Lacrime

di FairySweet
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ti farò del male ... ***
Capitolo 2: *** Restare ***
Capitolo 3: *** Semplicemente ***
Capitolo 4: *** Starai Bene ***
Capitolo 5: *** Non rovinare tutto ***
Capitolo 6: *** Preghiere ***
Capitolo 7: *** I miracoli non Esistono ***
Capitolo 8: *** Lui non c'è Più ***
Capitolo 9: *** Perseguitati da un Ricordo ***
Capitolo 10: *** Ha Creato una Dea ***
Capitolo 11: *** Ogni cosa ha il suo Tempo ***
Capitolo 12: *** Non pensare a Niente ***
Capitolo 13: *** Sei tu la mia Questione ***
Capitolo 14: *** Non posso fare altro ***
Capitolo 15: *** Correrà da una Bugia ***
Capitolo 16: *** Lui sarà il tuo Papà ***
Capitolo 17: *** Viene per Te ***
Capitolo 18: *** Vieni con Me? ***
Capitolo 19: *** Non stai Sbagliando ***
Capitolo 20: *** Qualcuno ***
Capitolo 21: *** " ... Un motivo per riportarla a Casa" ***
Capitolo 22: *** Ricordami perché ... ***
Capitolo 23: *** "Che vuol dire?" ***
Capitolo 24: *** Non è un Sogno ***
Capitolo 25: *** Com'è Fragile la Realtà ***
Capitolo 26: *** Respira ***
Capitolo 27: *** Trova conforto nel Dolore ***



Capitolo 1
*** Ti farò del male ... ***


Cri e Burke 1
                                                               Ti Farò del Male







“Hai intenzione di evitarla per sempre?” sorrise senza nemmeno alzare gli occhi dal foglio “Ha ucciso qualcuno?” ma l’ironia le scivolò addosso costringendola a sorridere “Allora non ho bisogno di vederla” “Perché?” “Teddy cosa ...” “Non vuoi vederla? È tua moglie! Potrebbe essere morta o avere un tumore o ammazzare con il bisturi chiunque e non te ne importerebbe niente!” “No” puntualizzò ridendo “Credi davvero che se stesse male io non ..” “Dov’è?” sbottò gelida piantando gli occhi nei suoi, avrebbe voluto risponderle davvero ma qualsiasi tentativo era vano, il cervello continuava a urlare “Esci dall’ufficio e evita il discorso!” sarebbe stato facile, dopotutto, bastava solo muovere un passo e poi un’altro e invece continuava a restare inchiodato lì, accanto a quella scrivania con la speranza più folle che Teddy gli raccontasse qualcosa di sua moglie “Non sai dov’è, non sai come sta, non sai niente Owen! Credi che vedere la mia studentessa arrancare per colpa tua mi faccia stare bene? Credi che costringerla a dormire un po’ dopo giorni folli in sala operatoria possa giovare alla sua formazione?” “Mi dispiace d’accordo? Non so cosa farci se passa tanto tempo qui dentro!” “No!” sbottò gelida picchiando i pugni sulla scrivania “Non funziona così! Non ti lascio libero di distruggerla Owen! Ha gli esami tra pochi giorni e non ha bisogno di altre distrazioni! Che diavolo hai fatto per ridurla in questo stato?” scosse la testa sospirando mentre la biro picchiettava ritmicamente sulla cartellina, non riusciva nemmeno ad accettarlo lui come poteva pretendere di spiegarlo a lei? Fece un bel respiro cercando di stamparsi in faccia un sorriso idiota “Direi che questi non sono affari tuoi sai?” “Oh io invece direi di si!” esclamò giocherellando con i lunghi capelli chiari “Sono affari miei da quando l’hai assegnata a me! Sono affari miei da quando ha operato con me la prima volta, sono affari miei da quando ha operato mio marito e lui è morto! Ha talento, più talento di qualsiasi altro specializzando qua dentro, non ti permetto di buttarla all’aria chiaro?” “Cosa?” ribatté ironico lasciando cadere la cartellina sulla scrivania “Tu non hai alcun diritto di metterti in mezzo Teddy! È mia moglie! La mia famiglia e quello che accade tra noi non sono affari tuoi!” ma lei sorrise incrociando le braccia sul petto  “Non funziona così sai? Non più da quando i problemi che avete si riflettono sul lavoro!” “Ha sbagliato qualcosa?” “No ma ...” “Ha ucciso qualcuno? Non mi pare né tanto meno è scappata piangendo!” “È questo che aspetti?” urlò piantando gli occhi nei suoi, la conosceva bene, troppo bene per fingere che quello sguardo non nascondesse milioni di parole “Aspetti che scappi? Perché se è questo, se davvero stai aspettando una cosa del genere non ci vorrà molto!” “Oh andiamo!” “Mi credi davvero una scema?” si bloccò di colpo, paralizzato da quella vena ironica che le traspariva dalla voce “È stato solo sesso oppure sei innamorato di quella donna?” il cuore mancò un colpo mentre il respiro accelerava “Tu come ...” “Le gemelle siamesi si proteggono a vicenda  non lo sapevi? Credevi davvero che Meredith fosse rimasta a guardare mentre le facevi del male?” “Oh andiamo! Meredith è sempre sull’attenti! “Se vuoi dare la colpa a lei va bene, non mi interessa ma ti dico una cosa ...” gli occhi concentrati nei suoi e un leggerissimo sorriso a colorarle il volto “ ... se la vedo piangere ti faccio del male” “Hai voglia di scherzare vero?” ribatté sarcastico “Sei arrabbiata con me? Tuo marito è morto! Non è stata colpa di nessuno, era malato ed è morto! Smettila di incolparmi per ogni cosa! Te l’ho lasciato fare fino ad ora perché ne avevi bisogno, perché ti voglio bene e non voglio vederti triste e se incolparmi ti faceva sentire meglio allora andava bene, ma ora, ora basta!” “Credi davvero che sia per questo? Non mi importa più niente Owen, non voglio riportare a galla il passato ma sto semplicemente pensando al presente. Lo sai perché non riesci più a sapere niente di tua moglie?  Perché le do turni estenuanti, la costringo a dormire qui, lontano da casa, lontano da tutto il caos che ha dentro! Vive in ospedale e tu nemmeno te ne accorgi! Cosa credi che accadrà quando si fermerà a riflettere? Quando avrà un attimo per riordinare le idee?” “Quando arriverà il momento allora ci penseremo” Teddy scosse la testa sospirando “Non stavo scherzando prima. Se la vedo piangere allora ti farò male Owen perché lei è la mia allieva e proteggo i miei allievi!” non disse una parola di più, abbandonò il suo ufficio lasciando solo il silenzio a fargli compagnia.






 “Tempo?” sollevò lo sguardo dal paziente soffermandosi pochi secondi sull’orologio “Un’ora e dieci” Teddy sorrise “D’accordo, siamo in perfetto orario” ma lei non rispose, si limitò a concentrarsi di nuovo sul cuore del paziente, un cuore malato che aveva bisogno di tutta la sua attenzione “Inizia a suturare, tira bene il filo altrimenti avremo l’effetto opposto” afferrò l’ago e senza dire una parole iniziò le suture.
C’era solo gelo lì dentro, gelo e niente di più ma lei cosa poteva farci? Era stanca, sfinita eppure, nonostante questo, continuava a stare in piedi, a cercare interventi lunghi e complicati, continuava a ritirare esami, a preparare interventi con al sicurezza di avere affianco il suo mentore “Hai mangiato qualcosa?” “Come?” domandò confusa sollevando appena lo sguardo “Oggi hai mangiato qualcosa?” “Si, prima, in mensa” “Cristina!” “Ho mangiato e ho  anche dormito ok?” ribatté ironica “Lo sai, queste domande continue non sono tranquillizzanti! Ho già una madre, purtroppo per me ce l’ho, non ho bisogno di un’altra ...” “Divertente” mormorò ridacchiando “Davvero divertente ma vedi, siccome sei la mia speranza per il futuro mi prendo cura di te quindi, continuerò a romperti le scatole in questo modo” “D’accordo” tirò il filo posando l’ago “Perfetto, le suture tengono” il cercapersone iniziò a suonare “Dottoressa è il suo” Cristina annuì appena “Viene dal pronto soccorso, ha un trauma in arrivo” “Oggi non sono in traumatologia” Teddy la fissò guardinga “D’accordo vai, qui posso finire da sola” “Ma che ..” “Cristina vai! Se è importante e chiamano te probabilmente vogliono il meglio” “Si ma ...” “No” esclamò ridacchiando “Niente scuse, vai e poi fammi rapporto soldato” sbuffò abbandonando gli strumenti “D’accordo, ma se è una perdita di tempo me la prendo con te” scoppiò a ridere divertita da quell’improvviso colpo di ironia mentre guardava la sua specializzanda lottare per restare sé stessa.

“Dottoressa Yang” la ragazza sorrise passandole una busta chiusa “Mi avete chiamato per questo?” domandò gelida ma l’infermiera scosse leggermente la testa indicando con la mano la sala traumi tre.
Era uscita dalla sala operatoria, aveva abbandonato un intervento pazzesco per cosa? Uno stupido caso da pronto soccorso? “D’accordo, meglio che sia ...” il cuore mancò un colpo mentre due occhi scuri come la notte la trapassavano da parte a parte “Tu cosa ... perché sei ...” “Potresti iniziare con il salutarmi e poi potresti chiudere la porta, cosa ne pensi?” scosse leggermente la testa cercando di ricordare come  respirare mentre la porta si chiudeva lentamente alle sue spalle “Ehi ...” la mano dell’uomo si posò sulla sua spalla mentre un sorriso delicato prendeva il posto dello stupore “ ... guarda che se continui così dovrò chiamare un’altro medico per prendersi cura di te” “Tu sei, hai ...” “Ho bisogno che tu mi aiuti a fare una cosa” annuì appena o almeno, era quello che avrebbe voluto fare ma rivederlo lì, rivivere quel ricordo tanto a lungo celato faceva un male terrificante “Perché sei qui?” l’altro sorrise tornando a sedersi sul lettino “Beh dottoressa Yang, direi che il motivo è semplice” un leggero cenno della testa ad indicare la busta che reggeva tra le mani “Puoi aprirla sai? Non te l’ho data per ricordo” “So già cosa c’è qui dentro” mormorò tremante “So cosa dice questa lettera e se ora la stringo tra le mani so che ... Burke non hai ...” “Ho un angiosarcoma Cristina, non può essere operato e non voglio essere operato insomma, a che pro?” si sedette di fronte a lui, le mani strette così forte attorno alla busta da far scricchiolare la carta chiara “Ho sempre avuto paura di questo” “E io no secondo te?” ribatté ironico sollevandole il viso “Hai tra le mani il mio futuro dottoressa Yang” un debole sorriso a colorargli il volto “Ricordi? Non importa dove saremo, non importa quando accadrà, non importa in che modo” “Già” si passò una mano in viso cercando di sorridere o almeno, cercando di fingere di farlo ma non riusciva nemmeno a convincere il cervello “Va tutto bene Cristina, è tutto ok” “Morirai! Va davvero tutto bene?” “Non è quello che ...” “No!” esclamò alzandosi di colpo “Non puoi chiedermi di odiarti anche per questo! Ho passato mesi interi a farlo solo per quelle stupide nozze! Ho cercato in tutti i modi di cancellarti dalla memoria e non ci sono mai riuscita e ora, ora vieni qui e mi chiedi di prendere questa decisione per te, mi chiedi di aprire questa busta e fingere che tutto vada bene e io ... io non voglio farlo!” le mani dell’uomo si strinsero con forza attorno alle sue spalle mentre, oltre i vetri, gli sguardi curiosi delle infermiere ne studiavano i movimenti “Non ti chiedo di scegliere per me Cristina! L’ho già fatto io, non ho bisogno che qualcuno scelga al posto mio, sono grande sai? Ti sto chiedendo solo di essere qui, di essere con me quando accadrà perché nonostante tutto resti sempre la persona di cui mi fido!” la sentiva tremare, ansimare per quell’esplosione di rabbia giusta e naturale “Mi dispiace” sussurrò sfiorandole il volto “Mi dispiace averti fatto soffrire, mi dispiace averti costretta ad essere qualcosa che non sei e, probabilmente, la rabbia e l’odio che hai provato e provi per me mi accompagneranno per sempre ma ora, ora ho bisogno che torni ad essere la persona di sempre, ho bisogno che tu sia la donna che per anni ho avuto vicino” chiuse gli occhi qualche secondo lasciando che quelle parole le  entrassero nell’anima “Io non ti odio” sospiri regalati all’intimità di quell’attimo “Non ti odio perché farlo mi distrugge e ora, in questo momento non ... tu sei ... Hai bisogno di cure” “Ho bisogno che la stessa donna che firmò quel foglio sia vicino a me alla fine di questo percorso” la guardò negli occhi, gli stessi occhi che per anni si erano svegliati insieme a lui, le mani strette più forti attorno alle sue spalle “Sarai qui?” “Da quanto lo sai?” “Come?” domandò confuso “Sei venuto qui con una diagnosi, da quanto lo sai?” ma l’uomo sorrise “Questo non è importante” “Ah no?” esclamò in lacrime sciogliendosi da quella presa bollente “Sono sempre stata qui Burke! Non mi sono mai allontanata da Seattle, sapevi che ci sarei stata nonostante tutto e vieni qui solo ora! Che diavolo ti passa per la testa?” “Perché?” ribatté ironico “Mi avresti salvato? Avresti operato un miracolo? Perché se è così allora mi darò dell’idiota per l’eternità!” forse incolparlo l’avrebbe fatta sentire meglio, forse, lasciare che scaricasse su di lui ogni fottuto sentimento l’avrebbe aiutata a capire “Pensi che non sia terrorizzato? Pensi che morire sia quello che sognavo da quando ero bambino? Non posso cambiare il futuro Cristina! Non posso farlo e credimi, non c’è altra cosa al mondo che desidererei ma non posso!” si passò una mano in viso ridendo “Avevo dei piani! Avevo deciso ogni cosa, sapevo come sarebbe stata la mia vita e ora, ora sono qui a supplicarti di essere forte! Ti sto chiedendo di essere quella di sempre!” “Tu non hai diritto di chiedere niente! Non puoi ... tu non puoi ...” la tirò a sé stringendola con forza, voleva liberarsi da quell’abbraccio forzato, voleva allontanarsi il più possibile da lui, da quella stanza maledetta e invece, tutto quello che riusciva a fare era restare immobile, paralizzata in quel calore che da troppo tempo le mancava “Sarai qui per me?” non rispose, non si mosse, nascose il viso sul suo petto mentre le mani si aggrappavano con forza a lui.
Era fragile, distrutta da un marito che al momento sembrava più lontano di Burke, non riusciva a respirare, non riusciva nemmeno a pensare, stretta tra le sue braccia lasciava che quel dolce senso di protezione le rinfrescasse l’anima allontanandola da tutto il resto, da Owen e dall’odio che leggeva nei suoi occhi.

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Capitolo 2
*** Restare ***


HHHHH                                                              Restare









Era rimasta tutta la notte a fissare quella maledetta busta, era sfinita, massacrata da decisioni che non aveva scelto lei e che ora, le piombavano addosso alla velocità della luce.

I primi raggi di sole invadevano la stanza allontanando le ombre della notte, non aveva dormito, non era nemmeno riuscita a chiudere gli occhi per qualche ora, inchiodata lì dalla consapevolezza di dover stringere la mano ad un ricordo e trascinarlo via dalla vita.
Dio quanto odiava scegliere, quant’era tutto più facile da single, niente mariti o fidanzati, niente decisioni importanti da prendere, solo chirurgia e il bar di Joe e sesso a volontà.
Già, ora però era tutto più complicato, era sposata e non sapeva nemmeno come diavolo era arrivata fino a lì.
Sapeva che Meredith aveva ragione, sapeva di aver detto si ad una velocità terrificante ma era terrorizzata, spaventata dal poter restare sola di nuovo, dal poter vedere di nuovo Owen steso sul pavimento di una sala chirurgica mentre un pazzo le puntava alla testa una pistola.
Si era sposata credendo di curare sé stessa e invece, era più a pezzi di prima.
Forse era giusto così insomma, non era desiderio di tutti non avere figli no? Era giusto odiare una persona per aver scelto da sola ma non lo era punirla in quel modo, allontanarla così tanto da lui, lasciarla sola troppo a lungo e ora, ora c’era di nuovo Burke, il suo maledetto sorriso che in realtà, mascherava la paura e la rabbia.
Chiuse gli occhi nascondendo la testa nel cuscino, che diavolo doveva fare? Fingere che tutto fosse uguale a prima o sconvolgere di nuovo tutta la sua vita? Il suono della sveglia la riportò alla realtà, allungò un braccio cercando di spegnerla ma urtò una foto e il rumore dei cocci rotti fu l’unica cosa che riuscì a sentire.
Non sollevò nemmeno la cornice, che senso aveva farlo? Conosceva a memoria ogni linea, ogni colore di quella foto e forse, non vederla per un po’ le avrebbe fatto solo bene.
Ci aveva messo un’ora solo per fare la doccia e poi il caffè e quel continuo senso di nausea che le saliva alla gola ogni volta che pensava al lavoro.
Afferrò la tazza dalla credenza senza scomporsi minimamente per quell’improvvisa intrusione nella sua routine, Owen le sorrise posando sulla sedia la giacca “Sono passato a casa solo per qualche minuto, ho bisogno di fare una doccia e ...” “Fa pure, io esco tra cinque minuti” mormorò sorseggiando di tanto in tanto il caffè, poi il trillo del telefono e la voce della segreteria “Al momento non siamo in casa, lasciate un messaggio dopo il segnale acustico”  la voce di Burke a riempire l’aria “Ehi guerriera, lo so che sono le cinque e mezza, d’accordo, ammetto che è presto ma ti alzavi sempre alle cinque meno venti quindi lo so che sei sveglia e so anche che mi stai ascoltando ... ”  Owen si voltò lentamente verso di lei cercando nel suo sguardo risposte ma i suoi occhi erano concentrati sul liquido scuro nella tazza, lontano da lui, lontano da qualsiasi domanda “Probabilmente stai già bevendo il tuo orribile caffè terribilmente dolce ma sono sotto casa tua tra cinque minuti, ricordi? Oggi il notaio ha bisogno di rettificare i documenti e ho bisogno che tu sia lì quindi, beh, ti aspetto qui giù”  un debolissimo sorriso a incresparle le labbra, posò la tazza sul tavolo e infilò la giacca “Aspetta ...” la mano di Owen stretta con forza attorno al suo polso “ ... Cristina cosa stai ...” si voltò di colpo, gli occhi piantati nei suoi mentre dal cuore un’unica parola rimbombava violenta “Va tutto bene?” sfilò la mano e senza dire una parola se ne andò lasciandolo immobile nel silenzio.
Lasciarla andare? Gran bella mossa! Aveva la testa invasa da mille pensieri, un vortice orribile di supposizioni, di rabbia, un vortice che non gli lasciava scampo.
Avrebbe voluto fermarla, tirarla tra le braccia, supplicarla di non andare, di restare lì, ad ascoltarlo a perdonarlo e invece, tutto quello che riusciva a fare, era restare immobile mentre metà del suo cuore si allontanava da lui.


“Hai intenzione di guardare fuori dal finestrino per due ore intere?” “E tu?”  domandò sospirando “Hai intenzione di farmi domande per due ore?” ma lui sorrise tornando a concentrarsi sulla strada “Sei cambiata sai?” non rispose, si limitò ad annuire tornando a guardare la folle corsa dell’acqua sul vetro “Sei cambiata insomma, sei riflessiva, concentrata su qualcosa che continui a tenere lontano da me” “Puoi biasimarmi?” “È tuo marito non è vero?” “Cosa?” balbettò confusa voltandosi verso di lui “Pensavi davvero che non lo sapessi?” un tuono a squarciare l’aria “Hai un marito, una casa, un lavoro, hai tutto quello che non avresti avuto con me” “Tu credi?” si voltò qualche secondo verso di lei studiandone il volto “Non ho detto che sei cambiata in meglio sai?” “Meno male” ribatté ironica “Dove sei sparita?” mormorò all’improvviso “Io sono sempre la stessa” “No, sei simile a te stessa ma non lo sei realmente. Avevo lasciato una specializzanda ostinata, caparbia, maledettamente competitiva e così dannatamente intrigante da mandarmi in confusione, torno indietro e trovo una ragazza in lacrime, fragile, diversa da quella che ricordavo” si fermò ad un semaforo, le mani strette con forza attorno al volante mentre gli occhi di Cristina cercavano i suoi “Sei cambiata ancora e l’hai fatto per tuo marito. Non so il perché e non voglio saperlo a meno che non sia tu a dirmelo però vedi,  rinunciare di nuovo a quello che sei non ti fa bene” lei sorrise giocando con una ciocca di capelli “Ho abortito” “Uao” esclamò ridendo “Divertente?” “No, solo, beh ecco, è strano” “Davvero?” Burke annuì appena “Conosco l’amore che sei capace di dare Cristina, quando ami lo fai con tutta te stessa e ora sei sposata. Hai abortito? Ok, ma non l’hai fatto da sola vero?” nessuna risposta “Già, lo vedi? Non è questo che ora ti passa per la testa” “Parliamo di te vuoi?” buttò lì massaggiandosi il collo “Di che ha bisogno il notaio?” “Che tu firmi dei documenti, per l’esattezza la copia di quello che abbiamo fatto tre anni fa” “Ma che ... a che serve? Ho già firmato una volta e ora devo farlo di nuovo?” l’uomo annuì tossicchiando “Serve solo per controllo, sai, nel caso avessimo cambiato idea negli anni” “Oh questo spiega tutto” “Ehi!” esclamò dandole un buffetto sulla guancia “Dico solo che non ha senso” “Lo so ma ai fini della legge ne ha quindi, possiamo far finta che lo abbia anche per noi?” un debole sorriso a colorarle il volto “Grazie” riprese ironico “Devo firmare anche io?” “Cosa?” domandò confusa “Devo firmare anche io per te? Ora sei sposata e hai un marito e se mai ti accadesse qualcosa lui avrebbe ...” “No” mormorò scuotendo leggermente la testa “Cristina tu hai ...” “Ho solo bisogno che almeno questo resti com’è ti prego, non cambiare tutto di nuovo” l’auto si fermò, pochi secondi per guardarsi negli occhi e poi l’acqua gelida a colpire le loro pelli.

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Capitolo 3
*** Semplicemente ***


Cri e Burke 3                                                  Semplicemente







“Dove sei?
“Sono ...” si fermò qualche secondo guardandosi intorno “ ... direi nell’appartamento che Burke ha affittato qui” “E come mai sei lì dentro?” domandò confusa Meredith “Beh ecco ... diciamo solo che ha bisogno di me” “Cristina, spero che i suoi bisogni siano diversi da quelli che generalmente chiamiamo bisogni!” ma lei scoppiò a ridere abbandonandosi sul divano scuro del soggiorno “È una bella casa sai? È grande, spaziosa, piena di luce, moderna” “Tuo marito mi chiede continuamente dove sei! Che diavolo gli devo rispondere? Che sei nella casa nuova del tuo ex perché lui ha dei bisogni che solo tu puoi soddisfare?” “Ha un angiosarcoma avanzato, sta per morire Meredith” la sentì sospirare, probabilmente si stava mordicchiando le labbra, lo faceva sempre quando era nervosa o irritata “Mi ... mi dispiace, non sapevo che ...” “Oh fino a ieri nemmeno io lo sapevo” ribatté ironica accavallando le gambe “È venuto da me e mi ha chiesto di aiutarlo a morire” “Uao” “Già” mormorò “E non riesco nemmeno a dirgli di no insomma, come faccio? Come posso lasciarlo solo?” Meredith sospirò “Non puoi farlo. Puoi semplicemente restare lì, resta con lui per tutto il tempo di cui avrà bisogno” “Oh, questa è una follia” “Si, ma lo è di più tornare indietro da tuo marito e fingere che non sia successo niente!”  si passò una mano tra i capelli sospirando “Sono sposata, non posso semplicemente scappare! È come se riccioli d’oro scegliesse di restare lo stesso nella casa degli orsi pur sapendo che la mangeranno”  “Ma che ...” “Divento irritabile quando sono nervosa” sbottò ironica “Lo sai ...” riprese la ragazza “ ... forse la vicinanza con Burke può aiutarti” “E come?” “Beh, lui è estraneo, insomma, non estraneo a voi due ma estraneo a quella che sei diventata. Forse, restare un po’ di tempo con lui ti può aiutare a capire cosa vuoi diventare e soprattutto, se vuoi farlo con Owen”  il rumore della porta alle sue spalle la costrinse ad inclinare leggermente la testa indietro, il volto sorridente dell’uomo la accolse come sempre, tra le braccia due buste marroni cariche di leccornie appena comprate e una tracolla nera che sembrava pesare più della spesa “Ok, senti, ti chiamo più tardi” “D’accordo, ma resta ad almeno trecento metri dalla camera da letto di quell’uomo chiaro?” sorrise scuotendo leggermente la testa mentre il rumore sordo del silenzio cancellava la voce di Meredith.

“Come stai?” “Come mai tutti oggi irrompete nel mio ufficio?” ribatté sarcastico chiudendo il computer, Mark e Derek si fissarono qualche secondo ridacchiando “Ci chiedevamo solo come mai, il capo non svolgesse lavori da capo” “E secondo voi compilare questi non è un ...” “No” esclamò Mark sedendosi di fronte a lui “Vuoi sapere cos’è un lavoro da capo? Evitare che Callie estirpi le gambe ad un uomo per curare un cancro e che poi le ricucia giocando a fare Frankenstein. Un lavoro da capo è capire perché il chirurgo cardiotoracico ruba continuamente il mio specializzando visto che ha il suo!” “Oppure” continuò Shepard socchiudendo gli occhi “Cercare di capire come mai mia moglie continua ad assillarmi con domande del tipo  ...Hai parlato con Owen?”  per qualche secondo il silenzio irruppe violento scaricando la tensione “Callie estirpa gambe perché le ho dato il permesso di farlo, curare un cancro del genere è difficile, lei può riuscirci quindi ha il mio permesso” sorrise fissando Derek “Non so di cosa parli Meredith ma se hai qualcosa da dirmi sono qui e ...” tornò a concentrarsi su Mark “ ... Teddy ruba il tuo specializzando perché il suo è impegnato” “A fare che?” protestò l’uomo incrociando le braccia sul petto “Cristina è ... ha chiesto tre giorni di ferie” “Cosa? Tua moglie? La Cristina Yang che conosciamo noi?” annuì ironico abbandonandosi contro lo schienale della poltrona “Tua moglie non ha mai preso giorni per ...” “Si Shepard lo so bene! Aveva semplicemente voglia di rilassarsi un po’, ha passato gli esami con il punteggio più alto, credo che si meriti un po’ di riposo” “E il fatto che sia tornato Burke ha a che fare con il suo riposo?” Mark si voltò stupito verso di loro, lo sguardo che correva da Derek a Owen senza sosta “Burke è qui?” “Sorprendente vero? È qui, anche se non proprio qui, diciamo che è più con sua moglie” “D’accordo, ora basta” sbottò Owen “Quello che riguarda me e mia moglie non c’entra con l’ospedale, con voi e con chiunque altro chiaro?” il medico sorrise alzando leggermente le mani, Mark sospirò alzandosi “Ho un consulto in traumatologia capo” gli diede una pacca sulle spalle lasciandoli soli “Non lasciarla troppo tempo con lui” “Cosa?” balbettò confuso “Non lasciarla troppo tempo sola con lui Owen perché hanno un legame, quei due hanno qualcosa di speciale e se tu la lasci troppo tempo in sua compagnia ... beh ... credo che ...” “D’accordo, grazie, ne terrò conto” un leggero sorriso, si voltò sospirando e si chiuse la porta alle spalle.
Credeva davvero di dargli un consiglio sensato? Quante ore ci aveva pensato? Quanto tempo aveva passato a cercare di trovare una scusa, anche solo una stupidata per parlare con lei, e lei? Lei ormai così lontana da lui, dal suo cuore, lei che non tornava indietro sulle decisioni, sulle scelte, lei che ferita e distrutta continuava a lottare per restare a galla.
In fondo, era di questo che si era innamorato no? Cristina era l’amore della sua vita, l’unica cosa che dava un senso ad ogni sua scelta e invece di proteggerla, invece di tenerla al sicuro e amarla, l’aveva massacrata e punita, l’aveva distrutta e ora, non poteva pretendere che tutto venisse dimenticato, cancellato da un sorriso, un abbraccio, una carezza.
Si lasciò cadere sulla poltrona sospirando, forse, bastava solo concederle tempo per pensare, tempo per tornare indietro e riflettere e intanto, tutto quello che poteva fare, era sopportare il male che faceva amare.

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Capitolo 4
*** Starai Bene ***


Burke 4                                                 Starai Bene






Il suono costante della macchina, il rumore dell’ospedale che ormai conosceva a memoria.

Si passò una mano in viso accavallando le gambe, aveva freddo, probabilmente restare immobile nella stessa posizione per tanto tempo aveva qualche merito “Ti senti male?” domandò preoccupata sollevando appena la schiena, Burke sorrise scuotendo leggermente la testa, i tubi della flebo a incatenarlo a quel maledetto letto “Sei sicuro? Non senti niente di strano?” “Cristina?” “Si” “La smetti di agitarti?” si bloccò di colpo, quasi come se quelle parole l’avessero congelata lì “Stavo solo ... ero ...” “Preoccupata? Lo so, non hai bisogno di dirmelo, si vede lontano un miglio” “Ti diverti? Credi che prendermi in giro ora sia la cosa più giusta da fare?” sbottò ironica tornando ad accomodarsi sulla poltrona “Hai dormito un po’?” “Dovrei essere io a chiedertelo” Burke sorrise “Che bisogno hai di chiedermelo? Lo so che sei stata sveglia tutta la notte” “E allora che bisogno hai di chiedermi se ho dormito?” era ironica, fredda, la conosceva bene e sapeva che quelle battute, quelle risposte così taglienti e dolorose erano solo una difesa, l’ennesimo muro sollevato tra il mondo e la sua stupenda vera essenza.
“Dovresti mangiare qualcosa” scosse leggermente la testa incrociando le braccia sul petto, un piccolo brivido a percorrerle la schiena “Cristina non sto scherzando! Vai, tanto cosa può succedere? Scappo di corsa uscendo dalla finestra?” un debole sorriso a colorarle il volto “Sto, sto bene non preoccuparti” ma il suo sguardo continuava a studiarla “Non stai affatto bene” un sussurro, una confidenza fatta al silenzio mentre quella stupida lacrima le percorreva il viso “Perché piangi?” “Perché è tutto sbagliato Burke!” esclamò singhiozzando “Sei un cardiochirurgo, il più bravo che sia mai esistito, hai vinto l’Harper Avery due volte e ora, ora sei in un letto d’ospedale per un angiosarcoma! E io ... io sto impazzendo perché non posso fare niente Burke!” non rispose, non si mosse, la lasciava sfogare senza nemmeno interromperla “Non posso aiutarti! Non posso fare nient’altro che aspettare e ... e ... ho un marito da qualche parte che probabilmente nemmeno mi starà cercando! Ho abortito! Gli ho impedito di diventare padre e lui, lui mi ha punito andando a letto con un’altra!” un leggerissimo sorriso a colorare il volto dell’uomo “Eccolo” lo guardò confusa mentre le lacrime non le davano tregua “Mi stavo chiedendo da tanto cosa ti fosse accaduto” le strinse una mano tirandola leggermente verso il letto “Fai un bel respiro scheggia” mormorò lasciandola sedere accanto a sé “Io sto per morire, non è colpa tua, non è colpa di nessuno, è il mio destino e lo accetto. Non è vero che non puoi fare niente sai? Stai già facendo tanto, sei qui, sei qui con me e non mi fai andare via da solo, questo non è fare niente” le sfiorò il volto asciugando quelle maledette lacrime che lo distruggevano dentro, era ferita, stanca, lontana dal ricordo che custodiva nel cuore “E tuo marito? Beh, non gli hai impedito di essere padre, hai preso una decisione, era con te, non può essere solo colpa tua sai? Ti ha punito nel modo più doloroso e orribile di tutti ma tu lo ami scheggia, lo ami talmente tanto da stare male” si sollevò dal letto, il volto abbastanza vicino al suo da poterne vedere ogni reazione “Ti vedo sai? Sei distrutta, diversa, hai perso quella luce per anni ho amato”  un debole si, leggero, appena accennato, la strinse tra le braccia sospirando, riusciva a sentire i suoi singhiozzi, i suoi tremiti violenti scatenati da quell’attimo di pura tranquillità “Andrà bene vedrai, andrà tutto bene. Presto questo senso di impotenza e la rabbia, la paura, tutto diventerà passato e tu, tu tornerai a respirare” di nuovo un singhiozzo, di nuovo le sue lacrime e le sue mani a stringerlo con forza, sorrise accarezzandole la schiena “Andrà bene” continuava  a ripeterlo, nel silenzio di una notte senza stelle continuava a ripetere quelle parole con la speranza segreta che, nonostante la rabbia e la paura, lei potesse sentirne la forza.

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Capitolo 5
*** Non rovinare tutto ***


Burke 5                                                Non rovinare tutto




Che diavolo ci faceva alla Mayo? No, forse la domanda giusta era: Perché ho accettato di vedere quel ricordo? Già, e la risposta non era nemmeno sicuro di averla.

Eppure quel messaggio era chiaro ... Ho bisogno di parlare con te, ti aspetto alla Mayo, lo so che è lontana ma credimi, ho davvero bisogno di parlarti e se verrai, se deciderai di farlo allora .. allora mi troverai nella stanza 22.3 ...  aveva preso l’aereo mezz’ora dopo averlo ricevuto, non si era nemmeno fermato a pensare, a riflettere, era bastato un messaggio per farlo correre fino a lì e ora, immobile davanti a quella stanza riusciva solo a respirare e niente di più.
Burke era lì dentro, steso su quel letto candido, lo vide sorridere, fare un lieve cenno della testa invitandolo ad entrare mentre con la mano reggeva la mascherina dell’ossigeno “Mi .. mi dispiace, cercavo Cristina e non ...” balbettò confuso chiudendo la porta alle sue spalle e di nuovo quel sorriso “È a casa che riposa, non verrà prima delle quattro” “Ho ricevuto un messaggio da lei e credevo ...” ma Burke sollevò la mano destra mostrandogli il cellulare della  ragazza "Era l’unico modo per farti venire fino a qui” non sapeva cosa rispondere, come muoversi, vederlo in un letto d’ospedale non era esattamente il suo pensiero preferito “Oh non preoccuparti, sarò qui dentro ancora per poco” “Mi ... mi dispiace, non so cosa le sia successo ma se la dimettono presto allora ...” “Sto per morire” il cuore mancò un colpo “Ho un angiosarcoma e ancora poco tempo ecco perché ho cercato Cristina” “Non volevo insinuare niente”  lo invitò a sedere prendendo una bella boccata d’ossigeno.
 “L’ho cambiata sai?” buttò lì all'improvviso spaccando in due quel silenzio pesante “Come?” mormorò confuso “Quando l’ho incontrata la prima volta mi sono detto: Ehi, non capisco perché ti affanni tanto! Sarà uguale a tutti gli altri! E invece, immagina il mio stupore quando al nostro primo intervento mi ha dato una risposta a ogni fottuta domanda” un debole sorriso a colorare il volto di Owen “Lei è sempre stata pronta” “Già, eppure continua ad oltrepassare i limiti! Lo fa continuamente, con il lavoro, con il nostro matrimonio” “Beh, credo che quello sia colpa mia” sollevò lo sguardo incontrando gli occhi scuri dell’uomo “Quando ha iniziato la specializzazione con me, mi sono accorto che dentro di lei bruciava un talento enorme, un talento che difficilmente si trova in giro. La sottoponevo a turni infiniti, interventi massacranti e difficili, la mettevo alla prova continuamente ma lei non cedeva, non crollava mai, ogni volta mi guardava, sorrideva e mi sfidava continuando la guerra” tolse la mascherina tossicchiando “Le ho sempre insegnato che lavoro e amore vanno separati, che i sentimenti non devono intaccare il chirurgo, l’ho spinta al limite e l’ho costretta ad oltrepassarlo. Al terzo anno scannulava cuori come se stesse collezionando figurine di baseball, eseguiva ogni mio intervento senza che io avessi necessità di toccare il bisturi” “È sbagliato!” “È quello che siamo” gli sguardi a sfiorarsi per pochi secondi “Lei è un cardiochirurgo, probabilmente diventerà una dea ed è merito mio, io l’ho creata dal niente, ho lavorato sul suo talento rendendola superiore agli altri, migliore sotto ogni aspetto, una macchina pronta ad eseguire ogni tipo di interventi senza mai staccare un secondo” “L’hai resa arrogante, competitiva, egoista! Perché sai, è questo che è mia moglie! Oh certo, è una ragazza meravigliosa, tremendamente dolce e terribilmente bella ma tu le hai costruito una corazza d’acciaio che usa ogni volta per  scappare dalla realtà!” era arrabbiato, deluso, forse perfino spaventato dal poter scoprire cose di Cristina che aveva solo immaginato “Competitiva? Lo è sempre stata” mormorò ridendo Burke “Lo stesso vale per l’egoismo, i cardiochirurghi sono egoisti e assillati dal delirio dell’onnipotenza ma è arrogante perché è brava! È giusto così, non è colpa sua, io l’ho trasformata così. Le permettevo ogni cosa, voleva interventi? Li otteneva! Voleva aiuto? Lo aveva! Voleva operare da sola? Operava! Io le davo tutto quello che voleva perché lei dava al paziente ogni grammo di sé stessa!” riprese fiato alzandosi leggermente “Vuoi arrabbiarti con qualcuno? Fallo con me perché fidati, lei non c’entra proprio niente. È colpa mia se è concentrata solo ed unicamente sulla stessa cosa!” “Oh certo, perché tu sei al centro dei suoi pensieri!” sbottò gelido passandosi una mano in viso ma quell’uomo davanti a sè, aveva il potere di confonderlo solo con lo sguardo “Io sono dentro di lei e non te lo dico per ripicca o per farti arrabbiare ... davvero non riesci a vederlo? Il modo che ha di osservare una tac, il movimento del bisturi e quel leggerissimo tic prima di entrare in sala operatoria ... davvero non te ne sei accorto? Sono dentro di lei perché per tre anni sono stato il suo maestro, il suo uomo, il suo amico e ora, ora mi perderà e questo la spaventa da morire Owen perché per quanto provi a nasconderlo, io sono l’unico ricordo a cui può aggrapparsi quando non ha niente” era immobile, pietrificato sulla poltrona mentre lentamente, davanti ai suoi occhi, scorrevano immagini, squarci di un passato che non gli apparteneva ma che viveva nelle parole di un uomo “Ha sempre avuto me, tutti quegli anni aveva la certezza di poter tornare a casa e di vedermi, parlarmi ... lo sai, per mesi interi continuavo a chiedermi la stessa cosa: perché io e lei siamo finiti insieme?” sorrise riprendendo tra le mani la mascherina “Non ho mai trovato una risposta. L’amavo, l’amavo davvero tanto e non pensare che per questo lei fosse favorita sugli interventi. La trattavo esattamente al pari di tutti gli altri però vedi, quando operavamo, quando reggeva quel maledetto bisturi vedevo in lei il mio passato, quello che ero” “Già” mormorò abbandonandosi contro lo schienale della poltrona, gli occhi lucidi e le mani strette con forza attorno ai braccioli “Mi sono rivisto in lei e l’ho protetta. L’ho creata dal niente e vederla ridotta così, vederla insicura, tremante come una foglia davanti a scelte” “La vita è piena di scelte! Se decidi di legarti ad una persona allora devi fare scelte! La vita non è tutta frenesia e lavoro” “Ma non è nemmeno il cercare di cambiare di nuovo chi ha già sofferto” “Deve cambiare!”  “Deve?” mormorò stupito “Tu pretendi dei cambiamenti da lei che al momento non è in grado di darti. Si sta sgretolando pezzo a pezzo e nemmeno te ne accorgi!” “Lei non ...” “L’hai strangolata e poi le hai chiesto scusa, è rimasta con te ignorando quel pensiero fisso e costante che le ordinava di scappare, primo pezzo che se ne va!” gli occhi fissi su di lui, il sorriso che poco prima allietava le sue labbra era sparito, al suo posto solo rabbia e nient’altro.
Rivedeva in lui lo stesso sguardo di Cristina, la stessa rabbia, la stessa delusione  “Eri indeciso su chi amare, secondo pezzo che vola via! Ha detto di si, ti ha sposato dopo aver operato Shepard con una pistola alla tempia,terzo pezzo che l’abbandona! Le hai chiesto un figlio, le hai chiesto di rinunciare a quello che è realmente e così, le hai strappato un altro pezzo,  devo andare avanti?” ma Owen sorrise alzandosi in piedi “Tu parli della sua sofferenza, della sua rabbia, e la mia? Avrei avuto una famiglia ! Avrei un figlio e una vita piena e lei me l’ha negato!” “Per questo ti sei scopato un’altra?” il respiro si bloccò qualche secondo in fondo alla gola “Sorpresa” mormorò Burke “Non c’è voluto molto a capirlo ma lo sai cos’è che mi fa incazzare? L’ho vista piangere! Ha pianto come una bambina Owen e la ragazza che ricordavo io non piangeva! Non scappava dal lavoro per un uomo! Non l’ha mai fatto nemmeno per me e ora, ora è qui, distrutta, massacrata da chi ha giurato di amarla!” “E tu che ne sai?” esclamò allargando le braccia “Tu l’hai abbandonata! Sei scappato via lasciandola in quella fottuta chiesa” per qualche secondo vide la malinconia passare su quel viso stanco “Io me ne sono andato prima di farle altro male. Non ero l’uomo per lei, non ero l’uomo che doveva sposare. Ora ci sei tu, sei suo marito, dici di amarla non riesci nemmeno a capirla” “E tu si?” ribatté ironico “Vuoi sapere com’è Cristina?” mormorò colorando quella domanda di sfida e rabbia “Cristina è acqua. Pura, cristallina, attraverso i suoi occhi puoi leggere nel suo cuore, è impaziente e veloce esattamente come l’acqua! A volte sfugge al controllo altre è troppo malleabile ma se la rinchiudi, se la costringi a scelte non sue allora esplode” un debole sorriso a spezzare la rabbia “Non puoi costringerla a cambiare ma puoi aspettare perché fidati, lei cambierà e se la abbandoni ora te la perderai” rimise la mascherina cercando di controllare i battiti violenti di quel cuore stanco e malato “Sono incazzato con te Owen perché hai distrutto tutto quello che io ho creato, sono incazzato perché quella luce che brillava nei suoi occhi ora è sparita, sono incazzato perché sto per morire e se piangerà di nuovo sarà sola, non avrà più nessuno a cui aggrapparsi e allora crollerà e soprattutto, sono incazzato perché vorrei prenderti a calci ma questa fottuta malattia me lo impedisce” si sollevò appena cercando di concentrarsi su di lui, di guardarlo negli occhi ma perfino parlare troppo a lungo era diventato faticoso “ Non pensare che io non ti capisca, conosco la tua rabbia, so cosa stai provando ma se rovinerai tutto allora me la prenderò con te! Non importa da dove, non importa se per farlo devo prendere a calci in culo i demoni o gli angeli, se la farai soffrire di nuovo allora me la pagherai”  il fiato spezzato e un debolissimo sorriso a spaccare in due quell’attimo strano “Ora vattene, esci di qui perché sto per avere un infarto e ci ... ci sarà un gran ...” il suono acuto dei macchinari e le mani di un’infermiere a tirarlo fuori da quella stanza.


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Capitolo 6
*** Preghiere ***


Burke e Cri 6                                      Preghiere





Non era nemmeno sicura di respirare ancora, quando il telefono aveva iniziato a squillare era certa che fosse per una cosa seria.

Non ricordava nemmeno di aver chiuso a chiave la porta di casa ma che differenza poteva fare? Non era quello a terrorizzarla “Come sta?” domandò ansimando “Vuole un bicchiere d’acqua?” domandò preoccupato il medico “Le ho chiesto come sta!” “Beh ecco ... purtroppo le sue condizioni si sono aggravate, non respira più da solo e l’arresto cardiaco ha indebolito ulteriormente il cuore” “Cazzo” sussurrò stringendosi la testa tra le mani, sentiva il cuore sbattere violentemente contro le costole quasi come a voler scappare via “Possiamo aiutarlo con la morfina e regolare il flusso di ossigeno ma con questi parametri, beh ...” si fermò qualche secondo osservando le espressioni sul suo viso “ ... ha firmato un ...” “Lo so cos’ha firmato!” esclamò in lacrime “Lo so! Non ho bisogno che qualcuno me lo ...” ma le parole si bloccarono di colpo, tutto intorno sembrava solo un gelido deserto di silenzio e terrore perché lì, immobile accanto alla porta c’era suo marito.
Non sapeva cosa fare, come muoversi, aveva perfino paura di respirare perché, se l’avesse fatto, allora tutto il suo nuovo presente si sarebbe sgretolato sotto i piedi “Sta bene?” domandò preoccupato il medico “Sto ... sto bene ...” “Sicura?” un debolissimo sorriso tra le lacrime mentre un debole si usciva dalle labbra “D’accordo, ricontrollo i dosaggi, tra un’ora lo portiamo a fare altri esami” le sfiorò una spalla allontanandosi silenziosamente.
E ora? Cosa avrebbe dovuto fare? Costringere il cervello a mantenere la calma era già difficile ma muovere le gambe, quella si che era davvero un’impresa “Coraggio” mormorò chiudendo qualche secondo gli occhi, un passo, un altro ancora fino a lui, fino a quello sguardo che per tanto tempo aveva evitato “Che ... che ci fai qui?” “Mi ha chiamato lui” lo sguardo a perdersi su Burke, sul tubo che ora era diventato indispensabile.
Si passò una mano tra i capelli inspirando a fondo, avrebbe voluto chiudere gli occhi ed allontanare il più possibile quell’immagine  “Cristina se ...” le sfiorò una mano nel folle tentativo di donarle calore ma lei si spostò di colpo, tremava, era pallida e le lacrime continuavano a non darle tregua.
La vedeva allontanarsi, un passo dopo l’altro, lontano da lui, lontano da loro e da tutto quello che erano stati,  inchiodata a quel ricordo che ora faticava perfino a respirare.
E lui? Che diavolo poteva fare lui così egoisticamente lontano da quel dolore che ora se la stava portando via.
Chiuse gli occhi abbandonandosi sulla sedia, le mani strette sul viso e il pensiero rivolto a Dio, pregava per la vita di quell’uomo, pregava perché non morisse, perché se l’avesse fatto adesso lei ne avrebbe sofferto, si sarebbe chiusa in un silenzio d’acciaio e avrebbe lasciato oltre quel confine di ghiaccio ogni loro speranza, ecco quello che poteva fare, restare lì a pregare.

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Capitolo 7
*** I miracoli non Esistono ***


Burke 7                                  I miracoli non Esistono





“Hai avuto un ...” “Una fibrillazione atriale” Burke sorrise inspirando “È così che succede sai?” “La smetti di scherzare?” sollevò la cartella clinica cercando di trovare la soluzione di ogni male lì dentro “Sei un medico” mormorò sfinito “Sei un medico scheggia e conosci il decorso di questa malattia” “Stavo solo ...” “Stavi cercando un miracolo che non può accadere” gli occhi fusi nei suoi “Dottoressa?” si voltò di colpo attratta dalla voce del medico “Posso parlarle qualche minuto?” “Coraggio vai” le strinse la mano qualche secondo “Non posso scappare dalla finestra no?” “Non fai ridere” un debole sorriso e poi ancora l’aria fresca a circondarla.

“Lo abbiamo sottoposto ad una risonanza e ...” “Un’altra?” mormorò sfinita seguendolo lungo il corridoio “La massa tumorale è in crescita, ha invaso il mediastino e la vena cava superiore, ci sono nuove metastasi nei polmoni” non riusciva nemmeno a rispondere, restava semplicemente lì senza permettere alla mente di prendere il sopravvento “Il setto interatriale presenta i primi segni di invasione della massa” chiuse gli occhi passandosi una mano in viso “Siamo in grado di tenere sotto controllo il dolore, almeno per ora ma ...” le posò una mano sulla spalla costringendola a riaprire gli occhi “ ... lei è un medico, conosce queste malattie perché passa la vita a lottarci contro” un debolissimo sorriso a colorarle il volto “Non posso lottare contro qualcosa che ...” “Chiami qualcuno” “Cosa?” balbettò confusa “Chiami qualcuno, uno psicologo, un amico, un ministro di Dio perché lui ne avrà bisogno. Quando accadrà dev’essere sicuro di non essere solo” “Ci sono io per lui” l’altro sorrise stringendo più forte la presa “Per questo ha bisogno di qualcun’altro, perché lei sarà troppo impegnata a fingere che niente accada per tranquillizzarlo, si prenderà cura del suo corpo finché potrà ma ora, ora serve qualcuno che si prenda cura della sua anima”  la vide annuire appena eppure, non era consenso che i suoi occhi esprimevano “Il dottor Burke è credente” “No  lui ...” si voltò appena, giusto quel tanto che bastava per vederlo con al coda dell’occhio “ ... lui è spirituale” il medico sorrise lasciando cadere la mano nel vuoto “Ha bisogno di riposare. Vada a casa qualche oretta” “No io, io sto bene, va bene così” ma l’altro scosse leggermente la testa passando all’infermiera l’ecografia “D’accordo, allora faccia venire qualcuno che possa darle il cambio perché è esausta e non ha bisogno di altro stress” gli sorrise stringendosi nelle spalle.
In fondo aveva ragione, era sfinita, massacrata da quelle ore lunghe un’eternità ma non poteva essere da nessun’altra parte, non voleva essere da nessun’altra parte.


L’aria gelida della sera a sfiorarle il viso, non sentiva più nemmeno il gelo, era seduta su quella panchina da ore ormai, non aveva mangiato, non si era nemmeno riposata, stava semplicemente lì, ad osservare il cielo, a chiedersi se davvero lassù esistesse qualcuno “Come stai?” sorrise stringendosi più forte nelle spalle “Sto bene, va tutto bene” “Così bene da tenerti lontano dalla sua stanza?” si spostò di lato permettendole di sedersi accanto a lei “Zola?” un bellissimo sorriso a colorare il viso della ragazza “È con suo papà, sarà con lui finché ne avrai bisogno” un soffio di vento gelido a scompigliarle i capelli “Tuo marito è lì dentro lo sai vero?” non rispose, non sorrise nemmeno “Cristina?” “Era lì questa mattina, è rimasto lì il pomeriggio ed è ancora lì” “Credo che sia lì per te” mormorò stringendole una mano “Credo che l’abbia chiamato Burke” “E perché avrebbe dovuto farlo?” domandò confusa Meredith “Perché io non l’avrei mai fatto. L’ha chiamato per me, l’ha fatto senza chiedermi niente  e ora non so cosa provare” “Dovresti ringraziarlo sai?” “Tu credi?” domandò ironica “Io penso che l’abbia fatto per farsi perdonare” “Ma non ha niente di cui ...” “Sei tu il suo motivo Cristina” sollevò lo sguardo dal terreno incrociando quegli occhi azzurri e profondi che ben conosceva “Si sente in colpa, si sente in colpa perché quello che provi, quello che hai passato in qualche modo è stato per colpa sua” “Oh andiamo” “Dico davvero sai? Io credo che pensi di essere la causa di ogni tuo problema. Lui ti ha reso un chirurgo fantastico, una dea della cardiochirurgia e insieme a quello, ti ha regalato una corazza che non puoi rompere” “E ha chiamato mio marito per questo?” Mer sorrise stringendo più forte la sua mano “Ha chiamato tuo marito perché vuole aggiustare le cose. Non può controllare quello che gli sta accadendo, non può cambiare il passato ma può aiutarti a sistemare il tuo presente” “Owen non fa parte del mio presente” malinconica, delusa e terribilmente bugiarda “Lui ha ... Burke non merita di morire” trattenne i singhiozzi abbozzando un leggerissimo sorriso ma faceva una fatica assurda anche solo a fingere “Lo so” “Non merita di soffrire perché questo non può essere giusto!” “Lo so” ripeté Mer annuendo “Vuole sistemare il mio presente ma chi sistema il suo? Dovrò ucciderlo! Dovrò aiutarlo a morire! Questo non può sistemare il mio presente perché mio marito non riesce a capire, mi ha fatto del male, mi ha preso in giro e ora, ora sono qui a pregare un Dio in cui non ho mai creduto ma lo faccio perché Burke non riesce nemmeno a respirare! Non sono nemmeno sicura che riesca ancora a pensare e ...” scoppiò a ridere, una risata isterica e bagnata da lacrime che non poteva controllare “ ... e io supplico Dio! Sono qua fuori, lontano da lui, da mio marito e sono terrorizzata e ...” “Cristina” le mani della ragazza posate dolcemente attorno al suo viso “Respira” chiuse gli occhi posando le mani sulle sue “Non è colpa tua, sta morendo perché il tumore se lo sta trascinando via, non è colpa tua e Owen, beh ecco, lui è qui. È rimasto lì fuori tutto questo tempo e credo stia pregando per lui, per te perché ti ama, perché è lì dentro, sa che non vuoi parlargli, sa che in questo momento vorresti solo scappare ma è lì” un debolissimo sorriso a restituirle un attimo di sollievo “Lo so che sentirlo dalla mia voce è strano e so anche che sai quello che provo per lui. Vorrei prenderlo a calci Cristina ma non lo faccio perché in questo momento hai bisogno di lui! Per quanto ti ostini a negarlo hai bisogno di lui!” “Davvero?” mormorò sfinita “Se fossi io al posto tuo vorrei che Derek mi stesse accanto, che mi stringesse” “Owen non è Derek” “No, ma sta facendo quello che è giusto, ora non riesci a vederlo però è così” posò la fronte contro la sua sospirando “Grazie” mormorò tra le lacrime “Sono la tua persona, sono tua sorella, non devi ringraziarmi” le sorrise appena cercando di ritrovare la calma “Ora dottoressa Yang ...” riprese Mer alzandosi in piedi “ ... andiamo a prendere un caffè e poi andiamo da lui” quella mano tesa verso di lei era l’ancora di salvezza che per mesi aveva cercato, quell’ancora che ora aveva un significato diverso.  

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Capitolo 8
*** Lui non c'è Più ***


Burke 8                                    Lui non c'è più





“Non aver paura” un debole sorriso a spezzare il buio di quell’attimo, lo vide annuire leggermente, non poteva parlare, non poteva nemmeno alzarsi, l’unica cosa che riusciva a fare era sollevare una mano sfiorandole il viso “Andrà tutto bene vedrai ...” posò la mano sulla sua inspirando a fondo “ ... non sentirai niente te lo prometto” un singhiozzo a romperle il respiro “Non aver paura” era una supplica, paura pura concentrata in poche parole, era così tenera, così terribilmente dolce da spaventarlo, nelle sue parole c’era solo una voglia tremenda di poter cambiare le cose.

Avrebbe voluto risponderle, ripeterle “Non ti lascerò mai da sola, sarò sempre con te” e invece, tutto quello che riusciva  a sentire erano le sue lacrime.
Respirare diventava sempre più difficile, ogni battito del cuore diventava pesante come un macigno, la vide sorridere, passarsi una mano in viso cercando di sorridere “L’hai fatto venire tu vero?” un altro sorriso a rompere le lacrime “Lo so che l’hai fatto venire tu, pensi davvero che possa capire? Pensi che io possa ...” ma mano dell’uomo scese dolcemente sul collo, un tocco delicato, tenero, protettivo, una mano che per anni aveva riconosciuta come sua e che ora, si era paralizzata dolcemente sul suo ventre “Ma che fai?” lo sguardo concentrato su di lui, sui suoi occhi, su quelle iridi scure e profonde che sembravano parlare “Già” mormorò trattenendo un singhiozzo “Ma non cambierà niente” un leggerissimo battito di ciglia mentre il monitor segnava un calo dell’attività cardiaca “Scusate” si voltò di colpo spaventata da quella voce improvvisa, il medico sorrise appena posando una flebo accanto a lei “Devo chiederglielo di nuovo signorina, è sicura di volerlo fare?” trattenne il respiro mentre quella domanda massacrante le strappava il cuore riducendolo a brandelli, si voltò leggermente verso di lui, un debole sorriso a restituirle il respiro “Si è ... siamo sicuri” il viso del medico si colorò di pietà, attaccò la flebo sospirando “Durerà poco e non soffrirà” “Hai sentito?” mormorò sedendosi di nuovo accanto a lui “Non sentirai niente”  “Nemmeno tu scheggia, vedrai che passerà presto” solo il suo cuore malato a risponderle “Si prenderà cura di te, lo farà vedrai”  il battito sempre più lento, le sue carezze e le sue lacrime a cadergli sul viso “Burke” sussurrò a pochi millimetri dalle sue labbra “Puoi andare, non mi arrabbio se lo fai ... tu sei .. hai ...” il suono acuto dei macchinari a spaccare il silenzio.
Immobile, inchiodata su quel letto, la mano tremante a pochi millimetri dal suo viso, così diverso, così rilassato e tranquillo “Signorina lei, lei ha ...” balbettò il medico sfiorandole una spalla “ ... ha bisogno di allontanarsi un po’” sollevò lo sguardo incontrando i suoi occhi “Coraggio, le prometto che mi occuperò io di lui” la mano forte e salda del medico a staccarla da quel corpo ormai senza vita.
Pochi passi fino alla porta e le braccia di Owen a sorreggerla, a stringerla prima che il pavimento attutisse quella caduta “Ehi” mormorò sfiorandole il volto “Cristina tu ...” “Se ne è andato” mormorò tra le lacrime, quasi come se la consapevolezza di aver detto addio a quel ricordo  si facesse prepotentemente largo nella sua mente “È andato via” le lacrime esplosero violente e i singhiozzi si presero ogni briciolo di autocontrollo.
Si abbandonò tra le sue braccia, le mani strette con forza attorno alla testa e gli occhi chiusi nella speranza di non vedere, sarebbe caduta a terra, se non ci fosse stato lui probabilmente ora sarebbe sdraiata sul pavimento a piangere e invece lui era lì, le sue braccia erano lì, esattamente dove le aveva volute per mesi interi, esattamente dove fino ad ora c’erano state quelle di Burke.

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Capitolo 9
*** Perseguitati da un Ricordo ***


Burke 9                                     Perseguitati da un Ricordo



“A Te padre onnipotente raccomandiamo la sua anima, in Te essa trovi conforto e nella Tua luce riparo e amore ...”
il rumore sordo dei tuoni ad accompagnare quelle parole “ ... Preston ha lottato fino alla fine, ha combattuto contro qualcosa più grande di lui e si è spento con dignità e nella pace di Dio. Oggi siamo qui per raccomandare la sua anima a Te, Signore onnipotente e nella Tua gloria, possa vivere in eterno” una lacrima gelida a scorrerle sul viso, strinse più forte il cuscino nascondendovi il viso.

Lo sognava tutte le notti, ogni fottuta ora del giorno, nei momenti di pausa, mentre faceva la doccia, ogni volta che il suo cervello le concedeva un attimo di tregua.
 Rivedeva continuamente quella bara d’avorio inghiottita da una terra scura e terribilmente profonda, rivedeva le lacrime di sua madre, sentiva il profumo della pioggia e la mano di Meredith stretta così forte attorno alla sua da farle male.
Sapeva che fuori da quella camera il mondo aveva ripreso a vivere, sapeva che restare chiusa lì dentro non le faceva per niente bene ma non riusciva a muoversi, non riusciva   a pensare, a formulare parole, stava semplicemente lì, sdraiata nella penombra di un silenzio che lentamente se la mangiava viva.
Era davvero questo che si provava a cancellare per sempre un ricordo? Era davvero così doloroso costringere il cuore a dimenticare? Troppe domande, troppa fatica per un cuore stanco e martoriato dalle sferzate di una vita che, senza alcuna vergogna, si divertiva a prenderla in giro e lei, troppo stanca per reagire, lasciava alle lacrime il compito di lenire il dolore.

Erano le cinque e dieci, il lieve tepore del sole giocava a nascondino con il buio, si massaggio il collo sospirando, era rimasto seduto su quella poltrona tutta la notte.
Non aveva mai nemmeno immaginato di riposare, di dormire anche solo per qualche ora, lei era chiusa in camera da due giorni ormai, se non le ricordava di mangiare si sarebbe scordata anche quello.
Sapeva che sarebbe finita così, fin da quando Burke gli disse “Sto per morire” sapeva che metà del cuore di sua moglie sarebbe morta con lui.
In fondo era normale no? Quell’uomo era importante mentre lui, lui era solo il marito infedele che scappava, che si divertiva a farle del male.
Cristina non gli dava modo alcuno di avvicinarsi , lo teneva  a distanza, lo allontanava usando quel silenzio gelido e potente che lo torturava nel profondo.
Non parlava, mangiava a malapena, non ascoltava più nemmeno la musica, unico svago che la sua mente da ragazza strappava ad un lavoro troppo pieno.
Vederla così, vederla soffrire così, cercare di sopravvivere ad una decisione non sua gli mostrava quanto male poteva fare la vita.
Era suo marito, era la sua unica vera persona e avrebbe dovuto stringerla, consolarla nonostante tutto, nonostante la rabbia, nonostante il dolore che le aveva provocato e invece, tutto quello che riusciva a fare era restare lì, impotente mentre sua moglie si sgretolava velocemente davanti ai suoi occhi.
La mente formulava sempre e solo un unico pensiero: Se fosse morta lei? Se l’avessi persa ora come ti sentiresti? La risposta tutto sommato era semplice, se l’avesse persa sarebbe morto assieme a lei.
Si passò una mano in viso cercando di allontanare ogni stupida immagine di una realtà che non esisteva, dietro a quella porta chiusa c’era l’unica ragione che lo tratteneva ancora lì e quella ragione ora non lo voleva lì, non voleva la sua pietà né le sue carezze, quella ragione ora voleva solo essere lasciata da sola ma non era così che funzionava, non le avrebbe permesso di soffrire ancora.

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Capitolo 10
*** Ha Creato una Dea ***


Burke10                                     Ha Creato una Dea





“Aspirazione” l’odore acre del sangue invase la stanza, le infermiere continuavano a passarle strumenti nella speranza folle che il paziente potesse sopravvivere “Datemi una clamp, lo mettiamo in extracorporea” Teddy era via per un consulto medico, gran bella idea tornare a lavorare in quel preciso momento  “D’accordo, inserisco l’ultima cannula” sollevò lo sguardo pregando Dio che il monitor si stabilizzasse su un solo ritmo, pochi secondi e poi la pressione a stabilizzarsi “Bel lavoro dottoressa” mormorò l’anestesista accanto a lei, un debole sorriso e poi di nuovo il cuore davanti agli occhi e quelle parole nella testa ...
“L’essenziale è invisibile agli occhi” ...  ricordava ogni fottuta parola di quella discussione, un intervento di otto ore e solo loro due a reggerne il peso ... “Non puoi correre” “Non sto correndo!” lo sentì ridere “Ah no? Stai cercando un modo per arrivare al tumore senza sollevare il cuore” “Ma io non ...” “Oh per favore!” ribatté ironico prendendo il bisturi “Riesco a sentire i tuoi pensieri anche da qui” sorrise scuotendo dolcemente la testa “Ci deve essere un modo per, insomma, è la quarta volta che proviamo ad operarla e ogni volta ...” “Te l’ho già detto Scheggia, correre non fa bene” un respiro profondo, il movimento della testa  a sciogliere i muscoli del collo e poi un’enorme sorriso “Ora ti do una lezione di calma assoluta” ...  “Mi serve maggiore aspirazione, Lexie tieni la clamp e fammi vedere qui dentro” la ragazza strinse con forza il ferro tirandolo leggermente verso di sé, il cuore si aprì dolcemente permettendole di vedere ... “Se tiri troppo forte farai un pasticcio” “E se i punti non tengono?” Burke scoppiò a ridere prendendo l’elettrobisturi dalle sue mani “Se i punti non tengono hai fatto un lavoro di merda dottoressa” ma lei non rispose, continuava a guardare lo schermo imprimendosi nella mente i movimenti delle sue mani “Ecco, ci siamo, puoi vedere meglio il mesotelioma ora che l’ho isolato” socchiuse gli occhi cercando di distinguerne i contorni “Veramente da qui non vedo niente, posso avvicinarmi?” ma Burke sorrise “Resta dove sei!” un comando secco, freddo, non le dava fastidio, ci era abituata ... “Uao” esclamò Lexie “È ... è quello il tumore?” un debolissimo si “Ma è così piccolo” “Solo perché lo stiamo guardando dal lato sbagliato” lo sguardo confuso della ragazza la colpì in pieno “Ha infiltrato il pericardio espandendosi, noi stiamo guardando solo la cima dell’iceberg” ... “D’accordo, lo tiriamo fuori” “Sei impazzito?” domandò confusa ma lui scosse allegramente la testa “Questa è solo la piccola punticina di un iceberg alto sessanta metri Scheggia” “Quindi ora resecherai il tumore?” “No” esclamò “Lo farai tu” un’enorme sorriso a illuminare la stanza “Non prendermi in giro” ma il suo sguardo non si schiodò dai suoi occhi, posò il bisturi, le mani coperte da un panno blu e senza aggiungere una parola di più si sedette sullo sgabello accanto al paziente, le infermiere si guardavano confuse una con l’altra cercando di capire come mai un dio della cardiochirurgia permettesse ad una matricola una cosa del genere “E se sbaglio?” “Allora ucciderai il paziente” “No dico davvero Burke! Se taglio qualcosa che, insomma, è la prima volta che ...” “Che lascio operare qualcuno da solo al primo anno? Già, questo dovrebbe dirti qualcosa” “Non è divertente” “Non è una battuta” chiuse gli occhi qualche secondo cercando di riordinare i pensieri “D’accordo” passò dall’altro lato del tavolo operatorio e senza riflettere esclamò “Bisturi elettrico” ... l’infermiera continuava a passarle strumenti senza nemmeno aspettare una sua parola “Ho quasi terminato la resezione” “Uao, questo è, insomma, uao!” sollevò qualche secondo gli occhi dal campo chirurgico incontrando lo sguardo incredulo di Lexie “Insomma hai, hai resecato un tumore così grosso in quanto? Cinque minuti?” “Aspira” Lexie abbassò di colpo lo sguardo come se quell’ordine improvviso la costringesse a ritornare in quel silenzio gelido che lei aveva imposto ... “Controlla bene ogni parte Scheggia, se ne scordi anche solo un punto ricrescerà e tu avrai ucciso un uomo” “Non dovresti incoraggiarmi?” “Non ricordo di aver mai detto una cosa del genere” “I margini sono netti, l’ho tolto tutto” esclamò alzando gli occhi al cielo  “Sei sicura?” “Perché non vieni a controllare tu se ...” ma lui scosse la testa “Sei sicura?” controllava e ricontrollava il cuore alla ricerca di macchie, punti strani ma non c’era niente “Si, sono sicura” “Molto bene, toglilo dall’extra corporea e richiudi” l’infermiera tossicchiò “Lo so Bookie che questo è contro le regole” “Davvero dottore?” sorrise annuendo “L’hai vista bene? Quanti specializzandi hai visto con il suo talento?” la donna scosse leggermente la testa passandole un telino “Se il paziente muore me la prenderò con lei” “Tranquilla” sussurrò Cristina iniziando a rimuovere le cannule “Lo ucciderò prima io” ... “Fascialo e mandalo in camera, controllalo ogni due ore e se la pressione scende chiamami subito” Lexie annuì appena, gli occhi incantati da quei punti perfettamente chiusi.
Bookie sorrise passandole le bende “Oh non devi pensare a niente, quando esegui interventi del genere è bene che la tua testa sia libera” “Ha ... ha messo venticinque punti in dieci secondi io ... non è possibile, non può essere possibile” ma il sorriso tranquillizzante dell’infermiera la riportò alla realtà “È sempre stata molto veloce, il dottor Burke le ripeteva continuamente di rallentare, di prendersi il tempo per controllare ma lei ha sempre corso ...” si allontanò leggermente dal paziente per permetterle di terminare l’intervento “ ... e comunque, non erano dieci secondi” scoppiarono a ridere incuranti di ogni altra cosa, in fondo, quella era la dottoressa Yang, una macchina da chirurgia perfetta e ben oleata.

Il silenzio tranquillizzante dell’arena era tutto sommato piacevole, ore intere passate ad inseguirla, ad assicurarsi che non crollasse sul pavimento della sala operatoria.
Non poteva impedirle di lavorare ma poteva evitare che il lavoro se la mangiasse viva perché la conosceva bene, sapeva che Cristina era in grado di oltrepassare i limiti senza alcuno sforzo, il problema era semplice: non riusciva più a tornare indietro.
“Allora? Come sta?” domandò Shepard sedendosi accanto a lui “Sta ... beh ecco, ha fatto otto interventi nelle ultime settantadue ore” “Uao” “Già” si passò una mano in viso “È un fottutissimo robot da cardiochirurgia” l’altro annuì sorseggiando il suo caffè “È tornata quella che era all’inizio” “Cosa?” si raddrizzò sulla sedia sorridendogli “Questa è la vera Cristina, quando Burke l’ha conosciuta era così” Owen annuì appena tornando a concentrarsi sulla sala sotto di loro “Non si ferma mai, non ha un solo attimo di esitazione, opera senza mai bloccarsi. Questa è la dea che ha creato Burke” “E questa dea non mangia? Non dorme più di due ore e mezzo per notte e non parla?” Derek sorrise “Più o meno si. Dormire? Serve ma se si eccede, se si dorme troppo il cervello ha il tempo di atrofizzarsi ma penso che ti sia accorto quante volte si ritira negli stanzini vero?” non rispose “Finito ogni intervento si chiude là dentro a riposare per due ore, lo fa per tre volte con un totale di sei ore di riposo più le due della sera dorme esattamente otto ore, forse qualcosa di più” “E a te sembra normale?” mormorò ironico “No, no di certo ma l’ha sempre fatto a volte non tornava nemmeno a casa e mangiare, beh, non credo abbia mai mangiato fino a scoppiare, dalle del tempo perché sta cercando un modo per andare avanti” “Si sta sgretolando davanti ai miei occhi e dovrei lasciarla fare?” “No, sto dicendo solo che devi darle modo di trovare una via per elaborare tutto perché in questo momento si sente in colpa. Ha ucciso il suo mentore, il suo amico, l’uomo che aveva amato e con cui aveva accettato di convivere. Dalle tempo per capire” scosse leggermente la testa ridendo, una risata isterica, piena di rabbia e angoscia “Non posso permetterle una cosa del genere insomma, se ami una persona non la lasci in pace!” l’altro annuì appena ridacchiando “Questo non è quello che hanno insegnato a lei” “Ma che diavolo ...” “Non riesci  a vederlo?” esclamò allibito stringendo più forte il caffè “Guarda il suo modo di reggere il bisturi, guarda come osserva il cuore, quasi come se avesse davanti un quadro e poi il suo sguardo, freddo, lontano da tutto” ne seguiva i movimenti, ne studiava ogni più piccolo movimento perché per qualche attimo gli sembrò di avere davanti quel chirurgo fantastico che ora riposava nel grembo profondo della terra “Burke le ha insegnato a distaccarsi da tutto, ad allontanarsi dalle emozioni, dalla rabbia, dallo sconforto. Guardala, in questo momento è solo e semplicemente un chirurgo, non è una ragazza che piange, non è una ragazza schiacciata dal dolore ma solo e semplicemente un chirurgo” “Non può continuare per sempre” “No è vero, ma ci sta provando, ci sta provando maledettamente e se la costringi a fare una scelta adesso, in questo preciso istante scapperà via perché non è pronta” ma Owen lo guardò confuso “Scelte? Che diavolo di scelte dovrei costringerla a fare? Come posso portarla via dall’unica cosa che la tiene viva? Non posso farlo ma non posso nemmeno lasciarla sola” “Owen” si voltò verso di lui attratto da quella nota strana nella sua voce, una supplica o qualcosa di molto simile “Non ha bisogno di altro stress, non ora, non nelle sue condizioni quindi ti prego, ti prego davvero con tutto il cuore, non imporle la tua presenza, non darle modo di scappare” non rispose nemmeno, tornò a concentrarsi su di lei, su quei fottuti movimenti che gelavano chiunque lì dentro, guardarla e basta, era questo che lei gli permetteva quindi non poteva far altro che stare lì, immobile, fino a quando quel dolore profondo non le avesse dato un attimo di tregua restituendogli per qualche minuto sua moglie.

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Capitolo 11
*** Ogni cosa ha il suo Tempo ***


Burke 11                             Ogni cosa ha il suo Tempo




“Ciao Scheggia”
  “Perché sei qui?” domandò confusa “Perché stai sognando”  scosse leggermente la testa ridendo “Non posso sognare” “E come mai no? Per caso non sei umana? Non hai bisogno di dormire?” “Ti vedo ovunque! Ti sento ovunque e se nei sogni ... perché sei qui?” era in lacrime, sfinita dal troppo lavoro e massacrata da quel senso di colpa violento e gelido che le imprigionava il cuore “Perché stai correndo troppo” sorrise sedendosi di fronte a lei, negli occhi quel calore che da mesi non vedeva più “L’hai sempre fatto ma ora è diverso, ora non ci sono io a fermarti”  “È colpa tua!” urlò tra le lacrime “Tu hai scelto da solo! Hai preso una decisione lasciandomi solo la possibilità di staccare quella fottuta spina! Ti ho ucciso! Io ti ho ucciso e ora, ora non riesco a dormire, non riesco a mangiare! Non posso chiudere gli occhi perché ti rivedo in quel letto e io ... io sto impazzendo” un sorriso isterico a rompere il pianto “Ricordo le tue parole, ricordo ogni fottuta cosa del nostro passato!” “Stai correndo Scheggia. Ti concentri  sul lavoro, ti chiudi dentro alla corazza di ghiaccio che io ti ho costruito attorno ma non è la cosa giusta! Non puoi perderti il mondo là fuori” sorrise inclinandosi dolcemente verso di lei “Passerà tutto Scheggia, passerà la rabbia, la paura, il senso di colpa, passerà ogni cosa ma vedi ...”  le sfiorò il viso, sotto le dita solo lacrime e paura “ ... non puoi lasciarti andare così, non è questa la ragazza che ricordo” “E tu cosa ne sai?” mormorò malinconica posando la mano sulla sua “Lo so e basta, così come so che stai correndo troppo, non ti fa bene, non ora, non in queste condizioni” ma lei non rispose, si concentrò su quel tocco invisibile che sembrava tanto reale da sconvolgerla “Non gli hai parlato vero?” sollevò lo sguardo dal pavimento cercando i suoi occhi “Devi parlare con lui Scheggia!” “Cristina!” esclamò spingendolo via ma per quanti sforzi facesse, per quanto cercasse di controllare la reazione dell’anima, il cuore la prendeva in giro, la torturava con lacrime e rimorsi che non voleva “Smettila di chiamarmi Scheggia! Smettila di fingere che tutto vada bene perché non è così! Smettila di parlare!” “Ascoltami bene Scheggia” un sorriso ironico e dolce  a colorargli il volto “Io sono solo un sogno, sono un’allucinazione e niente di più. Non posso farti del male, non voglio farti del male ma non voglio nemmeno vederti soffrire così” “Che devo fare?” domandò sfinita più a sé stessa che a lui “Hai due scelte: gli parli, gli racconti la verità e vivi una vita piena e serena oppure continui a lottare con il silenzio e diventi quella dea per cui tanto ho lottato. Vuoi sapere cosa farai?” “Da quando sei un veggente?” la prima vera ironia dopo mesi di niente assoluta “Sono passati due mesi e ancora non hai aperto bocca. Parli solo di medicina ed è un bene davvero, almeno parli di qualcosa ma lo lasci oltre il confine di sicurezza, non gli permetti di oltrepassare quella fottuta linea che hai tracciato nel sangue! Lo perderai, lo perderai e diventerai quella dea che ho sognato per anni”  la strinse per le spalle costringendola a respirare “Ogni cosa ha il suo tempo Scheggia, non devi affrettare le cose né allontanare le persone dalla tua vita perché hai tutto il tempo del mondo per piangere” un respiro diverso dagli altri “Aspetta non ... ti prego ... aspetta” ma Burke sorrise scuotendo dolcemente la testa “Ti prego aspetta! Non andare via!” urlava, piangeva, non capiva nemmeno cosa le stesse accadendo.
Strappata via di colpo da un sogno che non voleva finire “Ehi” le braccia di Owen a reggerla con forza evitandole di cadere “Guardami, avanti guardami” “Non andare via ti prego” i singhiozzi a rompere i suoi respiri “È stata colpa mia ti prego non andartene” la strinse più forte bloccando il tremito violento del suo corpo “Starai bene te lo prometto” ma come poteva prometterle una nuova vita se non ci credeva nemmeno lui? Quando l’aveva sentita urlare era entrato nella stanza senza nemmeno fermarsi a riflettere, senza pensare se quella era la cosa giusta o meno, l’aveva sentita urlare e tutto il resto si era cancellato dalla mente.
Ora era lì, a stringerla, a pregare Dio che riuscisse a respirare, che riuscisse a riposare ma continuava  a piangere, continuava a spingerlo lontano, ad impedirgli di tenerla inchiodata alla realtà “Non ti lascio da sola mi hai capito? Sono qui e non ti lascio da sola” gli occhi persi nei suoi, pieni di lacrime, spaventati “Puoi odiarmi, puoi anche riempirmi di schiaffi se questo ti fa stare meglio ma io non mi muovo, non vado da nessuna parte!” solo un secondo per reagire, per riflettere, posò le mani sul suo petto spingendolo via e senza mai voltarsi indietro si chiuse in bagno abbandonando oltre quella porta ogni altra preoccupazione.

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Capitolo 12
*** Non pensare a Niente ***


Burke 12                                             Non pensare a Niente





“Ma che ti è saltato in testa!” “Meredith io ...” “No! È sbagliato! Sbagliato e senza alcun senso!” “È suo marito! Come diavolo pensi che possa prenderlo in giro?” ma gli occhi della ragazza si colorarono di rabbia “Lui lo ha fatto Derek! L’ha presa in giro!” “Lui è innamorato! Non riesci a vederlo? Porca puttana Meredith ha perso sua moglie, le sue certezze, il suo mondo sta andando in frantumi e tu davvero vuoi mentirgli?” “Non è compito tuo Derek! Non sei tu a dover parlare con ...” “Nemmeno tu!” sbottò gelido “Vuoi aiutarla? Lascia che parlino da soli! Lascia che litighino! Se davvero vuoi aiutarla permettile di parlare con lui” “Non le impedisco niente, non l’ho mai fatto! Non voglio che soffra perché ha appena visto scomparire sotto terra i resti di un uomo che per anni ha amato da morire, lo ha ucciso lei e questo fa male! Perché chiedere che non soffra ancora è tanto sbagliato?” la mano dell’uomo a posarsi dolcemente sul suo viso “Perché non è la tua vita Meredith, non sei tu a soffrire ma lei. Io non capisco cosa vi leghi e che modo strano e contorto ma una cosa la so ...” un respiro profondo  a spaccare il silenzio “ ... lei è la tua famiglia. È tua sorella e se la ami almeno un po’ allora dalle modo di decidere da sola cosa fare della sua vita, perché altrimenti crollerà sotto il peso di scelte non sue” “Non può soffrire ancora, non posso permetterle di soffrire” “Porca puttana Meredith!”di nuovo quell’espressione a colorargli il volto.

Sostituita alla velocità della luce dalla rabbia e dall’angoscia, niente più dolcezza nel suo sguardo, niente comprensione “Lascia che gli racconti la verità!” “Lui non merita quella verità!” il peso di quelle parole lo travolsero all’improvviso lasciandolo senza parole “Non merita quella verità, non merita la dolcezza di quelle parole, non merita quel futuro! Non può essere giusto tradirla, abbandonarla e poi tornare indietro!” afferrò la giacca e le chiavi dell’auto “Non mi importa del suo dolore, del suo mondo che si sgretola. L’ho lasciata scegliere da sola e ora è ridotta in questo stato, non ho intenzione di scegliere per lei ma non la lascio da sola mentre quell’uomo le è accanto perché hai ragione, è la mia famiglia, mia sorella e non lascio mia sorella in balia del niente” la porta si chiuse violentemente lasciandolo solo in mezzo alla sala.
Un debole sorriso a colorargli il volto, discutere con Meredith portava sempre a quelle conclusioni ma non era quello a scatenare quel sorriso improvviso e inaspettato no, ma era la dolcezza e la forza che metteva nel difendere la sua persona.
Stava sbagliando, permetterle di comportarsi in quel modo era sbagliato sotto tanti di quegli aspetti che faticava a contarli ma che altro poteva fare? Erano passati solo due giorni e per curare ferite del genere ci volevano anni.
Forse Meredith non aveva poi tutti i torti, forse, allontanarla un po’ da tutto, darle modo di comprendere, di scegliere da sola poteva aiutarla, forse, dopotutto, Burke non se ne era andato poi molto lontano.


“Sei ancora qui” un debolissimo sorriso a colorargli il volto, annuì appena sedendosi accanto a lei “Non sto dormendo” sussurrò posando la testa contro il muro “Perché sei qui?” “Già, davvero una bella domanda. Ci ho pensato anche io, ci ho pensato tanto ma non ho trovato una risposta”  stava impazzendo, poteva essere solo quella la spiegazione perché non si vede apparire dal nulla l’ex fidanzato morto.
Già, eppure a lei era successo, l’aveva visto in sala operatoria proprio mentre richiudeva un paziente, sorrideva, annuiva soddisfatto dalla sua bravura, dalla semplicità che metteva nell’eseguire ogni tipo di tecniche e ora era lì, seduto accanto a lei sull’asfaltò gelido “Quindi cosa sei? Sei un fantasma? Un sogno o ...” “Non lo so” la risposta più semplice che potesse esistere “Non so cosa sono perché ogni volta che mi avvicino al cielo vengo trascinato di nuovo quaggiù e credo che la colpa sia tua”  sorrise continuando a fissare la danza folle di quella foglia trascinata dal vento “Perché non mi lasci andare?” “Perché vuoi rimanere?” “No” puntualizzò “Io non voglio rimanere però tu mi ci costringi Scheggia” si passò una mano in viso sfinita, distrutta da quello stress profondo che la stava mangiando viva “Hai fatto nove interventi in appena settantadue ore, non credi sia ora di riposare un po’?” “Oh andiamo! Sei un lenzuolino svolazzante, credi davvero di potermi fare la predica?” il sarcasmo lo colpì appieno scatenando in lui solo sorrisi “Izzie ha visto Denny quando era ...” “Non sei malata se è questo a spaventarti” mormorò stiracchiandosi “Sei semplicemente stressata ragazza, sono abbastanza sicuro sia uno stress post traumatico” “Questa è la tua diagnosi?” lo sguardo perso sul suo viso e le mani strette con forza attorno allo stetoscopio “Si, e credo anche che sia esatta ma finché tu non lo superi io non posso andarmene quindi, fai un bel respiro, prenditi il tuo tempo ma ricomincia a vivere perché voglio andare via!” ma lei non rispose, era concentrata su qualcos’altro, qualcosa di invisibile e totalmente irreale “Non gliel’hai detto vero?” scoppiò a ridere scuotendo la testa come se quella riflessione avesse già trovato risposta “E quando tra due mesi inizierà a vedersi cosa gli dirai? Che è una nuova cura per prendere peso? Potresti dirgli che sei semplicemente ingrassata insomma, le persone fanno ...” “La smetti?” sbottò gelida “Ehm ... dottoressa Yang il paziente sta peggiorando” si voltò di scatto trascinata violentemente alla realtà dal suo specializzando “I chirurgi non  balbettano Barnett” “Scusi” si alzò da terra senza nemmeno terminare la frase “Andiamo” “Si dottoressa, andiamo, sono proprio curioso di scoprire perché è peggiorato” ma l’ironia le scivolò addosso, seguì il medico lungo i corridoi pregando chiunque ci fosse lassù che quell’allucinazione scomparisse.
Barnett aveva ragione, il monitor sembrava impazzito e il paziente faticava a respirare “Segno di Levine dottoressa” “Ha un infarto in atto” mormorò posando lo stetoscopio sul petto del ragazzo “Abbiamo uno slivellamento st nelle derivazioni inferiori” qualche secondo per riordinare le idee, per cercare di ignorare il viso di Burke dall’altro lato del letto “Quattro mg di morfina e una flebo di nitro a 10g al minuto,  lo voglio in sala tra meno di due minuti” il giovane annuì confuso afferrando la siringa “Eh si, questo mi suona leggermente familiare Scheggia” “Smettila” sibilò gelida “Non funziona così, non puoi tenermi qui e decidere quando mandarmi via, non prima di avermi spiegato perché!” scosse la testa abbandonando la cartella del paziente sul bancone delle infermiere, aveva un intervento da eseguire e almeno tre ore da passare in sala assieme a quel fottuto ricordo, poteva farcela, doveva solo continuare a respirare e non pensare a niente.

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Capitolo 13
*** Sei tu la mia Questione ***


Burke 13                                                               Sei tu la mia Questione






“Perché non si usa l’extracorporea in questo caso?” il medico tossicchiò “Perché il tessuto è troppo danneggiato” “Quindi?” “Il cuore è troppo debole per ripartire da solo” annuì soddisfatta incidendo “E come facciamo?” “Immobilizziamo solo la parte di tessuto danneggiato così il resto del muscolo funziona” le risposte del ragazzo erano precise e chiare ma nella sua voce c’era imbarazzo, insicurezza e terrore “Davvero è questo lo standard? Perdi tempo ad insegnare a mocciosi del genere? E dov'è finita la qualità che avevo imposto alla cardiochirurgia? Dovresti protestare pubblicamente” “Smettila!” “Come?” sollevò lo sguardo dal cuore, gli occhi del medico a studiarle il viso “Scusa, non parlavo con te” “Sta bene dottoressa?” “Aspira per favore”  gelida, diretta, già, quello era l’unico modo per mascherare tutto.
 “Sai” iniziò Burke passeggiando avanti e indietro  “Mi sono sempre chiesto come sarebbe stato il paradiso, oh certo, non che io meritassi di  finirci però, mi chiedevo continuamente: cosa c’è nell’aldilà?” ma lei non rispose, afferrò la clamp senza emettere una parola “Erano solo curiosità certo ma chissà come mai, ora che sono vicino a scoprirlo, sono costretto a restare qui” posò le mani sul petto del paziente, esattamente di fronte a lei, esattamente dov’era il suo specializzando “Sono stanco Scheggia! Sono stanco di vedere persone che muoiono, persone che soffrono e perdono! Sono stanco di questa vita e non posso nemmeno andare via, credo che sia colpa delle mie questioni irrisolte! E sai quel’è la cosa più buffa?” si chinò leggermente verso di lei cercando il suo sguardo “Tu sei la mia questione irrisolta! Tu e questa tua maledetta rabbia!”  uno zampillo di sangue a macchiarle il camice “La pressione scende” strinse più forte la clamp tentando di controllare l’emorragia “Porca puttana” esclamò “Non riesco a controllarla”
“Che cavolo ti spinge a tenermi qui? Sei arrabbiata? Delusa? Confusa? Che diavolo sei!” c’era troppa confusione, troppi pensieri che si accavallavano, guardò qualche secondo il viso del medico di fronte a sé, provava a separarlo da quello di Burke ma i lineamenti si confondevano uno con l’altro “Che cazzo combini si può sapere?Clampa e sutura distalmente o lo perderai! L'hai fatto centinaia di volte Scheggia!” la porta della sala si aprì, alle sue spalle Owen e Kepner “Hai bisogno di aiuto?” ma gli occhi di Burke la inchiodarono al paziente “No! Non hai bisogno di aiuto! Salverai il tuo paziente chiaro?” un bel respiro profondo a riordinare i pensieri “Clampa l’aorta” Barnett trasalì “Io ... davvero?” “Clampa l’aorta e fammi vedere qua dentro!” le mani tremanti dello specializzando si unirono alle sue “Rilasciala lentamente mentre io suturo” “Dottoressa forse il dottor Hunt dovrebbe...” “No!”  scosse leggermente la testa ripetendo quella stupida parola “Cristina tu ...” “Sto bene Owen! Vuoi aiutarmi? Porta fuori di qui tutti quelli che non servono!” sospirò avvicinandosi di un passo “Non stai bene, hai bisogno di riposare, non dormi da dodici ore”  la pressione iniziò a stabilizzarsi, il battito tornava lentamente a livelli accettabili mentre i suoi occhi si fondevano in quelli di suo marito “Sto bene” Burke sorrise avvicinando le labbra al suo collo “Non ci crede, lo sai vero?”  chiuse gli occhi qualche secondo cercando di respirare, un terribile senso di nausea ad invadergli i sensi “D’accordo” mormorò tentando di  ricacciarlo indietro “Bisturi elettrico e telino” Burke scoppiò a ridere appoggiandosi al muro mentre il silenzio e il gelo riprendevano il controllo su di loro, sulle loro stupide emozioni troppo timide per rivelarsi di nuovo le une alle altre.

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Capitolo 14
*** Non posso fare altro ***


Burke 13                                     Non posso fare altro




Tolse la mascherina cercando di trattenere il più possibile quella nausea orrenda ma fece appena due passi prima di rimettere “Dottoressa sta bene?” domandò preoccupata l’infermiera raggiungendola “Forse dovrebbe sedersi sa?” “No sto ...” di nuovo la nausea a interrompere ogni pensiero, strinse più forte il braccio della ragazza cercando di pensare ad altro.
Tutto quello che voleva era sdraiarsi, restare un po’ tranquilla senza che nessuno le ricordasse continuamente il nome di qualche frutto o di cibi vari ma l’infermiera non la lasciava andare “Cristina?” “Capo l’ho chiamata non appena la dottoressa ...” “Oh andiamo sto bene” esclamò irritata cercando di liberarsi ma Owen la strinse per le spalle cercando i suoi occhi “Che è successo?” “Solo un po’ di nausea tutto qui, non ho mangiato molto” “Va bene, d’accordo, ora lasci stare tutto il resto e ti porto a casa” l’infermiera le tolse dalle mani mascherina e stetoscopio “Sto bene” “No” esclamò secco piantando gli occhi nei suoi “Non stai bene e non ti lascio qui chiaro?” ma lei non rispose, strinse più forte la mano attorno al suo polso cercando di trovare un punto fermo in mezzo a quel vorticare di colori e oggetti “Guardami” chiuse gli occhi qualche secondo cercando di controllare i battiti del cuore “Avanti guardami” una mano a sfiorarle il viso “Fai un bel respiro e guardami altrimenti sarò costretto a raccoglierti da terra e sono già abbastanza spaventato per questo ok?” un debole sorriso a colorarle il volto mentre si abbandonava lentamente tra le braccia di suo marito “Portatemi liquidi e una flebo di salina” l’infermiera annuì correndo via svelta.
“Apri gli occhi”  ogni respiro un battito più lento “Starai bene Scheggia ma ora apri gli occhi”  non si era nemmeno accorta di essere svenuta, aprì lentamente gli occhi, la luce ad invaderle prepotentemente i pensieri e poi gli occhi di Owen a sorriderle “Come ti senti?” “Già, come ti senti?” “Sto ... io sto bene” ma Burke scoppiò a ridere “Sei svenuta! Chi sta bene non sviene per niente! Nel tuo caso non è un niente che ti provoca tutto questo”  lo vedeva passeggiare lentamente accanto al letto, gli occhi concentrati su qualcos’altro, come se quel discorso non la riguardasse, come se non stesse parlando con lei “Credi davvero che basterà una risposta a farlo contento? Ha richiesto gli esami del sangue per capire cosa non vada e sai quale sarà la sorpresa?” si alzò di colpo piantando gli occhi nei suoi “Ehi, va tutto bene, devi solo ...” “Devo andare a controllare il mio paziente” “Porca puttana Cristina!” urlare il suo nome, pronunciarlo con una violenza tale da inchiodarla al letto l’aveva liberato, gli aveva dato la possibilità di sfogare la rabbia, la paura, ogni altra stupida emozione “Mi sei svenuta tra le braccia! Credi davvero che io ti lasci libera di andartene in giro per l’ospedale? Credi che raccogliere mia moglie da terra sia il  mio sogno nascosto?” “Lo vedi?” esclamò ironico Burke "Non funziona mentire quindi trova una scusa più valida!" “Non puoi alzarti da questo letto fino a quando non avrò la certezza che tu stia bene chiaro?” “Ma io sto bene!” “Continua a ripeterlo, forse prima o poi ci crederai!” sfilò una gamba dal lenzuolo cercando di uscire da quella stanza ma Owen la bloccò sul letto impedendole qualsiasi movimento “Non uscirai da qui, non toccherai un bisturi, non opererai e non te lo sto dicendo in veste di marito ma come tuo capo mi hai capito?” scosse leggermente la testa sfilando le mani dalle sue e senza emettere un fiato si alzò dal letto.
Afferrò dalla sedia il camice e lo stetoscopio attraversando per due volte quel corpo fantasma accanto a lei “Cristina che ...” “Mi licenzio capo!” tre parole più pesanti di un macigno, strinse più forte le mani cercando di non crollare “Avrà la mia lettera sul tavolo domani mattina alle otto” un bel respiro profondo prima di sbattersi la porta alle spalle "Bella scusa" mormorò allibito passandogli accanto "Eh si dottor Hunt, lei è troppo buono con sua moglie"  la mano posata sulla maniglia e gli occhi persi su un uomo stanco e avvilito "Deve combattere per tenerla con lei e non lasciarle fare quello che vuole altrimenti la perderà. Io sono solo un immagine sfocata del passato, posso provare a farla ragionare ma niente di più" un debole sorriso a colorargli il volto mentre il clic della serratura chiudeva quell'uomo e i suoi pensieri lontani da loro.

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Capitolo 15
*** Correrà da una Bugia ***


Burke 15                                                                         Correrà da una Bugia






“Devi fare una pausa”
continuava a giocherellare con quella busta chiusa come se all’improvviso iniziasse a parlargli “Stai guidando da otto ore, non credi sia il caso di riposare un po’?” “Puoi smetterla di farmi la predica? Quando inizierò a chiudere saltuariamente gli occhi ti darò il permesso di distrarmi con stupide chiacchiere, fino ad allora sta zitto” Burke sorrise tornando a concentrarsi sulla busta “Tutto sommato il bilancio della giornata non è stato male, almeno hai parlato con tuo marito” ridacchiò dandole un buffetto sulla guancia ma la mano oltrepassò il suo corpo “Dimenticavo, sono solo un lenzuolino parlante”  finalmente un sorriso, era leggero, appena accennato ma c’era “Licenziarsi, rubare degli esami medici, scappare di casa ...” si voltò verso di lei “Sicura di aver superato l’adolescenza?” “Primo, gli esami erano i miei e avevo tutto il diritto di averli. Secondo, mi sono licenziata come tante altre persone fanno al mondo e terzo, non sono scappata di casa, sto semplicemente andando a fare un giro” “Con valige e biglietti aerei? A che servono i biglietti se stai guidando?” domandò confuso grattandosi la testa “Avevo solo voglia di guidare un po’ tutto qui” di nuovo quel debole profumo di ciliege a riempire l’aria.
L’aveva sentito tutto il pomeriggio e ora, in quella macchina sembrava l’unico aroma esistente “Hai fame?” “Cosa?” domandò confusa “Hai voglia di ciliege?” “No” “Bugiarda” esclamò altero “Tu ami alla follia le ciliege quindi trovane un po’ se non  vuoi che apra gli occhi con un’enorme voglia di ciliegia sulla faccia” “Non accadrà” ribatté divertita voltando in una piccola stradina sterrata.
Le luci colorate del motel invadevano prepotentemente il buio della notte, ci mise meno di dieci minuti a prendere le chiavi e a registrarsi e ancora meno e correre in bagno.
Conosceva bene quel posto, ci era stata un sacco di volte da giovane, era pulito e carino e soprattutto, lontano da persone o cose “Vomiterai tutta la notte?” sbuffò schiacciandosi il cuscino sulla faccia "Lo sai ...” mormorò tremante sollevando il viso “ ... vorrei farti provare la meraviglia assoluta di avere qualcuno dentro che decide cosa fare del tuo corpo” si asciugò il viso, tremava, era stanca e correre in bagno non appena sentiva odore di cibo non aiutava per niente.
La debole luce della lampada colorava di arancio e rosa tutta la stanza, si abbandonò sul letto accanto a Burke, le mani posate sulla fronte cercando di non pensare al cibo ma c’era una bella coppa di ciliege sul tavolino accanto all’entrata
“Ho scoperto la mia questione irrisolta” “Davvero? Credevo di essere io la tua questione irrisolta”  “Si, ma non tutta” si voltò su un fianco fissandolo confusa “Hai fatto una cosa stupida oggi te ne rendi conto vero?” “Oh andiamo” ma Burke scoppiò a ridere giocherellando con il cuscino “Quel bambino non ha un papà” “Hai voglia di scherzare per caso?” ribatté stiracchiandosi “Per caso è figlio dello spirito santo?” “Non ha un papà perché ha un padre! Un padre che nemmeno sa di lui! Questo bambino merita di essere amato e non di essere nascosto quindi, prima glielo dirai e prima potrò andarmene” ma lei non rispose, si limitò ad annuire appena concentrandosi sul soffitto “Dorme sul divano” “Perché?” alzò leggermente le spalle sospirando “Ha paura. Ha paura di me, di come potrei reagire se ...” “Tu fai paura scheggia! Ti comporti come se avessi ucciso un uomo!”  ma lei scoppiò a ridere alzandosi di scatto “Oh tu vuoi davvero usare l’ironia con me? Davvero Burke?” ma lui alzò leggermente le braccia in segno di resa “Dico solo che non gli dai modo di avvicinarsi!” “Si è scopato un’altra! Cosa diavolo dovrei fare? Andare a letto con lui come se niente fosse?” “Parla con lui” “Certo!” esclamò ironica “Owen tesoro, dimentichiamoci della tua scopata con quella e ricominciamo a vivere!” ma l’altro scosse la testa alzandosi in piedi “Sempre cosa! Mi ha fatto del male! L’ha fatto apposta! Gli ho negato una famiglia e lui mi ha punito e ora, ora pretende di ...” “Perché si riduce sempre a questo? Perché devi sempre ...”“Non pretende niente! Sta male non riesci a vederlo? Vede sua moglie impazzire! Credi davvero che non si sia accorto di niente? Credi che vederti parlare con il vuoto lo aiuti? È spaventato, arrabbiato e stanco e tu, invece che capirlo decidi di assecondare questo suo fottuto senso di colpa!” “Quel suo fottuto senso di colpa è lo stesso che ho provato io per mesi! Per mesi Burke! Ha deciso da solo di punirmi e ora io che diavolo dovrei farci?”  l’uomo sorrise avvicinandosi a lei “Butta giù quel maledetto muro che hai costruito tra voi e dagli la possibilità di avvicinarsi di nuovo a te! Permettigli di capire come mai parli col niente! Come mai piangi o ridi senza motivo! Permettigli di comprarti le ciliege ogni volta che vuoi!”  parole buttate nel vuoto, parole usate per ferire o semplicemente, per mostrare una realtà che lei non riusciva a vedere “Sei tornata ad essere un fottutissimo robot da cardio e credimi, questo mi rende solo orgoglioso e vorrei vederti così per tutta la vita ma ora è diverso! Ora non puoi più decidere da sola e non posso farlo io per te! Hai una responsabilità Scheggia, una responsabilità enorme e ...” “Non l’ho chiesta io” mormorò sfinita “E allora perché l’hai tenuto?” faceva un male terrificante riflettere, parlare con lui  ma non poteva farlo tacere, non poteva mandarlo via perché ne aveva un bisogno disperato “Se non ti interessa niente di lui perché l’hai tenuto? Perché non hai ...” “Perché non posso” una lacrima  spezzare il silenzio “Non posso farlo di nuovo! Non posso negargli ancora una famiglia e poi pretendere che torni indietro” “Ma soffrire si? Spiegamelo perché io proprio non capisco! Perché puoi arrabbiarti e fingere che non ti interessi ma non puoi vivere una vita felice?” un debolissimo sorriso a colorarle il volto “Perché non sono io. Fingere di avere una vita felice, una famiglia, qualcuno da amare non fa parte di ...” “No” esclamò secco piantando gli occhi nei suoi “Hai paura di scoprire che puoi amare qualcuno più di quanto immagini! Io davvero non ti capisco Scheggia, lo ami, lo ami da morire e stai male per questo ma hai una possibilità, puoi azzerare i contatori delle vostre vite e ripartire da capo e non venire a dirmi che non saresti te stessa perché non è vero! Ho conosciuto la vera Cristina e puoi farlo! Puoi avere quella vita ma c’è qualcosa che ti blocca”  “Già, e tu sai cos’è non è vero?” Burke scosse leggermente la testa sfiorandosi il mento, un gesto naturale, lo stesso che anni prima faceva quando c’era qualcosa di strano, quando il genio maniaco del controllo scordava qualche particolare “Non posso farlo perché ...”ma il cellulare iniziò a squillare,  sospirò alzando gli occhi al cielo “Grazie dottor Hunt! Un tempismo perfetto!” “Pronto?” “Dove sei?” sospirò passandosi una mano in viso “Owen non ...” “No! voglio sapere dove sei perché mi sei svenuta tra le braccia oggi e ora, ora sei da qualche parte lontano da qui e non so come stai, non so se respiri ancora, se mangi!” Burke sbuffò schiacciandosi sul viso il cuscino “Che diavolo ti è saltato in mente si può sapere?” “Ho solo pensato che cambiare aria per un po’ avrebbe fatto bene a tutti e due” mormorò trattenendo un conato di vomito “Oddio ancora? Pesi cinquanta chili se va bene, com’è possibile che vomiti tutta questa roba?” scosse leggermente la testa cercando di ignorare le parole dell’uomo accanto a sé “Perché hai portato via le analisi?” “Cosa?” domandò confusa “Che cazzo c’è scritto lì dentro! Perché mi nascondi continuamente le cose!” “Io non ti nascondo niente” ma lo sentì ridere, probabilmente stava cercando ovunque tracce di sua moglie, d’altronde, era già tanto che gli avesse risposto “Non mi dici mai niente! Se stai male, se non hai dormito, anche solo se hai qualche linea di febbre! Non mi dici mai niente Cristina e ogni volta finisco col diventare matto quindi ti prego, dimmi cos’hai che non va!” si mordicchiò le labbra cercando di trovare una scusa appena accettabile, Burke accanto a lei stava sorridendo, le braccia incrociate dietro alla testa e uno sguardo pieno di ironia a sfidarla “Non glielo dici? Davvero?” ma lei non rispose “Oh andiamo! Sarà divertente sai? Almeno ti libereresti di un peso enorme” “Smettila” sibilò gelida “Cristina?” “Owen non ...” “Perché non ti inventi una scusa, se proprio devi mentirgli perché non farlo in grande?” chiuse gli occhi qualche secondo, provava a concentrarsi solo sui suoi pensieri ma Owen continuava a ripetere il suo nome e Burke, lui continuava a parlare e parlare, quasi come se quello scroscio improvviso di frasi fosse naturale.
“Potresti dirgli che sei andata al mare, oppure che hai deciso di darti alla fotografia” esclamò allegro ma qualcosa lo colpì nel bel mezzo della fantasia perché lo vide sorridere, voltarsi leggermente verso di lei   “E se invece avessi un tumore celebrale? Dai sarebbe troppo forte! La mia dea di chirurgia che sbava e si dimentica velocemente ogni procedura”  “Smettila, non ho un cancro” mormorò coprendo il cellulare con la mano libera “Non parlavo di un cancro qualsiasi ma di un ...” “Cancro”ripeté sarcastica ma lui  scoppiò a ridere mentre la consapevolezza di aver fatto una cazzata prendeva velocemente il posto della ragione.
Non sentiva niente, non provava niente, tutto quello che percepiva era il respiro accelerato di Owen, la sua rabbia, la sua insicurezza mentre Burke continuava a ridere come un matto “Aspetta ... Owen non ...”  la linea cadde di colpo, solo il silenzio ad invaderle le orecchie.
Lasciò cadere il cellulare, respirava, cercava di farlo ma si sentiva tremendamente vuota e terribilmente idiota “Finalmente” esclamò asciugandosi il volto, le labbra ancora arriciate in quel sorrisetto idiota e fastidioso “Almeno hai smosso qualcosa” “Ho ... io ho detto ...” “Hai detto tumore mentre tuo marito continuava a chiederti cosa ci fosse di sbagliato. Si, l’hai fatto Scheggia e credo anche che tu l’abbia smosso per bene” un’altro sospiro a cercare di calmare le pulsazioni “Ora può solo fare una cosa ragazza” “Odiarmi?” sbottò ironica passandosi una mano in viso “Correrti dietro!” sollevò lo sguardo incrociando quegli occhi caldi e profondi “Non gli hai mai dato modo di varcare quel confine Scheggia. L’hai tenuto fuori e ora, ora vivete sospesi in qualcosa di irreale. Ora ha un motivo per correrti dietro, un motivo più forte di tutti gli altri” “Una bugia?” urlò sfinita “Come può correre dietro ad una bugia! Non posso parlare con lui di ...” “Di me?” la voce carica di sfida “Sei costretta a farlo Scheggia perché devi spiegare come mai, d’improvviso, hai tirato fuori quelle due parole. Devi spiegare come mai a volte parli con il vuoto, con chi parli e allora tutto andrà a posto e io sarò libero di tornare in quel fottutissimo mondo ultraterreno perché sono stanco Scheggia!”  la vide tremare, cadere in ginocchio sul pavimento, il respiro accelerato e il battito cardiaco che correva “Sai perché soffri così? Io l’ho scoperto Scheggia, ho scoperto come mai non posso andare via! Ti senti in colpa! Ti senti in colpa per avermi ucciso e non importa se ti ripeto continuamente che non è stata colpa tua! Ti sentirai sempre in colpa”  chiuse gli occhi mentre quell’orrido pensiero le vomitava addosso tutta la realtà.
Aveva sbagliato, aveva sbagliato e basta e ora, non riusciva nemmeno a respirare, a restare ferma immobile senza che quel fottuto tremore prendesse il sopravvento sulla volontà.
Nel silenzio di una stanza vuota solo le sue lacrime e il terrore di dover dire addio ad un passato, il suo passato, suo marito, la persona che fino ad ora aveva amato più della sua stessa vita.

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Capitolo 16
*** Lui sarà il tuo Papà ***


Burke 17                                                         Lui sarà il tuo Papà







Accordi silenziosi che violavano l’intimo dell’anima, lei, il niente e quel martellante rumore.
Un turbinio di pensieri e parole che non faceva altro che agitarla.
Sapeva di aver sbagliato, in verità, lo sapeva da quando aveva preso la macchina e aveva guidato per ore e ore senza una meta precisa ma che altro poteva fare? Strinse più forte le mani attorno al cuscino inspirando, una boccata d’aria fresca che restituì refrigerio.
Sentiva lo sguardo di Burke, il suo correre veloce su ogni centimetro della sua pelle alla ricerca di qualcosa, una sensazione, un’ emozione, anche solo uno stupidissimo segno che potesse urlare “Hai ragione! Mi sento in colpa per averti ucciso ecco perché ti inchiodo qui, ecco perché ti tengo vicino a me” ma faticava persino a pensarle quelle parole, come poteva pronunciarle? Chiuse gli occhi, il respiro sempre più lento e regolare, ogni pensiero scomparve, ogni sensazione, ogni preoccupazione ingoiate dal buio di una notte troppo corta.
L’uomo sorrise tornando a fissare il soffitto “Non è stata colpa tua” si voltò lentamente verso di lei e senza pensarci due volte, posò una mano sul suo ventre, tremava, sapeva di farlo perché era incorporeo, era qualcosa di inesistente eppure, la sua mano ora toccava una vita “Mammina è un po’ confusa piccolo ma tu non devi aver paura”  un altro sorriso a colorare l’aria “Faranno pace vedrai e quando accadrà, tu avrai un nome, una casa e un bel lettino comodo e caldo, certo, non sicuro come il pancino della mamma ma ...” gli occhi a sfiorare quel viso ormai rilassato e baciato dal sogno “ ... il tuo papà si prenderà cura di voi. È un brav’uomo sai? Ama tanto la tua mamma e ama tanto anche te, perfino ora che non sa nemmeno che esisti ma vedrai che tutto andrà a posto” un debole sospiro, posò la fronte contro la sua, sotto la mano quel piccolo cuoricino veloce e impaziente  "Ti comprerà tanti bei vestitini e tanti giochi. Avrai un seggiolone tutto tuo e anche un cucciolo, alla mamma non piacciono granché ma credo che il tuo papà la convincerà del contrario” immaginarsi Cristina alle prese con un bambino era davvero strano, divertente, estremamente dolce e così maledettamente bello da ferirlo dentro.
Se la sarebbe persa, si sarebbe persa una madre meravigliosa e un chirurgo da capogiro “Devi prenderti cura della mamma capito? Devi farlo perché io non posso, a dire il vero, non so nemmeno come mai riesco a toccarla ma non è questo il punto ...”  scoppiò a ridere divertito, stava davvero parlando da solo? “ ... la tua mamma ha tanta paura di scoprire quanto può amarti. Non è colpa tua, tu non hai fatto niente di sbagliato ma lei è testarda, ostinata, intelligente, tremendamente sexy e maledettamente ironica ed è anche una rock star in chirurgia. Diventerà una Dea, la mia Dea di cardiochirurgia e tu, sei un legame eterno e questo le fa paura”  il suo viso a pochi millimetri, conosceva  a memoria ogni suo lineamento, ogni movimento, ogni sguardo “Non aver paura di mostrarle quanto bello può essere amare, falla ridere tanto e falla giocare perché si è scordata che un tempo, anche lei è stata piccola e indifesa. Non prendertela quando la sera torna stanca dal lavoro e non vuole giocare, lei non si ferma mai, salva tante vite e restituisce tanti cuoricini a chi ne ha bisogno ...”  continuava a sfiorarla, ad accarezzare quella linea ormai visibile che custodiva il dono più bello del mondo “ ... impara da lei piccolo, impara a conoscerla, impara ad aggirare le sue trappole, impara che ama alla follia le ciliege e che il sarcasmo le viene piuttosto bene”  mormorò ironico “Ti vuole bene, anche se lo nega, se fa finta di niente, se scappa senza pensare alle conseguenze ti vuole bene e quando ti sentirà muovere se ne renderà conto” una luce leggera, quasi uno spiraglio a spaccare il buio di quella stanza “Oh non aver paura piccolo, solo perché non ti ho parlato tanto del papà non vuol dire che tu non ne abbia uno sai? È solo che al momento, mamma e papà litigano un po’ ed è colpa mia tesoro. Io ho costretto la mamma a fare una cosa davvero difficile e ora sta male ma la conosco bene, è tanto forte e si riprenderà. Si asciugherà le lacrime e dirà al papà che tu esisti e credo che quando lo saprà, sarà l’uomo più felice del mondo intero” chiuse gli occhi sorridendo “Sarà il tuo papà” un ultimo sospiro prima di abbandonarsi a quella dolcezza infinita.
I fantasmi non dormono ma lui non era né fantasma né ricordo e chiudere gli occhi, fingere che tutto sia reale era una sensazione davvero bella.

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Capitolo 17
*** Viene per Te ***


burke18                                                 Viene per Te




“Perché diavolo ti rispondo alle tre e mezzo di notte?”  un debole sorriso a colorarle il volto “E tu da quando hai un cancro?” “Non gli hai detto che ...” “Per chi mi hai persa? Certo che no! Tu l’hai sconvolto e tu sistemi la cosa. Quando me l’ha detto stavo per scoppiare a ridere, insomma, come diavolo è possibile che tu abbia un cancro se fino a ieri abbiamo parlato del possibile futuro con un bambino?”  sorrise strofinandosi gli occhi, Burke accanto a lei nascose la testa nel cuscino cercando di ignorarla “È venuto da te?”  “È sconvolto sai? L’hai distrutto Cristina!” “Non voleva farlo, io stavo ...”  “Cosa?” domandò ironica “Stavi cercando un modo per svicolare da tutto?” “Se te lo raccontassi nemmeno ci crederesti” mormorò ridendo “Cosa? A cosa non crederei?”  “Lascia stare”  scosse la testa sospirando “È Burke? Lo vedi ancora?” per qualche secondo sentì solo silenzio a riempire la distanza tra loro “È lui? È successo ancora?” “È sempre lui Meredith! Per quanti sforzi io faccia è sempre qui e non so nemmeno cosa ...” “Se hai deciso di tenermi sveglio tutta la notte almeno avvertimi” sbottò irritato “I fantasmi dormono?” domandò confusa cercando di mettere a fuoco il suo viso ma la voce preoccupata di Meredith la riportò alla realtà “Lo sai, ora inizi davvero a preoccuparmi, forse dovresti farti vedere da Derek. Magari è solo un disturbo momentaneo, forse averlo perso in questo modo ti ha fatto male più di quanto ...” “Posso riavere la Meredith di sempre per favore? Non è un disturbo e non permetterò al bel dottorino dai capelli cotonati di studiarmi il cervello” “Non mi sono mai posto questa domanda, in fondo è curioso sai? Perché dormo se sono un fantasma?” portò un dito davanti alle labbra sorridendo ma Burke continuava a parlare “Sta venendo da te Cristina” “Oddio” sospirò passandosi una mano in viso “Se sono morto come può il mio cervello aver bisogno di riposo? Forse sono ancora attaccato al passato” esclamò allegro stiracchiandosi “Cristina parla con lui perché è evidente ormai che avete bisogno di farlo. Non mi importa se litigate o se divorziate, fatelo dopo aver chiarito la cosa perché altrimenti mi toccherà venire fino lì”  un debole sorriso a colorarle il volto “Devo farlo” mormorò più a sé stessa che a Meredith “D’accordo, d’accordo parlo con lui” “Sono fiera di te Cristina Yang, sono davvero molto fiera di te e sappi che non mi hai convinto, vedere un fantasma non è normale” un altro scroscio di risate genuine e fresche e poi di nuovo il silenzio.

“Allora? Come la risolviamo questa cosa?” “Cosa?” domandò confusa posando il cellulare sul comodino “Davvero vuoi nascondermi le cose? Sta venendo qui” “E non era questo il tuo piano? Farlo venire fino a qui?” Burke annuì soddisfatto tornando a sdraiarsi accanto a lei, le braccia incrociate dietro alla testa e un sorriso ironico dipinto sulle labbra “Perché dormo?” “Ancora?” sbuffò schiacciandosi il cuscino in faccia “Guarda che è una domanda seria sai? Per lo meno è curiosa” la sentì sospirare ridacchiando “Vuoi sapere una cosa ancora più curiosa?” “Non vedo l’ora” sbottò ironica stringendo il cuscino “Considerando che ti è corso dietro e che Alringot dista da Seattle un’ora e quaranta circa beh, direi che tra pochi secondi busserà alla porta” “E da quando sei diventato un mago?” ma il respiro si bloccò di colpo quando quei colpi secchi e violenti ruppero il silenzio.
Si alzò tremante cercando con gli occhi qualche stupida spiegazione sul volto di Burke ma lui continuava a sorridere, seduto sul letto, gli occhi persi su di lei “Ce la puoi fare scheggia” chiuse gli occhi qualche secondo cercando di riprendere fiato, la mano stretta con forza attorno alla maniglia, un respiro, un’altro ancora e poi due occhi di ghiaccio a colpirla.
Inchiodata davanti a suo marito, persa in quel viso stanco e sfinito, lo sguardo carico di paura e rabbia, tremava, fradicio dalla pioggia che non smetteva un secondo di sferzare la terra “Owen che ...” ma le mani dell’uomo si strinsero con forza attorno alle sue spalle tirandola di colpo tra le braccia.

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Capitolo 18
*** Vieni con Me? ***


Burke 19                                                                     Vieni con Me?






Era paralizzata, stretta in un abbraccio che per troppo tempo le era mancato, lo sentiva tremare, era quasi certa di sentire le sue lacrime “Non posso perderti” trasalì cercando di sciogliersi dal suo abbraccio ma la stretta di Owen si fece più forte e pesante “Non puoi morire” “Owen” posò le mani sul suo petto spingendolo leggermente indietro, gli occhi fusi nei suoi e il viso di Burke a pochi centimetri da loro “Allora, ci decidiamo a raccontargli la verità oppure continuiamo a prenderlo in giro?” scosse leggermente la testa sospirando “Non sto morendo” lo sguardo confuso dell’uomo a seguirla mentre chiudeva la porta, mentre lasciava il resto del mondo fuori da quella stanza “Non stai morendo? Che vuol dire? Hai un cancro! Il cancro non è sinonimo di vita Cristina!” ma lei sorrise appena passandosi una mano tra i capelli “Non ho il cancro, stavo semplicemente pensando ad alta voce e tu hai ascoltato solo quello che ...” “Pensando ad alta voce?” domandò irritato passeggiando avanti e indietro “Ottima scelta Scheggia! Ora continua altrimenti giuro su Dio che inizio a suonare la tromba e non la smetto fino a domani” esclamò Burke sollevando lo strumento apparso dal nulla, lo fissò confusa cercando di capirci qualcosa “Credi davvero che non ne sia capace?” “È uno scherzo vero?” sbottò Owen riportandola alla realtà “Dimmi che è uno scherzo perché altrimenti ... tu non ...” la rabbia gli impediva perfino di respirare, era stanco, incazzato e sollevato allo stesso tempo “Hai idea di quanti anni di vita abbia perso in tre ore? Hai idea del male che mi hai fatto? Di quello che mi è passato per la testa?” “Lo so e mi dispiace se ...” “Ho creduto di perderti!” urlò lanciando all’aria le ciliege dal tavolino “Ho pensato di dover organizzare il funerale di mia moglie cazzo!” “Uao, sono parole davvero forti cavolo! Forse l’abbiamo spaventato troppo e ...” “Smettila” sussurrò piantando gli occhi nei suoi ma il viso di Owen si confuse inevitabilmente con quello di Burke “Scusa, non sto parlando con te ma ...” chiuse qualche secondo gli occhi cercando di respirare, di riordinare i pensieri ma l’unica cosa che riusciva  a sentire era la voce di Burke “Coraggio respira, ce la puoi fare. Riordina le idee, raccogli il coraggio e sbattigli in faccia la verità!” annuì debolmente sospirando “Mi dispiace se tutto questo ti ha fatto del male, mi dispiace se sei arrabbiato o spaventato ma ...” “Spaventato? Mi prendi in giro? Porca puttana Cristina mi hai mentito! Mi hai detto di avere un cancro e mi sono sentito morire!” “Tu?” buttò lì ironica “Tu ti sei sentito morire? Davvero Owen? Cosa pensi che abbia provato io quando mi hai sbattuto in faccia la verità su quella donna! Mi hai tradito! Sei andato con un’altra donna e l’hai fatto per cosa?” “Cristina tu ...” “Io cosa?” Burke sorrise sedendosi sul letto dietro di lei “Esagero? Mi incazzo perché mio marito mi ha tradito con l’unico scopo di ferirmi? Perché un aborto può giustificare il tuo tradimento?” lo vide sospirare, tremare sotto la spinta di quella rabbia violenta “Tu mi hai fatto del male Cristina, mi hai fatto più male di quanto immagini! Mi hai negato una famiglia e poi sei scappata insieme al tuo passato e ora, ora sono qui, ti vedo, ti parlo quando fino a tre ore fa cercavo di capire come fare a sopravvivere senza di te!” sospirò abbandonandosi sul letto accanto a Burke “Fino ad ora sei stata brava, coraggio, ti manca ancora poco” si passò una mano in viso cercando di trattenere la nausea “Tu davvero non capisci vero?” “Cosa dovrei capire! Aiutami tu a capire come mai corro dietro a mia moglie pregandola di continuare a vivere e scopro che in realtà non ha niente!” un debole sorriso a colorarle le labbra “Non sono corsa via con il mio passato, ho ucciso il mio passato e tu nemmeno lo capisci! Credi davvero che accompagnare Burke a morire sia sempre stato il mio sogno segreto?”  “Ho sempre saputo di essere parte dei tuoi sogni dolcezza” ma lei non fece caso a quell’ironia gelida “Ho ucciso l’unica persona che mi abbia mai capito” Owen scoppiò a ridere allargando le braccia “E allora io chi diavolo sono? Il primo che passa per la strada?” “Tu non puoi capire! Avevo dei ricordi che mi legavano a lui! Aveva tre anni di vita in comune con lui e se ora sono un chirurgo decente lo devo a lui! È stato il mio mentore, il mio maestro, l’unico chirurgo che prendevo come esempio!” si alzò di scatto come se le mani di Burke posate sulla sua schiena l’avessero spinta violentemente in alto “È stato il mio compagno, il mio amico, il mio amore e io l’ho ucciso perciò scusami se al momento non posso essere la mogliettina dolce che vuoi tu!” “Io non voglio ... Io voglio te! Porca puttana è così difficile da capire?” “Se ti voleva allora non si scopava un’altra!”  quelle parole le perforarono il cervello e, quasi senza riflettere, la bocca sussurrò la stessa cosa.

Owen indietreggiò sotto il colpo di quelle parole violente “Vuoi sapere perché mi è uscita la parola cancro dalla bocca?” domandò ironica avvicinandosi di un passo a lui “Ogni fottuta ora del giorno, ogni mattina, ogni pomeriggio, ogni sera io vedo Burke ...” “ ... parlo con lui, rido con lui. Ogni giorno che passa cammina accanto a me, parla con me, opera in sala con me e per quanto mi sforzi di mandarlo via non ci riesco ...” “ ... vorrei farlo ma non posso perché ...” “... perché mi sento in colpa ...”  posò una mano sulle labbra cercando di trattenere le parole ma Burke sorrise alzando leggermente le spalle.
Non riusciva a riflettere, a pensare, ogni cosa che diceva Burke usciva puntualmente dalle sue labbra come se fossero una persona sola “... perché non riesco a superare quel ricordo ...”  “... non parlavo con te quando ho detto quelle cose ma con lui!” Owen socchiuse leggermente gli occhi cercando di capire se sua moglie fosse impazzita di colpo “Cristina tu stai ...” “Sto bene!” esclamò gelida evitando la sua mano “Chi vede fantasmi non sta bene!” “Nemmeno chi ritorna sui proprio passi perché si sente in colpa ma ehi, il mondo è  bello per questo no?” esclamò ironica concentrandosi sul volto di Burke a pochi passi da lei “Che c’è?” “Smettila di usarmi come paroliere chiaro?” Owen seguì il suo sguardo perdendosi nel nulla “Non ti sto usando” ma lei sorrise scuotendo leggermente la testa “Se continui a farlo mi scambierà per pazza! Credi davvero che abbia voglia di passare del tempo in manicomio?””Se non vuoi essere scambiata per pazza allora smettila di parlare con il niente!” “Se quel niente appare e scompare girandomi intorno come posso ignorarlo?” ma le mani di Owen posate sulle sue spalle la riportarono alla realtà, si concentrò sul suo viso, sui suoi occhi chiari e profondi “Guardami” non rispose, non si mosse nemmeno “Cristina guardami!” “Ti sto guardando” “No” inspirò a fondo cercando di restare calmo “Fai finta di guardarmi ma la tua testa è lontana da qui” abbassò lo sguardo cercando di nascondere una lacrima “Oh andiamo!” sbottò gelido Burke passeggiandole attorno “Davvero vuoi piangere? E per cosa? Per aver affrontato tuo marito? Sei diventata debole Scheggia” un altro respiro, un’altra lacrima a scivolare via dagli occhi “Sei diventata debole e sentimentale e da quando? Cosa diavolo mi sono perso si può sapere? Torno dal mondo dei morti per te e tu, tu te ne freghi! Digli la fottuta verità e lasciami andare via!” chiuse gli occhi, tremava, sapeva di farlo perché lo sguardo spaventato di Owen percorreva ogni centimetro del suo viso “Ehi andiamo, non hai il diritto di spaventarmi così! Non adesso, non dopo tutto quello che mi hai fatto passare” “Avanti! Urlaglielo in faccia o mandalo via! Scegli perché io sono davvero stanco di farlo al posto tuo” “Non hai scelto niente” mormorò tra le lacrime “A no? Ti è corso dietro e il merito di chi è? Parla con te come una persona civile e il merito è tuo? Io l’ho fatto arrivare fino a qui e se devo essere stronzo o comportarmi come un idiota per farti dire la verità allora lo farò!”  una mano a sollevarle il volto “Cristina tu ...” “Sono incinta! Diglielo!” schiuse le labbra pregando Dio che quella parola non uscisse ma Burke continuava a ripeterla e la sua volontà sembrava sparita nel nulla “Di che hai paura? Che si arrabbi? Che non voglia questo bambino? Se non glielo dici non lo saprai mai Scheggia! Digli che diventerà padre e conoscerai la sua reazione, se non lo fai potresti pentirtene per il resto della tua vita!”  lo sguardo perso nel suo, sentiva le sue mani, la sua paura, la sua preoccupazione “Stai bene?” “Sono incinta!”  chiuse gli occhi qualche secondo “Sono incinta” Burke sorrise annuendo soddisfatto ma nel silenzio della notte uno schiaffo violento la spinse lontano, un rumore sordo e doloroso che la massacrò nell’anima.
“Volevi una risposta? Ora cel’hai! Tuo marito non merita un figlio” si passò una mano in viso asciugandosi le lacrime “Prendi le chiavi della macchina e vattene via!” “Vieni con me?” mormorò con un filo di voce, Burke sorrise avvicinandosi a lei, coprendo l’immagine di suo marito, tremante, preoccupato, deluso da quella reazione che non gli apparteneva e che non voleva “Ho scelta forse?” "Mi dispiace Burke, non volevo farti ..." "Ehi, non fa niente davvero. Vorrà dire che avrai un bambino e che il suo papà sarà un fantasma che lo protegge dai pericoli" mormorò sorridente "Certo che vengo con te, non ti lascio sola"  una mano a sfiorarle il volto mentre un debolissimo sorriso tra le lacrime si impossessava del suo volto “D’accordo” afferrò le chiavi dal comodino, il cellulare e la borsa accanto al letto e senza nemmeno cambiarsi, uscì da lì dentro con il cuore a pezzi e l’unica certezza che quel fantasma al suo fianco era diventato ora la persona più importante della sua vita.

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Capitolo 19
*** Non stai Sbagliando ***


Burke 20                                                   Non stai Sbagliando






“È questo il tuo piano?”
domandò sbalordito mentre si sistemava la mascherina “Sono sempre un medico Burke! Anche se mio marito mi ha dato uno schiaffo, anche se sono stanca sono un medico! Un medico che ha passato con il massimo i suoi esami e che ora, deve operare quel poveretto perché se non lo faccio io nessuno lo farà” Burke sorrise “Hai visto bene le lastre? La fistola è più grande del previsto” “Posso passarci sotto” “Se la tocchi prima prima di aver asportato quella vicino al ...” “Sei qui per tranquillizzarmi?” sbottò ironica lasciando scivolare via l’acqua dalle mani “Sono qui per ricordarti che non puoi più fare interventi di otto ore consecutive perché il tuo corpo non è più solo il tuo”  ma lei non rispose, tirò su la mascherina sospirando.

 Quel piccolo umano che le cresceva dentro continuava a tirarle calci e pugni senza tregua “Devi darmi qualche minuto di pace piccolo perché là dentro c’è una persona con un aneurisma coronarico e se non lo opero, se non tolgo quella fistola enorme dalla camera cardiaca morirà” Burke sorrise osservandola sognante, vederla parlare con un bambino che ormai era carne e fiato era semplicemente meraviglioso “Grazie” sussurrò Cristina chiudendo qualche secondo gli occhi, il piccolo si era tranquillizzato e lei poteva di nuovo respirare.
Tre ore e venti di intervento, tre ore di sguardi e parole scambiate con un fantasma mentre il primario di chirurgia la osservava “Complimenti dottoressa Yang, devo ammettere di non aver mai visto una precisione e una bravura tale” sollevò appena lo sguardo incontrando gli occhi scuri dell’uomo “Non mi sono sbagliato con lei” “Dice?” mormorò afferrando la clamp “Ne sono sicuro” Burke sorrise passandosi una mano in viso “Ci sta provando con te?” ma lei non rispose, tornò a concentrarsi sull’addome aperto del paziente ma perfino da lì poteva vederla sorridere “No davvero Scheggia, ci sta provando con te! Non è nemmeno brutto sai? Insomma, non avrà gli occhi azzurri come tuo marito ma ...”  “Fistola rimossa” esclamò gelida coprendo la sua voce “In quattro ore precise, però, davvero strabiliante” mormorò allegro l’uomo, gli occhi persi sul suo viso e un sorriso dolce e ironico a farla ridere “Non esulti capo, devo ancora riparare il tessuto e richiuderlo quindi, se tiene al suo ospedale, preghi Dio che questo paziente si salvi” “Oh non ho alcun dubbio su questo” sollevò lo sguardo sorridendo, quel viso fresco e allegro di fronte a sé le dava tranquillità “Controlla anche l’altra camera Scheggia, ricorda che essere meticolosi non è mai un male”  sussurrò Burke a pochi centimetri dal suo collo “È libera” “Perfetto, richiudi in fretta e vai a riposarti un po’”  sospirò annuendo “Tutto bene?” gli occhi profondi del primario le sfiorarono il volto, sorrideva, la osservava fiero e compiaciuto senza mai stancarsi “Se vuole riposare posso ...” “No” l’infermiera le passò l’ago “Non ho bisogno di riposo” “Oh si che ne hai bisogno” le dava del tu, passava dalla freddezza alla gentilezza in pochissimi secondi, le ricordava Owen, non il marito o l’amante attento ma il medico freddo e introverso che aveva conosciuto all’inizio.
Finì l’intervento senza alcun problema, chiusa nel suo ufficio continuava a giocherellare con una ciliegia, la stringeva tra le dita rigirandola, lo sguardo perso su qualcosa, qualcosa di impalpabile e invisibile.
Burke era al suo fianco, come sempre d’altronde, seduto di fronte a lei leggeva qualcosa, forse una rivista di medicina, le gambe sollevate sul tavolo e una mano che giocava ritmicamente con la biro “Si può?” sollevò lo sguardo di colpo “Scusa, non volevo spaventarti” “No, stavo solo ... stavo riflettendo” il medico sorrise sedendo accanto a lei “Non scherzavo in sala sai? Sono fiero di averti offerto un laboratorio di ricerca” “E io ti ringrazio per averlo fatto” mormorò ridacchiando ma quella vena d’ironia lo costrinse a sorridere “Davvero pensi che ci sia qualcosa di sbagliato nel darsi del tu? Lavoriamo insieme” “Si, ma tu sei il capo” “Den” “Cosa?” domandò confusa mangiando la ciliegia “Mi chiamo Daniel ma tu puoi chiamarmi Den” Burke socchiuse gli occhi, lo sguardo che correva dall’uomo a lei “Den? Carino no?” sbuffò ignorando quell’affermazione sarcastica e improvvisa “Andiamo a cena insieme” l’acqua le andò di traverso e Burke scoppiò a ridere “Davvero?” balbettò cercando di trovare un filo logico in quel discorso folle “Davvero!” un bel sorriso a colorargli il volto mentre quegli occhi neri le trasmettevano tranquillità “Sono incinta” “E per questo non vuoi mangiare?” “No è ... sono sposata e incinta e ...” “E tuo marito dov’è?” Burke annuì chiudendo la rivista “Già Scheggia, tuo marito dov'è?” si alzò in piedi stiracchiandosi allegramente “Dovresti rispondere, tanto prima o poi lo saprà. Non è meglio dire la verità ora?” scosse leggermente la testa posando una mano sulle labbra “È per aver evitato di dire la verità che siamo a questo punto!” un debole sorriso e colorarle il volto “Abbiamo litigato e non è qui” “Lo so” “Lo sai?” ribatté confusa trattenendo il respiro “Si, cioè, no so chi sia tuo marito, non so per che stupido motivo abbia litigato  però, beh ecco, era ovvio o per lo meno, lo era per me” “Davvero?” annuì deciso tamburellando con le dita sul ripiano di vetro “Sei triste, assente, certo sei sempre perfetta in sala operatoria, una macchina da cardiochirurgia ma sei triste. So che sei sposata, te l’ho chiesto al nostro primo colloquio ricordi?” annuì appena concentrandosi sulle sue parole “Non sapevo che eri incinta ma questo non cambia comunque le cose. Voglio portarti a cena fuori” “Perché?” l’uomo sorrise sollevando appena le spalle “Perché mi piaci e di solito, quando una cosa mi piace la tengo al sicuro e la proteggo”  “Uao, queste sono belle parole Scheggia. Vuole uscire a cena con te, perché no?” il medico si alzò sorridendole “Ti passo a prendere alle otto e mezza perciò ...” guardò l’orologio qualche secondo “ ... hai più o meno tre ore per dormire e per prepararti quindi va a casa” “Cosa? No aspetta io ...” “Ho detto a casa dottoressa. Sono il capo, prendo le decisioni e io dico che il mio primario di cardio deve andare a dormire perché il suo bambino ha bisogno di riposo” si tirò la porta alle spalle fischiettando “L’hai sentito?” “Sono diventata matta” sussurrò stringendosi la testa tra le mani “Scegliere di vivere è pazzo? Io non direi proprio”  “Sono sposata! Aspetto un bambino da mio marito e esco a cena con un’altro uomo e ... e ... beh, questo è folle perché ...” ” Ascoltami!” esclamò afferrandola per le spalle “Non sei folle e questo non è sbagliato! È una cena con il tuo capo e niente di più. È vero hai un marito e aspetti un bambino da lui ma questo non ti vieta di vivere! Vai a casa, dormi un po’, preparati e poi vai a cena con lui”  “Non posso” “Certo che puoi! È un bell’uomo, è un chirurgo eccezionale e comprende i tuoi bisogni e non gli importa niente del tuo passato quindi vai a cena con lui”  sollevò lo sguardo incrociando gli occhi di Burke “Non sto sbagliando vero?” l’uomo sorrise sfiorandole il volto “Non stai sbagliando”

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Capitolo 20
*** Qualcuno ***


Burke 21                                                   Qualcuno





“Vuoi altro vino?” scosse leggermente la testa posando la forchetta “Sicura?” “Grazie, non bevo molto in questo periodo” Den sorrise “Sai già che cos’è?” si posò una mano sul ventre, un gesto istintivo, protettivo e talmente naturale da sconvolgerla “È un maschietto” gli occhi dell’uomo si illuminarono di colpo “Davvero? Uao, allora quando nascerà gli regalerò un bellissimo ...” “Niente regali scemi”  “Ehi” ribatté ironico sorseggiando il vino “Io non faccio mai regali scemi!” “E come faccio a saperlo? Non ti conosco nemmeno” “E allora?” si guardò qualche secondo attorno cercando Burke, i suoi occhi, il suo viso ma era da sola.

Sapeva bene che probabilmente era lì da qualche parte e sapeva anche che, in quel momento, la sua assenza era studiata, calcolata apposta per lasciarla sola con quell’uomo “Come lo chiamerai?” “Cosa?” balbettò confusa “Il bambino, come lo chiamerai?” “Oh” mormorò accennando un leggerissimo sorriso “Non lo so ancora” “E tuo marito che dice?” “Lui ... lui non dice proprio niente” Den la fissò ridacchiando “Niente? Insomma, tra meno di tre mesi nascerà suo figlio e lui ...” “Possiamo evitare di parlarne?” “Adesso oppure mai?” ironico,  diretto, quell’uomo davanti a lei dall’aspetto giovane ed elegante nascondeva in realtà molto di più “Ti ho detto oggi che amo proteggere le cose che mi piacciono o ...” si fermò qualche secondo studiandone le espressioni “ ... in questo caso le persone. Sei il mio chirurgo, il mio primario, proteggo i miei medici” “E vai a cena con tutti loro?” sorrise affondando il cucchiaino nella coppa di gelato “No, porto a cena solo te perché mi piaci. Mi piace il tuo modo di operare e mi piace quel mistero odioso e intrigante che ti avvolge” “E lo dirai anche a mio marito?” “No” esclamò allegro “Lo dico solo a te perché so che sei arrabbiata con tuo marito e che non farai la spia” “È lui che è arrabbiato con me, ne ha il diritto” “Davvero?” sospirò soffermandosi qualche secondo sul suo volto “Non volevo figli, non ne ho mai voluti da quando, beh, è un discorso lungo. Abbiamo litigato per questo, io ho abortito e lui non è più riuscito ad accettarlo” si passò una mano tra i capelli stupita dalla reazione del suo cervello, parlare con Den era facile, normale, in qualche modo perfino rassicurante “Avevamo trovato un punto d’accordo, una specie di intesa che ci permetteva di vivere assieme ma sapevo che non sarebbe durata. È andato a letto con un’altra donna, l’ha fatto per ferirmi, per farmi provare almeno in parte il male a cui l’ho sottoposto e ...” un debole sorriso a colorarle il volto “ ... e poi è tornato da me il mio ex fidanzato che è stato anche mio mentore e mio migliore amico e mi ha chiesto di aiutarlo a morire. L’ho fatto e ora, ora sono qui a parlare di tutto questo con uno sconosciuto ed è così maledettamente facile da ...” la mano dell’uomo si posò dolcemente sulla sua bloccando quella sfilza nervosa di parole “Va tutto bene. Non racconterò niente a nessuno. Puoi parlare con me sai?” lo sguardo perso nei suoi occhi, l’indecisione terribile che la sconvolgeva dentro, fidarsi o non fidarsi?.
Era sempre stata solo lei, lei e la sue volontà di ferro, la sua voglia matta di raggiungere un obbiettivo e ora invece, c’era lei, Owen, un bambino che non aveva colpe, un maledetto ricordo e quell’uomo nuovo e gentile che le sorrideva “Sai cosa facciamo?” mormorò sorridendole “Tu diventerai una stella, brillerai portando il mio ospedale a livelli stratosferici e io mi prenderò cura di te” “Non sono una bambina” esclamò tagliente sfilando la mano dalla sua “Non ho bisogno di essere protetta o amata o abbracciata nelle lunghe ore notturne, quando i fantasmi saltano fuori dall’armadio e ...” “Lo so!” esclamò sorseggiando il vino “Non voglio prendermi cura di una bambina tremante e sola! Voglio prendermi cura del mio cardiochirurgo di punta, voglio farti brillare Cristina e si, mi prenderò cura di tuo figlio se suo padre non vorrà farlo” “Tu sei pazzo” ribatté ironica ma la mano di Den la bloccò evitandole di scappare “Non ho alcuna intenzione di sostituirmi a suo padre così come non voglio sostituirmi a tuo marito. L’hai detto tu no? Non mi conosci. Però vedi, ognuno al mondo dovrebbe avere qualcuno a cui importi di quei fantasmi, qualcuno che sorrida e che giochi e che non si stanchi mai a raccontare quanto bello può essere il mondo perché quei fantasmi fanno paura, sono cattivi e vendicativi e spaventosi. Tuo figlio ha solo te e sono più che sicuro che sarai una mamma meravigliosa”  “Ha proprio ragione Scheggia” scosse leggermente la testa impaurita da quell’apparizione improvvisa “Io sarò un amico. Uno zio che lo porta al parco o che gioca con i dinosauri e con le macchinine quando sarai in sala operatoria. Ti darò dei turni flessibili, un’intera equipe di sala solo per la cardiochirurgia e una per il laboratorio di ricerca. Avrai quattro specializzandi che a turno eseguiranno i tuoi interventi, li sceglierai tu, su questo hai carta bianca” la mano allentò di colpo la presa e un bel sorriso a colorargli il volto “Come vedi niente di tutto questo implica il prendersi cura di una bambina sola e tremante. Ti darò tutto quello che vuoi, tutto quello di cui hai bisogno e sarò uno zio fantastico perché i bambini mi adorano” “No” ribatté ironica sorridendo “Al mio non piacerai. Lui odia la modestia e l’essere subdoli” “Già, però questo non toglie il fatto che, in questo momento, hai davvero bisogno di un amico perché sei sola”  Burke annuì ridacchiando “Non è una brutta proposta sai? Insomma, puoi avere tutto quello che vuoi e in più, avrai qualcuno che di tanto in tanto verrà a vedere se nutri quel bambino o se lo abbandonerai da qualche parte in sala operatoria” ma lo sguardo tagliente di Cristina lo fece trasalire “Dico solo che non è male come proposta. Io avrei fatto esattamente la stessa cosa sai? Insomma, sei un talento puro, esegui interventi da capogiro, vai a mille e bruci come fuoco vivo. Sai bene che avere questo dono limita parecchio i rapporti personali, ne hai avuto una prova. Lui è qui e vuole solo esserti amico, perché ogni dannata volta che qualcuno prova ad avvicinarsi a te lo ricacci indietro?”  sospirò passandosi una mano tra i capelli “Voglio una sala solo per me, voglio tre equipe e tutti gli interventi di cardiotoracica che passano dal pronto soccorso” Den sorrise inclinando leggermente verso di lei il bicchiere “Voglio otto specializzandi, quattro ai post operatori e quattro a preparare. Voglio una squadra di ricercatori per il progetto sulle staminali e una a disposizione per qualsiasi altra cosa mi venga in mente e voglio una macedonia di frutta fresca tutte le mattine nel mio ufficio” gli occhi piantati nei suoi, carichi di sfida, di rabbia, di malinconia, Burke accanto a lei continuava a sorridere addentando una mela, soffermandosi di tanto in tanto sul volto solare e compiaciuto dell’uomo “Avrai gli specializzandi che vuoi, quanti ne vuoi e dove vuoi. Avrai tre equipe, la sala otto, due squadre di ricercatori e tutta la frutta che ti pare” sorrise scostando la sedia per permetterle di alzarsi “E brava la mia ragazza” esclamò divertito Burke seguendoli “Ti darò anche un parcheggio riservato, uno studio più grande e uno schiavetto compila cartelle” un sorriso ironico e dolcissimo a colorarle le labbra “D’accordo, potrai cambiargli i pannolini mentre sto operando” in fondo non sembrava tanto male no? Aveva qualcuno, forse un amico nuovo, forse un capo comprensivo, ma pur sempre qualcuno che le offriva amicizia, aiuto, una mano tesa in quel silenzio assordante che la massacrava dentro.

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Capitolo 21
*** " ... Un motivo per riportarla a Casa" ***


Burke 22                                     " ... Un motivo per riportarla a Casa"






Aveva la casa invasa da giocattoli, scaffali colmi di pupazzi e vestitini nuovi ordinatamente riposti nell’armadio.

Den aveva fatto preparare la cameretta del bambino da un suo amico, un arredatore, un uomo simpatico, calvo ma pur sempre simpatico.
Certo non aveva chiesto lei tutte quelle cose, ma lentamente, con il passare dei giorni, la vicinanza di Daniel attutiva i colpi di un passato che bruciava ancora.
Pranzavano assieme in mensa, le teneva compagnia durante le lunghe ore di laboratorio e l’accompagnava a fare le ecografie.
Sapeva bene quello che poteva sembrare, passava ogni maledetta ora del giorno  a lottare contro gli sguardi invidiosi e perfidi delle infermiere, dei medici, con la sola certezza di essere superiore a loro, di essere ad un’altro livello, lontana dalle loro cattiverie e protetta da un capo a cui importava veramente la sua vita.
Era consapevole di dover pensare a suo figlio, a quella piccola vita che ora si muoveva e giocava dentro di lei, non aveva tempo per dar peso alle cattiverie delle persone, quello che faceva ogni giorno era semplicemente sorridere e pensare che molto presto avrebbe avuto tra le braccia il regalo più importante che la vita potesse farle.
Strano vero? Lei così abituata a pensare solo a sé stessa, così decisa sul non avere figli, sul concentrarsi sulla carriera e nient’altro ora, era lì, seduta immobile davanti alla finestra di quella cameretta ad immaginare i suoi lineamenti, a fantasticare sul colore dei suoi occhi o sulla prima volta che sorridendo la chiamerà mamma.
Un leggerissimo bussare sulla porta, si voltò di colpo, quasi come se quell’intrusione improvvisa nella sua mente potesse infastidirla “Ti ho spaventato? Non volevo” “No, no va tutto bene” Den sorrise porgendole una busta chiusa “Le hai lasciate sulla mia scrivania” “Oh ... scusa, avrei dovuto riprenderle dopo il turno ma ...” “Ehi” mormorò sfiorandole il viso “Va tutto bene sai? Non è molto faticoso portare le ecografie in una casa di cui ho le chiavi” si alzò dalla sedia ridacchiando “Il tuo paziente si è svegliato pochi minuti fa” “I livelli di ossigeno?” “Nella norma” rispose l’uomo chiudendosi alle spalle la porta “Ti va qualcosa da mangiare?” scosse dolcemente la testa sedendosi sullo sgabello, esattamente di fronte al ripiano della cucina, esattamente dove si metteva ogni volta che non aveva intenzione di abbandonare un discorso.
Den sorrise alzando leggermente gli occhi la cielo, le posò davanti una ciotola di ciliegie e fragole mentre il suo sguardo non lo abbandonava un secondo “D’accordo, i livelli dell’ossigeno sono nella norma, le analisi anche, rilassati, i tuoi dottorini non lo uccideranno” “Oh certo!” sbottò ironica afferrando una ciliegia “E tu come lo sai?” “Perché sono il capo e se lo fanno li licenzio” semplice, la risposta più naturale del mondo, sorrise concentrandosi sulla frutta davanti a sé “Allora? Come ti senti?” “Stanca, mangio sempre e non riesco più a dormire” Den sorrise, lo sguardo a posarsi dolcemente su quel ventre arrotondato che la rendeva se possibile ancora più bella “Se continuo a mangiare così diventerò enorme” “Oh certo, infatti tutti sono convinti che tu sia incinta di otto mesi” ribatté ironico sfilando una tazza dalla credenza “Non fa ridere sai?” “Non voleva essere una battuta. Dico solo che nessuno pensa che tu sia incinta di otto mesi tutto qui, al massimo pensano che tu sia di cinque mesi” “Ma che ...” “Ehi” esclamò bloccandola di colpo “Non è un insulto ma un complimento. Non prendertela con me se sei uno scherzo della natura” la vide sorridere, sfiorarsi il collo scuotendo leggermente la testa “Smettila di prendere tutto come un insulto Lidy” “ E tu smettila di chiamarmi con quel soprannome idiota” ma lui sorrise annuendo deciso “Domani verranno a portare il lettino e il fasciatoio” “Domani ho un trapianto” “Non è un problema, torno io a casa e li faccio sistemare nella cameretta” sorrise soffermandosi sui lineamenti dell’uomo “Che c’è?” “Niente stavo solo ... stavo ..” balbettò confusa “Pensavi a Burke o a tuo marito?” “In qualche modo a tutti e due” mormorò giocherellando con un nocciolo “Lo vedi ancora?” “Lo vedo sempre” si passò una mano tra i capelli chiedendosi come mai lui fosse l’unico a non crederla pazza ma quasi come se Den le leggesse nella mente rispose “Non sei pazza. Quando si perde qualcuno, qualcuno di importante come lui era per te si soffre”  abbassò lo sguardo cercando di mascherare la stanchezza ma la mano di Den le sollevò dolcemente il viso, un sorriso caldo e rassicurante sul volto “Ho perso mia sorella quando avevo otto anni. Un pazzo ubriaco l’ha investita e se ne è andato. L’ho vista per mesi interi dopo la sua morte, mi credevano pazzo, mi hanno mandato in terapia per anni ma lei era sempre lì, accanto a me” si fermò qualche secondo sospirando “Burke è stato tutto per te e tu hai staccato la spina che lo teneva in vita. Non posso nemmeno immaginare come ti senti però una cosa la so” le sorrise “Non sei pazza” tutta la rabbia, la delusione, la stanchezza, tutta la cattiveria e il senso di colpa vennero risucchiate fuori dalla sua mente.
Posò la mano sulla sua mentre una lacrima scivolò dagli occhi “Grazie”



“Posso?” “Hai bisogno di uno specializzando?” Derek scosse la testa osservandolo confuso “È morto qualcuno?” “No ma ...” “Allora ritorna più tardi, devo finire questi rapporti” un sorriso idiota a colorare il volto del neurochirurgo.
Afferrò una sedia trascinandola fino a lui “Cos’hai di sbagliato?” “Cosa?” mormorò confuso sollevando lo sguardo dai fogli “Cos’hai di sbagliato Owen?” “Ma di che ...” “Ti ho fatto arrivare fino a lei e tu la lasci andare via?” posò la biro alzando gli occhi al cielo “Ancora? Parleremo sempre di questo Shepard?” “Si fino a quando non capirai quanto sei idiota!” esclamò abbandonandosi contro lo schienale della sedia “Ha dovuto staccare la spina all’uomo che prima di te aveva occupato ogni suo pensiero! Era il suo mentore, il suo Dio, il suo amico e l’ha ucciso e nonostante il tempo, si sente in colpa e questo fidati, non passa mai!” “E mentirmi poteva aiutarla a dimenticare?” ribatté gelido piantando gli occhi nei suoi “Lo vede Owen, lo vede come vede me o te. Non è un problema celebrale, non ci sono tumori e non è schizofrenica. Vuoi davvero farle una colpa di tutto questo? Vede l’uomo che ha amato, non è un pericolo per te e tanto meno lo è per lei” “Quell’uomo la allontana da me Shepard!” il respiro rotto dalla rabbia “Non importa quanto tempo passi, non importa se tornerà da me, quell’uomo la tiene ancorata al passato e io non posso allontanarla da lui” “Perché no?” “Perché le toglierei definitivamente il suo ricordo! L’ha perso, è stata costretta ad ucciderlo e se la riporto indietro le farò del male” ma Derek scoppiò a ridere “E così invece no? Punirla per aver tenuto quel figlio per cui l’hai tradita, per cui le hai fatto del male e hai sofferto, fingere che non esista, fingere di non essere sposato si, questo la aiuta di certo” sbottò ironico piantando gli occhi nei suoi “Le hai dato un motivo per allontanarsi da te perché altrimenti avresti dovuto farlo tu! Avresti sofferto lasciandola sola passare per un mostro cattivo che prende a schiaffi le povere bambine ha reso tutto più semplice ma ora ...” si fermò qualche secondo, la mano piantata sulla scrivania e gli occhi ancorati ai suoi “ ... io ti do un motivo per riportarla indietro” “Non voglio riportarla indietro Derek!” “Te la stai perdendo!” urlò alzandosi di colpo “Ti stai perdendo tua moglie, il suo cambiamento, ti stai perdendo tuo figlio! Lui si sta muovendo ora, respira, gioca, dorme dentro di lei e tu te lo stai perdendo!” lo vide sorridere appena “Lui?” “Avrai un bel bambino capo ma non puoi vederlo se resti qui!” un bel respiro per calmare i battiti del cuore “Ti do un motivo per andare a riprenderla Owen” posò le mani sul ripiano gelido inclinandosi leggermente verso di lui “Tua moglie ha una persona vicino che si prende cura di lei!” il cuore mancò un colpo mentre tutto attorno il silenzio aveva invaso prepotentemente i pensieri “Quell’uomo è lì con lei, ordina i mobili per la cameretta di tuo figlio, la riporta a casa la sera, pranza con lei, l’accompagna a fare le ecografie, opera con lei e la notte resta a casa sua quando le troppe ore di intervento l’hanno costretto a correrle dietro. Quell’uomo è il suo capo, il suo migliore amico, il suo confidente, quell’uomo è esattamente quello che era Burke ...” un sospiro a spezzare le parole “ ... non lasciare che diventi  troppo importante per lei perché altrimenti, tutto quello che di buono avete costruito fino ad ora crollerà e tu la perderai!” ma come poteva riportarla indietro adesso? Come poteva costringerla a ripartire da zero un’altra volta? Come poteva cancellare tutto il male che le aveva fatto? Troppe domande, troppi pensieri, troppe lacrime trattenute che ora, non vedevano l’ora di esplodere.

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Capitolo 22
*** Ricordami perché ... ***


Burke 23                                                                                                 Ricordami perché ...







Un sorriso delicato, incorporeo, continuava  a seguire con lo sguardo quelle linee sul monitor, dei movimenti, i movimenti che sentiva fino in fondo all’anima.

Accanto a sé come sempre Daniel, il suo sorriso, la meraviglia dipinta nello sguardo mentre lentamente si rendeva conto che quel bambino era davvero lì e poi Burke a pochi passi da loro, un enorme sorriso a colorargli il volto e gli occhi traboccanti di gioia “È davvero bellissimo”  sorrise tornando a concentrarsi sul monitor “Allora dottoressa, siamo in perfetto orario” esclamò il ginecologo ridacchiando “Il peso è buono e a quanto vedo anche il caratterino, non sta fermo un minuto” “Lo deve vedere quando guardo le partite” ribatté Den senza staccare un secondo gli occhi dallo schermo “Diventa matto per gli Yankee , credo che diventerà un giocatore, una mezz’ala forse o magari ...” Burke scoppiò a ridere e lo stesso fece lei “Che c’è?” “Non so nemmeno che nome avrà e pensi già ad iscriverlo alla lega pulcini” il medico annuì divertito “Se ha preso da te mangerà tonnellate di frutta e anche tante schifezze” “D’accordo, va bene”  esclamò Burke raggiungendola “Sarà un giocatore di rugby che adora le ciliegie e avrà una mamma chirurgo ok?” le posò una mano in viso ridacchiando “E se ha preso dalla mamma sarà anche discretamente bello”  “Discretamente?” sussurrò ripulendosi il ventre “L’unica cosa che lo salva è il fatto di essere uomo. Se fosse nata donna probabilmente, quando sarebbe uscita di casa per incontrare gli amici, le sarei corso dietro ogni volta, soprattutto se prendeva da te il fisico”  sbuffò riallacciando la camicetta, Den era troppo impegnato a parlare con il medico per darle retta e parlare con Burke non risultava nemmeno troppo folle “Ricordami ancora perché non sto sbagliando” mormorò legando i capelli “Perché quello che hai dentro è un bambino. Perché tuo marito non capisce ma io si, Daniel si e tu anche”  le sorrise avvicinandosi “Tornerà indietro Scheggia, lo farà, presto o tardi riavrai tuo marito ma ora, ora hai accanto una persona che in questi mesi ha imparato a conoscerti, che vuole prendersi cura di tutti e due senza secondi fini, è sincero Scheggia” la mano di Den la trascinò improvvisamente lontano da Burke, dal suo sorriso “Nascerà tra due settimane, giorno più giorno meno” “Cosa?” balbettò confusa cercando di concentrarsi su di lui “Tuo figlio nascerà tra due settimane quindi meglio se ti sbrighi a scegliere un nome” scosse la testa ridacchiando “Ora devo fare una sostituzione di valvola” afferrò il camice dal lettino “Ehi, voglio vederti riposata questa sera chiaro?” non rispose nemmeno, si limitò ad annuire “Non sto scherzando Lidy, ti vengo a controllare ogni mezz’ora” ma la porta era già chiusa e la sua risata cristallina già lontana.



Ma che cavolo di idea aveva avuto? Arrivare fino a Seattle e per cosa? Per incontrare il marito della sua migliora amica? Per quale motivo? Per farlo tornare da lei? No, non era per quello che aveva attraversato mezzo paese ma semplicemente, per quel bambino.
Lidy aveva ragione, Seattle era davvero cupa e triste, piena di nuvole e senza sorrisi o forse, era lui troppo abituato alla sua vicinanza per vedere i sorrisi nel cemento grigio.
Non era stato difficile raggiungere casa sua, ancora meno suonare il campanello ma trovarsi davanti l’uomo che si sarebbe preso cura di quel bambino, di lei era massacrante “Lei è il dottor Hunt?” sorrise appena annuendo “Sono Daniel Hopkins, il primario della Mayo” “Cristina sta bene?” fu l’unica domanda che il cervello riuscì a formulare.
Den annuì sorridente seguendolo in casa “Si, lei sta bene” “E allora perché è qui?” domandò confuso “Per questo” tra le mani una busta di carta “Questo è tuo figlio” il cuore a mancare un battito mentre con mani tremanti sfilava quelle foto scure “Sta bene, ha davvero un bel caratterino e si, nascerà tra due settimane. Lidy sta bene e  ...” “Lidy?”  scoppiò a ridere alzando una mano in segno di scusa “Cristina, lei sta bene. La chiamo Lidy perché è diminutivo di melodia” ma lo sguardo confuso di Owen lo costrinse a parlare di nuovo “Trovo che sia fantastica dottore. Tua moglie è un portento, e non ti parlo solo di talento no, ti parlo di quella luce che risplende quando sorride, quando scherza parlando con quel bambino che nemmeno ha mai visto. È diversa, cambiata, credo cambiata in meglio ma non penso avesse molto di cui vergognarsi. Lei è perfetta così, lo vedi quando opera, quando è talmente concentrata su quello che fa da non rispondere, è melodia pura e per questo la chiamo Lidy, perché per me è melodia” “Lo so” sbottò gelido “È mia moglie, so com’è, mi sono innamorato di lei per questo” “E allora perché la punisci?” una domanda secca, diretta, piantata nel vuoto alla velocità della luce “Io sono qui davanti  a te, ti ho portato le foto di tuo figlio, ti sto pregando di renderla felice anche se vorrei essere altrove, lontano da qui, però sto facendo questo” gli occhi piantati nei suoi “Lo sto facendo perché tua moglie ha talmente tanta paura di essere odiata da te da starti lontano. È innamorata di te, lo sarà per sempre ed è giusto così, non pretendo niente da te perché nemmeno ti conosco però una cosa voglio dirtela” strinse più forte le chiavi della macchina “Se decidi di entrare nella vita di quel bambino e poi vai via, se la fai soffrire di nuovo ti farò del male con le mie mani” “E credi che questo mi spaventi? Credi che venire qui e minacciare sia spaventoso? Tu non hai la minima idea di quello che è successo tra noi!” “No ma so quanto basta e ti dico solo quello che penso. Lei non merita di soffrire ancora e se non può proteggerla il ricordo a cui è ancora legata allora lo farò io” non rispose, non si mosse nemmeno.
Restò semplicemente immobile ad osservare quell’uomo abbandonare la sua vita esattamente com’era venuto, in silenzio.
Le mani continuavano a tremare stringendo più forte quei pezzi di carta, tornare da lei per cosa? Per farle ancora del male? Per fingere che il suo tradimento non fosse mai accaduto? E poi quello schiaffo dato solo per colpa della rabbia? Non le avrebbe mai fatto del male, l’avrebbe protetta sempre e si sarebbe preso cura di lei, era questo che aveva promesso a sé stesso quel giorno e ora, tutto quello che riusciva a fare, era restare immobile mentre i cocci di quel giuramento si infrangevano contro la sua stupida rabbia.
Sapeva che quella era la sua maledizione, pensare continuamente a lei, alle sue labbra, al suo sorriso, al calore di quel corpo e alla bellezza delle ore passate con lei, quella era la sua condanna, e  forse, era proprio per questo che  non trovava la forza di staccarsene, di lasciarla andare, perché farlo voleva dire rinunciare alla vita stessa.

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Capitolo 23
*** "Che vuol dire?" ***


Burke 23                                                               "Che vuol dire?"






“Da quanto hai le contrazioni?” domandò preoccupato sfilandole di mano la cartella “Si sono rotte le acque, niente di preoccupante, c’è ancora tempo”  “Aspettavi di partorire durante l’intervento della signora Clark?” si lasciava trascinare da Den ignorando quel dolore lancinante che le spaccava  a metà il corpo “Sarei andata in ...” “No” esclamò l’uomo spingendola sulla sedia a rotelle “Sei ufficialmente in maternità, niente scuse” “Ma ...” “Ho detto niente scuse!”.

Nemmeno negli incubi peggiori avrebbe immaginato un dolore del genere, continuava a pensare ad altro nel tentativo folle di scordare quella contrazione, ennesimo avvertimento di un parto ormai reale “Vuoi un po’ d’acqua?” “In quale testo medico è scritto che l’acqua aiuta  a posticipare il parto?” sbottò gelida inarcando la schiena “Ti ho solo chiesto se hai sete” ma nella voce di Den c’era solo dolcezza “Un bel maschietto di tre chili sta per uscire dalla  mia vagina, secondo te ho sete?” ma l’altro sorrise “Puoi arrabbiarti quanto vuoi ...” le sfiorò il viso asciugandole il sudore con quello straccetto fresco “ ... non mi fai paura” “Oh si, questo mi tranquillizza davvero tanto” “Lo so” esclamò allegro posando il bicchiere.
Le cinque e un quarto di mattina, bell’orario per nascere “Complimenti tesoro, hai scelto proprio un bel momento” mormorò sfiorandosi il ventre “Se muore la signora Clark mi arrabbierò tanto amore mio, non con te ma con il mio stupido corpo” un leggerissimo bussare, la porta ad aprirsi lentamente “Owen?” mormorò confusa “Tu cosa ... sei qui?” un debole sorriso a colorargli il volto “Perché sei qui?” “Avevo bisogno di parlare con te e ... beh ecco ... sono partito ieri sera alle dieci e quando sono arrivato qui il dottor Hopkins mi ha detto che il bambino ...” “Sto bene, non ho bisogno di te” lo vide trasalire, guardare il vuoto qualche secondo, accanto a lui l’ombra incorporea di Burke “L’hai aspettato tanto e ora lo tratti così?”scosse leggermente la testa passandosi una mano tra i capelli “Mi dispiace, non volevo risponderti così ma sono qui dentro da due ore, lui non vuole nascere e io sono sfinita” un debole sorriso a cancellare l’imbarazzo “Come ti senti?” “Bene, almeno fino ad ora, ho solo un gran mal di testa e la schiena e distrutta ma va bene” si avvicinò a lei sorridendo, gli occhi posati sul monitor fetale e il battito rapido e costante di suo figlio “Perché sei qui?” “Per te” gli occhi a cercare i suoi “Per voi” Burke sorrise sedendosi sul letto accanto a lei “Ho sbagliato, ho sbagliato quando sono andato a letto con un’altra, ho sbagliato a permetterti di staccarti da quel ricordo da sola, ho sbagliato a lasciarti andare via e ...” riprese fiato passandosi una mano in viso “ ... non so cosa mi sia accaduto, ero spaventato, arrabbiato e confuso e poi mi hai detto di aspettare un bambino e tutto il mio mondo è crollato” “Sono delle belle scuse Scheggia, è sincero, io lo perdonerei” “Perché?” domandò più a Burke che a suo marito ma dimenticava che le persone normali non vedono fantasmi “Mi hai fatto del male Cristina e so che probabilmente suona falso e ipocrita, soprattutto dopo quello che ti ho fatto passare ma ... ho creduto di perderti per sempre e sono impazzito” distolse lo sguardo da lui concentrandosi sul niente davanti a sé “Andiamo! Di che altro hai bisogno? Di vederlo strisciare per terra?” “Sarebbe fantastico” sbottò gelida ma Owen la fissò confusa “Scusa, non stavo ...” trattenne il respiro afferrando la  mano dell’uomo senza nemmeno pensarci “Oddio” mormorò inarcando la schiena, il respiro accelerato e la voce tremante “Uao, questa è stata più forte delle altre” Owen continuava a stringerle la mano, lo sguardo perso su di lei, su quel dolore che avrebbe voluto evitarle ma che non poteva controllare in alcun modo “Passata?” annuì appena ricadendo dolcemente sui cuscini “Scusa” mormorò sfilando la mano ma la presa dell’uomo si rafforzò impedendole di scappare “È mio figlio, non hai bisogno di chiedere scusa, resto qui ...” gli occhi a fondersi nei suoi “ ... resto qui, non me ne vado ...” un debole sorriso a colorarle il volto “ ... non vado da nessuna parte senza di voi” ma Burke scosse leggermente allontanandosi da loro.
Un’altra ora passata a respirare, a concentrarsi sul tempo che lentamente scorreva via, sui pensieri e su quella fastidiosissima passeggiata che Burke non aveva mai smesso di fare.
Owen era sempre accanto a lei, seduto sulla poltroncina, la mano stretta alla sua mentre un tenerissimo sorriso gli colorava il volto ogni volta che i loro occhi si sfioravano “No dottor Hunt, lei ci sta mettendo troppo tempo” sapeva che Cristina lo sentiva ma era questo che voleva, che lo ascoltasse, che capisse quello che realmente stava accadendo.
La sua questione in sospeso, il pensiero più brutto che la sua mente avrebbe mai potuto partorire, eppure era lì, davanti a lui “Ci stai mettendo tanto a capire dottore” si bloccò di colpo inchiodato al muro dagli occhi della ragazza “Non era quel bambino la mia questione in sospeso ...”  un sorriso mesto e cupo a colorargli il volto mentre lo sguardo confuso di Cristina cercava risposte sul suo volto “ ... non era quel bambino e nemmeno il suo papà. Sei tu”  annuì confusa cercando di mascherare quella sensazione, se Owen se ne fosse accorto le avrebbe fatto mille domande e non aveva voglia di rispondere anche a questo “Non guardarmi così”  sospirò passandosi una mano tra i lunghi capelli scuri “Owen, puoi prendermi un bicchiere d’acqua?” “Sicura? Non vuoi che resti qui?” scosse leggermente la testa sorridendo “Non nascerà prima di due ore almeno e io ho davvero tanta sete” “D’accordo” mormorò sfiorandole leggermente il braccio “Torno subito” pochi secondi, la porta a tagliare fuori tutto il resto “Ora parla” esclamò gelida inchiodando gli occhi ai suoi “Scheggia cosa ...”  “Oh no caro mio, non funziona così, non puoi parlare da solo a voce alta e pretendere che io non ti risponda” Burke sorrise avvicinandosi a lei “Che vuol dire? Starà bene vero? Non gli accadrà niente?” “No Scheggia, tuo marito starà bene e anche il tuo bambino” la vide sorridere rilassandosi di colpo “Mi hai spaventato da morire! Porca miseria Burke!” “Ascoltami ...”  non sorrideva, non c’era più quell’espressione allegra e piena di gioia a colorargli il volto “ ... non è tuo figlio la mia questione in sospeso né tuo marito. Non è la tua nuova vita o il tuo lavoro ma sei tu” “Lo so, me l’hai già detto” “No!” lo sguardo inchiodato al suo “Burke ma che ... c’è qualcosa che non va?””Hai scelto il nome per tuo figlio?”  scoppiò a ridere divertita da quel cambio improvviso di discorso “Mio marito è appena tornato indietro da un incubo, non so nemmeno se dopo la nascita del bambino sarà tutto uguale a prima, come posso chiedergli di ...” “Devi farlo!”  “Mi stai ascoltando? Ti ho detto che ...” “Cristina!” si paralizzò di colpo, inchiodata lì dal suo stesso nome, urlato, scagliato all’improvviso nel vuoto.
“Cosa mi sono persa? Non mi chiami mai per nome e quando lo fai beh ecco, mi stai spaventando” l’uomo sospirò passandosi una mano in viso “Scegli il nome di tuo figlio con tuo marito Scheggia, perdonalo e ritorna a vivere con lui”  non capiva cosa diavolo le stava succedendo, era consapevole che ogni fibra del suo corpo urlava “C’è qualcosa che non va” ma era incapace di muoversi perfino di respirare, l’unica cosa che riuscì a dire fu un leggerissimo “Perché?” “Non sono mai andato via! Non riuscivo ad andare via ma non può essere questo il motivo! Non deve essere questo!"  "Burke!" il respiro accelerato e gli occhi indondati di paura "Non hai mai smesso di vedermi, nemmeno con Den, nemmeno quando hai scelto di tenere tuo figlio. Non sono mai andato via e io ... io non posso più parlare Scheggia, non posso più aiutarti ... era questa la mia ...” “Non puoi? Che vuol dire non puoi! ” ma Burke scosse leggermente la testa scomparendo nel vuoto, davanti a lei solo il viso sorridente di Owen e di nuovo le contrazioni a rompergli il respiro.

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Capitolo 24
*** Non è un Sogno ***


Burke25                             Non è un Sogno




“Ehi piccolino” mormorò sollevandolo dolcemente dalla culla “Lo so che ti abbiamo tirato fuori prima del tempo ma vedi ...” si fermò qualche secondo sorridendo a quel faccino assonnato “ ... la mamma non poteva più tenerti nel pancino” si voltò qualche secondo, un corpo delicato e stremato dal parto a riposare nella penombra del silenzio.

Era rimasto accanto a lei ogni minuto, non l’aveva lasciata sola un secondo, avrebbe dovuto farlo anche prima ma ora che importanza aveva? Stringeva tra le braccia suo figlio mentre lo sguardo si perdeva sul volto sereno di sua moglie, su quel braccio di luna posato dolcemente sul ventre mentre da qualche parte i suoi sogni si perdevano nell’infinito.
Si abbandonò sulla poltrona sfiorando con le labbra il nasino del piccolo “Lo sai tesoro, per poco ho rischiato di perderti. Sono stato davvero un’idiota, ho fatto davvero tanto male alla mamma e probabilmente non me lo perdonerò mai” una manina a stringersi dolcemente attorno al suo dito scatenando un sorriso “Sei il regalo più bello che potesse farmi. È stata davvero brava piccolo mio, ti ha  tenuto anche se era tanto tanto arrabbiata con me” posò le labbra sulla sua fronte inspirando un dolcissimo profumo di bimbo.
Era terrorizzato, spaventato dal poterlo rompere in qualche modo, pregava con tutto il cuore che non si mettesse a piangere perché Cristina aveva davvero bisogno di riposare e lui, aveva semplicemente bisogno di stringerlo tra le braccia, di scoprire che non era un sogno, un pensiero lontano ma suo figlio, il suo piccolo bambino con i capelli chiarissimi e la pelle di pesca.
Cercava in quella piccola vita quella somiglianza che per anni aveva solo sognato, forse era ancora troppo presto, forse, avrebbe dovuto aspettare ancora un po’ per accorgersene “Hai davvero una belle presa piccolo mio” mormorò stringendogli una manina “Ora...” si alzò cercando di fare meno confusione possibile “ ... papà va a prendere un bel caffè e un dolce al latte perché quando la mamma si sveglierà sarà affamata” lo posò nella culla accanto al letto coprendolo con la copertina.
Pochi secondi per farlo addormentare, sospirò stiracchiando la schiena, il monitor continuava a registrare i battiti costanti e regolari di Cristina, dopo il parto leggeri aritmie l’avevano costretta ad utilizzare l’ossigeno.
Ma stava meglio, aveva mangiato e si era addormentata senza problemi e lui, stupido e insensibile uomo, era rimasto in quella stanza d’ospedale per tutta la notte con la speranza che il senso di colpa, tutta la rabbia e la paura represse fino ad ora scomparissero all’improvviso negli occhi di suo figlio.

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Capitolo 25
*** Com'è Fragile la Realtà ***


Burke 26           Com'è Fragile la Realtà





“Fai finta di dormire?”
  aprì gli occhi sospirando “L’hai sentito non è vero?” “Perché sei riapparso? Ti ho detto addio” “No” esclamò sedendosi sul letto accanto a lei “Hai semplicemente scelto di non guardare, è diverso dal non vedere sai?”  lo sguardo a perdersi sul bambino addormentato nella culla accanto a lei “È davvero un bel bambino” “Ehi” esclamò gelida piantando gli occhi su di lui “Parla con me” domandò stupito ridacchiando “E con chi altro credi possa parlare?”“Allora, vogliamo spiegarci come mai sono ancora qui?” “Fino a quando non mi dirai la verità non ho intenzione di ...” “Stai morendo”  "Uao, e quando? Fra un anno? Fra cinque anni oppure ..." "Adesso Scheggia, stai morendo" il cuore mancò un colpo, strinse più forte tra le mani il lenzuolo “Che ... che stai ...” “Buffo no? Credevo di essere qui per aiutarti e invece, devo solo portarti via con me”  si passò una mano in viso cercando di non agitarla ulteriormente ma come poteva riuscirci? Buttare nel vuoto quelle parole voleva dire toglierle il respiro, costringerla ad ignorare la felicità appena ritrovata “Perché?” domandò spaurita “Le aritmie, la pressione ...” si bloccò qualche secondo spiandone le espressioni “ ... ti fa male il petto?” “No sto ... sto bene” ma gli occhi di Burke continuavano a restare inchiodati a lei “Per questo eri qui? Per dirmi che sto morendo? Perché te l’ho chiesto! Ti ho chiesto se era uguale a Denny, tu mi hai detto di no! Mi hai lasciato credere che fosse solo una stupida immaginazione, un pensiero folle della mia mente e ora sei qui a dirmi il  contrario!” “Non è come Denny! Non sapevo nemmeno io perché continuavo a restare accanto a te, non sapevo cosa mi stava accadendo! Credevo fosse tuo figlio, credevo bastasse farvi avvicinare di nuovo per poter essere libero di andare via ma quando Owen è venuto qui, quando ti è rimasto accanto ho iniziato a non capirci più niente!”  si alzò di colpo sorridendo “Credevo fosse finita! Ho provato ad andare via ma non riuscivo nemmeno a mettere un piede fuori dall'ospedale! Denny è sparito dopo la diagnosi, appariva ogni tanto io invece sono sempre stato qui!" "E questo ti da diritto ad un premio?" era terrorizzata, arrabbiata e mascherava dietro all'ironia quella sfilza di pensieri e parole che non risuciva nemmeno a pronunciare "Credi davvero che scoprire questa cosa mi abbia fatto piacere? Sto male Scheggia perché ti ho chiesto di aiutarmi a morire e non posso andare via da questo mondo perché devo portarti via con me!" “Perché?” “Non lo so! Perché diavolo credi che gli abbia detto: ci stai mettendo troppo! Per divertimento? Per ridere un po'? Porca puttana Scheggia non ci capisco più niente”  ma lei sorrise mestamente “No è ... perché mi fa male il petto?” gli occhi di Burke le sfiorarono il volto “Adesso?”  un debolissimo si a confermargli ogni cosa “Chiama tuo marito”  le sfiorò il viso cercando di seguire il suo respiro, la mano a sollevare leggermente il cercapersone “È un dolore costante oppure va e viene?” “Cosa ti importa?” sbottò ironica lasciando cadere il cercapersone “Non conosco il motivo, né sinceramente voglio conoscerlo ma se posso aiutarti ad evitarlo allora lo farò quindi, evita di essere vendicativa e idiota e dimmi come ti fa male!”  un debole sorriso a colorarle il volto “È ... è costante, sembra uno strappo, fa male” una lacrima  a scivolarle via dagli occhi.

La porta si aprì di colpo, il medico a pochi centimetri da lei e il viso di Owen “Ehi” le strinse una mano cercando di sorridere “Che succede?”  “Ho bisogno di una tac” “Una tac?” il medico annuì appena sfilando lo stetoscopio “Sua moglie non sta affatto bene” la presa si allentò di colpo, gli occhi a cercare quelli di Cristina “È apparso all’improvviso?” la vide annuire appena “Tesoro cosa ...” “Hai aritmie multiple, la pressione in calo e sangue nella flebo”  “Questo è tutto quello che riesci a dirmi? Ripeti quello che dico io?” mormorò a fatica mentre il volto di Owen si colorava di terrore “Portate il bambino alla nursery, signore lei dovrebbe uscire e ...” “Che le succede?” la vide sorridere respirando a fatica “Ho bisogno di pensare Scheggia! Che ne dici di continuare a respirare? Puoi farlo? Perché vedi, tuo marito sta impazzendo”  lo sguardo a posarsi lentamente su Owen “Fa così male morire?” lo vide trasalire, cercare nel vuoto qualche presenza incorporea “Ecco brava! Ora darà la colpa a me!”  sbuffò cercando di riordinare i pensieri.
Quella stanza era diventata improvvisamente un inferno, era sicura di respirare ancora, o almeno, era quello che sperava.
Sentiva le mani del medico sul suo petto, gli ordini delle infermiere e vedeva la paura di suo marito, i suoi occhi pieni di lacrime che tentava in tutti i modi di nascondere e poi Burke a pochi passi da lei, continuava a parlare, in qualche modo la teneva inchiodata alla realtà “L’ecg è normale dottore” “È pronta la tac?” l’infermiera scosse leggermente la testa continuando a reggere l’interfono “Ha LDH elevata” “Come diavolo è possibile?” Burke sorrise “Ci sono!” esclamò  “Non vedo l’ora di ... di sentire cosa ...” ma il respiro le mancò di colpo, il monitor impazzì scaraventando tutti nel panico “Ehi, lo so che sei ancora qui, guardami”  gli occhi terrorizzati della ragazza a posarsi qualche secondo su di lui “È una dissecazione aortica” ma non riusciva a parlare, non riusciva più nemmeno a muoversi “Avanti Scheggia! Sei forte, lo sei sempre stata, non può essere questo a fermarti no?”  scosse leggermente la testa posando una mano sulla sua “Avanti”  nei suoi occhi ancora quella luce, quella luce che aveva sempre tenuto al sicuro nel cuore, custodita lontano da tutto il resto “È una ...”  “ ... una d-dissecazione aortica” il medico abbassò di colpo lo sguardo “Cosa?” ma lei non rispondeva più, immobile sul letto, mossa solo dalle mani delle infermiere “Cazzo” sbottò afferrando il letto “Preparate la sala operatoria!” Owen non si mosse, non mosse un solo passo, inchiodato al muro, terrorizzato dal poter scoprire in realtà quanto può essere fragile la speranza.

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Capitolo 26
*** Respira ***


Burke 27*                                                                                Respira










“Respira”
“Sto ... sto respirando” mormorò confusa, la schiena appiccicata al muro e gli occhi terrorizzati, pieni di sconforto e paura, costretti ad osservare sé stessa, la vera sé stessa stesa su quel tavolo gelido, coperta da un lenzuolo e poi Den accanto a lei, il volto mascherato dalle mani e lacrime violente a percorrergli il viso “Lo so che fa male Scheggia, staccarsi dal proprio corpo fa sempre male” “Sono ... sono io?” balbettò confusa “Si, quella sei tu, o almeno, la te stessa mortale”  le sfiorò il volto cercando di tranquillizzarla ma era spaventata, confusa e paralizzata dalla rabbia “Guardami” respirava a fatica, l'unica cosa che avrebbe voluto era scappare via, il più lontano possibile da quell'incubo, da quella specie di prigione in cui si era ritrovata catapultata all'improvviso  “Scheggia guardami” un fremito, gli occhi piantati nei suoi  "È passato, tutto quello che ti legava alla vita ormai fa parte del passato. Non puoi tornare indietro, non puoi lottare per riavere tutto, puoi solo dimenticare e andare via, lontano, dove non c’è più dolore e ...” “Owen?” già, una domanda più che lecita “Non credo lo sappia ancora, Daniel ha chiuso le porte e costretto tutti al silenzio. Credo voglia parlare con lui di persona” ma lo sentiva singhiozzare, piegato su quel tavolo, inchiodato a lei da un legame strano e complicato “Non posso andare via”  le lacrime a spezzarle il respiro “Non posso lasciare mio marito e ... e il mio bambino ora ha ...” “Non puoi farci niente!” esclamò afferrandola per le spalle “Non è colpa tua, non è colpa di Owen o mia! Una dissecazione aortica uccide, lo sai meglio di me! Ne hai curate tante e quanti pazienti hai salvato?” “Questo non ...” “Quanti?”  urlò deciso “Lo vedi? Non lo ricordi nemmeno tu! Ogni battito del cuore allargava la lacerazione, non è colpa tua Scheggia, è stata la gravidanza, il continuo aumento di ormoni e poi lo squilibrio ...” “No!”  esclamò liberandosi dalla sua presa “Non è colpa di mio figlio!” “Non ho detto che è colpa sua ma della gravidanza! Devo davvero ricordarti quali possono essere le cause di un trauma del genere? Perché lo sai, non ho proprio voglia di farti ripetizioni di medicina, per quello ci sono i manuali!” continuava ad urlare, sapeva di farlo ma era l’unico modo per coprire i singhiozzi di Den, per costringerla a guardarlo “Vuoi davvero prendermi in giro? Ora? Ho perso tutto! Ho perso tutto e tu lo sapevi!” “Davvero?” sbottò allibito “Tu credi davvero che vederti morire sia stato il desiderio che segretamente nascondevo da anni? Patetico Scheggia!”  la vide trasalire, allontanarsi di un passo da lui “Puoi arrabbiarti con me, puoi prendermi a schiaffi finché vuoi ma questo non cambierà le cose! Sei morta Scheggia! Sei parte del passato ormai” “Non è passato per mio figlio! Non è passato per mio marito”  urlò tra le lacrime “Non passerà mai, proverà ad andare avanti, lo farà per il vostro bambino ma il male che si porterà dentro se lo mangerà lentamente un anno dopo l’altro perché ti ama! Ti ama Scheggia e non può immaginare una vita senza di te ma nemmeno questo può cambiare la realtà”  le sfiorò il volto cercando di tranquillizzarla “Piangerà, piangerà tanto, si arrabbierà con sé stesso per non essere stato capace di proteggerti, di tenerti qui con lui ma alla fine, lentamente e con fatica, ricucirà i pezzi della sua vita ...” si fermò qualche secondo asciugandole il volto “... e sai perché lo farà? Per il vostro bambino, perché nonostante tutto, quella piccola vita è l’unica cosa che ti terrà inchiodata a lui” un tremito violento a sconvolgerle il respiro “Lo odierà Burke, lo odierà perché la gravidanza ha ... Odierà il mio bambino e non posso vederlo se ...” la voce rotta dai singhiozzi, si rifugiò tra le sue braccia nascondendo il volto, cercando un modo per riordinare i pensieri “Non accadrà, non lo farà” la strinse più forte bloccando quel tremito violento “L’ha voluto tanto Scheggia, ora, odiarlo significherebbe cancellarti dalla sua vita” “È questo mio figlio? Una merce di scambio?” “Cosa?” domandò confuso staccandola dolcemente da sé “Lo userà per mascherare il dolore ma lo odierà per aver provocato quello stesso dolore” “Perché?”  un debole sorriso a colorargli il volto “Abbi fede in lui Scheggia, sarà un bravo papà vedrai” la vide sospirare, chiudere qualche secondo gli occhi e poi quel sorriso leggero e doloroso “Sarà un bravo papà”  forse, a forza di ripeterlo le avrebbe fatto bene, forse continuare a pensarlo l'avrebbe aiutata a lasciare il suo bambino “Sei pronta?” annuì debolmente  allungando una mano verso di lui  “Possiamo aspettare ancora qualche minuto?"  Burle annuì stringendola "Possiamo aspettare tutto il tempo che vuoi Scheggia,  vedrai che andrà tutto bene"  resporare, doveva fare solo quello, era semplice no? Già, e allora perché sentiva la nausea attanagliarle lo stomaco? Non era quello il suo sogno, non era quello il loro futuro. 

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Capitolo 27
*** Trova conforto nel Dolore ***


Burke 18                                                                                     Trova conforto nel Dolore







“Mi dispiace ”
  era rimasta con lui per ore intere cercando anche solo una stupida ragione che potesse giustificare quell'incubo “Non era questo che ... non sapevo nemmeno cosa mi stesse accadendo e ora, ora sono qui a guardarti, posso vederti, posso vedere il tuo dolore ma non posso fare nient’altro” Owen  sospirò nascondendo il viso tra le mani quasi come se le sue parole gli avessero perforato il cervello.
Aveva pianto per ore intere, lontano da tutti, lontano dalla vita che scorreva veloce fuori da quella porta, lontano da suo figlio che ora, era l’unica cosa che lo tenesse inchiodato alla vita.
“Mi hai lasciato ...” mormorò nel silenzio gelido “ ... te ne sei andata e ...” un singhiozzo ancora a rompergli il respiro “Sono qui” ma la mano passò attraverso il suo viso, chiuse gli occhi cercando di calmare i battiti di quel cuore che ormai non aveva più “Non odiarmi ti prego, non odiare il nostro bambino, lui non ha colpe” si alzò lentamente ricacciando indietro la commozione.
Nella carrozzina accanto alla finestra dormiva serena  la sua ragione di vita, posò le mani sul bordo della piccola culla  trattenendo il respiro.
Pensava troppo, in quella stanza buia e triste pensava davvero troppo, pensava al futuro, a tutti i piani che aveva fatto quando suo figlio aveva pianto la prima volta.
Pensava alla sua nuova casa, al futuro che aveva immaginato per loro e che ora era ridotto in brandelli.
Un’altro respiro a rompere il silenzio, sollevò dolcemente il bambino, era così piccolo e indifeso, così maledettamente importante da togliergli ogni respiro.
“Va tutto bene tesoro” si mosse dolcemente infastidito da quell’improvvisa intrusione nei suoi sogni “Ce la caveremo  vedrai” un gemito indifeso a strappargli un sorriso “Io e te ce la caveremo” lo guardava, ne inspirava il profumo, ne studiava i movimenti cercando di non piangere ma quel sorriso falso, colorato dagli occhi pieni di lacrime e dalla voce tremula non poteva mascherare granché “Vedi, al momento papà e un po’ arrabbiato ma non devi preoccuparti tesoro, non è colpa tua, non sei stato tu a fare del male alla mamma” Cristina sorrise sollevando lo sguardo dal pavimento “Lei è ... lei ha avuto un po’ di problemi e ...” ma non riuscì a dire nient’altro, strinse il bambino scoppiando a piangere, ancora, per l’ennesima volta aveva permesso alle emozioni di avere il sopravvento “Sei pronta Scheggia?” si voltò appena fino agli occhi di Burke, al suo sorriso apparso dal nulla “Arrivo”   un passo e poi un altro ancora fino ad Owen, al visino del bambino posato dolcemente sulla spalla del suo papà “Ciao amore mio”  gli occhioni del piccolo si spalancarono e quella smorfia accennata, una specie di sorriso a riempirle gli occhi di lacrime “Lo so che puoi vedermi, dicono che i bambini appena nati riescano a vedere cose che tutti gli altri non vedono perciò ... beh ... ti voglio bene amore mio, te ne ho sempre voluto nonostante la mia mente, a volte troppo razionale, rifiutasse l’idea di diventare madre”  Burke sorrise avvicinandosi a lei “Non è stata colpa tua, non è stata colpa di nessuno e non devi avere paura perché starai bene, hai un papà che ti ama e che si prenderà cura di te e poi una zia che ti insegnerà tutto sulla chirurgia ...” si fermò qualche secondo, le mani strette attorno alle spalle di Owen “ ... è un bravo papà, è stato un marito meraviglioso e vedrai che sarà perfetto”  le labbra  a posarsi dolcemente sul visino del piccolo “La mamma ti ama William”  Owen trasalì voltandosi di colpo ma c’era solo aria e niente di più “Prenditi cura del nostro bambino” una carezza leggera su quel viso confuso e sfinito che cercava nel vuoto la sua presenza “Sei stata brava”  sussurrò Burke  asciugandole il volto, strinse la sua mano allontanandosi lentamente da quel mondo, quel mondo che tanto aveva amato e che le era stato strappato alla velocità della luce.
Sapeva che presto, tutto il male, il dolore e la rabbia sarebbero passate, sapeva che probabilmente si sarebbe scordata ogni cosa ma come poteva farlo? Come poteva stare bene lasciando sulla terra un pezzo del proprio cuore? Chiuse gli occhi lasciando che Burke la portasse via, lontano, oltre tutte quelle lacrime dove la dolcezza e l'amore avrebbero lenito le  ferite profonde del cuore e forse, avrebbe pregato chiunque fosse lassù, per Owen, per l'amore che la legava a lui e per il suo bambino.
Ecco ... forse era questo che avrebbe fatto, forse sarebbe bastato perché per ora, tutto quello che poteva pretendere da suo marito era semplicemente un sorriso tra le lacrime, un sorriso per ricordargli che tutto quel dolore sarebbe passato, che crescere un figlio l'avrebbe distratto dal pensare troppo, da lei, dal loro passato e col tempo, avrebbe imparato a trovare conforto in quel dolore che ora tanto odiava.

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