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Per
Yugi le cose si stavano mettendo davvero molto male.
Fin dall’inizio del duello si era ritrovato in
una posizione di svantaggio, e anche se in alcune occasioni era riuscito a
portare dei buoni contrattacchi, il suo avversario era sempre riuscito, in
qualche modo, a metterlo alle corde.
L’avversario in questione era nientemeno che
Seth, il dio della distruzione egizio.
Tutta colpa di un maledetto ladruncolo da due
soldi che, svaligiando il museo di storia dove era stata allestita la mostra
dedicata alla mitologia egizia, aveva avuto la brillante idea di dare retta
alla vocina che aveva sentito provenire da dentro una statua, e che gli
chiedeva di liberarlo in cambio di enormi ricchezze. Quello ovviamente ci aveva
creduto, e rotta la statua aveva anche rimosso il sigillo dalla specie di
scatola nascosta al suo interno, la prigione dove Horus
aveva rinchiuso Seth agli albori della storia dopo averlo sconfitto in
battaglia.
In poco tempo, l’aura maligna di Seth si era
espansa su tutta Domino, intrappolandone gli abitanti in una sorta di tempo
cristallizzato che aveva risparmiato solo Yugi e i
suoi amici, che in quel momento erano fuori città e che, saputo quello che era
successo, erano tornati indietro per tentare di fare qualcosa dopo aver
sconfitto rapidamente Aphofis, il lacchè del nemico.
Il piano di Seth era semplice; inondare la
Terra e la dimensione degli uomini in generale con l’oscurità proveniente dal
suo inferno, questo mediante una gigantesca sfera di energia comparsa sui cieli
della città e che, un poco alla volta, stava usando l’energia vitale dei suoi
abitanti per rompere il lucchetto che gli dèi avevano posto alla porta che
separava i due mondi. Se il suo piano fosse riuscito, avrebbe potuto reclamare
per sé l’intera dimensione degli uomini con il pretesto che essa era divenuta
parte del suo territorio.
Atem, però,
era intervenuto in difesa dei suoi amici, imponendo a Seth per conto degli dèi,
dei quali si era fatto portavoce, di misurarsi in un duello con Yugi; se avesse vinto, nessuno avrebbe contestato le sue
pretese di conquista, ma se avesse perso il potere divino che il cielo aveva
conferito a Yugi avrebbe permesso a quest’ultimo di
ricacciare Seth all’inferno dal quale era scappato all’alba dei tempi.
Non poteva più aiutarlo ed assisterlo come in
passato, Atem confidava tuttavia nell’abilità di Yugi, ma non aveva fatto i conti con le abilità di
duellante e di stregone di Seth, che dell’antica arte di giocare con gli
spiriti e con le anime era uno dei più grandi cultori.
I poteri di Seth erano tali che era riuscito,
proprio quando sembrava che il corso del duello potesse cambiare, ad
imprigionare nella pietra persino i tre dèi egizi, grazie alla trappola Sigillo
dell’Inferno.
La situazione ora era di duemilacinquecento punti
in possesso del dio, e Yugi con soli trecento. Yugi non aveva né mostri né magie né trappole, e le sue tre
divinità erano ancora pietrificate e fuori dal gioco, e lo sarebbero state fino
a quando Sigillo dell’Inferno fosse stato in campo. Oltretutto, lo stesso
sigillo permetteva a Seth di pietrificare anche qualsiasi mostro con più di
duemila punti di attacco o di difesa il suo avversario avesse messo in gioco;
tenerlo in campo costava duemila punti a turno, ma Seth poteva evitare quella spesa
grazie ad un mostro nel suo cimitero, il Tristo Servo Infernale, che fintanto
restava al cimitero permetteva al suo possessore di guadagnare duemila punti ad
ogni fine turno dell’avversario prendendo le prime due carte del proprio deck e
rimuovendole dal gioco.
Infine, Seth aveva in campo Ammit, un mostro da 2700 punti d’attacco che, pur non
potendo attaccare direttamente, oltre ad impedire l’attacco ad ogni mostro con
più di duemila punti d’attacco ad ogni suo turno obbligava Yugi
a mandare al cimitero tante carte quanti erano i suoi mostri rimossi dal gioco,
ovvero cinque, visto che assieme alle divinità erano stati pietrificati anche
il Mago Nero e la Ragazza Maga Nera, cosa che in poco tempo aveva falcidiato il
deck di Yugi, lasciandoci dentro solo tre carte.
«Sei al capolinea, ragazzino.» disse Seth
ghignando di soddisfazione «A quanto pare Horus e gli
altri si sono sbagliati sul tuo conto. Avanti, fai la tua ultima mossa. Così
avrà inizio il mio regno sul mondo degli uomini».
Al fianco di Yugi,
come sempre, i suoi compagni.
Quella testa calda di Joey
come sempre aveva agito prima di riflettere, attaccando battaglia con il nemico
ma venendo subito sconfitto, e solo per l’intercessione di Atem,
anch’egli presente tra di loro come spirito in carne, Seth non lo aveva spedito
all’inferno; il duello però lo aveva lasciato tremendamente rintronato, e si
reggeva in piedi a fatica, tanto che Tristan doveva
sorreggerlo.
«Yugi, manda al
tappeto quel pazzoide e rispediscilo all’inferno!» disse Joey
tirando fuori tute le forze che gli restavano
«Avanti, sappiamo che puoi farcela.» disse Tea
«Yugi, noi crediamo
tutti in te.» disse Atem «Vinci!».
In linea teorica, Yugi
aveva in mano una carta che poteva farlo vincere, ma da sola non serviva a
niente. Gliene servivano almeno altre due, e non era sicuro che fossero tra le
tre che gli erano rimasta. Poteva solo sperare.
Chiusi gli occhi, e tratto un respiro, pescò.
«Un’ultima speranza.» disse guardando quello
che aveva appena pescato «Gioco Anfora dell’Avidità. In questo modo, posso
pescare altre due carte!»
«Le tue ultime carte.» osservò Seth.
A quel punto, era davvero tutto nelle mani
della sorte. Prima una, poi l’altra, Yugi prese le
ultime due carte che gli restavano, e dovette farsi forza per riuscire a
guardarle.
La riscossa era cominciata. Ancora una volta,
il destino non lo aveva tradito.
«Adesso attivo Trappola Istantanea! Grazie ad
essa, posso giocare una carta trappola direttamente dalla mia mano pagando metà
dei miei life points! E io attivo Ritorno dall’Altra
Dimensione! Ora posso richiamare in campo i mostri che tu hai pietrificato!».
I cinque mostri, che fino a quel momento si
trovavano sospesi in aria ridotti a delle statue, cominciarono a creparsi,
mentre lampi d luce uscivano dal loro interno; alla fine, con uno scatto
rabbioso, si liberarono, facendo ritorno sul terreno di gioco.
«Dal momento che si tratta di un’evocazione
speciale, Sigillo dell’Inferno non si attiva.»
«Questo non ha alcuna importanza.» replicò
Seth, per nulla spaventato «Ricordi? Ammit impedisce
a qualsiasi mostro con più di duemila punti di attaccare. E quindi, le tue
inutili divinità non servono a niente.»
«Non mi servirà attaccarti per vincere.»
rispose sicuro Yugi
«Che cosa!?».
Era il momento del suo asso nella manica.
«Adesso attivo la carta magia Speranza
Ritrovata!»
«No!» ringhiò Seth capendo cosa stava per
succedere
«Grazie a speranza ritrovata, non devo fare
altro che rinunciare a metà dei miei life points! In
cambio però, posso infliggerti cinquecento punti di danno per ogni mostro sul
mio terreno!
Il duello è finito!»
«No! Non è possibile!».
I cinque mostri coalizzarono i rispettivi
attacchi, che scavalcando Ammit si accanirono
direttamente su Seth, azzerando i suoi punti.
«Non può essere! Come posso essere sconfitto così… da un mortale!»
«Vai così, Yugi!»
disse Tristan «Sei il migliore.»
«Bravo, Yugi.»
sussurrò Atem.
Con la sconfitta di Seth, l’energia malefica
che avvolgeva Domino iniziò rapidamente a diradarsi, e anche la fera oscura,
ovvero il portale, che si trovava proprio sopra le teste dei ragazzi, prese a
pulsare e a contorcersi come un cuore, segno che stava per implodere.
Quanto al dio, poco dopo la sua sconfitta una
pozza di fango nero e ribollente si aprì sotto i suoi piedi, e mani demoniache
si sollevarono da essa, avvinghiandolo e trascinandolo verso il basso.
«Torna a bruciare all’inferno!» gridò Atem
«No! Mi rifiuto! Mi rifiuto di andarmene
così!» sbraitava il dio mentre scompariva.
Poi, i suoi occhi si accesero di rabbia,
facendosi rosso sangue.
«Se proprio devo fare questo viaggio, almeno
non lo farò da solo!» esclamò, e liberato un braccio alzò una mano verso la
sfera, che d’improvviso prese a tremare e a ribollire ancora più di prima,
circondandosi di un minaccioso alone oscuro.
«Che sta succedendo!?» esclamò Joey «Atem, non avevi detto che battendolo
tutto sarebbe tornato come prima?».
Atem,
purtroppo, temeva di aver capito quello che Seth aveva intenzione di fare.
«Seth, maledetto pazzo!»
«Buon viaggio, mortali!» esclamò il dio
ridendo a squarciagola mentre veniva trascinato definitivamente all’inferno.
La sfera, tuttavia, rimase, e invece che
scomparire diventava sempre più minacciosa, come un nucleo pronto ad esplodere;
la città intera prese a tremare, panchine, macchine e altre cose non fissate
iniziarono a levitare, come attratte da una forza di gravità impalpabile.
«Yugi!» gridò Atem «Andatevene!»
«Atem, che sta
succedendo?» disse Yugi tentando di restare in piedi.
Tea provò a portare Joey,
ancora claudicante, fuori dalla piazza, ma il terreno tremava a tal punto che
anche lei faticava a stare in piedi.
La sfera continuò a pulsare e contorcersi,
mentre la sua superficie si riempiva di crepe.
All’improvviso, per un istante, tutto sembrò
acquietarsi, come una calma assoluta ed irreale, e subito dopo una
terrificante, spaventosa esplosione si abbatté sulla piazza; i palazzi si
creparono, le finestre esplosero, gli alberi e i cespugli si ritrovarono
sradicati e spogli.
«Amici!» esclamò Atemu
con il terrore nello sguardo.
Yugi, Tea, Joey e Tristan videro una luce,
una luce accecante sprigionarsi dalla sfera e travolgerli, avvolgendoli
completamente. Poi, non videro più niente, sentendo solo la voce di Atem che disperatamente li chiamava.
Quando
Yugi riprese conoscenza, la prima cosa che fece dopo
aver cercato di scacciare il torpore che gli attraversava il corpo fu guardarsi
attorno, e ciò che vide lo meravigliò.
Non si trovavano più nella piazza di Domino.
Quello sembrava piuttosto una specie di tempio
antico, con una volta tanto alta da non poterne scorgere il soffitto, coperto
da un’oscurità che le torce non riuscivano a raggiungere, e sorretto da due
file di enormi colonne, con una circonferenza di parecchi metri, tanto
imponenti che al confronto quelle dei templi greci e romani sembravano
stuzzicadenti.
Il disegno ricordava molto un tempio egizio, e
i geroglifici alle pareti sembravano confermare questa ipotesi.
Ma come avevano fatto, si disse Yugi, a finire in Egitto, se davvero era lì che si
trovavano? E soprattutto, cosa era successo?
Yugi si guardò
attorno, scorgendo i suoi amici poco distante, anch’essi svenuti.
«Tea, Joey, Tristan.» disse scotendoli «Svegliatevi».
Dopo poco, anche loro riaprirono gli occhi, e
anche loro erano intorpiditi e intontiti esattamente come lui.
«Accidenti.» disse Joey
massaggiandosi la testa «Mi sento come un ubriaco travolto da un camion.»
«Ma dove accidenti siamo finiti?» chiese Tristan
«Non ne ho idea.» rispose Yugi
«Sembrerebbe una specie di tempio».
Una cosa che dapprincipio nessuno notò, fu che
i duel disk di Yugi e Joey erano stati rimpiazzati dagli antichi diadhank egizi; anche Tea e Tristan
ora ne avevano uno.
«E questi come ce li siamo procurati?» domandò
Joey vedendo il suo
«Non lo so.» rispose Yugi
guardandolo.
Ultimo punto, fu che nessuno di loro
presentava ferite di alcun tipo; subito prima di quella strana esplosione di
luce, tutti quanti si erano feriti in qualche modo a causa dei detriti che
volavano da ogni parte. Ora, invece, tutti quei segni erano scomparsi.
«Questa cosa diventa sempre più strana.» disse
Tristan
«Intanto.» disse Tea «Cerchiamo di capire dove
siamo finiti».
In quella, una luce si accese nel nulla, tramutandosi
nel faraone Atem. Aveva un’espressione strana,
diversa dal solito; sembrava preoccupato, per non dire triste.
«Atem!» disse Yugi «Per fortuna sei qui.»
«Per fortuna siete arrivati tutti qui sani e
salvi.» disse quasi a sguardo basso «Temevo che non sarei riuscito a recuperarvi
tutti prima che andaste troppo avanti.»
«Di che stai parlando?» chiese Joey «Si può sapere dove ci troviamo?»
«E soprattutto» disse Tristan
«Come facciamo a tornare indietro?».
A quella domanda, Atem
abbassò di nuovo gli occhi, mostrandosi ancor più abbattuto e sconfortato di
prima.
«Non potete tornare indietro».
Tutti sgranarono gli occhi.
«Che vuoi dire!?» chiese Yugi
«Perché non possiamo tornare indietro?»
«Questo è un posto…
un po’ speciale. Da qui non si torna indietro. Si può solo andare avanti».
Un dubbio atroce iniziò a farsi strada nella
mente di Yugi, e anche Tea iniziò ad avere una
bruttissima sensazione. Un tempo, nessuno di loro avrebbe creduto all’ipotesi
che ora non avevano il coraggio di prendere in considerazione, ma dopo tutto
quello che avevano visto in quegl’anni, il loro punto di vista era decisamente
cambiato.
«Scusa, ma continuo a non seguirti.» disse Joey, che invece, assieme a Tristan,
continuava a non cogliere il nesso.
Anche Yugi e Tea per
la verità non ci volevano credere, cercando di pensare che era un’ipotesi
troppo inverosimile per essere vera.
A quel punto, Atem
non ebbe altra scelta, e agitata una mano generò davanti ai quattro ragazzi una
specie di portale, come uno schermo televisivo, nel quale apparve una veduta a
loro famigliare.
«Questa è Domino!» disse Yugi
ritrovando speranza.
La città era intatta, e libera finalmente
dalla cappa di oscurità che l’aveva strangolata; anche la sfera era scomparsa,
e le persone erano tornate a muoversi, immemori di quello che era accaduto.
«Allora ce l’abbiamo fatta. Seth è stato
sconfitto.»
«Vai così!» esclamò Joey
«Quel sadico pazzoide se ne è tornato dove si meritava di stare. Vero, Atem?».
Invece, il faraone chiuse gli occhi, e come
mosse nuovamente la mano le immagini cambiarono, mostrandone altre assai meno
festose, e molto inquietanti.
Sembrava l’esterno di una chiesa, o una specie
di tempio, con una piccola folla assiepata tutto attorno; in quella foto, Yugi riconobbe suo nonno, Joey
sua sorella, Tristan e Tea i loro genitori, tutti in
lacrime e piegati in due da un dolore all’apparenza insanabile.
Poi l’immagine mutò ancora, mostrando un
tempietto votivo con quattro foto listate a lutto.
E nel vedere quelle foto, i quattro ragazzi
impallidirono, restando con il fiato mozzato quando riconobbero in quelle
immagini in bianco e nero i loro stessi volti.
«Quelli...» disse sconvolta Tea «Quelli… siamo noi.»
«No...» disse Yugi
«Non può essere…»
«Questo… questo è
uno scherzo.» disse Joey «Uno scherzo di pessimo
gusto».
Nessuno di loro riusciva a staccare gli occhi
da quelle immagini, mentre Atem al contrario teneva
bassi i propri, per la vergogna di sé stesso che provava nel guardare i suoi
amici.
«L’energia oscura che Seth ha liberato con
quell’esplosione» disse stringendo i pugni «Sarebbe stata troppo per chiunque. Ho
provato a erigere una barriera, ma pur riuscendo a proteggere tutto il resto
della città, il punto centrale, ovvero la piazza, era pervaso da tanta di quell’energia
che neppure io sono riuscito a contenerla».
Tea si sentì mancare, e cadde in ginocchio in
preda al pianto e ai singhiozzi, ma per quanto cercasse di confortarla Tristan non si sentiva tanto meglio di lei.
«No…» disse la
ragazza tra le lacrime «Non ci posso credere…».
Ormai quel pensiero si era fatto certezza, ma Yugi e gli altri ancora non riuscivano a crederci. Avevano bisogno
di sentirlo, oltre che di vederlo.
«Atem…» disse Yugi con la voce tremante.
Anche Atem stava
piangendo, ma trovò comunque la forza di guardare i suoi amici negl’occhi.
«Mi dispiace, amici miei. Mi dispiace».
Poi, cercò di farsi il più serio possibile, perché
solo la serietà e la compostezza potevano consentire di dire una cosa del
genere.
«Yugi. Tea. Joey. Tristan.
Voi… voi siete
morti».
Nota dell’Autore
Salve a tutti!^_^
Questo per me è un
vero e proprio ritorno ai tempi antichi. Io ho iniziato praticamente scrivendo
fiction su Yu-Gi-Oh! (prima di questo, c’erano solo i
digimon).
Questa fiction, come
ho già accennato nell’introduzione, proviene da un sogno che ho fatto la notte
scorsa. In realtà, di questo sogno ricordo distintamente solo alcuni brevi
flash, soprattutto riguardanti la parte finale della fic,
oltre all’ultima frase di Atem di questo primo
capitolo. Mi aveva molto colpito fin da subito, così prima di dimenticarmene ho
voluto costruirci attorno una storia e farne una breve fan fiction.
Sarà una fiction molto
molto breve, di solo tre capitoli, ma spero che la
troverete comunque interessante; ci saranno azione ed introspezione in egual
misura, con in ultimo un finale a sorpresa.
Il titolo significa
Fino alla Fine del Tempo (che tra parentesi, è anche il titolo di un’altra fic che sto scrivendo attualmente), e immagino si sia già
capito il significato.
I
quattro ragazzi restarono ammutoliti, con gli sguardi pietrificati e le bocche
socchiuse.
Anzu, che pur
tante volte aveva fatto forza al resto del gruppo con la sua perseveranza ed
ottimismo, non riusciva a smettere di piangere; Jounouchi
si mordeva le labbra di rabbia e avrebbe voluto prendere a pugni il muro; Honda
sentiva di stare per svenire; Yugi guardava Atem senza dire niente, mentre il faraone seguitava a
tenere lo sguardo basso.
«Noi… noi siamo
morti!?» ripeté il ragazzino
«È così.» rispose Atem
con un filo di voce «Mi dispiace.»
«Non lo accetto!» gridò Jounouchi
«Non lo posso accettare! Mi rifiuto di pensare una cosa del genere! Voglio dire,
io sono qui! Io sono io! Se è vero che sono morto, perché sono ancora qui?»
«Jounouchi ha
ragione!» replicò Honda, quasi a cercare di ingannare lo stesso «Come possiamo
essere ancora qui, se davvero siamo morti? Non dovremmo essere puro spirito,
globi di luce, figure mezze trasparenti o cose simili?»
«Chi ti dice che non lo siamo?» replicò Anzu singhiozzando per il pianto.
Di nuovo, Atem chinò
la testa.
«Mi dispiace, amici. Ma la verità è questa».
A quel punto Jounouchi
non ci vide più, e corso verso quello che per tanto tempo era stato il suo
migliore amico gli assestò un pugno allo zigomo che lo buttò a terra. Atem non reagì, perché sapeva di meritare un trattamento
simile, restando impassibile anche quando il ragazzo lo sollevò di peso da
terra.
«È tutto qui quello che riesci a dire?»
«Mi dispiace…»
«Dire mi dispiace non basta! Abbiamo fatto
così tanto per aiutarti, per aiutare questo mondo maledetto, e il risultato qual
è? Che siamo morti!»
«Jounouchi, adesso
calmati!» disse Yugi tentando di allontanarlo «Non
capisci, lui non ha colpa. Ha perfino tentato di salvarci».
Alla fine, più per angoscia e rassegnazione
che per altro, Jounouchi mollò la presa, cadendo a
sua volta in ginocchio come Anzu e prendendo a
battere i pugni a terra urlando con tutta la sua voce.
«Quello che ha detto Jounouchi,
però, in parte è vero.» disse Atem «Se non fosse
stato per causa mia, molto probabilmente questo non sarebbe successo.»
«Non devi dire così.» rispose Yugi «Tu hai fatto molto per noi.»
«Ma non abbastanza.La verità è che in tutti questi anni vi ho
sempre messo in pericolo. In qualche modo, la vostra forza ed il vostro spirito
di gruppo vi hanno sempre permesso di uscire dai guai nei quali io vi cacciavo
contro la vostra volontà.
Questa volta, invece, la fortuna ci ha
abbandonati tutti, e la colpa di quello che vi è accaduto è da reputare solo in
parte alla follia di Seth. Sono stato io a chiedere il vostro aiuto per
combatterlo, così come sono stato io a mettervi in pericolo più e più volte nel
corso di questi ultimi anni».
Atem fece una
pausa; non ce la faceva più a continuare.
Stavolta fu Yugi a
guardare in basso.
«E adesso…» disse Anzu «Adesso cosa ci succederà?»
«Normalmente...» proseguì allora il faraone
«Quando un’anima abbandona la sua vita terrena, passa semplicemente alla
successiva, incarnandosi in un nuovo corpo.
Forse ve l’ho già spiegato, ma il mondo
terreno degli uomini è composto da migliaia e migliaia di dimensioni, ognuna
con milioni di mondi. E purtroppo, neppure gli dèi hanno la possibilità di
interferire in questo ciclo, che avviene in modo del tutto casuale».
Un nuovo dubbio, a quel punto, si insinuò
nelle menti dei quattro ragazzi.
«Che cosa stai dicendo!?» disse Honda «Che
potremmo finire agli angoli opposti del creato!?».
Atem non
rispose; almeno, non a parole. I suoi occhi parlavano per lui.
«E così, dopo averci ucciso» disse Jounouchi, che non riusciva più a contenere la sua rabbia
«Ora vuoi anche separarci».
Il solo pensiero bastava a far gelare il
sangue di Anzu, quasi quanto quello dato dalla
consapevolezza di essere morta.
Il loro legale era la loro forza; lo avevano
coltivato e portato avanti un poco per volta, fino a renderlo talmente forte e
indissolubile da renderli un solo destino fin all’ultimo, fin oltre il confine
ultimo dell’esistenza.
Ma ora, quel legame stava per essere reciso; Anzu, così come gli altri suoi amici, sapeva che
sicuramente nella sua nuova vita non avrebbe avuto memorie di quella
precedente, e quindi neanche di quel legame, ma in qualche modo era sicura che
nonostante ciò avrebbe percepito una sorta di vuoto dentro di sé, un vuoto che
a nessuno di loro sarebbe mai stato possibile colmare.
«Io vi ho chiesto tanto nel periodo in cui
sono stato con voi.» disse Atem ritrovando il vigore
e la determinazione di sempre «Che sia dannato se non salderò il mio debito».
A quelle parole, Yugi
e gli altri sembrarono ritrovare la speranza.
«Puoi riportarci in vita!?» disse Honda
«No.» rispose Atem
«Ma posso preservare il vostro legame nella prossima».
Non era molto, ma viste le circostanze ci si
poteva anche accontentare.
In quel momento, per qualche istante, i
pensieri di tutti andarono ai propri cari, rimasti dall’altra parte, straziati
da un dolore che niente avrebbe potuto sanare, e che loro, volenti o no, probabilmente
non avrebbero visto mai più.
«È stata una vera sfida.» proseguì il faraone
«Usando l’energia che Seth aveva infuso nel suo portale, siamo riusciti a
raccogliere le vostre anime prima che si perdessero e a convogliarle qui, in
questa dimensione di passaggio. La stessa energia ci permetterà anche di influire
sul normale scorrere dell’esistenza, facendo sì di poter stabilire una
rinascita condivisa.»
«Dunque, rinasceremo insieme?» disse Yugi cercando di vedere il lato positivo «Nello stesso
mondo, e nella stessa dimensione?»
«Forse.» rispose Atem
quasi con freddezza «Sta a voi.»
«Che vuoi dire?» chiese Anzu
«Voi dovete capire. Si tratta di un evento
particolare. Stiamo parlando di andare contro ad una legge universale stabilita
all’alba dei tempi.
Neppure gli dèi possono concedere un simile
privilegio con tanta leggerezza, e certo non a tutti. Bisogna dimostrare di
meritarlo.
È per questo che vi trovate qui.»
«Quindi…» disse Yugi «Cosa dovremmo fare? Superare una prova?»
«Precisamente. Questo chevedete, come vi ho già spiegato, è un mondo
di passaggio, al quale pochi hanno accesso. Esso è collegato direttamente al
Tempio della Vita, dove transitano tutte le anime in attesa di passare da un’esistenza
alla successiva.
Arrivate laggiù, e avrete superato la prova.»
«Detta così sembra un po’ troppo facile.»
osservò Jounouchi tornando in parte quello di sempre
«Sento che c’è un ma in arrivo.»
«Il ma è che non sarà un’impresa facile. Vi aspetta
un viaggio lungo e difficile, attraverso i sentieri più pericolosi dell’oltretomba.
Oltretutto, voi siete anime particolari. In voi,
rispetto che negli altri, alberga ancora una scintilla di vita. Quella
scintilla per voi è della massima importanza.
È grazie ad essa che potrete rinascere
insieme. Per questo, dovrete proteggerla a qualsiasi costo. Se doveste
perderla, sareste risucchiati nel ciclo senza fine, tornando ad essere anime
come tutte le altre.
E inoltre…»
«E inoltre?» ripeté annoiato Honda «Che altro
c’è?»
«Quella scintilla sarà un’esca irresistibile
per gli spiriti che abitano questo mondo, e che si nutrono della vita altrui per
preservare la propria.»
«Con spiriti, intendi forse i ka presenti anche nelle carte?» chiese Yugi
«Esatto. Alcune di quelle creature, quelle
piene di odio ed energia infernale, una volta giunte in questo posto vi
rimangono intrappolate. Di solito non sono pericolose, ma la vostra scintilla
li attirerà.»
«E spiegaci un po’.» disse di nuovo Jounouchi «Come pensi che possiamo difenderci da questi
mangia – anime?»
«Grazie ai Dia Dhank.
Potrete servirvene per liberare i vostri ka.»
«I… nostri ka!?» ripeté Anzu
«Come sicuramente già sapere, tutti noi
possediamo un ka, una parte del nostro spirito che
possiamo esternare e comandare a piacimento. Grazie ai Dia Dhank,
potrete portare allo scoperto il ka che alberga
dentro di voi, e usarlo come se fosse un mostro per difendervi dagli spiriti
che tenteranno di aggredirvi.»
«Una cosetta di tutto riposo, quindi.»
commentò sarcastico Jounouchi «Attraversare l’oltretomba,
combattere mostri e fantasmi, e poi rinascere tutti insieme appassionatamente. Davvero
una robetta.»
«Non prendetela alla leggera.
Non sarà per niente facile. L’oltretomba è
strutturato in diversi mondi ultraterreni comunicanti tra loro, e pieni di
pericoli. Le anime normali sono protette da questi pericoli dall’intercessione
divina, ma è ovvio che questa protezione voi non ce l’avete.
Superando gli ostacoli che affronterete,
dimostrerete di avere le qualità indispensabili a giustificare questa
trasgressione alle regole celesti necessaria a farvi rinascere insieme. Non è
escluso che anche gli stessi dèi decidano di mettervi alla prova, quindi fate
la massima attenzione».
Dal nulla comparve una specie di antico
rotolo, che ad un comando del faraone si posò lentamente tra le mani di Yugi.
«Quella è una copia dell’antico Libro dei
Morti. Vi farà da guida attraverso i vari mondi dell’Oltretomba in cui
capiterete».
Poi, di colpo, Atem
si bloccò, abbassando gli occhi per l’ennesima volta.
«Che succede, faraone?» chiese Yugi
«Purtroppo, non è tutto. C’è anche dell’altro.»
«Ancora!?» disse Honda «E adesso che altro c’è!?»
«Come vi ho spiegato, voi siete giunti qui, e
in queste circostanze, grazie all’energia sprigionata da Seth nel tentativo di
aprire il suo portale tra il mondo dei vivi e l’Inferno, energia che gli dèi
hanno usato a loro vantaggio, e che servirà anche a farvi rinascere insieme».
Atem si bloccò
un momento, poi, fattosi forza, proseguì.
«Tuttavia, quell’energia non è sufficiente per
tutti e quattro».
Di colpo, fu come se un vento gelido si fosse
diffuso nella stanza, soffiando impietoso e congelando ancora una volta le
espressioni ed i pensieri dei quattro ragazzi.
«Che… che vuoi dire
con questo?» domandò Anzu come se non volesse
conoscere la risposta
«Anche nel caso in cui riusciste a superare
tutti e quattro la prova.» disse Atem dopo un momento
«Solo tre di voi riusciranno a rinascere nello stesso mondo. L’altro, in ogni
caso, dovrà adeguarsi al normale corso della rinascita».
Yugi e gli altri
spalancarono gli occhi, attoniti e sgomenti.
Allora, non era così idilliaco e degno di
speranza come sembrava.
Comunque fosse andata, quindi, il loro legame
non sarebbe riuscito a sopravvivere. O almeno, non del tutto; qualcuno di loro
lo avrebbe visto spezzarsi.
«Ma non è possibile!» esclamò Jounouchi «Non potete darci una speranza, e poi dirci una
cosa del genere!»
«Mi dispiace, amico mio. Davvero. Ma questo è
il massimo che possiamo fare».
Jounouchi fece
quasi per avventarsi nuovamente sul faraone, ma Yugi
lo trattenne.
«Non scaldarti, Jounouchi.
Lui non può farci niente, e neanche noi!»
«Che senso ha fare tutto questo, se poi non
potremo comunque stare tutti e quattro insieme!?»
«Ma tre di noi potranno! Sempre meglio di
niente, non pensi?»
«E per chi resterà escluso, che cosa mi dici?»
«Non preoccuparti, quello sarò io!»
«Non scherzare!» disse Anzu,
di nuovo in preda alle lacrime «Non puoi chiederci di lasciarti!»
«Sono d’accordo con lei.» disse Honda «Perché devi
essere tu e non uno di noi?»
«Per ora.» intervenne Atem
interrompendo la discussione «Limitatevi a fare del vostro meglio per portare a
termine la prova. Dopotutto, non è detto che ci riuscirete tutti. Quando sarà
il momento, deciderete e si deciderà il vostro destino».
A quel punto, Atem
iniziò a scomparire.
«Faraone, aspetta!» disse Yugi
protendendo il braccio verso di lui
«Io quello che potevo fare l’ho fatto, amici
miei.» disse Atem mentre svaniva «Il resto è nelle
vostre mani. Io vi aspetterò al Tempio della Vita.
Buona fortuna!».
Yugi e gli
altri si ritrovarono così da soli, in quell’immenso edificio ultraterreno, ed
in una situazione nella quale non avrebbero mai pensato di potersi venire a
trovare.
Avevano affrontato così tante prove nella
vita, e ora gli veniva chiesto di superarne una anche nella morte, pur sapendo
fin dall’inizio che uno di loro era destinato a fallire.
Nei loro cuori, se un cuore lo avevano ancora,
si agitavano sentimenti contrastanti.
Da una parte erano sollevati dal sapere che
davanti a loro si profilava un nuovo inizio, una nuova vita, ma dall’altra non
potevano non essere tristi per quello che avevano lasciato indietro, e che mai
più avrebbero ritrovato.
Era una situazione strana, per certi versi
ironica, come un sogno dal quale si aspetta solo di risvegliarsi.
Anzu non
riusciva a smettere di piangere, e ripensava a quanto la sua vita fosse stata
breve, e a quante cose che avrebbe voluto fare e che invece aveva lasciate
incompiute.
«Non è il momento delle lacrime.» disse
sprezzante Jounouchi
«Come fai ad essere così impassibile!?»
replicò Honda arrabbiato «Ma ti rendi conto o no in che situazione siamo!? Siamo
morti!»
«E allora? Piangere e disperarsi ci farà forse
tornare in vita?»
«Jounouchi ha
ragione.» disse Yugi guardando il suo Dia Dhank «Come ha detto Atem, non c’è
modo di tornare indietro.
Possiamo solo andare avanti.»
«Sono d’accordo.» disse Jounouchi
«Vivo o morto, io non smetterò mai di battermi e combattere. Questa era la mia
filosofia di vita, e sarà anche la mia filosofia di morte, se così deve
essere».
Di fronte a quel coraggio, anche Anzu sentì tornare il proprio; alzati gli occhi, vide il
volto sorridente di Yugi che gli protendeva la mano.
«Non temere, Anzu. Noi
ce la faremo».
La ragazza sorrise, asciugandosi un momento le
lacrime, quindi raccolse quella mano e si rimise a sua volta in piedi.
«Hai ragione. Ne abbiamo superate tante nella
vita, supereremo anche questa.»
«Noi faremo quello che abbiamo sempre fatto.»
disse Honda ritrovando anche lui la speranza «Andremo avanti e combatteremo. Poi,
succeda quel che succeda. Ma almeno, ce l’avremo messa tutta.»
«Ben detto!» disse Jounouchi.
A quel punto, non c’era più tempo per domande
e rimpianti. Quello era il tempo dei fatti. Quindi, dopo essersi guardati l’uno
con l’altro per qualche momento, i quattro amici presero a camminare verso il
nulla, verso l’interminabile oscurità che avevano davanti a loro.
Dopo tante prove terrene, era giunto il
momento anche per una prova ultraterrena. E l’avrebbero superata.
Nota dell’Autore
Eccomi qua!^_^
Lo so, avevo detto che
sarebbe stata una storia di tre capitoli.
Il fatto è che, mentre
scrivevo, era impossibile che fosse così; almeno, non senza scrivere capitoli
di quindici pagine ognuno, cosa che avrebbe irrimediabilmente fatto scappare
quasi tutti i miei lettori.
Così, ho deciso di
spendere questo breve capitolo per spiegare le “regole del gioco”, se così
vogliamo chiamarle. Il prossimo, che forse sarà diviso in due parti, racconterà
l’avventura vera e propria, poi ci sarà il finale e per ultimo un breve
epilogo.
Il tutto, spero, nel
più breve tempo possibile.
Grazie ai miei
recensori; sono felice che la storia vi sia piaciuta così tanto!^_^
E su consiglio di Tayr, ho anche cambiato i nomi mettendo quelli originali.
Appena avrò un momento, farò la stessa cosa anche con il primo capitolo.
Fattisi
forza, e ritrovata speranza nel futuro, i quattro amici presero a camminare
lungo quel tempio immenso e silenzioso.
Qualsiasi cosa avessero trovato nel corso di
quell’ennesima avventura insieme, l’avrebbero affrontata a testa alta con la
forza del loro legame, come tutte le altre volte.
Camminarono ininterrottamente, per un tempo
che sembrò interminabile. Era una cosa molto strana; benché fossero morti, e
ridotti ormai a semplici anime, le sensazioni che provavano erano stranamente
tangibili.
Sentivano il terreno scricchiolare sotto i
loro piedi, il rumore prodotto dal loro respiro, così come avvertivano la
fatica del camminare ed il freddo che albergava li dentro. Forse era merito di
quella scintilla di vita di cui aveva parlato Atem, o
forse si trattava solo di illusioni, false percezioni provate da anime che in
questo modo, pur nella loro condizione, si sentivano un po’ più vicine alla
vita che avevano lasciato.
Alla fine, in lontananza, comparve una luce.
«Guardate.» disse Anzu
indicandola «Forse è l’uscita».
Fiduciosi, vi andarono incontro, giungendo
infine dinnanzi ad un immenso arco, così grande da poter ospitare al suo
interno un intero autotreno, e con lo stipite superiore intagliato a formare un
disco solare circondato da un paio di ali.
Oltre quella soglia si profilava quella che
sembrava un’unica, immensa palude, dominata da acquitrini, lagune, erba alta e
alberi le cui fronde toccavano l’acqua di stagni fangosi. Il cielo era plumbeo,
e dalle nuvole scure penetrava una luce irreale.
La porta che i ragazzi avevano appena
attraversato era aperta non su di un tempio, per quanto grande potesse essere,
bensì alla base di un’enorme, gigantesca muraglia che scompariva alla vista da
una parte e dall’altra, e talmente alta da poter rivaleggiare con i più alti
grattacieli che Yugi e gli altri avessero mai visto.
«Sarebbe questo l’oltretomba?» disse Jounouchi cercando di fare il sarcastico «Non è esattamente
come me lo ero immaginato, per quelle poche volte che l’ho fatto.»
«Hai ragione.» disse Honda facendogli eco «Non
so, mi sarei aspettato qualcosa di più…
ultraterreno.»
«Credo che questo si chiami Duat.» disse Anzu «Mentre eravamo
in Egitto, ho letto che l’oltretomba egizio è composto da numero imprecisato di
mondi sovrapposti. Tutti questi mondi formano il Duat.
Le anime, dopo la morte, percorrono alcuni di questi mondi prima di arrivare al
luogo dove sarà deciso il loro destino.»
«Il luogo dove dobbiamo arrivare anche noi,
immagino.» disse Jounouchi
«Prima dobbiamo riuscire ad attraversare indenni
un numero indeterminato di mondi.» disse Yugi «E come
ha detto il faraone, temo che sarà un’impresa per niente facile.»
«Forza e coraggio, Yugi.
In qualche modo, ce la faremo».
Yugi, Jounouchi e Honda a quel punto fecero per mettersi a
camminare.
«Aspettate.» disse Anzu.
La ragazza guardava in basso, pensierosa e
preoccupata.
A differenza dei suoi amici, lei non riusciva
ad essere ottimista come loro; il pensiero che, comunque fosse andata, il loro
legame non sarebbe stato del tutto preservato, la rendeva inquieta, impedendole
di riuscire a cogliere il seppur minimo lato positivo di tutta quella faccenda.
Se poi a questo si aggiungeva la
consapevolezza di essere morta, e di quante cose avesse lasciato indietro,
allora la speranza era l’ultima cosa con la quale sentiva di poter affrontate
quel viaggio.
Voleva avere una certezza. Un appiglio al
quale aggrapparsi in quel momento così buio; ed era sicura che, per quanto
cercassero di nasconderlo, anche Yugi e gli altri
stessero pensando la stessa cosa.
«Aspettate.»
«Cosa c’è, Anzu?»
chiese Yugi
«Dite. Ve lo ricordate il nostro giuramento?
Il nostro patto?»
«E come potremmo dimenticarcelo?» rispose Jounouchi sorridendo
«Quel giorno, noi facemmo una promessa,
giusto. La promessa di restare insieme, stabilendo tra di noi un legame che
durasse per tutta la vita.
Ora però, credo sia giunto il momento di
rinnovare quella promessa».
Detto questo, Anzu
alzò la mano destra.
«Così come il nostro legame ci ha tenuti
insieme in vita, così ci terrà insieme anche nella morte, così come in quello
che verrà dopo, qualunque cosa sia».
Tutti restarono un momento basiti, anche
quando Anzu protese la mano verso di loro, poi Jounouchi per primo le rispose ponendo anche la prova, e
poco dopo anche Honda fece altrettanto; i tre poi si volsero verso Yugi, che ancora esitava.
«Yugi…» disse Anzu.
Alla fine anche Yugi
abbozzò un sorriso, alzò la mano come a fare un giuramento e la avvicinò a
quelle dei suoi compagni, e per un istante tutti cedettero di vedere
risplendere nuovamente le linee del simbolo che a suo tempo avevano disegnato
per suggellare la loro unione inscindibile.
Quel gesto richiamava così tanti pensieri
nella memoria. Ricordi di un’esistenza ormai conclusa, e che a breve, in ogni
caso, sarebbe stata dimenticata, ma le cui emozioni, ne erano certi, non
sarebbero scomparse mai.
«Sempre insieme.» disse Yugi
«Qualsiasi cosa accada.» disse Honda
«Toki No OwariMade.» disse Anzu «Fino alla fine del Tempo.»
«Dimostreremo a questi sedicenti dei che il
nostro legame è più forte persino della morte stessa.» disse Jounoichi baldanzoso «E che sono degli illusi se pensano di
poterlo spezzare».
A quel punto, e con ritrovata speranza, i
quattro amici si rimisero in cammino, avventurandosi in quella palude
ultraterrena.
Per quanto quel luogo fosse, per l’appunto,
ultraterreno, e per quanto loro quattro fossero solo anime, nulla di quello che
li circondava sembrava irreale ai loro occhi; l’acqua era davvero fredda, il
fango davvero viscido, l’aria davvero pungente, e le fronde degli alberi o delle
erbe alte che sfioravano la pelle davvero tangibili.
«Io sarò pure morto!» si lamentò ad un certo
punto Jounouchi tirando su la scarpa tutta
infradiciata ed infangata «E questo potrà anche essere l’oltretomba, ma questo
schifo mi sembra davvero reale!».
Tutti dovettero fermarsi, perché Jounouchi insistette per sedersi su di un sasso e togliersi
la scarpa per far uscire l’acqua.
Nel frattempo, si erano inoltrati in quella
che aveva tutta l’aria di essere una foresta di alberi bassi e molto fitti,
senza sentieri né strade.
«Avanti, cerca di darti una mossa.» disse
Honda spazientito
«Hai fretta per caso?» disse Jounouchi «Ti ricordo che il tempo è l’unica cosa che non
ci manca, ora come ora.»
«In effetti ha ragione.» disse Yugi, che poi cercò persino di buttarla sul ridere «Si
potrebbe dire quasi che abbiamo tutta l’eternità per aspettarlo.»
«Figurati se spreco la mia eternità ad
aspettare questo rincitrullito.» replicò Honda
«Se non la pianti, ti aiuto a scoprire se
anche da morto puoi sentire dolore.» rispose Jounouchi.
Anzu intanto
si stava guardando attorno, nella speranza magari di trovare qualche punto di
riferimento, quando tutto d’un tratto, in mezzo agli alberi, le parve di
scorgere delle luci, e incuriosita vi andò incontro.
«Anzu, che succede?»
chiese Yugi.
Lui le andò indietro, e i due, raggiunto il
limitare della foresta, si trovarono di fronte ad uno spettacolo alquanto
inquietante. Le luci che Anzu aveva visto erano
prodotte da migliaia, milioni di figure bianche, alte e magre, simili agli
alieni della fantascienza, che camminavano in fila indiana tutte verso uno
stesso punto perdendosi in lontananza, la postura leggermente gobba, la testa
reclinata e la braccia a penzoloni.
«Quelle devono essere le anime dei defunti.»
disse Yugi
«E che cosa ne sarà di loro?» chiese Anzu
«Quello che sarà di noi. Procedono verso una
nuova vita».
Anzu sentì un
brivido alla schiena.
«Mi fanno paura. E pensare che potevamo
esserci anche noi in mezzo a loro.»
«Chi ti dice che non ci siamo stati.»
«Come!?»
«Ormai è chiaro. L’esistenza non è altro che
un continuo susseguirsi di vite, fino al raggiungimento dell’assoluta
illuminazione, come accaduto con Atem. Quindi, è
probabile che quella che abbiamo appena concluso non sia stata la nostra prima
esistenza.»
«Quindi, stai dicendo che potremmo essere già
passati da qui!?»
«Non saprei. Come hai detto tu, il Duat è composto da infiniti mondi, e le anime attraversano
solo alcuni di essi. Forse è la prima volta che vediamo questa palude, ma quasi
certamente non è la prima volta che transitiamo per questo regno».
Di nuovo un brivido attraversò Anzu come una scarica, e la ragazza tornò a guardare quella
fila interminabile di persone che continuavano incessantemente a camminare.
Più indietro, Jounouchi
aveva finalmente quasi finito di sistemarsi la scarpa, e si stava rimettendo il
calzino che in qualche modo era riuscito ad asciugare.
«Hai finito o no?» domandò spazientito Honda
«Se non ti dai una mossa, giuro che ti lascio qui.»
«Figurati. Col senso dell’orientamento che ti
ritrovi, finiresti per girovagare per questa palude schifosa come un fantasma
da qui al giorno del giudizio.»
«Se davvero sarò un fantasma, sta certo che ti
perseguiterò in cento incarnazioni e oltre.»
«Perché? Ci riesci benissimo da vivo».
Jounouchi sbatté la
scarpa sulla pietra dove era seduto per far uscire dei fastidiosi sassoliti,
quando la pietra improvvisamente si mosse facendolo letteralmente volare prima
in aria e poi di nuovo in acqua, fortunatamente bassa.
«Ma che diavolo…».
La roccia scomparve nel fango, che dopo
qualche secondo parve esplodere, e quello che sembrava un semplice sasso si
rivelò essere in realtà la schiena squamosa di un enorme coccodrillo
antropomorfo dai modi di fare e dall’espressioni non proprio beneauguranti.
«E questo da dove salta fuori?» disse Honda
«Ma è mai possibile che tu debba sempre combinare disastri!».
Terrorizzati, come quel mostro prese ad
inseguirli i due ragazzi se la diedero immediatamente a gambe, incrociando
nella loro fuga anche Yugi e Anzu,
che sentendo le loro grida erano corsi verso di loro per capire cosa fosse
successo.
«E quella che razza di bestia è?» chiese Anzu mentre tutti e quattro tentavano di scappare
«Probabilmente è uno di quei mostri di cui ha
parlato Atem! Vuole la nostra scintilla, e se ce la
prende è la fine!».
Purtroppo Anzu non
indossava scarpe proprio adatte alla corsa, men che
meno in un terreno tanto accidentato; subito dopo che lei e gli altri erano
usciti dalla foresta, poggiato un piede in fallo, cadde rovinosamente a terra,
rotolando sull’erba e facendosi, per quanto incredibile potesse essere, anche
male, come se avesse ancora avuto un corpo.
Le anime che camminavano in fila indiana,
vedendo il mostro, urlarono dal terrore, lanciando lamenti terrificanti, per
poi prendere a correre in tutte le direzioni nel tentativo i salvarsi da quella
creatura.
«Anzu!» gridò Yugi.
Subito il ragazzino fece dietrofront e corse
ad aiutare la sua amica, ma come la raggiunse si trovò anche a tu per tu con il
coccodrillo gigante, che spiccato un salto fece per saltar loro addosso.
«Yugi! Anzu!».
Entrambi chiusero gli occhi, mentre Jounouchi e Honda erano paralizzati dalla paura. D’improvviso
comparve una luce, una luce fortissima che accecò tutti; quando si diradò, il
coccodrillo era riverso a terra come intontito, mentre Anzu
e Yugi, riaperti timidamente gli occhi, si accorsero
di trovarsi all’interno di una piccola barriera a forma di cupola.
«Che è successo!?» disse sorpreso Yugi
«Yugi, la tua
tasca!» esclamò Anzu.
Dall’interno della giacca di Yugi, infatti, giungeva un tenue bagliore, e il ragazzo
infilatavi una mano ne prese fuori il Libro dei Morti datogli da Atem; era quello a produrre a luce, ed era stato quello a
proteggerli in qualche modo costruendo quello scudo.
«Meno male.» disse Honda tirando un sospiro di
sollievo «Per un attimo ho temuto il peggio.»
«Aspetta a festeggiare.» disse preoccupato Jounouchi «Temo non sia ancora finita».
Infatti, il mostro si era già ripreso, ma
piuttosto che accanirsi su Jounouchi e Honda, molto
più indifesi, si avventò invece sulla barriera stessa, prendendo a bersagliarla
di pugni nel tentativo di distruggerla.
«Questo scudo non resisterà a lungo.» disse Yugi vedendo comparire le prime crepe «Dobbiamo fare
qualcosa».
Anche Honda e Jounouchi
erano dello stesso avviso; Honda, senza rifletterci troppo, cercò di avventarsi
sul mostro per affrontarlo a suon di pugni, ma Jounouchi,
con un insolito sangue freddo, lo fermò.
«Quello ti sbrana prima ancora che tu possa
avvicinarti.»
«E allora che cosa vorresti fare? Lasciarli
nei guai senza fare niente?».
In realtà Jounouchi
voleva aiutare Yugi e Anzu
quanto lui, ma sapeva che da soli sarebbe stato inutile; poi, gli cadde l’occhio
sul Dia Dhank.
«Il faraone ha detto che grazie a questo
possiamo risvegliare i nostri ka, e usarli come se
fossero dei mostri. Credo che questa sei l’unica soluzione.»
«Ah, davvero?» ironizzò Honda guardando il suo
«E come si fa?»
«E io che ne so? Prova a concentrarti. Non si
fa sempre così?»
«Concentrarmi!?».
Honda non ci capiva niente, ma il rumore dello
scudo che si disgregava sempre di più fu sufficiente a spingerlo a fare un
tentativo.
Cercando di richiamare a sé tutta la calma e
la concentrazione di cui era capace, provò a focalizzare tutti i suoi pensieri
sul suo ka, sulla sua forma, e sulla volontà di
vederlo comparire davanti a lui. Di colpo, lo avvolse una tenue luce, e il suo
dia dhank da richiuso in sé stesso che era, si aprì,
illuminandosi a sua volta.
«Compari, mio ka!»
esclamò.
Un disegno stilizzato si materializzò sul
bracciale, e subito dopo la luce che circondava Honda prese vita propria,
assumendo le fattezze di un mostro che lui ben conosceva, il Cyber Comandante.
Anche Jounouchi, nel
frattempo, aveva preso a concentrarsi, e anche a lui accadde la stessa cosa,
solo che nel suo caso la luce si tramutò nel Guerriero da Battaglia.
«Tutto qui!?» disse Honda «Certo che potevi
fare di più.»
«Senti chi parla. Il tuo sgorbietto
non ti mette certo nella posizione di poter dire certe cose.»
«Sgorbietto!? Adesso
te lo do io lo sgorbietto!».
Il Cyber Comandante partì dunque alla carica,
proprio quando lo scudo che proteggeva Yugi e Anzu cedette infine sotto i colpi del coccodrillo, che
prima di poter assalire i due ragazzi si vide investito da una pioggia di
proiettili.
«Che sta succedendo!?» esclamò Anzu
«Niente male per uno sgorbio, non credi?»
disse Honda tutto baldanzoso vedendo che l’attacco del Comandante aveva
costretto il mostro ad arretrare
«Non intendo certo stare a guardare! Ora è il
mio turno!».
Anche Jounouchi a
quel punto partì alla carica, e con un diretto ben assestato il Guerriero da
Battaglia riuscì ad allontanare definitivamente il mostro da Yugi e Anzu, che poterono venire
raggiunti dai loro compagni.
«Tutto bene?» chiese Jounouchi
«Ma come avete fatto!?» chiese Anzu
«È stato un gioco da ragazzi.» rispose Honda a
petto gonfio
«Ti pavoneggerai più tardi.» disse Jounouchi vedendo che il coccodrillo si stava rialzando
«Per prima cosa eliminiamo quello scherzo della natura».
Quel mostro, nonostante l’iniziale apparente
svantaggio, fin dal secondo assalto cominciò tuttavia a mostrarsi più coriaceo
del previsto, e a contrattaccare con inaspettata rapidità. Il suo punto di
forza stava senza dubbio nella resistenza; la sua pelle corazzata respingeva la
maggior parte dei colpi, e quando necessario arrivava ad appallottolarsi su sé stesso
come un riccio trasformandosi in una sorta di schiacciasassi rotolante.
Dopo aver respinto l’ennesimo attacco, il
coccodrillo replicò con la propria mossa, e rotolando come una ruota prima
respinse tutti i colpi del Cyber Comandante e subito dopo lo centrò in pieno,
scagliandolo via; e ancora una volta, come già accaduto in passato, quando il
suo ka venne colpito anche Honda ne avvertì gli
effetti, venendo dilaniato allo stesso tempo sia da un dolore lancinante sia da
una improvvisa stanchezza.
«Ma che diavolo…»
«Ragazzi, fate attenzione!» esclamò Yugi «Quelli sono i vostri ka, e
quindi sono animati dalla vostra energia! Se subissero troppi danni, la vostra
Scintilla potrebbe spegnersi!»
«Non ce la fanno!» disse Anzu
«Dobbiamo aiutarli!».
Yugi guardò il
suo dia dhank.
«D’accordo, proviamoci».
Anche lui e Anzu a
quel punto si concentrarono, riuscendo infine a materializzare a loro volta i
propri ka, rispettivamente il Mago Silente 1 e il
Mago della Fede.
«Non è molto, ma dovremo accontentarci.» disse
Yugi «Probabilmente questo è il massimo che la nostra
forza attuale ci permetta di creare».
Intanto Jounouchi e
Honda erano ormai alle corde; il coccodrillo aveva malmenato a doveri i loro
spiriti, che ora erano inginocchiati a terra assieme ai loro padroni.
«È davvero il colmo.» disse Honda «Sconfitti subito
dopo avere iniziato.»
«Niente da fare.» ringhiò Jounouchi
a denti stretti «Io non ci sto a farmi battere così.»
«Resistete, stiamo arrivando!» esclamò Yugi.
I due maghi corsero all’attacco, usando la
loro magia per rinchiudere il coccodrillo in una sfera di luce rendendolo inoffensivo.
«Adesso, colpitelo!»
esclamò Anzu.
Jounouchi e Honda
ne approfittarono per riprendersi, quindi il Guerriero assestò al mostro un
diretto al musospedendolo in aria, e il
Comandante lo bersagliò con una selva di missili. Il mostro urlò dal dolore,
dimenandosi per cercare di fuggire dalla sfera, ma alla fine scomparve
mutandosi in pulviscolo.
«Ce l’abbiamo fatta.» disse Honda tirando
fiato «In qualche modo.»
«Dobbiamo stare attenti.» disse Yugi «Questi spiriti esistono grazie alla nostra forza
vitale. Se vengono feriti, o peggio ancora scompaiono, la stessa sorte molto
probabilmente toccherebbe anche a noi.»
«Siamo alle solite.» disse Jounouchi
«Ormai è diventata una regola.»
«Beh, almeno ce ne siamo liberati.» osservò Anzu.
Magari.
Di colpo, dalla foresta giunsero dei lamenti
lugubri e famigliari, e dopo poco un altro esercito di coccodrilli comparve dal
nulla per vendicare il proprio compagno caduto.
«Eh no, così non vale!» esclamò Jounouchi «Quattro contro venti!?»
«Che iella!» disse Honda «Già è stato difficile
abbatterne uno!».
I mostri partirono all’attacco tutti insieme,
ed in breve tempo i quattro ragazzi si ritrovarono circondati e assaliti da
ogni lato. I ka fecero il possibile per proteggere i
loro padroni, ma per quanto forti non potevano fare niente contro una
superiorità nemica così schiacciante; almeno, non con un potere così limitato.
«Se restiamo qui siamo morti, se capite cosa
intendo.» disse Jounouchi ritrovandosi schiena e
schiena coi suoi compagni.
Yugi non
sapeva che cosa fare, ma confidava nel fatto che Atem
non li avrebbe mai spinti a partecipare a quella prova se non ci fosse stata
almeno una possibilità di riuscita; quindi, se c’era, dovevano trovarla.
L’unica cosa da fare, era provare a scappare,
ma fino a che fossero stati circondati sarebbe stato impossibile. A quel punto,
gli venne l’idea di provare a consultare nuovamente il Libro dei Morti; forse,
al suo interno, c’era qualcosa che poteva aiutarli ad uscire da quella brutta
situazione.
Il ragazzino prese nuovamente fuori il rotolo,
e questa volta lo aprì. Purtroppo, era scritto in geroglifico antico, una
lingua che lui non sapeva; eppure, ad un tratto i simboli presero a brillare,
ed un fascio di luce si sollevò dal papiro schizzando verso il cielo per poi
ripiombare rapidissimo a terra poco lontano da lì, assumendo la forma di quella
che aveva tutta l’aria di essere una porta.
«Guardate!» esclamò «Forse quella è l’uscita
di questo mondo! Se la raggiungiamo possiamo farcela!»
«E come facciamo!?» chiese Jounouchi.
Agli occhi di Yugi,
la soluzione era una sola.
«Io resto qui e faccio da esca. Cercherò di
attirare la loro attenzione, e intanto voi potrete scappare.»
«Starai scherzando, spero!»
«Honda ha ragione!» replicò Anzu «Non puoi chiederci di lasciarti qui.»
«Però… allora come
faremo?»
«Deve pur esserci una soluzione…»
disse Jounouchi.
Poi, a Yugi venne un’idea;
non era sicuro che potesse funzionare, ma a quel punto provare non costava
niente.
«Forse ho trovato!» esclamò «Jounouchi! Ordina al tuo guerriero di colpire il suolo!»
«E per quale motivo?»
«Sarebbe troppo lunga da spiegare! Fidati di
me!»
«Se lo dici tu, mi fido. Guerriero da
Battaglia!».
Il guerriero, interpretando i pensieri di Jounouchi, spiccò un salto altissimo, quindi ripiombò a
terra colpendo il suolo con tutta la forza di cui era capace. In questo modo si
generò un violento ed improvviso terremoto che fece perdere l’equilibrio a
quasi tutti i mostri, alcuni dei quali finirono addirittura inghiottiti da una
piccola voragine apertasi per la forza del colpo, creando in questo modo un
varco nelle linee nemiche.
Contemporaneamente, il Mago Silente usò la sua
magia per generare una sorta di tappeto antigravità sotto i piedi dei ragazzi,
che in questo modo non furono interessati dal tremore riuscendo a restare ben
fermi sulle proprie gambe.
«Gran bella pensata!» disse Honda
«Presto, approfittiamone!» gridò Yugi.
I quattro amici si misero immediatamente a
correre verso quella porta di luce; non avevano idea di cosa fosse, o di dove
sarebbero eventualmente finiti, ma sempre meglio che restare lì.
I coccodrilli, ripresisi, andarono loro
dietro, ma Yugi e gli altri fecero in tempo a
gettarsi all’interno del portale, che subito dopo si chiuse tagliando la strada
agli inseguitori e bloccandoli definitivamente; per il rotto della cuffia, ma
ce l’avevano fatta.
Nota dell’Autore
Eccomi qua!^_^
Dopo aver scritto
questo capitolo, posso confermarvi e darvi la certezza che ce ne saranno altri
due, oltre ad un breve epilogo.
Scrivere questo
capitolo è stato interessante, anche se un po’ faticoso. Inoltre in questi
giorni la mia connessione ha fatto un po’ le bizze, il che se non altro mi ha
dato molto tempo per scrivere.
Anche se il tempo da
oggi in poi potrebbe iniziare a scarseggiare, sono ancora fiducioso nel fatto
che per mercoledì prossimo dovrei e potrei aver finito.
Da
un istante all’alto, Yugi e gli altri si ritrovarono
da una palude mefitica ad un deserto sconfinato, sul quale batteva un sole
tremendo.
«In qualche modo ce l’abbiamo fatta.» disse Jounouchi riprendendo fiato
«Credevo di morire.» disse Honda «In senso
metaforico, ovviamente.»
«A quanto pare, abbiamo superato il primo
mondo del Duat.» disse Anzu
«Sembra di sì.» rispose Yugi
«Ma non abbiamo idea di quanti ne dovremo affrontare, né di cosa potremo
incontrare.
Atem aveva
ragione. Questo viaggio non sarà per nulla semplice.»
«Mai una volta che ci rendano la vita facile.»
mugugnò Jounouchi
«Forza e coraggio.» disse invece Honda «Almeno
uno ce lo siamo lasciato alle spalle».
A quel punto i quattro si guardarono attorno,
alla ricerca di qualche riferimento.
«Che situazione.» commentò Jounouchi
«Prima una palude, e ora un deserto.»
«Non si può certo dire che questo sia il posto
più ospitale del creato.»
«Probabilmente abbiamo oltrepassato il primo
mondo.» disse Yugi «Quindi questo è il secondo.»
«E come ne usciamo?» domandò Anzu
«Di certo, non restando qui a discuterne.»
replicò Honda.
Yugi prese
nuovamente il Libro dei Morti.
«La prima volta ci ha aiutati rivelando il
passaggio. Quindi, probabilmente lo farà ancora».
Dal momento però che il libro non sembrava
emanare alcun potere, era lecito supporre che la porta non si trovava da quelle
parti, o che comunque non era ancora giunto il momento che si aprisse, quindi
l’unica cosa da fare era spostarsi ed esplorare la zona.
«Mi raccomando, prudenza.» disse Yugi mentre prendevano a camminare «Come abbiamo avuto modo
di vedere, in questo posto i pericoli non mancano».
Così come la palude dalla quale erano appena
usciti, anche quel posto era alquanto terrificante e minaccioso.
La sabbia, dura e ruvida, scricchiolava sotto
le scarpe, ed era di un colore ambra molto intenso, che riflettendo la luce del
sole faceva bruciare gli occhi e aumentava ancora di più il senso di calore;
colonne di roccia si alzavano qua e là assumendo le forme più diverse, come di
giganteschi termitai, e regnava il silenzio più totale.
Ben presto, continuare a camminare divenne
sempre più difficile. I ragazzi sudavano, e benché sapessero che in quanto
anime non erano in alcun modo legate ai bisogni o alle sensazioni mortali, la
sete minacciava di ucciderli; le gole erano riarse, gli occhi pieni di sabbia,
e i capelli imperlati di sudore.
«Dite una cosa.» disse Jounouchi
avanzando a fatica «Ma in questo mondo si può morire? Perché se è così, credo
che mi stia succedendo.»
«Forse questo fa parte della prova che
dobbiamo superare per andare avanti.» ipotizzò Yugi
col fiato corto «Vincere il caldo e la fatica».
Honda sembrava sul punto di svenire; era così
esausto e fuori di sé che senza accorgersene inciampò su di una pietra
sporgente, rotolando sulla sabbia e riempiendosene i vestiti.
«Dannati sassi!» brontolò mettendosi a sedere.
Quasi per caso gli occhi gli caddero sulla
sciagurata pietra, e quello che vide lo fece sudare freddo per la paura.
«E adesso che succede?» chiese Anzu vedendolo gattonare terrorizzato all’indietro.
Lui però era troppo spaventato, e tutto quello
che poteva fare era indicare il sasso. Anche gli altri allora lo guardarono,
restandone atterriti e sconvolti quanto il loro amico.
Sulla superficie levigata e liscia di quella
pietra era impresso quello che era senza ombra di dubbio un volto umano, freddo
ed immobile, con un’espressione leggermente enigmatica e non necessariamente
minacciosa, ma non per questo meno spaventosa.
«Ma questo… questo è…» disse Jounouchi.
A quel punto i ragazzi si guardarono attorno,
attoniti ed increduli.
Non solo su quel sasso, ma anche sulle altre
pietre, sulla superficie della sabbia e anche scolpiti sulle pareti delle alte
rocce, si vedevano facce e figure umane più o meno intere, e tendendo bene
l’orecchio sembrava quasi di sentirle parlare, emettendo un mormorio continuo e
poco distinguibile.
«Ma che razza di posto è questo?» disse Yugi spaventato.
D’un tratto, una voce più forte ed echeggiante
parve sovrastare le altre.
«Anime vaganti e sperdute. Che cosa ci fate
qui?» sentirono dire.
Gli occhi di tutti allora si posarono su di
una statua, o comunque una figura scolpita in una vicina roccia, alla quale si
avvicinarono; raffigurava un uomo, dai tratti indistinguibili e a mezzobusto,
con le braccia e le gambe fuse con il costone ed il busto proteso verso
l’esterno; non si vedevano né bocca, né naso né altri tratti somatici, tranne
due piccoli fori all’altezza degl’occhi.
«Meglio fare attenzione.» disse Anzu «Potrebbe essere una trappola.»
«Rispondete.» disse nuovamente la figura «Che
cosa ci fanno delle anime in questo luogo di oblio e dimenticanza eterna?»
«Stiamo affrontando una prova prima di entrare
nell’altra vita.» rispose Yugi
«In tante migliaia di anni, questa è la prima
volta che vedo anime senzienti transitare per questi luoghi. In questo deserto
senza vita, esiste solo una solitudine senza pari.»
«Ma tu che cosa sei?» chiese Honda
«Io sono quello che resta.»
«Quello che resta!?»
«Quando un’anima lascia il proprio corpo
terreno, sono solo tre le vie che può percorrere. Se è corrotta da un’oscurità
e da un male insanabili, sarà precipitata all’inferno dove soffrirà per
l’eternità; se ha compiuto il proprio commino spirituale, tornerà ad essere
parte del grande tutto che regola ogni cosa; se il suo cammino non è ancora
compiuto, rinascerà in altre forme per avvicinarsi di nuovo ed un po’ di più
alla verità.
In quest’ultimo caso, prima di accedere alla
nuova vita l’anima deve liberarsi di tutto ciò che la tiene legata alla
precedente, così da poter continuare nel suo cammino di purificazione ed
ascensione.
«Questo deserto è il luogo in cui ci si lascia
alle spalle i propri sentimenti e desideri terreni, i quali una volta separati
dall’anima si fondono e si amalgamano con l’ambiente che li circonda, diventando
un groviglio inestricabile di sciocchi ed inutili fantasmi che gli esseri umani
hanno inseguito per tutta la vita, come fossero stati i loro più grandi
tesori.»
«I propri sentimenti e desideri terreni?»
ripeté Yugi
«Voglio essere bello. Voglio avere tanti
soldi. Voglio essere potente. Questa è solo zavorra, che qui viene scaricata».
I quattro amici non riuscirono a non pensare a
sé stessi.
Cosa avrebbero lasciato in quel posto?
Ognuno cominciò a riflettere su quali fossero
state le proprie ambizioni, i propri desideri, interrogandosi se fossero stati
buoni o cattivi, giusti o sbagliati.
Che poi aveva poca importanza; in ogni caso, e
comunque fosse andata la loro missione, li avrebbero lasciati lì.
Chissà, forse se ne sarebbero liberati nel
momento stesso in cui avessero lasciato quel deserto per passare alla prova
successiva. L’idea li spaventava, perché sentivano che senza desideri né
ambizioni non avrebbero avuto la forza né gli stimoli per voler andare avanti.
D’un tratto, uno strano rumore interruppe i
loro pensieri.
Sembrava un tremore, come se una talpa
gigantesca stesse facendosi strada sotto la sabbia sventrando ogni altra cosa
al suo passaggio.
Il terreno all’improvviso parve esplodere
proprio sotto i piedi dei ragazzi, che finirono scaraventati in tutte le
direzioni mentre la roccia con la quale avevano parlato si sgretolava assieme a
ciò che vi era dentro.
«Ma cosa…» disse Yugi.
Poi, la sabbia e la polvere si posarono, e
sempre più riconoscibile comparve agli occhi di Yugi
e dei suoi compagni una figura che tutti loro non vedevano da parecchio tempo,
e che non avevano mai dimenticato per tutte le sofferenze e le disgrazie che
aveva portato.
«Marik!?».
In verità quello era l’ultimo luogo dove i
ragazzi si sarebbero aspettati di incontrare l’altro Marik.
Ora che conoscevano l’ordine cosmico che regolava il ciclo della vita e dello
morte, per quello che aveva fatto lo immaginavano a bruciare all’inferno.
Come mai, dunque, si trovava lì?
«Ma guarda che sorpresa.» disse sfoggiando il
suo solito ghigno «Allora, quello che avevo sentito dalle altre anime e spiriti
erranti era vero.
Se non lo vedessi con i miei occhi, non ci
crederei.
Il lacchè del faraone e il suo trio di insulsi
lacchè morti e sepolti, e le loro anime a vagare in questo dannato deserto
ultraterreno.»
«Anche noi siamo felici di vederti.» disse
beffardo Honda
«Che ci fai qui, specie di sadico necrofilo?»
chiese sprezzante Jounouchi «Il tuo posto dovrebbe
essere al piano di sotto.»
«Sarebbe troppo bello.» replicò Marik «Ve ne siete dimenticati? Io non esisto realmente.
Non sono mai esistito. Sono solo un concentrato di energie, pensieri ed
emozioni di quell’incompetente del mio alter ego.
Io non possiedo un’anima, quindi non posso né
passare ad un’altra vita, né ascendere né sprofondare all’inferno. Il mio posto
è qui.»
«Considerato quello che hai fatto» disse Yugi «Te la sei cavata anche troppo bene.»
«Senti, senti. Il piccoletto fa la voce
grossa. Forse ti sei dimenticato che ora non c’è più il faraone a proteggerti».
Detto questo Marik agitò
il braccio, e una tempesta di vento si abbatté sui ragazzi minacciando di far
loro prendere il volo.
«Ho saputo che state affrontando una prova, e
che se fallirete sarete spediti agli angoli opposti del creato.» disse lo
spirito facendo comparire una sfera di luce nera nel palmo della sua mano «Non
posso uccidere chi è già morto, purtroppo. Ma posso pur sempre prendermi una
rivincita su di voi!».
Marik lanciò la
sfera, che investì in pieno i ragazzi, ma questi riuscirono a difendersi
facendosi scudo dei propri ka, comparsi al momento
giusto per proteggere i loro padroni.
«Niente male per dei lacchè, vero?» disse
provocatorio Jounouchi
«Meglio così.» disse invece Marik «Sarà più divertente».
I ka si separarono,
tentando di attaccare Marik da ogni direzione, ma lo
spirito scomparve nel nulla come una specie di fantasma, per poi riapparire
alle spalle del Comandante ed esplodergli una di quelle sfere nere direttamente
nell’addome, facendolo volare direttamente addosso al Guerriero e spedendo
entrambi al tappeto con un solo attacco.
Poi venne il turno del Mago della Fede; questi
cercò di fare ricorso alla sua magia, e contemporaneamente il Mago di Yugi tentò un attacco alle spalle. Marik
fulmineo raggiunse il mago di Anzu, lo stese con un
pugno e quindi lo mise davanti a sé come scudo contro l’attacco dell’altro
mago, che sbagliò in pieno il bersaglio colpendo il proprio alleato.
L’urto fu tremendo, tanto che il Mago della
Fede divenne per un istante evanescente come un ologramma, mentre Anzu cadde in ginocchio in preda ad un dolore tremendo in
tutto il corpo, come se l’avesse travolta un treno.
«Anzu!» disse Yugi.
Marik a quel
punto lasciò andare l’inerme maga e passò al mago di Yugi,
che rendendosi conto di essere in svantaggio optò per una strategia mordi e fuggi,
attaccando e muovendosi di continuo nel tentativo di disorientare l’avversario.
La tattica funzionò abbastanza a lungo da
permettere il ritorno sul campo di Honda e Jounouchi,
e dopo poco l’attacco combinato a tre parve dare qualche risultato. Il combattente
di Jounouchi, più rapido del mago, teneva a bada Marik con una tecnica tipo pugilato e molta velocità; poi,
al momento giusto, il ka si allontanava dando modo al
Comandante o al mago di Yugi di bersagliare il nemico
da lontano con un incantesimo o un paio di razzi.
Ben presto, e nonostante tutta la sua iniziale
baldanza, fu Marik a mangiare la polvere,
ritrovandosi disteso sulla sabbia; essendo solo uno spirito, e non avendo una
scintilla come i quattro ragazzi, non poteva provare dolore, ma ad ogni colpo
subito o inferto la sua energia si esauriva un po’ di più, e dovevano passare
migliaia di anni per poterla riavere indietro.
«Ecco, bravo.» disse Honda «Mangia la polvere.
È un ruolo che ti si addice.»
«Maledetti…
maledetti mocciosi ficcanaso».
Gli occhi dello spirito erano iniettati di
rabbia, molto simili a quelli che avevano già visto anni addietro, durante il
grande torneo di Battle City e in cima a quella
torre.
Dal canto suo Marik
era fuori di sé; se oltre che nella vita, fosse stato sconfitto anche nella
morte da quel quartetto d’incapaci, avrebbe trascorso il resto dell’eternità
divorato da una furia ancor più grande di quella che già provava, e che gli
permetteva di vagare come voleva attraverso quel deserto come se avesse avuto
ancora un corpo, immune al destino che toccava agli altri avanzi di anima che
gli tenevano compagnia.
«Se sperate di cavarvela così, siete solo
degli illusi!».
Un’auranera lo circondò interamente, la sue pelle e le sue vesti si riempirono
di crepe e di strappi, per poi lacerarsi completamente.
Come un insetto che si libera del proprio
vecchio esoscheletro, così lo spirito oscuro di Marik
si liberò del proprio aspetto umano, mettendo a nudo quella che era sempre
stata la sua vera essenza e forma; sembrava una via di mezzo tra un drago ed
una falena, due gigantesche ali membranose, una testa rotonda da bestia con un
cranio quasi piatto che si protendeva all’indietro, occhi piccoli e neri e una
bocca parzialmente coperta da strisce di pelle che le impedivano di aprirsi completamente.
Non aveva zampe, perché all’altezza dell’addome il suo corpo sprofondava nella
sabbia, segno che probabilmente non si poteva muovere.
Infine, da varie parti del corpo spuntavano
tentacoli lunghi e sinuosi, che si agitavano nell’aria come tanti serpenti.
«Sarebbe questo il suo vero aspetto?» domandò Jounouchi, molto più preoccupato di quanto cercasse di fare
apparire.
Marik non aveva
mai avuto occasione di mostrare quella forma, e anche adesso i pericoli non
mancavano; essa richiedeva un enorme dispendio di energie, ed era molto
probabile che nel giro di pochi minuti la sua essenza si sarebbe completamente
sfaldata, lacerandosi in milioni di frammenti che avrebbero impiegato millenni
per tornare assieme.
Ma sapere quei piantagrane separati per l’eternità
valeva bene il sacrificio.
«Ora capirete cosa significa sfidare la mia
ira.»
«Non contarci, sottospecie di scherzo della
natura!» esclamò Jounouchi «Combattente, schiaccia
questa specie di falena!»
«Anche tu, comandante!»
«No, aspettate!» tentò di dire Yugi, ma era troppo tardi.
I due ka attaccarono
insieme, colpendo rispettivamente con un pugno pauroso e una selva di missili,
ma Marik prese il colpo senza sentire praticamente
nulla.
«Sparite!» tuonò con la sua nuova e
terrificante voce.
Gli bastò agitare le ali, e un vento oscuro e
fortissimo si abbatté sui ragazzi e sui loro ka,
scaraventandoli a terra dopo averli privati di buona parte delle loro forze.
«Se credi che questo basterà per metterci al
tappeto.» disse Jounouchi cercando di mettersi in
piedi «Allora sei tu quello che ci sta sottovalutando».
Ma poi, quando gli occhi di tutti tornarono a
concentrarsi sul nemico, i tre ragazzi gelarono; nel tempo che avevano
impiegato a rialzarsi, uno dei tentacoli di Marik
aveva saettato veloce in mezzo a loro, afferrando una Anzu
ancora in parte intontita dal colpo che aveva subito, e mettendola davanti a sé
come uno scudo.
«Anzu!» gridò Yugi.
Lei era ancora troppo scossa per avere la
forza di rispondere, ma capiva in che situazione si trovava.
«Non fate una mossa!» ordinò il mostro quando
si avvide che i ragazzi stavano cercando di reagire «Posso divorare la sua
scintilla prima che voi abbiate anche solo il tempo di pensare a qualcosa. E
voi sapete bene cosa succederà se lo faccio».
Yugi e gli
altri non potevano muoversi.
«Razza di verme senza coscienza.» ringhiò Jounouchi a denti stretti.
Cercando di mantenersi il più calmo possibile,
Yugi iniziò a pensare ad una possibile soluzione, e
intanto Honda e Jounouchi scalpitavano per dare una
lezione a quella specie di bestia.
«Non pensate a me!» disse Anzu
dopo essersi ripresa «Fermatelo! Tanto, in ogni caso, uno di noi è destinato a
non farcela!»
«Ma senti.» disse Marik
ridendo e stringendo più forte la presa attorno a lei «Sei più coraggiosa di
quanto appaia».
Sentendo Anzu urlare
per il dolore, e unendo ciò alla propria sensazione di impotenza, Yugi si sentì invadere da una rabbia infinita, e lo stesso
accadde ai suoi due compagni.
«Lasciala stare!» urlò.
D’improvviso, il suo mago venne circondato da
una specie di guscio di luce, ed il bagliore prodotto fu così forte da accecare
Marik.
«Che sta succedendo?» ringhiò.
Sentendo che la presa su di lei si era
allentata Anzu ne approfittò, mordendo il tentacolo
che la imprigionava e riuscendo a liberarsi, venendo presa al volo dal suo mago
che la portò al sicuro in mezzo ai suoi compagni.
Dopo poco il guscio si ruppe, e da esso un
Mago Silente più grande e potente di prima.
«Incredibile.» disse Honda «Ma che gli è
accaduto?»
«È come se si fosse evoluto.» disse Anzu.
Il nuovo mago di Yugi
sprigionava una luce fortissima, che costringeva Marik
a coprirsi gli occhi con una delle sue ali, visto che apparentemente non aveva
palpebre per poterli chiudere.
«Maledizione!» urlò lanciandosi contro il
nemico.
Il mago non si scompose, e un istante prima di
venire investito puntò il suo scettro contro Marik,
che venne circondato da un mare di fiamme luminose che presero immediatamente a
sbriciolarlo un pezzo alla volta.
«No! Mi rifiuto! Non può finire così!».
Ma ben presto si rese conto che era davvero
finita, e a quel punto rise istericamente.
«Non crediate di poter riuscire in questa
follia! Non avete neanche idea di quali prove vi aspettano più avanti! Il vostro
legame morirà, così come siete morti voi!».
Come finì di parlare, Marik
sparì, lasciandosi dietro nulla più che il gigantesco foro nella sabbia da cui
spuntava il suo corpo.
Tornata la calma, e non senza una punta di
angoscia per quello che il loro eterno nemico aveva detto nella sua ultima
dimostrazione di malvagità prima di scomparire, i ragazzi guardarono il ka di Yugi, che dopo poco svanì
assieme agli altri come suo solito.
«Ma si può sapere cosa è successo al tuo ka?» chiese Jounouchi
«Non lo so.» rispose lui guardando il dia dhank «Ma forse, più tempo passiamo in questo mondo
ultraterreno, più le nostre anime si rafforzano, acquisendo nuova forza, che si
riflette automaticamente sui nostri ka.»
«Potrebbe essere.» disse Honda.
Yugi allora
guardò Anzu.
«Ti ringrazio, Yugi.»
«Non c’è di che. Sono felice che tu stia
bene.»
«Piuttosto, voi che dite?» continuò il
biondino «A questo punto, direi che la nostra prova è superata».
E infatti, dopo qualche secondo, il Libro dei
Morti si illuminò di nuovo, aprendo un secondo portale.
«Il nostro compito in questo mondo è finito.»
disse Yugi «Un altro mondo ci attende.»
«Fate attenzione, anime erranti.» disse l’entità
con la quale avevano parlato prima della comparsa di Marik,
e che terminato lo scontro si era letteralmente ricostruita davanti ai loro
occhi «Molto probabilmente, le prove che avete sostenuto fino a questo momento
sono niente rispetto a quelle che vi attendono più avanti.»
«Grazie dell’avvertimento.» disse Anzu «Faremo attenzione.»
«Andate, ora. E dimostrate agli dèi quanto può
essere inarrestabile la forza di volontà degli esseri umani».
Nota dell’Autore
Eccomi qua!^_^
Ora che i corsi
universitari sono finiti (almeno per me), posso finalmente tornare a dedicarmi
con più tranquillità alla mia fiction, distribuendola tra tutti gli altri miei
impegni giornalieri.
Pensandoci adesso,
forse avrei dovuto fare più attenzione quando dissi che sarebbe stata una
fiction di soli tre capitoli.
Anche adesso, avevo
intenzione di arrivare direttamente al momento dell’ultima prova (che, anticipo
subito, si terrà nella Sala del Giudizio, uno dei luoghi più importanti dell’oltretomba
egizio), ma ho deciso di fermarmi qui perché altrimenti sarebbe venuto fuori un
capitolo da dodici pagine o più, visto che Yugi e
compagnia devono superare ancora un mondo prima di arrivarci.
Quindi, in
conclusione, alla fine mancano esattamente 3 capitoli, epilogo incluso. Il
primo di questi dovrei poterlo inserire già venerdì. Staremo a vedere.
Dopo
una palude ed un deserto, il terzo mondo ultraterreno nel quale i ragazzi si
ritrovarono fu una lunga, interminabile lingua di roccia brulla e non
eccessivamente larga e sospesa sull’abisso, e che, a seconda di come la si guardava,
proseguiva senza sosta in alto o in basso, illuminata da migliaia curiose sfere
di luci simili a fuochi fatui che volteggiavano in tutte le direzioni in modo
lento e ripetitivo o seguitavano a rimanere immobili in un solo punto, come
galleggiando nell’aria.
«Certo che chi ha costruito questi posti
doveva avere davvero una gran fantasia.» commentò Honda.
Anzu si sporse
un momento a guardare oltre il ciglio.
L’oscurità sotto di loro era apparentemente
senza fondo, ed un brivido freddo le attraversò il corpo, al punto che dopo
pochi secondi dovette desistere.
«Suggerisco di fare molta attenzione.» disse Jounouchi «Cadere di sotto non mi sembra una grande
prospettiva.»
«Sì, sono d’accordo.» rispose la ragazza.
A quel punto decisero di iniziare a camminare,
dirigendosi verso l’alto, una scelta dettata in larga parte da un ragionamento
fatto da Yugi; dato che il loro si poteva considerare
come una sorta di percorso di ascensione verso un qualcosa di superiore,
probabilmente era verso l’alto che dovevano andare.
Non sapeva dire perché, ma Yugi
aveva la sensazione che quello sarebbe stato l’ultimo mondo che lui e gli altri
avrebbero visitato nel loro viaggio.
Regnava una certa inquietudine. L’incontro con
Marik aveva profondamente turbato tutti quanti, anche
se l’essersi resi conto, una volta abbandonato il deserto delle ambizioni e dei
sogni perduti, di possedere ancora la capacità di provare emozioni e sensazioni
li aveva indubbiamente fatti stare molto meglio.
Probabilmente, il momento di separarsi dalle
proprie esperienze terrene sarebbe arrivato solo al momento della rinascita,
quindi per il momento quelle cose facevano ancora parte di loro.
Paradossalmente però, proprio questo pensiero
riusciva a metterli in agitazione e ad inquietarli; comunque fosse andata, con
la rinascita avrebbero perso, oltre ai ricordi, anche le emozioni, le
esperienze e la consapevolezza della loro vita passata.
E quindi, anche nel caso in cui tre di loro
fossero riusciti a rinascere assieme nello stesso mondo, come avrebbero fatto a
recuperare le amicizie perdute?
Il loro legame sarebbe bastato a farli
rincontrare?
Avrebbero potuto rinascere con altri nomi,
altri aspetti. Atem aveva detto solo che sarebbero
rinati nello stesso tempo e nello stesso mondo, ma dove? E se fossero nati in
Paesi diversi, magari in tempo di guerra?
In quel momento nessuno di loro aveva voglia
di pensarci, ma quello era un tarlo che non smetteva un attimo di scavare nelle
loro menti.
Ben presto però l’attenzione di tutti prese a
venire attratta da quelle strane palle di luce che rischiaravano il loro
cammino; alcune di queste sembravano quasi essere vive, avere una volontà,
perché li andavano loro dietro, seguendoli e girando loro attorno come uno
stuolo di fate o spiritelli in cerca di qualcuno con cui giocare.
«Maledette lucciole.» disse Jounouchi tentando di scacciarne una che non smetteva di
gravitargli attorno al viso
«Non credo si tratti di questo.» rispose
ironica Anzu.
Incuriosito, Yugi si
fermò un momento ad osservarne una, e poco dopo al suo interno gli parve di
scorgere qualcosa. Sembravano immagini, come spezzoni di un film in presa
diretta, dove le scene erano riprese dal punto di vista di chi le osservava.
Ma la cosa più incredibile era che quelle
immagini non erano ambientate nella sua epoca, ma nel Giappone del Periodo Kamakura, a giudicare dai vessilli e dagli stendardi che
apparivano di tanto in tanto.
«Incredibile.» disse.
Anche gli altri allora guardarono all’interno
di qualcuna di quelle sfere, scorgendo scorci di vita provenienti dalle epoche
più diverse, dal Rinascimento alla Cina dei Tre Regni, dal medioevo europeo ai
regni precolombiani.
«Ma cosa sono questi cosi?» chiese Jounouchi
«Credo siano ricordi.» ipotizzò Yugi
«Vi ricordate quello che ha detto lo spirito
nell’altro mondo?» disse Anzu «Le anime prima di
reincarnarsi devono liberarsi di tutto quello che le tiene legate alla vita
precedente.»
«Anzu ha ragione. In
quel deserto venivano lasciati sogni e aspirazioni. Forse in questo mondo
vengono lasciati i ricordi.»
«Ah, ora è tutto chiaro.» disse Honda.
Sempre più curiosa, Anzu
prese a scrutarne uno dietro l’altro, fino a quando una di quelle sfere non le
volò letteralmente addosso, quasi ad invitarla a farsi guardare. Lei lo fece,
ma quello che vide la spiazzò; vide Yugi, sia
impegnato nei suoi molti duelli sia nei suoi rari momenti di tranquillità.
C’era anche l’altro Yugi, il faraone Atem, ed il calore provato nel vederlo appagò ben poco le
sensazioni che la ragazza provò rendendosi conto di cosa stava guardando.
«Ma questi…» disse
riconoscendo le figure dei suoi genitori «Ma questi sono i miei ricordi!».
Gli altri ragazzi sgranarono gli occhi, poi
anche loro furono raggiunti dalle sfere di luce nelle quali, guardandovi
dentro, videro quelli che erano senza ombra di dubbio i ricordi della loro
vita.
«Ma come può essere!?» disse Jounouchi «Come è possibile che i nostri ricordi siano
qui?»
«Ha ragione.» disse Honda «Come possono essere
qui, se noi li abbiamo ancora?».
Yugi ci
rifletté un momento; anche lui era confuso, ma poi credette di aver trovato la
risposta.
«Tutto ritorna al punto iniziale. Noi in
questo momento non abbiamo dei corpi. Siamo puro spirito.»
«Questo lo sappiamo.» rispose Jounouchi «E allora.»
«Di noi ormai è rimasta solo l’anima, che si è
come cristallizzata dandoci questi corpi apparentemente reali. I nostri
ricordi, così come le nostre emozioni, sono parte di noi, della nostra anima.
Ma la loro natura vera e propria invece è altra, ed essa ha preso la propria
strada nel momento stesso in cui siamo morti.»
«Scusa, credo di non seguirti.» disse Honda
«Sii più chiaro.»
«Secondo il principio confuciano» rispose Anzu «L’essere umano è composto da tre entità distinte.
Corpo, mente e spirito. Ognuna di queste tre esiste separatamente, ma nel corso
del tempo si instaura tra di esse una specie di sintonia, cosicché ognuna
incamera dentro di sé una parte dell’altra.»
«La nostra anima si è fatta in parte corpo.»
concluse Yugi «E ha tramutato i sentimenti ed i
ricordi provenienti dalla mente in pensieri apparentemente reali. Ma sia il
nostro subconscio che i nostri ricordi ci sono già stati tolti.»
«Suona parecchio inquietante.» commentò Honda.
Dopo poco i ragazzi si rimisero in cammino,
con quelle sfere di luce che continuavano a seguirli di quando in quando e a
rischiarare il loro cammino.
Impossibile dire quanto tempo trascorsero
mettendo un piede avanti all’altro, giacché il tempo era un concetto
estremamente relativo in un posto come quello, e che non era facile capire se
la loro percezione dello scorrere del tempo fosse la stessa che avevano avuto
da vivi.
D’un tratto, però, nel buio, in lontananza,
cominciò ad intravvedersi qualcosa.
Sembrava un’isola, un piccolo eremo
galleggiante nell’abisso, proprio come il sentiero, sul quale vi era una specie
di edificio simile ad un tempio, e più si avvicinavano più si rendevano conto
di come fosse proprio lì che quella strada sospesa sul nulla li stava
conducendo.
«Guardate!» disse Anzu
«Forse è quello il tempio della vita di cui parlava il faraone!»
«Allora ce l’abbiamo fatta!» disse Honda
sfoggiando un sorriso a trentadue denti.
Yugi, però,
non era tranquillo, e neanche Jounouchi.
«Col cavolo che è così facile.» disse Jounouchi guardandosi attorno preoccupato.
Dapprincipio sembrò che gli eventi fossero
destinato a dargli torto, ma poi, di colpo, accadde qualcosa; le sfere di luce
presero a comportarsi in modo strano, volando in tutte le direzioni come uno
stormo di uccelli sorpresi da un predatore, e uno strano rumore riecheggiò
tutto intorno, come uno sbattere di ali.
«Era solo per dire.» mugugnò Jounouchi, che per un attimo ci aveva sperato di
sbagliarsi.
I quattro ragazzi si portarono immediatamente
schiena a schiena, e tennero pronti i loro Dia Dhank.
Non fecero neppure in tempo ad evocare i
propri ka, che un nugolo di demoni alati piombarono
loro addosso sbucando dall’oscurità e attaccando da ogni dove. Forse erano i
guardiani di quel posto, forse altri di quegli esseri oscuri di cui aveva
parlato Atem, fatto sta che non avevano buone
intenzioni.
«E ti pareva!» disse Honda facendo comparire
il Comandante.
L’attacco combinato da più direzioni risultò
da subito molto difficile da contrastare.
Il problema principale stava nel fatto che i
nemici potevano volare, mentre dei ka dei ragazzi
solo i maghi di Yugi ed Anzu
avevano questa possibilità, e in un terreno come quello bisognava sempre tenere
un occhio sulle sporgenze, perché nessuno poteva dire cosa potesse significare
cadere di sotto, anche per uno spirito.
Non si trattava di esseri particolarmente
forti; al contrario, bastava davvero poco per riuscire a sconfiggerli
trasformandoli in innocuo pulviscolo.
Il problema era il loro numero: neanche il
tempo di sbarazzarsi di uno, e altri due ne arrivavano a prenderne il posto,
creando un martellante assalto che non si esauriva mai.
Peggio di tutto,mantenere il proprio ka
in forma fisica e permettergli di combattere costava fatica, e più il tempo
passava più i ragazzi si sentivano stanchi, una stanchezza che si rifletteva
sui loro ka.
Era come un circolo vizioso, e dovevano
uscirne in fretta se volevano sperare di sopravvivere.
«Al diavolo queste bestiacce!» sbraitò Jounouchi.
Il biondino era così impegnato a contrastare i
nemici che gli piovevano addosso che non si accorse dell’approssimarsi furtivo
di uno di loro, proprio alle sue spalle.
«Jounouchi,
attento!» gridò Yugi.
Il suo mago era troppo lontano, e Jounouchi non aveva comunque modo di potersi difendere. Così,
Yugi fece l’unica cosa che l’istinto gli suggeriva, e
lanciatosi all’attacco spintonò il nemico con una spallata; quello barcollò all’indietro,
finendo oltre il bordo del sentiero, ed essendo uno dei pochi a non avere le
ali precipitò inesorabilmente nel buio.
Il problema fu che, subito prima di cadere,
afferrò Yugi per la collottola, tentando di portarlo
con sé, e anche se mollò la presa quasi subito il ragazzo si ritrovò con le
gambe sospese nel vuoto, e le mani che a stento riuscivano a tenere la presa
sul terreno sassoso e scivoloso.
«Yugi!» esclamò Anzu.
Proprio nell’istante in cui Yugi perse la presa, fortunatamente, Anzu
riuscì ad afferrargli una mano.
«Resisti! Ti tengo!».
Honda e Jounouchi si
avvidero di quello che stava accadendo, ma quasi a voler impedire loro di
intervenire i nemici continuarono a bersagliare loro e i loro ka senza fermarsi un momento, tanto che ad un certo punto
entrambi i ragazzi si ritrovarono in ginocchio senza quasi più forze.
«È inutile.» disse Honda «Per quanti ne
uccidiamo, non smettono di arrivare.»
«Maledizione.» disse Jounouchi
a denti stretti «Mi rifiuto di farmi battere in questo modo».
Forse fu la loro caparbietà, forse la loro
intraprendenza, o forse come Yugi stavano elevando il
loro livello di consapevolezza. Fatto sta che di colpo i due amici, da stanchi
e sfiniti com’erano, sentirono tornare le forze.
«Non mi farò sconfiggere così facilmente!»
urlò Jounouchi.
I loro ka ormai
sfiniti, come già accaduto al Mago Silente, furono avvolti dalla luce, e quando
ne uscirono erano decisamente cambiati; il Guerriero da Battagla
era diventato lo Spadaccino di Fuoco, e il Cyber Comandante il Soldato Gadget.
«Incredibile.» disse Honda «I nostri ka si sono evoluti.»
«Molto bene.» disse Jounouchi
«Ora inizia il secondo round!».
Con forza ritrovata i due ka
ripresero a combattere, facendo strage di diavoli, ma anche così il numero soverchiante
dei nemici impediva sia a loro che a Honda e Jounouchi
di andare in soccorso di Yugi e Anzu;
anche il Mago Silente e il Mago della Fede erano nella loro stessa situazione,
e serviva il loro aiuto anche solo per impedire che i demoni andassero a
cercare di far precipitare Yugi.
«Cerca di resistere, Yugi!»
continuava a ripetere Anzu.
In realtà la ragazza stava stringendo i denti
per la fatica, e per quanto ci provasse non riusciva a trovare la forza di
tirare su il suo amico, che invece stava perdendo sempre più la presa.
Yugi se ne
accorse, e guardando l’abisso sotto di sé non riusciva a non tremare come una
foglia; ma nonostante ciò, non voleva né poteva permettere che Anzu lo seguisse.
«È inutile! Lasciami!»
«Non se ne parla! Io non ti lascio!»
«Ragiona! Se non mi lasci andare cadrai anche
tu! Lo sai cosa succederebbe se fallissi la prova!»
«Chi se ne importa! Non posso abbandonarti!».
Yugi sapeva
che neanche a supplicarla Anzu avrebbe mollato la
presa, ma che anche lei lo seguisse se il suo destino era di fallire la prova
non se ne parlava neppure.
Forse fu solo un caso, forse una cosa voluta,
fatto sta che d’improvviso Anzu sentì la presa farsi
sempre meno stretta, e la mano di Yugi che lentamente
scivolava via.
La ragazza aveva un sospetto, un sospetto
terribile che non voleva neanche prendere in considerazione, ma intanto Yugi stava continuando a scivolare verso il basso, e il
ragazzo sembrava non fare quasi nessuno sforzo per cercare di mantenere la
presa.
«Non ti arrendere, Yugi!»
«Anzu…».
Improvvisamente, la stretta si sciolse; Anzu cercò con tutta sé stessa di recuperarla, fin quasi a
cadere lei stessa sporgendosi più di quanto potesse, ma Yugi
cominciò inesorabilmente a sprofondare nell’oscurità.
Lacrime amare e taglienti come lame comparvero
sui suoi occhi azzurri, quando si rese conto che stava accadendo davvero.
«Yugi!» urlò con
tutta la sua voce, una voce rotta e piegata dalla disperazione.
Anche Jounouchi e
Honda a quel punto capirono, ed anche i loro volti si riempirono di terrore,
unito a quella sensazione di impotenza che non avrebbero mai voluto provare, men che meno in quel momento.
Il Mago della Fede, che solo in quel momento
era riuscito a trovare il tempo per andare se non altro in soccorso della sua
padrona, fu a sua volta avvolto dalla luce, riemergendone con le fattezze della
Guardiana Angel Joan.
La luce prodotta da quell’angelo rischiarò le
tenebre tutto attorno come neanche un milione di quelle sfere di luce avrebbe
saputo fare, e come se quella luce fosse stata per loro come una nube infuocata
tutti i demoni che ne furono raggiunti si dissolsero nel nulla lanciando urla
di dolore.
Mentre scompariva sempre più nel buio, Yugi si domandava cosa ne sarebbe stato di lui.
Aveva paura, ma in parte era sollevato dal
sapere che almeno i suoi amici sarebbero rimasti uniti. In fin dei conti era
quasi un modo per espirare, e anche per ringraziarli. Se non li avesse
conosciuti, se la sua vita non si fosse intrecciata con le loro, avrebbe
trascorso il resto dell’esistenza nella più vuota solitudine; d’altra parte,
però, se loro non avessero conosciuto lui non sarebbero mai finiti in quel
modo, e le loro sarebbero sicuramente durate molto più a lungo.
Chiusi gli occhi, e con un’espressione
stranamente felice, ma vanificata dalle lacrime che gli solcavano le guance, Yugi fece per lasciarsi andare, quando d’un tratto ebbe l’impressione
di venire abbagliato da una forte luce; subito dopo, sentì qualcuno tirarlo
verso l’alto, stringendolo forte per un braccio per poi iniziare a risalire
assieme a lui.
Quando Yugi e Angen Joan tornarono sul sentiero, i diavoli erano tutti
spariti.
«Yugi!» disse Jounouchi «Mi hai quasi fatto venire i capelli bianchi.»
«Meno male, per il rotto della cuffia.» disse
Honda.
Anzu piangeva
di felicità, ma quando l’angelo posò a terra Yugi lei
gli si avvicinò con sguardo contrariato, e dopo qualche istante, durante il
quale lui invece tenne lo sguardo basso, gli mollò un ceffone.
«Anzu…»
«Non azzardarti a farlo mai più! Non azzardarti
mai più ad arrenderti!»
«Mi… mi dispiace.»
rispose timidamente Yugi tenendosi la guancia.
Lei a quel punto non riuscì più a nascondere
le lacrime.
«Ma che ti è saltato in mente?» disse
singhiozzando «Da quando in qua getti la spugna in questo modo?».
Lui non riuscì a trovare una risposta.
«Ha ragione, Yugi.»
disse allora Jounouchi «Non sei tipo da arrenderti
così».
In verità, fin da quando erano arrivati
laggiù, Yugi non era riuscito ad essere completamente
sé stesso. Quella presunta consapevolezza di essere lui stesso il responsabile
di quanto successo ai suoi amici lo aveva perseguitato per tutto il tempo, e
anche se aveva cercato di non darlo a vedere provando a mostrarsi forte e
risoluto come aveva imparato ad essere la paura ed il rimorso erano compagni
dei quali non riusciva a liberarsi.
«Il nostro legame, i sentimenti che ci legano
l’uno con l’altro.» disse Anzu asciugandosi le
lacrime «Sono tutto quello che ci è rimasto. Non possiamo buttarlo via, o
rinunciarvi in questo modo. Non senza provare a difenderli e a conservarli il
più a lungo possibile.»
«Parole sante.» disse Honda «Dopotutto, lo
sapevamo che non sarebbe stata un’impresa facile, e se non potessimo
appoggiarci e sostenerci a vicenda, dubito che saremmo stati capaci di arrivare
fin qui».
Forse, pensò Yugi, era
per questo che non aveva cercato di salvarsi quando stava per cadere; perché credeva
che in fin dei conti era tutta colpa sua, e che aiutare i suoi amici a
preservare il loro legame era il minimo che potesse fare per espiare, anche se
significava condannarsi nuovamente alla solitudine con le sue stesse mani.
Ora però, dopo quello che era successo,
sentiva qualcosa di nuovo; per la prima volta da che aveva aperto gli occhi su
quella nuova situazione, gli sguardi e le parole dei suoi compagni riuscivano
ad infondere in lui una speranza sincera.
«Tutto questo, Yugi.»
disse Jounouchi «Per dirti che la forza e l’aiuto
reciproco sono stati i nostri migliori compagni, e che ora più che mai devono
continuare ad esserlo».
A quel punto, la flebile luce maturata nel
profondo di Yugi si accese del tutto, dandogli nuova
vita.
Jounouchi aveva
ragione; gettare via tutto prima di essere arrivati fino infondo era stupido.
Se proprio doveva scegliere di sacrificarsi
per il bene dei suoi compagni, lo avrebbe fatto quando quella prova fosse
giunta alla fine; fino a quel momento, avrebbe continuato a combattere e a
vincere come sempre.
«Vi chiedo scusa.» disse mentre nei suoi occhi
tornava a risplendere la forza di sempre
«Così ti voglio.» disse Jounouchi
«Bentornato tra noi.»
«Avanti, ora.» disse Anzu
«Ormai ci siamo quasi.»
«Ben detto.» disse Honda «La meta è vicina».
Senza più nessuno ad intralciarli, e con le
sfere di luce tornare a guidare loro la strada, i quattro ragazzi si rimisero
in cammino, raggiungendo infine l’enorme edificio che avevano intravisto in
lontananza già molto tempo prima, e che speravano sarebbe stato la tappa finale
del loro viaggio.
Quella specie di tempio era davvero immenso,
ma pervaso da un’atmosfera tetra, quasi minacciosa; non era certo la
costruzione idilliaca ed accogliente che Yugi e gli
altri si erano immaginati.
«Sarebbe questo il tempio della vita?» domandò
Jounouchi osservando gli inquietanti e giganteschi
bassorilievi egizi che ne adornavano il frontone
«Non saprei.» rispose Yugi.
Ancora una volta, giunse in aiuto la passione
di Anzu per l’egittologia.
«Una volta ho letto che la tappa finale del
viaggio nell’oltretomba nella mitologia egizia è la Sala del Giudizio, il luogo
dove le anime vengono giudicate per la propria condotta terrena e dove si
compie il loro destino.»
«Quindi, questo non sarebbe il Tempio della
Vita.» disse Honda seccato «Ma questa, Sala del Giudizio.»
«E ti pareva.» mugugnò Jounouchi
«In effetti mi sembrava che fosse stato anche troppo facile.»
«Forza e coraggio.» disse Yugi
con ritrovato vigore «Se davvero questa è la Sala del Giudizio, significa che
il nostro viaggio è quasi alla fine.»
«Hai ragione.» rispose il biondino ritrovando
l’impeto «Il che significa che se supereremo le prove che ci aspettano qui
dentro, ce l’avremo fatta sul serio.»
«È probabile.»
«In questo caso, entriamo!».
Jounouchi a quel
punto partì a razzo, fiondandosi sugli enormi portoni che chiudevano l’ingresso
alla sala e riuscendo a spalancarli con un solo, poderoso calcio.
L’interno era completamente spoglio, oltre che
immerso nell’oscurità e nel silenzio più totali; solo un’unica, immensa sala
senza fine, simile a quella dove i ragazzi si erano trovati al loro risveglio
nell’oltretomba.
«Ehilà? C’è nessuno?» urlò Jounouchi.
Gli altri lo raggiunsero, guardandosi attorno
a loro volta.
«E adesso?» domandò Anzu
«Non lo so.» disse Yugi
«Forse dobbiamo continuare a camminare.»
«Ovviamente.» sbuffò Jounouchi
«Avanti, pappamolla!» disse Honda tutto
baldanzoso «Dov’è finita tutta la tua determinazione? Gambe in spalla, e
andiamo! Ormai ci siamo quasi, me lo sento!».
A quel punto fu lui ad aprire la strada, ma
non aveva fatto neanche due passi che di colpo, e senza motivo, i portoni si
chiusero da soli, emettendo un rumore come di serratura bloccata, e lui
scomparve nel nulla, come se fosse stato teletrasportato da un’altra parte.
I suoi compagni assistettero impotenti e
sgomenti, e prima che potessero anche solo pensare di fare qualcosa il loro
amico era già sparito.
«Honda!» esclamò Jounouchi.
L’amico cercò di muoversi in quella direzione,
ma quasi contemporaneamente anche lui e Anzu sparirono
allo stesso modo.
«Yugi!» ebbe appena
il tempo di dire Anzu
«Ragazzi!».
Da un istante all’altro, Yugi
si ritrovò da solo.
A lungo provò a chiamare i suoi amici, ma nel
silenzio raggelante di quel luogo spettrale l’unico suono che sentiva era
quello dell’eco prodotto dalla sua stessa voce.
Affranto e preoccupato, cominciò a correre in
tutte le direzioni nella speranza di trovarli, scoprendo ben pesto che quell’edificio
era molto più intricato e complesso di quanto sembrasse all’apparenza; c’erano
stanze, e stanze e stanze, collegate tra di loro da corridoi, rampe, scale e
passaggi segreti, e tutto era immenso e senza fine, come una sorta di labirinto
impossibile da districare.
«Anzu! Jounouchi! Honda! Dove siete finiti? Rispondete!».
In
un altro punto imprecisato del tempio, Anzu e gli
altri, ritrovatisi a loro volta da soli da un istante all’altro, stavano
cercando di ritrovarsi tra di loro esplorando le varie stanze e girovagando
senza meta, come vere anime in pena.
«Maledizione!» imprecò Jounouchi
«L’ho sempre detto io, stai alla larga dai labirinti!».
D’un tratto, in lontananza, gli parve di
sentire un rumore, come una specie di rintocco. Credendo che fosse qualcuno dei
suoi compagni, ma pronto comunque ad affrontare un eventuale imprevisto, si
diresse cautamente nella direzione da dove proveniva il suono, incontrando dopo
poco il suo amico Honda, intento a picchiare ininterrottamente la fronte contro
il freddo muro di pietra con un’espressione contrariata e sconfortata.
«Honda!» disse correndogli incontro «Per
fortuna ti ho trovato! Yugi e Anzu
sono con te? Li hai visti?».
Lui non rispose, e dopo poco si volse a
guardarlo; i suoi occhi mettevano quasi paura, tanto sembravano contrariati.
«Accidenti a te, razza di incapace!» sbraitò
«Cosa!?»
«Al diavolo te, ed io per averti voluto
prendere come amico! Alle medie avrei fatto meglio ad incontrare una ragazza,
invece di incontrare te!»
«Ma che stai dicendo!?»
«Fin da quando ti ho conosciuto, l’unica cosa
in cui sei stato insuperabile è stato metterti nei guai. E non solo. Non
contento, hai finito spesso per mettere nei guai anche gli altri».
Jounouchi si
sentiva spiazzato; non era certo la prima volta che litigava con Honda, ma in
quel momento e in quella circostanza simili parole tagliavano più di un
pugnale.
«Con quelle tue arie da spaccone e da padrone
della situazione. Dimmi solo una volta in cui hai avuto ragione ad essere così
tanto sicuro di te. Tu sempre a ficcarti nei guai, e io o qualcun altro che
molto spesso ti ci dovevano tirare fuori.»
«Questo… questo non
è vero.»
«Ah, non è vero. Te ne sei già dimenticato per
caso? Se contro Seth non avessi voluto fare di testa tua non ti saresti ridotto
in quelle condizioni, e se io e Anzu non avessimo
dovuto perdere tempo a trascinarti appresso credi che sarebbe comunque finita
così?».
Solo in quel momento Jounouchi
realizzò. Honda aveva ragione; se come al solito non avesse voluto atteggiarsi
a spaccone, agendo prima di riflettere, probabilmente non sarebbe finita in
quel modo, e tutti sarebbero riusciti ad allontanarsi in tempo prima dell’esplosione.
«Io…io…»
«Vorrei tanto non averti mai conosciuto, lo
sai? Lo vorrei con tutto me stesso. Almeno ora sarei ancora vivo».
Honda
aveva avuto appena il tempo di fare un passo, che subito dopo, voltandosi alle
proprie spalle, si era accorto di non trovarsi più all’ingresso del tempio, ma
peggio ancora di essere completamente solo.
Senza perdersi d’animo aveva iniziato a
cercare gli altri, e dopo poco tempo per fortuna si era imbattuto in Jounouchi, appoggiato con la schiena ad una colonna con
braccia e gambe incrociate e sguardo imbronciato piantato a terra.
«Ah, eccoti finalmente.» disse avvicinandosi
«Si può sapere che diavolo è successo?».
Jounouchi lo guardò
molto male, quasi con stizza.
«Ma che ti prende?» chiese allora Honda
«Ecco qua la grande, grottesca, inutile palla
al piede.»
«Che cosa!?»
«Avrei preferito imbattermi in Yugi, invece che in te. Almeno lui sarebbe stato più di
aiuto.»
«Ma che stai dicendo?»
«Sto dicendo che da quando ti conosco, e da
quando il nostro gruppo è stato formato, non c’è stata una sola volta in cui tu
abbia mostrato una qualche utilità.
Sei stato sempre e solo, come ho detto, una palla
al piede».
Punto sul vivo, Honda afferrò Jounouchi per il bavero, ma il biondino contrariamente al
solito non rispose, seguitando a guardarlo con quegli occhi così severi e
cattivi.
«Provati a ripeterlo, razza di sbruffone.»
«Guarda in faccia alla realtà. Che cosa hai
mai fatto in tutti questi anni? Niente più che il tifo dalle retrovie. Se volevo
un gruppo di supporto, avrei trovato più stimolante una compagnia di
cheerleader, invece che una scimmia di montagna senza cervello né attributi.»
«Tu, razza di…»
«Credi che mi stia sbagliando? Ammettilo che è
così».
Honda purtroppo, passato il momento di rabbia,
dovette riconoscere che il suo ex migliore amico non aveva tutti i torti. Yugi, Jounouchi erano quelli che
si erano sempre battuti, e anche Anzu quando
necessario aveva fatto la sua parte. Lui, invece, che cosa aveva realizzato in
tutto il tempo che erano stati insieme? Assolutamente nulla, a ben guardare.
Attonito, lasciò andare Jounouchi,
che incurante ed impassibile si risistemò la maglietta.
«Mi domando che mi diceva la testa quando ho
stretto un legame con te.» concluse freddo il biondino.
Quando
si era ritrovata così, da sola in mezzo al niente, Anzu
aveva provato una paura tremenda; quel posto le faceva paura già quando era in
compagnia dei suoi amici, ma senza di loro a momenti non riusciva a trovare
neanche la forza per camminare.
Ma a restare lì così, immobile ad aspettare,
non avrebbe risolto nulla, e poi sarebbe stato come tradire le sue stesse
parole di poco prima, quando aveva detto che la forza di loro quattro stava nel
gruppo, e nell’aiuto che potevano darsi l’uno con l’altro.
Fattasi forza, e cercando di richiamare a sé tutto
il proprio coraggio, cominciò a girovagare in lungo e in largo alla ricerca dei
suoi amici, chiamandoli a gran voce e sussultando ad ogni più piccolo rumore,
prodotto quasi sempre però da lei stessa inconsciamente urtando qualcosa o
facendo scricchiolare i sassolini e la sabbia sul pavimento.
Il primo che incontrò fu Yugi,
seduto di spalle nel bel mezzo di una stanza in posizione fetale. Sollevata,
gli andò incontro, poggiandogli una mano sulla spalla.
«Yugi. Per fortuna
ti ho trovato. Stai bene?».
Lui non rispose, e neanche diede qualche segno
di aver sentito; continuava a restare immobile e impassibile, come una statua. Anzu allora si preoccupò.
«Yugi?»
«Non mi seccare.» rispose lui di botto.
Colta alla sprovvista, Anzu
sgranò gli occhi.
«Yugi!? Che è
successo!?».
Yugi allora si
girò a guardarla, e la guardò come Anzu non ricordava
di averlo visto mai fare.
«Dacci un taglio. Non ho bisogno di te.»
«Ma di che stai parlando!?»
«Non era forse questo, quello che avresti sempre
voluto fare? Proteggermi?»
«Che cosa stai dicendo!?»
«Fin da quando ci siamo conosciuti, ti sei
messa in testa l’idea che non fossi in grado di cavarmela da solo. Pensavi che
non avrei mai concluso niente, e che avrei passato il resto della mia vita
vittima del prepotente di turno.
Così, ti sei appiccicata a me nella speranza
di interpretare il ruolo della paladina del bene che protegge i più deboli dai
soprusi del mondo».
Poi, Yugi piegò gli
occhi in uno sguardo ancor più cattivo.
«Ma credi sul serio di esserci mai riuscita? Di
essere riuscita a proteggermi anche solo una volta?».
Anzu non seppe
trovare una risposta.
«La verità, è che l’hai fatto solo per un
motivo. Perché prima di conoscermi tu eri sola al mondo, esattamente come me!»
«Questo… questo non
è vero…» rispose lei mentendo a sé stessa
«Non ti sei avvicinata a me perché volevi
proteggermi, ma perché cercavi disperatamente qualcuno che non ti facesse
sentire sola. È questa la verità, e tu lo sai».
La ragazza, affranta, abbassò gli occhi.
Era vero.
Prima di conoscere Yugi,
anche lei si era sempre sentita sola; le amiche d’infanzia, una dopo l’altra,
se n’erano andate, e lei per molto tempo non aveva avuto nessuno. Poi aveva
incontrato Yugi, e la sua vita era sembrata
riprendere.
Dal canto suo aveva sempre cercato di
mostrarsi forte davanti a tutto e tutti, perché credeva che solo così si poteva
avere la forza di andare avanti. Quel ragazzino apparentemente così gracile e
indifeso le aveva subito fatto tenerezza, spingendola ad avvicinarlo quando si
era resa conto che era come lei, e facendole promettere che in ogni caso lo
avrebbe protetto e difeso che chiunque avesse cercato di fargli del male o di
approfittare del suo buon cuore.
E invece, era successo esattamente l’opposto.
Più il tempo passava, e più le loro avventure
andavano avanti, era stato sempre Yugi a proteggere
lei, tirandola fuori da brutte situazioni più di una volta, e così i ruoli
avevano finito per invertirsi, cosa che quello Yugi
così freddo e spietato non mancò di puntualizzare.
«È sempre stato così. Sono sempre stato io
quello che ha posto rimedio alle situazioni più difficili, e che ha protetto tutti.
Tu, invece, sei mai riuscita davvero a
proteggermi?»
«Però… però non è
ancora finita.»
«Non è finita, dici!? Ma ti rendi conto di
dove siamo? Se non è finita ora, quando dovrebbe esserlo?».
Anzu non
voleva accettare che fosse così; ma a differenza di poco prima, sentiva di non
avere più la forza di lottare, tanto quelle parole le facevano male.
Continuando
a correre e a chiamare i suoi amici per un tempo indeterminato, Yugi riuscì infine a ritrovare almeno Anzu,
trovandola seduta in terra in un punto imprecisato di un lungo corridoio seduta
in terra appoggiata al muro.
Stava piangendo, ma non c’era di che essere
sorpresi; una simile situazione avrebbe spaventato e sconfortato chiunque.
«Anzu!».
Lei però, come sentì la sua voce, strinse i
denti come per rabbia, e quando lui tentò di sfiorarla la ragazza prima rifuggì
il contatto e poi si alzò violentemente in piedi, allontanandolo con una spinta
e buttandolo a terra.
«Tu sei insopportabile, Yugi!
Io ti odio!»
«Anzu, ma…» disse Yugi spiazzato e
sconvolto
«E non guardarmi con quegli occhietti da
bambino spaventato! È stato proprio quello sguardo a tradirmi.»
«Tra… tradirti!?»
«Sia maledetto il giorno in cui sono voluta
diventare tua amica! Se non lo avessi fatto, tutto questo non mi sarebbe mai
accaduto!»
«Ma… ma io…»
«Tu sei solo. Sei sempre stato solo. E la cosa
incredibile è che non hai mai fatto niente per cercare di cambiare le cose. In vita
tua non hai mai preso una decisione. Hai sempre lasciato che altri lo facessero
per te, o mi sbaglio?».
Non aveva tutti i torti.
Se c’era una cosa in cui Yugi
sentiva di non essere mai stato bravo, questa era proprio il saper prendere in
mano le redini della sua vita; per molto tempo si era semplicemente lasciato
trasportare dalla corrente, lasciando che il tempo, il destino o altri
decidessero e agissero per lui.
La prova era nel fatto che quasi tutte le
sfide che gli si erano presentate davanti, e che lui bene o male aveva
affrontato, le aveva superate quasi esclusivamente con l’aiuto dell’Altro Yugi, o di chi per lui.
«Sai una cosa, Yugi?
Io sono stufa marcia di questa situazione. E scommetto che anche Honda e Jounouchi la pensano così. Tu e il tuo amico faraone ci
avete messo in un guaio dietro l’altro. E per quanto l’abbia stipulato con
tutto il cuore ed i migliori propositi, il patto di amicizia non prevedeva che
saremmo dovuti morire tutti per una questione che riguardava solamente te e Atem.
Che diritto avevate voi di decidere delle
nostre vite?»
«Mi… mi dispiace.»
rispose Yugi sull’orlo delle lacrime
«Da quando ti sto vicina, ho sofferto più di
quanto avrei mai voluto. Ho sofferto così tanto che il muore, se un cuore ce l’ho
ancora, non ce la fa più. Che mi importa di reincarnarmi con te, e di
preservare questo legame?
È stato proprio questo legame ad ucciderci
tutti».
Quindi, Anzu si
voltò, con gli occhi iniettati di rabbia.
«Vorrei non averti mai conosciuto! Vorrei che
fossi rimasto solo!».
Improvvisamente, tutto il tempio prese a
tremare, come se la voce tonante e spaventosa di Anzu
avesse avuto il potere di scuotere tutto l’oltretomba.
Yugi sentì le
mattonelle ed i piastroni tremare sotto i suoi piedi, e prima che potesse
accorgersene una voragine si aprì sotto di lui, facendolo sprofondare in un
abisso dai mille colori.
Il ragazzino urlò con tutta la sua voce, chiudendo
gli occhi per la paura e chiamando con tutta la sua voce i nomi dei suoi amici,
ignaro del fatto che anche loro, nel medesimo istante, stavano provando la
stessa sensazione.
Come se la mente avesse potuto vedere per lui,
gli sembrò di attraversare il tempo e lo spazio, fino a ritrovarsi al di sopra
di una città, una grande città affacciata sul mare.
La caduta continuò, sempre più veloce ed
inesorabile; come una meteora giunta dallo spazio attraversò le nuvole, lambì i
palazzi, precipitando dritto sul tetto blu – verdognolo di uno strano e curioso
edificio situato proprio al centro di una specie di piazza.
Spaventato, urlò di nuovo, mettendosi a sedere
sul letto.
Prima ancora di rendersi conto di cosa fosse
successo o di dove si trovasse, la prima cosa che Yugi
sentì fu un tremendo mal di testa. Si sentiva confuso, disorientato, e non gli
riusciva di organizzare correttamente i propri pensieri.
«Ma cosa… cosa è
stato?» disse guardandosi attorno.
Era nella sua stanza, al secondo piano del
negozio di giochi del nonno. Dalla finestra entrava un bel sole di metà
primavera, avvisaglia di quella che sarebbe stata sicuramente una splendida
giornata.
«Era… un sogno!?»
disse sempre più confuso.
Nota dell’Autore
Salve a tutti!^_^
Eccoci arrivati al
penultimo capitolo!
È molto lungo, lo so.
In teoria sarebbe dovuto essere più corto, ma calcolando quello che avrei
dovuto scrivere nel successivo e quanto avevo scritto quando avevo calcolato di
fermarmi, ho deciso di andare più a fondo, fermandomi qui, così da creare anche
la giusta suspance in vista del gran finale.
Ma non disperate.
A meno di imprevisti,
già martedì dovrei poter inserire il prossimo, e mercoledì il tanto sospirato
epilogo.
Anche perché, a dirla
tutta, sta per iniziare il periodo universitario peggiore dell’anno, e da qui
ai primi di luglio avrò una tesina dietro l’altra da dover scrivere, quindi
devo liberarmi il prima possibile.
Grazie come sempre ai
miei lettori e recensori, e a risentirci. Ora scappo che devo cenare!
Era molto strano; sentiva come se ci fossero
delle cose che doveva per forza riuscire a ricordare, ma che per qualche
misterioso motivo aveva finito per dimenticare.
Poi, però, pensò che era normale sentirsi così
al primo risveglio, soprattutto dopo che si era fatto un sogno molto spaventoso
o molto strano come quello dal quale sentiva di essersi appena svegliato, e quando
il mal di testa cominciò ad attenuarsi rapidamente prese a non pensarci più.
Sceso giù dal letto e vestitosi per la scuola,
scese al piano di sotto già pronto ad uscire.
«Nonno?» disse entrando in cucina.
La colazione era già pronta e preparata sul tavolo,
ma suo nonno non c’era; o era già in negozio, oppure era uscito per qualcuna
delle sue commissioni.
Con poca voglia Yugi
mangiò qualcosa, ma visto che era tardi dovette andare via quasi subito senza
neanche il tempo di cercare suo nonno per augurargli la buona giornata, che
tuttavia riuscì ad intravedere al bancone del negozio intento a leggere il
giornale.
Un attimo prima di uscire, però, ebbe una
strana sensazione, come se gli mancasse qualcosa, qualcosa di importante che
aveva sempre tenuto con sé. Senza sapere perché, si portò una mano sul collo,
quasi avesse la certezza di trovarvi qualcosa, forse un pendente, o una specie
di collana.
Eppure, non ricordava di aver mai posseduto
niente del genere; a ragione di ciò, decise di non pensarci e si rimise a
correre, anche perché il tempo il tempo correva inesorabile.
Domino City sembrava stranamente calma, quasi
irreale.
Né rumori inconsulti, né fracasso né altro;
semplicemente, la quiete della solita routine quotidiana, fatta di gente che
andava al lavoro, casalinghe che rassettavano e ragazzi che andavano a scuola,
proprio come lui.
Giusto per il rotto della cuffia, per evitare
di essere lasciato fuori, Yugi riuscì ad arrivare al
suo liceo un attimo prima che chiudessero il cancello, raggiungendo velocemente
la sua classe.
«Buongiorno a tutti!» disse entrando.
Nessuno dei suoi compagni rispose, ma d’altra
parte non è che fosse una novità; da che aveva incominciato il liceo non era
mai riuscito a legare con nessuno, e il massimo che riusciva ad ottenere era un
saluto distratto quando incrociava qualcuno.
Brutta cosa la solitudine, soprattutto alle
superiori; lui col tempo ci aveva fatto l’abitudine, ma era comunque una
situazione molto triste, che lo turbava e lo incupiva.
Yugi si
sedette giusto un attimo prima che arrivasse il professore, ma solo dopo
l’inizio della lezione si accorse del fatto che c’erano tre banchi vuoti, cosa
della quale nessuno sembrava essersi accorto, neanche il docente al momento di
fare l’appello.
Non sapeva perché, ma Yugi
sentiva che quelli non erano banchi senza padrone pronti ad accogliere un
eventuale nuovo alunno, ma per quanto si sforzasse non riusciva proprio a
ricordare se fossero mai appartenuti a qualcuno, ed eventualmente a chi.
Ma qualcuno, a quei banchi, vi era davvero
seduto, qualcuno che lui non poteva vedere, e che a sua volta non poteva vedere
né lui né gli altri, in uno strano e inquietante gioco di equivoci ai limiti
del razionale.
Anche durante la pausa pranzo, fu la solita
storia; Yugi mangiava da solo, seduto al suo banco,
mentre tutto intorno i suoi compagni conversavano e stavano insieme.
Nel mentre, sul tetto, anche una ragazza
pranzava in solitudine, con la sola compagnia del suo cestino e della musica
del suo lettore.
Si chiamava Anzu,
viveva da sola perché i suoi genitori lavoravano fuori città, e come Yugi non ricordava l’ultima volta che aveva avuto un amico,
o che qualcuno si era avvicinato a lei.
Con sguardo perso, la ragazza osservò accanto
a sé; non sapeva perché, ma oltre al suo la sera prima aveva preparato, e
finito per portare inconsapevolmente con sé, altri tre cestini.
Per chi potevano mai essere? Per lei no di
sicuro, visto che mangiare non era la sua passione. Volendo evitare che
andassero sprecati provò ad offrirli ad un trio di ragazze intente a conversare
appoggiate alla rete, ma di tutta risposta venne bellamente ignorata, come non
fosse neanche esistita.
L’oggetto della discussione delle due ragazze
erano, ovviamente, i compagni più attraenti, alcuni dei quali erano in quel
momento in cortile intenti a giocare a calcio.
Tra loro un ragazzo biondo, Jounouchi, che però se ne stava in disparte, appoggiato al
tronco di un ciliegio in fiore che gli faceva ombra con lo sguardo crucciato e
l’espressione insoddisfatta.
Jounouchi non era
mai stato un campione di buone maniere, così, per quanto carino e attraente
potesse essere, si era sempre ritrovato solo come un cane, anche e soprattutto
per via del suo carattere bellicoso che lo portava spesso a menare le mani, e
che più di qualche vota lo aveva messo persino nei guai con la polizia.
Del resto la sua non era mai stata una vita
facile; con genitori separati, aveva un padre alcolizzato, una madre che
preferiva la carriera alla famiglia e una sorella minore che non aveva mai
conosciuto, tanto erano separati.
Tutte quelle sofferenze avevano finito per
renderlo insensibile al mondo esterno, spingendolo a rifuggire qualunque tipo
di contatto umano e a preoccuparsi solo di sé stesso.
Eppure, sentiva che una parte di lui non era
d’accordo, e che forse non era sempre stato così.
Forse c’era stato un tempo in cui aveva avuto
degli amici, dei veri amici, dei quali potersi fidare e su cui poter sempre
contare. Ma pensandoci gli venne quasi da ridere, visto il suo carattere, e
rapidamente se ne dimenticò.
Nel suo starsene in disparte senza far niente,
Jounouchi era osservato di sottecchi da Hiroto Honda, autoproclamato presidente del Club per
l’Abbellimento, del quale era unico iscritto, intento in quel momento a pulire
il corridoio all’aperto che conduceva in palestra.
Anche Honda, essendo sempre stato solo, poteva
capire cosa stesse provando Jounouchi, ma per lo
stesso motivo sentiva di non poterlo avvicinare, perché proprio come lui aveva
paura di qualsivoglia contatto umano. Il suo aspetto leggermente da teppista
gli aveva sempre creato problema nelle relazioni interpersonali, ma già alle
scuole medie aveva deciso di non pensarci più e di continuare con la sua vita
come più gli aggradava.
Al
termine delle lezioni, come al solito, Yugi si rimise
subito in marcia per fare ritorno a casa.
A differenza della maggior parte degli altri
studenti non faceva parte di un club, né di una squadra sportiva o
intellettuale; non aveva nessun talento particolare, quindi niente da poter
sfruttare in qualcuna di quelle attività.
L’unica cosa in cui era bravo erano i giochi,
ma purtroppo non c’era un club di giochi, ed era certo che neanche provando a
fondarne uno avrebbe ottenuto qualcosa.
E poi, il tempo dei giochi come li intendeva
lui ormai era finito.
Ormai videogames,
giochi interattivi e altre cose simili la facevano da padroni; persino il
nonno, nonostante tutta la sua avversione a questo genere di cose, si era visto
costretto ad allestire nel suo negozio un reparto videogames
per poter tirare al domani.
Mentre percorreva il viale principale, lungo
la strada passò una lussuosa limousine nera con il finestrino abbassato,
cosicché Yugi, che in quel momento si stava
concedendo il piccolo piacere di un gelato, poté scorgere chi vi era dentro.
Quasi non ci volle credere quando vide che si
trattava di SetoKaiba, il
padrone di Domino.
Non lo aveva mai visto di persona né
conosciuto, ma non c’era persona che non lo conoscesse in città; Domino City
era praticamente sua e della sua multinazionale, la Kaiba
Corporation, attiva soprattutto in ambito militare.
Yugi avvertì
un certo senso di inquietudine quando Seto, mentre la
sua macchina era ferma ad un semaforo, gli rivolse un breve sguardo,
accompagnato da un senso come di malessere, un peso al cuore che il ragazzino
non riuscì a spiegarsi.
Per un istante, ebbe quasi l’impressione che SetoKaiba non fosse del tutto un
estraneo per lui; anzi, una parte di lui era sicura di conoscerlo, e molto bene
anche.
All’improvviso Yugi
si sentì pervadere la mente di strani ricordi, immagini insulse ed impossibili
di battaglie, sfide, duelli ad un qualche gioco sconosciuto e misterioso; e poi
avventure, viaggi, ma soprattutto persone. Vedeva tre volti, tre immagini
indistinte che non gli riusciva di identificare, e più ci pensava più la testa
gli faceva male, producendo un fischio che minacciava di spaccargli i timpani.
«Che cos’è?» disse cadendo in ginocchio, senza
che nessuno muovesse un dito per aiutarlo «Basta!»
Contemporaneamente, da tutt’altra parte, anche
Anzu stava tornando a casa dopo la scuola, quando le
capitò di assistere casualmente ad una esibizione di strada di alcuni ballerini
di hip-hop che stavano dando spettacolo richiamando attorno a sé una piccola
folla.
Vedendola, si sentì strana, provando un senso
come di nostalgia, e istintivamente si portò una mano sul cuore e chiuse gli
occhi; non aveva mai provato interesse per questo genere di cose, eppure in
quel momento se ne sentiva attratta, come se i suoi pensieri la stessero
tradendo.
Perché provava una cosa del genere?
Anche lei, d’improvviso, si sentì la testa
scoppiare, dilaniata da un fischio insopportabile. Cosa erano quelle immagini
che le sembrava di scorgere chiudendo gli occhi per il dolore?
A scuola intanto, Jounouchi,
che si era fatto pizzicare per l’ennesima volta a ronfare a lezione, per
punizione era stato costretto a ripulire la piscina, e armato di retino stava
recuperando di malavoglia i petali e le foglie che galleggiavano sulla
superficie.
Era così poco interessato a quello che stava
facendo che, messo un piede in fallo, scivolò e precipitò in acqua.
«Ma bene!» sbraitò riemergendo «Peggio di così
non può andare».
Nel tornare alla scaletta, i suoi occhi si
posarono casualmente sulla finestra della loro aula, che si affacciava proprio
sulla piscina, e di colpo un lampo gli si accese nella mente.
Gli parve di ricordare qualcosa, e per un
attimo gli parve di vedere sé stesso lanciare qualcosa, una specie di sasso
luminoso, dritto in piscina, e subito dopo di ritrovarsi in quella stessa
situazione, vestito ed immerso nell’acqua.
Ma di cosa poteva trattarsi?
Non ricordava che gli fosse mai capitato
niente del genere.
Di colpo, un attimo dopo essere tornato
all’asciutto, avvertì un tremendo dolore in tutto il corpo, mentre altre
immagini, ancor più sfocate e indistinguibili, facevano a botte con la sua
mente per riuscire ad emergere; stavolta gli pareva di vedersi seduto in terra,
pieno di lividi come dopo una delle sue risse, con un grosso bestione che lo
sovrastava.
Non era solo. C’erano altre due persone, una
seduta accanto a lui ed un piccoletto coi capelli a punta frapposto tra loro e
quella specie di gorilla, ma per quanto si sforzasse non riusciva a
distinguerne i volti.
«Basta, non ce la faccio più!» urlò Jounouchi tenendosi la testa «Non ne posso più di questo
fischio! Qualcuno lo faccia smettere!».
Infine, in un altro punto della scuola, Honda
si era intrattenuto come suo solito a sbrigare delle pulizie e a rimettere
apposto. Per quanto venisse criticato fin quasi alla presa in giro per quello
che faceva amava molto il suo incarico di membro del comitato di abbellimento,
considerandola forse l’unica cosa buona che avesse mai realizzato in tutta la
sua vita.
Così come Yugi e gli
altri, anche lui ebbe un sussulto improvviso quando un trio di ragazze di
ritorno dalle attività del proprio club gli passò accanto senza degnarlo di uno
sguardo. Tra di loro c’era NohsakaMiho, che lui ben conosceva; aveva sempre sognato di farle
la corte, ma poi non aveva mai trovato il coraggio anche solo di rivolgerle la
parola.
Ma se era così, cos’erano tutti quei flash che
avevano preso di colpo a farsi strada nella sua mente?
Forse Miho non era
poi così estranea per lui. E come lei, anche altri tre ragazzi, compagni di
vita e di avventure, che non riusciva a vedere, indistinti e intangibili in
quei sedicenti ricordi dei quali non restavano che pochi e confusi flash.
«La testa.» disse cadendo in ginocchio «Che
male!».
Senza
sapere perché, come attratto da una voce misteriosa che gli diceva per farlo, Yugi corse come un forsennato alla piazza dell’orologio, trovandola
insolitamente poco frequentata.
Aveva visto quel posto tante volte, ci si era
fermato spesso, ma non gli aveva mai dato granché importanza, anche perché si
trattava del luogo notoriamente più utilizzato per darsi appuntamenti o
incontrarsi con gli amici, tutte cose che lui non aveva mai potuto fare.
Eppure, una forza invisibile sembrava averlo
spinto fin lì, come se quello fosse stato il teatro di un evento importante,
forse legato a quei frammenti di memoria che non gli riusciva di recuperare.
Di nuovo, quel fischio alla testa minacciò di
assordarlo, ma per fortuna stavolta risultò più breve, anche se molto più
intenso e doloroso; era come se ogni attacco risvegliasse una parte di ricordi
perduti, e senza sapere perché Yugi si portò proprio
sotto l’orologio.
Improvvisamente, come se avesse percepito una
minaccia, guardò verso l’alto, immaginandosi di vedere qualcosa sospeso sopra
la piazza, come una specie di enorme sfera che pulsava e si agitava come un
ammasso di carne viva.
Non ci stava capendo più niente. Avvertiva
paura, dubbio, incertezza, per cose che non riusciva a ricordare, e che
andavano ben oltre i limiti del possibile, se quei frammenti, che intanto si
stavano trasformando in una specie di brevi allucinazioni, fossero stati reali.
I mal di testa intanto continuavano senza
sosta, e ad ogni nuovo capogiro qualcosa diventava un po’ più chiaro.
Strani flash presero a farsi strada nella sua
mente. Ricordi forse, di avventure, battaglie; ma soprattutto, di amici. La
consapevolezza di avere qualcuno accanto.
Di colpo, Yugi
avvertì una sensazione stranissima, e mentre tutto attorno a lui diventava più
distante e intangibile di quanto non fosse mai stato, avvertì per la prima
volta da che aveva memoria di non essere solo.
E non era solo in senso metaforico.
Aveva la sensazione vera, tangibile, che ci
fosse qualcuno accanto a lui, presenze eteree che non gli riusciva di vedere,
ma non per questo meno reali.
Erano tre. O forse quattro. No, sicuramente
erano tre.
«Noi…» disse
parlando al vuoto «Noi ci conosciamo?».
Seguì un lungo silenzio, come ci si
aspetterebbe da chi sta parlando da solo; ma poi, dopo essersi sforzato di
credere che potesse accadere, il ragazzino credette
di sentire una risposta, viva e tangibile come se chi parlava fosse stato
proprio di fronte a lui.
«Credo di sì.» disse una voce femminile.
Anzu, Honda e Jounouchi infatti erano lì, proprio accanto a lui, ma anche
se nessuno di loro vedeva l’altro o ne riconosceva la voce, sapevano di non
essere da soli, né di stare parlando con l’aria. Glielo diceva l’animo, lo
stesso che li aveva condotti lì contro la loro volontà, e che ora sembrava fare
di tutto per spingerli a ricordare.
Jounouchi si
sentiva un po’ stupido, e continuava a ripetersi che era tutto nella sua testa,
che in quel posto era da solo e che stava parlando col muro come uno svitato di
prim’ordine.
Honda invece, da inguaribile romantico,
cercava di pensare che era tutto vero, e che quelli che si agitavano nella sua
testa erano veri ricordi, che dovevano solo essere rimessi apposto.
«Ma voi…» disse Yugi «Voi chi siete?»
«Questa è una bella domanda.» rispose un’altra
voce, quella di Jounouchi «Al momento, l’unica cosa
che credo di essere è un completo pazzo. Non solo sento le voci nella mia
testa, ma ci parlo pure.»
«Questa voce io la conosco.» disse una terza
voce «Mi ricorda quella di un tonto, qualcuno che sa solo mettersi nei guai.»
«A chi hai detto tonto, specie di scimmia di
montagna?».
Yugi rise, e
anche Anzu; una risata molto famigliare, che sembrava
risvegliare tante cose, tante altre risate simili dimenticate.
Lentamente, i pezzi sembrarono andare al loro
posto.
Yugi cominciò
a ricordare qualcosa, mentre quei tre volti così sfocati sembravano farsi un
po’ più nitidi; ricordi di avventure, di viaggi, di tanti momenti difficili,
tutti superati da una forza che non si poteva vedere né mostrare, ma che
nonostante ciò aveva sempre dimostrato tutto il suo potere.
Di colpo, il ragazzino sentì il richiamo
irrinunciabile di fare qualcosa, e alzata la mano destra la mise davanti a sé;
un gesto semplice, all’apparenza senza senso, ma che invece rivelò subito il
potere di smuovergli l’animo.
«Era un patto.» disse.
Poi, come per magia, un’altra mano comparve
accanto alla sua, diventando sempre più nitida e tangibile.
«Una forza capace di superare ogni cosa.»
disse Anzu.
Non passò molto, prima che altre due mani si
materializzassero a completare il simbolo.
«Una forza che sfida il tempo e lo spazio.»
disse Jounouchi
«Che ci tiene uniti in ogni situazione.» disse
Honda
«Che sfida e vince ogni cosa.» disse Anzu.
Yugi alzò gli
occhi, incrociando quelli dei suoi amici ritrovati, che a loro volta lo
guardarono.
«Che vince la morte stessa».
I quattro amici sorrisero, mentre quel legame
tornava ad unirli, rinsaldando un’amicizia che qualcuno aveva mettere alla
prova, al fine di dimostrare che essa era davvero qualcosa di speciale,
impossibile da distruggere, e con un potere tale da compiere un miracolo: il
miracolo.
All’improvviso, l’atmosfera si fece un po’ più
tetra, ed i ragazzi, alzato lo sguardo verso un’unica direzione, videro
comparire di fronte a loro le copie di loro stessi, quei fantocci fasulli ai
quali avevano finito per dare retta, finendo per mettere a rischio quel legame
che era la loro forza, ma che alla fine si era rivelato più forte di quanto
forse gli stessi artefici di quel gioco crudele avrebbero potuto immaginare.
«Il nostro legame non è così facile da
spezzare!» gridò Yugi.
Le quattro figure parvero tramutarsi in fango,
e mentre tutte le altre persone scomparivano, ed il cielo si tingeva di nero,
si amalgamarono tra di loro in una sorta di enorme vortice, fino a produrre le
fattezze mostruose e gigantesco Ammit.
«Guarda chi si rivede.» disse Jounouchi «È proprio vero, le cattive compagnie sono come
gli scarafaggi. Non te ne liberi mai».
Il Dia Dhank a quel
punto ricomparve al suo polso, così come a quello di tutti gli altri, cosicché
i ragazzi poterono nuovamente evocare i rispettivi ka.
«E ora, mandiamo al tappeto questo mezzo
ippopotamo!» disse Honda.
Ammit sputò contro
i ragazzi una fanghiglia marrone ardente come il magma, ma l’Angel Joan
protesse energicamente tutti con uno scudo e subito dopo iniziò il
contrattacco.
Nonostante la sua forza e le sue molte
abilità, tra le quali spiccavano le capacità di sprigionare tentacoli carnosi
da ogni parte del suo corpo e generare altri mostri più piccoli e insidiosi dai
pezzi di carne che venivano fatti volare via, Ammit
aveva delle forme imponenti, quasi mastodontiche, ed era perciò molto facile da
colpire, nonostante la sua agilità piuttosto considerevole.
I ka dei ragazzi
prima lo circondarono, poi presero ad attaccarlo contemporaneamente da ogni
direzione, fornendosi aiuto reciproco nel caso in cui uno di loro si trovava in
difficoltà o veniva raggiunto ed avvinghiato da uno di quei tentacoli.
«È questa la nostra forza!» disse Yugi.
Come ultimo atto, e quando ormai Ammit era stato quasi completamente piegato, Angel Joan, lo
Spadaccino e il Soldato Gadget si tramutarono in sfere di luce, che confluirono
tutte verso lo scettro del Mago Silente, mutandolo in una sorta di
avveniristica lancia-fucile che il mago puntò contro il mostro agonizzante.
Dall’arma si produsse una scarica luminosa
tanto potente da sventrare il terreno al suo passaggio, e colpito in pieno Ammit esplose quasi subito, tramutandosi in cenere e
scomparendo dopo aver lanciato un assordante ruggito di dolore.
«Ce l’abbiamo fatta!» disse Anzu.
I quattro amici a quel punto si guardarono
nuovamente tra di loro, sorridendosi.
«Vi chiedo scusa.» disse Yugi
«Scusate se per un momento ho dubitato di voi.»
«Vale anche per me.» disse Jounouchi
«Anche per me.» disse Honda
«E anche per me.» disse Anzu
«Ma dopotutto, anche in questo sta la forza del nostro legame. Anche se hanno
cercato prima di dividerci, e poi di spingerci a dimenticare, il filo che ci
tiene uniti nonostante tutto non si è spezzato.»
«Parole sante.» disse Jounouchi
«Una prova in più che neppure la morte, o i giochi subdoli degli amici del
faraone, sono stati capaci di dividerci.»
«Avevi ragione tu, Anzu.»
disse Yugi «Il nostro è davvero un legame
indissolubile. E lo sarà per sempre.»
«Toki no OwariMade.» disse Honda
rievocando la frase con cui avevano iniziato la loro avventura «Fino alla Fine
del Tempo».
In quella la città sembrò sgretolarsi di
colpo, come una sfera di vetro che viene distrutta dall’interno, e sotto di
essa, mentre i pezzi svanivano, comparve una nuova Domino City, quella vera, avvolta
nella luce del tramonto.
«E adesso che succede?» chiese Honda.
Erano ancora nella piazza, stavolta animata
della sua solita vita. E di colpo, tra le gente che l’affollava, Yugi vide suo nonno, seduto ad una panchina proprio sotto l’orologio
che guardava il pavimento.
«Nonno!».
Yugi sentiva
che stavolta non si trattava di una visione o un’allucinazione; quello era
davvero suo nonno, e quella era davvero la piazza di Domino.
«Attento Yugi.»
disse Jounouchi vedendo l’amico che si avvicinava
«Potrebbe essere un’altra illusione.»
«No, non è un’illusione. Quello è davvero il
nonno».
Yugi gli si
avvicinò, chiamandolo, ma l’anziano non diede segno di aver sentito, seguitando
ad osservare i colombi che beccavano i resti del popcorn che aveva con sé.
«Nonno, sono qui. Mi senti? Nonno!»
«È inutile, Yugi.»
disse Anzu «Se questa è davvero Domino, lui non può né
vederci né sentirci.»
«Ha ragione.» disse Jounouchi
«Noi qui siamo solo dei fantasmi».
Passarono alcuni minuti, durante i quali Yugi continuò a guardare suo nonno, mentre una forza
misteriosa, come un ordine sovrannaturale, gli impediva di provare a toccarlo,
forse perché sapeva che sarebbe stato inutile.
«Signor Muto!» si sentì dire all’improvviso.
Sugoroku alzò gli
occhi, e così anche i ragazzi, e colui che rimase più colpito di tutti fu Jounouchi.
«Shizuka!?» disse
vedendo la sua adorata sorellina sopraggiungere nella piazza
«Oh, Shizuka.» disse
il nonno alzandosi dalla panchina «Che piacere vederti.»
«Anche per me è un piacere. Che cosa ci fa
qui, signor Muto?»
«Non saprei. D’un tratto, ho come sentito il
bisogno di venire qui.»
«Incredibile. È la stessa cosa che è accaduta
a me. Di colpo, ho avuto come la sensazione che qualcuno mi stesse chiamando».
Yugi e gli
altri erano molto confusi, e non capivano bene cosa stesse succedendo.
Ma le sorprese, erano solo all’inizio.
Dopo poco, alla spicciolata, e mentre la
piazza si svuotava, arrivarono anche altre persone. Prima Miho,
che fece sobbalzare Honda; poi Mai Kujaku, colpendo
sia Jounouchi che Anzu, e
infine, incredibile a dirsi, anche Seto e Mokuba.
Una forza sconosciuta, come un richiamo
irresistibile, li aveva condotti lì, facendoli rincontrare dopo tanto tempo
dall’ultima volta.
«E voi che cosa ci fate qui?» chiese Mai all’indirizzo
di Seto e Mokuba
«Potremmo chiederti la stessa cosa.» rispose Seto alla sua solita maniera
«Era da molto tempo che non ci ritrovavamo.»
disse Sugoroku «Tu in particolare, Seto. Non ti vedo dal giorno del funerale».
A quel punto i ragazzi capirono che il tempo
era davvero un concetto relativo. Se, ai loro occhi, l’avventura che avevano
appena vissuto poteva essere durata al massimo uno due giorni, era evidente,
anche a giudicare dall’aspetto di Shizuka e Mokuba, che sulla Terra doveva essere passato almeno un
anno dal giorno dello scontro con Seth.
Nel vedere comparire dinnanzi a sé le persone
che più avevano contato nell’arco della loro vita, i ragazzi furono presi da un
misto di amarezza, conforto e tristezza; forse, chi li aveva messi alla prova
aveva voluto ricompensarli per averla superata facendo incontrare loro, per l’ultima
volta, i loro affetti più cari.
Yugi e i suoi
compagni capirono che probabilmente non avrebbero avuto molto tempo a
disposizione, quindi dovevano sfruttarlo al meglio, e mentre Sugoroku e gli altri, quasi si fossero accorti della loro
presenza, volgevano tutti lo sguardo in una sola direzione, si avvicinarono.
«Miho-chan.» disse
Honda guardandola in volto.
Quasi subito però, come era già accaduto tante
altre volte, non riuscì a trovare il coraggio di parlare.
«Accidenti, che imbarazzo. Lo sai. Avrei voluto
dirti tutte quelle cose che alla fine non sono mai riuscito a dirti. A dire il
vero, avrei voluto anche un appuntamento, e una cena insieme, e una serata al
cinema, e…» disse passandosi una mano dietro alla
nuca, per poi però farsi un po’ più serio «Comunque, non sia mai che un giorno
ci rivedremo. E se dovesse accadere, allora cercherò di essere un po’ meno
imbranato.
Fino ad allora, a presto».
Jounouchi si
avvicinò a Shizuka, e per lungo tempo tutto quello
che riuscì a fare fu guardarla negl’occhi; anche lei sembrava guardarlo coi
suoi occhi speranzosi, pieni di innocenza e determinazione insieme.
«Chissà. Forse non sono stato un buon
fratello. Ci sono tante cose nella mia vita delle quali adesso mi pento. Una di
queste, è il non aver fatto di più per te. Perché potessimo stare insieme.
Ho cercato con tutte le mie forze di proteggerti,
di starti vicino, e di fare in modo che avessi la migliore esistenza possibile.
Se dicessi che sono pronto a separarmi da te,
mentirei. Ma se sono davvero diventato una persona matura, come qualcuno
ritiene, riconosco che ora sei abbastanza grande e indipendente. da poter
andare per la tua strada. E forse, a ben pensarci, avrei dovuto deciderlo
prima, invece che continuare a riempirti di attenzioni come se fossi stata
ancora una bambina.
Spero perdonerai questo tuo fratello troppo
oppressivo, e ti prometto che, in un modo o nell’altro, noi due prima o poi ci
ritroveremo. Forse non mi riconoscerai, né ti riconoscerò io, ma in qualche
modo saremo sempre fratello e sorella. Questo lo spero con tutto me stesso.»
«Onii-sama…» disse Shizuka parlando al vuoto davanti a sé.
Jounouchi a quel
punto le passò gentilmente una mano sul volto, e lei parve quasi sentirla,
avvertendo un senso di tepore alla guancia che la fece sussultare.
Anzu andò da
Mai; dopotutto le doveva molto, e in quel momento non c’era persona con la
quale maggiormente desiderasse parlare.
«Nonostante tutto, penso che dovrei
ringraziarti. Mi hai insegnato molto su come andare avanti nella vita, ed
essere una buona compagna per il mio gruppo. Le tue lezioni mi sono state d’aiuto,
e anche se ci sarebbe da discutere su alcuni tuoi atteggiamenti, non si può
negare quello che hai fatto per me, e soprattutto per Yugi.
Spero solo che un giorno ci rincontreremo, e se
accadrà, lo faremo da eguali».
Infine, Yugi si
avvicinò a suo nonno, con gli occhi lucidi e cercando di essere il più forte
possibile.
«Grazie per tutto quello che hai fatto per me,
nonno.» disse sforzandosi di sorridere «Questo è tutto quello che riesco a
dirti. Non ti dimenticherò mai, non importa cosa accadrà. E anche tu, mi
raccomando, non dimenticarti di me. Sei stato il nonno migliore del mondo».
Yugi poi
guardò Seto, che abbasso gli occhi come se lo stesse
vedendo, anche se in realtà vedeva solo il vuoto.
«So che per te, cinico e razionale come sei,
sia difficile accettare l’idea che io possa essere qui. Ma una parte di te sa
bene che queste cose sono vere. Hai attraversato lo spazio ed il tempo per
aiutare Atem a riscoprire il suo passato.
E come hai aiutato lui, così hai aiutato anche
a me; grazie a te, a tutte le prove che abbiamo affrontato, e a tutte le battaglie
in cui ci siamo confrontati, sono cresciuto, diventando più forte e sicuro di
me, come non avrei mai pensato di poter essere un giorno.
Se questa cosa mi fosse accaduta quando ero il
vecchio me stesso, non credo che sarei stato capace di affrontarla. Ma grazie
all’aiuto che tu mi hai dato spronandomi continuamente, ho trovato quella forza
dentro di me. Quindi, in un certo senso, senza di te non sarei mai arrivato fin
qui.
Ti ringrazio, Seto. E
spero che un giorno, anche lontano, ci rivedremo».
In quella, una luce si accese alle spalle dei
ragazzi, tramutandosi in una sorta di portale che li avrebbe condotti al luogo
dove si sarebbe deciso il loro destino.
Jounouchi e Honda
quasi risero, ironizzando sul fatto che era proprio come lo si vedeva nei film,
poi però venne il momento di farsi seri.
Cercando di trattenere le lacrime, Yugi e tutti gli altri rivolsero un ultimo sguardo ai loro
cari, che a loro volta guardarono tutti nuovamente in una sola direzione, e ai
quali sembrava quasi di avvertire il tepore emesso da quel bagliore.
«Addio.» disse Yugi
per tutti «Staremo bene. Non state in pena per poi».
A quel punto, venne il momento di andare, ed i
ragazzi, giratisi, sparirono dentro la luce, che rapidamente si spense, mentre Sugoroku e gli altri furono pervasa da una irrefrenabile
voglia di piangere.
Yugi, Anzu, Jounouchi e Honda camminarono per un po’ immersi nella
luce, sereni e fiduciosi come sentivano di non essere mai stati.
Avevano messo alla prova il loro legame nel
modo più doloroso e risoluto possibile e avevano vinto, e questo bastava. Ora sapevano
bene cosa dovevano fare, ed erano più risoluti che mai.
D’un tratto, si ritrovarono magicamente
immersi nel nulla, con quattro gigantesche, enormi porte chiuse dinnanzi a
loro, come a volergli sbarrare la strada.
Tutto era bianco, un bianco splendente, e
nonostante non vedessero nessuno sentivano svariate presenze tutto intorno a
loro; una di queste prese corpo, rivelando le fattezze di Atem,
che si avvicinò ai ragazzi sorridendo di soddisfazione.
«Ben fatto, amici miei. Avete superato tutte
le prove che vi sono state messe davanti.»
«E che ti aspettavi?» disse Jounouchi «Questo e altro, è quello che possiamo fare.»
«Avete dimostrato una forza che noi stessi non
ci aspettavamo. Una dimostrazione ulteriore che i sentimenti umani e le
emozioni che possono generare vanno bene al di là di qualunque altra cosa,
incluso il potere di un dio.
Ora, è giusto il momento di ottenere ciò per
cui avete affrontato tutte queste insidie.» poi, inevitabilmente, il faraone si
incupì «Tuttavia, è anche il momento in cui dovrete fare la vostra scelta
finale. Come vi ho già spiegato all’inizio, solo tre di voi potranno rinascere
contemporaneamente.
Allora? Qual è la vostra decisione?».
Di nuovo, Yugi e gli
altri si guardarono tra di loro, scambiandosi degli sguardi di complicità ed un
cenno di assenso.
«Nessuno di noi.» rispose Yugi
«Come!?» ribatté Atem
confuso
«Lo hai sentito bene.» disse Jounouchi
«Rinunciamo alla possibilità di rinascere
insieme.» disse Anzu
«Non ha senso, se uno di noi sarà escluso.»
disse Honda «Quindi, tanto vale rinunciarci tutti.»
«Vi rendete conto di quello che dite? Potreste
perdervi per sempre.»
«Questo è impossibile, faraone.» rispose Yugi «E tu lo sai.»
«Fate di noi quello che volete.» disse Jounouchi «Fate nascere uno quando l’altro avrà cent’anni o
più, spediteci agli angoli opposti del creato, a milionardi
di milioni di dimensioni di distanza l’uno dall’altro.
Non farà alcuna differenza.
Il filo che ci lega non sarà mai spezzato. Lo avete
visto coi vostri occhi.»
«Il nostro legame è molto più importante del
semplice stare insieme.» disse Anzu «Le nostre anime
sono diventate una cosa sola. Non importa quanto lontani saremo. Questo legame
non si spezzerà mai.»
«Ben detto.» disse Honda «Noi ormai abbiamo
deciso».
Atem restò un
momento basito, poi chiuse gli occhi e guardò in basso.
«Molto bene».
I ragazzi si scambiarono un ultimo sguardo,
promettendosi col pensiero ancora una volta di restare uniti anche quando il
destino avesse scelto di dividerli, e augurandosi rispettivamente buona fortuna
per quello che sarebbe accaduto da lì in avanti.
Poi, il faraone sorrise, ed ecco che,
magicamente, le quattro porte si unirono tra di loro, trasformandosi in un
unico portone ancora più grande ed imponente, che sovrastava ogni cosa. I ragazzi
lo guardarono attoniti.
«Che significa questo?» chiese Yugi
«Era questa l’ultima prova che dovevate
superare.»
«Che cosa!?» disse Anzu
«Se voi aveste accettato la condizione che vi
avevo imposto nel momento di iniziare quest’avventura, avreste fallito
miseramente.
Ma voi non ci siete cascati. Non solo vi siete
offerti di essere separati pur di evitare che questa sorte toccasse ad uno solo
di voi, ma eravate pronti a farlo con il cuore sereno.
Eravate sicuri che il vostro legame sarebbe
andato ben oltre la semplice possibilità del rinascere insieme, che avrebbe
attraversato il tempo e lo spazio tenendovi uniti in ogni circostanza.
Ed era questa, e solo questa, la vera prova
che dovevate superare. Dimostrare una volta di più quanto quel legame fosse
forte.
E l’avete fatto. Vi siete conquistati il
vostro ben meritato premio».
A quel punto la porta, lentamente, si
spalancò, rivelando al suo interno un nuovo mare di luce, una luce ancor più
calda e piacevole di quella che i ragazzi avevano visto poco prima.
«Atem…» disse Yugi a bocca aperta
«Andate, ora. La vostra nuova vita vi
attende».
Yugi e gli
altri ancora non riuscivano a crederci. Jounouchi e
Honda, passato lo stupore, presero a saltare di gioia come due ebeti cantando
canzoni e facendo la samba abbracciati l’uno all’altro, Anzu
piangeva di meraviglia e di gioia e Yugi sorrideva
come non aveva mai fatto.
Di certo, come avevano detto e credevano
sinceramente, il loro legame andava ben oltre il semplice vivere e rinascere
insieme, ma certo era che questa prospettiva li faceva comunque sentire molto
più sollevati e speranzosi per il futuro.
«Addio, Yugi. Jounouchi. Anzu. Honda.» disse
sorridendo il faraone
I quattro ragazzi allora si avvicinarono alla
porta, fermandosi sulla soglia come timorosi, un timore del tutto legittimo
considerato quello che stava per accadere.
Anzu porse la
mano a Yugi, che la raccolse, e che la sua volta la
offrì a Jounouchi, che la offrì a Honda.
«Beh, ragazzi.» disse Yugi
con la voce che tremava un po’ «Allora… ci vediamo
presto.»
«Ci puoi contare.» disse Jounouchi
facendogli l’occhiolino «Goditi pure l’infanzia, perché stai certo che tornerò
a romperti le scatole molto presto».
A quel punto, Yugi e
i suoi compagni mossero un passo oltre la porta, che subito dopo si richiuse
alle loro spalle mentre Atem la osservava.
Mentre camminavano all’interno della luce, i
ragazzi sentirono la loro essenza farsi sempre più esile, fino a che non ebbero
la sensazione di stare come galleggiando nel nulla, trasportati da corrente
invisibile ma ancora, saldamente, stretti per mano.
«Chissà dove finiremo.» chiese Honda mentre
tutti assaporavano quelle sensazioni bellissime
«E chi può dirlo? Però non mi dispiacerebbe
rinascere in un mondo in stile fantascienza. Ci sarebbe da divertirsi.»
«Per carità. Molto meglio qualcosa del tipo
Periodo Edo.»
«Sarà quello che sarà.» disse Anzu
«Hai ragione.» disse Yugi,
mentre ognuno di loro cominciava a sentire, ma senza ansia o timore, di
rimanere da solo, a compiere la parte finale del proprio viaggio «A presto,
amici!».
Nota dell’autore
Eccomi qua!^_^
Bene o male, siamo
arrivati alla fine di questa breve storia.
Ora manca solo l’epilogo,
che pubblicherò probabilmente già domani, poi per qualche giorno dovrò tornare
a concentrarmi unicamente sull’università, ma confido di poter riprendere la
mia solita routine già da dopo il 5 giugno (giorno dell’esame di Retorica).
Prima che me lo
chiediate, sì, per questo capitolo, e soprattutto per la parte finale, sono
andato a rivedermi l’ultima sequenza di Ghost; ero a corto di idee, così sono
voluto andare a colpo sicuro per trovare l’ispirazione.
E allora? In che mondo
finiranno ora Yugi e il suo gruppo?
Vi sfido a
indovinarlo.
Se indovina Otaku, poi, per lui ci sarà una gradita sorpresa
riguardante “l’altra”fiction!
Fin dal momento in cui era riuscito ad
ottenere l’ammissione all’accademia militare di Celestis
sapeva bene che la sua non sarebbe stata una strada facile.
La differenza tra chi sapeva usare la magia e
chi no era ancora molto sentita all’interno delle forze armate, e soprattutto
dell’aeronautica.
Per anni aveva dovuto affrontare il giudizio e
la ritrosia di insegnanti e altri cadetti, che mal tolleravano la presenza di
qualcuno che non sapeva usare neanche l’incantesimo più semplice ed elementare.
Neanche il diploma conquistato a pieni voti
era riuscito ad accrescere la sua immagine, e in tutte le navi ed uffici dove
aveva servito era sempre stato trattato in modo piuttosto freddo, o comunque
sempre tenuto lontano da incarichi importanti o di alto prestigio.
Di scuola ufficiali non se ne parlava neanche;
a meno di non essere un mago di classe superiore o un raccomandato quel posto
era precluso a chiunque, e lui non era nessuna delle due cose.
Ridley aveva cercato con tutte le sue forze di
porre un freno a quell’avvilente situazione, mostrando tutto ciò di cui era
capace nella speranza di dimostrare come potesse essere un ottimo soldato pur
senza essere un mago, ma i risultati nonostante tutto continuavano ad essere
piuttosto deludenti.
Un altro punto a suo sfavore era la sua
altezza, piuttosto esigua, che lo rendeva inadatto alle mansioni da soldato nel
vero senso del termine.
Non che la cosa gli importasse; anzi, da
persona pacifica e mite quale era sapeva di non avere un futuro con un’arma in
mano. Il ramo operativo era la sua passione, e la sua specialità, ma nonostante
quello che aveva sempre pensato anche qui l’apparenza contava.
Il ragazzo, dopo anni di soddisfazioni mancate
ed incarichi irrilevanti, era stato quasi sul punto di arrendersi, adeguandosi
ad una realtà più grande di lui.
Poi, come un fulmine a ciel sereno, era arrivata
una lettera, e quando ne aveva letto il mittente per poco non era svenuto.
Il comandante Ross, della nave da guerra ed
esplorazione Sleipnir, era quasi una leggenda
nell’aeronautica di Celestis.
Aveva compiuto ogni sorta di missione,
giocando tra le altre cose un ruolo fondamentale nell’instaurazione di rapporti
diplomatici coi Lenians, gli uomini-felino, e i Nemoriani, gli uomini-angelo.
Da quando nel sistema occidentale Ogen era scoppiata la guerra civile, poi, la Sleipnir si era guadagnata una fama considerevole come nave
incaricata di dare la caccia a pirati e corsari che infestavano le rotte
commerciali e le spedizioni militari che dal sistema di Celestis
si recavano laggiù per andare a combattere.
In poche parole il comandante aveva sentito
parlare di lui, e voleva metterlo alla prova.
Con il cuore che batteva a mille e tutti i
nervi tesi si era recato ad un primo incontro conoscitivo, svoltosi in un caffè
vicino alla piazza principale della città, al quale però non si era presentato
il comandante Ross ma il primo ufficiale, il luogotenente Kane,
un biondino un po’ strambo non molto più grande di lui e dalle arie quasi da
spaccone, che dopo un breve incontro lo aveva subito messo alla prova
mettendogli davanti una serie di quesiti, calcoli e problemi che Ridley,
nonostante il nervosismo, aveva risolto senza problemi.
Dopo quell’incontro era passato qualche altro
giorno, poi era arrivata una nuova lettera, dove gli veniva detto che era stato
accettato e di presentarsi il martedì successivo allo spazioporto per il primo
incarico.
Ridley si sentiva letteralmente in paradiso.
Non aveva dormito per tutta la notte, e al
primo mattino, sacco in spalla, aveva lasciato casa e si era diretto a piedi
verso lo spazioporto.
Al sorgere del primo sole, la città
artificiale di Celestis splendeva della sua luce più
bella.
Costruita nell’acqua e sull’acqua, era
strutturata in modo quasi perfettamente circolare, poggiando sul oltre cento
isole artificiali tutte comunicanti tra loro.
Alzando gli occhi, erano ancora visibili le
tre grandi lune che gravitavano attorno al pianeta, e che data la loro estrema
vicinanza potevano raggiungere dimensioni incredibili, dando quasi l’impressione
di poterle toccare.
I palazzi e i grattacieli, bianchissimi e coperti
di vetro, splendevano come pietre preziose, cingendo e facendosi cingere a loro
volta da parchi, arboreti e zone verdi che solo a prima vista si litigavano lo
spazio col progresso, ma che in realtà erano immersi in una amorevole simbiosi.
Dopo aver distrutto scelleratamente il loro
mondo natale gli umani avevano imparati a fare tesoro dei propri errori, e raggiunto
il pianeta Celestis, composto per quasi quattro
quindi da acqua, vi avevano costruito una serie di città sospese sul mare o
nell’aria, per non arrecare danno alle terre emerse.
Prima delle nove, Ridley era già arrivato allo
spazioporto, situato su di un’isola a sé stante collegata al resto della città
per mezzo di un lungo ponte.
Al cancello esibì la sua tessera olografica,
visto che in posti simili non bastava portare la divisa bianco sporco per poter
entrare.
La Sleipnir era lì,
al molo undici, in tutta la sua imponenza e bellezza.
Vedendola così, con quella forma slanciata,
quel torrione di poppa quei muso smussato, quei quattro motori ausiliari che si
dipanavano dal corpo centrale, si poteva apprezzare appieno la maestosità e la
pregevolezza del suo disegno, che ne faceva una nave unica nel suo genere.
Pur appartenendo alla vecchia generazione non
aveva niente da invidiare alle navi più moderne, e lo provava il fatto che dopo
vent’anni di servizio fosse ancora in piena attività.
Non aveva molte armi, e comunque non molto
potenti, ma la sua velocità e maneggevolezza non avevano quasi rivali, questo
grazie al potente generatore che le faceva da carburante.
«Ci siamo.» disse guardandola, e si diresse
verso le rampe.
Il
comandante Rachel Ross, Randy per i membri del suo
equipaggio, era una giovane donna molto attraente, che nonostante i suoi “soli”
vent’annio poco più si era già fatta un
nome più che rispettabile nelle alte sfere dell’aeronautica.
I capelli castani né lunghi né corti facevano
da contorno ad un viso ben costruito, arricchito da due occhi di un
intensissimo blu, che esalavano ancor di più il suo indubbio fascino, ma che al
tempo stesso riflettevano una grande forza ed autorità.
Aveva ereditato il comando della Sleipnir da sua madre, proprio quando sembrava che per la
vecchia nave fosse ormai giunta l’età della pensione; e invece le aveva dato
nuova vita, rinnovando l’equipaggio e la catena di comando e circondandosi di
giovani intraprendenti e visionari, che con il loro ingegno avevano
rivoluzionato non solo la Sleipnir e la sua
architettura, ma il modo stesso di intendere la condizione di una nave.
Tra le altre cose, aveva scelto personalmente
i membri del suo ponte di comando, i Top 7th come venivano soprannominati.
Uno di essi, il vecchio Solomon,
era andato in pensione dopo quarant’anni di onorato servizio, e il comandante,
insoddisfatta dei possibili rimpiazzi all’interno del suo equipaggio, si era
messa alla ricerca di un sostituto, trovandolo in un giovane neo-diplomato
sottufficiale del quale aveva sentito parlare durante una visita alla sua
vecchia accademia.
Avrebbe voluto incontrarlo di persona nel
giorno della prova, ma anche se un impegno improvviso l’aveva costretta a
rinunciare la sola vista dei risultati dei test, unita al resoconto del suo
delegato, l’avevano convinta su due piedi.
La missione che stavano per iniziare, una
semplice scorta ad alcuni vascelli da trasporto destinate a rifornire le truppe
di Ogen di vettovaglie, armamenti e nuovi effettivi,
le avrebbe dato ragione, nonostante lo scetticismo di alcuni.
Come al solito, il comandante si presentò in
plancia molto presto.
Il ponte di comando era strutturato su due
livelli, con il primo, più alto, a costituire una sorta di balcone per il
secondo, situato leggermente più in basso; nel secondo livello trovavano spazio
il timoniere e gli altri ufficiali di rotta e controllo della nave, nel secondo
invece stavano i due addetti alle armi e ai sistemi difensivi.
In alto, al centro, sedeva il comandante.
«Buongiorno, Comandante.» disse il caporale Hawkins, l’addetta ai sistemi informatici, il solo soldato
della Sleipnir più giovane di lei
«Steiner e Kane?»
domandò quasi spazientita
«Non si sono ancora visti.» rispose il
sergente Ryo, uno dei tanti Lenians
entrati a far parte dell’esercito umano
«Al solito.» poi volse lo sguardo verso la
poltrona alla sua destra «E il nuovo arrivato?»
«Anche lui non si è ancora visto. Ma la
sorveglianza ci ha avvisati di averlo fatto passare.»
«D’accordo, vado a cercarlo. Voi preparate
tutto per la partenza. E nel frattempo, cercate anche di trovare quei due
scansafatiche».
Ridley intanto era salito a bordo, ma invece
che dirigersi subito al ponte di comando per il rapporto aveva finito per
concedersi un lungo e involontario giro turistico nei corridoi della nave,
rapito com’era dalla maestosità, e allo stesso tempo semplicità, degli ambienti
della Sleipnir.
Era così preso dal guardarsi intorno da
dimenticarsi di guardare davanti a sé, andando a scontrarsi ad un certo punto
con qualcuno che arrivava dalla direzione opposta e finendo col sedere per
terra.
«Mi scusi, non l’ho fatto apposta.» si affrettò
a dire
«Guarda dove vai, ragazzino!» tuonò una
perentoria voce femminile.
Il ragazzino alzò gli occhi, trovandosi di
fronte una giovane donna bionda con occhi ametista molto simili ai suoi; era
indubbiamente molto bella, ma anche parecchio minacciosa con quel suo sguardo
sprezzante e severo, per non parlare dei gradi di capitano cuciti sulla sua
uniforme da soldato.
«Mi, mi dispiace signore!» disse allora
scattando sull’attenti
«Non ti ho mai visto da queste parti. Sei nuovo?»
«Sottotenente Ridley Mutou
a rapporto! Sono il nuovo addetto ai sistemi difensivi della nave.»
«Ah, sì. Quello che viene a sostituire Solomon.
Io sono il capitano KujakuValentine, comandante delle truppe d’assalto a bordo
di questa nave. In futuro non capitarmi di nuovo tra i piedi, o potrei non
essere così bendisposta.»
«La… la ringrazio. E
le chiedo nuovamente scusa.»
«Questa nave è un’eccellenza nella nostra
aeronautica. Qui tutti sono tra i migliori, e tutti fanno il loro dovere. Sgarra
anche solo una volta, e prenderò personalmente a calci quel tuo micro-sedere, dopo che l’avrà fatto il comandante.»
«Fa… farò del mio
meglio».
Dopo poco che Ridley se ne fu andato, Valentine incontrò anche il comandante Ross; anche se in
pubblico tenevano fede alla differenza di grado che le separava, si conoscevano
da così tanto tempo che in privato non avevano alcun riserbo a darsi del tu,
comportandosi tra di loro come le amiche che erano.
«Randy. Mattiniera come
sempre.»
«Ciao, Valentine. È tutto
pronto per la partenza?»
«Come sempre. Del resto mi conosci. Sai che di
me ti puoi fidare.»
«Ovviamente».
Valentine non
riuscì a resistere alla tentazione di metterle una mano sulla testa, come
quando faceva quando erano più piccole e lei doveva consolarla ogni volta che
succedeva qualcosa.
«Sai, alle volte stento a riconoscerti.»
«E dai, smettila. Non sono più una bambina.»
«Stento a credere che tu sia la stessa che
veniva a piangere a casa mia ogni volta che le buttavano i libri di scuola
nella fontana.
Non c’è dubbio, l’accademia ti ha drizzata per
benino. Forse tua madre non aveva tutti i torti, dopotutto.»
«Senti, sto cercando il nuovo arrivato. Si chiama
Ridley.»
«Quel piccoletto con la testa a porcospino? Era
qui un attimo fa.»
«Capisco. E Taylor e Joey?»
«No. Ma se dovessi scommettere, direi in infermeria,
come al solito».
Taylor Steiner e JoeyKane erano rispettivamente il timoniere ed il primo
ufficiale, oltre che addetto agli armamenti, della Sleipnir.
Avevano entrambi un passato da teppisti,
questo fino a quando Randy non li aveva incontrati ai
tempi delle scuole superiori e spediti a forza di calci dentro una scuola
professionale dell’aeronautica da dove erano usciti con buoni voti e un grado
da sottufficiali.
Il loro rapporto con il comandante era alle
volte burrascoso, ma nel tempo avevano imparato a rispettarla, oltre che a
stare bene attenti a quello che facevano o ai commenti che si lasciavano
sfuggire sul suo conto.
Nonostante tutto erano due brave persone, e lo
provava il fatto che Randy aveva fiducia in loro più
che in qualsiasi altro dei suoi sottoposti.
Entrambi erano soliti frequentare molto spesso
l’infermeria della nave, ma non perché stessero sempre male, o perché avessero
voglia di parlare con Ak-na-din, il burbero Nemoriano che ne era il capo; il dottore infatti era
fiancheggiato da due giovani collaboratrici, tirocinanti universitarie relegate
ad un ruolo da infermiere fino al conseguimento della laurea.
Una era MindyNorald, una ragazza gentile e altruista, ma con la testa
troppo spesso tra le nuvole, l’altra invece era la sorella minore del primo
ufficiale, Serena Kane, che aveva scelto
spontaneamente quell’incarico pur di stare vicino a Joey.
Dei due ragazzi, il più assiduo frequentatore
dell’infermeria era certamente Taylor, che incapace di scegliere tra Mindy e Serena finiva sempre per fare la corte ora all’una
ora all’altra, a seconda di quella che gli capitava prima tra le mani.
Purtroppo Joey non
era per niente felice che qualcuno facesse la corte a sua sorella, soprattutto
quel donnaiolo incallito del suo migliore amico, e ogni volta che lo beccava a
fare il galletto, come quel giorno, puntuale arrivava la rissa.
Ridley stava attraversando il corridoio dove
si trovava l’infermeria quando si imbatté in Joey, intento
a sottomettere Taylor con una stretta al braccio sotto gli sguardi attoniti, e
in parte anche un po’ rassegnati, di Serena e Mindy.
«Te l’avevo già detto di non provarci con
Serena, o mi sbaglio?»
«Mi stai spezzando il braccio, accidenti a
te!»
«Fratello, ora basta».
Istintivamente, il ragazzo cercò di fermarli.
«Ehi voi, smettetela.» disse avvicinandosi
«Tu fatti gli affari tuoi!» rispose Joey, che poi però lo riconobbe, lasciando finalmente
andare il suo amico «Ah, guarda chi si vede. Il nuovo arrivato.»
«Signore!» disse Ridley mettendosi sull’attenti
«Sottotenente Ridley Mutou a rapporto, signore.»
«Via, via, niente formalità. Questa non è una
nave di bacchettoni.»
«Sarebbe lui il nuovo arrivato?» chiese Taylor
«Quello che ha totalizzato punteggio pieno nei test scritti dal comandante?»
«Proprio lui.»
«Non ho fatto niente di così straordinario.»
disse Ridley quasi con imbarazzo «Comunque, piacere di conoscervi.»
«Il piacere è tutto nostro.» disse Serena
«Vedrai che ti troverai bene qui.»
«Puoi ben dirlo.» disse Mindy
«Questa nave è una vera forza.»
«Dicono che è stato il comandante in persona a
sceglierti. Allora devi essere davvero speciale.»
«Beh, non so…»
«Senti, amico.» disse allora Taylor con
sguardo strano, quasi a voler mettere paura al ragazzino «Tu hai mai conosciuto
il comandante?»
«Beh, no.» rispose Ridley preoccupato «Non
personalmente, almeno. Lo conosco di fama.»
«Quello è falso, amico mio.» disse Joey facendo eco all’amico «È solo un’invenzione. Una copertura
per la stampa.»
«Da… davvero!?»
«Il comandante è una persona orribile. Una donna
senza pietà.»
«Ama punire e seviziare senza pietà i propri
sottoposti.» disse Honda «È una dominatrice. Una sadica sfruttatrice di
subordinati, che prova un irrefrenabile piacere sessuale nella dominazione e
nella sottomissione».
Serena e Mindy
ridevano nel vedere l’espressione attonita e un po’ spaventata di Ridley, ma di
colpo le loro espressioni cambiarono, e anche Joey e
Taylor sentirono i sudori freddi come avvertirono una presenza minacciosa alle
loro spalle, accompagnata da un rumore sordo e secco.
«Chi sarebbe una sadica dominatrice?» ringhiò
a bassa voce il comandante facendo fischiare nell’aria il suo adorato frustino
da cavallerizza, lo stesso con cui sua madre a suo tempo aveva sottomesso i
propri sottoposti.
I due ragazzi restarono di stucco, e dopo poco
erano entrambi a terra che venivano fustigati senza pietà dalla loro padrona;
era così che Randy li aveva tirati su dopo averli
tolti dalla strada, e così che continuava a ricompensarli per ogni sgarro o
parola fuori posto.
«Pietà! Pietà, mia regina!» continuava a
urlare Joey
«Non lo faremo più! Promesso!».
Il supplizio per fortuna durò poco, ma
abbastanza da costringere i due ragazzi bocca-larga ad una sosta in infermeria,
stavolta per curarsi.
Ridley si sentì scendere il latte alle
ginocchia; in che razza di nave era finito?
«Tu devi essere Ridley.» disse il comandante
voltandosi leggermente e fulminandolo con uno sguardo
«S…sì…»
«Vieni con me».
Non senza paura, anzi terrorizzato, Ridley
seguì il comandante fino sul ponte di comando.
«È stupendo.» commentò osservando la struttura
semplice ma funzionale della plancia
«Questa sarà la tua postazione.» disse Randy indicando la poltrona alla sua destra «E non fare
caso a quello che hanno detto quei due scapestrati. Gli unici con cui uso la
frusta sono loro.»
«Ca… capisco».
Poi, però, il comandante si fece nuovamente
serio.
«Tuttavia, sappi che dai miei uomini non mi
aspetto mai niente di meno del meglio. Su questa nave, tutti si devono
impegnare al massimo delle loro capacità. Rispetta questa regola, e sarai il
benvenuto».
Di colpo Ridley si sentì leggermente a
disagio.
Indubbiamente il comandante non era una
cattiva persona, ma a guardarla così non sembrava neanche il tipo di superiore
in grado di accettare scuse e fallimenti.
Sarebbe stato in grado di confrontarsi con un
ambiente simile.
«Non farti suggestionare, amico.» disse Joey palesandosi a sua volta assieme all’amico Taylor «Il
comandante qui fa la voce grossa, ma in realtà è un pezzo di pane.»
«Istinti sadomaso a parte, s’intende.»
aggiunse scherzoso Taylor
«Come prego?»
«No, no! Niente!».
Se un attimo prima Ridley si sentiva a
disagio, ora, invece, guardando quei ragazzi che avevano si e no la sua stessa
età, si sentiva quasi sollevato, e lo fu ancor di più quando tutti e tre si
volsero verso di lui facendogli un sorriso.
Era strano.
Per un attimo, aveva avuto la sensazione di conoscerli
da sempre, e sentiva, ma non sapeva dire perché, che anche loro pensassero la
stessa cosa.
«Io… io farò del mio
meglio!» disse facendo un inchino «Spero di trovarmi bene qui che voi, e mi
affido nelle vostre mani.»
«Quand’e così.» disse Joey
«Benvenuto a bordo».
In quella, il comandante notò l’ora che si
stava facendo guardando l’orologio.
«Accidenti, è ora di partire. Avanti, tutti ai
vostri posti!»
«Sì, comandante!» risposero in coro i tre
ragazzi.
Ridley e Joey si
portarono alle rispettive poltrone, mentre Taylor balzò giù dal terrazzo
raggiungendo direttamente il timone al centro della plancia.
Contemporaneamente, anche gli altri Top7th
presero il loro posto.
Oltre a Taylor, Joey,
Yugi, Ryo e Hopkins,
completavano il gruppo il tenente MaesIstar e sua sorella Riisa.
«Qui torre di controllo.» si sentì dire alla
radio «Avete il permesso di decollare. Buona fortuna, Sleipnir.»
«Grazie dell’augurio, torre di controllo.
Azionare motori!»
«Motori azionati, comandante!» disse Maes
«Impostare la traiettoria. Rotta nord-nord
ovest. Settanta gradi sopra.»
«Nord-nord ovest,
settanta gradi sopra.» disse Ryo «Ricevuto».
Come un gigante che si scrolla le catene di
dosso, la Slepinir lentamente si sollevò da terra,
producendo il suo classico, insolito rumore a fischio, quindi, puntato il muso
verso l’alto, prese ad alzarsi sempre più verso il cielo, fino a lasciare l’atmosfera
di Celestis ed entrare nello spazio, dove la flotta
di rifornimento già attendeva il suo arrivo.
Ridley si sentiva un po’, nervoso, e Randy, forse accorgendosene, si girò a guardarlo.
«Ehi, Mutou.»
«S… sì, comandante?»
«Conto su di te.» disse poi sorridendo «Bon
lavoro.»
«Grazie, comandante.» rispose lui sorridendo,
e sentendosi un po’ più sollevato
«Comandante.» disse Riisa
«Siamo pronti per il salto nell’iperspazio.»
«Impostare rotta e velocità. Destinazione,
Sistema Ogen. Pronti al salto in un minuto».
Nessuno, tuttavia, sembrava essersi accorto
che in quella plancia c’era una nona persona; era lì, accanto a loro, proprio
al centro della balconata, ma nessuno sembrava vederlo né sentirlo.
Rassomigliava un po’ a Ridley, con quella
pettinatura a porcospino e quegli occhi ametista, ma era più alto, e in un
certo senso più “minaccioso” di lui; indossava un vestito strano, una specie di
tunica, simile a quella dei Nemoriani, con tanto di
mantello e alcuni gioielli.
Il misterioso individuo guardò prima Randy, poi Joey e Taylor, quindi
lo stesso Ridley.
“Amici miei.” pensò sorridendo “Alla fine, vi
siete ritrovati. In un altro mondo. In un’altra dimensione. Con nomi diversi, e
diverse storie alle spalle. Avevate proprio ragione. Il vostro sarà un legame
Fino alla Fine del Tempo”.
«Rotta impostata, comandante!» disse Hopkins
«Siamo pronti ad un suo ordine!»
«Sleipnir, salto!»
ordinò il comandante, e la nave scomparve nel nulla inghiottita dal buio dello
spazio.
Nota dell’Autore
Salve a tutti!^_^
Bene o male, siamo
giunti alla fine di questa avventura.
A dire tutta la
verità, quest’ultimo capitolo era la cosa che ricordavo meglio di quel sogno che
mi ha spinto a scrivere questa breve fan fiction. Le uniche due cose che
ricordavo con esattezza al risveglio erano il viaggio ultraterreno dei ragazzi
e la loro nuova esistenza in un mondo futuristico.
Potete immaginare
questo futuro come molto simile a quello dell’anime MahouShoujoLyricalNanoha, per chi lo conosce, o anche, per venire a cose un
po’ più note, come la saga di Star Ocean.
Lo so, qualcuno magari
storcerà il naso di fronte ad un simile epilogo, ma devo dire che mi è piaciuto
molto scriverlo, e spero che almeno a qualcuno sia piaciuto.
Spiacente Otaku, non hai indovinato!^_^
Ora dovete darmi
qualche giorno per sistemare alcune cose, poi tornerò alla fic
troppo a lungo lasciata in sospeso.
Spero di tornare
presto a (ri)scrivere fan fiction su yugioh.
Se mi verrà un’idea
(magari un sequel per questa), state certi che ci proverò.