto.
Cercai di non far notare a Mark il mio disagio per
quella foto appena vista e lo seguii in sala.
Abbassai lo sguardo chiedendo a me stessa se fare
la fidanzata gelosa era la mossa giusta, visto che non lo ero, o almeno
non
“ufficialmente”.
Salve a tutti... Mamma mia, è un sacco che non aggiorno la
storia, dunque spero mi perdonerete.
Beh
questo capitolo è stato difficile per me ed ancora
adesso non mi piace per niente. Devo ringraziare (ormai come sempre) il
mio tesoro Ila, che ha sopportato i miei scleri e mi ha risollevato. A lei
a cui voglio un gran bene dedico questo capitolo... Non
voglio aggiungere altro, spero solo potrà piacervi
almeno un pochino, ma se non sarà così vi
dò il permesso di lanciarmi uova marcie xD Buona lettura a tutti voi.
Capitolo
11. (Dancing Bodies)
Il
salotto era accogliente come tutto il resto
della casa, con un enorme tappeto dai colori caldi e un camino enorme
che
troneggiava su tutta la stanza; quadri e foto riempivano ogni parete.
Il
pensiero tornò subito alla foto vista poco
prima, volevo poterla vedere meglio.
Elly,
calma. Non sei la sua fidanzata e non puoi sapere il motivo per cui una
foto
del suo matrimonio con la sua ex moglie sia ancora appena nella sua
casa.
Oddio, so già che diventerò matta e gli
farò una scenata. Respira Elly,
respira….
“Vieni
dai, ti faccio vedere il piano di sopra; ma
non aspettarti di trovare tutta questa pulizia e armonia.”
Disse sorridendomi e
tornando nel corridoio per salire al piano di sopra.
Lo
guardai cercando di accennare un sorriso più
convincente del dovuto.
“Elly,
va tutto bene? Sicura che hai voglia di
vedere la casa? Se vuoi fare altro devi solo dirmelo, non voglio
annoiarti.”
Mark tornò indietro e si fermò di fronte a me, mi
prese una mano e la baciò.
Come
poteva un uomo così perfetto nascondere
qualcosa in una stupida foto.
“No
Mark, sono giorni che sogno di vedere casa tua.
Sono solo un po’ stanca, ma questo non mi
fermerà.” Dissi stringendo la sua
mano e facendo l’occhiolino. Speravo che la mia finta
disinvoltura lo
convincesse.
“Ok,
mi fido. Ma se qualcosa non va dimmelo subito.
Non voglio farti sentire a disagio.” Per fargli capire che
volevo continuare il
tour gli diedi una piccola spinta sulla schiena e lui si mise a ridere.
La
foto era a pochi passi da noi, Mark mi
precedette per farmi strada e iniziò a salire le scale, per
mia fortuna non
poteva seguire il mio sguardo.
La
foto era contenuta in una cornice color bronzo;
erano due foto vicine, di due matrimoni diversi con la stessa cornice
identica.
La
prima ritraeva il matrimonio dei genitori di
Mark, erano giovani e sembravano tanto felici.
Nella
seconda c’era Mark che teneva in braccio la
sua ex moglie…. Un momento, sono sicura fosse
realmente la sua ex? Forse
sono ancora sposati. Non abbiamo mai parlato molto di questo. Aaaaah,
non
voglio farmi paranoie, se ne avrò voglia ne
parlerò con lui, cercando di non
fare la donna super gelosa.
…Lei
aveva un vestito da principessa e un sorriso
smagliante, sembravano due modelli di quelli che appaiono sulle riviste
per
future spose.
Era
bionda con degli occhi che sembravano fissarmi
attraverso una foto e attraverso anni e anni... Ma quanti
anni? Quando si
sono sposati? Come si chiama? Perché la foto è
ancora qui?
Le
domande mi stavano mandando in tilt il cervello
e mi accorsi che Mark ormai era in cima alle scale e stava aprendo la
porta,
quando stava per girarsi io salii i primi scalini. Forse mi ero salvata.
“Sai
anche se sono i miei genitori ho preferito una
porta con una chiusura molto buona, le mamme sono sempre molto curiose
e non
amo che i miei ficchino il naso in casa mia senza il mio
permesso.” Sembrava
volesse spiegare il suo continuo girare la chiave nella toppa, mi
chiedevo
quante mandate potesse contenere quella porta; sorrisi cercando di
limitare il
mio desiderio di tornare indietro, prendere la foto e spiaccicargliela
in
faccia.
“Ecco
qui il mio piccolo mondo.” Disse Mark, tutto
era nella penombra le persiane erano socchiuse in ogni stanza, di porte
ce
n’erano poche, sembrava tutta un enorme stanza.
“Aspetta,
apro qualche finestra almeno puoi vedere
qualcosa.” Andò alla finestra più
vicina e nel mentre sentii qualcosa toccarmi
una gamba. Feci un salto di qualche metro e trattenei a stento un urlo.
Quando
finalmente venni sommersa di luce mi
ritrovai una piccola palla di pelo vicino al mio piede che miagolava
dolcemente.
“Oh
scusa. Come sei bello piccolo.” Dissi mentre mi
rannicchiai vicino a quel micetto.
“E’
una lei e si chiama Milly.” Disse Mark mentre
ci osservava fare amicizia.
La
piccola gatta si rovesciò subito sulla schiena
giocherellando con la mia mano, era bellissima e pensai subito che
fosse uno di
quegli animali che portava a casa suo figlio.
“E’
uno dei trovatelli di Seth?” Chiesi mentre mi
rimettevo in piedi per poter iniziare ad ammirare la casa.
“Esatto,
è l’ultima arrivata e per fortuna si è
ambientata subito. Credo che per casa troverai qualche altro
animale.” Disse
ridendo mentre mi prendeva il cappotto e si toglieva il suo.
Iniziai
a girare per tutte le camere. L’arredamento
era ben diverso, molto più moderno e minimalista. Pochi
mobili e molti colori
tenui. Il bianco risaltava su tutto il resto. Le uniche stanze che
avevano la
porta erano le due camere con i rispettivi bagni, tutto il resto era
completamente aperto.
“Mi
piace molto, un mondo completamente diverso dal
piano dei tuoi genitori.” Dissi mentre continuavo ad ammirare
stupefatta. “Sono
convinta che questo è tutto opera tua.” Dissi
mentre vidi un paio di gatti
sull’enorme letto di Mark.
“Ehi
voi due, giù dal letto. Sapete che questa
camera è off-limits. Cavolo devo essermi dimenticato la
porta aperta oggi.”
Disse mentre faceva uscire le due bestiole e richiudeva la porta alle
sue
spalle.
La
mia attenzione venne attirata da altre foto, per
fortuna questa volta niente donne bionde; solo tante foto di Seth, di
animali e
di un altro ragazzo che non riconoscevo.
Mark
notò il mio sguardo verso le foto. “Questo era
mio fratello. E’ morto 3 anni fa in un incidente in
auto.” Il suo sguardo si
spense leggermente ecco perché non indagai ulteriormente,
non era quello il
momento; quando sarebbe stato giusto me ne avrebbe parlato lui.
“Mi
dispiace molto Mark. Ma per fortuna tutte
queste altre foto strappano un sorriso e ridanno un po’ di
equilibrio.” Dissi
sperando di aver trovato le parole giuste.
Lui
annuì e da dietro mi strinse per i fianchi
appoggiando il suo mento alla mia spalla. “Sono sempre
più convinto e
desideroso di fare un’uscita tutti insieme con i nostri
figli.” Sentivo il suo
respiro vicino al mio collo e piccoli brividi iniziarono a muoversi
sulla mia
schiena.
“Ah
Mark, non vedo l’ora torni Sophie, mi manca
così tanto. Inoltre sai quanto questa tua idea mi piaccia,
ecco un altro motivo
per cui spero questi giorni passeranno più in fretta
possibile.” Dissi appoggiando
a mia volta la testa alla sua.
Rimanemmo
in quella posizione in silenzio,
osservando le foto di fronte a noi. I sorrisi stampati sulle bocche di
tutti e
due erano l’unica cosa che serviva in quel momento.
“Ehi,
che ne dici di uno spuntino?” Disse
schioccandomi un bacio sulla guancia.
“Certo
che sì, inizio ad aver un certo appetito.”
Alzai lo sguardo e vidi l’orologio. Erano quasi le sei di
pomeriggio e io non
avevo nemmeno pranzato quel giorno; ora capivo il motivo del continuo
borbottio
del mio stomaco.
“Tu
mettiti comoda in sala, io preparo qualcosa per
arrivare fino a cena senza morire di fame.” Disse mentre
abbandonava la mia
mano per dirigersi in cucina.
Mi
sedetti sul divano e ci sprofondai dentro,
letteralmente; era molto comodo e decisi di lasciar perdere la
televisione.
Rimasi lì mezza sdraiata guardando fuori dalla finestra e
senza rendermene
conto mi appisolai.
Quando
riaprii gli occhi mi ritrovai addosso una
coperta bianca, una luce soffusa illuminava la stanza, appena alzai la
testa vidi
Mark seduto in fondo dai miei piedi che leggeva un libro.
“Ben
svegliata bella addormentata.” Disse mentre mi
accarezzò una gamba.
Sorrisi
stiracchiandomi senza rendermi conto
dell’orario.
“Mmm,
ma che ore sono? Fuori è già
buio…” Dissi con
la bocca ancora un po’ impastata e capendo piano piano che
doveva essere
passato un bel po’ di tempo.
“Sono
le otto di sera, lo spuntino me lo sono
mangiato da solo. Immagino che avrai fame, dunque se vuoi possiamo
uscire a
cena oppure ordinare qualcosa. Sinceramente io ora non ho voglia di
preparare
da mangiare e non dovresti nemmeno tu.”Disse continuando a muovere lentamente la mano sulle mie
gambe; a
separare la nostra pelle c’erano i miei pantaloni e la
coperta, ma sentivo lo
stesso il suo calore e il suo tocco dolce.
“Mi
dispiace un sacco, non volevo addormentarmi ma
questo divano è un sonnifero. Io direi di ordinare qualcosa
e mangiarlo a casa,
si sta così bene qui.” Dissi guardando il fuoco
del camino, spostai lo sguardo
su di lui che mi osservava.
“So
che non sono un gran bello spettacolo appena
sveglia. Ti ho chiesto scusa.” Mi tirai la coperta fin sopra
i capelli e subito
dopo sentii il suo corpo allungarsi sul mio e una mano che spostava la
coperta.
Mi
ritrovai il suo viso a pochi centimetri dal mio.
“Non ti azzardare mai più a dire una cosa del
genere. Sei bellissima, il tuo
viso è riposato e meraviglioso.” Speravo che nella
penombra non notasse le mie
guance che prendevano colore, ma mi sbagliai.
“Quanto
tempo dovrà passare prima che ti abitui a
questi complimenti. Sono sinceri e qualsiasi cosa tu dica non
cambierà quello
che penso.” Disse toccando il mio naso col suo; allungai una
mano e infilai le
dita fra i suoi capelli tirandolo a me.
La
sua bocca calda e morbida si appoggiò sulla mia
e iniziò a muoversi lentamente, il calore invase subito ogni
cellula del mio
corpo; lo desideravo come mai nessuno prima di lui.
Con
l’altra mano accarezzai la sua schiena, i suoi
muscoli erano tesi e potevo sentirli sotto la sua sottile maglietta di
cotone.
Mi
staccai da lui e i suoi occhi appassionati
affondarono nei miei, in un attimo persi la testa.
Con
le mani tirai su la maglietta e finalmente
potei toccare la sua pelle, lui prese il mio viso fra le mani e mi
baciò con
passione.
Con
la lingua disegnava le mie labbra e il mio
respiro si abbatteva sul suo viso.
“Sai
che non potrò rimanere un gentiluomo ancora
per molto Elly?” Queste parole fecero scattare qualcosa in
me. Io non volevo
rimanesse un ‘gentiluomo’, io lo volevo su di me,
dentro di me, intorno a me.
“Io
ti voglio dottor Conner e non mi interessa del
gentiluomo in questo momento.” Con un piccolo scatto lo feci
alzare e mi
scoprii; il suo sguardo era pieno di desiderio proprio come il mio.
Si
levò la maglietta, mi mise un braccio dietro la
schiena e mi tirò su. Subito dopo mi ritrovai seduta sopra
di lui.
Le
sue labbra sul mio collo e le sue mani sotto la
mia camicia cercavano di slacciare il reggiseno.
Era
di fronte a me mezzo nudo, iniziai a toccare il
suo torace e il suo petto, mi soffermavo su ogni muscolo e poi mi
abbassai per
dargli piccoli baci ovunque. Sentivo che si muoveva sotto di me,
sentivo che i
suoi pantaloni iniziavano ad essere stretti.
Qualche
piccolo verso uscì dalla mia bocca quando
Mark mi alzò la maglietta e affondò il suo viso
sul mio seno, le sue labbra e
la sua lingua mi scoprivano con passione.
Continuavo
a toccarlo e baciarlo sul collo, lui si
alzò e mi prese in braccio tenendomi per il sedere; le
nostre bocche non si
staccavano un attimo e finimmo in camera da letto.
Mi
appoggiò sul letto e iniziò a slacciarsi i
pantaloni, lo fermai con una mano. Volevo essere io a continuare a
scoprire il
suo corpo.
Il
mio viso era all’altezza del suo ventre e il
rigonfiamento nei suoi pantaloni era ben visibile.
Iniziai
a muovere le mie dita molto lentamente,
slacciai la cintura e infilai un paio di dita dentro ai jeans, per
solleticarlo
un po’; alzai lo sguardo per ammirarlo e vidi il suo viso
molto eccitato.
Sempre
più desiderosa slacciai i pantaloni e li
abbassai, iniziai ad accarezzare il suo membro attraverso il tessuto
dei boxer,
le mani di Mark viaggiavano veloci sulla mia schiena e stringeva i miei
capelli.
Abbassai
anche i boxer e con la bocca iniziai a
compiere piccoli movimenti circolari, dapprima con lentezza per poi
muovermi
sempre più veloce.
Sentii
le mani di Mark che mi tiravano su, lui
stava scoppiando e io non ero da meno. Desideravo sentire le sue mani
su di me.
“Adesso
è il mio turno.” Disse ansimando, mi
ributtò sul letto e si sdraiò sopra di me
completamente nudo.
Io
avevo ancora addosso i jeans ma il seno era
scoperto e lui iniziò proprio da lì.
Con
la lingua partì dal seno, muovendosi lentamente
fino alla pancia per poi arrivare ai jeans, li slacciò con
una mano, mentre con
l’altra continuava a massaggiarmi i seni.
Io
non riuscivo a stare ferma, ogni parte del mio
corpo tremava di desiderio, ma non era ancora il momento.
Mi
tirò via pantaloni e slip in un colpo solo e
sentii il suo viso affondare nella mia intimità. La sua
lingua si muoveva
veloce e dolce su di me.
Mi
sentivo calda, troppo calda. Lo desideravo
dentro di me, così ansimando sempre più
velocemente cercai di tirarlo su.
Per
fortuna lui non si fece pregare, il suo viso
tornò all’altezza del mio, era leggermente sudato
e tremendamente sexy.
“Ti
voglio Mark e non voglio più aspettare.” Dissi
respirando sempre più a fatica.
Con
una mossa veloce lui entrò dentro di me e mi si
aprì il paradiso.
Ci
muovevamo con lo stesso ritmo, il suo corpo si
alzava e si abbassava e io lo seguivo, come fossimo una cosa sola. I
nostri respiri
avevano la stessa frequenza e i nostri cuori battevano
all’unisono.
Ci
ritrovammo sdraiati uno di fianco all’altro,
ancora eccitati e sudati. Lui accarezzava le linee del mio corpo e io
giocavo
con il suo.
“E’
inspiegabile quello che ho provato e quello che
sto provando in questo momento tesoro.” Disse mentre mi prese
il viso per
baciarmi.
Sentirmi
chiamare tesoro da lui, in quel momento mi
fece andare ancora di più in estasi.
Ricambiai
il bacio e mi accoccolai fra le sue
braccia.
“Vale
lo stesso per me, non posso spiegarti come mi
sento, ma sono sicura che tu possa capirlo. E’ stato
favoloso, anche se è
comunque riduttivo. Rimarrei così per ore ed ore.”
Lui
si allontanò leggermente da me, giusto quel
tanto che bastava per potermi guardare negli occhi.
“Elly,
possiamo rimanere così per tutto il tempo
che vuoi, non posso chiedere altro. Ti desideravo da giorni ed ora sto
così
bene che non vorrei far altro che stare qui con te.”
Mi
persi nei suoi occhi e il mio cuore si perse fra
le sue parole, non mi sembrava vero, non dopo tutto quello che mi era
successo
in passato. Mi sembrava tutto così perfetto che avevo paura
di rovinare quel
momento facendo o dicendo qualsiasi cosa. Così mi limitai a
baciarlo e
accarezzarlo in silenzio ammirando il suo corpo illuminato dalla luna
che
entrava dalla finestra.
L’unica
cosa che riuscì a rovinare quel momento era
un borbottio insistente che proveniva dalle nostre pance.
Ci
mettemmo a ridere fragorosamente tutti e due.
“Oooook,
credo sia il momento di nutrirci, non
voglio morire su questo letto; anche se morire con te nuda di fianco a
me non
sarebbe niente male.” Gli tirai un pugno sulla schiena e mi
misi a ridere.
“Che
ore sono?” Dissi allungandomi su di lui per
vedere l’orologio sul comodino; lui prese letteralmente un
mio seno in bocca e
sorridendo mi guardava.
“Mmm,
così però non vale. Se fosse per me mi
basteresti tu per nutrirmi.” Dissi mentre mi abbassavo verso
il suo viso per
baciarlo con passione.
“No,
hai ragione. Dobbiamo mangiare, non sono
ammesse altre distrazioni.” Si alzò dal letto e
tutto il suo corpo si illuminò.
Mi incantai a fissare il suo fondoschiena sodo e ben definito.
“Guarda
che so che mi stai fissando piccola stalker.”
Disse ridendo e buttandosi sul letto a peso morto.
“Aaaaah,
ma hai gli occhi dietro la schiena? E
comunque non posso farne a meno, il tuo corpo è perfetto,
dunque se non vuoi
farti guardare copriti per favore.” Dissi liberando dal mio
peso una coperta del
letto.
Mark
appoggiò la sua testa alla mia pancia. “Cosa
vuoi mangiare splendore?” A quest’ora non credo ci
saranno molti posti disposti
a fornirci cibo.” Disse ridendo.
Erano
quasi le undici di sera e l’unico posto che
mi venne in mente che poteva essere ancora aperto fu il ristorante
cinese.
“Beh,
se ti piace possiamo provare con il cinese.
Forse sono ancora aperti.” Lui mi guardò
sorridendo e allungò una mano verso il
mio viso.
“Hai
ragione. Hai preferenze o faccio io?” Disse
mentre si alzava circondandosi con la coperta.
“No,
mi fido del tuo buongusto. Che faccio ti
aspetto qui?” Lo guardavo ed era praticamente imbambolato di
fronte a me.
“Eh
non vale neanche da parte tua però. Copriti
anche tu, altrimenti questa telefonata non la farò
mai.” Iniziai a ridere e mi
infilai sotto il lenzuolo leggero.
“E
comunque certo che mi aspetti qui, dove vorresti
andare? Non c’è nessuno che ci vieta di mangiare
nudi sul letto.” Disse mentre
usciva dalla stanza, io gli tirai un cuscino dietro che rimase per
terra inerme;
la mia mira era veramente pessima.
Chiusi
gli occhi e mi coprii il viso col lenzuolo
mentre iniziai a piangere di gioia. Mi sentivo la donna più
felice
dell’universo, era come se potessi volare.
Non
solo l’atto che avevamo appena compiuto, ma
ogni cosa era avvenuta con semplicità e facilità.
La
dolcezza, il modo di scherzare… Tutto sembrava
perfetto e la mia testa si perse in pensieri di felicità
completamente
disconnessi.
Mi
allungai nel letto sperando Mark tornasse
presto, sentivo già la sua mancanza e nonostante tutto
questa cosa mi faceva un
po’ paura.
----------
Adesso invece
è il momento di qualche link xD Se vi interessa
potete trovarmi suFacebook. E poi vorrei
lasciarvi il link di un paio di storie che trovo davvero
bellissime. I've
lost who I amdi
Apletos. Red
Dotdi
Ofelia. A questo punto
buona lettura a tutti e fate un salto in queste bellissime storie
che vi rapiranno *-*
Buonasera a tutti. Eccomi di
nuovo qui per aggiornare, il dodicesimo
capitolo.
Vorrei ringraziare come
sempre tutte quelle persone che passano di qui
e mi fanno felici con le loro recensioni, ma anche quelle persone che
leggono in silenzio senza dire niente. A me fa sempre piacere sapere
che la mia storia viene letta.
Questa volta non ho
molto da dire, questo capitolo vi farà
capire ancora meglio la forte e profonda amicizia che legga Elly e Clay.
Buona lettura a tutti
voi e buon ascolto. Questa canzone mi fa venire i
brividi da quanto mi emoziona.
Capitolo
12. (Living in a Fairytale?)
Mi svegliai con il rumore forte
dei tuoni, aprii un
occhio alla volta cercando di mettere a fuoco la stanza, era
leggermente
illuminata, girai lo sguardo verso la finestra e notai che le persiane
erano
aperte e che fuori c’era la tipica luce bluastra dei
temporali.
Mi alzai appoggiandomi su un
gomito e notai che di
fianco a me appoggiato sul piumone c’era un foglietto bianco.
Guardai l’orario per
capire dove fosse Mark,
improvvisamente mi sentivo a disagio in quella casa non mia senza la
sua
presenza.
“Dormivi
così bene che ho preferito non
svegliarti. Faccio il turno di mattino oggi e così sono
uscito da casa mia come
un ladro per non disturbarti J
Fai
come se fossi a casa tua, preparati la colazione, fatti una
doccia… Insomma,
tutto quello che vuoi e ricorda che la giornata di ieri sarà
per sempre nella
mia memoria e nel mio cuore. Un bacio dolce stella.”
Strinsi quel piccolo foglietto
al petto ripensando
a quell’uomo che mi aveva fatto perdere la testa, ma mi aveva
fatto ritrovare
il cuore; finalmente lo sentivo battere di vero amore, ero certa di
esserne
innamorata, era palese. Ma come sempre un velo di paura invase i miei
pensieri.
Non conoscevo molto di Mark, ma
nonostante questo
ero riuscita a fidarmi ciecamente, proprio come se lo conoscessi da una
vita.
Avevo paura che tutto fosse troppo perfetto, avevo paura che fosse uno
di quei
bellissimi sogni che facevo, avevo paura che con uno schioccare di dita
tutto
sfuggisse al mio controllo e scomparisse nel nulla.
Sbuffai innervosita da quei
pensieri che mi
rovinarono quel bel momento. Riguardai il foglietto e lo accarezzai con
due
dita.
Quello che si dice della
scrittura dei dottori non
apparteneva di certo a Mark, la sua era comprensibile, fluida, regolare
e
precisa. Mi piaceva, anche quello mi piaceva di lui. Avrei mai trovato
qualcosa
che non mi andasse bene di quell’uomo?
Decisi di alzarmi e provare a
vedere di prepararmi
qualcosa da mangiare, notai che Mark aveva lasciato i miei vestiti
accuratamente piegati ai piedi del letto. Non li indossai, vidi la sua
vestaglia e decisi di mettermi quella. Mi avvolsi in essa sentendo il
suo
profumo che mi inebriò all’istante, rimasi qualche
attimo ferma a coccolarmi in
quella stoffa morbida e profumata.
Non mi piaceva curiosare nelle
case altrui, ecco
perché cercai di aprire solo gli sportelli necessari per
prepararmi un tè con qualche
biscotto, aprii le persiane e mi sedetti di fronte alla finestra.
Il panorama era mozzafiato, si
vedeva la scogliera
in lontananza e tutto il territorio collinare e verdeggiante, pensai a
come
sarebbe stato svegliarsi ogni mattina in quel posto; era rilassante e
paradisiaco.
Pensi
già ad una vita insieme a lui? Non credi sia un
po’ troppo presto Elly? Stiamo
bene insieme, ma non per questo vuol dire che lui voglia una relazione
seria.
Ed ecco che quel pensiero mi
colpì e affondò. Forse
la mia paura continua dipendeva da questo dubbio, di certo non potevo
andare da
lui e chiedergli se avrebbe voluto convivere con me. Non eravamo
ragazzini,
avevamo dei figli e prima di tutto doveva interessarci il loro
benessere.
Pensai subito a Sophie e decisi
di chiamare mia
mamma, erano già le dieci di mattina e speravo fossero
sveglie.
Mi rispose Sophie dopo pochi
squilli… “Ciao
mammaaaaaa. Non vedevo l’ora di sentirti, la nonna mi ha
detto che ieri hai
chiamato che ancora dormivo.” Mi vennero gli occhi lucidi a
sentire la sua voce
squillante e allegra, mi mancava come può mancare
l’aria.
“Piccola mia, come
stai? Continuano bene le tue
vacanze?”
“Sì, vanno
benissimo e sai finalmente ho quasi
finito i compiti così pensavamo di sentire Jinny e i suoi
nonni per i primi
giorni di gennaio; così per passare un po’ di
tempo insieme. Tanto di posto qui
a casa della nonna ce n’è tanto.”
Ero felice di sapere che la mia
piccola Sophie si
impegnava e si ricordava sempre della sua amica. Sicuramente sarebbero
riusciti
ad organizzarsi e poi finalmente l’avrei rivista.
“Sono contenta che ti
stai divertendo e che le cose
vadano bene. La nonna sta bene, vero?”
“Sì,
è un po’ raffreddata, ma è sempre lei
quella
che ha idee per passare il tempo, mi sta facendo divertire un sacco. E
tu
mamma, come stai?”
Decisi di iniziare a parlarle
di Mark, non mi
piaceva tenere nascoste le cose, meno di tutti a lei.
“Va tutto bene
tesoro, come sempre. Sai che ho
conosciuto il papà di Seth, è un uomo molto
simpatico e ci ha invitato ad
uscire tutti insieme al ritorno tuo e di suo figlio. Ti
andrebbe?”
Mi sembrava il modo migliore
per iniziare il
discorso, ma dall’altra parte del telefono mi colse
inaspettatamente il
silenzio di mia figlia.
“Sophie, ci sei?
Guarda che se non ti va basta che
me lo dici, sai che non ci sono problemi.”
Un urlo mi ruppe quasi un
timpano. “Mamma, sei
impazzita? Non mi va, ma certo che mi vaaaaaaaaaaa. Wow, una serata
insieme a
Seth. Ci divertiremo tantissimo, non vedo l’ora dunque
mettetevi d’accordo per
giorno e ora.” Rimasi sbigottita, ecco la piccola adolescente
precoce che
usciva in Sophie.
Iniziai a ridere e non riuscivo
più a smettere.
“Ok…
ahahahah… piccola va bene, ci organizziamo
così quando tornate saremo pronti per questa bellissima
uscita.”
Sophie in balia di un
‘isterismo pre – appuntamento
mi passò mia mamma, probabilmente facendo cadere il
cellulare perché sentii un
tonfo.
Appena mia madre rispose al
telefono mi ritornò in
mente la fantomatica riapparizione di mio padre, purtroppo non era
argomento di
cui volevo parlare al telefono, anche se era un peso che in certi
attimi mi
opprimeva.
Cercai di ristabilire un tono
di voce accettabile e
iniziammo a parlare della data di rientro, mi serviva per far passare
prima i
giorni che ancora mancavano. Decidemmo che probabilmente sarebbero
tornate il 5
gennaio, qualche giorno prima di quello che avevamo pensato
all’inizio. Poi mia
madre si sarebbe fermata da me per un paio giorni prima di tornare a
Londra per
il lavoro.
Quando conclusi la telefonata
mi diressi verso il
bagno e aprii l’acqua per farla scaldare un po’.
Come sempre sotto la doccia i
pensieri fluivano
veloci.
Mi sentivo inesorabilmente sua,
volevo essere sua
con tutta me stessa. Il mio cuore voleva trovare un rifugio caldo e
accogliente
in lui. Il respiro mi mancava quando non ero vicino a lui e il mio
cuore
perdeva dei battiti per la sua assenza. Possibile che fossi caduta nel
vortice
della ‘dipendenza’ così in fretta? Forse
ero troppo esagerata, ma dovevo avere
pazienza. Lui era coinvolto, potevo percepirlo, ma non fino a questo
punto,
almeno così pensavo io.
Uscii dalla doccia e mi vestii
per uscire, presi
con me il biglietto di Mark e lo infilai nel portafoglio, proprio come
fosse un
piccolo tesoro.
Quando passai di nuovo per le
scale mi soffermai di
fronte alla foto del matrimonio. Le domande tornarono a tamburellare la
mia
mente e decisi che appena avessi rivisto Mark gliene avrei parlato;
avevo già
troppi dubbi su questa ‘relazione’ e di certo
pensieri aggiuntivi non mi
facevano bene.
Era un problema facile da
risolvere, sperai.
Sentii per sms Clay e decidemmo
di incontrarci per
una pizza al centro commerciale. Avevamo cose da raccontare tutte e due.
Eravamo ancora nel parcheggio a
parecchi metri di
distanza che iniziammo a correre una contro l’altra.
Immaginavo quelle scene a
rallentatore che si vedono nei film, quando due persone si incontrano
dopo
anni… Beh, noi non ci eravamo viste per un giorno.
Ci abbracciamo così
forte che pensai ci saremmo
stritolate a vicenda e parlammo nello stesso istante.
“Ho così
tante cose da raccontarti.” Ci guardammo e
iniziammo a ridere.
Una volta sedute davanti ad una
pizza e una bella
birra ci calmammo e smettemmo di parlare contemporaneamente.
“Allora
com’è andata con Sean? Come avete passato
il pomeriggio?” Capii subito dallo sguardo sognante di Clay
che le cose erano
andate alla grande, ma non avevo mai avuto un dubbio che sarebbe stato
il
contrario.Quella
ragazza era splendida
e ti trascinava nel suo mondo meraviglioso, era impossibile non amarla.
“Siamo andati in giro
per l’isola, gli ho fatto
vedere la piccola cattedrale, la piazza e gli altri tipici monumenti,
poi l’ho
portato ad ammirare il panorama dal faro. In tutto questo non ci siamo
mai
fermati un attimo con le chiacchiere, lui mi ha raccontato la sua vita
e io la
mia. E’ un uomo meraviglioso.”
Continuavo a fissarla in attesa
di news più
succulente, ma Clay taceva.
“Ma allora, vuoi
continuare? Poi cosa è successo?
Dai, non tenermi sulle spine.” Con un’alzata di
spalle mi guardò ridendo.
“Come sei curiosa
amica mia. E poi niente, abbiamo
cenato insieme e siamo andati a vedere un film, insomma niente di che
per un
primo appuntamento.”
“Tu dai della curiosa
a me quando tu vorresti
sapere ogni secondo dei miei incontri con Mark? E comunque una
tranquilla
serata, al cinema col buio……..” Iniziai
a prenderla in giro e lei mi tirò un
paio di calci da sotto il tavolo.
“Sì
sì, prendimi pure in giro. Tanto stasera dopo
il turno mi ha invitato a ballare in un locale di Dublino.”
Rimasi sbigottita,
la mia amica era molto più audace di me, speravo solo
prendesse tutto molto
alla leggera, non volevo vederla soffrire.
“Ah bene, andate
già a ballare, bravi… Immagino
come vi struscerete.” Lo sguardo di Clay cambiò
repentinamente.
“E tu invece
cos’hai combinato piccola strega?” Le
spiegai quello che era successo la sera e notte prima e la reazione di
Claire
fu quella di saltarmi addosso per abbracciarmi dalla gioia urlando.
“La mia piccola
zitella che si innamora e trova
l’uomo della sua vita.” Ci scambiammo sguardi di
intesa, i suoi erano veramente
felici per me e i miei erano persi fra il ricordo dei baci appassionati
di
Mark.
“Non mi va di parlare
ancora d’amore Clay. Sai ci
conosciamo da poco e per ora le cose sono ancora molto strane. Voglio
conoscerlo meglio prima di dire che lo amo.” Abbassai lo
sguardo contorcendo le
dita, ecco di nuovo quella fitta di paura.
“Beh le tue parole
dicono questo, ma il tuo sguardo
dice esattamente il contrario. So che hai paura, ma prova a vivere le
cose come
vengono. Non farti troppe domande, non farti venire dubbi. Le cose
vanno come
vuole il destino e se voi siete destinati a stare insieme
così avverrà. Non
voglio più vedere sguardi tristi o persi nel vuoto ora che
c’è lui.” Ed ecco la
mia migliore amica che mi confortava come solo lei poteva fare.
“Clay, io ho paura
perché Mark è diventato il
centro del mio universo troppo velocemente. Non doveva accadere
così, abbiamo
un passato complicato e nel nostro presente e futuro ci saranno sempre
i nostri
figli. Dobbiamo pensare a loro prima di tutto.”
“Elly, tu non hai mai
pensato per prima a te. Anche
quando non c’era Sophie il tuo benessere è sempre
stato all’ultimo posto delle
tue priorità ed ora è arrivato il momento di
pensare a Eloise, solo a lei.
Concediti un po’ di egoismo. Pensa al tuo benessere,
perché poi questo si
rifletterà anche su tua figlia e soprattutto non pensare al
tuo passato, ormai
è andato e finito; non serve a niente rimuginare su fatti
ormai secolari. Vivi
il presente così come ti viene mandato dal
destino.”
Guardai Clay e la strinsi con
le lacrime a gli
occhi. Sapevo che aveva ragione, ma sarei riuscita a pensare solo a me
lasciando da parte il passato e i dubbi?
Salve a tutti. Sono
orrendamente in ritardo con questo aggiornamento e
chiedo perdono, ho avuto problemi. Spero solo voi siate stati
abbastanza pazienti da aspettarmi.
In questo capitolo ritroveremo
di nuovo la forte amicizie fra le due
donne, ma soprattutto un personaggio vi deluderà enormemente
:)
Spero lo apprezzerete. La canzone che ho scelto
è della stessa artista che ho
"usato" per il capitolo precedente. La sua voce scaturisce in me
tantissime emozioni diverse.
Ah e prima che mi dimentichi. Ringrazio tutte le persone che lasciano
un pensiero. Tutte quelle persone che mi spronano ad andare avanti. Non
avrei mai pensato che una "semplice" storia come questa potesse
piacere. Grazie di cuore!
Buona lettura e buon ascolto.
Capitolo
13. (Friendship comes First)
Ero rimasta sola alla
caffetteria, avevo detto a
Sean e Claire di andare a passare la loro bella serata; io mi sarei
arrangiata,
tanto quella sera il locale era abbastanza deserto.
Come sempre accesi la musica
che mi riempì di energia
e voglia di fare, decisi di dare una bella pulita a gli spogliatoi,
troppo
spesso lasciati da parte.
Stavo canticchiando in attesa
che arrivasse Mark,
mi aveva detto qualche ora prima che verso le undici sarebbe venuto a
trovarmi;
sentii il cellulare suonare nella tasca del mio giubbotto appeso
all’anta
dell’armadietto.
Il numero era di Clay, non
capivo cosa volesse
visto che era insieme alla sua nuova fiamma.
“Ehi piccola mia, non
ti diverti? Non puoi fare a
meno della tua migliore amica neanche in questi momenti?”
Risposi ridendo
pensando di prenderla un po’ in giro.
Dall’altra parte del
telefono sentii solo dei
singhiozzi. Il mio tono cambiò repentinamente, proprio come
il mio respiro che
si affannò subito.
“Clay, cosa succede?
Dove sei? Parlami.”
“El-Elly…Sono
in una…stanza di un hotel, penso a
Dublino.” La voce della mia amica era spezzata dal pianto e
facevo fatica a
capirla dato che parlava in un sussurro.
“Ok, sei in una
camera d’albergo, e? Cosa ti ha
fatto Sean?” Ero sempre più in preda al panico,
erano anni che non la sentivo
così sconvolta.
“Abbiamo fatto sesso
e poi lui è scomparso, mi ha
lasciato qui da sola dicendomi che aveva ottenuto quello che voleva.
Una serata
carina in cui spassarsela con una bella donna.” Clay
buttò fuori tutto in un
fiato e poi precipitò ancora fra le lacrime disperate.
“Ma ti ha fatto del
male?” Non potevo pensare che
potesse essere successo qualcosa di brutto, la vista si
annebbiò… Clay era
parte di me, come una sorella gemella, non avrei sopportato niente,
inoltre
odiavo sentirla piangere.
“No, non mi ha fatto
niente… Ero consenziente, ma
non me lo aspettavo, ci sono rimasta di merda. Mi sembrava un uomo
così buono e
gentile…. Se ne è andato lasciandomi qui e non so
come tornare a casa…” Di
nuovo le lacrime.
“Ok, riesci a vedere
il nome dell’hotel, vengo a
prenderti io. Tu non muoverti di lì.”
Mentre parlavo buttai per terra
la scopa e mi
infilai il giubbotto, mi salvai il nome dell’hotel sul
cellulare e corsi fuori
spegnendo le luci; presi le chiavi e chiusi la porta del locale.
Sentii una mano che mi
toccò la spalla e sobbalzai
dallo spavento. “Ehi tesoro, calmati. Cosa
succede?” Era Mark, ma non c’era
tempo di spiegare.
“Mark mi dispiace per
stasera non posso rimanere.
Devo andare da Claire, ha bisogno di me.” Dissi mentre mi
allontanavo, dovevo
prendere il traghetto e quello che stava per partire era proprio
l’ultimo
tragitto della serata. Non mi interessai di fare il biglietto, mi
diressi verso
la macchina per imbarcarla.
Mark mi fermò per un
braccio. “Aspetta, ti
accompagno, prendiamo la mia macchina è più
veloce ed ha il navigatore.” Disse
tirandomi verso la sua Mercedes.
Imbarcammo la macchina e
rimanemmo seduti. Il percorso
del traghetto era abbastanza veloce e sicuramente l’auto di
Mark sarebbe stata
d’aiuto a percorrere tutti quei chilometri che avrebbero
separato Dublino da
Portstewart; il porto in cui saremmo arrivati.
Io tremavo e Mark mi guardava,
mi prese la mano e
la strinse. “Cosa sta succedendo Elly? La tua amica
è in pericolo?”
Mi girai a fissarlo, come fosse
un fantasma,
sobbalzai. “Oddio, no no non è in pericolo. Non
deve essere in pericolo.
Dobbiamo andarla a prendere in un hotel a Dublino. Quel bastardo di
Sean l’ha
lasciata lì senza dirle niente.”
Ero in preda al panico e
stavolta nemmeno la
presenza di Mark serviva a calmarmi.
“Ok, fammi vedere il
nome dell’hotel, così lo
impostiamo nel navigatore e vediamo di trovare la via più
veloce.” Anche in
questa situazione sapeva come comportarsi. Sapeva che niente avrebbe
distolto
la mia attenzione da Clay e così concentrò anche
la sua, due menti erano meglio
di una.
Guardando il navigatore non ci
accorgemmo che
eravamo quasi arrivati. Per fortuna avevamo trovato una via veloce per
raggiungerlo ed eravamo ancora più fortunati
perché nessuno si accorse che
eravamo saliti senza biglietto.
Mark uscì dal porto
e ingranò la marcia, la sua
macchina sfrecciava fra le strade buie e trafficate.
Non parlavamo, non sarei stata
in grado di
affrontare nessun discorso, fissavo la strada e poi il navigatore e
ancora la
strada. Non vedevo l’ora che la voce metallica mi
distogliesse dai pensieri per
avvisarci che eravamo arrivati.
Presi il cellulare e provai a
chiamare Claire, che
non rispose. Ripresi a tremare e sudare. Perché non
rispondeva? Cosa succedeva?
Stava bene?
Continuai a chiamare e sentire
squillare a vuoto mi
stava facendo cadere in un buco nero. DOVEVO sentire la sua voce.
Finalmente dopo la quarta
telefonata Clay rispose.
“Si può
sapere dove cazzo eri finita? Sono quattro
volte che ti chiamo, vuoi farmi venire un infarto per caso?”
Avevo il fiatone
ed ero terrorizzata dalla sua risposta.
“No, Elly ti prego
calmati. Va tutto bene, ero solo
in bagno che cercavo di ripulirmi il viso da tutto il trucco sbavato.
Va tutto
bene, sono qui che ti aspetto.” La voce di Clay era
sicuramente più tranquilla
della prima telefonata, ma sentivo comunque una piccola punta di
disperazione
nella sua voce, che lei cercava di nascondere con destrezza.
“Ok, scusami. Ho solo
bisogno di vederti con i miei
occhi, poi riuscirò a calmarmi anch’io. Comunque
fra mezzora saremo lì, fatti
trovare nella hall così ce ne andiamo subito.”
Quando infilai il cellulare in
tasca sbuffai fuori
tutta l’ansia che mi stava distruggendo i nervi. Volevo
così tanto bene a
Claire, lei era metà della mia anima, non avrei potuto stare
senza di lei e non
potevo nemmeno immaginare che fosse sola in una situazione
potenzialmente
pericolosa.
Forse a gli occhi di Mark
sembravo esagerata, ma
non era così. Tenevo a lei come fosse mia sorella, mia
figlia, mia madre… Lei
era tutte loro messe insieme. Lei era Claire.
“Tesoro, fai un bel
respiro. Quando arriveremo
dovrai sostenerla e farla sfogare, non puoi farti trovare in queste
condizioni.”
Aveva perfettamente ragione, mi
girai a guardarlo e
gli sorrisi. “Grazie Mark.” Mi limitai a dire
quelle parole, ma le sputai fuori
insieme ad un pezzo del mio cuore.
Lui mi attirò a se
con un braccio e mi baciò la fronte
sorridendo. “Andrà tutto bene Elly. Claire
è fortunata ad avere un’amica come
te che corre subito in suo aiuto. Riuscirete a superare questa
situazione
insieme.”
Né io né
lui sapevamo chiaramente cosa fosse
successo, ma nonostante questo le sue parole mi fecero calmare
perché sapevo
che era così. Sapevo che insieme avremmo superato tutto, era
sempre stato così.
Io e Clay eravamo fatte per superare i problemi.
Scesi dalla macchina e entrai
nella hall dell’hotel
come un treno in corsa. Clay era seduta su un divanetto con gli occhi
chiusi.
Corsi da lei e
l’abbracciai subito, senza nemmeno
salutarla. Lei scoppiò a piangere fra le mie braccia, non
servivano parole in
quel momento, bastava il calore dell’amicizia.
L’aiutai ad alzarsi e
tornammo in macchina,
scambiando due veloci occhiate con Mark decisi di sedermi sui sedili
posteriori
insieme a lei.
Finalmente smise di piangere e
iniziò a parlare
senza che io le chiedessi niente.
“Sai, ieri sera
eravamo stati così bene insieme,
quando parlavamo mi sembrava già di conoscerlo da una vita.
Era stato gentile e
dolce e alla fine tutti e due ammettemmo di essere stati molto
bene.” Fece una
piccola pausa e si appoggiò al mio petto emettendo piccoli
singhiozzi, io le
accarezzavo i capelli in attesa che continuasse.
“Stasera invece mi
sono lasciata andare, sono stata
una stupida; mi sono fatta convincere dalle sue maniere da gentiluomo,
mi sono
fatta attirare dal suo comportamento così
affabile… Ci sono cascata come una
stupida, come fossi ancora un’adolescente.”
Un’altra pausa, stavolta il suo
tono di voce era di rimprovero, verso se stessa; certo non era stata
attenta a
lasciarsi andare così, ma la capivo e non mi andava di
giudicarla per questa
sua azione avventata.
“Mi ha portato in
albergo perché doveva prendere
delle sue cose, ha detto lui. Poi ci siamo lasciati andare,
è successo tutto
molto velocemente ed ero sinceramente contenta alla fine di tutto. Poi
lui è
cambiato repentinamente, il suo sguardo è diventato beffardo
e duro. Dopo poco
era vestito e pronto ad uscire. ‘E’ stato bello e
troppo facile. Pensavo che
essendo una donna così vissuta avresti opposto
più resistenza. Beh comunque
grazie per la scopata. Addio Claire.’ Ecco cosa mi ha detto
prima di sbattere
la porta. Io ero nuda e dopo essermi vestita sono corsa giù
alla hall per
vedere e capire se avesse lasciato un messaggio o una sua traccia, ma
niente.”
La sua voce si spense e si
raggomitolò addosso a
me. La mia rabbia saliva prepotentemente e mi accorsi che anche Mark
era
decisamente nervoso. Guidava male e scuoteva la testa con vigore, le
sue mani
erano avvinghiate al volante e le sue nocche erano bianche da quanto
era forte
la presa.
“E’ stato
un stronzo. Tu hai sbagliato a cadere
nella sua trappola, ma di certo lui è stato un enorme e
grosso stronzo.” Ero la
sua migliore amica, ecco perché non diedi la colpa completa
a Sean, non mi
piaceva dare ragione a Clay solo perché era la mia migliore
amica. Doveva
capire che anche lei aveva fatto i suoi errori. Mi resi conto che ne
era
consapevole e che si era già ‘frustata’
abbastanza per l’errore commesso.
“Quando torniamo
domattina andiamo in ufficio da
Sean e gliene diciamo quattro.” Dissi tamburellando le dita
sul vetro.
“Oh cazzo. Non avevo
pensato al fatto che domattina
me lo ritroverò davanti.” Un piccolo tremito di
paura la percosse. La
situazione non sarebbe certo stata facile e capivo il suo disagio.
“Se non ti va ci
parlo solo io, certo non gliela
faccio passare liscia.”
Il resto del viaggio
continuò in silenzio, Mark
accese la musica per alleviare il peso di quel mutismo.
Tutti ci rilassammo,
addirittura Clay si addormentò
fra le mie braccia.
L’accompagnammo a
casa e le chiesi se voleva che le
tenessi compagnia, ma la risposta fu un ‘no’
sorridente. Per fortuna stava un
po’ meglio. Il resto dei problemi li avremmo affrontati
insieme il giorno dopo.
Buongiorno,
cosa posso dire oltre che mi dispiace da morire per il
ritardo (se così vogliamo chiamarlo) enorme per
l'aggiornamento. Purtroppo ho passato un periodo pieno di impegni e
completamente senza idee, quando tornavo a casa e mi mettevo al pc
avevo solo voglia di rilassarmi e non pensare a niente. Spero
che potrete perdonarmi, non mi aspetto di ritrovare tutti i
lettori di quando ho iniziato, ma spero comunque che ci sia qualcuno
che ha sperato io aggiornassi. Buona
lettura. PS:
La canzone questa volta è decisamente molto "dura" visto
le situazioni che incontrerete nel capitolo :)
Capitolo
14. (You’ll not break me
dawn)
Quella mattina mi svegliai
molto presto, lasciai un
bacio fra i capelli profumati di Mark – che si era fermato da
me quella notte –
mi preparai di corsa ed uscii per andare alla tavola calda. Volevo
arrivare là
prima di Claire per aver modo di parlare con Sean di quello che era
successo la
sera appena trascorsa.
Quando arrivai mi trovai di
fronte qualcosa che non
avrei mai immaginato di vedere.
Due macchine della polizia
erano parcheggiate
proprio di fronte al localee
c’era un
via e vai di poliziotti.
Scesi dalla macchina e mi
diressi verso l’entrata.
“Mi scusi signorina, lei dove pensa di andare?” Mi
disse uno degli uomini in
divisa appena fuori dalla tavola calda.
“Lavoro qui e vorrei
entrare per parlare col mio
capo e capire cosa è successo.” Guardai quel
poliziotto in malo modo, odiavo
quel comportamento che assumevano sempre in questi casi, come se
chiunque fosse
un possibile assassino o ladro.
Dall’interno si
sentì la voce di Sean che
assicurava quel poliziotto. “La faccia passare, è
una mia dipendente.” Disse
osservandomi come se realmente fossi io la causa di tutto quel
trambusto, ma se
i suoi occhi facevano intendere questo, il suo sorrisino mi faceva
dubitare.
“Sean, si
può sapere cosa è successo qui?” Dissi
guardandomi attorno. Il locale era sottosopra, un paio di poliziotti
erano
dietro al bancone vicino alla cassa e un altro paio li intravedevo
nell’ufficio.
“Forse potresti dirmi
tu cosa è successo. Questa
notte sono entrati nel locale e hanno portato via tutti i soldi, anche
quelli
della cassaforte.” Il suo sguardo era duro e accusatorio.
Rimasi sbalordita di fronte a
quell’accusa. “Scusa
Sean, cosa c’entro io? Io ieri sera sono rimasta qui fino a
che non ho ricevuto
la telefonata in lacrime di Claire.” Dissi dando enfasi ad
ogni singola parola.
“Quando sono uscita ho chiuso tutto e sono corsa a Dublino a
riprenderla, visto
che TU l’hai lasciata sola.” La rabbia stava
salendo, ma cercai di tenerla a
freno soprattutto per capire per quale motivo Sean mi accusasse,
strinsi i
pugni e misi le braccia lungo i fianchi.
“Sei proprio sicura
di aver chiuso tutto quanto? Io
non credo proprio visto che non c’è nessun segno
di effrazione e qui le chiavi
le abbiamo solo io, tu e Claire. Le altre due ragazze non ne sono in
possesso.
Claire sappiamo benissimo tutti e due dov’era e qui
c’eri solo tu. Sei uscita
di corsa, in pena per la tua amica. Sono sicuro che tu ti sia
dimenticata di
chiudere la porta.” L’accusa era forte e il tono di
rimprovero – come fossi una
bambina – era insopportabile.
“Come scusa? Certo
sono uscita di corsa per colpa
di uno stronzo come te, ma non sono così scema da lasciare
aperta una porta che
chiudo automaticamente tutte le sere quando lascio questo posto. Lavoro
qui da
6 anni e non ho mai commesso un errore simile, nemmeno quando dovevo
correre da
mia figlia perché stava male.” Il mio sguardo
sosteneva il suo e l’odio che
provavo per lui aumentava a dismisura, avrei voluto prendere quella sua
testa
di cazzo e sbatterla contro al muro del locale.
“Non ci sono scuse
Eloise. Sei stata tu, non c’è
altra spiegazione. Non mi interessa tutte le congetture che puoi
costruire in
questo momento. Tu eri qui, tu eri responsabile del locale e tu lo hai
lasciato
aperto. Non posso ammettere errori simili, soprattutto
perché hanno rubato
tutto l’incasso di quel giorno e anche tutti i soldi della
cassaforte, si sono
fatti un bel gruzzoletto.” In quel momento si
avvicinò un poliziotto,
probabilmente attirato dai toni accesi della nostra discussione; si
affiancò a
me, come un avvoltoio in attesa del suo pasto.
“Beh,
perché non vieni a perquisire casa mia Sean,
magari sono stata proprio io a rubare tutto. Ma andiamo mi consideri
così tanto
stupida, so fare il mio lavoro. Mi sembra assurdo che tu mi stia
accusando,
quando sono sempre stata la più sveglia qui
dentro.” Sean esagerava con le
accuse e io non riuscivo a tenere a freno la lingua. Anzi era
già molto che
riuscissi a tenere a freno le mie mani, che prudevano e avevano una
voglia
matta di tirare due schiaffi a quell’uomo.
“Signorina,
sicuramente verremo a fare un giro a
casa sua, intanto se posso chiederle di aprirci la macchina, vorremo
dare
un’occhiata. Se quello che il suo capo dice è la
verità, lei è la prima
sospettata.” Si avvicinò un altro poliziotto,
sembravano in procinto di
arrestarmi e io ero sull’orlo di una crisi di nervi.
“Avete un mandato per
frugare nella mia macchina?
Beh procuratevelo, dopo di che potrete fare quello che vorrete. Non ho
paura,
perché sono pulita.” Li guardai sfidandoli, ci
avrebbero messo poco ad avere il
mandato, ma intanto potevo rompere ancora un po’ le palle a
Sean.
I due poliziotti si dileguarono
fuori dal locale,
ma non prima di avermi avvertito. “Signorina Walsh, per
favore non si muova dal
locale, non peggiori ancora di più la sua
situazione.” Rimasi a bocca aperta
per quelle parole.
Ma
cosa cazzo succede? Ho per caso ammazzato qualcuno? Cosa ho fatto di
male?
Spero solo che questo non sia un pretesto di Sean per vendicarsi,
sarebbe
davvero troppo perfido e sbagliato. Ma posso aspettarmi di tutto da uno
come
lui.
Seguii Sean
nell’ufficio, gli altri due poliziotti
erano impegnati a cercare indizi nel locale e non facevano caso a noi,
chiusi
la porta e fissai con le braccia incrociate sul petto Sean.
“Adesso che siamo
soli puoi spiegarmi le tue reali
intenzioni Sean. So che queste sono tutte cazzate che ti stai
inventando, si
percepisce dal tuo sguardo. Stai cercando di prendere per il culo me e
i
poliziotti, solo che io non ti credo. So precisamente quello che ho
fatto.” Il
mio sguardo era fisso su di lui, si sedette sulla sua morbida poltrona
e mi
fissò congiungendo le mani sotto al mento.
“Eloise, puoi pensare
quello che vuoi, qui dentro
non interessa a nessuno. Non mi interessa quello che è
successo ieri sera.
Semplicemente non ti voglio più qui. Puoi
andartene.” Abbassò lo sguardo e si
mise a scrivere su dei fogli, ignorandomi proprio come se non ci fossi.
“Come scusa? Cosa
intendi per ‘non ti voglio più
qui’?” La mia domanda era retorica, avevo capito
subito le sue intenzioni e
sapevo bene cosa voleva da me; volevo solo sentirmelo dire chiaramente.
Alzò gli occhi su di
me, la sua risata era
sardonica. “Vattene di qui Eloise Walsh. Sei licenziata, non
voglio ladri ne
falsi nel mio locale.” Rimasi fissa a guardarlo. Sapevo che
voleva questo, ma
rendermi conto che era davvero così mi fece impallidire.
Questo
lavoro è uno schifo, Sean è un verme e per suo
zio vale lo stesso. Ma io ho
bisogno di lavorare. Devo mantenere mia figlia, devo farla vivere bene.
Chiusi gli occhi, presi un
respiro e allentai la
presa delle mie mani, stavo stringendo così forte i pugni
che mi ero conficcata
un paio di unghie nel palmo. Aprii le mani e le appoggiai alla
scrivania. Gli
occhi chiusi e il respiro sempre più regolare.
“Sean, mi dispiace
solo che tu sia di una pochezza
così ampia. Pensi di farmi del male trattandomi
così? Pensi che mi distruggerai
la vita? Beh fattelo dire caro. Quando uscirò da questo
locale le uniche
persone che ci rimetteranno sarete tu e Jack. Se ti senti
così solo e poco
apprezzato da doverti vendicare su di me, non è certo colpa
mia. Ma sono sicura
che in futuro pagherai per la tua perfidia e la tua
superficialità. Addio
spaccone.” Dissi tutto in un fiato e poi uscii
dall’ufficio. Una lacrima iniziò
a scivolare sul mio viso, ma l’asciugai subito con la mano.
Alzai lo sguardo e
mi ritrovai di fronte Clay con lo sguardo attonito.
Le spiegai cosa era successo
sperando non la
prendesse troppo male e sperando che non le venisse una crisi di panico.
“Io qui senza di te
non ci rimango Elly.” Così
dicendo mi scansò e si diresse verso l’ufficio.
La presi per un polso.
“Clay, non fare la stupida.
Basta una sola di noi senza lavoro. Tu non hai fatto niente. Sean ce
l’ha con
me e non so perché. Tu non c’entri, non fare la
‘paladina della giustizia’ che
non serve a niente.” Lei mi guardò sorridendo e
prese le mie mani nelle sue.
“Tesoro, io qui SENZA
DI TE non rimango. Non c’è
altro da dire e non mi interessa cosa pensi di me o di quello che sto
per fare,
ti passerà e tutto tornerà come prima. Qui con
Sean non sarebbe più lo stesso
per me. Inizieremo insieme di nuovo come abbiamo sempre fatto, da sole
non ce
la facciamo; ma insieme siamo più forti di qualsiasi
cosa.” La guardai, la sua
voce sicura tradiva le lacrime che stavano rigando il suo volto.
“Clay, ok.
Vengo con te.” Le presi la mano e entrammo
nell’ufficio insieme.
Sean non si aspettava di
vederci lì insieme con lo
sguardo di due tigri.
Io avevo già detto
tutto a Sean, ma Clay no. Si
allungò sulla scrivania e picchiò una mano sulla
superficie dura.
“Tu, sei
semplicemente uno schifoso. Non so se
chiamarti uomo o pezzo insignificante di mondo. Non so se guardarti e
piangere
o ridere per la pena che mi fai. Me ne vado anch’io, tanto
non ti serve una…
Mmm, come mi hai chiamato ieri sera? Troietta da quattro soldi che si
fa
fregare da uno sguardo dolce.” Clay lo guardò e si
mise a ridere, poi si voltò
e uscì dall’ufficio con le spalle dritte.
Io rimasi immobile a fissare
Sean che non si
aspettava niente di simile, era sorpreso e sicuramente titubante.
“Come ti
senti adesso caro Sean? In bocca al lupo per la tua bellissima
vita.” Dissi
ironicamente, sputai nel suo ufficio ed uscii per andare da Clay; mi
aspettavo
che lui ci rincorresse e ci fermasse, ma nessuno aprì quella
porta.
Clay era fuori dal locale che
fumava una sigaretta
appoggiata al muretto, guardava il mare e si capiva subito che stava
piangendo.
La raggiunsi proprio nell’attimo in cui ritornarono i due
poliziotti.
“Ragazzi, come siete
efficienti nel vostro lavoro.”
Dissi prendendoli in giro, gli tirai le chiavi della mia macchina, uno
dei due
le prese al volo e mi guardò in modo incerto. Non si
aspettavano questo mio
modo di fare e sinceramente non mi interessava. “La macchina
è vostra, fate
quello che volete. Ma per favore in fretta che devo andarmi a cercare
un altro
lavoro. Grazie.” Ero già girata per andare da
Clay. Le misi le braccia intorno
al collo e lei sbuffò esausta.
“Anche la tua
macchina stanno perquisendo? Cosa
pensano di trovare quegli stupidi?” Disse buttando fuori un
po’ di fumo.
“Pensa che forse
verranno a farmi visita anche a
casa. Non mi interessa davvero, so quello che ho fatto. Adesso il mio
primo
pensiero è trovare un altro lavoro per tutte e
due.” Rimanemmo sedute su quel
muretto a contemplare la forza della natura, il mare era in tempesta e
stava
iniziando a piovere violentemente sulla nostra piccola isola.
Un cenno del poliziotto mi fece
capire che avevano
finito, passai di fianco a loro e presi le chiavi. “Contenti
della ricerca?
Devo aspettarvi anche a casa mia? Volete il tè per le
5?” Dissi facendomi beffe
di loro. Mi guardarono scuotendo il capo. “Ci scusi signora
Walsh, ma deve
capire che dobbiamo tenere in gioco ogni
possibilità.” Li guardai e avrei
voluto sputare anche addosso a loro, ma mi limitai a scoccargli uno
sguardo di
ghiaccio.
Feci cenno a Clay di seguirmi
con la macchina e ci
ritrovammo al bar del centro commerciale, sperando di riuscire a
rilassarci e
farci venire qualche buona idea.
Mandai un sms a Mark dove
spiegai brevemente quello
che era successo. Di lì a poco ci avrebbe raggiunto, era
incazzato nero. Così
mi aveva fatto intendere dalle sue gentili parole per Sean.
“Quello stronzo,
saremo noi a rovinare la vita a lui. La pagherà cara per
averti trattato così.
Mi prudono le mani, ma prima vengo da voi per capire meglio cosa
è successo,
poi deciderò che fare di lui.”
Sorrisi a quel pensiero, era
protettivo nei miei
confronti e non poteva farmi altro che piacere. Era un piccolo conforto
in quel
momento. Presi la mano di Clay e la strinsi, mi fissava con sguardo
dolce ma
era terribilmente abbattuta. Le ci era voluta una grande forza per
entrare in
quell’ufficio e affrontare così l’uomo
che l’aveva appena ‘distrutta’.
L’ammiravo per questo. “Ti voglio bene Clay.
Insieme unite contro tutto e
tutti.” Dissi quelle parole come un mantra, quella era la
frase che ci dicevamo
da quando avevamo 5 anni e le cose erano sempre le stesse, nulla era
cambiato
nella nostra amicizia.