Io e te per sempre

di Salsero
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo Capitolo ***
Capitolo 2: *** Secondo Capitolo ***
Capitolo 3: *** Terzo Capitolo ***
Capitolo 4: *** Quarto Capitolo ***
Capitolo 5: *** Quinto Capitolo ***
Capitolo 6: *** Sesto Capitolo ***
Capitolo 7: *** Settimo Capitolo ***
Capitolo 8: *** Ottavo Capitolo ***
Capitolo 9: *** Nono Capitolo ***
Capitolo 10: *** Decimo Capitolo ***
Capitolo 11: *** Undicesimo Capitolo ***
Capitolo 12: *** Dodicesimo Capitolo ***
Capitolo 13: *** Tredicesimo Capitolo ***
Capitolo 14: *** Quattordicesimo Capitolo ***
Capitolo 15: *** Quindicesimo Capitolo ***
Capitolo 16: *** Sedicesimo Capitolo ***
Capitolo 17: *** Diciassettesimo Capitolo ***
Capitolo 18: *** Diciottesimo Capitolo - Ultimo Capitolo ***



Capitolo 1
*** Primo Capitolo ***


1.

“Hai mai fatto sesso con qualcuno?” mi domandano Pirozzi e Sepe, due delle ragazze più belle della mia classe.

Cosa rispondere? Di sicuro questa domanda a loro è venuta in mente dopo aver visto quello stupido reality chiamato La Pupa e il Secchione. Com’è possibile che le ragazze in quella trasmissione non sappiano chi sia George Bush? Finzione! Ecco cos’è la TV.

“In che senso?” rispondo alla domanda.

Ci troviamo lungo la via per andare a scuola e sono quasi le otto e dieci.

Pirozzi mi guarda piegando la testa a destra e dice. “Come in che senso?”

“Voi intendete sesso… sesso? Oppure qualcosa così…” Sono un vero idiota.

“Che significa qualcosa così?”

In quel momento arriva Caccavale.

“Facciamo la stessa domanda a lui” fa Sepe rivolta ad Pirozzi.

La rossa non ne può fare a meno. “Hai mai fatto sesso?”

“No” risponde subito Caccavale dietro i suoi occhiali squadrati.

Sento che mi sto per incazzare. Vuol dire che quelle due ragazze si considerano delle pupe se fanno queste domande.

“Lo vedi Riccardo com’è coraggioso?” dice Pirozzi trattenendo le risate.

“Al massimo a me mi hanno fatto una sega” mento improvvisamente, tanto per togliermele davanti ai coglioni. Poi ci ripenso su. “E tu, Pirozzi?” Vediamo cosa risponde.

“No” esclama lei. Sono convinto che sta mentendo.

La stessa risposta vale per Sepe.

Ci avviamo a scuola. Lungo la strada incontro il mio amico Luca Rina. Batto il cinque.

“Ciao, tutto bene?” faccio.

“Si”risponde Luca.

“Non entri oggi?”

“No, la mia classe se ne va.”

Che culo! “Beato te. Nella mia classe sono tutti secchioni. Non si mangiano mai un filone.”

E c’ho ragione. Non solo su quello, ma anche su tante altre cose. Luca è un ragazzo molto fortunato. È pieno di soldi, è un bravo deejay, è pieno di ragazze. E che cazzo!, un po’ di culo vorrei avercelo anch’io. Almeno con le ragazze. In quest’ultimo periodo i miei ormoni sono a mille, è non vedo l’ora di passare una grande nottata di sesso. Ma mi accontento anche di qualcosa di meno. Una botta e via. Vabbè, lasciamo perdere.

Entro in classe e subito vado a sedermi al penultimo banco. Il mio sguardo si posa sulla ragazza, secondo me, più tosta della classe.

Subito il ragazzo che è seduto dietro a me mi fa: “Stamattina sta proprio tosta, eh?”

“E a chi lo dici” sbuffo. Ma non c’è possibilità di avere qualche rapporto con lei. Naturalmente intendo un rapporto più profondo. Il massimo che abbiamo fatto è stato parlare qualche volta.

Le ore passano più noiose che mai, durante le quali i miei ormoni si fanno sentire più di una volta. Passa l’ora d’inglese, le ore di italiano, più in fretta quelle di trattamento testi durane le quali sto impalato davanti ad un PC la prima, e fuggo a farmi un paio di giri per la scuola la seconda. La prof è una di quelle troppo buone, quindi posso permettermi di fare molte cose scorrette. Il problema è non farsi acchiappare da quella di scienze della materia, soprannominata il corvo.

Suona la campanella dell’ultima ora e ci prepariamo tutti. Beh, a dire il vero ci siamo gia preparati dieci minuti prima. Ci avviamo verso le uscite. Mi guardo in giro speranzoso, ma niente. Anche oggi devo farmela a piedi. Dieci minuti dopo mi ritrovo a correre verso la fermata del pullman che prendo per un soffio. Due fermate e sono di fronte al vicolo dove in fondo c’è casa mia, al secondo piano di un palazzo vecchio di nemmeno un anno. Alzo un dito per bussare al citofono. Anzi no! Mi infilo una mano in tasca e ne caccio un mazzo di chiavi. Apro subito i due portoni e chiamo l’ascensore. Mentre l’ascensore inizia a salire ripenso alla giornata.

Io, Valerio Bergomi, quindici anni, non mi reputo un ragazzo fortunato. Sono timido con le donne, ma solo se le guardo in faccia. Ad esempio in chat riesco anche a prenderle in giro, ma la realtà è un’altra cosa. In più sono una schiappa a pallone, lo sport che tutti noi ragazzi pratichiamo e che alle ragazze piace, specialmente il giocatore migliore. Mi piace leggere, adoro i film. Infatti vorrei andare al cinema ogni settimana, cosa che non mi capita spesso. Ma il mio desiderio più profondo è trovarmi una ragazza bella e gentile. Ripenso a tutto questo mentre le porte scorrevoli dell’ascensore si aprono. Sono inconsapevole che l’amore mi colpirà improvvisamente come una torta in faccia.

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Capitolo 2
*** Secondo Capitolo ***


2.

Apro la porta di casa usando la chiave più lunga. La mia famiglia è a tavola. A dire il vero non c’è tutta. Mia sorella maggiore sta sicuramente mangiando a casa del suo fidanzato. A tavola ci sono solo mia madre e mio padre. Un cenno di saluto da parte dei due ricambiato da me. Poi mi avvio verso la mia camera da letto che divido con mia sorella e lancio lo zaino a terra come se fosse spazzatura. Una veloce occhiata alla scrivania per vedere se il computer portatile è al suo posto, e mi avvio al bagno. Mi lavo le mani. Non si sa mai quanti germi si prendono a scuola. Vado in cucina e mi siedo a tavola. Un buon piatto di penne al pomodoro mi viene servito e con appetito afferro una forchetta ed inizio a mangiare.

“Che hai fatto oggi a scuola?” domanda mamma.

Voglio rispondere con la solita frase, “Le patate e le cipolle”, per stuzzicarla. Ma non lo faccio.

“Il solito” dico ingoiando le ottime penne.

“Cioè?” dice papà che è un prof di matematica e anche un ingegnere edile. Nonostante questo al compito ho preso 1 come voto.

Gli dico le ore di lezione che ho fatto.

“Italiano ha dato i compiti?” fa mamma.

La guardo come a dire: “No! Lei non li assegna mai” con senso ironico. “E normale” dico poi.

Inizia Beautiful. Guai a chi parla. Un’altra stronzata. La fiction che odio in assoluto dove fanno resuscitare anche le persone. E che cazzo! ‘Ste cose non succedono nella realtà. Finito Beautiful inizia Cento Vetrine. Altra cazzata. Intanto ho finito di mangiare e mi alzo da tavola, per poi avviarmi in camera. Accendo la TV e mi metto davanti al PC che ho acceso subito dopo. Un veloce giro di canali e inizio a vedere I Simpson. Sorrido fra me. Mitico Homer! Apro MSN Messenger e ci trovo il mio miglior amico, Luca. Quello superfortunato. Nonostante questo gli voglio molto bene dato che ci conosciamo da quando abbiamo quattro anni.

Proprio mentre sto fissando il suo nick, questo mi trilla.

“Dimmi” gli scrivo.

“Lo sai che a Giugno dobbiamo andare Londra col viaggio studio?” mi manda lui attraverso questa chat famosa in tutto il mondo.

“Si” rispondo.

“Io mi scoccio di andare ma i miei mi costringono.” Poi mi invia una faccina gialla che piange.

Sorrido. “Dai. Vedrai che sarà una bella esperienza. Ci divertiremo.”

“Si, come no. Ma lo sai che si studia tre ore di inglese ogni mattina?”

In effetti di questo non ne ero stato informato. “Vabbè, sono solo tre ore al giorno. Poi per il resto ci si diverte. Facciamo i tornei, organizziamo spettacoli.”

“Sai che divertimento” scrive lui.

In effetti ha ragione. Ma in realtà io voglio fare quel viaggio per un solo motivo. “La si fanno tante acchiappanze di ragazze. Ragazze a volontà. Me l’ha detto mio zio che da ragazzino c’è andato. E lui non un tipo alla playboy. Lo faceva ogni anno e ogni volta portava una ragazza straniera a casa.”

“Non è che la detto per farti venire?”

“No no. Poi li puoi fare lo scemo con qualsiasi ragazza. Non è che sta nella tua terra.”

Mi invia la faccina di uno che sta pensando. “Comunque i miei mi costringono ad andare quindi…”

“Vabbè. A proposito, ci vediamo stasera a lezione?”

“Si.”

Passo il resto della giornata davanti al pc a chattare, a navigare in internet, ad ascoltare canzoni. Di studiare? Non se ne parla neanche. Sono le otto di sera. Meglio prepararsi per andare al corso di caraibici. Un quarto d’ora dopo sono pronto.

Mi infilo il cappotto e scendo. Mi incammino verso la scuola di ballo che si trova di fronte a me. Da precisare che il maestro, campione italiano, è il fratello di Luca. Quindi Luca è molto bravo. Il suo culo si mostra anche in questo campo.

Entro nella scuola. C’è molta gente. Saluto qualche conoscente. Poi la intravedo tra la folla. La mia ballerina. Danila. Che razza di nome le ha messo la mamma.

“Hei” la chiamo.

Un bacio di qua e di la e poi mi dice: “Mica gli hai detto a Luca quel fatto?”

Sbuffo. “No, non ti preoccupare.”

Danila si sta riferendo al fatto che Luca gli piace da morire. Ecco ancora quel fottuto culo che si ritrova il mio miglior amico. Ed anche questa possibilità di farmi sta ragazza è sfumata. Vabbè, in fin dei conti troverò qualcuna in tutta la mia vita. Ho ancora molto tempo, e che cazzo.

“Bene, perché gliel’ho detto io” mi fa.

“Cosa?” Sono decisamente incredulo.

“Gli ho detto: comunque sei troppo bono.” È nervosa. E ci credo.

Comunque Luca gia lo sapeva perché glielo avevo detto da un pezzo. È questo che fanno gli amici. Come avrei potuto non procurargli un’uscita con quella ragazza.

Durante la serata ho imparato una nuova figura di salsa. Bella. Come tutti questi balli, d’altronde.

Saluto tutti e torno a casa. Guardo l’ora sul mio nuovo Sweet Years di zecca. Le dieci e mezza. Arrivo subito e frettolosamente a casa. In ascensore inizio a muovermi come un idiota, come faccio ogni volta che torno da una lezione.

Più tardi nel letto, ripenso alla mia schifosa vita pomeridiana. E prego che prima o poi questa maledetta vita cambi, senza sapere che dovevo aspettare solo un mese per non sentirmi più schifosamente solo.

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Capitolo 3
*** Terzo Capitolo ***


Ciao a tutti XD. Innanzi tutto voglio ringraziare ale93, Cry90, sun moon, jessychan91, Bad_Devil, eclipse, DJ Kela e _Laura_ per i loro commenti. E Prego DJ Kela, la tua fic andava commentata perchè era molto carina. Buona lettura e continuate con i commenti ^_____________^

3.

Guardo la bella ragazza di fronte a me, ma poi distolgo subito lo sguardo per via della mia odiosa timidezza. Martina. Una ragazza gentile e dai capelli neri lunghi.

“Ciao, Valè” mi saluta.

“Ciao, Martì” rispondo. Osservo l’A4 che si sta parcheggiando.

Intanto mio cugino prende in giro Martina facendo un po’ lo sporcaccione.

“Smettila” dice lei, nascondendo il divertimento che di sicuro sta provando.

Dall’auto nera che si è appena parcheggiata, scende un tizio dai capelli neri lunghi e scombinati. Sotto agli occhi ha due bozze.

“Hei, zio” esclamo battendo il cinque dell’uomo.

“Valè, tutto bene?”

“Si. A te?”

“Tutto apposto. Allora domani vai a Londra, eh?”

“Gia” dico.

“Fai bene. La si che si fanno acchiappanze.”

“Infatti” sorrido.

Sento una lieve vibrazione sul ginocchio destro e subito dopo nell’aria echeggia il suono di una salsa cubana. Mi metto la mano in tasca e ne caccio il Nokia N70.

“Chi è che ti chiama?” fa mio cugino Salvatore affacciandosi sopra il cellulare.

“Mia mamma” rispondo. Premo il pulsante verde e mi avvicino il Nokia all’orecchio. “Pronto?”

“Valè fatti accompagnare da zio a casa che mi devi aiutare a fare la valigia.”

“Vabbè” riattacco e mi rivolgo a zio Alfonso. “Zio accompagnami a casa che devo fare la valigia.”

Sospira, poi dice: “Okay, monta.” Sale in macchina e io lo seguo.

Mezz’ora dopo sono sopra che preparo la valigia. Fisso il computer portatile sulla scrivania. Che faccio? Me lo porto o no?

“Non ci pensare nemmeno” dice mamma, come se mi avesse letto nel pensiero. La mamma è sempre la mamma.

Sbuffo mettendo una felpa della Converse nella valigia.

La valigia ormai è pronta. Manca solo l’Ipod. Ce lo metto subito. Anzi no. Ci ripenso e lo appoggio sulla scrivania. Potrebbe servire nell’autobus o sull’aereo.

Nella stanza entra mia sorella.

“Hei, scema.”

Mi fa un gestaccio con la mano.

Noto che si è fatto molto tardi e il giorno dopo devo svegliarmi alle sei e mezza. Quindi vado a mettermi a letto.

Chiudo gli occhi e un attimo dopo li riapro perché mia madre mi sta svegliando. Sono gia le sei?! Di solito sono un po’ contrariato ad alzarmi la mattina per andare a scuola, visto che voglio rimanere nel mio letto caldo. Ma stavolta è diverso. Il sonno mi passa subito per l’eccitazione. Fra poche ore sarò a Londra. Sorrido fra me e mi vado a fare una veloce doccia. Dopo essermi asciugato, mi vesto e vado nuovamente in bagno ed inizio ad asciugarmi i capelli bruni e lunghi alzandomeli. Ho gia aggiornato il blog di MSN, quindi chi mi cerca sa che sono partito. Squilla il telefono. Rispondo. Luca parla dall’altro capo.

“Sei pronto?”

“Si.”

“Uffa, che palle solo a pensarci.”

“Guarda che sarà una figata, credimi” sbadiglio.

“Vabbè, ci vediamo fra poco.”

“Si.” Riattacco e vado ad infilarmi il cappotto.

Mio padre è gia pronto. “Bene. Andiamo” dice. Si avvia verso la porta ed io lo seguo. Ce la chiudiamo alle spalle e scendiamo prendendo le scale. Entrati in macchina, metto subito lo stereo con il CD dei Green Day. American Idiot. Poi ci ripenso e lo tolgo. Meglio mettere qualcosa di più nuovo. L’ultimo CD di Gigi D’Alessio.

La macchina parte. Dopo un po’ siamo sul corso di Casalnuovo. Luca sta aspettando fuori al portone. Sale in macchina e ci saluta. Rispondiamo un po’ assonnati. Partiamo in volta dell’aeroporto di Capodichino. Ci mettiamo circa mezz’ora per arrivare. Sono quasi le otto e l’aereo parte alle nove meno venti. La persona che ci accompagnerà fino Londra, un ragazzo sui trent’anni dai capelli scuri, aspetta con un gruppetto di ragazzi vicino al bar. Gli stringo la mano e guardo gli altri ragazzi e ragazze. Noto subito una ragazza molto carina con il seno abbastanza prosperoso. Guardo Luca e mi capisce subito al volo.

“Allora, li lascio in mano tua?” dice papà al ragazzo che ci accompagna. Luigi.

“Non si preoccupi” risponde Gigi. “Con me c’è Anna, la mia collega. È in bagno, sta facendo compagnia ad una ragazza.”

“Okay. Allora ci vediamo” esclama papà stringendo la mano di Gigi. Saluta me e Luca e se ne va verso l’auto.

Gigi si rivolge a noi. “Bene, potete unirvi al gruppo e conoscere gli altri.”

Entro nel gruppo di ragazzi e non so neanche io come mi ritrovo accanto alla ragazza col seno prosperoso. Mi guarda. Io la guardo e le faccio un cenno. Guardo in avanti. Mi volto sentendo la sua voce. “Barbara.” Ha alzato la mano. Nervoso la alzo anch’io.

“Valerio.” Qualche secondo di silenzio. “Di che parte di Napoli sei?” domando tanto per dire qualcosa.

“Casoria” risponde. Ha una bella voce. “Tu?”

“Casalnuovo.”

“Ah!”

Improvvisamente una giovane donna molto attraente si avvicina a Gigi accompagnata da un’altra ragazza occhialuta e lentigginosa. Dice qualcosa. Gigi si volta verso di noi. “Bene. L’aereo parte fra un po’. Valerio, Luca, questa è Anna. Mi farà da assistente durante il viaggio.”

“Piacere” dice la giovane donna dai capelli rossi. Io e Luca le stringiamo la mano.

Passa qualche minuto durante il quale io e Luca iniziamo a conoscere qualcuno del gruppo. Un ragazzo di nome Gianluca. Un sedicenne dai capelli scombinati ma dall’aria di uno molto sveglio. Un tipo magrolino castano di nome Antonio. Voglio continuare a parlare con Barbara ma appena mi volto mi accorgo che è al bar con la ragazza occhialuta e una castana dai capelli corti.

“Bene” dice Gigi per attirare la nostra attenzione. “Possiamo avviarci sull’aereo. Che ne dite?”

Dal gruppo esce qualche “Va bene”, così ci avviamo verso la pista.

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Capitolo 4
*** Quarto Capitolo ***


4.

L’aereo su cui abbiamo viaggio è abbastanza grande dato che il viaggio è stato lungo. Scendo dalla rampa insieme al resto del gruppo ed entriamo in una navetta che ci conduce verso la struttura dell’aeroporto. Sono a Londra. Il viaggio in aereo è durato due ore e quaranta. Inizialmente, in volo, la testa ha iniziato a girarmi ma poi mi ci sono abituato. La ragazza di nome Barbara si è sentita male e ha dovuto mandare giu due bicchieri d’acqua prima di calmarsi. Continuava a tremare per tutto il viaggio. Ma ora è calma. Mi avvicino a lei. Che è seduta dietro a tutto il mini autobus.

“Hei, tutto bene?” domando.

Noto che la ragazza dai capelli castani lunghi che è seduta accanto a Barbara mi guarda come a dire E questo che vuole?

Tuttavia Barbara sorride. “Ora va molto meglio. Sai soffro di mal d’aria.”

“E me ne sono accorto” dico: “hai tremato come una tossica. Senza offesa.”

“No problem” dice lei.

“Allora ci sentiamo dopo.” Mi volto e torno da Luca che sta parlando con un’altra ragazza che prima non ho notato. Bruna e dall’aria di una che sa il fatto suo. A guardarla mi ricorda molto Summer di The O.C.

Tossisco per attirare l’attenzione. La bruna alza lo sguardo.

“Valerio” fa Luca, “lei è Donatella.”

“Chiamami Dona.” La ragazza alza la mano.

La stringo pensando “Dona. Donacela.”

“Piacere.”

La navetta si ferma. Gigi e Anna ci dicono di scendere. Ubbidiamo e la navetta si svuota in men che non si dica.

“Bene” dice ripetitivo Gigi. “Allora, si, ehm… le vostre valigie verranno portate direttamente nelle vostre stanze al College.”

“Seguiteci all’autobus che ci porterà al College” interviene Anna.

Ubbidiamo ancora. La seguiamo attraversando tutto l’aeroporto.

“Attenti a non perdervi” dice intanto Anna.

In giro sento gia le prime scaglie di lingua inglese. Nel parcheggio dell’aeroporto ci aspetta un grande autobus della Inter-Studioviaggi, ovvero l’agenzia che si occupa del viaggio studio. Noto un movimento di Barbara che mi attira. Si sta passando i capelli dietro l’orecchio. Molto attraente. Mi perdo nel viso della ragazza. Sento che Gigi sta dicendo qualcosa. “Salite sull’autobus e cercate di sporcarlo.” Mi riprendo e salgo insieme a Luca sull’autobus. Andiamo dietro a tutto. E ti pareva. I posti sono occupati. Pazienza. I sediamo al centro dell’autobus, a sinistra.

“Eccoci qui” dice Luca che sembra scoppiare.

“Mammamia come sei agitato. Calmati.”

“Calmarmi? Sai benissimo che non sono qui di mia spontanea volontà.”

Sorrido. “Ah, si? E cosa mi dici di quella Dona.” Guardo indietro e vedo che Donatella sta facendo amicizia con Barbara.

Anche Luca sta guardando. “Magari facciamo un’uscita a coppia, che ne dici?”

“Vedremo” sorrido.

Finalmente l’autobus parte. Mi chiedo che fine abbiano fatto le mie valigie, ma in fin dei conti che me ne frega? Usciamo dall’aeroporto e dopo un po’ siamo nel traffico londinese. La prima cosa che noto è il marciapiede pulitissimo. Cazzo, a Napoli e tutta un’altra cosa. Non c’è neanche un bidone dell’immondizia. E dove dovrei buttare un carta? Un’altra cosa che noto è che sembra di stare in The Gateway, il famoso videogame. La terza cosa invece è che stiamo guidando dalla parte sbagliata. Ovvero sbagliata per noi italiani. Il fatto che i londinesi guidano a destra gia si sapeva.

Sobbalzo sentendo la voce di Anna attraverso il microfono. “Bene, ragazzi. Innanzi tutto, benvenuti a Londra.”

Un applauso generale e qualche fischio. Anna e Gigi ridono.

“Allora” continua Anna. Una volta che saremo arrivati al College, mi saranno date le chiavi delle vostre stanze. Appena entrate nella stanza, dovrete posare gli zaini che portate con voi. Come vi abbiamo gia detto, le valigie arriveranno. Non preoccupatevi. Ora vi do qualche informazione generale, quindi state assentire. Per cortesia fate silenzio la in fondo. Queste sono informazioni importanti.”

Sbadiglio. Che sonno.

“Okay, svegliami quando siamo arrivati” dice Luca appoggiando la testa al sedile e chiudendo gli occhi.

“Vabbè.”

“Allora” dice Anna. “Io e Gigi siamo i vostri group leader, ovvero quelli a cui dovrete chiedere aiuto per qualsiasi problema, intesi? Bene. A ognuno di noi due saranno affidati quindici ragazzi. Noi ci occuperemo dei tour, dei spettacoli e di qualsiasi altra cosa. Una volta nel College, voi dovrete comportarvi come in una scuola, ma solo nelle tre ore mattutine, durante le quali si fa lezione. Per il resto della giornata potrete passeggiare per il College, per il giardino e conoscere gente nuova o altro ancora. Per le visite guidate di Londra, organizzeremo dei tour a tempo debito. Credo che tutti conosciate la vita nei College. Avete mai visto dei film americani di cheerleaders? Bene, è la stessa cosa.”

Allora possiamo ubriacarci, organizzare feste e fare orge. Bello.

“Nel College sarete sotto la giurisdizione del Centre Director, ovvero il direttore. Il College è fornito di ottime attrezzature sportive, di camere singole o doppie, e potrete cimentarmi in giochi, tornei, attività extra, grazie agli Activity Leader. Il College si chiama Brunel University. Sorge nel quartiere di Umbrige, a nordovest di Londra. È collegata alla metropolitana grazie alla quale possiamo raggiungere Londra in cinquanta minuti. Ci vuole circa un quarto d’ora di cammino dal College al centro di Umbrige. La Brunel University ha una palestra, un campo da calcio, campi da tennis, aree verdi per giochi all’aperto, sale comuni dove potrete riunirvi, lavanderia a gettoni, libreria, minimarket ed anche una banca che a voi non servirà. Il College offre naturalmente pensione completa e ci sono dei giorni, chiamati graduation, durante i quali potrete consumare i pasti all’aperto.”

Nonostante Anna stia parlando, la maggior parte dei ragazza sta dormendo per via del viaggio che ci ha stancati.

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Capitolo 5
*** Quinto Capitolo ***


CIAO BELLI, COME VA? VOLEVO SOLO DIRVI CHE SONO FELICE DI TUTTI I VOSTRI COMMENTI. E VOLEVO ANKE DIRVI KE TUTTI I NOMI E KOGNOMI KE INSERISCO NEL RACCONTO NON SONO QUELLI REALI. MA QUESTO NN HA IMPORTANZA. BUONA LETTURA ^_____^

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5.

“Bene” dice Anna, “Eccoci giunti a destinazione.” Fa la faccia irritata. “Qualcuno sveglia i ragazzi la infondo.”

Do una pacca a Luca. “Eh… cosa?... siamo arrivati?” fa sbadigliando.

“Si” rispondo alzandomi e sistemandomi lo zaino dietro la schiena. Aspetto che un gruppo di ragazzi si togli dal corridoio dell’autobus e mi infilo anche io dietro alla ragazza occhialuta e lentigginosa. Scendo dall’autobus seguito da Luca.

La Brunel University è magnifica e sembra proprio uno di quei college che si vedono in televisione: campi verdi tutt’attorno ad una struttura gigantesca color marrone e bianco. Sui prati, qua e là, sotto qualche albero o seduti su una panchina, ci ragazzi dai 14 ai 18 anni che hanno un libro aperto davanti a loro. Alcuni sono avvinghiati a delle ragazze. In giro per il college si sente della musica.

Sorrido e guardo Luca. “Che ne pensi?”

Lui alza le spalle. “Uhm… e cosa dovrei pensare?”

Gigi e Anna attirano la nostra attenzione. “Bene, ragazzi” dice Gigi. “Seguiteci.”

Li seguiamo entrando nella salsa d’ingresso del college dove c’è una portineria con molte cassette postali. Nella salsa c’è un uomo tarchiato e che ricordava molto il frate di un convento, con il centro della testa pelata. Stava sorridendo. “Good morning.”

Iniziamo con l’inglese. “Salve” risponde Gigi stringendo la mano dell’uomo. Si rivolge a noi. “Ragazzi, questo è il direttore, Richard Denison.”

Dal gruppo giunge qualche “Salve.”

“Okay, se volere voi seguire me, thanks” dice il direttore avviandosi lungo un corridoio. Ci avviamo dietro di lui. Alla destra del corridoio c’è un muretto alto circa mezzo metro che affaccia sul bel prato verde. Sulla sinistra c’è una fila di stanze, probabilmente le aule. Improvvisamente, il direttore Denison si ferma davanti ad un aula.

“This room is the…” inizia indicandola.

Eccolo che ricomincia con l’inglese. Ma Gigi ci salva traducendo. “Questa è la biblioteca. Per qualsiasi ricerca che volete fare, potete andare a cercare qui. Una grande raccolta dei migliori classici.”

Sai quanto me ne frega. Passiamo avanti e poco dopo ecco che Denison si ferma davanti ad un’altra porta.

“La salsa grande dove potrete riunirvi” traduce ancora Gigi.

“Proprio come Hogwarts, non trovi?” mi sussurra Luca. Non riesce a nascondere l’eccitazione e il divertimento.

“Gia” sorrido. “Mo esce la McGranitt.”

Ci fermiamo davanti alle scale. “Di sopra sono le vostre stanze. Sceglietevene una. E mi raccomando, camere doppie.”

Naturalmente in coppie di sesso uguale, eh, Gigi?

“Dopo potrete scendere e visitare il college” aggiunge Anna. “Ora andate.”

Ci avviamo subito salendo le scale. Ci ritroviamo in un altro corridoio con porte a destra e a sinistra. Mi butto subito in una stanza. Doppia. due letti, una scrivania, due armadi. Sulla scrivania ci sono due chiavi divise. Butto lo zaino sul letto accanto alla finestra. Prendo una chiave e la lancio a Luca che si è sistemato sull’altro letto.

“Chi sa che fine anno fatto le nostre valigie” fa lui.

“Arriveranno” rispondo. “Che facciamo scendiamo?” Intanto apro i cassetti della scrivania. Ci sono due quaderni. Li prendo e li mostro a Luca. “Per lo studio.”

Si prende il cuscino e fa finta di soffocarsi.

“Avanti, scemo. Scendiamo.”

Poco dopo siamo in mezzo al prato verde. Tutti e due con le mani in tasca. Ci guardiamo attorno. “Mi sento spaventosamente fuori luogo” fa lui.

“Siamo in un college londinese. È normale” rispondo. Noto alcune ragazze in minigonna molto attraenti sedute su una panchina. “Dammi qualche giorno di tempo e mi scopo ad una di queste ragazze.”

“Perché qualche giorno?” domanda.

“Perché sicuramente si farà una festa da qualche parte. Le ragazze si ubriacheranno, e probabilmente anche noi. Allora il gioco è fatto.”

“Se se…”

“Non hai mai visto i film americani?”

“Questo non è un film, Valè. Questa è la fottuta realtà. Non è sicuro che prima della fine di questo viaggio studio, tu ti tromba una ragazza.”

Mi fermo e lo fisso. “Scommettiamo?”

“Cinquanta euro” dice lui.

Ci stringiamo la mano. “Guarda che non scherzo. Se me li devi dare, li voglio.”

“Okay.”

Il gioco è fatto. Non solo se mi porto a letto una ragazza per la fine del viaggio sarò un gran bel fico, ma avrò anche cinquanta euro. Ora la posta in gioco è alta. Beh, non molto alta, però… Giuro che mi tromberò qualcuna di queste gran belle fighette, giuro su Dio.

a

La sera, a cena. Siamo seduti io, Luca e due ragazzi inglesi che parlano fra di loro appartati nell’angolo della tavola. Ci guardiamo attorno. I ragazzi inglesi sono proprio strani. Per prima cosa a differenza di quelli napoletani sembrano avere ognuno uno stile diverso. A Napoli i ragazzi che indossano la maglietta intima sotto una camicia sono ritenuti dei… beh, non so cosa, ma dai! Ma immagino che qui la moda non sia importante per loro. Fisso il i maccheroni e i piselli nel mio piatto. Ne ho passate di peggio col magiare quando sono stato in Tunisia. Ma non è che li scherzano.

“Cavolo, che schifo qui” fa Luca.

“E guarda questi piselli che schifo. Sono blu. Come fanno ad essere blu. Sono geneticamente modificati?”

Noto delle ragazze al tavolo affianco al nostro che ci guardano e ridono. Ci stanno trovando divertenti di sicuro.

“Hei, ragazze bone a ore dieci” sussurro.

“Ehm… sarebbe?”

“Non lo so, ma girati a destra… anzi no, fermo li” lo blocco in tempo. “Cerca di non farti vedere. Ci guardano e ridono. Forse ci prendono per il culo o forse ci trovano attraenti, non lo so.”

“Hei” mi fa Luca “calmati, cazzo! Sembra che ti stanno sparando addosso.”

“In questo momento lo vorrei” dico, come se voglia quasi strozzarlo.

“Ehm… non vorrei ammosciarti… ma una di loro si sta avvicinando.”

“Cosa? Non prendermi per il culo che ti ammazzo.”

“Ehm, sorry.” A parlare non è stato certo Luca. Mi volto nervoso. Diamine, che bionda.

Che devo fare? E pure inglese. Alzo la mano e rido come un idiota. “H-Hi.”

Lei come risposta sorride. “Ehm… this evening…”

“Oh, I’m sorry. We are Italian… ahi!” Luca mi ha dato un calcio.

La ragazza ride. “Oh, ma davvero? Anche io, sapete?”

“Che?” Faccia all’unisono io e Luca.

“Si. Questo è il secondo anno che vengo qui” fa lei. “Mi chiamo Jennifer. Mia madre è italiana e mio padre inglese.”

“Uhm, interessante” fa Luca sorridendo.

“Grazie. Volevo dirvi che stasera c’è un party. Se volete venire, siete invitati.”

Questa il calcio glielo do io a Luca. Ma mi schiva.

“Volentieri” dico frettoloso. “Dove?”

“Lo facciamo nel club delle cheerleaders che si trova nella villa affianco l’istituto.”

Vediamo se ho capito bene. “Scusa, hai detto affianco all’istituto?”

“Si.”

“E come faremo a venire visto che il regolamento implica che non possiamo superare i confini di questo edificio?” Che scemo che sono. Stavolta il calcio me lo sono meritato.

Mi guarda piegando la testa leggermente a destra. “Non preoccuparti. Il portiere è una brava persona. Vi farà passare. Allora ci vediamo stasera. Seguite la musica.” Fa per andarsene, poi ci ripensa e dice. “Ah, voi come vi chiamate?”

“Luca.”

“Valerio.”

“Molto piacere. Ciao.” Si volta e va a sedersi al tavolo.

Mi volto subito verso Luca. “Hai visto? Che ti avevo detto idiota? Stasera si tromba. Almeno spero.”

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Capitolo 6
*** Sesto Capitolo ***


ANCORA GRAZIE A TUTTI DI CUORE PER I COMPLIMENTI. FA SEMPRE PIACERE SENTIRE CHE IL PROPRIO LAVORO è APPREZATO. MA BANDO ALLE CIANCIE E LEGGETE XD:

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6.

a

a

“Che ne dici?” domando appena sono pronto.

Luca alza le spalle. “Stai bene. Bella ‘sta maglia della Holliwood Milano.”

Sorrido. “Lo so.” La mia maglia preferita. Viola con la scritta Holliwood dietro la schiena e il simbolo raffigurante una H all’interno di una stella che spicca sul petto.

“Il pantalone di che marca è?”

Faccio un giro su me stesso mentre dico: “Della Frutta. Com’è?”

“Bello. Comunque ora tocca a me. Come sto?” Gira su se stesso. Sfila una maglia di Joe Rivetto ed un jeans Armani abbellito con una cinta della D&G.

“Bella ‘sta cinta. Quanto l’hai pagata?”

“E una copia. L’ho pagata dieci euro nella Maddalena, a Napoli.”

“Li trovi proprio di tutto, eh?” rido.

“Gia. Anche i profumi. Il Costume National che sta cinquanta euro li lo paghi al massimo venti.”

Vado in bagno ad asciugarmi i capelli. “Qui a Londra ci possiamo scordare le cose false. È proprio un’altra civiltà.”

Luca mi raggiunge sulla porta mentre si sta inserendo una felpa sempre della D&G. “Molto più civilizzata della nostra. Se vengono a Napoli, gli inglesi si spaventano.”

“Per questo stiamo pieni di marocchini, cinesi ed altri ancora. Fra un po’ ci saranno più stranieri che napoletani.”

“Infatti. Ti piace questa felpa?”

“Bella.” Accendo il fon. “Madonna, mo altri cento anni per farmi i capelli. Sono troppo lunghi e prima di partire non ho avuto il tempo di tagliarli.”

“Buttateli tutti all’indietro. Che te frega?” Luca si sistema meglio la felpa addosso.

“Dici tu?” Mi piego in avanti e me li asciugo spingendoli all’indietro. Quando sono quasi asciutti, mi rimetto diritto e me li asciugo verso avanti ai lati. Davanti mi alzo un piccolo ciuffetto. “Luca, scusa, prendimi n’attimo la crema che ho in borsa.”

Luca si avvia verso le borse che sono arrivate appena un’ora prima. Arriva con il barattolo di cera per capelli in mano. Me lo passa. Lo apro. Mi spalmo la crema sulle mani e poi me la rizzo in testa. Mi lavo le mani. Me le asciugo. Mi volto verso Luca e dico: “Che ne pensi?”

“Stai bene, lo sai? Ora andiamo che facciamo tardi.”

Mi improfumo con la bottiglietta di Iceberg. Esco dal bagno e prendo la felpa della Converse. Me la infilo. “Sono pronto.”

a

Ci avviamo verso il cancello. È aperto. Potrebbe entrare qualcuno pericoloso. Mi ricordo che siamo a Londra e non in Italia. Non può accadere niente di strano, a parte ubriacarci alle feste. In vita via non mi sono mai ubriacato, chi sa se stasera succederà. Magari domani mi risveglierò accanto a due belle pupe. Inizio gia a sentire della musica da discoteca.

“La senti?” fa Luca.

“Come no.” Usciti dal cancello, incontriamo di faccia il custode del college. Adesso ci ferma. Anzi no. Ci sta salutando. Lo sorpassiamo e con passo svelto ci avviamo verso una villa ben illuminata con alcuni ragazzi che stavano fuori. Davanti al vialetto della villa, mi volto verso Luca e gli do una pacca sulla schiena. “Caro amico mio, benvenuto nel mondo londinese.”

Ci avviamo lungo il vialetto e ci sentiamo osservare da alcuni ragazzi. Entriamo in casa. C’è molta gente. La musica di discoteca è forte. Parecchi ragazzi ci stanno dando dentro alla grande con le bibite. Altri stanno ballando, altri ancora sono seduti su un divano. In poche parole, tutta la casa è occupata.

“Ciao.” Mi volto per vedere chi mi sta chiamando. Jennifer.

Sorrido. “Hei.” La salutiamo con due baci sulle guance.

“Allora, come vi sembra la festa?” domanda lei. È davvero carina con quella minigonna rosa.

“Ehm, siamo appena arrivati ma gia mi sembra fantastica” rispondo guardandomi nuovamente intorno.

“Bene. La ci sono le bibite. Non fate complimenti” dice lei indicando un tavolo non molto lontano.

Li notiamo un volto familiare. Donatella, la ragazza dell’autobus. Anche lei ci nota. Ci sta venendo incontro. La salutiamo.

“Ciao. Anche tu qui?” fa Luca.

“Oh, Jenny mi ha invitata” risponde lei stringendo a se Jennifer.

“Ah, vi conoscete?” domando.

“Ci siamo conosciute ieri” fa Jennifer. “Ma è troppo simpatica. Quindi l’ho invitata.” Mi guarda di traverso. “Bene. Questa è una festa, no? Quindi dateci dentro.”

Ci darei di brutto. Prima che potessi replicare, Jennifer mi tira a se e mi porta vicino al bancone delle bibite. “Bevi qualcosa.” Non mi da la possibilità di scegliere che mi mette in mano un bicchiere di birra. “Manda giu, forza.” La birra non mi è mai piaciuta molto. Ma non posso certo tirarmi indietro. La mando giu tutto d’un fiato. Jennifer ride.

Prendo un altro bicchiere pieno dal tavolo e glielo passo. “Ora tocca a te.”

Lo prende mentre si morde il labbro inferiore. Gli piaccio. Si vede lontano un chilometro. Manda giu la birra come se fosse piombo. Subito dopo non ho neanche il tempo di replicare. Mi salta addosso ed inizia baciarmi violentemente. Wow. Sono qui da meno di dieci minuti. Cavolo, perché non ho fatto prima questo viaggio? Continua a baciarmi ed io non sono da meno. Le nostre lingue si incrociano, si sfiorano. Adesso ci vorrebbe una stanza. Lei si distacca e mi guarda sorridendo e continuando a mordicchiarsi il labbro inferiore. Un’occhiata veloce a Luca e lo vedo seduto sul divano a parlare con Dona. Ha visto tutto naturalmente, ma fa finta di niente.

Improvvisamente, Jennifer si avvicina al mio orecchio e mi fa: “Sai non te la prendere, ma sto facendo questo per far ingelosire il mio ex ragazzo.”

Cosa? Che puttanella bastarda. Ed io che ci ho sperato. Me la allontano. “Ma che… troietta. Levati da dosso, brutta stronza.” Non sono mai stato così incazzato in vita mia.

Lei mi guarda indignata. “Ma come ti permetti…”

“Mi permetto eccome, maledetta mignatta.”

Si porta una mano al petto in modo teatrale. “Non sono mai stato così offeso in vita mia.”

Improvvisamente si avvicina un tizio sui diciotto anni molto altro e robusto. “Hei, Jenny. Questo nanerottolo ti sta dando fastidio?”

Lei è ancora più teatrale. Si appoggia a lui piagnucolando. “Oh, Jessie, questo ragazzo mi ha offeso. Sono sconvolta.”

Il ragazzo chiamato Jessie è decisamente incazzato. “Cosa?” Si avvicina a me dall’aria di un buffone. Faccio l’aria da duro ma sotto sotto mi sto cagando addosso dalla paura. Lui è dieci volte la mia statura. Mi avrebbe trasformato in una palla da rugby. Ma non faccio vedere la mia paura. Poi eccoli li, altri ragazzi avvicinarsi. Cazzo! Sembra di essere in The O.C. per davvero.

Jessie mi da una piccola spinta che riesce comunque a mandarmi abbastanza lontano. “Smamma nano.”

Avrei voluto prenderlo a calci. Ma mi sarei solo rovinato la giornata. Quindi mi avvio verso l’esterno senza dire una parola e dall’aria annoiata. Appena sono sulla terrazza, prendo un bicchiere di birra da sopra una tavola. Ora ci vuole proprio una sbronza. Mando giu quel bicchiere e gia inizio a sentire un certo calore salirmi per il corpo. Noto una ragazza sul terrazzo. Dio, ma è stupenda. Indossa un abito lungo nero ed è appoggiata alla ringhiera guardando il cielo. Ha i capelli neri. Mi avvicino di più per notarla meglio. Si, è proprio lei.

“Barbara” la chiamo.

Si gira. “Hei, Vale. Che ci fai qui?”

Mi appoggio anche io alla ringhiera. Forse e l’alcol, forse è l’aria londinese o forse è perché con lei non riesco a sentire quella timidezza che mi prende con tutte le ragazze. Sono appoggiato si alla ringhiera, ma anche alla sua spalla libera.

“A dire il vero non lo so neanche io” rispondo. Guardo anch’io il cielo. Non ho mai visto così tante stelle in una volta. “E tu?”

“Stamattina mi ha invitato un ragazzo. Ma a quanto pare si è ubriacato e mi ha quasi vomitato addosso.”

Sorrido. Qualche istante di silenzio. Molto imbarazzante. Cerco di trovare qualche argomento da dire. “Allora, come ti è sembrato il college?”

Fa spallette. “A dire il vero è molto simile ai college inglesi.”

Ridiamo.

Adesso ci stiamo fissando negli occhi. Sarà strano, ma adesso l’ultima cosa che voglio fare e baciarmela. Perché voglio rimanere in questa posizione per sempre. La voglio guardare.

Alzo il bicchiere di birra che ho in mano. “Vuoi?”

“Si, grazie” risponde subito, bevendo dal bicchiere che ho in mano. Quando ha finito di bere, noto che ha una goccia sulla guancia.

“Aspetta…” dico alzando la mano libera dal bicchiere e asciugando la goccia.

Ci guardiamo ancora negli occhi. Senza volerlo, il mio collo si avvicina al suo viso. Anche lei si avvicina a me….

bleauh!

“Che schifo?” urlò una ragazza li accanto.

Riesco a schivare per un pelo un ragazzo che stava per vomitarci addosso. Mi guardo attorno e vedo Barbara osservarmi da qualche metro di distanza. Fra di noi il ragazzo che aveva vomitato dalla terrazza. Merda. Doveva vomitare proprio ora? Poi qualcuno mi tira per la spalla. Mi volto.

“Luca.”

“Ehm, scusa se ti disturbo” dice lui che sembra essere molto agitato. “Ma abbiamo un problema.”

“Cioè?” dico.

Lui indica l’interno della casa. Colgo subito a cosa allude. La banda di Jessie, quel ragazzo alto tre metri, si stava avvicinando. Anzi, stanno proprio correndo verso di noi e hanno l’aria di essere molto incazzati.

“Cosa cazzo hai combinato?” faccio a Luca.

“Ehm… te lo spiego dopo. Corriamo.”

Non ho neanche il tempo di dare un ultimo sguardo a Barbara, che Luca mi costringe a scappare via da quella serata drammatica, sentimentale, triste e felice al contempo.

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Capitolo 7
*** Settimo Capitolo ***


VOLEVO SCUSARMI PER AVER POSTATO IL CONTINUO DI QUESTA STORIA DOPO PARECCHIO TEMPO E SPERO CHE LA CONTINIUATE A LEGGERE. POI VOLEVO RINGRAZIARE TUTTI COLORO CHE CONTINUANO A COMMENTARE. XD

7.

Devo proprio dirlo: Luca sotto ha due palle grandi quanto due cocomeri.
“Cos’è che hai fatto?” domando incredulo.
“Hi due un calcio nelle palle ad uno di loro” risponde eccitato e impaurito allo stesso tempo.
Non ci credo. Ma cosa cavolo gli è preso.
“Ci provava con Dona” mi fa come se mi avesse letto nel pensiero.
“Perché?” domando. Ma so che è una domanda stupida.
“E io che cazzo ne so. Ci davamo dentro di brutto e quello si è avvicinato e mi ha spinto via. Dona ha cercato di ribattere ma non ci è riuscita. Ma quando l’ha baciata contro la sua volontà non ci ho visto più”. Gli ho dato il calcio più forte mai dato ad una persona sulla faccia della Terra.”
Scoppio a ridere. Io al massimo lo avrei spinto via. “Porca troia, in mezzo alle gambe?”
“Si.” Ride anche lui.
Stiamo camminando lungo il corridoio che porta alle nostre stanze.
Un pensiero mi si scaglia addosso come un fulmine su un ramo. “Cazzo, siamo qui da neanche due giorni e gia ci siamo fatti nemici i bulli della scuola.”

Giorno successivo. Entriamo nell’aula d’inglese. Ci sediamo dietro a tutto. Ottimo posto per scampare alle interrogazioni. A volte il professore si distrae e non ti vede. Ma è quando ti becca che sei fritto.
La porta sbatte. Entra velocemente una signora di mezza età dai capelli grigi.
“Good morning, boys” esclama. So da subito che quella voce mi starà antipatica. “I am Mss Walter e sarò la vostra insegnante per le prossime due settimane. Faremo tre ore al giorno tranne Sunday. Chi sa cosa significa Sunday?”
“Domenica” dicono alcune voci. Io sicuramente non lo dico. Non voglio mettermi in mostra. E poi stavo per dire sabato… ehi! Che volete farci, avevo detto che l’inglese non era il mio forte.
“Okay” dice la Miss battendo velocemente le mani. “Allora, vediamo un po’.”
Ci guarda. Mi vede. Merda. Quello davanti a me è troppo corto. Oh, no. Mi fissa troppo a lungo. Sta alzando il dito.
“Tu.”
Cazzo!
“Si?” dico.
Luca ride.
“What’s your name?”
“My name’s Valerio” rispondo. Queste domande sono abbastanza elementari.
“What’s your surname?”
Avrei voluto rispondere: “Fatti i cazzi tuoi” ma non lo dico.
Rispondo pronto come prima.
“Dunque, vediamo un pò Valerio” pensa.
Questo dunque non mi piace.
“Conosci il verbo essere?”
Certo che lo conosco. Non sono poi così ignorante.
“I am” inizio.
“You are.” Mi guardo intorno.
“ He, She, It is.” La vedo. Cavolo, non l’avevo notata prima.
“You are.” Mi guarda, ma distoglie subito lo sguardo quando si accorge che la fisso anch’io.
“They are.” Cazzo che imbarazzo.
“Molto bene” fa Mss Walter.

Suona una campanella. Quelle tre ore di studio le avevo immaginate più pesanti, ma invece erano scorrevoli e abbastanza divertenti. La maggior parte del tempo abbiamo parlato di cose che gia sapevo. La Walter sembra essersi fissata con me. Mi ha fatto domande di inglese su di me, su cosa faccio il tempo libero.
Sono perso nei miei pensieri mentre cammino. Sbatto contro qualcosa… qualcosa di morbido. È lei.
“Oh, Barbara, scusa” dico subito.
Sorride. Non sembra imbarazzata come prima. “Non preoccuparti, Valè.”
“Okay.” Qualche istante di secondo. Cavolo, che dico? “Allora, come ti è sembrata questa lezione?”
“Uff, che palle!”
“Cosa?”
“La lezione.”
“Ah, giusto.” Che scemo. “La Walter sembra essersi fissata con me. Iniziamo bene per la prima lezione.”
Ride. Bene.
“Beh, allora…” non sa che dire. “Ci vediamo in giro?”
“Naturale.” Sorrido. Se ne va.
Qualcuno mi appoggia una mano sulla spalla. È Luca.
“A quella me la faccio, stanne certo” dico.
“Infatti” risponde. “Si vede che hai qualche possibilità.”
La vedo camminare per il corridoio da dietro.
“Ammazza che culo!” fa Luca. Ma non è che legge nel pensiero?
Annuisco. “E gia.”
Mi volto.
“Andiamo, va” esclamo.
“Dove?” domanda Luca.
“Per adesso vado a posare sto quaderno poi vado un po’ in giro. Non si sa mai che la incontro di nuovo.”
“Sei proprio stronzo.”
“Perché?”
“Cioè, tu invece di cercare di uscire da questo posto ed andare in giro per Londra, vuoi farti un giro qui dentro? Tutto quello che c’è è dell’erba.”
“Se, magari ci facciamo una canna.” Lo prendo in giro.
Dopo aver posato il quaderno incontriamo Gigi in corridoio con un pallone da calcio in mano. “Oh, ragà. Sto organizzando una partitella, che ne dite?”
Guardo Luca. Annuisce. Pronti a giocare.

Luca aveva torto enormemente dicendo che il College non aveva nulla. Infatti c’era un grandissimo campo da calcio. Caspita! Gigi deve averla organizzata bene sta partita. Ci sono più di dieci ragazzi. Noto subito quello stronzo di Jessie. Ci guardiamo negli occhi. Fuoco e fiamme. Odio puro.
“Bene” dice Gigi. “I capitani li fanno… Filippo e Valerio.”
Che palle. Ma forse ho la faccia di uno che ha voglia di fare qualcosa?!
“Pari o dispari?” Fa Filippo?
“Pari” rispondo annoiato.
“Uno, due e… tre.” Allarga due dita in avanti, anche io. Tre più tre uguale sei. Inizio io.
“Luca” faccio subito.
Luca viene dietro di me.
“Lui” fa Filippo indicando Jessie.
Mmm. Vediamo un po’ chi c’è in giro. Allora… questo sembra forte. “Lui.”
Uno dietro l’altro, scegliamo i componenti della nostra squadra.
“Bene” fa Gigi. “Mettetevi in posizione.”
Luca, va a porta. Grande portiere.
Io a difesa.
La palla la concedo agli sfidanti per prendervi la porta dove non c’è sole.
Gigi fa l’arbitro. Si porta il fischietto alle labbra e suona.
Si incomincia.

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Capitolo 8
*** Ottavo Capitolo ***



8.

Jessie prende palla e va subito all’attacco. Merda. Questa non ci voleva. Si vede lontano un chilometro che è più bravo di me. Guardo verso le tribune. No! Questa è peggio: Barbara assiste alla partita con il solito gruppo di ragazze.

Batto le mani e mi rilasso. “Okay, Valè” dico a me stesso. “Questa dev’essere la più bella partita che tu abbia mai giocato.” Barbara guarda Jessie che scarta il mio attaccante. Che scarso di merda.

“Ehi. Non ti imballare e guarda quello che viene” mi urla dietro Luca.

Mi riprendo subito e mi accorgo che la palla è in possesso all’altro attaccante. Un tipo altissimo e molto robusto.

“Oh, merda” ringhiò buttandomi su di lui. Mi avvicino. Osservo solo la palla. Sono vicino. So che mi sta guardando. Eccola. La palla. Scivolo. Non ci credo. L’ho presa. Il ragazzo robusto precipita a terra. Io mi rialzo subito emozionato da qualcosa che non sapevo di saper fare. Passo subito in avanti.

“Grande, Vale” fa Luca.

Gli faccio l’occhiolino tornando indietro e guardando verso le tribune. Si, mi fa visto. Oddio, stanno facendo il tifo.

“Bravo” urlano le ragazze.

Sorrido di ricambio.

Mi concentro di nuovo sulla partita. Ma non ho neanche il tempo di voltarmi verso la porta avversaria che mi sorpassano. Troppo tardi. Non riesco a raggiungerlo. Jessie è in possesso di palla. Da solo. Di fronte alla porta.

Tira. Coraggio Luca. Parala… parala… parala e… gol!

Merda. Gigi fischia. La squadra avversaria urla di gioia. Vado da Luca e gli do una mano ad alzarmi.

“Ehi, nanerottolo” urla Jessie.

Mi volto.

“Cosa c’è? Sono troppo veloce per te?”

“Ora lo uccido” ringhio avviandomi verso di lui.

Luca mi ferma per un braccio. “Non ne vale la pena. Ti ricordi di quella volta nel Magic Vision? Quando abbiamo giocato contro gli acerrani.”

Mi volto verso di lui con un sorriso. “Grande.”

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Barbara guarda parlare Valerio e Luca. Hanno l’aria di tramare qualcosa.

“Però” fa Giovanna. “Carino, Luca, eh?”

“We cocca, guarda che lui è mio” dice Dona. “Anche se alla nostra Barbara piace un altro.”

Barbara si volta verso di lei. “Scema.” Ma si rivolta verso il campo.

La squadra di Vale avanza senza fermarsi.

“Ehi, passa qua” urla Vale, che si è allontanato dalla sua posizione.

L’attaccante in possesso di palla ubbidisce passando di tacco indietro. Vale sembra afferrarla ma… cosa inaspettata: Vale non la tocca e la lascia andare dietro alzando la gamba. A prenderla c’è Luca che si trova quasi a centrocampo. Visto che nessuno si aspettava che il portiere arrivasse fino a li, Luca riesce a scartare due attaccanti compreso Jessie, arrivando nell’aria di rigore. Tira e… palo.

“No” sbuffa Barbara e il resto delle ragazze.

Ma la palla è ancora in gioco.

Altro colpo di scena. Vale entra di testa con un salto formidabile. Spinge la palla nella porta.

Le ragazze saltano dalla gioia. “GOOOOOOL!”

Barbara contentissima batte le mani fino a farsi male.

Dona gli sussurra qualcosa all’orecchio. “Però, ci sa fare il tuo ragazzo.”

“Non è il mio ragazzo.”

“Ma ti piacerebbe.”

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Tutti mi saltano addosso. Non ci credo. Ho fatto gol. Cosa rara dalle mie parti. Lo schema che abbiamo studiato io e Luca e che è basato sul grande cartone giapponese, Holly e Benji, ha funzionato enormemente.

Una volta che tutti si sono tolti da dosso, mi alzo e mi avvio in difesa. Passo davanti a Jessie.

“Ops. Ci hai fatto caso? La palla è in rete” lo castigo con questa frase.

Mentre mi cibo di questo momento di gloria, un dolore mi arriva dietro la schiena.

“Ma che caz…”

Cado a terra. Mi volto subito. È Jessie con un piede alzato. Mi alzo subito. Corro verso di lui ma ad anticiparmi c’è Luca. Cazzo. Gli ha dato un calcio nelle palle. È la seconda volta in due giorni che da un calcio nelle palle ad un del gruppo di Jessie. Ed è stato fortissimo. L’ho sentito perfino io quel calcio.

Jessie si porta le mani all’inguine quasi con le lacrime agli occhi.

“Via” esclama Luca prima di scappare via.

Lo seguo.

Mentre corriamo passiamo davanti alle tribune. Salutiamo le ragazze.

Ma la schiena mi fa male un casino, cazzo!


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Capitolo 9
*** Nono Capitolo ***


9.

“Ahia!” Esclamazione che mi esce spontanea una volta quando l’infermiera di mezza età mi comprime i graffi dietro la schiena con l’ovatta bagnata di spirito.

“Stop” dice l’infermiera.

“Mamma mia, Valè” dice Luca. “Sono due graffi.”

“Si, ma fanno male, cazzo.”

Meno male che l’infermiera non capisce. Finisce di medicarmi e va verso un armadietto.

Bussano alla porta. Mi volto. Non ci credo. È Barbara?!

“Ehi, tutto bene?” domanda.

Mi rimetto la maglietta. “Si.” Scendo dal tavolo. “Quel bastardo mi ha preso con i tacchetti.”

Usciamo fuori. “We, ragazzi, io vado un attimo in camera” fa Luca.

Lo so che vuole lasciarci soli. Camminiamo verso il parco.

“Allora, che scuola fai?” domando tanto per conoscerla meglio.

“Scientifico a Napoli” risponde. “Tu?”

“Ragioneria a Casalnuovo. Come vai a scuola?”

“Bene. Tu come vai?”

Sorrido. “A piedi.”

Ride. “Eddai, scè.”

Divento serio. “Mi hanno salvato con tre debiti. Pensavo di essere bocciato.”

“Allora sarai bocciato l’anno prossimo se non superi i debiti.”

“Però, molto confortante.”

Sorride.

“Ho deciso di impegnarmi il prossimo anno.”

“Che scuola facevi?”

“Ragioneria.”

L’argomento scuola ci accompagna fino alle pance da pic nic. La ragazza non si siede, però. Le sorpassa e continua a camminare.

“Ehm… dov’è che stiamo andando?” faccio.

“Vedrai” risponde.

Fa che sia la sua stanza… fa che sia la sua stanza… fa che sia la sua stanza.

Niente da fare. È la biblioteca. Però non c’è nessuno. Bene.

“Cosa volevi farmi vedere?” domando.

Mi prende per mano.

Ci siamo.

Mi trascina dietro uno scaffale.

Ha una scollatura provocante. Vedo tutto il reggiseno rosa.

Prendo coraggio e dico: “Di un po’, vuoi uscire con me?”

Mi guarda negli occhi. Apre la bocca per parlare. “Tu vuoi?”

“Come vuoi tu.” Che stronzo.

“Cosa significa come vuoi tu?” sorride. “Vuoi uscire?”

“Si… tu?”

Aspetto risposta. Sembra timida. Annuisce. Siamo ancora per mano. La tiro più vicino a me…

“Ehi. You go out.” Quest’urlo di leva al nostro fianco.

Merda. Maledetta bibliotecaria. Andiamo via. Questa è la seconda volta che vengo interrotto sul più bello. Sarà destino?

Non esiste. Devo farmela.

Usciamo dalla biblioteca e la trascino verso le scale.

“Dove mi porti?” dice. Sembra essere preoccupata.

“Nella mia stanza” dico sorridendo.

Mi lascia la mano. “Aspetta, io non ho intenzione di fare quello che vuoi fare.”

Merda.

Mi volto. La vedi appoggiata la muro.

“Io non voglio fare sesso” mento.

“E allora?”

“Voglio solo uscire con te” rispondo.

Sembra indecisa. “Okay.”

La prendo di nuovo per mano e la porto con me, su per le scale. Arriviamo davanti alla pota della mia stanza. Prendo il doppione della chiave. La infilo nella serratura. La giro. Apro la porta. Accendo la luce e…

“Oddio” fa Barbara.

“Oddio” ripeto. Sorridendo.

Luca era steso sul letto con Donatella. Erano vestiti, ma stavano per fare qualcosa. E no, mio caro. Non sarà così semplice.

“Ehilà, come va ragazzi?” domando sempre sorridendo.

“Ehm, ti dispiace un po’ di intimità?” fa Luca irritato.

Scuoto la testa. “No, visto che sei sul mio letto.”

Donatella si alza. “Meglio andare.” Da un bacio a Luca sulle labbra prima di avviarsi alla porta. Mi fa un cenno. Prende Barbara per un braccio e la trascina via.

“Che cazzo sei venuto a fare qui?” fa Luca irritato.

Rido. Oddio, troppo forte.

“Non vorrai strapparmi così facilmente i cinquanta euro?” dico.

“Sei un stronzo” risponde lui di rimando.

Bussano. È Barbara.

“Vale, Luca, stasera vi va di uscire? C’è un’altra festa.”

Guardo Luca. “Che facciamo?”

Sorride. “E lo domandi pure?”

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Capitolo 10
*** Decimo Capitolo ***


10.

“Come pioggia sarò, cadrò sulla tua via scorrendo dentro il mio cuore ti darò una nuova vita…” la voce di Gigi Finizio scorre dallo stereo fino a me, vibrando sui timpani.

Canto mentre mi risciacquo. Mitico Gigi. Il mio cantante preferito.

Esco dalla doccia. Mi asciugo con una grande a asciugamano e me l’avvolgo attorno alla vita. Prendo una spazzola e mi butto i capelli all’indietro.

“Come cazzo sono lunghi questi capelli” fa Luca dalla soglia in mutande.

“Me li sono tagliati appena un mese fa” rispondo.

“Crescono subito” commenta. Ha ragione. “Ti devi fare la barba?”

“E logico.” Mi passo una mano sulla barba non troppo lunga.

“E muoviti.”

“Okay.”

Mi infilo un boxer e mi infilo il mio più bel paio di jeans Levis completo di cinta Frutta. Prendo il fondo e mi asciugo i capelli fondandomeli con una spazzola rotonda. Cazzo come brucia. Anche questo lato. Okay. Fatto. Prendo la crema e la spalmo sui capelli. Prendo il Blitz. Lo spruzzo. E adesso col cavolo che si muovono. Le ultime profumazioni e mi infilo la camicia bianca nei pantaloni mostrando la bella cinta.

Esco dal bagno. Luca è pronto. Mi siedo sul letto. Mi infilo le Silver dorate.

“Io sono pronto” fa Luca.

“Anch’io. Come sto?”

“Bene.”

“Lo so. Mi scoperei da solo” scherzo.

Ci infiliamo i cappotti e usciamo dalla stanza. Luca infila la chiave nella serratura.

“Aspetta” lo fermo in tempo.

“Cosa c’è?”

“Il cellulare.”

Camminiamo per il corridoio principale. Mi viene una domanda spontanea.

“Ma dov’è che sta questa festa?”

“Non lo so.”

“Bene. E ora?”

Luca caccia il telefono dalla tasca. “Chiamo a Dona.”

“Grande.”

Preme i tasti sul cellulare e se lo porta all’orecchio.

“We, Dona, senti. Ma dov’è sta festa?... ah! Ho capito. Okay. Ci vediamo li. Ciao.”

“Allora?”

“Dove si è tenuta l’altra volta.”

“Wow che fantasia.”

Dieci minuti dopo entriamo attraverso la porta della casa vicino al College. C’è Jenny. Stronza. Sta attaccata a Jessie come un anaconda alla sua preda. Ci sono un paio di volti nuovi ed altri gia conosciuti. Salutiamo un paio di ragazzi della nostra classe.

“Che si fa?” domando a Luca.

“Per prima cosa troviamo le ragazze” fa lui.

“Te le sei chiamate.” Infatti ecco le li. Stupende tutte e due.

Barbara indossa un abito nero non troppo lungo che gli arriva alle ginocchia. I capelli che cadono sulle spalle. Dona un vestito blu acqua, simile a quello di Barbara. Ci notano. Sorridono. Ci avviciniamo. Le salutiamo con un bacio sulle guance.

“Ciao” dico. “Sei… bella.” Merda, ma perché l’ho detto?

Sorride. “Grazie. Anche tu sei carino.”

“Vuoi da bere?” domando.

“Okay.”

La porto vicino al bancone. Prendo una birra. “Vuoi?”

“Non mi piace la birra.”

“Come fa a non piacerti?” domando, anche se io la bevo per farmi buffone.

“Non mi piace e basta. Preferisco la Coca Cola.”

“Okay.” Le verso della Coca in un bicchiere e glielo porgo.

“Grazie” dice sorridendo ed inclinando un po’ la testa a sinistra.

“Prego” rispondo. Bevo un sorso di birra.

Il mio sguardo si posa sul balcone.

“Usciamo?”

“Okay.”

Mi mette la mano sotto un braccio. Si! La accompagno verso il balcone. Quando usciamo, siamo inondati da un’aria abbastanza fresca. Mi accorgo che trema. Mi vengono in mente due supposizioni. Che fare? Devo togliermi la giacca e gliela devo mettere sulle spalle? Oppure devo stare impassibile? Se gli do la mia giacca penserà che sono troppo romantico e magari mi prenderanno per il culo. Ma in fondo che me ne frega. Mi tolgo la giacca e gliela metto sulle spalle.

“Oh, non ti facevo così romanticone.”

Merda.

“Allora dovrei riprendermela?” Sorrido.

“Se la vuoi, riprenditela.”

“Guarda che scherzavo.”

Dall’interno della casa si alza una musica a me familiare: una bachata.

Barbara si esalta. “Uh, balliamo ti prego?”

Cosa? Si toglie la giacca di dosso e la mette su una sedia li vicino. Mi prende per mano e mi trascina in mezzo al balcone. Ma da dove è uscita tutta quella energia?

“No… ehm… non so ballare” mento, visto che ballo questo tipo di balli da quasi un anno.

“Ma che ti frega, ti porto io” dice.

Merda. Ci stanno guardando.

“Dai, davvero io…”

“Zitto e balla.”

Uffa. Se dobbiamo farlo, facciamolo.

La stringo forte a me, proprio come si balla la bachata. Io dico che la bachata è sesso allo stato puro. Attaccati, lentamente. Ogni movimento sembra fatto da una sola persona. Ed è cos’ che ballo. Non avrei mai saputo fare di meglio neanche con la mia partner. Vabbè… non esageriamo. Le faccio fare un caschè finale. Ci guardiamo negli occhi. È ora. Adesso devo baciarla.

“Avevi detto che non sapevi ballare” dice.

Sorrido, ancora affannato. “Ho mentito. Faccio scuola di caraibici da quasi un anno.”

Ride. Mi avvicino ancora di più. Questa volta nessuno si metterà in mezzo. Infatti ci baciamo. Questo si che è un bacio. Dolce, bello, rilassante. È la prima ragazza che letteralmente non mi mangia quasi la faccia con un bacio, muovendo la lingua come un serpente.

“Aaaaah!” un urlo.

Riconosco la voce. Donatella. Mi stacco subito da Barbara. Uno sguardo nel giardino in basso. Merda. Stanno menando Luca. E anche di brutto. Dona e a terra, bloccata da un tizio. Salto dalla ringhiera cadendo nel giardino. Ahi! È una caduta di quasi dieci metri. Fortuna che sono alto. Non mi fermo nonostante mi facciano male le gambe per il salto. Corro verso la rissa. Appena mi vedono arrivare, la banda si ferma e si volta verso di me.

“Oh guarda chi c’è” esclama uno di loro.

Lo riconosco. È uno degli amici di Jessie.

“Cos’è, vuoi prenderle anche tu, nanerottolo?” dice.

Lo guardo incazzato. “Che c’è, per picchiare un nanerottolo hai bisogno della tua banda di stronzi?”

Ride. Anche gli altri ragazzi ridono. “Adesso questi stronzi ti picchiano.”

“F-f-fagli vedere che hanno sbagliato a mettersi contro di te, Vale” dice Luca tossendo.

No… non posso… mi spiace.

Bam! Un forte cazzotto mi arriva in volto. Mi scaraventa a terra. Ahia! Un calcio allo stomaco. Sento mancare il respiro. Tossisco.

“Andiamocene” fa l’amico di Jessie. Ma prima di andarsene mi sputa addosso.

Appena stanno abbastanza lontano riesco ad alzarmi ed avvicinarmi a Luca.

“Tutto apposto?” faccio respirando affannosamente, un po’ per la corsa, un po’ per il calcio.

Luca mi guarda incazzato. “Perché non hai reagito. Sai che potevi stenderli in men che non si dica. Perché non l’hai fatto, cazzo?”

“I-io non posso” rispondo guardando l’erba sotto di me.

Luca si alza ancora più incazzato. “Ancora con quella cazzo di storia? Non è colpa tua. Quando ti entra in testa, cazzo?”

“Io…”

“Sai cosa? Lo so il perché fai così. Perché hai paura. Sei un lurido cacasotto” dice.

Perché lo hai detto? Sferro un cazzotto a Luca, facendolo cadere di nuovo. Oddio. Perché l’ho fatto? In undici anni che ci conosciamo è la prima volta che lo colpisco.

Mi volto verso la casa. Barbara è proprio dietro di me e mi guarda preoccupata. Mi volto di nuovo verso Luca. Sputa sangue e mi guarda incredulo. Decido di spostare il mio sguardo su Dona, ancora a terra. Ha un volto indecifrabile rigato dalle lacrime. Lentamente, mi volto e vado via maledicendo questa fottuta vacanza.

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Capitolo 11
*** Undicesimo Capitolo ***


11.

Sono seduto sulla panchina. Nelle orecchie, le cuffiette dell’Ipod cantano Tiziano Ferro.

“Solo che pensavo a quanto è inutile farneticare…”

Mai provata tanta tristezza in vita mia. Guardo l’ora. Sono le quattro del mattino. Continuo ad ascoltare la canzone: “Non me lo so spiegare io…”

Fa freddo. La mia giacca ce l’ha ancora Barbara. Vorrei tornare in stanza, ma non ho il coraggio di guardare Luca negli occhi. Dormirò qui. Anzi. Non dormo. Non me lo merito. Sono uno stronzo. Mi alzo passeggiando per il giardino del College. Ad illuminarlo ci sono pochi lampioni. La canzone finisce. Ce ne un’altra. “Sere nere.”

Vorrei passarla avanti, ma non ne vale la pena. È proprio la canzone che si addice perfettamente al mio stato d’animo in questo momento. Passo davanti ad un lampione. Gli sferro un calcio. Cazzo, che male!

Le mani in tasca, passo lento. La camicia bianca ormai sporca e bagnata di sudore. Il piede mi fa male un po’ per il salto, un po’ per il calcio. In questo momento non sarebbe poco opportuno avere qualcuno al mio fianco. Qualcuno che mi consoli.

Guardo il cielo. La luna è alta e piena. Vorrei tanto perdermi nei suoi pressi. Nello spazio dove i miei pensieri non hanno senso. Sento qualcosa vibrare nella tasca. Mi infilo una mano dentro. È il mio N70. Osservo il nome sul piccolo display a colori: Barbara. Non ricordo neanche quando gli ho dato il mio numero. Decido di non rispondere. Non ne ho voglia.

Finisce anche questa canzone. Oddio. Proprio questa doveva capitare? “Ti scatterò una foto.” Stupenda ma troppo triste. Nonostante questo la continuo ad ascoltare osservando il nome di Barbara sul display.

Rivedo quella panchina dove ero seduto prima. Il cellulare continua a vibrare. La ragazza sta insistendo. E vabbè. Vorrà dire che sarà lei a consolarmi. Spengo l’Ipod e rispondo.

“Pronto.”

“Vale. Dove sei?” Sento la voce della ragazza dall’altro capo. Voce sensuale.

“Perché?”

“Dai, dimmelo.”

“Sono in mezzo ai tavoli da picnic.”

“E che cazzo stai facendo li?”

“Sto rimuginando sulla mia stronzaggine.”

“Aspetta che ti raggiungo” conclude attaccandomi il telefonino in faccia. Non mi ha dato neanche il tempo di replicare.

Guardo l’orologio sull’N70. Le quattro e mezza, cazzo! Mi siedo di nuovo sulla panca di legno attaccata al tavolo. Poi ci ripenso e mi stendo su la tavola diritta.

Che sonno! Sbadiglio. Inizio ad abbassare le palpebre senza volerlo ed eccola li. So che è lei solo sentendo i suoi passi. Mi metto diritto e la guardo raggiungermi. Ha ancora il vestito di quella sera e indossa la mia giacca.

Si siede al mio fianco senza dirmi una parola. Guardo davanti a me, indeciso sul da farsi. Poi dico: “Potevi anche andare a dormire.”

Fa la faccia da indignata. “È questo il ringraziamento che mi merito?”

Mi da una pacca sul braccio. Sospiro.

“Hai ragione” dico, “scusami.”

“Ecco” fa lei stringendomi al mio braccio.

Voglio rimanere così per sempre.

“Ma si può sapere cosa è successo stasera?” domanda con voce assonnata.

Non rispondo.

“Dai, dimmelo.”

Sospiro ancora. “Se te lo dico mi devi promettere che rimanga fra me e te.”

“Okay.”

In questo caso gli vorrei mentire, ma i suoi occhi penetranti non me lo permettono.

“Due anni fa…” inizio. Ma mi blocco.

“Avanti, non ti preoccupare” mi incita Barbara. “Con me il tuo segreto e al sicuro.” Mi da un bacio sulla guancia. Così va meglio.

Continuo con la mia storia. “Due anni fa… ero campione di karate, è un arte marziale…”

“So cos’è, non sono ignorante.”

“Okay, ora fammi finire.”

“Si.”

“Io ero anche molto diverso da come lo sono adesso. Infatti ero un bullo. Mai nessuno riusciva a contrastarmi.”

“Cosa? Tu un bullo?”

“Non sono così coglione come sembra” ribatto.

“Lo so” sorride. “Ma non me lo sarei mai immaginato.”

“Insieme a me c’era anche Luca. I due bulli delle medie in poche parole. Io menavo qualsiasi ragazzo che mi guardava, in poche parole. Una volta ho chiamato un gruppo di amici e abbiamo menato a sangue il prof di tecnica.”

“Oddio.”

“Naturalmente presi la sospensione. Ma mi promossero, più per togliermi davanti ai coglioni. Ma la cosa terribile avvenne quando in mezzo alla strada, ho fatto a botte con un gruppo di ragazzini. Io… beh… con un calcio ho scaraventato un ragazzo in mezzo alla strada e… ed è stato investito da un camion.”

“Oh mio Dio. E cosa gli è successo?”

“Lui… beh, lui è morto.”

Si porta le mani alla bocca. “Oddio.”

“Dovevi vedere i suoi genitori. Io… sono un assassino.”

Merda. Sto piangendo. Questa non ci voleva.

“La gente continuava a dire che era stato solo un incidente ma in verità la colpa è tutta mia” continuo fra le lacrime.

Mi guarda con aria commossa. “No. Tu non volevi…”

“Questo non c’entra un cazzo!” urlo quasi.

“Per questo prima non ti sei difeso?”

“Ho giurato di far più del male ad una mosca” rispondo. Mi alzo. Le mani in tasca. Lacrime bollenti di dolore. “Io… ogni volta che ripenso a quella volta voglio morire.”

Guardo davanti a me. Lei è alle mie spalle. Improvvisamente sento una stretta al mio collo. È lei. Mi sta stringendo a se. Questa proprio non me l’aspettavo.

“A volte si compiono delle azioni che si vorrebbero mai fare” dice al mio orecchio. “Ma bisogna rassegnarsi e lasciarsi tutto alle spalle.”

“Lo dici come se fosse facile” dico asciugandomi il viso e voltandomi verso di lei.

La guardo negli occhi. Siamo vicinissimi. Sento il suo alito sulla mia pelle.

“Non sei solo” fa. “Ricorda che ci sono anche io.” Mi da un bacio. Ci voleva proprio un po’ di consolazione del genere.

“Scusa se ti ho lasciata sola alla festa.”

“Non preoccuparti, avevi le tue ragioni.”

La bacio ancora. Non è come la prima volta. È molto meglio. E intanto passa il tempo. Tempo che passa veloce. Tempo di pioggia. Tempo di sole. Tempo di “amare”. Com’è strana questa parola. Ogni volta che ci penso mi si stringe lo stomaco. E mi accordo che mi capita lo stesso quando guardo Barbara. Quando la sento. Quando la penso. Quando le parlo. E mai come ora. Quando siamo vicini come un’anima in un corpo. Forse ti amo. Non lo so. Non ho mai provato questa sensazione.

Mi stacco da lei. Guardo l’ora: le cinque del mattino.

“Caspita” dice Barbara. “È tardissimo.”

“O prestissimo?” domando sorridendo.

Ride. “Domani abbiamo lezione” mi dice poi.

Sorrido. “Penso che domani salterò.”

Ride di nuovo. Anche io. Mi sento meglio. Molto meglio. Quasi felice.

Sbadiglia.

“Beh, penso che sia ora di andare a dormire” faccio.

“Okay. Accompagnami.”

Non me lo faccio ripetere due volte. Dieci minuti dopo sono fuori la porta della sua stanza. Mi guarda mentre giocherella con le chiavi, segno di impazienza. Ottimo segno.

Mi appoggio al muro. “Mi inviti ad entrare?”

Scrolla subito il capo. “Così corriamo troppo.”

“Questo significa che con me vuoi fare cose serie” esclamo serio.

Scrolla le spalle. “Perché, tu?”

Sorrido. Le do un bacio e mi avvio verso la mia stanza senza voltarmi indietro.

Quando giungo alla mia porta, non so che fare. Le chiave giocherellano nelle mie mani. Apro o non apro? Infine mi decido ed infilo questa maledetta chiave nella serratura. Quando apro la porta, l’oscurità mi invade. Luca sta sicuramente dormendo.

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Capitolo 12
*** Dodicesimo Capitolo ***


Ciao a tutti! Avete visto questa volta ci ho messo di meno a postare il continuo. Allora, fatemi fare un pò di ringraziamenti. Beh... a dire il vero volevo solo ringraziare Ego me stesso ed io, kikka_hachi e crazy4frankiero dei loro commenti. Caspiterina, non mi aspettavo che la mia storia (con qualche particolare in più) avesse avuto tanto successo. Okay, adesso bando alle ciance e buona letturaaaaaaaa! XD

12.

Dio che sonno. Apro a stento gli occhi. Qualcuno spenga questa fottuta luce. C’è qualcuno davanti a me. Ma chi cazzo è? È Gigi. Ma che ci fa qui. Sembra molto arrabbiato.

“Vuoi spiegarmi, per favore, dove sei stato questa notte?” mi fa.

Mi metto diritto. Sbadiglio. “Non ti preoccupare, amico, sono rimasto nel College.” Mi guardo attorno. Luca non c’è.

“Se stai cercando il tuo amico lo trovi a lezione.” Guarda l’ora. “Le dieci e mezza. Dovrebbe uscire adesso.”

“Ma cosa succede adesso che ho saltato questa lezione?”

“Ne farai una privata oggi. Insieme alla tua amica Barbara, che guarda caso è tornata anche lei tardi.”

“Vado a vestirmi” cambio subito discorso alzandomi dal letto.

“Ecco, è meglio” fa. “E ti sarei grato se terrai chiusa quella boccaccia riguardo a stanotte. Sai che è meglio pure per te che il preside non sappia niente.”

“Mica sono scemo.”

Quando sono uscito dalla doccia, Gigi è sparito. Mi metto un jeans pulito, una maglietta a mezze maniche e un maglione sopra. Mi infilo l’N70 in tasca ed esco chiudendomi la porta a chiave. La prima cosa che vorrei fare e riprende il cellulare e chiamare Luca. Ma sono cosi stronzo da dare retta al mio onore. Cammino verso la mensa. Per prima cosa ci vuole un’abbondante colazione.

Vibra il cellulare. È Barbara. Il cuore mi inizia a battere. Cazzo! Questo è segno certo che vuole fare cose serie con me.

Rispondo.

“Ciao.” Sono un vero idiota. Come puoi dirle solo “ciao”?

“Ciao” risponde. Sembra divertita.

“Dove sei?” domando.

“Sto andando a fare colazione.”

“Pure io. Allora ci vediamo là.”

“Okay! Ciao amore.”

Mi blocco in mezzo al corridoio. Immediatamente nel mio cervello nascono mille pensieri: mi ha chiamato amore. Cosa rispondo? Cosa significa? Mi ama? Io la amo?

“C-ciao” rispondo. Che qualcuno mi uccida per favore.

La vedo seduta ad un tavolo con Donatella. Mi siedo.

“Ciao, ragazze” faccio.

“Ehilà!” fa Donatella.

Barbara si sporge davanti a me e mi da un bacio sulle labbra. Riesco a vedere la scollatura fra il grande petto.

Non pensarci. Non adesso.

“Che prendete, ragazze?” domando.

Risponde Dona. “Oh, non preoccuparti. Ci sta pensando Luca.”

“Cosa? Sarà meglio che me ne vada.”

Barbara mi prende per un braccio. “No, non andare ti prego.”

Sospiro e mi risiedo. “Okay!”

Qualcuno sta alle mie spalle. È Luca. Cerco di non guardarlo. Posa un vassoio con un paio di cornetti sul tavolo. Ci sono quattro buste di latte e un paio di bicchieri di plastica. Noto che anche lui non mi guarda. Dona e Barbara invece si fissano esasperate.

“Avanti ragazzi, non potete mettere una pietra sopra?” fa Dona.

“Su Vale” mi incita Barbara.

“Cosa?” rispondo. “Non sono io quello che ha sbagliato.”

Luca si volta incazzato. “Ah, questa è proprio grossa.”

Ha ancora il viso segnato dalla mazzata di ieri.

“Che vorresti dire?” ringhio.

“Ragazzi, ragazzi, per favore…” interviene Dona alzandosi e mettendosi fra noi. “Allora, adesso voi vi stringete la mano o io e Barbara vi molleremo.”

Guardo subito Barbara. “Che…?”

Fa spallucce.

Non ci credo.

Dona prende le nostre mani e le mette vicine. Luca cerca di stritolare la mia ed io cerco di fare lo stesso con la sua. Poi ci separiamo. Mi alzo.

“Io vado, mi è passata la fame” dico.

Barbara mi segue. “Vale, fermati.”

Non lo faccio. Continuo a camminare. Lei corre dietro di me e mi raggiunge fermandomi con un braccio. Mi libero.

“Ma cosa vuoi tu che volevi mollarmi solo per una stretta di mano!” Okay, ho esagerato, lo ammetto.

Mi blocca. “Guarda che ha inventato Dona li sul momento. E poi come ti permetti di alterarti cosi nei miei confondi.”

Faccio un respiro profondo. “Hai ragione, scusami.”

“Ecco, cosi va meglio.”

“Ma ora toglimi una curiosità” domando sorridendo.

“Sarebbe?”

“Il fatto che mi avresti mollato significa che siamo una coppia? Cioè… specie fidanzati?”

Ride. “Oddio, sei unico.”

Ha ragione. Sono l’unico stronzo da poter dire una cosa del genere. Ma devo capire.

“Allora?” faccio.

Sospira. “Se per te va bene.” Si stringe a me.

Sorrido. “Che domande sono? È normale che va bene.”

Chiude le labbra, come a formare un cuoricino in cerca di bacio. L’accontento subito.

“Però fammi un piacere” mi dice.

“Cioè?”

“Fai pace con Luca.”

Sospiro per l’ennesima volta quella mattina. “Okay!”

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Capitolo 13
*** Tredicesimo Capitolo ***


Okay, rieccoci qui al tredisemo capitolo di questa storia. A questo punto vorrei domandarvi, siccome sono amante dell'azione e visto che la storia ha preso piege troppo pallose, se potrei far attaccare il college da un gruppo di terroristi, anche per mostrare la brutalità della guerra. Ma questa cosa dipende solo da voi. Fatemi sapere con un commento. E grazie ancora degli altri commenti. Ora buona lettura ;-)

13.

È li davanti a me. Che faccio?

“Ehi!” dico.

Si gira. “Che c’è?”

Quasi non gli do un altro pugno.

“Che ne dici mettere una pietra sopra come hanno detto le ragazze?” faccio.

Alza le spalle. “Per me va bene. Ma sei tu che hai sbagliato.”

Cazzo che rabbia. “A dire la verità abbiamo sbagliato entrambi.”

“Infatti.”

Silenzio super imbarazzante.

“Beh… allora” inizia “immagino sia il caso di stringersi la mano, no?”

Sorrido e alzo la mia. Lui la stringe. Wow, non pensavo che sarebbe stato così leggermente leggero – scusate il gioco di parole – visto che mi sembra che mi sia tolto un grande peso da dosso.

Passiamo il resto della mattinata seduti in panchina a fare i compiti assegnati dalla prof, così me li anticipo prima che me li assegna. È in questo momento che gli studenti usano tutto il loro ingegno.

Dopo pranzo, io e Barbara ci avviamo verso lo studio della prof Walter. Bussiamo.

“Please” fa una voce dall’interno della stanza.

Apro la porta. La prof ci sorride da dietro la scrivania.

“Accomodatevi, ragazzi.”

Passiamo due ore di pallosità assoluta. La Walter ha una voce ipnotica e se non fosse stato per Barbara che mi punzecchiava ogni cinque minuti, starei nei migliori sogni. La cosa più interessante fu quando la prof disse a Barbara. Cara, vuoi prendere un libro dietro a quello scaffale. Vedi, che è l’unico con la foderino di colore red… che colore è red?”

“Rosso” risponde pronta.

Questa la sanno anche i bimbi.

Appena la vedo andare dietro lo scaffale con quella gonna quasi corta mi viene la voglia di baciarla come un cannibale. Okay, sto esagerando.

“Ehm, non lo trovo” dice lei da dietro lo scaffale.

Mi alzo. “Le do una mano, prof”

“Okay” fa la Walter.

Vado subito dietro allo scaffale da dove la prof non poteva certo vederci. Barbara è li, più sexy che mai, appoggiata allo scaffale con il libro rosso in mano. Mi avvicino a lei.

“Allora sapevi che sarei venuto io, eh?” le sussurro all’orecchio.

“Gia” fa lei sorridendo.

La bacio subito mettendo tutta la passione che in corpo e trasferendola nel suo.

Quando ci stacchiamo fa. “Wow, è stato… wow.”

Sorrido. “Lo so.”

“Ragazzi, tutto bene?” esclama la Walter da dietro la scrivania.

Ridiamo a bassa voce. “Si, l’ho trovata, ehm, volevo dire trovato” esclamo divertito.

Quando usciamo dalla stanza lei mi abbraccia.

“Allora, dimmi un po’ se quel bacio di prima ti ha fatto venire una strana voglia” mi fa.

Ma dove vuole arrivare? Mi guardo attorno. È gia sera e in giro non c’è nessuno.

Lo guardo negli occhi.

“Tesoro, io ce l’ho sempre la voglia.”

“Beh, e credo che l’avrai ancora per un po’.”

“Cosa?”

Mi bacia.

“Diciamo che se la nostra relazione dura per un altro annetto, potrà succedere qualcosa.”

“Che?” dico. “Non scherzare con ste cose.”

Scoppia a ridere. “Oddio, non sai che faccia hai fatto.”

“Anche se sembri una così brava ragazza, io so che dentro sei una peste” dico facendole il solletico.

“No, fermo, fermo” esclama ridendo.

Ma non mi fermo di certo perché me l’ha detto lei.

Cadiamo sull’erba. Io sopra di lei. L’accarezzo il volto porta una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

È qui che dalla sua bocca escono le parole fatidiche: “TI AMO!”

Il cuore mi batte più forte che mai. Credo mi siano venuti quattro infarti in una botta. Cosa rispondo? La amo? O è solo bene quello che le voglio?

“Ti amo!” rispondo. Ma non so se dico la verità.

Lei ha notato la mia esitazione.

“Guarda che so che è un po’ strano amare una persona dopo appena una settimana. Anzi, dopo un paio di giorni. Ma io provo quest’emozione per te.” Le sue parole mi fanno riflettere.

“Penso che tu abbia ragione…” inizio.

“Lo so e…”

“No, fammi finire” dico. “Penso che te abbia ragione. Nonostante questo, anch’io ti amo. E forse gia da qualche tempo.”

“Dici davvero?”

“Si.”

La guardo negli occhi per qualche istante.

“Baciami” dice.

Non me lo faccio ripetere due volte.

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Capitolo 14
*** Quattordicesimo Capitolo ***


Ragazzi, volevo dirvi ke per tre giorni non ci sarò quindi non potrò aggiornare. Ma prometto che aggiornerò appena verrò. Ancora grazie per tutti i vostri commenti.
14.

“La mia vita senza te è come un ruscello senza acqua!” Questi sono i miei pensieri nei confronti di Barbara. La amo. La amo. La amo.

“Ti amo” glielo dico ogni volta che ho l’occasione.

“Anch’io” mi risponde.

Siamo seduti vicini nell’autobus mentre ci avviamo verso Londra. Davanti a noi ci sono Luca e Donatella. Barbara si appoggia sulla mia spalla, mentre la musica dell’Ipod scorre attraverso i nostri timpani. Ci siamo lasciati il College alle spalle da dieci minuti. Siamo mano nella mano.

Non mi sarei mai immaginato che nonostante la mia età gia mi sarei innamorato di qualcuno.

Vedo Westminster Hall dal finestrino. Stupenda con quella sua grandezza. Vedo anche l’enorme torre panoramica al suo fianco. Chissà se Barbara vorrebbe andarci con me. Vengo spinto leggermente in avanti. L’autobus si è fermato. Ci alziamo. Così fanno anche gli altri. Sempre mano nella mano, ci incamminiamo verso l’uscita dell’autobus. La prima cosa che noto appena esco nella mattutina aria londinese, è il Tamigi che attraversa la città. Siamo su un ponte. Mi sgranchisco le gambe.

“Bene, ragazzi, venite qui per favore” dice Gigi. Tutti ci mettiamo in torno a lui e ad Anna. “Molto bene. Allora, abbiamo due visite da fare quest’oggi. La prima, è il British Museum, la seconda è una passeggiata nei giardini di Westminster. Quale facciamo per prima?”

La risposta fu ovvia: “La passeggiata.”

“Come immaginavo” disse Gigi.

“Andiamo, su” intervenne Anna guardando l’ora. “Non possiamo ritardare.”

Seguiamo i group leader verso una strada che portava ai giardini. Non è una lunga camminata, anzi arriviamo quasi subito. Probabilmente Gigi ci aveva fatto fermare li perché gia sapeva cosa avremmo scelto.

Di fronte ai giardini c’è molta gente. Che palle. Dobbiamo fare la fila.

“Ragazze, potete accomodarvi sul muretto alla vostra sinistra, mentre io faccio la fila” dice Gigi.

Mitico.

Ci sediamo su un muretto. Guardo dietro di me e vedo alcuni cespugli. Maledetta la mia vergogna. Perché non riesco a baciarmi di fronte a tutte queste persone?

“Ehi” le sussurro. “Ti va di imboscarci?” Indico i cespugli.

“Non fare lo scemo. Non possiamo” risponde.

“Dai.” La prendo per mano e la porto dietro i cespugli di nascosto. Tanto Anna sta parlando con Gigi. I due sembra che si piacciano parecchio.

Appena andiamo dietro ai cespugli è lei a scaraventarmi completamente al suolo. Cazzo, che euforia. Poi dice che potrebbero scoprirsi.

“Ti avverto però” dice alzando un dito, “non ho ancora intenzione di fare quello che pensi tu.”

Cazzo.

“E chi lo voleva mai fare adesso?”

Inizia a baciarmi. Lei sopra di me. I miei ormoni si fanno ancora sentire.

Perché per i maschi dev’essere così complicato?

Mentre guardo la sua gonna aperta su di me, lei si scosta e fa: “Hai una pistola in tasca o sei felice di vedermi?”

Rido. “Forse è il telefono.”

Ride anche lei e mi bacia ancora.

Quanto la voglio. La desidero. Darei tutto per averla…

I pensieri vengono interrotti da un esclamazione alquanto fuori dal comune per una passeggiata per i giardini.

“Cosa è stato?” fa Barbara.

Se ne accorta anche lei.

L’esclamazione continua. Sembra un’esclamazione di piacere. Ora, due sono le cose: o qualcuno sta vedendo un film porno, o sta facendo sesso.

Ci alziamo e di nascosto sbirciamo nel cespuglio accanto al nostro.

Scena supermegagigastraordinariamentestraordianria. Non ho parole. Luca è su Dona con una posizione alquanto sconcia. Questo figlio di puttana sta scopando. Non ho parole.

“Oh mio Dio” fa Barbara.

Il gemito li fa accorgere di una presenta vicino a noi. Ce ne andiamo subito.

Merda. Ora dovrò anche perdere 50 euro.

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Capitolo 15
*** Quindicesimo Capitolo ***


15.

Il panorama da quassù è magnifico. Si vede l’intero Tamigi che attraversa la città. Il Big Bag con il suo ponte. Per non parlare dell’immensa Westminster Hall. Peccato che a rovinare questo bel momento con Barbara c’è il fatto che Luca ha gia scopato. Non so perché questo mi faccia sentire incazzato. Non è per i 50 euro. È perché mi ha battuto. Di nuovo.

“Ehi, che ti prende?” dice Barbara al mio fianco.

“Eh, boh… niente.”4

“Stai pensando a quei, vero?” esclama sorridendo.

“Eh? No, no” rispondo frettoloso. Troppo frettoloso.

Mi stringe il braccio a se. “Suvvia, chi ti dice che un giorno non lo faremo pure noi.”

Sorrido. Le do un bacio sulle labbra. Pur di stare con te, aspetterei tutta la vita.

“Davvero?”

“Beh, non tutta la vita ma una buona parte di sicuro…”

Fa la parte dell’offesa e mi da uno schiaffo. Rido. La bacio. La stringo. La amo.

Il giro panoramico finisce. Scendiamo dalla torre.

Gigi ci viene in contro. “Bene, ragazzi, noi siamo sempre dove sta il muretto. Andate la mentre aspetto gli altri.”

“Okay” rispondo. Ci avviamo, mano nella mano, verso l’uscita.

Una volta usciti vediamo Luca e Dona seduti sul muretto e si stavano tenendo per mano.

“Ehm, perché non ci andiamo a prendere un gelato?” domando.

“Si, è meglio” risponde, probabilmente imbarazzata anche lei.

Così ci avviamo verso una gelateria dall’altra parte della strada. Quasi non finisco sotto ad un pullman. Ancora mi devo abituare a questo senso contrario di portare le auto. Fuori alla gelateria le dico di aspettarmi mentre prendo i gelati.

“Perché?” domanda.

“Nel caso ci chiamino” rispondo.

Entro nel bar e vado alla cassa.

“Yes?” fa il cassiere.

Cazzo. Mi sono scordato che sto a Londra.

“Ehm… T- two ice-cream” dico rozzamente alzando due dita in alto.

“Okay” risponde il cassiere sorridendo al fatto che fossi straniero. “Italian?” domanda.

“Oh, yes” rispondo.

“Roma?”

“Oh, no… Napoli… Naples.”

Appena dico questa parola la sua espressione cambia improvvisamente. Da simpatico diventa scorbutico. Mi da il resto quasi sbattendomelo in faccia. Io so perché: noi napoletani appariamo sempre per gente cattiva, pezzi di merda in poche parole. È vero che Napoli ha i suoi problemi ma non tutti sono camorristi!

Sento un urlo. Conosco la voce: è Barbara.

Corro fuori.

Ma che cazzo…? È sparita. Mi guardo attorno. Eccola. Oh, mio Dio. Ma chi sono quelli? Quattro ragazzi stanno girando in un viale portando via Barbara.

Corro dietro di loro.

Appena giro nel vicolo, per poco non vengo colpito da un cazzotto. Lo schivo grazie ai miei riflessi. Guardo gli assalitori: Jessie e i suoi stronzissimi amici. Barbara è bloccata da uno di loro che le mette una mano davanti alla bocca.

“Ciao, moccioso” fa Jessie sorridendo.

“Stronzo, come va?” faccio.

Il suo sorrido sparisce.

“Hai due ball molto grandi, lo sai?”

“Si, è se il tuo amico non toglie quelle sporche mani dalla mia ragazza gliele metto in testa.”

Questa ha attaccato.

Jessie mi punta il dito contro. “Pestatelo.”

Quello che teneva Barbara la gettò su Jessie che la imprigionò nuovamente. I tre amici dello stronzo mi vennero incontro.

Questo viaggio è la cosa più inimmaginabile che mi sia capitata. Perché cazzo tutte le emozioni di una vita dovevano capitare in una botta? E come se non bastasse, devo anche pestare questi idioti. Ma questa volta non posso tirarmi indietro.

Schivo il cazzotto del più grosso e lo stendo con un solo calcio nelle palle. Gli altri due cercano di colpirmi. Non ci riescono. Una da un cazzotto a vuoto e l’altro nel muro. Quest’ultimo lo stendo prendendo un mattone e gettandoglielo in testa. L’altro con un calcio nello stomaco e un cazzotto in testa.

Guardo Jessie. “Liberala se non vuoi fare una brutta fine anche tu.”

“No, non è possibile. Come…?”

“Fino adesso ti ho avvertito” lo interrompo. “Ora liberala e vattene.”

Ma Jessie non ubbidisce mettendosi una mano in tasca e cacciando un coltello, che punta alla gola di Barbara.

“E ora?” ringhia.

Merda.

Sbam! Un mattone colpisce sulla testa di Jessie, facendolo svenire. Guardo vero l’entrata del vicolo e vedo Luca.

“Ehilà, è da tempo che non ci si vede” sorride.

Rido. “Sporco figlio di puttana, come sempre nel momento giusto, vero?” Gli batto il cinque.

“E gia.”

Vado da Barbara che si è alzata in piedi.

“Come va?”

“Bene, bene.”

“Si, ma ora andiamo che una persona deve pagare una scommessa” dice Luca mentre ci avviamo verso il gruppo.

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Capitolo 16
*** Sedicesimo Capitolo ***


16.

I musei sono una palla pazzesca. Ma il British è tutta un’altra storia. Per prima cosa è il più grande che abbia mai visto. Per non parlare di tutte le stupende opere d’arte che ci sono. La guida parla ma io non sento un cazzo, preso da tutti quei secoli di storia che mi circondano. Solo Barbara, come al solito, mi riporta alla realtà.

“Tutto bene?” mi dice.

“Si.”

“Ti vedevo un po’ perso.”

“No, non mi sono perso.”

Ride. “Scemo, sai cosa intendo.”

E certo che lo so.

Improvvisamente mi accorgo che devo andare in bagno.

“Devo andare in bagno” dico a Gigi, dopo averlo preso da parte.

“Ah, guarda che c’è un bagno nell’atrio principale, sulla sinistra” risponde.

“Okay, vado e torno subito.”

“E non combinare guai come al solito” mi urla dietro.

Entro in bagno e rimango qualche istante immobile, colpito dalla pulizia. A Napoli, il bagno di ogni luogo pubblico è adatto ad una famiglia di ratti.

Si apre la porta dietro di me. Mi volto. Impossibile. È Barbara.

“Ehi, cosa ci fai qui?”

Sorride. “Pensavo che volessi rimanere un po’ da solo con me” risponde.

Si avvicina sensuale sbottonandosi la camicetta lentamente.

È giunto il momento che ho tanto atteso per sedici anni della mia vita. Sto per scopare. Ma perché proprio ora.

Prendo le sue mani fra le mie, impedendo che si sbottoni la camicia.

“Perché? Perché hai preso questa decisione improvvisamente” dico, probabilmente comprensivo.

Alza le spalle. “Beh, dopo che abbiamo visto quei due, credo che forse sono io che sto sbagliando, forse sono troppo lenta, voglio dire… sempre questa mania di non fare le cose in fretta.”

Sorrido e le prendo la testa fra le mie mani. “Allora non hai capito. Io non mi sono messo con te solo con la speranza di fare l’amore… beh, forse all’inizio, ma ora è tutta un’altra storia. Io voglio rispettare le tue decisioni, chiaro?”

Annuisce. Passa qualche secondo di silenzio e imbarazzo.

“Io… io voglio farlo” dice improvvisamente.

Merda. Ho aspettato tanto questo momento e ora eccolo qui, davanti a me. Ma la cosa più strana è che non sono felice, ma ho paura.

Riprende a sbottonarsi la camicetta.

La blocco di nuovo.

“No, non qui. Insomma: non è romantico farlo in un cesso la prima volta.”

Ride. “Ah, sei incorreggibile. Quando allora.”

“Non so.”

“Bene, allora facciamo stasera nella mia stanza, okay?”

Tuffo al cuore!

“Okay” rispondo sperando di andar in bagno il più presto possibile.

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Capitolo 17
*** Diciassettesimo Capitolo ***


17.

Cos’è questa sensazione che si muove dentro di me? Sento che sto cambiando, che sto crescendo. Fra un po’ avrò il mio rapporto sessuale. Che Dio me la mandi buona. Questo la Rowling nei racconti di Harry Potter non lo ha mai scritto, cazzo. A proposito di quest’ultimo, stasera vedi di comportarti bene, capito?

Bussano alla porta.

“Ehi, ti muovi? Ma che cazzo ti stai lavando anche il buco del…?” esclama Luca da fuori la porta del bagno, ma lo riesco a interrompere in tempo rispondendo. “Aspetta, stronzo, sto uscendo.”

Ed esco. Mi infilo l’accappatoio ed entro nella stanza sempre disordinata.

“Che ti metti per la serata speciale?” dice Luca che si sta vestendo.

“Beh… la famosa giacca e la camicia e il jeans nuovo.”

“Cavolo. La famosa giacca che ti metti solo nei momenti speciali.”

“E perché non è un momento speciale, stasera?”

“E come no. Il mio ragazzo sta diventando un uomo.” MI pizzica la faccia.

“E tu cosa fai?” gli domando ridendo.

“Io?” risponde gettandosi sul letto. “Me ne starò qui ad aspettare Donatella. E dopo si tromba. Così stiamo pari con i soldi visto che scopiamo entrambi nella stessa serata.”

Luca è sempre Luca. Non si è degnato di dirmi che ha gia fatto sesso con Donatella per non farmi perdere i cinquanta euro. Ma io avrei fatto lo stesso.

Dopo essermi asciugato i capelli lunghi, mi infilo i vestiti. Mi pettino e mi metto la giacca. Mi sento davvero un uomo con quella giacca addosso. L’ho messa solo due volte. La prima alla festa dei diciotto anni di mia sorella, la seconda quando sono andato nella famosa discoteca “Il Ciclope” a Palinuro. Ma ho avuto una brutta esperienza visto che si macchiò e per poco mia mamma non mi ammazzava. Da allora ho deciso di mettermela solo nei momenti importanti. E questa sera è uno di questi momenti.

“Beh… io vado” dico profumandomi con il D&G. “A proposito, come sto?”

“Ti scoperei” scherza.

“Ci vediamo domani.”

Mi metto il cellulare in tasca ed esco dalla stanza. Mi avvio verso il corridoio del dormitorio delle ragazze. Vedo una ragazza. È Jennifer. Ci fulminiamo con lo sguardo. Lei sparisce al di la del corridoio. Io mi fermo davanti alla porta di Barbara e faccio un lungo respiro. Busso.

“Un momento” fa la voce di Barbara dall’interno della stanza. Si starà preparando per la serata.

“Avanti” dice poi.

Faccio un altro respiro ed apro la porta. Nella stanza c’è un aroma dolce, di incenso. Le luci sono spente. Solo quella di un lume è accesa. Certo che la serata l’ha preparata per bene, Barbara. E lei è la parte migliore. Sul letto. In camicetta. Dio, quant’è bella!

Mi avvicino maledicendo il fatto che non le ho portato neanche un fiore.

“Wow, come sei elegante” fa lei. “Devi andare a un matrimonio?”

Sorrido stendendomi su di lei.

“No, ma a qualcosa di meglio.”

Ride togliendomi la giacca e buttandomela a terra. Chi se ne frega. La bacio. Bacio piccante. Bacio dolce. Bacio d’amore. O è lei che profuma o è la mia mente che gioca brutti scherzi vista la situazione. Lì. In quella stanza. Tra quell’incenso che ti entra in testa. Tra i pensieri di quello che fra poco accadrà. Quasi non mi accorgo che mi sta togliendo la camicia. Ti amo! Ti amo! Ti amo! Ti amo!

Bussano alla porta.

Merda!

“Chi è?” dice Barbara.

“E che cazzo ne so io!” rispondo un po’ brusco.

“Chi è?” fa Barbara alla porta.

“Sono Anna” risponde il capo gruppo dall’altro lato.

Oh, merda. “E adesso?” dico.

“Nasconditi in bagno.”

Mi alzo e corro in bagno. Mi chiudo la porta alle spalle. Accosto l’orecchio a essa e sento i rumori di quelli che sta avvenendo nella stanza. Rumore di una porta che si apre.

“Ciao, Anna, dimmi” dice Barbara.

“Ciao, Barbara. Arrivo subito al dunque. Mi hanno detto che c’è un ragazzo in questa stanza. Sai che se è vero potresti passare dei guai?”

“Si. Ma questa è una stupidaggine. Chi te l’ha data questa informazione.”

“Jennifer Raven.”

Figlia di puttana.

“Oh… beh, ti a detto una bugia” risponde Barbara.

“Di questo ne sono certa. Comunque perché hai dato questa strana aria alla stanza?”

“Oh, beh. I-io e Dona volevamo passare una serata tranquilla. Sai, truccandoci le unghie dei piedi e chiacchierando e poi parlando un po’ di ragazzi.”

“Oh. E per caso tu e Dona vi divertite a misurare delle giacche da uomo?”

Merda. La mia giacca che è a terra. L’ha vista. E adesso? Apro un po’ la porta del bagno vedendo ciò che accade nella stanza. Anna sta alzando la giacca.

“Beh… questa è… è di mio fratello” dice Barbara.

“Di tuo fratello?”

“Si… lei è… finita per… per caso.”

“Finita per caso?”

“Per caso nella mia stanza, volevo dire nella mia valigia, si.” Mentre dice queste parole, Barbara pare molto nervose emettendo delle risatine ebeti.

Anna non sembra cascarci ma vuole sorvolare sull’argomento facendo cadere di nuovo la giacca a terra. Prende Barbara per le spalle e le dice: “Ascoltami, tesoro, pensa bene a quel che fai. Hai quattordici anni.”

“Anna, ma guarda che io non ho intenzione di fare niente di quel che pensi. Gia ti ho spiegato che facciamo stasera io e Dona. E poi ho quindici anni.”

“Ma sei lo stesso ancora una bambina.” Molla la presa sulle sue braccia e si avvia verso la porta. “Buona serata, anche se spero di vederti in giardino, stasera.”

“Buona serata a te” risponde Barbara chiudendosi la porta alle spalle e andandosi a sedere sul letto soffiando verso l’alto.

Esco dal bagno e mi siedo accanto a lei.

“Beh l’abbiamo scampata, vero?” dice.

“E gia. Che bastarda quella Jennifer. L’ho incrociata mentre venivo qua. Mi avrà seguito.”

“Gia.”

Passa qualche istante di silenzioso imbarazzo.

“Sai, ho pensato alle parole di Anna” dice improvvisamente.

Mi volto verso di lei.

“Scusami” dice “ma non me la sento di farlo.”

Sorrido compassionevole. Le metto una mano sul viso. “Non ti preoccupare. Io aspetterò, dov’essere cascare il mondo. Tutto quello che voglio è stare insieme a te.”

Mi bacia. Certo che a volte sono un poeta. E anche coi fiocchi direi.

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Capitolo 18
*** Diciottesimo Capitolo - Ultimo Capitolo ***


PER EGO ME STESSO IO: NEANKE A FARLO APPOSTA QUESTO E’ L’ULTIMO CAPITOLO. COMUNQUE LEGGETI E CI VEDIAMO IN FONDO ALLA PAGINA PER GLI ULTIMI SALUTI.

18.

E’ il penultimo giorno qui alla Brunel University. Sinceramente non so come riepilogare queste ultime due settimane. Ma dovrai cominciare nel parlare del sottoscritto. Da come è cambiato. Prima ero un ragazzo timido e introverso. Oggi invece mi sento più uomo perché ne ho passate delle belle. Certo che se dovrei mettere una colonna sonora alla mia vita, sceglierei “Mad World” di Gary Jules. Mad World. Pazzo mondo. Anche se questo periodo è stato il più eccitante, orribile, oscuro e stupendo che mi sia mai capitato. Insomma mi immaginavo che le cose sarebbero andate un po’ più… più. Ma cosa più bella è che ho conosciuto una ragazza fantastica. Il suo nome è Barbara. Ieri ci siamo ritrovati nella stessa stanza e alla fine non è andata come mi immaginavo che andasse. Mi sono fatto uscire un’altra delle miei forti vene poetiche. Ma da dove le prendo…?

“Vale vuoi venire a dormire o no?” dice Luca da sotto le coperte.

Chiudo in fretta il diario su cui stavo scrivendo i miei pensieri prima di addormentarmi. Mi vado a mettere a letto.

“Allora?” dice Luca. “Com’è stata la prima volta?”

E adesso che gli dico? “Non un granché.”

“Gia la prima volta è sempre così.”

“Tu quanto tempo sei durato la prima volta con Dona?” domando.

“Cosa? Guarda che quella volta con Dona era la terza.”

Scatto subito a sedere.

“Vuoi dire che con Dona l’avevi gia fatto due volte e non mi avevi detto niente?”

“No, no, calmati” esclama lui sulla difensiva. “Volevo dire che non ero vergine quando l’ho fatto con Luca.”

“Cosa? E con chi cazzo l’avevi fatto?”

“Indovina un pò.”

Certo, come se fosse facile con tutte le ragazze che gli stanno appresso. “Claudia?” butto li.

“No.”

“E chi?”

“Danila.”

O porco cazzo! Danila? La mia ballerina di caraibici? Quella che mi raccontava sempre tutto su come amava Luca? È perché diamine non me l’ha detto lei?

“Beh… non te l’abbiamo detto perché non volevamo che si sapesse in giro, ma ora che sto con Dona non voglio mantenere più segreti” risponde lui come se mi avesse letto nel pensiero.

Cazzo che botta che ho preso. Questa era l’ultima cosa che mi aspettavo.

“Allora significa che stai con Dona in modo ufficiale?” domando.

“Certo.”

“Chi, tu? Quello che allontana tutte le ragazze?” faccio io.

“Certo.” Sorride.

Sorrido. “La ami non è così?”

Ride. “Perché tu la tua non la ami?”

“E certo.”

Sembriamo proprio due scemi. Il nostro atteggiamento da uomini duri e da ragazzi di strada sparisce in colpo. Con una semplice parola: amore.

***

Fra un ora partiamo verso l’aeroporto. Mi sento bene. Come se il peso di due settimane di studio – troppe per me – fosse sparito improvvisamente. Voglio urlare. Voglio urlare che c’è l’ho fatta. Voglio urlare che sono felice. Che sono innamorato. Che voglio lei. E specialmente che non vedo l’ora di tornare a casa. A proposito: appena torno, papà di deve comprare assolutamente il motorino perché ogni giorno devo andare da Barbara.

Chiudo la valigia. Guardo Luca. Anche lui ha chiuso la sua. Sento gia una stretta allo stomaco.

“Andiamo?” dico.

Annuisce.

Usciamo dalla stanza chiudendocela alle spalle. Passiamo per il corridoio. Per il giardino, fino alla sala d’ingresso. Eccola li. Le sorrido. Mi sorride. Poso le chiavi in mano al custode. Esco fuori e poso le valigie nel cofano dell’autobus. Ripenso alla serata di ieri…

***

…“Non ti preoccupare. Io aspetterò, dov’essere cascare il mondo. Tutto quello che voglio è stare insieme a te” dico pensando che sono un poeta.

Rimaniamo qualche istante in silenzio. Io mezzo nudo, lei in vestaglia quasi trasparente. E sono pronto a scommettere che sotto non ha niente. Si appoggia sulla mia spalla.

“Anche se” dice improvvisamente. “Prima o poi si deve fare?”

Cosa?

Si volta verso di me con aria afflitta. “E io voglio farlo con te, amore. Ti prego, facciamolo.”

Non l’ho mai vista così determinata. Ho paura. Ormai mi aspettavo che la nottata sarebbe passata a chiacchierare. Invece se ne esce che vuole farlo. Che dico? La guardo in volto. L’accarezzo. Sorrido e la bacio. Piano. Bacio morbido. Mi toglie la camicia. Io le alzo la camicetta. Passo la notte più bella della mia vita. La prima volta dura poco. Ma mezz’ora dopo lo facciamo di nuovo. E un’altra volta nella mattinata.

***

Scuoto la testa cercando di non pensare a c’ho che è successo ieri sera. Altrimenti mi verrebbe di nuovo la voglia. Sbagliato. Gia mi è venuta. Ma non posso farci mi passerà. E poi ora ho una ragazza su cui sfogarmi. Mi avvicino a lei e la bacio forte, piegandola sulla schiena.

“Ehi, ehi. Atti osceni in luogo pubblico” dice Luca.

Ridiamo tutti.

Mezz’ora dopo siamo sull’autobus diretto all’aeroporto di Londra con quella canzone di Gigi Finizio che fa: “Ti cercherò, dove il pensiero travolto da un onda va a fondo e dentro l’anima…” Stupenda. È sembra anche adatta al momento.

E intanto guardo lei. Lei che amo. Lei che ho amato. Lei che amerò per sempre. Barbara. Io e te per sempre.

ECCOCI QUI!!! ALLORA, VORREI RINGRAZIARE TUTTI VOI CHE AVETE LETTO, APPREZZATO E COMMENTATO LA MIA STORIA. ORA VOLEVO DIRVI CHE CI SARA’ UN’ALTRA STORIA CON GLI STESSI PERSONAGGI. QUESTO VALERIO (CHE SONO IO) CHE DOVRA’ AFFRONTARE MOLTI ALTRI PROBLEMI. COMUNQUE VI FARO’ SAPERE TRAMITE E-MAIL QUANDO QUESTA STORIA L’HO INIZIATA A SCRIVERE. CIAO CIAO!!!

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