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Felipe Aguilon e il mistero del labirinto - I° parte
PERSONAGGI
IL GRANDUCA: giovane uomo da grande potere
politico; distratto dalle sue faccende, non dedica molto tempo alla giovane
moglie, per cui, però, prova un delicato affetto.
ISABEL: la
fragile moglie spagnola del granduca; le viene fatto credere che l’enorme e
silente palazzo granducale è infestato dagli spiriti.
IL CONTE PAOLO:
cugino del granduca; uomo di mondo e grande viaggiatore, ha un carattere
sfuggente e non nasconde l’antipatia per il cugino.
LUCREZIA: frivola
cortigiana e lontana parente del granduca; contribuirà involontariamente alla
soluzione del mistero.
COSTANZA:
sorella del granduca, donna dal carattere forte, che vive le sue passioni; vive
lontano in campagna, aiuterà a scoprire la verità.
IL PRINCIPE JOSE’:
padre di Isabel; preoccupato per la figlia invia in Italia un dottore per
visitarla.
DOTT. GILBERTO DE PENAROSA Y
MARTIN: medico specializzato in disturbi mentali, vuole
ricoverare Isabel nel suo manicomio.
MASTRO FILIPPO:
colui che ha progettato il giardino granducale ed il suo complicato labirinto,
e ne conosce i segreti.
BEATRICE:
l’affascinante figlia di Filippo.
FANTESCA: ha
cresciuto il granduca ed ora si occupa amorevolmente di Isabel.
TOMMASO:
l’impassibile segretario del granduca; effettua frequenti viaggi per conto del
suo padrone ed è cresciuto nel palazzo granducale.
FELIPE AGUILON:
soldato della corte del principe José: il granduca lo convoca in Italia per
risolvere i problemi della moglie. Felipe, con la sua intelligenza e arguzia,
ed un po’ di fortuna, risolverà il mistero.
Felipe Aguilon e il
mistero del labirinto - I° parte
La notte di primavera era
fresca, l’enorme luna piena sembrava scrutare tra i rami degli alberi,
avvolgere le linee delle statue del giardino, creando ombre sinistre, e
illuminare la nebbiolina delle colline fino a farla diventare azzurra; infine
specchiarsi nel laghetto, per diventare ancora più grande. Il giardino era più
vasto di come se lo era immaginato, era come se si allargasse a vista d’occhio,
come i cerchi quando getti un sasso nell’acqua; i suoni erano rarefatti e la
testa le pesava tanto.
La vide: una figuretta
sbiadita (o sembrava a lei), che scendeva gli scalini dell’anfiteatro. Aveva
lunghi capelli rossi, come quelli che le aveva visto nel quadro, e una veste
bianca. Era sicura: si trattava del fantasma di Maddalena, la giovane che si
tolse la vita cinquant’anni prima, nel giardino granducale. Si stava
avvicinando, doveva scappare; si voltò, ma, presso la siepe del labirinto, la
vide di nuovo. La paura s'impossessò di lei, così iniziò a correre verso il
palazzo, inciampò, cercò di rialzarsi, ma le girava la testa, sentiva che stava
per perdere i sensi; prima di svenire si vide venire in contro i fuochi fatui
dell’inferno.
Quando riaprì gli occhi era
giorno, la luce filtrava attraverso le grandi finestre della camera, qualcuno
le teneva la mano: era suo marito. Il granduca era un uomo giovane, dal volto
nobile e naso aquilino; scambiò uno sguardo con il dottore, poi i due uscirono,
lasciando Isabel da sola.
“Mio signore...” Disse il
medico quando furono usciti. “questi episodi che coinvolgono vostra moglie
stanno diventando troppo frequenti: uscite notturne, discorsi privi di senso,
come il fatto che vede il fantasma di Maddalena di Giovanni dal Pino e poi,
ritrovarla in quelle condizioni. Eccellenza, mi dispiace dirlo, ma sono chiari
segni di turbe della mente.”
Lo sguardo che il granduca
rivolse al dottore sarebbe potuto bastare, ma l’uomo volle rispondere.
“Non credo che voi siate in
grado di giudicare, non siete un esperto della mente. E poi non credo che la
granduchessa sia pazza, non ci sono stati altri episodi nella sua famiglia,
quindi fate il vostro lavoro: curate il suo corpo, rimettetela in salute, al
resto penserò io.”
Detto questo il granduca
rientrò, con il suo passo severo, nella stanza della moglie.
Il colonnato del palazzo
del principe José si affacciava su un giardino con piante strane, forse venute
da qualche paese esotico, retaggio del dominio dei mori, in fondo oltre il muro
di cinta si vedeva anche il mare. Un giovane uomo percorreva, con passo veloce,
questo corridoio, diretto verso le camere del principe: vestiva secondo la
moda, con un broccato scuro e calzamaglia in tinta, la sciabola luccicante gli
pendeva dal fianco. Solo i capelli non rispettavano i canoni dell’epoca: né
lunghi, né corti, riccioli corvini e selvaggi che gli scendevano sugli
splendenti occhi nocciola. Felipe Aguilon era un tipo d'uomo che piaceva molto
alle dame di corte, e di certo lui non si lasciava sfuggire le occasioni, anche
se spesso doveva sfuggire a mariti gelosi.
Arrivato alla meta bussò
con forza alla porta del principe, la voce profonda e cavernosa del suo signore
lo invitò ad entrare.
“Avevate bisogno di
parlarmi, signore” disse Felipe, inchinandosi elegantemente davanti a José.
“A quanto pare, mio caro
Aguilon, la vostra fama ha passato i confini del mio regno” disse il principe.
Felipe pensò che qualche
bella dama avesse parlato delle sue doti amatorie anche all’estero, ma il volto
corrucciato del suo sovrano gli fece cambiare idea.
“Voi sapete che qualche
tempo fa ho inviato in Italia il dottor Gilberto de Peñarosa y Martin per
curare mia figlia Isabel, la quale è affetta da un male misterioso.” Felipe
sapeva che Peñarosa era un luminare nella cura dei mali della mente, o nel loro
peggioramento, diceva qualcuno. In ogni modo continuò ad ascoltare il principe.
“Ma, mio genero, il granduca,
è convinto che la moglie non sia affetta da alcuna malattia; così dopo aver
saputo, dal nostro ambasciatore, che voi avevate risolto alcuni misteri alla
mia corte, vuole assolutamente che vi rechiate in Italia per risolvere questo.”
“Perdonatemi, mio signore,
forse non ho ben compreso. Il granduca è forse convinto che vostra figlia non
sia malata, ma che dietro i suoi problemi si nasconda un mistero.”
“Si, è così. C’è di mezzo
un fantasma, vero o presunto. Il granduca pensa ad un complotto. Voglio che andiate
là, proviate che mio genero si sbaglia e lo convinciate a far curare Isabel dal
dottor Penarosa.”
“Perdonate, ma non credo
che sia ciò che il granduca vuole da me...”
“Voi dovete fare ciò che io
dico, non ciò che dice il granduca. E vedete di non mettervi nei guai, il
vostro carattere fin troppo irriverente vi mette spesso in posizioni poco
consone alla nobiltà della vostra famiglia... A proposito, ho ricevuto delle
lamentele dal conte Montero, su di voi; partite in fretta, prima che gli dia
l’autorizzazione a sfidarvi a duello. Buon viaggio e arrivederci Aguilon.”
Felipe sapeva che era buona
norma lasciare l’ultima parola al principe José, e poi cambiare aria gli
avrebbe fatto di certo bene; inoltre il pensiero di un duello con Montero non
lo allettava come avevano fatto le grazie di sua moglie, la bellissima contessa
Anita, il rivale era un ottimo spadaccino. Poi, girava voce, che le donne
italiane fossero splendide.
Il viaggio verso l’Italia
fu lungo e piuttosto avventuroso; quando Felipe arrivò sulle colline, dalle
quali si godeva la vista della città del granduca, che giaceva adagiata in una
valle, non gli parve vero di poter finalmente scendere da cavallo.
Era sera. Attraversò la
città, piena di gente, di mercanti, di splendide costruzioni e piazze, fino a
giungere al palazzo granducale; rimase un po' deluso davanti alla massiccia
facciata di pietre della residenza, priva delle decorazioni tipiche dei palazzi
moreschi della sua città natale. Davanti al portone principale trovò ad
attenderlo un uomo magro, ben vestito e dal volto impassibile, che si qualificò
come segretario del granduca; il suo cavallo fu prelevato e portato nelle
scuderie e Felipe fu introdotto nelle stanze fresche del palazzo. Le sale che
oltrepassava, seguendo la sua guida, erano piene di quadri, tappeti, statue
dalle fogge più particolari, meravigliosi arazzi intessuti con scene di
battaglia si susseguivano sulle pareti: il granduca aveva fama di essere un
mecenate, molti artisti dovevano aver lavorato per lui.
Mentre percorrevano
l’ennesimo corridoio, Felipe vide uscire da una stanza una giovane donna molto
avvenente, e le fece un cenno di saluto, al quale la donna rispose con grazia.
Lo spagnolo pensò che, chi gli aveva decantato il fascino delle donne italiane,
aveva ragione.
Arrivarono, infine, ad una
porta decorata, la sua guida bussò e poi entrò annunciandolo. Felipe lo seguì
all’interno della stanza; il granduca era seduto ad un tavolo imbandito e pregò
il segretario di lasciarli soli.
“Benvenuto nella mia città
signor Aguilon. Prego accomodatevi, sarete sicuramente affamato.” Lo invitò
gentilmente.
“Vi ringrazio, mio
signore.” Felipe si sedette e gustò con soddisfazione il buon cibo e l’ottimo
vino delle terre del granduca; il suo commensale rimase a guardarlo in
silenzio. Quando il giovane ebbe terminato il suo ospite parlò di nuovo.
“Da dove avete intenzione
di cominciare?” chiese il granduca.
“Dopo questo splendido
pranzo, penso che mi riposerò dal viaggio e poi mi guarderò intorno.”
“Oh! Perdonatemi, ho avuto
troppa fretta. Purtroppo le condizioni di Isabel peggiorano ogni giorno, ed
ogni giorno diventa più difficile tenerla lontana dalle grinfie di
quel...ciarlatano spagnolo... Di nuovo perdono, non volevo usare il termine
‘spagnolo’ come un’offesa.” Precisò il granduca, vedendo lo sguardo di Felipe.
“Non mi offendo facilmente,
e poi il dottor Penarosa lo è veramente.”
“Ciarlatano o spagnolo?”
“Beh, spagnolo. Sul
ciarlatano ci sono voci discordanti. In ogni caso temo che il principe José lo
sopravvaluti. Bene, pensiamo a noi. Com’è iniziata questa storia?” chiese
Aguilon al granduca.
“Tutto nasce da Maddalena
di Giovanni dal Pino; questa fanciulla, probabilmente a causa di una delusione
amorosa, circa cinquant’anni fa si tolse la vita, pare nei giardini del
palazzo. Da allora si sussurra che il suo spirito vaghi nel palazzo e nel
parco. Mia moglie è venuta a conoscenza di questa storia, non so da chi, e per
lei è diventata una fissazione, ha deciso di sapere tutto della defunta. Poi una
notte, dopo che era stata male per un’infreddatura, disse di averla vista sullo
scalone principale. Dopo quella volta ci sono stati altri episodi.”
Un leggero sorriso si
dipinse sul volto di Felipe, facendo diventare ancor più splendenti i suoi
occhi d’ambra.
“Non fraintendete il mio
sorriso, ma sono molto scettico sull’esistenza di fantasmi, spiriti e affini.”
“Anch’io, è per questo che
vi ho voluto qui. Credo che in realtà, dietro alla malattia di mia moglie, si
celi un complotto contro di me. Non so spiegarmi come o chi possa essere
l’autore di tutto questo, di una cosa sono certo però: voglio scoprirlo, e voi
mi aiuterete.”
“Vi devo confessare che il
principe mi ha mandato qui con l’intenzione di convincervi a far curare sua
figlia, non per assecondare i vostri timori, mio signore.”
“Se queste sono le vostre
intenzioni, sappiate che potete ripartire immediatamente per la Spagna. Non
voglio in alcun modo che quell’orribile specie di dottore metta ancora le mani
sulla mia Isabel.”
Da come il granduca pronunciò
quella frase, Felipe capì che, dietro ad un matrimonio di convenienza, si
celava un profondo sentimento, almeno da parte del marito.
“Chi sono le persone più
vicine a vostra moglie, quelle che le stanno accanto ogni giorno?”
“Le più vicine dite .... La fantesca, è stata la mia nutrice da
bambino, ed ora si occupa di Isabel; poi Lucrezia, che è la sua dama di
compagnia, mia sorella Costanza, che è venuta ad aiutarmi, io, e Paolo, mio
cugino che passa lunghi periodi a corte.”
“Vi ringrazio,” disse Felipe,
alzandosi da tavola. “Domani, quando avrò riposato, parlerò con loro. Anche con
vostra moglie, qual è il momento in cui la trovo più lucida?”
“Al mattino ...”
Felipe Aguilon fece un
pomposo inchino e si allontanò attraverso la porta dalla quale era venuto. Il
granduca non era convinto di aver fatto la scelta giusta: quel giovane gli
pareva troppo bello, per essere anche intelligente.
Al mattino, Felipe, si alzò
dal letto e, a torso nudo, andò ad aprire la finestra; faceva già abbastanza
caldo, del resto erapiena estate, e
qui non c’era il mare a mitigare il clima. Guardò fuori e vide, nel giardino,
la giovane donna del giorno prima. Camminava veloce verso il palazzo tra l’erba
ancora umida; era molto presto, doveva aver avuto un convegno segreto con qualcuno
nel parco. Come quella volta che Felipe si era incontrato, nel fitto del bosco,
con la marchesa de Morientes, peccato che travolti dalla passione erano finiti
a sedere su una macchia di rovi. Ma basta con i bei ricordi, era ora di agire;
consapevole di trasgredire agli ordini del principe era pronto a sciogliere il
mistero, il fascino dell’indagine per lui era troppo forte.
Dopo essersi vestito ed
aver fatto un’abbondante colazione, uscì nei corridoi bui del palazzo,
avvicinandosi alle stanze della granduchessa; vi trovò il granduca, che gli
sembrò un po’ preoccupato.
“ Non abbiate timore, sarò
il più gentile possibile.” Lo rassicurò Felipe, mentre entrava nella stanza.
La granduchessa era seduta
alla specchiera, e si stava pettinando i lunghi capelli castani, avvolta nella
luce del mattino. Aguilon non ricordava quanto fosse bella la figlia del
principe José: il volto era ovale e dalla pelle perfetta, vi troneggiavano due
grandi occhi neri, circondati da folte ciglia; era però pallida e lo sguardo era
spento e triste.
“Mia signora, vi ricordate
di me, sono Felipe Aguilon, il figlio di don Esteban.” Le disse, parlando in
spagnolo.
“Oh si, mi ricordo di voi,”
rispose atona. “E’ passato molto tempo, siete sempre il solito conquistatore di
dame?”
“Vi prego signora, non
prendetevi gioco di me. E poi, purtroppo, la mia non è una visita di cortesia;
Vostro padre e il vostro sposo mi hanno pregato di scoprire le cause della
vostra ‘malattia’, perciò dovrò farvi delle domande...”
“Il dottor Penarosa afferma
che sono malata nella mente.” Lo interruppe lei.
“Non credo. Raccontatemi
del fantasma.”
Lo sguardo di Isabel si
riempì di panico, cominciò a guardarsi intorno, poi afferrò le mani di Felipe,
che si era seduto di fronte a lei. Il suo stato d'agitazione non era normale.
“E’ Maddalena, lei mi
tormenta, non dovevo interessarmi alla sua morte, cercare la sua tomba. Non
posso più dormire, sento le sue mani fredde che mi toccano. E l'ho vista,
sapete, ha capelli rossi come il fuoco, cammina libera nel giardino, vuole
vedermi morta, mi metterà tanta paura che morirò di sicuro.”
“Via, non dite così.”
Aguilon cercò di calmarla, gli sembrava impossibile che quella fanciulla,
impaurita e smarrita, fosse la stessa principessa il cui brillante intelletto
illuminava la corte di José. Quando la vide un po' più calma azzardò un’altra
domanda.
“Qual è stata la prima
volta in cui l’avete vista?” Isabel si ricompose e disse:
“Quest’inverno. Sono stata
malata, ed ero molto debole, una notte dopo aver suonato in vano il campanello,
mi alzai per cercare qualcuno, e sul pianerottolo la vidi. Era come se fosse
sbucata dal muro, quei capelli rossi, quella veste bianca, oddio, non mi fate
ricordare!”
“Chi vi parlò per primo di
Maddalena di Giovanni dal Pino. Quando ne sentiste parlare per la prima volta?”
“Non ricordo, no, non
ricordo... Vidi il suo ritratto nella galleria della famiglia, poi lessi dei
diari o un libro che parlava di lei, non so. Si uccise in questo palazzo, la
trovarono impiccata ad una trave. E’ la fine che farà fare a me, è invidiosa
perché ho trovato un marito buono e gentile ... Oh, vi prego fatela sparire,
aiutatemi, aiutatemi, nessuno mi crede, ma io l’ho vista!” gli stringeva le mani
così forte da fargli male.
“State tranquilla, io e
vostro marito vi crediamo. La vostra paura è reale, qualcosa avete visto, non
so se sia proprio un fantasma, ma lo scoprirò, abbiate fiducia.”
Sembrò che le parole ferme
di Felipe potessero rassicurare, per un istante, anche la povera Isabel, che
gli liberò le mani. In quel momento entrò una donna rotonda, doveva essere la
fantesca; si avvicinò alla giovane granduchessa e la prese gentilmente per le
spalle.
“Ora tornate a riposare,
mia signora, ne avete ancora molto bisogno. E voi signor Aquilon è ora che
andiate.” Disse indicandogli la porta.
“Prego, il mio nome é
Aguilon, e dopo vorrei parlare anche con voi, se non vi dispiace. Vi auguro
buon riposo mia signora.” Così dicendo Felipe si accomiatò dalla granduchessa e
dalla sua serva.
La fantesca gli ricordava,
orribilmente, quel gerbero di nutrice che aveva avuto da bambino, la quale lo
obbligava a fare il bagno, a mangiare cose che odiava e che lo sculacciava con
un tralcio di salice. Tutto il contrario di quella disponibile servetta che era
stata il suo primo campo di battaglia con il gentil sesso.
Scendendo le strette scale
che portavano ai saloni principali, sui cui pianerottoli si affacciavano
improvvise finestre, Felipe incontrò, finalmente, la fanciulla del giorno
prima.
“Buongiorno, madamigella.
Mi presento, il mio nome è Felipe Aguilon, ed il vostro, di grazia?”
La donna, capelli color
miele ed occhi castani, indossava un paio di appariscenti orecchini a pendente;
aveva un bel sorriso e soprattutto un magnifico seno, che dava bella mostra di
sé dalla generosa scollatura.
“Il mio nome è Lucrezia.”
“Ah, così voi siete la dama
di compagnia della granduchessa. Bene, bene. Capitate giusto a proposito.” L’interesse
per la procace fanciulla si era già tramutato in quello per le informazioni che
essa stessa avrebbe potuto dargli. La condusse in giardino.
Fuori faceva piuttosto
caldo, ma i due si sedettero su di un sedile di marmo, all’ombra fitta di una
quercia. Felipe si avvicinò a Lucrezia, guardandola negli occhi, per poi
dedicarsi alla vegetazione.
“Ah, che splendido
giardino, non trovate, mia cara.”
“Oh, si, è bellissimo;
arriva fino alle colline, e ci sono tante specie di piante e fiori...”
“Siete voi che avete
parlato alla granduchessa del fantasma di Maddalena di Giovanni dal Pino?”
chiese Aguilon, all’improvviso, impedendole di finire la frase.
“No, davvero.” Rispose,
quasi offesa la fanciulla. “Tutti al palazzo sanno della storia del fantasma,
chiunque può averglielo detto, non capisco perché pensiate che io ...” La
zittì, posandole un dito sulle labbra.
“Perdonatemi. Gentilmente,
da quanto tempo vivete qui?”
“Da circa quattro anni,
sapete vengo dalla campagna, e anche se la mia famiglia era nobile, non eravamo
molto ricchi, quando sono rimasta orfana, il granduca, che è una specie di
parente, mi ha presa con sé, come dama di compagnia, prima di sua sorella e ora
di sua moglie.” Ormai Felipe aveva capito di trovarsi davanti ad una persona
non troppo intelligente e piuttosto chiacchierona, nonostante questo i suoi
occhi cadevano spesso sulle trine che incorniciavano la sua scollatura.
“Allora conoscerete bene il
giardino, lo avrete visitato molte volte, e anche il labirinto.”
“Oh no, non ho il minimo
senso dell’orientamento. L’unica volta che ci sono stata mi sono persa, sono
dovuti venire a cercarmi, da allora non mi avventuro più da sola nel parco; mi
sono persa anche una volta in campagna da ragazzina, sapeste che paura!”
“Uno di questi giorni
verrete a passeggiare con me; voi mi mostrerete il giardino ed io farò in modo
di non perdere la strada. Anche se, perdermi con voi, non mi dispiacerebbe
affatto.” Disse carezzevole Felipe, tornando a guardarla negli occhi.
“Mi mettete in imbarazzo,
siete così gentile.” Rispose Lucrezia. “Ora, purtroppo è tardi, devo andare.
C’è da servire il pranzo alla granduchessa. Perdonatemi, addio.”
“Spero... arrivederci, mia
cara.”
Rimasto solo Felipe decise
di visitare il famoso labirinto: le siepi, di scuro lauro, erano alte più di un
uomo, e ben potate. Deciso più che mai, lo spagnolo, varcò l’entrata.
Prese a destra, come viene
naturale ai destrorsi, poi a sinistra e proseguì dritto. Passò del tempo,
Felipe continuava a vagare nel labirinto, i cui corridoi erano larghi
abbastanza da far passare due persone appaiate; ad un certo punto, dalla
posizione del sole, si accorse che doveva essere quasi mezzogiorno. Si guardò
intorno, cercando di individuare i cedri, che si era lasciato alla sinistra,
entrando nel labirinto; li vide, ma li aveva davanti. Decise di tornare indietro,
lasciandosi i cedri alla destra, dopo pochi passi pensò che, mantenendo gli
alberi a sinistra, avrebbe sicuramente raggiunto l’uscita posteriore, sempre
che ci fosse. Camminò ancora per un po’, cercando di mantenere un percorso
logico, finché si trovò davanti uno spiazzo con al centro una magnifica statua,
rappresentante Icaro.
“Perfetto!” esclamò Felipe
a voce alta. “ Sono al centro del labirinto, non è esattamente dove volevo
arrivare, ma eccomi qua.”
Dopo aver osservato la
statua, più attentamente, ed aver cominciato a sentire i morsi della fame,
riprese il cammino, sempre con i cedri alla sua sinistra. Guardava con
attenzione il susseguirsi delle siepi, cercando uno sbocco, poi si accorse di
non vedere più i suoi alberi di riferimento, e realizzò di essersi perso. Che
luoghi affascinanti i labirinti, pensò Felipe, dove perdere il corpo e la
mente; se almeno ci fosse stata qualche leggiadra fanciulla a fargli compagnia,
avrebbe saputo bene lui come passare il tempo!
Era stanco, aveva fame, e
per di più faceva un caldo tremendo; si era quasi arreso, quando vide, per
terra, qualcosa di rosso. Si avvicinò, si piegò in ginocchio, appoggiandosi
alla siepe, ma perse l’equilibrio e cadde. Inspiegabile. La siepe non era così
lontana da non arrivarci con la mano. Si alzò e guardò stupito la fila di
piante che componeva la siepe. Da una certa distanza sembrava lineare, ma
avvicinandosi, Felipe, notò che le radici delle piante non erano in fila:
infatti, alcune siepi erano piantate circa un metro più indietro, ed in quel
punto si apriva un’uscita del labirinto. Passando da lontano nessuno, che non
lo sapesse, poteva accorgersene. Raccolse ciò che aveva trovato, una ciocca di
capelli color rame, ed uscì. Si trovò davanti al laghetto, vide chiaramente il
palazzo ed imboccò, deciso, un sentiero per tornarci.
Arrivato nei pressi della
costruzione incontrò il granduca, che parve stupito di vederlo.
“Aguilon, ma dove eravate
finito; è passata l’una, abbiamo pranzato senza di voi.”
“Mi sono recato a visitare
il labirinto. Molto interessante, ma mi sono perso. Mangerò qualcosa nelle
cucine, se non vi dispiace.”
“Prego.” Lo invitò il suo
ospite, che continuò: “Avete scoperto qualcosa d’interessante da quelle parti?”
“Penso di sì. Eravate a
conoscenza dell’uscita laterale del labirinto? E’ da lì che sono passato per
tornare, l’ho trovata per caso.”
“Uscita laterale dite. Non
ricordo... Aspettate... Sì, da bambini, io e mia sorella Costanza, usavamo
spesso quell’uscita per gabbare i nostri compagni di giochi.”
“Beh, l’ha usata anche
qualcun altro. Conoscete una persona con i capelli di questo colore?” chiese
Felipe, mostrando la ciocca di capelli fulvi raccolta nel labirinto.
“Maddalena di Giovanni dal
Pino.” Rispose sconsolato il granduca.
“Non scherzate. Se non sono
i capelli di una persona in carne ed ossa, allora, provengono da una parrucca
di capelli veri; se è così, il fantasma che cerchiamo è solo un bravo attore.”
“Ma per quale motivo se la
sono presa con Isabel?” chiese il granduca, stringendo i pugni.
“Perché era la più facile
da attaccare, e perché lei è il vostro punto debole.” Affermò Aguilon,
guardando l’uomo che aveva di fronte.
“Avete ragione. Rafforzerò
la guardia davanti alla sua stanza, non voglio rischiare che esca di nuovo in
giardino; ho paura che queste persone siano più pericolose del previsto.”
“Vi do un consiglio: le
guardie possono addormentarsi, o distrarsi, o peggio, possono essere corrotte.
Siete voi la migliore guardia per vostra moglie; cambiatele stanza, fatela
dormire con voi, l’amate e ne ha molto bisogno.”
“Vi ringrazio Felipe, credo
che abbiate ragione, seguirò il vostro consiglio.”
Dopo aver salutato il
granduca, Felipe, si diresse verso le cucine: era affamato, e sperava di
trovare gli avanzi del lauto pranzo consumato dal suo ospite. Nelle cucine
trovò un cuoco grasso ed uno sguattero secco, intento a lavare le stoviglie;
gentilmente chiese di poter mangiare qualcosa, gli fu indicato un tavolo su
cui, coperte da una tovaglia, trovò delle pietanze ben preparate. Pensò che,
anche questa volta, il granduca era stato più previdente di lui: quando non
l’aveva visto tornare, evidentemente, aveva fatto mettere da parte il pranzo.
Lo ringraziò con il pensiero.
“Sono andati a prendere i
piatti della granduchessa?” chiese ad un certo punto lo sguattero al cuoco.
Felipe si voltò, incuriosito.
“Sono là.” Rispose il cuoco
indicando dei piatti su di un vassoio. “Tanto anche oggi avrà preso solo il
brodo, poverina.”
“Scusate...” Disse Felipe.
“La granduchessa mangia spesso nelle sue stanze?”
“Dall’inverno scorso,
quando è stata malata, non è più scesa a mangiare con il granduca.” Rispose il
cuoco.
“E ditemi, chi prepara i
suoi pasti?” continuò Aguilon, bevendo un sorso di vino.
“Io.” Disse orgoglioso il
cuoco dal lindo grembiule. “Come per tutti quelli che vivono qui.”
“Vi ringrazio. Voi cucinate
splendidamente.” Disse alzandosi di scatto. “E voi...” Rivolto allo sguattero.
“Lavate le stoviglie splendidamente. Vi ringrazio di nuovo e vi auguro buon
lavoro. Arrivederci.”
Detto questo, usci dalla
cucina quasi di corsa. I due si guardarono un po’ smarriti, lo sguattero si
grattò l’orecchio con il mignolo e poi riprese il suo lavoro.
Dopo essere uscito dalle
cucine Felipe era ben deciso a parlare con una persona. Ma, nel salone principale,
il granduca lo fermò, per presentargli suo cugino: il conte Paolo. Era un
giovane magro, dal viso un po’ sfuggevole, ma piuttosto avvenente, con capelli
castani ed occhi azzurri.
“Onorato di conoscervi.” Disse
Felipe.
“L’onore è mio.” Poi continuò.
“Il principe José deve essere davvero molto preoccupato per la figlia, se ha
mandato un altro emissario a controllare.”
“Io sono solo un ospite,
che voleva visitare la vostra bella terra. Non c’è ragione di pensare che sia
qui per volere del principe.” Lo spagnolo rivolse uno sguardo al conte, che
distolse subito gli occhi.
“Mio cugino, signor
Aguilon...” Puntualizzò il granduca. “Vivrebbe a Roma, ma ama viaggiare, ed ha
anche visitato il nuovo mondo; molto spesso viene ad allietarci con la sua
compagnia.”
“Mi assicurano che Roma sia
una città stupenda.” Rispose Felipe.
Continuarono a parlare del
più e del meno per un po’, il tempo scorreva e Felipe aveva fretta.
“Scusatemi.” Disse, ad un
certo punto il granduca, quando vide un paggio che lo chiamava. “Sono costretto
ad allontanarmi, i miei impegni mi chiamano.” Così dicendo raggiunse il paggio
e con lui se n’andò.
“Com'è triste parlare della
malattia della povera Isabel; i mali della mente sono così umilianti.” Proseguì
Paolo, quando il cugino fu sparito.
“Siete convinto che la
granduchessa sia pazza?” lo blandì Aguilon.
“Abbiamo qui un luminare
nella cura di queste povere persone, che pare ne sia convinto. Ma mio cugino si
rifiuta di fargliela visitare; fortunatamente il dottor Peñarosa non si
arrende. Afferma che siamo ancora in tempo per salvarla.”
“Venivate qui anche da
bambino?” chiese all’improvviso Felipe. Il conte lo guardò con aria perplessa,
colto di sorpresa dalla domanda.
“ ... Certo. Fin da piccolo
ho frequentato questa casa. Ma perché...”
“Dunque giocavate spesso
con i vostri cugini, il granduca e Costanza.”
“Sì, lo facevo.”
“Anche in giardino, nel
labirinto?”
“Certamente, era il nostro
passatempo favorito. Dovete spiegarmi perché mi fate certe domande, signor
Aguilon.” Affermò, scocciato Paolo.
“Così; per conoscere
l’ambiente in cui mi muovo. Dunque voi siete molto intimo della famiglia e
avete confidenza con il giardino. Bene, vi ringrazio. Adesso devo proprio
lasciarvi, devo parlare con una persona. Arrivederci, conte.”
Il conte Paolo lo guardò
allontanarsi, con quell’aria soddisfatta, pensando di trovarsi davanti ad un
borioso ed arrogante spagnolo, che non poteva permettersi di trattare in quel
modo il cugino del granduca.
Felipe, all’oscuro delle
riflessioni del conte, era immerso nelle sue, quando bussò delicatamente alla
porta della fantesca.
“Avanti.” Invitò la donna.
Era intenta a ricamare un lenzuolo.
“Buongiorno, signora. Vi
ricordate, stamani, dalla granduchessa, vi dissi che dovevo parlare con voi.” L’apostrofò,
con gentilezza, lo spagnolo.
“Sì, certo che ricordo, non
sono così vecchia da non ricordare.”
“Ma certo che no; vedo bene
che siete ancora giovane e piacente.” Disse rivolgendole uno sguardo dei suoi.
Con le donne, qualsiasi donna, i suoi sguardi avevano sempre funzionato;
infatti, la fantesca parve meglio disporsi.
“Devo farvi alcune domande.
Se non vi dispiace.”
“Dite pure, bel giovanotto.
Sarò felice di rispondere.” Anche stavolta lo sguardo assassino di Felipe aveva
avuto l’effetto desiderato.
“Dunque, ricordate la prima
volta che la granduchessa disse d'aver visto il fantasma di Maddalena di
Giovanni dal Pino?”
“Come potrei dimenticare.
Fu una notte d’inverno, che paura. Il campanello non lo aveva sentito nessuno,
altrimenti saremmo corsi. La ritrovammo in fondo allo scalone, era svenuta,
povera. Che dispiacere, una fanciulla così giovane e bella, e poi il granduca
l’adora.”
“Vero. Ditemi, chi serve i
pasti alla vostra signora?”
“Io, lo faccio. Ogni
giorno. Sapete è debole, non è facile per lei mangiare da sola, così l’aiuto
io.”
“No, scusate, intendevo chi
li porta su dalla cucina.”
“La cara Lucrezia.
Poverina, anche lei, si prodiga tanto per la granduchessa.” Disse la fantesca,
giungendo le mani.“Ma perché mi chiedete questo.” Felipe era stufo che tutti si
chiedessero il perché delle sue domande, a lui non parevano così strane.
“Vi ringrazio. Un’ultima
cosa. Da bambini, il granduca, la sorella ed il cugino, giocavano spesso nel
giardino del palazzo?”
“Ogni volta che il tempo lo
permetteva. Erano delle piccole pesti, ma sapevo bene io come tenerli a bada.” Disse
la fantesca, sorridendo e mostrando il palmo della robusta mano.
Dopo aver salutato la
prodiga serva, Felipe si allontanò; con la sensazione di conoscere bene i colpi
che la fantesca aveva mimato. Lui preferiva essere tenuto a bada da una procace
fanciulla.
Il resto del pomeriggio lo
passò nella galleria dei ritratti del palazzo granducale, dove vide il famoso
ritratto di Maddalena: era un quadro di dimensioni ridotte; la fanciulla era
molto giovane, nel suo viso Felipe notò una fragilità intensa, era proprio il
tipo del fantasma. Poi osservò i ritratti dei familiari, ed in ognuno di loro,
ritrovò i tratti del granduca. Si ricordò che doveva parlargli.
Quando, finalmente, trovò
il suo ospite, gli chiese subito ciò che voleva sapere:
“Ditemi, eccellenza, chi ha
progettato il giardino del palazzo?”
“Ci hanno lavorato diversi
architetti, ma sicuramente il più importante è stato mastro Filippo, che ha
realizzato la parte più vasta, compreso il labirinto. Vi farà piacere sapere
che quest’uomo conserva i disegni d'ogni sua realizzazione.” Disse il granduca,
guardandolo negli occhi, quasi leggendogli nel pensiero.
“Voi meritate appieno la
posizione che occupate, ed è un piacere lavorare insieme!” affermò convinto
Aguilon. “Dove posso trovare questo mastro Filippo?” continuò.
“Sta lavorando ad un nuovo
progetto, non lontano da qui. Ma ci andrete domani, adesso è ora di cena, e
questa volta non mi priverò della vostra compagnia. Prego seguitemi.”
Rifiutare il gentile invito
del suo ospite sarebbe stato troppo scortese, e poi Felipe, non vedeva l’ora di
gustare di nuovo l’ottimo vino delle colline del granduca.
Quella notte fu caldissima.
Sarà stato per il cibo eccessivamente saporito, o per il troppo vino, ma Felipe
non riusciva a dormire. Steso sul letto, con indosso solo un paio di mutande di
lino, cercava di mettere a posto i pensieri e le informazioni che si agitavano
sconnessi nel suo cervello.
Il caldo era però
insopportabile. Si alzò dal letto e si avvicinò alla finestra aperta; i grilli
cantavano numerosi, si sentiva anche qualche rana gracidare, in lontananza.
Sentì un rumore, come di una porta che si apriva; si sporse un po’ di più e
vide una donna uscire: era impossibile, per lui, non riconoscere la figura di
Lucrezia. Quelle uscite notturne dovevano essere per lei un’abitudine:
l’immaginava incontrarsi con il conte Paolo, chissà perché proprio lui, e
trascorrere ore di passione in qualche patio...
Si voltò verso l’interno
della stanza, spalancando gli occhi, come folgorato da un’intuizione. Uscì di
corsa dalla camera, apprestandosi a seguire la giovane dama.
Discese le scale
velocemente fino ai saloni principali e raggiunse lo scalone; stava per
scendere quando vide, in fondo al corridoio riccamente decorato, una figura
vestita di bianco. Per un attimo pensò di trovarsi davanti al famoso fantasma.
Poi, avvicinandosi, si accorse che la donna aveva i capelli castani; riconobbe
Isabel e la raggiunse.
“Mia
signora...granduchessa!” chiamò Felipe.
“No!” gridò lei. “Lasciami
in pace Maddalena!”
“Non sono Maddalena, sono
Felipe Aguilon, vostro devoto servitore!”
La donna era sconvolta: le
sue pupille erano dilatate e gli occhi rossi, ma non certo per il fumo delle
candele; era pallidissima e sudata.
“Vattene Maddalena,
vattene!” gridò con l’ultimo fiato che aveva. Era chiaramente in preda alle
allucinazioni; Felipe le si avvicinò ancora. La granduchessa fece per scappare,
ma le forze l’abbandonarono e svenne, proprio mentre lui la raggiungeva; non la
fece cadere a terra.
Poco dopo sopraggiunse il
granduca, accompagnato da una donna molto bella, ed un uomo piccolo e grasso,
con una vestaglia col collo di pelliccia, che francamente a Felipe sembrò
assurda per una notte calda come quella; infatti, l’uomo era sudatissimo.
“Grazie a Dio, Felipe,
l’avete trovata!” disse turbato il granduca.
“Ripeto, per l’ennesima
volta, che vostramoglie deve essere
assolutamente curata, e se vi opporrete ancora sarà troppo tardi. Voi
dovete...” S'intromise l’ometto.
“Tacete, dottor Peñarosa!
Non permetterò mai che teniate Isabel isolata dal mondo, digiuna, al buio e con
un sacco in testa!” replicò il granduca infuriato, mentre riceveva la moglie,
ancora svenuta, dalle braccia di Aguilon,
Felipe guardò quello che
ora sapeva essere il famoso luminare delle malattie mentali. Nel frattempo il
granduca, dopo aver bisbigliato un saluto, si stava allontanando, stringendo
amorevolmente la moglie.
“Piacere di conoscervi,
dottore.” Disse Felipe, porgendo la mano all’uomo. Il dottore lo guardò da capo
a piedi, e poi rispose:
“Non posso dire
altrettanto. Che direbbe il principe José; vi pare il modo di andare in giro,
all’interno di una casa rispettabile?”
Dopo aver detto questo, il
caro dottore gli voltò le spalle e se n’andò, lasciando il suo compatriota solo
con la dama. Felipe diede uno sguardo alla sua persona; in effetti, pensò,
guardando le sue mutande leggermente calate sui fianchi, non era proprio un
abbigliamento consono, ma il suo ospite non si era lamentato.
E nemmeno la donna dai
lunghi capelli castani, che lo guardava, con un sorriso divertito. Aveva un
paio di scintillanti occhi verdi da gatto ed un naso aquilino, che non stonava
per nulla sul suo viso.
“Molto piacere.” Disse con
una voce calda. “Sono Costanza, la sorella del granduca.”
“Il piacere è tutto mio, io
sono Felipe Aguilon.”
“Lo immaginavo, mio
fratello aveva detto che eravate un tipo originale.” Rispose, rivolgendo uno
sguardo malizioso al corpo magro e muscoloso di Felipe, ed al suo addome modellato
dagli esercizi di scherma.
La donna si sedette su un
divano, invitando il giovane a fare altrettanto.
“Dovete perdonarmi se mi
presento solo ora, ma nei giorni scorsi mi sono dovuta allontanare, poiché mio
marito aveva bisogno di me.”
“Non c’è nessun bisogno di
scusarsi, è sempre un piacere conoscere una donna come voi, in qualunque
momento accada. Ditemi, piuttosto, cosa è successo alla granduchessa?”
“E’ stata colpa nostra, ci
siamo distratti, ma non pensavamo, io e mio fratello, che sarebbe fuggita anche
stanotte; sembrava tranquilla.” Disse con aria preoccupata Costanza.
“Cosa intendete dire?” la
donna non pareva minimamente imbarazzata dalla semi-nudità del giovane.
“Niente di particolare.
Dopo cena, se la sua può chiamarsi cena, era calma, leggeva addirittura un
libro. Poi si è addormentata. Io e mio fratello ci siamo allontanati, in
un’altra stanza, per parlare; era talmente angustiato. Ad un tratto abbiamo
sentito dei rumori e rientrando nella camera abbiamo visto che il letto era
vuoto, così ci siamo messi a cercarla. Purtroppo comincio a credere anch’io che
abbia delle turbe.”
“Non credo.” Affermò Felipe
sicuro, tanto che Costanza lo guardò stupita. “Ora che l’ho avuta sotto gli
occhi, durante una delle sue allucinazioni, posso confermare i miei sospetti:
penso che alla granduchessa sia somministrata, con il cibo o le bevande, una
sostanza che provoca questi sintomi.”
“Come potete affermare
questo, significherebbe che una persona della quale io e mio fratello ci
fidiamo rimane sotto i vostri sospetti, Felipe!”
“Devo correggervi, mia
signora. Né voi né il granduca siete esclusi dai miei sospetti.” Lo sguardo
della donna fu invaso dall’ira, si alzò di scatto dal divano, battendo i piedi.
“Come vi permettete,
insolente soldatucolo spagnolo, di insinuare che due persone come noi possano
aver ordito un simile misfatto, e per giunta ai danni di una persona che
amiamo! Voi... voi... voi mi state prendendo in giro.” Disse calmandosi,
vedendo il sorriso di Felipe.
“Non vi dovete preoccupare,
anche se la mia posizione mi obbliga a sospettare di chiunque, le mie
attenzioni si sono già concentrate su una certa persona. Non chiedetemi di più,
ogni informazione rivelata é persa.”
“Certo che siete veramente
terribile, prendersi gioco così di me. Mi avete fatto dimenticare anche la cosa
che volevo chiedervi.”
“Perdonatemi Costanza, sono
un insolente, avete ragione; perciò ora rivolgetemi pure ogni domanda che vi
sovviene, anche la più sconveniente, sono pronto a rispondere.”
“Ciò che volevo sapere é
come fate ad essere così convinto che Isabel sia stata avvelenata?” chiese
subito la donna.
“Alcuni miei compatrioti
hanno portato dal nuovo mondo delle erbe molto particolari, i cui effetti
possono essere devastanti anche per la mente ed il corpo più forti, figuriamoci
sulla granduchessa, donna giovane, suggestionabile e fisicamente fragile. Io mi
sono permesso, come fa' il dottor Peñarosa con le menti, di studiare queste
erbe, ed anche altri tipi di veleno. Questi studi mi permettono ora d'essere
sicuro che la vostra giovane cognata é sottoposta ad un avvelenamento ripetuto
e subdolo, portato avanti da persone a lei vicine.”
“E’ impossibile. Voi dite
dunque che i suoi sintomi sono provocati?”
“Vi ripeto che ne sono
certo, ma su questo non chiedetemi di più.”
“Lo farò, non voglio
interferire, voglio che prendiate quella persona malvagia.” Fece una pausa, poi
riprese. “Devo confessarvi una cosa Felipe... sono stata io a raccontare ad
Isabel, e con dovizia di particolari, della morte tragica di Maddalena di
Giovanni dal Pino, le dissi perfino che forse il suo corpo era stato sepolto
nel giardino del palazzo, e tutto del fantasma. Mi sentivo molto in colpa,
credevo che il mio racconto le avesse provocato la pazzia; ora che, grazie a
voi, sola verità, sono sollevata.”
“Non preoccupatevi più, il
vostro innocente pettegolezzo non è certamente stato la causa dei problemi
della granduchessa. Adesso é ora di tornare a dormire, il giorno si avvicina ed
avrò molte cose da fare; perciò vi dico buona notte, mia signora.” Disse,
infine, alzandosi Felipe.
“Buona notte, caro Felipe.
E’ una fortuna avervi qui, e vi prego, per la tranquillità di mio fratello,
risolvete il nostro piccolo mistero.”
“Farò del mio meglio, ve lo
giuro.” Così dicendo le baciò la mano, rivolgendole poi uno dei suoi sguardi
cui lei rispose con i felini occhi verdi.
Il resto della notte Felipe
lo dormì pesantemente e al mattino si svegliò, però, un po’ sbattuto; fece
colazione in compagnia del granduca, di Costanza, di Paolo e del dottore. Si
fece poi indicare dal suo ospite dove trovare mastro Filippo; era relativamente
vicino, decise di andarci a piedi.
Cominciò a passeggiare: il
sole era splendido e soffiava un vento fresco e gradevole, stormi di piccioni
volavano tra gli edifici a volte invadendo le strade, che in ogni caso erano
piene di gente; quella città, famosa in tutto il mondo conosciuto, era un
centro commerciale molto attivo. Attraversò un ponte, sotto scorreva il fiume e
sugli argini dei pescatori discutevano animatamente.
Arrivò in una piazza,
piuttosto ampia, dove, in mezzo ad una nuvola di polvere, lavoravano numerosi
operai; si avvicinò ad uno di loro e chiese di mastro Filippo.
“Prima di pranzo? Non credo
che vi riceverà, signore.” Rispose l’uomo, con aria perplessa. “Comunque lo
trovate nella sua tenda, laggiù.” Continuò, indicando la direzione con
l’indice.
Arrivato alla tenda ne
sollevò un lembo per entrare. All’interno c’era soltanto un uomo anziano, ma
ancora robusto, con gli occhi chiari e l’aria truce. Chiese timidamente:
“Siete voi mastro Filippo?”
“Non vi hanno ricordato che
prima di pranzo non ricevo né debitori, né creditori, e nemmeno quelli che
propongono lavori, perciò uscite!” tuonò il vecchio.
“Perdonatemi, ma il
granduca mi ha detto che potevo disturbarvi a qualunque ora del giorno.” Disse
Felipe, calcando sulla parola granduca.
“Ah... Vi manda il
granduca.” L'uomo sembrava essersi rabbonito. “Se é così. E’ veramente un buon
sovrano, non trovate?”
“Sì, vi do pienamente
ragione.” Confermò sicuro lo spagnolo, poi continuò presentandosi. “Sono Felipe
Aguilon, provengo dalla corte del principe José, ed ho bisogno del vostro aiuto
in merito al giardino granducale.”
“Sì, io l’ho progettato,
nella massima parte almeno.” Il vecchio si era seduto su una poltrona, di
fronte a Felipe, che si era seduto a sua volta.
“Lasciate che vi dica che
avete fatto un magnifico lavoro, soprattutto con il labirinto.”
“Modestamente lo ritengo
uno dei miei capolavori, scommetto che vi ci siete perso.” Disse ridacchiando.
“Purtroppo sì. Il granduca
mi ha detto che voi conservate tutti i disegni dei vostri progetti,
m'interesserebbe quello del labirinto.”
“Perché?” la domanda fu
talmente diretta e sincera, che Felipe non poté che rispondere con altrettanta
sincerità.
“Sento di potermi fidare di
voi, poiché siete fedele al granduca, vi dirò che sto indagando su un complotto
ai danni del nostro signore, e che il vostro labirinto potrebbe esserne parte
fondamentale.”
“Se é così potete recarvi a
casa mia, poco lontano da qui, chiedere di mia figlia Beatrice, con questo mio
biglietto...” Lo stava scrivendo. “ ...e lei vi darà ciò di cui avete bisogno,
basterà che lo riportiate quando avrete finito.” Disse alzando la testa dal
foglio.
“Ve lo giuro, mastro
Filippo, vi potete fidare di me.”
Dopo che l’anziano
architetto gli ebbe indicata la strada per la sua abitazione, Felipe si mise
subito in cammino, non era molto lontano; la raggiunse dopo poco: era un
massiccio edificio, chiuso da un portone altrettanto massiccio. Felipe bussò
energicamente con il batacchio di ferro. Venne ad aprirgli un servo magro
magro, Felipe pensò che mastro Filippo doveva essere uno spilorcio terribile.
Chiese di madonna Beatrice, dicendo che era mandato dal padre. Fu introdotto in
un salone arredato semplicemente, dopo poco arrivò la figlia di mastro Filippo.
Tanto la natura era stata generosa di talento con il padre, quanto lo era stata
con la figlia per la bellezza: era splendida, coi capelli dorati raccolti un
po’ a caso, gli occhi chiari e le labbra carnose aperte in uno splendente
sorriso.
“Dite, perché mio padre vi
ha mandato qui?” Aguilon le mostrò il biglietto del padre e le disse che doveva
ritirare i disegni del labirinto.
“Bene, venite con me, sarò
felice di accontentarvi.” Bella e anche molto più cordiale del padre. Felipe la
seguì sulle scale fino al piano superiore, rapito dalla scia del suo profumo di
lavanda.
Beatrice lo condusse in
un’ampia stanza piena di carte e d’armadi e cassapanche, sicuramente anch’esse
piene di carte.
“La quantità di progetti di
vostro padre é enorme, come fate a ricordare dove cercare?” le chiese.
“Facile, sono io che li
riordino e grazie ad una buona memoria ricordo dove li ho messi. Per esempio ciò
che voi state cercando é proprio qui...” Stava guardando in un armadio, dopo
essere salita sopra ad un panchetto.
“Accidenti, si é
incastrato...” Provava a far uscire una cartella di cuoio dall’armadio senza
riuscirci; quando diede uno strattone più forte lo sgabello prese una brutta
piega all’indietro, e purtroppo il peso dell’abito della fanciulla non fece che
aggravare la situazione. Felipe, sempre pronto di riflessi quando si trattava
di belle donne, l’afferrò, mentre cadeva, ma la spinta era forte ed entrambi
caddero a terra, insieme alla famosa cartella. Stesi sul pavimento si
guardarono negli occhi, prima di mettersi a ridere.
“Avete degli occhi
bellissimi.” Disse Beatrice, quando riuscì a smettere.
“Vi ringrazio. Ma adesso
che vi ho quasi salvato la vita voglio almeno un bacio come ringraziamento.”
“Che impertinente siete, io
sono fidanzata e lui é molto geloso.”
“Non preoccupatevi...” Continuò
Felipe, aiutandola a rialzarsi. “...io non glielo racconterò di certo.”
Quando uscì dalla casa di
mastro Filippo, avendo ottenuto due cose che gli premevano, i progetti ed il
bacio della splendida Beatrice, Felipe era piuttosto soddisfatto. Il pensiero
gli andò, però, al povero futuro marito della ragazza, il quale avrebbe avuto
un bel palco di corna, ben prima di meritarsele.
Lungo la strada del
ritorno, con la cartella sotto braccio, Aguilon stava già rimuginando sui
prossimi passi da compiere, quando s'imbatté in una bottega piena di parrucche
e cappelli. Decise di entrare, ricordandosi di avere ancora con sé il ciuffo di
capelli trovato nel labirinto.
“Buongiorno, mio signore.” Lo
salutò cordialmente il bottegaio.
“Buongiorno a voi.” Rispose
Felipe. “Posso gentilmente farvi una domanda?”
“Prego, se posso esservi
utile.”
Il giovane trasse dalla
scarsella un pezzetto di tela in cui erano avvolti i capelli rossi, e li mostrò
al suo interlocutore.
“Voi vendete parrucche di
questo colore?” L’uomo guardò attentamente il ciuffo di capelli veri, del
colore del fuoco.
“Ecco, questo colore é piuttosto
raro. Siete sicuro che si tratti di una parrucca?”
“Sì quando li ho raccolti
c’era ancora attaccata la colla.”
“Allora. Ma sarà difficile
che l’abbiano acquistata qui in città. Roba così rara e di buona fattura si può
trovare quasi esclusivamente a Roma.”
“Ne siete assolutamente
certo?” chiese Aguilon, cercando conferma.
“Ve lo giuro, la roba di
qui passa quasi tutta da me, e quelle più rare le prendo anch’io a Roma.”
“Vi ringrazio, penso che mi
siate stato molto utile.” Disse Felipe, lasciandogli una lauta mancia, mentre
usciva dalla bottega.
La passeggiata verso il
palazzo fu molto stimolante, specie per l’appetito; quando arrivò si recò nella
sua stanza, a rinfrescarsi ed a cambiarsi per il pranzo, poi mentre scendeva,
incontrò Costanza, sempre più affascinante, e con lei raggiunse la sala da
pranzo. Mangiarono piuttosto silenziosi, in seguito venne a sapere che il
granduca aveva avuto un altro screzio con il dottor Peñarosa durante la
mattinata. Finito il pasto tutti si alzarono, il granduca si scusò con gli
ospiti, ma doveva far fronte a degli impegni tralasciati il giorno prima, anche
il dottore ed il conte Paolo dovettero andarsene, così rimasero di nuovo soli
Felipe e Costanza. Il giovane però doveva assolutamente ritornare nel labirinto
con il progetto, al più presto possibile. Si accorse che la donna stava già
affilando le sue feline arti di seduzione, ma nonostante il grande dispiacere
Felipe fu costretto a liquidarla con gentilissime frasi di circostanza.
Tornò nella sua stanza, si
tolse la giacca, rimanendo con la camicia, prese i disegni ed uscì di nuovo.
Arrivato al labirinto entrò per la stessa strada dell’altra volta, ma ora aveva
il progetto e lo seguì passo per passo: trovò così altre uscite laterali, ed
anche passaggi interni, passò nuovamente dal centro, dove c’era la bella statua
d'Icaro. Per una persona che conoscesse bene il labirinto sarebbe stato facile
far apparire fantasmi ad ogni angolo solo usando le uscite segrete. Raggiunse
l’uscita posteriore (c’era davvero!), e infine l’uscita laterale che aveva già
usato. Controllò nuovamente l’area circostante, per vedere se il fantasma aveva
lasciato altre tracce, e la sua fortuna lo aiutò ancora: in basso, proprio
sotto la siepe che costeggiava l’uscita, vide qualcosa luccicare; si chinò e
raccolse un grosso orecchino. Il decoro floreale cesellato nell’argento ed il
pendente di pietra dura, color acquamarina, erano inconfondibili; Felipe
riconobbe subito il gioiello di Lucrezia. Lo strinse nel pugno e dopo essere
uscito dal labirinto s'incamminò verso il palazzo. Giunto in prossimità della
costruzione vide Costanza: camminava come se niente fosse sul bordo della
fontana; cercò di evitarla cambiando direzione, ma lei lo vide e lo prese al
volo.
“Dove credete di andare?”
Felipe si scusò, ma non poteva fermarsi, le baciò la mano e la lasciò in
giardino. Costanza, nonostante il nome, stava perdendo la pazienza. Ma lo
spagnolo non poteva perdere tempo con lei, per ora, doveva parlare con la dama
di compagnia della granduchessa, era una questione molto importante.
Trovò Lucrezia che scendeva
con i piatti della granduchessa, le si parò davanti, facendole quasi cadere il
vassoio.
“Oh, signor Aguilon, mi
avete spaventata, siete arrivato così all’improvviso!” disse la giovane, con
voce realmente impaurita.
“Devo parlarvi...adesso.”
Felipe aveva un’aria minacciosa, allungò le braccia, fino a toccare con le mani
le pareti strette della rampa delle scale.
“Fatemi passare... è tardi
e devo portare queste stoviglie in cucina!” così dicendo strinse più forte a sé
il vassoio e tentò di passare, ma Felipe l’afferrò per la vita, facendo cadere
ciò che la donna portava.
“Lasciatemi!” gridò
Lucrezia. “O chiamo aiuto.”
“Non vi conviene.” Disse
Aguilon, a voce bassa. “ Ho le prove che siete voi ad avvelenare il cibo della
granduchessa, e se sopraggiungerà qualcuno, non farò fatica a dimostrarlo.”
“Mentite, io non faccio
niente di tutto questo, la granduchessa è pazza, lo dice anche il dottore.”
“Vedo che vi ha bene
istruita. Ditemi ora in che punto delle scale vi fermate ad avvelenare le
pietanze, è qui oppure qui...” Diceva Felipe, trattenendo la donna per un
braccio, ed indicando punti del pianerottolo.
“Vi prego lasciatemi, mi
fate male...” Lucrezia si era messa a piangere; la lasciò e la ragazza cadde in
ginocchio, mettendosi le mani sul viso. Aguilon le si avvicinò, lei si
ritrasse.
“Lucrezia...” La voce di
Felipe era ridiventata dolce. “So che non fate questo per cattiveria, che c’è
qualcuno che vi manovra, forse siete innamorata di questa persona, e perciò io
vi perdono. Ma pensate ad Isabel, non ha forse diritto anche lei a vivere una
vita serena, con l’uomo che ama? Ditemi chi è la mente di questo complotto,
aiutatemi...” Lucrezia singhiozzava sempre più forte.
“Non posso, non posso...
non posso proprio!”
“Vi prego almeno aiutatemi
a coglierlo in fallo, mentre recita la messinscena del fantasma...”
“No, lasciatemi andare, vi
prego Felipe!” la donna gli si era attaccata al braccio, con sguardo
supplichevole. Felipe l’aiutò ad alzarsi e le lasciò libera la strada; Lucrezia
raccolse le stoviglie cadute, lo guardò negli occhi, tirò su col naso, e
s'incamminò veloce verso le cucine. Lo spagnolo rimase appoggiato al muro delle
scale: c’era quasi riuscito, doveva solo insistere un po’ di più, era lei
l’anello debole, il suo complice non si sarebbe mai scoperto.
Ridiscese le scale, era
tempo di parlare con il granduca; doveva comunicargli le importanti novità
emerse quella mattina. A metà dell’ultima rampa vide Costanza che parlava con
il cugino Paolo: quella donna stava diventando il suo incubo; era bellissima, e
solo lui sapeva quanto gli sarebbe piaciuto passare del tempo con lei, ma ora
di tempo non ne aveva. Per evitarla fu costretto a passare dal terrazzo,
entrare da una finestra nella camera di chissà chi, per poi scendere dalle
scale dell’altra ala del palazzo.
Quando arrivò dal granduca
era sfinito, quel palazzo era enorme, aveva percorso probabilmente una lunga
distanza. Bussò discretamente alla porta, poi entrò.
“Aguilon, amico mio, vi
stavo aspettando!” l’apostrofò il suo ospite, con cordialità, mettendo via le
carte che stava esaminando.“ Prego, Tommaso, lasciateci.” Proseguì, invitando
il suo segretario. Felipe si sedette di fronte al granduca.
“Spero che abbiate novità
da raccontarmi.” Disse il nobile, incrociando le mani sul tavolo.
“Temo, però, che non
saranno tutte belle notizie.” Quest’affermazione dello spagnolo fece
corrucciare il volto del suo interlocutore.
“Parlate, sono pronto ad
ascoltarvi senza replicare, fino in fondo.”
“Per prima cosa parliamo
della parrucca. Ho scoperto che di quel tipo e, soprattutto di quel colore, che
è molto raro, le vendono solamente a Roma. Temo che dovrò fare un viaggio là.
Secondo punto: sono tornato nel labirinto, questa volta con il progetto, ed ho
trovato questo.” Mostrò l’orecchino al granduca. “Voi sapete di chi è?”
“Di Lucrezia, lo
riconosco... Volete sostenere che è lei che sta avvelenando mia moglie? Quella
falsa, disgraziata, l’ho cresciuta come fosse una sorella!” il granduca si era
alzato in piedi sbattendo i pugni sul tavolo.
“Calmatevi, mio signore. Vi
renderete conto anche da solo, pensandoci un momento, che Lucrezia non può
essere l’artefice di questo piano; esiste qualcuno che la manovra.” Rispose,
con la sua solita calma, Felipe.
“Oh Dio, ma come fate a
dirlo, che prove ne avete?”
“Prima di tutto la
proverbiale mancanza di senso dell’orientamento di Lucrezia, ciò prova che,
nonostante lei abbia sicuramente impersonato il fantasma nel giardino,
l’orecchino lo dimostra, qualcuno l’ha aiutata ad uscire dal labirinto. Inoltre
la fanciulla non possiede una cultura così vasta da permetterle di conoscere le
erbe allucinogene che sono state somministrate a vostra moglie. Da ciò deduco
che lei abbia un complice e, anzi, che questa persona sia in realtà l’ideatore
del complotto.”
“Avete ragione, conosco
bene quella donna e so che non è molto intelligente. Ditemi ora, voi sapete già
chi è il complice di Lucrezia?”
“Sono quasi certo, ma...”
“Parlate, santi numi!” lo
spronò il granduca.
“Devo prima avere conferma
dei miei sospetti scoprendo se la parrucca viene veramente da Roma. Ma
pensateci anche voi: c’è una sola persona che si avvantaggerebbe se voi
diventaste debole.”
“Lo farò. Per quanto
riguarda Roma potete fare a meno del viaggio: domani mattina invierò Tommaso.”
“Vi fidate di lui?” chiese
Aguilon.
“Ciecamente, poi doveva
andare comunque, devo far arrivare dei documenti in vaticano, lo fa spesso per
me. Istruitelo su ciò che deve chiedere, voglio essere sicuro di avere elementi
certi sul colpevole.”
“Vi ringrazio, farò del mio
meglio.”
“Adesso è ora di cena, mi
accompagnate in sala da pranzo, Felipe?”
“Se non vi dispiace vorrei
cenare nella mia camera, devo riordinare le idee.”
“Nessun problema. Più
lavorate sul mio problema meglio è. Ci vediamo domani allora. Buona notte.”
“Buona notte a voi.”
Dopo aver parlato con
Tommaso, che prese appunti sulle domande che doveva fare, ed avergli
raccomandato di non parlare con nessuno, Felipe si ritirò nella sua stanza; gli
portarono la cena, mangiò poco, non aveva fame, i suoi ragionamenti erano
troppo veloci per interromperli con l’appetito e la giornata era stata pesante.
Dopo aver camminato su e
giù per la camera inseguendo il filo di un pensiero, il giovane si sdraiò sul
letto. Per allentare la pressione decise di leggere un libro che era sul
tavolino da letto fin dal primo giorno in cui era arrivato; la storia era
noiosa, ma sempre meglio che arrotolarsi il cervello su particolari
irrilevanti: lui aveva già un’idea ben chiara di come si erano svolte le cose.
Leggeva da un po’ quando la
storia lo innervosì più del dovuto, allora lanciò il libro tra le due colonne
di fondo del letto: il povero volume atterrò rumorosamente, vicino alla
cassapanca. Era nervoso, avrebbe avuto bisogno di fare qualcosa per distrarsi
un po’. Stava per alzarsi dal letto quando sentì un rumore alla porta, aveva
già la mano sul fioretto, quando vide entrare Costanza.
“Siete stato molto cattivo,
con me, oggi.” Disse la donna chiudendo la porta e tirando il chiavistello.
Felipe si sentì in trappola, la sua trappola preferita.
“Adesso mi dedicherete un
po’ del vostro preziosissimo tempo.” Continuò, facendo calare la camicia da
notte. Aguilon scavalcò il letto, spegnendo la candela.
Felipe sedeva all’ombra di
un pino, guardando il prato che copriva la dolce collina sotto di lui, c’era
una ragazza molto piacente poco lontano. Aveva capelli rossi come il fuoco;
quando si voltò, Aguilon la riconobbe: era Maddalena. Lei lo salutò, lui
rispose con la mano. Ad un tratto dal tronco del pino cominciarono a provenire
fortissimi colpi; Felipe si spostò guardando stupito l’albero, ma i colpi
continuavano. Non riusciva a capire, allora cercò di aprire meglio gli occhi.
Al suo sguardo assonnato la
stanza parve particolarmente buia, aveva addosso Costanza ed i suoi lunghi
capelli sciolti. Ora capiva: sognava; la realtà era che stavano bussando alla
porta.
“Felipe, aprite, sono il
granduca. Vi prego, mia moglie è sparita di nuovo!”
Costanza aprì gli occhi,
stava per dire qualcosa, ma lo spagnolo le tappò la bocca con una mano. Poi le
indicò di nascondersi dietro le pesanti tende; lei ubbidì in silenzio. Aguilon
accese la candela e rispose al granduca.
“Perdonatemi, mio signore,
ho il sonno pesante.” S'infilò i calzoni e la camicia. “Vi apro subito.” Si
avvicinò alla porta e tirò il chiavistello. Si trovò di fronte il suo ospite
sconvolto.
“Non riesco a capire come
sia successo, quando mi sono addormentato lei aveva già preso sonno, era
tranquilla.”
“Non allarmiamoci eccessivamente...”
Nemmeno Felipe era convinto mentre lo diceva, un brutto presentimento gli
aleggiava in testa. “Ora andiamo a cercarla.”
“Ho provato a chiamare
anche mia sorella, ma non risponde...”
“Vedrete che presto verrà
anche lei.” Disse il giovane voltandosi verso le tende, poi lui ed il granduca
uscirono a cercare Isabel.
Costanza uscì dal
nascondiglio, s'infilò la sua camicia da notte, era molto turbata anche lei;
aprì la porta, controllò che nessuno la vedesse e andònella sua camera. Si pettinò i capelli e
decisa raggiunse gli altri nel parco.
L’enorme e silenzioso
giardino era ora illuminato dalle fiaccole degli uomini alla ricerca della
granduchessa, suo marito avevamobilitato più gente possibile: gridavano il suo nome sparpagliandosi
nel verde, rovistando ogni cespuglio, ogni macchia, cercandola nel labirinto,
nei patii, nelle scuderie, in ogni angolo.
Felipe si era diviso dal
granduca ed era andato dritto al labirinto: la cercò disperatamente tra le
siepi di lauro, sentiva che era successo qualcosa di terribile, se Isabel fosse
morta non sarebbe più potuto tornare a casa, il rischio che correva era di
perdere la vita per mano del principe José. E poi si era affezionato al
granduca ed a sua moglie, non poteva permettere che la situazione precipitasse.
Ad un tratto sentì delle voci provenire dalla parte del laghetto; raggiunse
l’uscita laterale che si affacciava proprio in quella direzione.
Sul vialetto che portava al
palazzo vide il granduca, aveva il volto pallidissimo e guardava con gli occhi
fissi verso lo specchio d’acqua. Aguilon si voltò: c’era un gruppetto di
persone, proprio vicino alla riva, con le fiaccole, ed a terra il corpo di una
donna. Uno dei presenti si chinò.
“Non toccatela!” gridò
Felipe avvicinandosi, l’uomo si rialzò subito. Nel frattempo era arrivata di
corsa anche Costanza, che si avvicinò al fratello, prendendogli il braccio, lui
non fece una piega, continuava a guardare il corpo esanime. Quando la donna lo
vide si portò le mani alla bocca, rabbrividendo.
“E’ Isabel, ne sono certo.”
Disse il granduca con voce rotta dall’emozione. La sorella lo guardò, scuotendo
la testa; poi guardò Felipe che si chinava presso il cadavere.
La donna a terra aveva una
posizione innaturale: le braccia erano rivolte all’indietro, la testa e le
spalle erano a pelo d’acqua, persino i capelli rossi parevano essere staccati.
Ma lo spagnolo sapeva che quella era una parrucca. Esaminò il terreno
circostante, vide della sabbia giallastra, ne prese un po’ tra le dita per
osservarla meglio; controllò la veste, anche su questa erano presenti tracce di
sabbia.
“Aiutatemi a girarla.” Disse
poi. Due uomini lasciarono le fiaccole e si avvicinarono al cadavere. Anche
Costanza si fece coraggio e raggiunse Aguilon.
Mentre voltavano il corpo
la parrucca cadde rivelando dei capelli color miele, racchiusi in una stretta
treccia, ed il viso di Lucrezia, deturpato dalla morte.
“No!” gridò Felipe
allontanandosi di scatto dagli altri uomini. “No. No. No!” continuò,
sbattendosi i pugni sui fianchi. Nell’attimo in cui la voltarono, Costanza,
ebbe un sussulto. Quando vide il viso della dama di compagnia portò di nuovo le
mani alla bocca, e si voltò verso il fratello: non si era mosso ed era sempre
più pallido, allora corse verso di lui e l’abbracciò.
“E’ Lucrezia.” Gli sussurrò
all’orecchio con un filo di voce. Il granduca ebbe un sospiro di sollievo.
“Cosa dobbiamo fare?”
chiese un uomo ad Aguilon.
“Come?” il giovane era
ancora distratto. “Ah...sì. Portate il corpo in una stanza fresca. Dovrò
esaminarlo più attentamente.”
“Gli altri riprendano a
cercare la granduchessa.” Il granduca aveva ripreso vigore, le ricerche
sarebbero continuate ad oltranza. Felipe si avvicinò al suo ospite prima che
questi andasse via.
“Dov’è vostro cugino?”
chiese.
“E’ partito ieri sera,
prima di cena.”
“E’ per caso tornato a
Roma?”
“No, doveva andare a
Bologna per incontrare alcuni mercanti orientali.” Rispose Costanza.
“Continuate ad aiutarci con le ricerche?”
“Sì, ma voglio che mettiate
dei soldati a guardia del cadavere. Non voglio brutti scherzi.” Il granduca
fece un cenno di affermazione con la testa e si allontanò.
Trovarono Isabel che
dormiva, sull’erba in un boschetto, all’alba. Fu portata nella sua stanza, ma
quando si svegliò non ricordava nulla della notte passata; probabilmente
soffriva ancora i postumi dell'avvelenamento.
Una volta conclusa la
ricerca Felipe si apprestò ad esaminare il cadavere di Lucrezia; lo avevano
portato in una stanza nell’ala nord del palazzo, c’erano due soldati davanti
alla porta. La camera era veramente molto fredda: le impostee le tende erano chiuse ed era buio. Aguilon
entrò con una candela, ma aveva bisogno di luce, così aprì tutti i tendaggi e
gli scuri delle finestre. Il corpo era adagiato su un divano, il giovane
dovette farsi aiutare dai soldati per metterlo sul tavolo. Quando i due uomini
uscirono cominciò a controllare le mani: la sinistra era graffiata sul palmo,
evidentemente la ragazza aveva fatto forza sulle pietre della riva per impedire
che le mettessero la testa sott’acqua; sulla destra, invece, non c’erano
particolari segni, ma si accorse che sotto le unghie c’era della pelle. La
povera Lucrezia, nel tentativo di difendersi, doveva aver graffiato a sangue il
suo aggressore. Era un buon indizio. Passò poi ad esaminare il collo; infatti,
dal colore che la pelle aveva assunto, Felipe aveva capito che la donna non era
morta affogata, ma era stata strangolata. L’acqua doveva essere servita solo
per tramortirla. Sul collo sottile c’erano, infatti, i segni delle dita dell’assassino;
non aveva fatto sicuramente fatica ad ucciderla, se non per la sua strenua
difesa. Le tolse la veste e vide che aveva anche altri segni sul corpo: la
lotta con l’aggressore era stata violenta. Infine guardò la suola delle scarpe,
ed anche lì, trovò la sabbia giallastra rinvenuta sul luogo del delitto. Quando
ebbe finito coprì il corpo con la veste ed uscì.
“Io ho finito.” Disse ai
soldati. “Chiamate qualcuno che ricomponga il cadavere.” Poi si allontanò. Non
poteva più rischiare così; ora doveva dire tutto al granduca.
Lo trovò nella sua stanza,
con le mani tra i capelli. Gli sembrò un po’ invecchiato, rispetto al giorno in
cui lo aveva conosciuto. L’uomo gli fece cenno di sedersi.
“Ditemi tutto.” Quelle
parole esigevano spiegazioni eloquenti. Non era più il tempo dei misteri e dei
sarcasmi, una persona era morta, e Felipe era schiacciato dai sensi di colpa.
“E’ colpa mia. Sì, è colpa
mia se Lucrezia è morta. L’ho affrontata troppo presto, e poi l’ho lasciata in
balia di un potenziale assassino. Sapevo che lei non era più convinta del loro
piano, ma non potevo aspettarmi che lo affrontasse. Non avrei dovuto mollarla
un attimo, seguirla; e invece mi sono distratto e l’ho persa. Lei è morta ed è
solo colpa mia.”
“Ora che vi siete sfogato
vi sentite meglio?” chiese il granduca con aria inquisitoria. Aguilon alzò lo
sguardo, stupito dal tono del suo interlocutore. “ Voglio sapere cosa avete
trovato sul cadavere.” Era tornato il freddo e razionale uomo politico
conosciuto in tutto il mondo occidentale, quello che aveva vinto molte
battaglie e visto molti morti.
Felipe gli riferì ogni
particolare: la pelle sotto le unghie, lo strangolamento e la sabbia. Il
granduca lo ascoltò attentamente.
“Adesso.” Disse poi. “voi
mi direte chi è il complice della povera Lucrezia, perché voi lo sapete, o
almeno lo sospettate, ed io voglio saperlo.” Non ammetteva repliche.
“Bene. Gli elementi che ho
finora, e in altre parole: la necessaria conoscenza del giardino, del labirinto
e del palazzo, l’acquisto della parrucca, effettuato quasi sicuramente a Roma;
e poi l’uso delle erbe, solo una persona che abbia viaggiato molto può
conoscere questo tipo di veleni, portano ad una sola persona, che poi è anche
l’unica ad avere un vero motivo per volervi nuocere. Vostro cugino Paolo.”
“Ma via, Felipe!” disse
scocciato il granduca. “Paolo è l’uomo più innocuo del mondo. Io ho centinaia
di nemici, è normale per un personaggio che occupa una posizione come la mia, e
voi puntate i vostri sospetti contro un mio parente.”
“Spesso sono proprio i
parenti le serpi peggiori, poiché covate in seno.” Commentò Felipe.
“Ci sono altre persone a
palazzo che hanno le stesse caratteristiche...”
“Sì, ma lui è l’unico che
si avvantaggerebbe direttamente se voi foste fuori dai giochi.”
“In ogni caso non posso credere
che abbia ucciso Lucrezia. E poi era già partito.” Disse il granduca,
voltandosi verso la finestra. Il cielo si era rannuvolato.
“Non è certo, non ci sono
prove che sia veramente partito. Pensateci: avrebbe probabilmente ucciso vostra
moglie, forse questa notte stessa, se Lucrezia non l’avesse fermato. La donna,
poi, era diventata un pericolo, dopo che ieri io l’avevo affrontata e lei aveva
quasi ceduto. Lui aveva ascoltato la nostra conversazione.”
“Come lo sapete?” chiese il
suo interlocutore.
“Dovrò chiedere a vostra
sorella che gli stava parlando quando sono sceso, per conferma, ma penso che
fosse sulle scale, nel pianerottolo successivo, o nascosto dietro qualche
arazzo, ed abbia sentito tutto. Da qui è scaturita la sua decisione di uccidere
la dama di compagnia.”
“La vostra convinzione sta
lentamente persuadendo anche me. Credo di aver spesso sottovalutato Paolo,
credendo che fosse uno scansafatiche, ma è molto intelligente; non sarà facile
incastrarlo.”
“Se Tommaso tornerà da Roma
con le notizie giuste non ci saranno più dubbi.”
“Voglio fidarmi ancora una
volta di voi Aguilon. Ma vedete di non farci scappare altri morti, averne sulla
coscienza uno è più che sufficiente, non credete?”
“Sono costretto a darvi
piena ragione, mio signore.”
Felipe uscì dalla stanza
del granduca con una grande stanchezza addosso; si fermò davanti ad una
finestra per guardare fuori: il cielo si era fatto ancora più scuro,
trasformando i colori del giardino e facendo sentire il giovane d'umore ancora
peggiore. Camminò per i corridoi, ancora più bui, vista la scarsa luce
proveniente dall’esterno. Decise di andare nella sua camera, non aveva voglia
di parlare con nessuno.
Entrò; la stanza era come
l’aveva lasciata la notte precedente, con la confusione che c’era stata non
avevano rifatto neanche il letto. Si sdraiò, poi si rannicchiò su un fianco e
si addormentò pesantemente.
Lo svegliarono i tuoni che
era già quasi buio, cominciava a piovere. Felipe allungò le gambe e le braccia,
si ricordò che doveva controllare una cosa a proposito della morte di Lucrezia,
così si alzò. Aprì la finestra: gli piaceva l’odore della pioggia sulla terra
estiva e asciutta; respirò forte. Poi guardò nello specchio e si trovò
orribile, con la barba lunga e l’aspetto trasandato. Chiamò una serva e si fece
preparare un bagno caldo; quando si fu lavato e sbarbato, ed ebbe indossato
degli abiti puliti, uscì dalla camera con l’intenzione di recarsi nelle
scuderie.
Fuori veniva, però, un
acquazzone terribile e Aguilon fu costretto a fermarsi nella sala le cui
vetrate davano sulla fontana davanti al palazzo.
Dopo poco lo raggiunse Costanza,
che fu sorpresa di trovarlo lì; la donna si sedette su una poltrona, guardando,
anche lei, fuori la pioggia che cadeva violenta.
“E’ stata una nottata
terribile... almeno la seconda parte.” Disse Costanza con voce stanca.
“Non ne parliamo.” A Felipe
non era ancora tornata la voglia di chiacchierare.
“Cosa vi siete detti, con
mio fratello, se posso chiederlo?”
“Non credo di potervelo
riferire.” Rispose freddo Aguilon. “A proposito devo io chiedervi qualcosa.
Ieri pomeriggio vi ho vista parlare con il conte Paolo, in fondo alla scala,
nel salone principale; volevo sapere: quando lo avete incontrato da che parte
veniva?”
“Ma che razza di domande
fate?”
“Vi prego Costanza, è molto
importante, potrebbe quasi essere decisivo.” Felipe si era voltato e la guardava
negli occhi.
“ ...vediamo...” La donna
cercava di ricordare un particolare per lei irrilevante. “Sì, stava salendo le
scale.”
“Siete sicura che stava
salendo e non scendendo?”
“Ma sì, me lo disse lui, stava
andando nelle sue stan... un momento Felipe, non sospetterete di Paolo?”
“Non parliamone qui, mia
cara; le mura hanno orecchie, purtroppo.”
“Non ci posso credere, o
meglio, sì che posso crederci. Non mi piaceva nemmeno da bambino...”
“Costanza, tacete!” Aguilon
le si era avvicinato prendendola per le spalle. “Dannazione, quanto parlano le
donne!” esclamò levando lo sguardo al cielo, e poi la baciò, ma solo per farla
stare zitta.
Quella sera lo spagnolo non
poté andare nelle scuderie, poiché non smise un minuto di piovere. La cena fu
deprimente: luce fievole, pietanze meno saporite del solito e commensali con
musi talmente lunghi da sfiorare la minestra. La notte Felipe ebbe un sonno
piuttosto agitato e perfino degli incubi; pensò che fosse il rimorso per la
morte di Lucrezia.
Al mattino il tempo era
ancora grigio, ma aveva smesso di piovere, così Aguilon poté finalmente recarsi
nelle scuderie. Attraversò il giardino bagnato facendo uno strano rumore sulla
ghiaia. Arrivò alle scuderie, dove alcuni uomini stavano già lavorando,
nonostante fosse mattina presto; chiese di poter entrare, non gli negarono il
permesso. Dentro la costruzione, che era, dal di fuori, bella quasi come il
palazzo granducale, era caldo e si sentiva forte odore di sterco di cavallo, ma
Felipe vide anche ciò che gli interessava: il terreno era ricoperto, oltre che
dal fieno, da una fine sabbia giallastra. La colluttazione tra la povera
Lucrezia ed il suo assassino era cominciata in quel luogo. Si guardò ancora un
po’ in torno, notando che uno dei cancelli di protezione dei cavalli aveva le
tavole rotte.
“Scusate...” Si avvicinò ad
uno degli uomini che stavano lavorando. “Da quanto tempo sono rotte quelle
tavole?” chiese indicando il cancello.
“Le abbiamo trovate così
ieri mattina di ritorno dalla ricerca.” Rispose quello.
“Vi ringrazio.” Dopo aver
saputo ciò che gli interessava Felipe si allontanò, per ritornare al palazzo.
I due giorni successivi
furono d’attesa: del ritorno di Tommaso da Roma o di quello di Paolo da
Bologna, sempre che ci fosse andato. Non successero episodi rilevanti, ci fu il
funerale di Lucrezia, molto triste specie per Felipe.
Accadde, però, un fatto
piuttosto rilevante: dopo mesi d'isolamento, e con grande indignazione del
dottor Peñarosa, la granduchessa scese a pranzare con i suoi ospiti. Era ancora
pallida e malferma, ma sorrideva, appoggiandosi al braccio delmarito, ed era sempre bellissima; dai suoi
occhi era scomparsa la luce febbrile dei giorni in cui era sottoposta
all’avvelenamento. Felipe era ammirato.
Il giovane spagnolo però
non poteva rimanere con le mani in mano; così decise di scoprire la verità
sulla morte di Maddalena di Giovanni dal Pino. Cercò i diari di cui gli aveva
parlato la granduchessa, li lesse, confrontò alcuni particolari in essi
contenuti con notizie reali, che raccolse dalle persone più anziane del
palazzo, tra cui la fantesca. Infine, dopo un paio di giorni di lavoro, uscì
dalla biblioteca e si recò a casa di mastro Filippo.
Bussò con il grosso
batacchio di ferro; venne ad aprirgli Beatrice, ancora un po’ assonnata, ma
sempre bella. Gli sorrise con calore.
“Vostro padre è in casa?”
chiese Felipe.
“A quest’ora della mattina
dove volete che sia.” Lo introdusse nell’abitazione, passando per il patio.
Mastro Filippo stava facendo colazione.
“Oh, buongiorno messer
Aguilon, qual buon vento!” lo salutò cordialmente, doveva essersi alzato bene.
“Siete venuto a restituirmi i miei disegni.”
“Sì, ma devo parlare con
voi di qualcosa, che non riguarda direttamente il caso di cui mi sto
occupando.”
“Sedetevi, dunque.” Il tono
di Felipe aveva fatto calmare anche Filippo. “Lasciaci soli, Beatrice.” Disse
brusco alla figlia, che silenziosa si allontanò. “Di che si tratta.”
“Di Maddalena di Giovanni
dal Pino; secondo me voi sapete molte cose su di lei.”
“Purtroppo sì. Ma voi come
lo avete scoperto?”
“Leggendo alcuni diari di
corte del periodo in cui è morta. Ho scoperto che la vicenda è avvenuta durante
la costruzione del giardino, e che il corpo di Maddalena scomparve prima di
essere sepolto. Sul suicidio pare non ci siano dubbi, ed ormai è troppo tardi
per fare qualsiasi verifica, ma vorrei sapere come andarono realmente le cose.”
“Ve lo dirò.” Rispose
mastro Filippo, deciso. Poi iniziò il suo racconto:
“Quando il granduca
d’allora mi chiamò per progettare e costruire un magnifico giardino nel suo
palazzo, colsi al volo l’occasione; infatti, si rivelò la mia fortuna, poiché
dopo quel lavoro ne portai a compimento molti altri, ed il mio successo
accrebbe notevolmente. Durante i lavori, però, conobbi Maddalena; eravamo
entrambi molto giovani ed incoscienti. Suo padre, un nobile di corte, si oppose
fermamente a che la figlia sposasse un giovane architetto senza arte né parte,
e lei ne soffriva molto. Più di quanto io credessi. Un giorno suo padre ci
scoprì insieme e la rinchiuse nella sua stanza, impedendole di vedermi ancora;
il giorno dopo la trovarono impiccata al baldacchino del letto. Ricomposero il
cadavere, ma siccome si era uccisa non potevano seppellirla nella cappella di
famiglia, così decisero di sotterrarla nella tenuta di campagna del padre. Là,
io non avrei potuto visitare la sua tomba, così, nella notte sottrassi le sue
spoglie e, con le mie mani la seppellii al centro del labirinto. Il giorno dopo
doveva essere posta la statua di Icaro, nessuno se ne sarebbe mai accorto.
L’amavo molto ed in quel momento mi sembrò la scelta migliore; in seguito
conobbi la madre di Beatrice e dimenticai il mio infelice amore per Maddalena,
ma non ho mai dimenticato dove riposa il suo corpo.”
“E’ una storia molto
triste.” Disse Felipe guardando l’uomo che aveva di fronte.
“Vi prego signor Aguilon,
fate che questo mio segreto rimanga tra noi, voglio che l’anima della povera
Maddalena riposi in pace, per quanto possibile.”
“Rassicuratevi, mastro
Filippo, nessuno saprà mai ciò che è realmente accaduto al corpo della
sfortunata fanciulla; la sua morte è ormai troppo lontana per interessare a
qualcuno.”
“A voi è interessata.”
“Sì, ma io sono uno di
quegli orribili cani segugi che seguono la lepre fin dentro la tana, e a volte rimangono
incastrati!” disse Felipe allargando le braccia e sorridendo.
Quando uscì dalla casa di
mastro Filippo stava ricominciando a piovere. Felipe cercò di immaginare
l’architetto che, giovane ed innamorato, sottraeva il corpo dell’amata e lo
seppelliva nel labirinto. Non era facile: dopo cinquant’anni Filippo era molto
invecchiato.
Quella sera, affacciandosi
alla finestra della sua camera, Felipe, anche nel buio, riuscì ad individuare
la testa della statua di Icaro, sotto la cui base riposavano le spoglie della
povera Maddalena. Provò una gran pena per lei, che non aveva potuto godersi il
bello della vita, ma pensò anche che, forse quella ragazza, pur non
uccidendosi, sarebbe stata una vera squilibrata per tutta la vita. Adesso era
giunto il momento che anche la sua anima riposasse in pace, e per fare questo
doveva prendere l’assassino di Lucrezia. Si coricò convinto che i nodi stavano
venendo al pettine.
Il giorno dopo tornò
Tommaso da Roma, ma siccome il granduca fu impegnato tutto il giorno, poterono
parlare solo a sera. Si ritrovarono nello studiolo del granduca, che era
illuminato dagli eleganti candelabri d’argento; si sedettero intorno al tavolo,
aspettando che Tommaso parlasse.
“Dunque...” Iniziò il
segretario. “ ...dopo essere stato a consegnare i documenti del granduca, mi
sono recato ai fori romani, dove vendono le parrucche.” Fece una pausa. “Lì mi
hanno detto, dopo aver fatto le domande che mi avete suggerito, signor Aguilon,
che, effettivamente, ricordavano un uomo giovane ed elegante, rassomigliante al
conte Paolo, che aveva acquistato, circa otto mesi fa, due parrucche di capelli
rossi. Lo ricordavano bene poiché quel colore è molto raro e venderne due in
una volta era parso strano. Questo è tutto quello che dovevo riferirvi, spero
di essere stato utile.”
“Vi ringrazio Tommaso,
penso che ci siate stato molto utile.” Disse Felipe.
“Vi ringrazio anch’io.” Aggiunse
il granduca. “Adesso, per favore, lasciateci. Ci vediamo domani mattina. Grazie
di nuovo.” Tommaso si alzò e dopo aver augurato la buona notte si allontanò.
“Bene, dunque, ora siamo
sicuri che il cospiratore è Paolo. Quando tornerà lo cattureremo.” Disse il
granduca, quando furono rimasti soli.
“Sarebbe un pazzo a
tornare, se è veramente colpevole non dovrebbe tornare...” Disse Felipe; era
seduto con i gomiti sulle ginocchia ed il mento appoggiato sulle mani
incrociate.
“Ma certo che tornerà,
vuole il mio posto, non credo che si lascerà fermare dalle prime difficoltà.”
“Sarà, ma è tutto troppo
facile.” Lo spagnolo era perplesso.
“Via, Aguilon! Non vi
farete venire i dubbi proprio ora che stiamo per smascherarlo. Siete stato voi
a convincermi che mio cugino era colpevole, ed ora. Si può sapere cos’è che vi
sembra così facile?”
“Avete ragione, mio
signore. Gli indizi convergono su di lui, ma è proprio questo il problema:
tutti gli indizi contro Paolo. Ammettetelo non è possibile, sarebbe stato
troppo stupido.”
“Voi avete affermato che
era l’unico ad avere un serio motivo, per colpirmi; non me lo sono sognato.”
“Sì, è vero, ma ora... c’è come
una vocina nella mia testa che dice di non lasciarmi condurre fuori strada dai
particolari più evidenti.”
“Santo cielo, Felipe!” il
granduca si mise le mani nei capelli. “Adesso sentite anche le voci.”
“Vi chiedo solo di
aspettare ad arrestare vostro cugino, se tornerà. Vorrei parlargli ancora una
volta.”
“Va bene, ve lo concedo, ma
voglio essere presente. Niente repliche.” Disse il granduca vedendo lo sguardo
dello spagnolo.
I due uomini si salutarono
stringendosi la mano, e dopo essersi augurati a vicenda la buona notte, si
lasciarono. Felipe tornò nella sua stanza e si coricò, ma sempre con quella
vocina nella testa.
Quando il granduca arrivò
in sala da pranzo, Felipe, Costanza ed il dottore erano già seduti a tavola per
la prima colazione. Peñarosa stava intrattenendo gli altri due con una
disquisizione sul potere curativo del salasso; lo spagnolo aveva un sorriso
divertito e Costanza, con il volto disgustato, aveva smesso di mangiare. Tutti
salutarono il granduca, prima che si sedesse.
“Allora è arrivato?” chiese
il padrone di casa ad Aguilon.
“Chi?” s’intromise il
dottore.
“Non sono questioni che vi
riguardano, dottore. Anzi, vi pregherei di non parlare di argomenti medici così
truculenti durante i pasti; mia sorella si è infastidita.” Il dottore
s'imbronciò e, improvvisamente tacendo, ricominciò a mangiare.
“Non è ancora arrivato.” Disse
Felipe, rispondendo alla precedente domanda del granduca.
“Forse avevate ragione voi,
non tornerà.”
“E’ presto per dirlo. Non
avrà certo viaggiato di notte. Dobbiamo aspettare il pomeriggio per poterlo
dire di sicuro; un ritardo può sempre accadere, in viaggi così lunghi.”
Costanza li guardava perplessa, avrebbe desiderato chiedere di chi stavano
parlando, ma era sicura che il fratello l’avrebbe messa a tacere.
Nel frattempo il dottore
aveva terminato il suo pasto; si alzò da tavola e, dopo aver chiesto il
permesso, si allontanò dalla sala da pranzo.
“Vorrei proprio sapere
perché non se ne va.” Disse il granduca. “Ormai mia moglie sta bene, non c’è
assolutamente bisogno di lui, come non ce n’è mai stato.”
“E meno male che non se ne
va. Se il dottore torna in Spagna prima di me, rischio la vita quando torno!”
affermò divertito Felipe. “Avevo giurato al principe José di far curare sua
figlia.”
“Non preoccupatevi Aguilon,
voi l’avete fatto; magari non con l’aiuto del dottore, ma Isabel è guarita, e
perciò io vi sarò eternamente grato.”
“Grazie, solo voi potete
permettervi di andare contro José. A me fa troppa paura.” Rabbrividì lo
spagnolo.
“Scusate...” Azzardò
Costanza. “Parlavate di Paolo, poco fa?”
“Sì.” Rispose asciutto il
fratello.
“Felipe, siete proprio
sicuro che il colpevole sia lui?” Aguilon non fece in tempo adaprire bocca, che il granduca rispose al suo
posto:
“Il nostro Aguilon adesso
comincia ad avere qualche dubbio. Dopo che mi ha persuaso, con le sue doti
oratorie, viene ad annunciarmi che sente delle voci, le quali gli dicono di
scavare più a fondo! Magari, dopo che ci avete pensato tutta la notte, ora non siete
più sicuro nemmeno che fosse l’amante di Lucrezia, o no?”
“Forse siete voi a non
esserne sicuro, poiché, a me, quest’idea viene solo ora che ne parlate. Ma
potreste avere ragione.”
“Oh, Dio! L’ho fatta
grossa! Vi ho messo in testa un altro dubbio, cosa posso fare per chiarirvi un
po’ le idee?”
“Potreste parlarmi un po’
della vostra famiglia. Per esempio i genitori di Paolo, che fine hanno fatto?”
chiese Felipe.
“La madre di mio cugino
morì di vaiolo quando lui era bambino; il padre, invece, morì pochi anni dopo,
prima di poter risposarsi ed avere altri figli, in un disgraziato incidente a
cavallo.” Rispose il granduca.
“Siete sicuri che si sia
trattato di un incidente?”
“Nessuno ebbe dubbi a quei
tempi.” Affermò Costanza.
“Via, Aguilon. Non vorrete
accusarlo anche della morte del padre, era soltanto un fanciullo allora.”
“No, no. Parlatemi di
vostro padre.”
“Mio padre, il precedente
granduca, morì circa sette anni fa. Dopo una lunga malattia, che lo costrinse a
letto per mesi.”
“Una malattia simile a
quella di vostra moglie?”
“Ma che cosa dite! Il mio
povero padre aveva una malattia vera, che lo consumò fino alla morte.”
“E’ vero, non si riprese
mai dalla morte di nostra madre, non stette più bene.” Disse Costanza con gli
occhi lucidi.
“E vostra madre come morì?”
“Di parto. Dando alla luce
nostra sorella Iolanda.” Rispose la donna.
“Avete un’altra sorella?
Non ne ero a conoscenza.”
“Non ci sembrava rilevante;
vive in un convento, è novizia. Non si muove quasi mai dal suo ritiro sull’Appennino.”
Spiegò il granduca. “Nelle famiglie nobili c’è sempre un figlio che sceglie la
carriera ecclesiastica.” Concluse.
“Fermo restando il dolore
provato per la prematura morte di vostra madre...” Continuò Felipe. “...vostro
padre si sarà pur preso qualche distrazione, di tipo... femminile.”
“Ma come vi permettete,
Felipe!” intervenne Costanza adirata.
“Ti prego, sorella. E’ vero
Aguilon, l’avrà fatto sicuramente; l’ho fatto anch’io, prima di sposarmi. Spero
di non aver lasciato figli illegittimi.” Rispose divertito il granduca.
“Spero davvero che queste
informazioni possano essermi utili.” Felipe sembrava scoraggiato.
“Non siate così abbattuto.
Esigo che catturiate l’assassino, chiunque sia.” Il granduca, al contrario, era
sempre più deciso.
I due uomini si guardarono
negli occhi, poi continuarono a mangiare in silenzio. Quando ebbero terminato
lasciarono insieme la sala da pranzo, poi si divisero; il granduca aveva,
infatti, molte faccende da sbrigare. Rimasero d’accordo che, se Paolo fosse
tornato, il primo di loro che lo incontrava avrebbe fatto chiamare l’altro e
non avrebbe cominciato a parlargli se non in presenza di entrambi.
Più tardi, durante la
giornata, Felipe, si accorse di un gran trambusto nelle stanze di Costanza;
così entrò a chiederle cosa stava succedendo.
“Preparo i bagagli. Ora che
Isabel sta bene io devo tornare ad occuparmi della mia famiglia. Mio marito e
mio figlio mi aspettano.” Rispose la donna.
“Spero che non partiate già
oggi.”
“No, pensavo di partire
domani in giornata.”
“Bene, allora avremo tempo
per salutarci.” Concluse Felipe prima di andarsene.
Era ormai sera quando un
paggio bussò alla porta dello spagnolo. Aguilon stava scrivendo una lettera
alla madre, ma, dopo aver sentito quello che l’uomo aveva da dirgli, sospese subito
il lavoro per raggiungere il granduca, che lo attendeva nella galleria dei
dipinti.
Il suo ospite era
appoggiato al muro, vicino ad una finestra; il cugino gli sedeva di fronte e lo
guardava con aria smarrita. Il granduca aveva uno sguardo minaccioso. Il povero
conte aveva veramente l’aria di un naufrago che, attaccato ad un pezzo di
legno, vede venirsi in contro la tempesta.
“Sarà meglio se ci sediamo
tutti.” Disse arrivando Felipe. Il granduca lo assecondò malvolentieri.
“Innanzi tutto vi do il bentornato,
conte.” Affermò lo spagnolo, inchinandosi. Poi continuò:
“Vi domanderete certamente
il perché vi abbiamo costretto a questo incontro un po’ forzato.”
“Assolutamente. Sono stato
trascinato qui da due soldati, che mi hanno quasi alzato da terra. Ho chiesto
spiegazioni a mio cugino, ma egli si rifiuta di darmele. Spero che almeno voi
possiate essere meno lacunoso, signor Aguilon."
"State tranquillo,
volevo soltanto farvi delle ulteriori domande, a proposito del nostro piccolo
problema."
"Tanto piccolo non
direi. Ho saputo che hanno ucciso la povera Lucrezia. Come la mettiamo
ora?"
"Come la
mettiamo?!" gridò il granduca, prendendo il cugino per la manica e
sbatacchiandolo. "La mettiamo che adesso ci dirai tutto quanto!"
"Ma cosa volete
sapere. Io non ne so nulla di questa storia!" Paolo parve sincero agli
occhi di Felipe. Lo spagnolo si alzò per fermare il suo ospite.
"Via, eccellenza.
Lasciate fare a me." Così dicendo gl'indicò di sedersi al suo posto. Lui
invece si spostò di fronte al conte.
"Non capisco. Mi si
sta accusando di qualcosa?" chiese preoccupato Paolo. Lo sguardo del
cugino era già una condanna, ma Aguilon doveva seguire le sue intuizioni.
"Voi conoscevate bene
la poverina che è morta, non è vero, conte?"
"Ma, insomma. Era una
lontana parente. Figlia di un cugino dei nostri padri, mi pare. Non la
frequentavo molto, parlava troppo, ed allo stesso tempo non diceva nulla."
Paolo ne parlava con disattenzione, come si parla di un persona appena
conosciuta.
"Mi hanno raccontato
la triste storia della vostra famiglia, di come avete perso, in poco tempo,
entrambi i genitori. Dev'essere stato molto doloroso."
"L'ho superato grazie
all'aiuto di mio zio. Che era un sant'uomo. Non come qualcuno che mi sta
accusando di essere un assassino." Disse rivolto al cugino. "Senza
prove." Puntualizzò.
"Nessuno vi accusa di
niente." Il granduca lanciò a Felipe uno sguardo di fuoco, quando lo sentì
pronunciare quelle parole. "Dovete capire che stiamo cercando di scoprire
la verità; poi c'è stata una vittima. Sospettare di chiunque è soprattutto un
dovere, in certi casi."
"Sono a vostra
completa disposizione, signor Aguilon. Almeno voi non perdete la calma, né le
buone maniere" indugiava nel guardare il cugino, che pareva un fiume cui sta
montando la piena. "Comunque, io, con la morte di Lucrezia non c'entro
niente. Non ero nemmeno qui; dimenticate ch'ero a Bologna?" continuò
Paolo.
"Non c'è alcuna prova
che tu ci sia realmente andato." Affermò il granduca.
"Non ce ne sono
neanche che non l'abbia fatto." Lo sfidò il cugino. L'atmosfera stava
diventando pesante.
"Signori, vi
prego!" intervenne Felipe. "Voi, eccellenza, lasciate che a fare le
domande sia io. E voi, Paolo, per favore rivolgetevi a me quando avete qualche
cosa da dire." Il granduca si alzò e si avvicinò alla finestra cercando di
sbollire la rabbia.
"Ditemi, conte." Continuò
Aguilon. "Quando avete visitato il nuovo mondo, qualche anno fa, immagino,
quali regioni sono state tappa del vostro viaggio."
"Viaggio? Ma quale
viaggio! Appena arrivato mi sono beccato una terribile febbre che m'ha tenuto a
letto fino alla partenza della nave per il ritorno. Un'esperienza drammatica,
non ci tornerò mai più." Il volto di Paolo esprimeva benissimo il ricordo
della malattia avuta. "Quando finalmente arrivai in Italia, avevo ancora
addosso i segni del disagio." Aggiunse.
"Voglio la verità,
Paolo. Voi avete mire sul trono del granduca?" la domanda di Felipe fece
voltare il suo ospite, e colpì il conte come un pugno.
"Sarei uno stupido se
non le avessi, ma sono troppo pigro per fare qualsiasi cosa contro di lui.
Nonostante non l'abbia mai amato, e questo lo sa." La risposta ebbe un
tono talmente sincero che neanche il granduca trovò la forza per rispondere.
"Un'ultima cosa.
Potreste mostrarmi le braccia, conte." A quella richiesta Paolo rimase a
bocca aperta. "Vi prego." Aggiunse lo spagnolo.
"Non capisco a cosa
possa servirvi, ma prego." Così dicendo, il conte, sganciò le maniche
della sua palandrana di broccato e poi quelle della camicia, mostrando le
braccia magre e pallide. E soprattutto senza un graffio. Aguilon volle poi
controllare anche il collo del cugino del granduca: anche in quella zona niente
segni. Felipe fu soddisfatto.
"Vi ringrazio, conte.
Mi siete stato molto utile." Disse. "Per ora vi congedo, ma vi prego
non allontanatevi dal palazzo; potrei avere ancora bisogno di voi."
"Figuratevi; rimarrò
con piacere a vostra disposizione, signor Aguilon." Rispose Paolo
alzandosi. Prima di uscire dalla sala guardò il cugino, ma egli non si voltò,
continuando a guardare fuori dalla finestra. Così il conte se ne andò,
lasciandoli soli.
"Dunque, Aguilon. Cosa
mi dite adesso?" il granduca aveva un tono distratto.
"Non è lui eccellenza.
Non è il conte Paolo, vostro cugino, l'assassino. Ora ne sono sicuro."
"Io, invece, non sono
ancora convinto. Mi avete veramente persuaso. Comunque, Felipe, errare è umano,
perciò ancora una volta, dall'inizio di questa storia, mi affido a voi. Ma vi
concedo soltanto un'altra possibilità." Il suo ospite ora lo guardava
dritto negli occhi. Solo ora lo spagnolo si accorgeva di quanto fossero simili
a quelli di Costanza.
Uscirono dalla
galleria e, dopo aver attraversato il lungo corridoio che portava alle scale,
scesero per la stretta rampa. Mentre scendevano il granduca si rivolse a
Felipe:
"Sapete,
ripensandoci, è vero."
"Cosa?" la
curiosità dello spagnolo si fece subito sentire.
"Che mio cugino, tornato
dal nuovo mondo, era molto debole e disse di essere stato male, laggiù."
Continuò il granduca.
"Questa non è che
una conferma del fatto che non può essere lui il colpevole."
"Non avrò pace
finche non scoprirò la verità." Felipe lo scrutò: guardava davanti a se
con la fronte nobile e lo sguardo severo del guerriero.
Sentirono dei passi e
così si fermarono. Gli venne incontro un paggio, con un messaggio: doveva
raggiungere il suo studiolo al più presto possibile, c'era un grana da
sbrigare. Allora il granduca scese un'altra rampa di scale, poi spostò un
arazzo e spinse la parete, penetrando in un passaggio. Felipe si appoggiò al
muro sbigottito. Eppure avrebbe dovuto sapere che poteva esserci un passaggio
segreto, in tutti i palazzi ce n'erano, anche in quello di José. Ora si
spiegavano molte cose: il presunto fantasma che spariva nei muri; e poi
Costanza poteva avere ragione, forse Paolo stava davvero salendo, quando lo
vide con lei. E soprattutto qualcun altro poteva aver ascoltato la sua
discussione con Lucrezia, avvenuta nel pianerottolo sottostante, scomparendo
poi attraverso il passaggio.
"Aguilon, vi
sentite bene?" gli chiese il suo ospite.
"Si, eccellenza.
Soltanto che il venire a conoscenza diretta del passaggio segreto, appena
aperto da voi, potrebbe essere fondamentale nelle mie indagini. Grazie al
vostro gesto ho appena scoperto come fa il 'fantasma' ad apparire e scomparire
come un vero spirito. A proposito: ci sono altri passaggi, non è vero?"
Felipe aveva ripreso colore e vigore.
"Certamente. Ma,
ne parliamo dopo. Adesso ho fretta. Posso lasciarvi?"
"Non ci sono
problemi." Rispose. Anzi rimanere solo gli avrebbe consentito di
riordinare le idee. Il conte Paolo era stato ormai scagionato, ma Felipe aveva
la sensazione che una tessera del mosaico fosse fuori posto, e riteneva che
fosse quello il motivo per cui non riusciva a vedere il quadro nella sua
chiarezza.
Non poté, però,
portare a compimento le sue intenzioni, poiché Costanza lo pregò di cenare con
lei. La donna non voleva rimanere sola con il dottore ed il cugino. Il giovane
non le negò la sua compagnia.
La cena fu silenziosa;
solo il dottor Penarosa parlò un po', annunciando d’essere prossimo alla
partenza. D'altronde i suoi malati in Spagna aveva già fatto a meno di lui per
troppo tempo.
Quando ebbero finito
di mangiare, Felipe e Costanza, andarono a fare una passeggiata nel parco. Ora
che ne conosceva la pianta a memoria, lo spagnolo poteva attraversare
tranquillamente il labirinto. Si fermarono a parlare su un sedile vicino alla
statua di Icaro; Aguilon ne guardava la base, sapendo che era la tomba di
Maddalena. Non disse niente alla sua accompagnatrice, sapeva che le donne,
anche con le migliori intenzioni, spesso si lasciavano sfuggire i segreti. Si
salutarono con un bacio; il giovane decise che era il massimo da chiederle
quella sera.
Finalmente Felipe poté
restare solo. Si sdraiò sul letto, dopo essersi spogliato, e cominciò a
pensare. Il conte Paolo era innocente: le sue risposte sincere, il fatto che
non aveva segni sul corpo, almeno in punti visibili, e la sua mancanza di
conoscenza per il nuovo mondo lo scagionavano. Ma cos'era che non convinceva lo
spagnolo?
Il fantasma? Era
provato che non esisteva. La colluttazione con Lucrezia? L'assassino l'aveva
realmente avuta. 'Spero di non aver avuto figli illegittimi aveva detto il
granduca. Perché quella frase continuava a tornargli in testa. Testa. La
parrucca; o meglio le parrucche. Cos'avevano che non andava. A Roma. Chi altro,
oltre Paolo, vi si recava spesso? Doveva essere una persona che, per un motivo
o per l'altro, andava in quella città, che era stata nel nuovo mondo, e che
conosceva il palazzo ed il giardino a menadito. Ma chi? Chi poteva essere.
Figli illegittimi. A Roma, ai fori romani vendono le parrucche. Ma come faceva,
Tommaso, a sapere che le vendevano proprio lì? Si sarà informato dalle persone
che conosceva in città. Il granduca lo inviava molte volte in vaticano.
Tommaso. No. Però quell'uomo era così freddo, impassibile; ma dietro quegli
occhi verdi così distaccati, Felipe, aveva individuato un'intelligenza sottile
e calcolatrice. Giuste caratteristiche per un efficiente segretario. Occhi
verdi. Figli illegittimi. Non era possibile: Tommaso lavorava per il granduca
da anni, ed egli gli accordava la sua fiducia smisurata. Serpi covate in seno.
Era stato proprio lui, con queste parole, ad accusare il conte della congiura.
Occhi verdi. Come erano simili quelli della bella Costanza e del fratello. Da
chi li avevano ereditati? Non capiva il perché di queste divagazioni, la mente
dell'uomo era proprio strana. Sì che lo capiva.
Felipe si alzò dal
letto, infilò la camicia ed uscì dalla sua stanza, ben deciso a recarsi nella
galleria dei dipinti. Quando ci arrivò cominciò, alla fievole luce del
candelabro, ad osservare da vicino ogni quadro che si trovasse davanti; in
special modo quelli del padre e della madre del granduca. Guardava un quadro,
poi si sedeva e rimuginava. Poi ne guardava un altro e di nuovo si sedeva. Andò
avanti così fino all'alba. Quando il giorno spuntò, lo spagnolo era
scoraggiato, non aveva trovato quel particolare che cercava; aveva solo
appurato che il granduca e la sorella avevano ereditato gli occhi dal padre.
Decise di tornare a dormire, ma mentre si avviava la sua attenzione fu colpita
da in piccolo ritratto, messo in un angolo: si trattava di un mezzo busto di
donna. Era bella, somigliava a qualcuno, ma non avrebbe saputo dire a chi.
"Buongiorno,
signor Aguilon!" una giovane servetta gli era arrivata alle spalle.
"Era molto bella, la madre del signor Tommaso. Non trovate anche
voi."
"Questa è la
madre di Tommaso?" chiese lo spagnolo.
"Sì, è morta
tanto giovane, poverina." Rispose la ragazza.
"Gli somiglia
molto, ma gli occhi non vanno bene…" Felipe stava osservando il quadro
sempre più intensamente mentre un grosso sorriso gli si stava stampando in
faccia. "No, questi non sono gli occhi di Tommaso." Disse infine,
ridendo. Poi si voltò e diede un bacio sulle labbra alla fanciulla.
"Voi siete il
miglior buongiorno che potevo desiderare!" le disse.
"Ma via, signor
Aguilon…" la serva era imbarazzata. Ma non fece in tempo a dirgli altro,
poiché il giovane era già andato via.
Felipe tornò nella sua
camera e decise di dormire almeno un po'. Si svegliò per andare a colazione, ma
scoprì che era quasi ora di pranzo. Così, dopo essersi preparato, scese per
raggiungere gli altri nel salone. Costanza gli chiese dov'era finito, Felipe,
imbarazzato, si giustificò con una notte in bianco. Alla fine del pasto lo
spagnolo fermò il granduca.
"Eccellenza."
Gli disse, traendolo in disparte. "Avrei bisogno che voi e vostra moglie
faceste una cosa per me."
"Di che si
tratta, Aguilon?" chiese il suo ospite.
"Ve ne parlerò
più tardi. Vediamoci nel vostro studiolo nel pomeriggio. Da soli."
"Non temete,
Felipe, sapete che per me, la riservatezza su questa storia, è
fondamentale."
"Allora a dopo.
Adesso devo parlare con una persona." Il giovane aveva un'aria misteriosa.
Il granduca lo guardò perplesso, allontanarsi.
Il giorno successivo,
dopo che Aguilon aveva parlato con il granduca, la servitù lo passò a preparare
un banchetto di festa. E quella sera, il sovrano, sua moglie ed i loro graditi
ospiti, compreso il dottor Peñarosa, si sedettero a tavola per una cena
favolosa. La granduchessa e Costanza erano bellissime, per la gioia dell'esteta
Felipe, ed anche per quella degli altri ospiti. Tutti sembravano molto allegri,
specie il giovane spagnolo. Costanza pensò che fosse per il troppo vino.
Nel bel mezzo del
pasto, quando le portate si susseguivano gustose, il granduca si alzò ed attirò
l'attenzione dei commensali picchiando il calice con una posata.
"Miei cari
ospiti!" disse. "Ho organizzato questa serata con voi, per
festeggiare la ristabilita salute della mia adorata consorte, la granduchessa
Isabel. Ringrazio, con questo pasto, tutti voi per l'affetto che ci avete
dimostrato e ne approfitto per…" porse la mano alla moglie, che si alzò al
suo fianco. "…annunciare che è prossima la nascita del tanto sospirato
nostro primogenito e speriamo che Dio ci conceda un maschio!" mentre il
granduca pronunciava queste parole, Felipe, osservava le reazioni alla notizia
sui volti degli ospiti. Quando il padrone di casa ebbe finito di parlare tutti
i presenti batterono le mani, gioiosamente. Costanza si alzò per baciare la cognata,
e Aguilon propose un brindisi.
La serata continuò con
bevute, canti e balli. Ballò perfino la granduchessa. Tutto terminò con un
bellissimo falò nel piazzale di ghiaia del giardino. Felipe decise che
all'assassino ci sarebbe voluto un po' di tempo per riordinare le idee, perciò
rischiò accettando il malizioso invito di Costanza nelle sue stanze.
Quando, al mattino
dopo, la donna aprì gli occhi, Felipe era già vestito e sedeva su una sedia
sotto la finestra, nella flebile luce dell'alba, accarezzando una parrucca
castano scuro. La guardò mostrandole l'oggetto, poi sorrise e disse:
"Dovreste farmi
un favore, questa notte."
"Non vi sono
bastati quelli che vi ho fatto la notte passata?" chiese adagiandosi
contro i cuscini. Il giovane sorrise complice. Lasciò la sedia per il bordo del
letto e rispose:
"Quello che vi
chiedo ora è un po' più pericoloso."
"Credo di avervi
dimostrato che non sono una donna timorosa. Parlate adesso."
Volevo ringraziare
tutti quelli che hanno letto questo racconto; questa era in assoluto la prima
ff che ho scritto, qualche anno fa a dire il vero, e sono contenta che qualcuno
abbia voluto leggerla. Certo, mi sarebbe piaciuto qualche commento, ma è già
qualcosa che l’avete letta. Grazie a tutti, un bacio. Sara
VI° parte
"Fratello,
credevo Felipe ti avesse spiegato che non potevamo farlo fare ad Isabel."
Disse a bassa voce Costanza. La donna si era sistemata in testa la parrucca
scura, per nascondere i suoi capelli dorati e somigliare di più alla cognata.
"Certo che
no." Rispose il granduca. "Lei è ancora troppo provata, ma anche per
te è pericoloso."
"Adesso basta
discutere. Abbiamo tutti chiaro ciò che dobbiamo fare?" chiese Aguilon.
Gli altri due risposero affermativamente.
"La granduchessa
è al sicuro, eccellenza?"
"Sì, nessuno l'ha
vista. Il suo trasferimento al vecchio palagio è passato inosservato."
"Bene. Voi
Costanza siete a posto?" la nobildonna disse di sì. "Allora: adesso
io e vostro fratello ci allontaneremo, lasciandovi qui. Voi fingerete di
dormire, nel frattempo io attraverserò il passaggio che dalle stanze del
granduca conduce in questa camera, ed attenderò che qualcosa accada. Buona
notte, mia cara."
"Non scherzate,
Felipe." Costanza gli parve un po' impaurita.
"Non temete,
basterà un sospiro sospetto ed io scatterò." La rassicurò lo spagnolo.
Il granduca ed Aguilon
uscirono dalle stanze della granduchessa. Si salutarono a voce alta e si
augurarono la buona notte. Poi entrambi entrarono nelle stanze del sovrano.
Felipe, con un pugnale che gli pendeva dal fianco, si affrettò a penetrare nel
passaggio, ed il suo ospite si apprestava a seguirlo, ma il giovane lo pregò di
rimanere nella stanza, pronto ad intervenire ad ogni eventualità. Il granduca,
sebbene con rammarico, spense tutte le candele e si sedette al buio, vicino al
campanello, pronto a suonarlo per richiamare le guardie, che aveva lasciato in
allerta.
Nel frattempo Aguilon
raggiungeva la fine del passaggio e ne apriva un'estremità, guardando nella
stanza. Tutto era avvolto nel buio e nel silenzio; la fievole luce della luna,
che entrava dalla finestra, rischiarava la forma di Costanza avvolta nelle
lenzuola. Probabilmente ci sarebbe stato da aspettare.
Il tempo sembrava non
passare mai, stava per cedere, quando sentì la porta aprirsi. Nel buio non
riusciva a distinguere figure, ma i passi, pur attutiti dai tappeti, li
sentiva. Poi vide, alla luce della luna, una mano allungarsi sulla figura
dormiente, afferrare un cuscino e iniziare a premerlo sul viso della donna. A
quel punto Felipe balzò fuori dal suo nascondiglio e si avventò contro l'ombra.
I due crollarono a terra e cominciarono a lottare. Costanza si era alzata a
sedere sul letto, la parrucca le era caduta, ma nel buio non riusciva a
distinguere nulla, sentiva solo i rumori della colluttazione.
"Felipe! Vi prego
Felipe rispondete!" ma non risposero che i respiri affannosi dei due
contendenti ed i colpi che si scambiavano. Ad un tratto, la donna, vide
levarsi, alla luce della luna, una lama, che ripiombò veloce nell'oscurità.
"No!" gridò
Costanza. Si mosse il più veloce possibile per cercare una candela o meglio il
campanello per chiamare aiuto; ma il campanello cadde a terra. "Fermatevi,
vi prego!" continuò la donna.
"Ah!" il
grido di dolore veniva dal pavimento. Costanza riconobbe la voce dello
spagnolo.
"Felipe."
Disse con un fil di voce, balzando dal letto. Quando ebbe messo i piedi a terra
vide una luce provenire dal passaggio.
"Costanza, che
succede!" era il granduca che si avvicinava a grandi passi.
"Corri, fratello
mio!" lo spronava la sorella. Il sovrano entrò nella camera con un lume ad
olio, che illuminava molto più di una candela; vide la donna in piedi vicino al
letto, col volto impaurito. Illuminò allora il pavimento, da dove provenivano
dei gemiti ed, ancora rumori di lotta.
Felipe Aguilon era a
terra, aveva sangue sul volto e sul braccio sinistro; sopra di lui, brandiva
ancora il pugnale, pronto a sferrare il colpo mortale allo spagnolo, c'era
Tommaso. Quando il granduca lo vide rimase sbalordito, ma, appena l'altro
s'alzò, pronto a fuggire, egli gli puntò il fioretto, dicendo:
"Fermati
traditore, assassino!" Tommaso però non si fermò e, veloce come un gatto,
passò la porta rimasta aperta.
"Presto,
inseguiamolo!" gridò Felipe, che si era già rimesso in piedi. "Non
perdiamo tempo, o ci sfuggirà." Aggiunse.
"Ma voi siete
ferito…" Costanza non fece in tempo a fermarlo, che si era già lanciato
fuori dalla porta, seguito dal granduca. La donna rimasta sola udì il suono
della campana del cortile; certamente il fratello l'aveva suonata perché la
potesse sentire più gente possibile. Ormai erano fuori.
Il giardino,
fortunatamente, era illuminato dalla luna; si distinguevano perfettamente la
forma delle siepi ed il profilo delle statue, ma non c'erano figure in
movimento. I due uomini si fermarono sopra la fontana, ansimando.
"State bene,
Aguilon?" chiese il granduca.
"A posto, non è
grave." Rispose lo spagnolo. "Accidenti, quel maledetto s'è nascosto.
Ma, per fortuna, l'unico posto dove può averlo fatto è il labirinto."
Aggiunse.
"Come fate ad
esserne certo, potrebbe essere andato nel bosco."
"No, per poterlo
fare avrebbe dovuto attraversare la radura, fino all'anfiteatro, l'avremmo
sicuramente visto. Invece, attraversando il labirinto, ci può arrivare senza
pericolo."
"Andiamo là,
allora. Ma prima prendo questa." Il granduca tirò fuori una bellissima
balestra, ben lubrificata, ed alcune frecce, pronto all'attacco.
"Spero non ce ne
sia bisogno." Affermò preoccupato Felipe.
I due s'incamminarono,
così, veloci verso il labirinto. Che, in una maniera o nell'altra, era sempre
al centro di questa storia, pensò Felipe. Arrivati all'entrata il granduca
gridò:
"Arrendetevi,
Tommaso. Uscite allo scoperto e sarò clemente, vi risparmierò la vita. Forza,
non siate vile!"
"Vi prego,
eccellenza." Lo spagnolo cercò di placarlo. "Purtroppo non credo che
basterà."
"Dunque?"
chiese il suo compagno.
"Credo che
dovremo entrare a prenderlo."
"E se fosse già
andato?" continuava il granduca.
"E' ancora là.
Voi conoscete bene il labirinto, ed anch'io. Possiamo farcela."
"D'accordo
entriamo."
Varcarono l'entrata
decisi, poi si divisero. Aguilon proseguì al buio, il granduca con la lampada,
in direzione del centro, ma percorrendo strade diverse. Felipe camminava al
buio, contando i suoi passi; era l'unico modo per non perdersi. Si muoveva
lungo le siepi da un po' di tempo, quando sentì gridare il granduca. La voce
non veniva da lontano, forse dal centro del labirinto. Doveva esserci ormai
vicino, l'altro ci era, probabilmente, arrivato prima poiché aveva camminato con
la luce della lampada. Vide del chiarore e raggiunse veloce lo spiazzo.
La lampada era caduta,
incendiando un cumulo d’erba secca; le fiamme illuminavano la statua di Icaro
ed il terreno circostante. I due uomini erano proprio ai piedi della scultura: il
granduca era in ginocchio e reggeva con le mani il braccio di Tommaso, che, in
piedi, gli serrava il collo, stringendo sempre più. La balestra giaceva a
terra.
"Io sono il
primogenito. Io dovevo diventare granduca, non lui."
"Sì, lo so."
Lo spagnolo sembrava tranquillo.
"E invece nostro
padre lo ha sempre preferito, tanto da non dirgli mai di me, da tenergli
nascosta la mia esistenza. Adesso pagherà!"
"Non sarà facile
ucciderlo, come con Lucrezia." Aggiunse Aguilon.
"Facile uccidere
Lucrezia? Con quella maledetta sgualdrina ho dovuto lottare, mi ha anche
graffiato, quella cretina. A lui basterà stringere ancora un po' il collo e
addio granduca. E pensare che mi sono scervellato con quel piano assurdo per
uccidere sua moglie. Era così facile uccidere prima lui."
"Vi prego,
capisco che essere stati privati, per anni, dei propri diritti è terribile, ma
possono esserci altre soluzioni oltre alla violenza." Continuò Felipe.
"Voi non capite
un bel niente. Il rinomato scopritore di misteri spagnolo. Ero riuscito a
prendermi gioco anche di voi. Quando mi avete mandato a Roma; quante risate mi
sono fatto, durante il viaggio."
"Prima avete
ucciso Lucrezia, e poi…"
"E poi sono
andato a portare i documenti in vaticano ed ho anche salutato il mio amico
venditore di parrucche, se volete saperlo. Sciocco."
"Ma poi ho
capito."
"E' stata solo
fortuna."
"Non credo
proprio. Avete commesso qualche errore anche voi." Il tono di Felipe si
era fatto sarcastico.
"Ucciderò anche
voi, quando avrò finito con lui." Disse Tommaso, serrando la presa sul
granduca, che respirava a malapena.
"Finite prima me,
sono già ferito."
"Fatemi il favore,
a questo manca poco per morire…" non poté finire la frase poiché Aguilon,
approfittando di un momento di distrazione, gli saltò addosso facendogli
mollare il granduca, che cadde a terra privo di forze.
I due uomini
cominciarono a lottare, avvicinandosi pericolosamente al fuoco. Il granduca
sapeva che Felipe non avrebbe potuto avere la meglio, con il braccio ferito;
così raccolse la balestra e la caricò, con le ultime forze, puntandola verso
Tommaso.
"Adesso basta,
Tommaso!" intimò il sovrano. "Non aggravate ancora la vostra
situazione."
"Non puoi più
minacciarmi, granduca!" disse l'uomo, lasciando andare Felipe, che cadde,
e voltandosi verso il fratellastro.
"Non avvicinarti,
o sarò costretto a colpirti." Lo avvertì, ma il segretario continuava a
camminare, impugnando l'affilato pugnale dello spagnolo.
Aguilon osservava la
scena, mentre la luce si affievoliva, man mano che il fuoco si andava
spegnendo. Tommaso non accennava a fermarsi; il granduca fece un passo
indietro, si sentì un rumore metallico e la freccia partì, colpendo
l'antagonista al petto. L'uomo crollò a terra, il nobile lasciò la balestra e
gli si avvicinò, sostenendogli la testa. Felipe li raggiunse solo in tempo per
veder morire Tommaso.
"Eccellenza…"
lo spagnolo gli posò una mano sulla spalla, mentre era ancora accasciato.
"Pensavo di aver
mirato più in alto… In fondo provavo dell'affetto per lui, mi aveva servito
bene per tanti anni." Disse serio il granduca, adagiando il corpo del
fratellastro.
"Adesso il
mistero è risolto." Affermò soddisfatto Felipe.
"Non ancora; voi
mi dovete delle spiegazioni. Esaurienti, Aguilon." Ora lo guardava negli
occhi.
"Certamente, ma
ora torniamo a palazzo."
Usciti dal labirinto
si trovarono di fronte un manipolo di soldati con le fiaccole, che li stavano ancora
cercando. Il granduca gli disse di andare a recuperare il corpo di Tommaso, e
loro prontamente eseguirono. Felipe ed il suo ospite raggiunsero il palazzo,
dove trovarono tutti svegli, compresa la granduchessa. Accompagnati dagli altri
si accomodarono nella sala dalle grandi vetrate, dove lo spagnolo si preparò
per rispondere alle domande che gli sarebbero state poste.
"Prima di tutto:
come avete fatto a scoprire che Tommaso era mio fratello, Felipe?" chiese
il granduca allo spagnolo.
"Cosa?"
Costanza guardò stupita prima il fratello, poi Aguilon.
"E' successo per
caso. Riflettevo su chi potesse avere motivo per colpirvi oltre al conte Paolo,
e più ci pensavo più ero convinto che l'unica, valida, ragione era di avere
mire sulla vostra posizione di potere. Se questo era ciò che spingeva questa
persona, essa doveva essere in grado di prendere il vostro posto legalmente,
alla luce del sole. Questo riconduceva a Paolo, ma sulla sua colpevolezza avevo
forti dubbi."
"Che per fortuna
si sono rivelati fondati." Affermò il conte, anche lui presente.
"Infatti. Allora
cominciò a prendere forma l'idea di un figlio illegittimo, che però possedesse
le prove certe di essere di sangue nobile, come penso avesse Tommaso."
"Ma i primi
sospetti su di lui, quando vi vennero?" chiese il granduca.
"Quando collegai
i suoi frequenti viaggi a Roma con l'acquisto delle parrucche; poi conosceva
molto bene il palazzo, ed il giardino, era cresciuto qui. In seguito ho parlato
con la fantesca, che mi ha raccontato la sua storia. Era figlio di una giovane
donna, sposata ad un uomo più vecchio, che ora sappiamo tradiva con vostro
padre. Quando la madre morì, lui era ancora bambino, ed il 'padre' lo trattò,
d'allora in avanti, sempre molto male. Quando anch'egli venne a mancare, i
parenti lo misero in un collegio di gesuiti, dove, m'immagino, fu educato nella
più rigida disciplina, e da dove fuggì di lì a poco. Poi se né perdono le
tracce fino a quando, alcuni anni fa, si ripresentò qui, per divenire il vostro
segretario. Deduco che s'imbarcò per il nuovo mondo, da dove tornò con una
certa esperienza in veleni."
"Ma torniamo alla
scoperta della parentela, non avete finito di spiegare come avete fatto."
Disse Costanza, rivolta a Felipe.
"Mia cara, è
stato merito dei vostri occhi."
"Ma come?" chiese
la granduchessa incuriosita, mentre sedeva, mano nella mano, col marito.
"Sì, ed anche di
quelli del granduca. Andai nella galleria a cercare, nei tratti dei vostri
genitori, quelli di un eventuale figlio illegittimo, ma non trovai nulla;
finché non vidi il ritratto della madre di Tommaso. Gli somigliava molto,
tranne che per gli occhi: lei li aveva castani scuri, mentre il figlio li aveva
chiari, verdi. Come i vostri eccellenza, quelli di vostra sorella e
soprattutto…" fece una pausa. "…quelli di vostro padre, da cui, tutti
e tre, li avete ereditati." Concluse soddisfatto.
"Complimenti,
Aguilon." Il granduca, che pur aveva inizialmente diffidato di lui, ora lo
elogiava pubblicamente. Felipe ne era contento. A questo punto tutti si
alzarono pronti a tornare a dormire, ma, mentre si avvicinavano alla porta,
Costanza chiamò lo spagnolo, prendendolo per la manica. Il giovane si voltò,
facendo fermare anche gli altri.
"Felipe."
Disse. "C'è ancora una cosa che non abbiamo chiarito."
"Mi sembrava di
avervi detto tutto."
"Non riguarda
direttamente la faccenda di Tommaso. Io parlavo di Maddalena di Giovanni dal
Pino. Non abbiamo capito come sia andata veramente la sua storia, e del suo
corpo cosa n'è stato?"
"E' vero, non
siete riuscito a scoprire nulla, Felipe?" la sostenne Isabel.
"Mie care
signore." Rispose il giovane. "Lasciamo che la povera Maddalena
riposi in pace, in qualunque luogo sia il suo corpo. Se volete avere l'animo in
pace, ogni tanto, dite una preghiera per lei."
"Sì, Aguilon ha
ragione. E' ora di farla finita con questa storia." Aggiunse il granduca.
Le due giovani dame rimasero un po' deluse, ma dovettero rinunciare ad
insistere.
Quella parte di notte
rimasta Felipe la dormì finalmente tranquillo. Ogni pensiero aveva abbandonato
la sua mente, finalmente poté pensare solo a stesso. Ed alla buona cucina della
cuoca catalana di sua madre. Ora poteva tornare a casa senza timore, il
principe José non gli avrebbe torto un capello.
Il mattino dopo si
presentò come una giornata splendida: sole e vento fresco, perfetto per
viaggiare. Aguilon preparò i bagagli, non aveva molta roba; poi fece colazione
con i suoi ospiti e quindi si apprestò a salutarli.
Nella spianata davanti
al palazzo, un piazzale leggermente in discesa coperto di pietra serena, Felipe
salutava il granduca, sua sorella, il conte Paolo e la fantesca. Mentre stava
per salire a cavallo arrivò di corsa la granduchessa, con una lettera.
"Aspettate,
Felipe!" gridò la giovane, reggendosi il petto.
"Mia cara, non
dovresti correre così." La rimproverò il marito.
"Temevo di non
fare in tempo, che il nostro amico andasse via." Si fermò, ansimando.
"Mia signora,
sarei rimasto anche un altro giorno, pur di farmi chiamare 'amico' da
voi." Disse Felipe, avvicinandosi per baciarle la mano.
"Vi volevo consegnare
questa." Isabel gli dette la lettera. "E' per mio padre. Una
raccomandazione per voi. Gli chiedo di farvi capitano."
"Non
dovevate." Rispose Felipe, emozionato, stringendole le mani.
"Era il minimo
che potevamo fare, avete salvato la vita ad entrambi. L'ho firmata
anch'io." Concluse il granduca.
"Grazie, non so
dire altro." Detto questo salì a cavallo, li guardò un'ultima volta con
gli occhi lucidi, e prima di andare rivolse un altro saluto a Costanza.
"Arrivederci, mia
cara. Salutatemi vostro marito." Non c'era niente di malizioso nella sua
voce, fortunatamente.
"Non
mancherò." Rispose lei, con un sorriso.
Felipe Aguilon spronò
il suo cavallo e levando la mano, per salutare definitivamente, partì verso il
ponte per uscire dalla città. L'Italia era un paese veramente bellissimo, e
questa esperienza l'avrebbe ricordata a lungo. Soprattutto non avrebbe
dimenticato il granduca, un grande uomo ed un grande sovrano, la dolce Isabel e
Costanza, in special modo, donna veramente coraggiosa. A tutto questo pensava,
mentre cavalcava verso casa; il viaggio sarebbe stato lungo, ma l'estate era
ancora tra i rami degli alberi.