His John Watson

di Sacchan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A study in Pink ***
Capitolo 2: *** The Blind Banker ***
Capitolo 3: *** The Great Game part. 1 ***
Capitolo 4: *** The Great Game part.2 ***
Capitolo 5: *** The Lost Year ***
Capitolo 6: *** The Woman ***
Capitolo 7: *** The Hound of Baskerville ***
Capitolo 8: *** The Reichenbach Fall ***



Capitolo 1
*** A study in Pink ***


His John Watson
the story of Sebastian Moran

Chiedete in giro di Sebastian Moran e se siete fortunati scoprirete che mi hanno cacciato dall'esercito -nessun congedo per merito o per motivi medici, no signore, proprio cacciato- e se siete bravi, e ovviamente avete in tasca un bel po 'di soldi, vi diranno che sono il miglior cecchino in circolazione. E non lo dico per vantarmi, ma perché è un dato di fatto. Altrimenti per quale altra ragione mi avrebbero cacciato dall'esercito, se non perché mi divertivo un po' troppo a fare fuori i bersagli che mi venivano assegnati? Insomma, se non mi fossi divertivo nel farlo, perché avrei dovuto seguire gli ordini come una scimmietta ammaestrata? Per me era logico, per i miei capi era sintomo di un qualche squilibrio mentale, uno di quelli da cella di isolamento a vita natural durante.
Prima ti danno la pistola, il fucile, ti insegnano a calcolare la distanza, il tempo, le condizioni atmosferiche e poi, appena prendi confidenza, ti portano via i giocattolini.
Oh, qualcuno me lo sono tenuto, parliamoci chiaro. Chiamiamola liquidazione.
Dovevo pur trovare un modo per andare avanti no? Non si può andare a pensione verso i 30 anni, quindi mi sono arrangiato.
E così mi sono ritrovato a gironzolare per l'Inghilterra a fare fuori gente che altra gente riteneva scomoda. A me non importano le motivazioni, non prendetemi per un moralista: i soldi sono soldi.
Quindi mettetevelo bene in testa: non mi vedrete mai dubitare, mai esitare, mai chiedere perché; mi vedrete solo sparare, prendere i soldi e andarmene. Anzi, non mi vedrete, altrimenti la mia reputazione sarebbe infondata.
Prendetela come premessa, e accontentatevi: per la storia che vi sto per raccontare questo vi basta e vi avanza. Non vi interessa di come ho iniziato, di chi sono i miei clienti, di come ho vissuto, di chi ho ucciso, di chi ho graziato.
Tutto questo non ha senso. Lo ha avuto un tempo, forse, ma ora...ora è tutto inutile.
Dopo aver conosciuto James Moriarty, qualsiasi cosa successa prima perde qualsiasi valore.

 

I. A STUDY IN PINK

Se avete letto il blog dell'adorabile Dottor John Hamish Watson -cosa che presumo abbiate fatto, altrimenti perché diavolo stareste leggendo questo post?- avrete famigliarità con il nome Moriarty, o magari avete seguito il processo perché vi era coinvolto l'eroe di Reichenbach, Sherlock Holmes. Ma solo nel primo caso riuscirete a seguire la storia, nel secondo caso...allora aveva ragione Jim: se pensate che Richard Brook fosse reale, siete tutti degli idioti.
Tentare di descrivere Moriarty è un' impresa titanica, ma giusto per non farvi brancolare nel buio immaginate un'ombra, quella che vi teneva svegli da bambini, quell'ombra che vi sembra di vedere ogni tanto camminando per la città, quell'ombra che appena pensate di aver visto è già scomparsa.
Si, più o meno è così, niente caratteristiche inquietanti e da mostro. Un'ombra senza corpo fa abbastanza paura e rende l'idea.
Ma non è nemmeno assolutamente così.
Forse andare in ordine è la cosa più semplice.
La prima volta che incontrai James Moriarty, ero da poco tornato da uno dei miei soliti lavori di routine e, beh, non pensavo mi sarei potuto divertire così tanto dopo aver già fatto fuori qualcuno.
Ero ritornato dal nord del paese con uno stupido aereo che non voleva saperne di fare il suo lavoro e volare in maniera decente - io odio gli spostamenti, sono la parte più noiosa del mio lavoro, è solo una perdita di tempo e di denaro- e l'unica cosa che volevo fare era tornare a casa e decidere come spendere un po' della paga, una cosa tranquilla, perfino noiosa.
Perfino prendere il taxi era una cosa così comune che non avrei mai immaginato avrebbe reso memorabile la serata.
Al diavolo, quel taxi ha reso memorabili gli ultimi mesi della mia vita.
Ora vi starete chiedendo: sei un cecchino, ti pagano bene, come minimo devi avere una signora macchina, uno di quei modelli costosi, che fanno girare la testa alle ragazze per vedere chi è che se la può permettere.
Ovvio che ce l'ho. E proprio perché è una macchina di classe non la lascio all'aeroporto. Ci tengo alle mie cose.
Quindi il piano era questo: prendere il taxi fino alla macchina e poi proseguire normalmente.
Piano che andò a farsi fottere quando quel tassista, un vecchio con la faccia da topo, imboccò tutta un'altra strada e fermò il taxi nel bel mezzo del più fottuto nulla.
"Siamo arrivati." Disse da copione, solo che non eravamo nemmeno lontanamente vicini alla destinazione.
"Non lo siamo, vecchio." gli risposi a malo modo. Non conosco tutte le strade di Londra, ma non potete fregarmi sui tetti. Riconosco la zona da che tipo di tetto ha. E per esperienza personale, se capite che intendo.
"Oh, si invece." il vecchio si girò, mi guardò con i suoi occhietti scuri e piccoli, semi nascosti dal cappello, e tirò fuori una pistola. Dio, sarei scoppiato a ridergli in faccia se non fossi così educato. "Scendi."
"Non credo proprio." incrociai le braccia e mi sistemai meglio sul sedile, comodo comodo. In realtà ero già con la mano destra piazzata sulla mia adorata Browning HP  "Dovrei farlo perché mi minacci con una pistola?"
"Non era ovvio?" scese e venne ad aprirmi lo sportello, che cavaliere! "Scendi.” ripeté con un gesto annoiato della pistola. Io non avrei mai maneggiato la pistola con tanta non curanza. E' la regola base: mai perdere la mira. Mai.
"Vecchio." Girai la testa verso di lui, poi guardai la pistola. "Se vuoi minacciare le persone, fallo con una pistola che sia vera."
"Oh, ma questa lo è." Sorrise come se il suo bluff non fosse appena stato scoperto.
"No, non lo è." quindi tirai fuori la mia pistola dalla giacca e gliela puntai contro. "Ma questa sì, fidati."
Scesi dal taxi tenendolo a tiro, gustandomi la sua faccia ebete. Non c'è nulla di meglio che vedere la faccia di qualcuno quando gli punti contro una pistola: perdono qualsiasi maschera, qualsiasi bugia cessa e rimane solo la vera facciata: un piccolo, povero, miserabile, pezzo di carne la cui vita è appesa ad un filo.
"Il gatto ti ha mangiato la lingua?" finalmente mi concessi una risata, senza perdere la mira. "Dimmi, avevi intenzione di farmi fuori, derubarmi o cosa?"
Lui balbettò qualcosa, ma devo ammettere che si ricompose immediatamente. Piuttosto notevole.
"Niente di tutto ciò." Sorrise, il vecchio. "Volevo fare una sorta di gioco."
"Con una pistola finta?" risposi al sorriso, cosa che di solito spaventa maggiormente chi è sotto tiro -forse perché mi fa sembrare davvero squilibrato- "Ne conosco uno con una pistola vera, si chiama roulette russa, vuoi provare?"
"No." il modo in cui riuscì a mantenere la calma, ammetto, era quasi destabilizzante. "Qualcosa di simile, in ogni caso." portò una mano alla tasca del giubbotto e io tesi di più il braccio, ricordandogli che ero io a decidere cosa poteva fare.
"Non ti ho detto che puoi muovere le mani."
"Volevo solo prendere queste." innocentemente mi mostrò due boccettine con dentro una manciata di pillole.
"Che c'è, sei malato?" e lo era, come ho scoperto dopo da fonte autorevole.
"Si tratta di un gioco di probabilità che faccio con i miei clienti." Mi spiegò come se stesse valutando se farlo oppure no, poi lanciò una occhiata alla pistola e decise che non ne valeva la pena. "Ma con te, credo non sia il gioco adatto."
"No, non lo è." mi agitò praticamente le fiale davanti al naso per farmi cedere. Fortuna che non sono un tipo troppo curioso, non con la pistola in mano almeno. Davvero, oggi giorno la gente tenta di venderti di tutto sperando che ti interessi.
"Peccato." disse,  semplicemente, con il tono di chi cerca di intrappolarti con l'indifferenza.
"Non un'altra parola." Lo fermai subito. "Mi hai stufato. Ora tu mi porti dove ti ho chiesto, ci scordiamo questa storia, e cerchi di fare fuori qualcun altro."
Capiamoci, non sono un tipo da sprecare pallottole su un povero tassista sfigato. Ogni pallottola è soldo contante che mi entra in tasca, quindi perché dovrei usarle se non necessario?
Ovviamente mi portò alla mia macchina, e ovviamente non gli pagai nemmeno la corsa. Anche se avrei dovuto calcolando che, diavolo, mi ero proprio divertito. Una scossa di adrenalina inaspettata fa sempre piacere. Spezzare un po' la monotonia non è male, anzi, è quasi rigenerante.
Ma la monotonia non è più una parola adatta alla mia vita -o forse tornerà ad esserlo molto presto, ma non voglio pensarci-, non lo è da quando, il giorno dopo l'incontro con il tassista, ho ricevuto un sms.
Di solito i miei clienti mi chiamano per offrirmi un lavoro, ma ricevere istruzioni anche solo via sms non è insolito, quindi non mi sono sorpreso che squillasse dal nulla, né mi sono sorpreso quando non ho riconosciuto il mittente. Di solito ogni nuovo lavoro inizia così. Quindi immaginatevi con quale calma e con quale assoluta naturalezza ho preso il cellulare e ho letto quel messaggio.
Solo che, non era un messaggio come i solito. Quando l'ho lessi non potevo sapere che avrebbe significato l'inizio di una nuova vita.
Non che dicesse molto, ma anche quello era assolutamente nella norma. Recitava.

Ho un lavoro per voi che vi piacerà.
JM.

E diavolo se aveva ragione.


 

Un paio di messaggi dopo e decidemmo dove incontrarci. Quel giorno non potevo ancora saperlo, ma ci incontrammo nel suo appartamento -quello che qualche settimana dopo divenne il nostro appartamento per tacito accordo-, non in qualche posto scenografico come lo avrei visto fare nei mesi successivi. Beh, era un affare importante per lui, quindi valeva la pena rimanere al sicuro nelle mura di casa sua.
Jim ha un gusto quasi morboso per la moda, ma in quanto ad arredamento è un tipo molto semplice, soprattutto tenendo conto delle sue finanze. Semplicità che viene compensata dalla quantità di mobilio: solo il soggiorno ha due divani e due poltrone, una intera parete a libreria, uno scrittoio, un'altra parete con la sua collezione di dischi e il tavolo per il giradischi, un altro tavolo con un paio di telefoni (ogni tanto ne ho fatto sparire qualcuno, giusto per avere un minimo di tranquillità. Quando si mettevano a squillare tutti insieme, tipo centralino, il mio istinto omicida veniva messo a dura, durissima prova.), un'altro tavolo con sopra la tv e la radio. Io ve l'ho descritta in ordine, secondo il senso logico che dovrebbe avere, ma a vederla come stanza è decisamente confusionaria, troppo grande e senza coerenza di tutti quei minimi spazi. Contento Jim, comunque, contenti tutti, funziona così. Anche perché chi non è contento viene fatto fuori, spesso da me.
Non so bene chi mi ero aspettato di incontrare, per me le iniziali JM non avevano alcun significato, ma di sicuro non mi aspettavo di incontrare un tipo come Jim. Al primo sguardo mi sembrò troppo ordinario per essere una persona interessata ad assoldarmi.
Devo specificare che mi ero clamorosamente sbagliato?
Fu lui in prima persona ad aprirmi la porta, mi squadrò e assunse un'espressione divertita.
"Sebastian Moran." disse semplicemente, come se mi conoscesse da una vita. Oh, ovviamente era così, ma ci arriveremo. "Dimmi, Mr. Crab ti ha fatto uccidere Mr. Herondale per poterne sposare la vedova o per riprendersi la compagnia?"
"Come..." di solito certe informazioni non diventano di dominio pubblico, quindi riuscì a prendermi in contropiede.
"Come faccio a saperlo?" roteò gli occhi mentre entravamo nel sopracitato soggiorno. "Dovresti preoccuparti se non lo sapessi."
"Sono informazioni confidenziali." ribattei io sulla difensiva.
"No, nessuna informazione è confidenziale." si lasciò cadere su una delle due poltrone, sbuffando come un ragazzino. "Siamo nell'epoca del Grande Fratello! Non esistono segreti o informazioni confidenziali."
Non per lui, almeno.
"Quindi, per la vedova o per la compagnia?" mi chiese di nuovo.
"Dovreste sapere anche questo, no?"
Non mi rispose, si limitò a sorridermi, facendomi capire che sapeva quello e anche tutti i retroscena della storia. Magari sapeva anche che avevo dovuto inseguire il bersaglio per due giorni interi, facendomi fare fesso da un uomo di mezza età troppo paranoico per darmi una buona occasione per colpire.
"Sono lavori noiosi, vero?" non era realmente una domanda. Ecco, una delle prime cose che ho imparato di Jim, che imparai già da quel primo incontro: le sue domande sono solo affermazioni. "Tutti uguali, metodici, tutti con lo stesso risultato." storse il naso. "Il classico esempio di lavoro alienante."
"Io mi diverto." replicai onestamente.
"Oh, è ovvio." Continuò a sorridere. "Altrimenti l'esercito britannico avrebbe continuato ad utilizzare i tuoi servigi, invece di cacciarti. Scelta radicale che di solito tendono ad evitare. Devi proprio averli sfidati molto apertamente per non lasciargli possibilità di prendere altre scappatoie."
Nemmeno quella era una notizia di dominio pubblico, non apertamente almeno, qualche cliente lo era venuto a sapere, per una pura questione di affari, ma erano passati abbastanza anni perché i miei clienti mi assoldassero per i colpi portati a segno, senza preoccuparsi del come e del perché sapevo usare un fucile di precisione.
"Evidentemente." cercai di capire quanto sapesse di me e quanto stesse tirando ad indovinare, ma non ci riuscii, non che mi importasse realmente. "Sapete parecchie cose sul mio conto, io so solo le vostre iniziali."
"E comunque sono bastate per portarti qui." sottolineò lui, poi mi indicò la poltrona davanti alla sua. "Siediti, Sebastian" nonostante la voce sottile e fintamente cortese, l'ordine fu ben chiaro.
"Non sono state le iniziali, ma il lavoro." precisai io sedendomi. Non potevo sapere che quello scenario sarebbe diventato famigliare, la consuetudine per noi due, ma è la riprova che le abitudini si prendo da subito, istintivamente.
"Dritto al nocciolo del problema." commentò lui atono. "Dritto per la tua strada, con un bel paio di paraocchi nel caso qualcosa possa distrarti."
"Solitamente è quello che mi viene richiesto, alla gente non piace quando inizi a chiedere perché devi fare fuori qualcuno. Anche se finiscono sempre col dirtelo."
"Non offenderti, ora." tutta quella gentilezza che mostrava era studiata al millimetro, un abito cucito su misura come il Westwood blu notte che aveva addosso. Non è il momento di parlare dell'ossessione di Jim per la moda, ma ci tengo a dire da subito che era una grandissima parte della sua personalità: l'ho visto pensare per ore a cosa indossare. L'abito fa il monaco, e Jim ne era consapevole. "Non è nemmeno colpa tua, se ti può far stare meglio: anche se cacciato, rimani un soldatino."
Cosa che non potei negare apertamente."Il lavoro." ripetei semplicemente.
"E va bene." sbuffò, come se la cosa lo infastidisse -e probabilmente era esattamente così-. "Tu non hai idea di chi io sia, vero Sebastian?"
"Nessuna." Confermò. Oh, non che ora ce l'abbia, sia chiaro.
"Questo perché non fai domande e vai dritto al nocciolo del problema." commentò deluso. "Se tu avessi ascoltato, invece di limitarti a fare il tuo lavoro, potremmo saltare questa noiosissima parte."
"Ascoltato cosa?"
"I sussurri, Sebastian." si strinse nelle spalle. "Non ti sei accorto che gli ultimi..." contò brevemente storcendo il naso. "..sei lavori avevano un denominatore comune?"
No, non me ne ero accorto, e lui me lo lesse in faccia.
"Perché nessuno presta mai attenzione ai dettagli." si lamentò passandosi una mano sul volto. "Non è difficile, sono lì in bella vista e tutti li ignorano! In ogni caso, tornando a noi. Ti ho messo alla prova."
"Cos'è, siamo tornati alle elementari?" era una eventualità ridicola, non dopo tutti gli anni di onorato servizio, intendiamoci.
"No, era una prova per passare al livello successivo." tornò a sorridere, ma i sorrisi di Jim sono sempre così inquietanti che non mi aiutò minimamente. Non so come spiegarvi la sensazione: quell'uomo sembrava sapere tutto di me, sembrava tenere tra le mani il segreto stesso della mia esistenza. E ancora oggi lo penso, a dirla tutta, e delle volte penso che in qualche modo se sono quello che sono è per che lui ha voluto così, che io fossi solo parte di un piano che aveva iniziato a programmare anni e anni e anni addietro. Ma magari sono solo paranoico. "E l'hai passata brillantemente, per onor del vero. Non che mi aspettassi diversamente, non da te. Sei abbastanza famoso per esserti guadagnato un briciolo della mia fiducia, ma dovevo essere sicuro. Sapere se eri l'uomo per questo lavoro, o uno dei tanti. Non potevo certo farmelo dire dagli altri, gli altri sono tutti dei plateali idioti, non vedo perché dovrei fidarmi di loro; quindi dovevo metterti alla prova. Sei uccisioni da manuale, ma non mi bastavano."
"Una settima?"
"No, non dire fesserie. Ovvio che ucciderai ancora ma non sarà per prova, no. Avevo bisogno di conoscerti. Vedere con i miei occhi."
"Cercando cosa?"
"L'assoluta mancanza di rimorso e di coscienza." parole così pregne di significato per lui erano solo parole, le disse come se fosse assolutamente naturale non provare rimorso ad uccidere persone.
Non gli chiesi che risposta aveva avuto: eravamo ancora lì a parlare, dopotutto. E poi non voglio prendere in giro nessuno: non sono il tipo di assassino che dopo l'uccisione dice una preghiera per la sua vittima. Non prego più neanche per la mia anima. Quella è roba da grandi romanzi, non accade nella realtà.
"James Moriarty." si presentò finalmente e, so che sembra ridicolo dirlo, ma quel nome mi mise i brividi. Era un nome che non prometteva assolutamente nulla di buono, un nome altisonante, importante. Un nome di una persona adatta a grandi cose. "Ma puoi chiamarmi Jim."
"Non ne vedo il motivo." replicai stringendomi nelle spalle. "Qual è questo lavoro tanto importante?"
"Vedi Sebastian, mi considero un benefattore del crimine. Alcuni individui non sanno neanche da dove iniziare, altri non vogliono rimanere troppo immischiati, quindi ci penso io. Far sparire mogli, uccidere fidanzati, creare nuove identità, far saltare in aria un ristorante per incassare l'assicurazione, rubare informazioni dei servizi segreti, ricattare il primo ministro: nulla è un problema. Non c'è problema che non riesca a risolvere e per questo i suddetti individui si rivolgono a me, io li accontento e tutti siamo felici." fu quello che più meno mi disse con assoluta calma. "Ma io sono solo la mente, io trovo la soluzione, ma questo non basta, oh no. Qualcuno deve anche mettere in atto i miei piani per arrivare allo scopo. Non mi piace sporcarmi le mani, Sebastian, è così poco...elegante." storse il naso e scosse la testa.
"E qui entro in scena io." quella era la parte semplice da capire. "Ma se fosse un lavoro come un'altro non mi avreste messo alla prova."
"Non è un lavoro come un'altro." i suoi occhi brillarono per un breve istante. "Quando tutto è così semplice, ci si annoia, e io sono annoiato a morte. Sai dirmi cosa fa una persona quando si annoia, Sebastian?"
"Si cerca un hobby?"
"Trova qualcuno con cui giocare." rispose senza neanche ascoltare la mia risposta. "Sto per iniziare un gioco Sebastian, un gioco che richiede abilità e pazienza, un gioco in cui nessun elemento può essere lasciato al caso, un gioco in cui anche chi tiene il fucile è  basilare."
"Solitamente, è così." gli feci notare. Non chiedetemi descrivermi le mie sensazioni, perché sarebbe impossibile. Avevo davanti un folle, era l'unica cosa di cui ero sicuro, un folle pericoloso perché tutto ciò che diceva aveva senso, eppure ero curioso. Una falena attratta dalla luce. Sappiamo come finisce, però, la falena si brucia.
"No, no, non essere stupido." sbuffò, "E' il piano che fa la differenza. Senza trappola l'esca non ha senso."
"Quindi quale sarebbe il mio lavoro?"
"Ho aspettato una vita intera di trovare qualcuno degno di giocare con me, potrei dire che è il momento più importante della mia esistenza. Nulla deve essere lasciato al caso, devo avere al mio fianco qualcuno di cui possa fidarmi."
"Delle cui abilità possiate fidarvi." lo corressi. Era il solito discorso che mi ero sentito dire un milione di volte.
"Ho bisogno di qualcuno che si sporchi le mani per me e che segua i miei ordini, Sebastian, però essere il migliore sulla piazza non è ciò che ti ha garantito il posto."
"E cosa allora?"
"Essere il meno stupido."
Il meno stupido. Avevo perfino scordato che me l'aveva detto sin dal nostro primo incontro. Essere il meno stupido era già un grosso traguardo agli occhi di Jim, perché solitamente il resto del mondo è costituito da idioti lobotomizzati. Io invece ero il meno stupido. Mi sarei dovuto sentire lusingato, probabilmente, ma non l'ho mai fatto, non gli ho mai dato il giusto peso, vivendolo sempre e solo come un insulto. No, non un insulto, come un non-apprezzamento.
"Mi sembra un lavoro piuttosto facile." commentai sorvolando sullo stupido. "E a giudicare dalla casa direi che potete anche pagare bene, si può fare."
"Pardon?" sbatté le palpebre sorpreso. "Si può fare?" ripeté le mie parole e poi aggiunse "Ho mai lasciato intendere che la questione fosse negoziabile?"
"Solitamente..."
Non feci in tempo a finire quella prima parola che Jim aveva ripreso a parlare. "Togliti quella parola dalla testa, Sebastian Moran. Non è il solito lavoro, io non sono il solito cliente, tu non sei il solito cecchino. Quello che sta per iniziare non è solito, è insolito. E' unico. E farai bene a ricordartelo."
Credo che fu in quel momento che iniziai a provare la sottile paura che mi sarei sempre portato dentro stando a fianco di Jim: non l'ho mai mostrata, ma sapevo che c'era. Quel tono duro, tagliente, anche se inquietantemente calmo, una perenne minaccia...il tono di un serpente pronto a mordere inaspettatamente. Avere paura di Jim non era un segno di debolezza, era essere consapevoli di essere al fianco dell'uomo più pericoloso d'Inghilterra.
"Inteso." borbottai.
"Il messaggio diceva: ho un lavoro per voi che vi piacerà, non voglio offrirvi un lavoro che potrebbe piacervi. Affermazione, nessuna traccia di condizionale."
Mi limitai ad annuire e lui sembrò soddisfatto di quella ramanzina. Ammetto che l'avrei voluto comunque prendere a pugni, paura o no. Durante quel primo incontro fu arrogante, superiore, troppo sicuro di sé, troppo bravo nel sminuirmi; e onestamente odio essere sminuito, ma dall'altro canto, un lavoro non si rifiuta mai.
"Bene, ci siamo intesi, meraviglioso. Ora puoi andare." con entrambe le mani fece segno di allontanarmi, neanche fossi una mosca fastidiosa. "Naturalmente, non prenderai altri lavori, almeno che non sia io a dirtelo."
"Perché avevo l'idea che l'avreste detto?" chiesi ironico alzandomi dalla poltrona. "So la strada, non disturbatevi." e mi allontanai. All'eccentricità ci si abitua, a forza di vivere di lavori santuari,
"Ah, Sebastian." mi chiamò prima che potessi sparire oltre la porta. "Deludimi e ti faccio cavare gli occhi dalle orbite dal tuo sostituto."
Non so ancora se mi fece più paura l'eventualità che mi fossero cavati gli occhi o che qualcun'altro prendesse il mio posto.




 

Jim non si fece sentire per settimane e io mi annoiai a morte. Rifiutai un paio di lavori e sapere che qualcun'altro era a Praga o Bristol al posto mio mi fece imbestialire. La cosa divertente è che continuai a dirmi che avevo tra le mani un lavoro di gran lunga più importante senza sapere esattamente in cosa consistesse. Ovviamente feci delle ricerche sul mio nuovo datore di lavoro, contattando di nuovo i miei ultimi contatti e infrangendo qualsiasi regola base del mio lavoro; scoprii che tutti erano ricorsi a Jim per risolvere delle questioni e che chiamare me -non altri, ma mè(me)- era parte dei consigli che Jim gli aveva dato. Il bastardo mi aveva davvero messo alla prova e io non mi ero accorto assolutamente di nulla. Ma se fosse così facile accorgersi dell'operato di Jim, non sarebbe  la grande mente criminale che è, dopotutto.

Come ho detto, Jim non si fece sentire per settimane, fino al 26 di Gennaio, quando ricevetti un'altro messaggio.

Ti trasferisci qui.

Vieni al mio appartamento.

Ora.

JM

La concezione di "ora" di Jim e la mia differiscono particolarmente, visto che la mia contempla un tempo minimo di spostamento. Avrebbe dovuto scrivere "teletrasportati" così avrebbe evitato di farmi una scenata la sera stessa.

Quel giorno scoprii un'altra delle grandi prerogative di Jim: non farsi mai prendere di sorpresa, ma tenere tutto e tutti sotto controllo. Non ero neanche arrivato davanti alla porta di casa sua che mi arrivò un'altro messaggio:

E' aperto.

JM

E io entrai. Non chiedetemi come faceva a sapere che io ero lì, davanti alla porta come un idiota, e non chiedetemi come fa un genio del crimine a lasciare la porta di casa aperta. Onestamente, io preferisco pensare che l'avesse lasciata aperta apposta per me. No, non iniziate a farvi strane idee, a quel tempo non c'era nessun sintomo di quello che sarebbe successo dopo; penso solo che Jim sia un maestro nel creare le atmosfere più adatte. Mi sentii osservato,(spazio)destabilizzato, e sono sicuro che era ciò che voleva.

L'appartamento era nel totale caos, tutto l'ordine e la precisione che vi avevo trovato erano spariti, finiti chissà dove, anche qualche mobile aveva fatto una brutta fine, rimpiazzato da altri completamente differenti. Come ho detto Jim è un maestro nel creare atmosfere: entrando nell'appartamento mi sentii travolto da un tornado. Quel posto sembrava abitato da una persona diversa da quella che avevo conosciuto.

"Sei in ritardo, Sebastian." la voce provenne chiaramente dal soggiorno e in quella direzione mi incamminai dopo aver chiuso di colpo la porta in segno di protesta.

"Sono arrivato il prima possibile." replicai scocciato. Non sono un viziato, ma i miei clienti mi trattano in modo completamente diverso. Di solito però è perché hanno paura e di sicuro Jim non aveva motivo per avere paura di me. Insomma, un uomo del genere di cosa può avere paura?

"La prossima volta, fai prima," concluse con una occhiataccia.

Come ho detto l'appartamento sembrava abitato da una persona diversa e beh, Jim sembrava diverso. Con addosso una semplice t-shirt e jeans non sembrava minimamente la mente criminale che avevo incontrato. Aveva una aspetto orribile, di sicuro non dormiva da giorni, ma le energie non sembravano mancargli. Era in uno stato febbrile che lo rendeva anche più inquietante.

Fu solo dopo qualche secondo che notai il muro tappezzato di ritagli di giornali e foto. Una intera parete, non un centimetro lasciato scoperto, ricoperta dalla stessa identica faccia. I titoli dei giornali che riuscii a leggere parlavano tutti di casi che la polizia, ma nulla di eclatante, la maggioranza delle foto invece erano chiaramente state scattate di nascosto. Conosco il genere di foto, sono foto del genere che mi vengono passate in fascicoli totalmente anonimi prima di un lavoro.

"Il mio bersaglio?" chiesi quando capì che Jim non voleva saperne di dirmi qualcosa.

"Non se ti piace respirare."

Roteai gli occhi e mi dissi di abituarmi ai suoi modi, il che equivaleva a tenere la bocca chiusa e non rispondere.

"E allora chi è?" domandai comunque continuando ad osservare la parete. Erano quasi tutti casi di omicidio, fatta eccezione per qualche sparizione, e tutti risolti da un certo detective ispettore Lestrade, ma la sua faccia non era quella dell'uomo delle altre foto. Non sarebbero potuti essere più differenti, quindi mi chiesi davvero quale diavolo fosse la connessione.

"Il mio compagno di giochi." mi rispose Jim con un tono che definirei vellutato. Non dovette specificare di quale gioco stessimo parlando, era palese che stavamo semplicemente continuando il discorso di qualche settimana prima. "Sherlock Holmes."

Fu la prima volta che sentii quel nome e da allora, dopo il mio nome, è quello che ho sentito dire più spesso a Jim nell'ultimo anno e mezzo; l'ho sentito così tante volte da esserne quasi nauseato, giuro. Purtroppo non è valida la regola per cui ripetendo moltissime volte di seguito la stessa parola essa perde di significato. Oh no, il nome di Sherlock Holmes semmai ne acquista uno nuovo ogni volta che viene pronunciato.

"Che razza di nome è Sherlock?" commentai staccando una delle foto dalla parete, e stranamente Jim non disse nulla su quella piccola libertà. Per abitudine ne studiai le fattezze: sì aveva qualche caratteristica particolare, l'essere pericolosamente magro, gli zigomi particolarmente pronunciati, ma nulla che mi lasciasse capire perché Jim se ne fosse interessato. "Come mai lui?"

Regola numero uno: se si deve fare una domanda a Jim, che sia pertinenze e calzante.

"Perché è l'unico con cui io possa giocare." mi strappò la foto di mano e la rimise a posto, un gesto che mi sembrò quasi geloso. Non so quale utilità avesse quel collage sulla parete, ma sembrava vitale per Jim in quel momento. "L'unico alla mia altezza, Sebastian, l'unico che sia un degno avversario."

"Un'altra brillante mentre criminale?" ne ero quasi convinto, ma decisi di chiedere comunque. Dare qualcosa per scontato è più o meno un suicidio quando si vive con Jim.

"Non essere ridicolo." rise quasi, e rise della mia stupidità. "Semmai è il contrario. Lui è il buon samaritano, aiuta la polizia quando brancola nel buio. No, no, così lo faccio sembrare troppo buono." si fermò improvvisamente. Divenne quasi una statua mentre la sua mente elaborò il pensiero successivo. "Lo fa perché si annoia, come me, non perché vuole aiutare la polizia. Lo fa perché deve far lavorare il cervello."

"Okay, abbiamo appurato che siete più o meno come il polo nord e il polo sud." tagliai corto io prima che Jim potesse iniziare una lunghissima spiegazione. Non so perché, ma avevo la sensazione che avrebbe potuto parlare di Sherlock per ore. Ma chi voglio prendere in giro? Ne avrebbe potuto parlare per giorni. "Ma se non devo farlo fuori, perché mi ha chiamato?"

"Perché il gioco sta per iniziare, e di conseguenza anche il tuo lavoro." mi spiegò annoiato. Ai suoi occhi devo essere sempre stato nulla più che un bambino che a malapena si regge in piedi, ma almeno non sono mai stato noioso.

"D'accordo..." borbottai vedendolo scomparire oltre la porta della cucina. "Ma di preciso che devo fare?"

"Oh, per ora nulla." mi rispose circa cinque minuti dopo, quando tornò in soggiorno. Non sto scherzando, dovetti aspettare quella risposta per 5 dannatissimi minuti. "Ora dobbiamo solo aspettare che scatti la molla che azionerà le prossime azioni." aveva tra le mani una tazza di the caldo e capii perché avevo aspettato così tanto. Certo, per lui farsi un the tra una frase e l'altra doveva sembrare assolutamente normale. "Gli ho mandato il mio biglietto da visita." e indicò un'altra foto.

Scoppiai a ridere, di cuore, come non mi capitava dalle scuole superiori -non che nell'esercito avessi avuto molto modo di ridere- "Il vecchio tassista?"

"Il povero diavolo sta per morire." mi spiegò Jim. "E cercava un modo di garantire alla famiglia un minimo di sussistenza, quindi è venuto da me. Gli ho fatto un'offerta decisamente vantaggiosa: ad ogni persona uccisa versavo un piccolo contributo a mamma e figlioli."

"Le pillole." non so come, ma mi rivennero subito in mente quelle stupide boccette e il loro contenuto. Mi rivenne in mente il tassista che mi diceva che voleva solo fare un gioco. Quel povero diavolo era solo una marionetta nelle mani dell'uomo di fronte a me che stava bevendo una tazza di the con assoluta calma.

"Sono sbalordito." commentò quasi compiaciuto. Oh, al diavolo! Lo era davvero.

"E il giorno dopo mi è arrivato il vostro messaggio." continuai senza più alcuna voglia di ridere. "Ve l'ha detto lui o mi stavate osservando?"

"Tutte e due le cose." Jim si strinse nelle spalle e andò verso la grande finestra, contemplò Londra che si muoveva al di sotto, ignara di essere teatro di tali atrocità. "Ammetto che il vostro incontro non l'avevo programmato: ha fatto tutto il fato." e nella sua voce potei sentire una sorta di allegria. "Perfino il fato si adegua ad aiutarmi."

"Non state un tantino esagerando?" commentai perplesso.

"Al contrario Sebastian, sono modesto. Potevo tranquillamente dirti che io e il fato siamo un unico concetto."

Mi morsi la lingua, quasi letteralmente, perché istintivamente avrei voluto dirgli che era uno psicopatico megalomane, ma sapevo che non avrei respirato a lungo dopo una affermazione di quel tipo. A quel tempo non ero ancora affascinato da quei discorsi, dal modo in cui lui vedeva se stesso, ma non lo sarei stato a lungo.

"So che ruolo ho io in questo gioco." cambiai argomento velocemente. "Ma a che vi serve il tassista?"

"Come ti ho detto è il mio biglietto da visita. Suicidi seriali...Sherlock non resisterà alla voglia di risolvere il mistero, capirà che il tassista è la chiave e allora..." si bloccò di nuovo, come poco prima. Nel silenzio dell'appartamento potei quasi sentire il suo cervello elaborare le informazioni -no,anzi, sono convinto che stesse già vedendo come si sarebbero svolti gli eventi, e aspettai. "Allora sarà disposto a morire pur di dimostrare che è abbastanza intelligente da capire qual è la pillola innocua. Cosa che, per inciso, farà sicuramente."

"Ancora non ho capito." mi arresi.

"Pensi davvero che Sherlock non cercherà in tutti i modi di farsi dire il nome di chi ha creato un piano così geniale? Il nostro tassista ha solo un compito realmente. Deve dire solo un semplice nome."

"Il vostro." e fu in quel momento che la cosa iniziò ad affascinarmi. Soprattutto perché poi andò esattamente in quel modo.

"Buffo come un semplice nome possa essere un chiarissimo messaggio."

"Ciao Sherlock, ti va di giocare con me?" continuai io per lui.

"Sebastian, sei anche meno stupido di quanto credessi." si volto verso di me con una espressione incredula sul volto, ma tornò subito serio.

"Però non siete stato onesto." gli feci notare. "Non sono l'unico a cui fate sporcare le mani al posto vostro."

"Geloso?" ci mise una puntina di malizia di troppo, ma la ignorai.

"Ferito nell'orgoglio." Replicai neutro.

"Povero cucciolo." continuò deciso ad avere l'ultima parola.

E improvvisamente sembrò del tutto naturale essere lì in quel soggiorno a punzecchiarsi come se fossimo...amici di vecchia data? Solitamente quando mi viene affidato un lavoro non perdo tempo col committente. Ma Jim l'aveva detto: quello non era il solito lavoro e oramai me ne ero fatto una ragione.

"Dov'è la tua roba, Sebastian?" mi chiese improvvisamente, ma con assoluta calma, sorseggiando il the con meticolosità.

"La mia roba?" chiesi confuso.

"Che problema hai con i messaggi che ti mando?" sbottò seccato. Si allontanò dalla finestra, mi sfilò accanto e scomparve di nuovo in cucina, ma almeno continuò a parlarmi. "Eppure sono molto attento nell'usare un linguaggio comprensibile anche alla gente normale!"

Avete presente quando siete consapevole di essere appena stati insultati eppure non ne siete completamente sicuri?

"Non era chiaro che ti saresti trasferito qui, visto che l'ho scritto?" continuò imperterrito. "Sebastian non amo ripetermi, sia chiaro. Un ordine è un ordine, stupido che ti possa sembrare."

"Sissignore." risposti d'istinto. Erano anni che non rispondevo a qualcuno in quel modo e mi venne in mente quello che Jim mi aveva detto: che ero un soldatino. E lo ero ancora, anche se pensavo di essermi liberato di certe costrizioni mentali da tempo. In realtà avevo solo cambiato vessillo. La mia fedeltà era passata dall’esercito a Jim.

"Sei ancora qui, quindi?" Jim tornò dalla cucina, evidentemente sorpreso di vedermi ancora in piedi come uno stoccafisso.

"Presumo di no." affermai tirando i muscoli della faccia in quello che doveva sembrare un sorriso. Non tentai nemmeno di sembrare convincente, tanto Jim non ci sarebbe cascato.

"Non fare quella faccia. Non dirmi che hai voglia di restare in quel covo dove abiti ora. Oltretutto non so come fai ad essere in arretrato con l'affitto."

No, non mi sorpresi minimamente. Avevo superato da un bel pezzo quella fase.

"Quanto tempo ho per i bagagli?"

"Sei già in ritardo."

Trovai quell'appunto così divertente che uscì dall'appartamento ridendo.

L'appartamento dove abitavo era davvero un buco: soggiorno minuscolo, minuscola stanza da letto, bagno proporzionato al tutto, angolo cottura e fine. Non avevo bisogno di molto altro, onestamente: era davvero solo un covo tra uno spostamento e l'altro. E poi dovevo mantenere l'apparenza di un povero disgraziato che campava con un minimo di liquidazione, visto che tutti nel palazzo sapevano che non avevo alcun lavoro. Ecco spiegato perché ero in arretrato con l'affitto. Jim non è l'unico che sa mettere in piedi grosse messe in scene.

Feci i bagagli alla meno peggio, infilando roba su roba nelle valige, senza troppi pensieri: li avrei dovuti disfare la mattina successiva, che senso aveva mettersi lì ad ordinarli? L'uniche cose di cui mi presi cura erano i miei fucili e le restanti armi, come al solito.

Di solito questo è il punto in cui l'eroe della storia, lasciando un luogo famigliare, si sente sperduto e ciò lo porta a farsi forza in qualche modo: io me ne andai senza tante cerimonie. Ero così abituato ad andarmene da lì che chiudermi la porta alle spalle era diventato un gesto abitudinario. A non essere abitudinarie erano le valigie con i miei vestiti, qualche libro, e qualche altro ninnolo che volevo portarmi dietro. Il resto sarebbe potuto anche bruciare e me ne sarebbe importato poco.

Me ne andai in piena notte, come un ladro, così che nessuno mi avrebbe visto e per tutti sarei semplicemente svanito nell'aria (Jim sarebbe stato fiero di me, probabilmente) , chiudendo magistralmente quel capitolo della mia vita.

Fu così che la mattina successiva mi trasferii da Jim.

Fu così che il suo appartamento divenne il nostro appartamento.

E fu così che divenni a tutti gli effetti una pedina del suo gioco.

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Capitolo 2
*** The Blind Banker ***


II. THE BLIND BANKER

Le prime settimane di convivenza furono semplicemente tremende.
Era da quando avevo "mollato" l'esercito che non avevo diviso l'appartamento con qualcuno. Non sono un tipo da convivenza, è evidente. Provate voi a prendere una ragazza e spiegarle perché in camera da letto, sotto il cuscino, ha trovato una pistola. Fidatevi, è abbastanza imbarazzante come scenario che non mi è mai venuta voglia di provarci. Non che poi ci siano state tante ragazze nella mia vita, anche questo è evidente. Provate voi a spiegarle che no, non l'accompagnerete al matrimonio di sua sorella perché siete in Irlanda a fare fuori qualcuno. Davvero, la mia vita non è proprio delle migliori per quanto riguarda le relazioni stabili. Quindi, non metterei proprio la voce "coinquilino modello" nel mio curriculum.
Però so come si convive, so rispettare gli spazi degli altri fin tanto che rispettano i miei, so anche essere comprensivo.
Il problema è che palesemente Jim non ha mai vissuto con qualcun'altro al di fuori di se stesso. Dovrei quasi essere lusingato di essere stato il primo -e unico-, insomma è un privilegio vivere nella stanza accanto della più grande mente criminale d'Inghilterra, questo lo so da me. Ma sarebbe meglio se la suddetta mente criminale non fosse, per dirne una di tante, decisamente schizzinosa in fatto di cibo.
In realtà è colpa mia, devo ammetterlo. Come ho detto le abitudini si prendono da subito in un nuovo ambiente, lo stesso vale per le cattive abitudini.
Come mi sarà venuto in mente di cucinare per entrambi, me lo sto ancora chiedendo. No, no, forse mi ci ha costretto Jim, non me lo ricordo neanche più. O forse l'ho dato per scontato. Forse ho iniziato a farlo quando mi sono accorto che non mangiava affatto.
Al terzo giorno, quindi, ad ora di pranzo, gli buttai il piatto sotto il naso.
"Che cosa è?" mi chiese annoiato.
"Il pranzo, mangia." non mi preoccupai nemmeno di essere lontanamente gentile.
"Non ti ho chiesto di cucinare, Sebastian." girò la pagina del giornale ignorando beatamente me e il piatto.
"Qualcosa devi pure mangiare." protestai debolmente a bocca piena.
"Vero."girò un'altra pagina. Se fosse stato qualcun'altro avrei pensato che stesse solo facendo una scenata, ma essendo Jim probabilmente aveva già letto le notizie o aveva appurato che non c'era nulla di interessante. "Ma l'alimentazione è funzionale alla sopravvivenza, il mio corpo al momento non ha bisogno di alcuna sostanza."
Lo fissai per un momento e il mio silenzio lo costrinse a guardarmi -evidentemente aveva già capito che non sono tipo che si fa zittire facilmente, anzi forse lo sapeva- "C'è qualcosa nel tuo dannato modus vivendi che non sia calcolato al millimetro?"
"Dovrei anche rispondere ad una domanda del genere?"
Scrollai le spalle e continuai a mangiare senza tanti problemi.
Una cosa buona del convivere con Jim c'è: tranne qualche momento e duranti un lavoro, è tutto sempre molto tranquillo. Mai avuto tanto silenzio in vita mia. E non un silenzio di quelli inquietanti -ci sono ovviamente anche quelli- ma un silenzio calmo, quasi sicuro. Sempre che sicuro sia un aggettivo utilizzabile in queste condizioni.
"Comunque non capisco perché non mangi."
"E io non capisco perché hai cucinato anche per me." continuò a leggere il giornale assorto in qualche notizia che, evidentemente, lo aveva colpito.
"Il fatto che sia un cecchino non significa che non possa anche essere una brava persona." protestai. "Non giudicare le persone dal loro lavoro."
Jim mi lanciò un'occhiata e soffocò una risatina, evidentemente di scherno. Bhe non sono proprio la persona più brava su questa terra, ma non sono di certo la peggiore. Se non mi pagano non ti uccido, è una ottima garanzia sulla vita.
"Da oggi puoi anche morire di fame." sentenziai con una scrollata di spalle prima di portare via entrambi i piatti.
D'accordo, lo ammetto, magari le prime settimane di convivenza sono state pessime anche per colpa mia.
Comunque arrivammo ad un compromesso con Jim riguardo ai pasti: avrebbe fatto colazione tutti i giorni e avrebbe cenato regolarmente nei giorni senza macchinazioni importanti da mandare avanti. Il che è uno dei miei più grandi successi, non ho vergogna nell'ammetterlo. La questione era questa: la digestione procura un apporto maggiore di sangue allo stomaco, rallentando le funzioni cerebrali. Convincerlo che mangiare non avrebbe influito più di tanto sugli esiti dei suoi lavori mi richiese settimane di discussioni. Però vinsi io, tirando le somme, quindi mi reputo più che soddisfatto. E devo dirlo: le migliori cene delle mia vita le ho passate con Jim a guardare vecchi film. Ma questa è un'altra storia.
Se tutti i problemi fossero stati legati al cibo mi sarebbe andata di lusso. Ovviamente quando mai mi va di lusso?
Non parlerò più dei telefoni che squillano a tutte le ore (e quella dannata suoneria. I bee gees. Gli sono scoppiato a ridere in faccia quando mi sono reso conto che non era la radio a passare Stayin Alive, ma era il suo cellulare che squillava. Da allora la mia paga è stata dimezzata.) e nemmeno parlerò del fatto che, improvvisamente, ero diventato l'uomo incaricato di ricevere i clienti in casa. Mi immaginate a fare la personcina a modo e fare gli onori di casa? Ma per favore.
Parlerò delle ore che Jim passava chiuso nella sua testa, lontano dal mondo e da qualsiasi cosa che non fosse il problema che aveva preso in esame. Avete idea di quanto sia estenuante cercare di avere risposte da una persona che non sembra minimante sentirti? Delle volte l'ho chiamato, magari anche per faccende relativamente importanti per i nostri affari, sgolandomi come un'oca, senza ottenere alcun risultato. Altre volte l'ho chiamato per minuti prima di capire che anche se era seduto sul divano era chissà dove con la testa. E' un atteggiamento a cui ci si abitua alla fine, basta capirne i sintomi e tutto fila liscio, ma i primi giorni fu la cosa che trovai più insopportabile. Non aveva semplicemente senso, capite? Chi diavolo è che riesce ad estraniarsi così tanto? Sono sicuro che se gli avessi dato un calcio i suoi riflessi l'avrebbero evitato, ma non avrei comunque ottenuto la sua attenzione.
Non che ci abbia mai provato, sia chiaro.
In ogni caso in un pomeriggio di pioggia e di assoluto far nulla, perché incredibilmente avevo molto più tempo libero lavorando per Jim che con duranti i lavori precedenti, decisi di cronometrare quanto tempo Jim avrebbe trascorso nella sua mente.
Quel giorno in particolare si appropriò della cucina e decise che la superficie del tavolo era più che adatta al suo scopo di estraniamento. Stranamente non leggeva o scriveva mai nulla durante quei viaggi, scoprii solo successivamente che preferiva tenere tutto a mente. Gli chiesi allora perché per Sherlock aveva creato una parete di articoli di giornale (che poi fu rimossa) e quale fu la risposta? Che era annoiato. Non l'ho mai bevuta, in realtà, per me l'ha fatto solo per impressionarmi, o rendermi le cose più semplici. Comunque quel giorno particolare non aveva niente con sé.
Non appena mi accorsi che era uno di quei momenti feci partire il cronometro del mio orologio e aspettai. Nel frattempo mi preparai dei cereali, sistemai una delle sedie del soggiorno appena fuori dalla porta della cucina, così che potessi tenerlo sotto controllo. E mi gustai la scena.
Per due ore e quarantacinque lunghissimi minuti rimasi a fissare un immobile Jim che passava al vaglio del suo raziocinio tutte le eventualità riguardo a chissà quale dei casi in ballo in un religioso silenzio. Più di una volta fui convinto di sentire gli ingranaggi del suo cervello che si muovevano freneticamente, o almeno quella era la sensazione. Non nascondo che fu una esperienza piuttosto inquietante: era come vedere un essere vivente rinchiuso in un involucro di marmo plasmato a forma di essere umano -essere vivente che tentava disperatamente di liberarsi-. Una statua cui solo gli occhi tradivano un guizzo vitale. Non cambiò mai posizione, credo respirasse a malapena, quasi non batté neanche ciglio. Non era umano, perché nessun'essere umano si comporterebbe in quel modo. Tutte le funzioni vitali ridotte al minimo per lasciare alla mente tutta la libertà di cui aveva bisogno.
Non ho mai chiesto a Jim cosa facesse esattamente in quei momenti, ma in quelle ore provai a capirlo.
Arrivai alla conclusione che nella sua piccola scatola cranica riuscisse a costruire interi mondi, a predire ogni eventuale futuro, calcolare ogni variabile possibile, che riuscisse a tenere a mente ogni reazione, che riuscisse a predire ciò che la gente avrebbe detto. Arrivai alla conclusione che nella sua piccola scatola cranica ci fosse un mondo più vasto di quello in cui vivevo, un mondo che per me sarebbe sempre stato inaccessibile, un mondo fatto di millesimali calcoli basati su una vastità inquietante di conoscenze.
Ma mentre la mia mente arrivava a queste conclusioni piuttosto distrattamente, successe qualcosa che mi cambiò radicalmente. Fu la prima volta che mi resi conto di essere attratto da Jim. Attratto dal mondo in cui non avrei mai messo piede, attratto dalla grandezza di quella mente di cui vedevo qualche sparuto barlume nei suoi occhi, attratto dal modo in cui tutto sembrava gravitare intorno a lui, attratto da quei silenzi, attratto da quell'unicità. Attratto da quel mistero a cui non sono mai riuscito a trovare soluzione.
E capii, senza mezzi termini, di essere fottuto
 

.

Volete sapere qual è la differenza tra una attrazione fisica e una attrazione mentale?
L'attrazione fisica è semplice da gestire, non crea grossi problemi: se ti piace la ragazza, e tu piaci a lei ovviamente, te la porti a letto e tutto fila liscio come l'acqua. Magari si tratterà di una volta e basta, magari l'attrazione durerà per mesi, ma mai di più se non è anche interessante. Però se è una semplice attrazione dettata da istinto naturale, non ci sono problemi. E nella maggior parte delle volte non diventa attrazione mentale perché la suddetta ragazza è bellissima, ma non è la persona giusta. Poi ci sono le volte in cui è anche la persona giusta e allora auguri e figli maschi. Ma le statistiche parlano da sole.
L'attrazione mentale invece...è una gran bella fregatura. Come te la fai passare? Se sei attratto da una ragazza ma non vuoi basta ripeterti "guarda che brutto vestito che si è messa." "quel trucco non le dona proprio." ma se ti piace dal punto di vista intellettivo non puoi dirti "oggi è più stupida.". Non puoi, punto. E così inizi a voler passare più tempo con quella persona, la stai a sentire affascinato, e finisce per piacerti così tanto com'è che inizia a piacerti in tutti i sensi. Magari non è bella, attraente, ma lo diventa.
Non voglio dire che questo discorso è valido anche per me. Non lo fu subito almeno, perché era semplicemente senza senso.
Come ho detto, sapevo di essere fottuto, che non mi sarebbe mai passata. Ammetterlo, però, era un'altro bel paio di maniche. Passai almeno un mese tenendo questa questione lontana dai miei ragionamenti lucidi, lasciandola marcire nel mio subconscio, deciso a non affrontare la questione.
Temo di dover fare un passo indietro con la mia narrazione, perché quello che vi ho raccontato -la giornata dei quarantacinque minuti- è avvenuto verso metà Febbraio, ma successe qualcosa di altrettanto importante prima.
Era il 7 Febbraio -no, non so la data a memoria, l'ho semplicemente ricontrollata- e per la prima volta feci la conoscenza del dottor John Watson.
Non personalmente, no.
Jim mi chiamò nel tardo pomeriggio dopo che era stato per ore davanti al computer a gestire qualche conto bancario -non suo- ed ad organizzare dio solo sa cos'altro.
"Guarda qui." mi ordinò lasciandomi la sedia. Notai subito una lieve nota di autocompiacimento nella sua voce.
"Che diavolo c'è sta volta?" sbuffai perché l'ultima volta che mi aveva fatto sedere al computer mi aveva mostrato con quale semplicità era entrato nel sistema di sicurezza di una decina di banche sparse in tutta l'Inghilterra.
"Un po' di entusiasmo, Sebastian." mi ammonì annoiato.
Giuro che tentai di entusiasmarmi, ma non potevo proprio riuscirci, non davanti ad uno stupidissimo blog. "Il blog del dottor John. H. Watson" lessi il titolo a grandi lettere della pagina. "Non mi dice niente." informai Jim velocemente, ma continuai a leggere perché sapevo di non avere molte altre scelte. Partii dal primo post perché se volevo capirci qualcosa dovevo partire dalle fondamenta. Dopo un paio di post decisamente imbarazzanti dovuti al fatto che nessuno sa mai come diavolo iniziare un blog, iniziai a capire perché Jim si interessato a quel tizio. "Il coinquilino di Sherlock Holmes?" la cosa mi stupì a tal punto che mi voltai verso Jim per la mia conferma, che ebbi dal sorriso sul suo volto. "E quindi il caro Sherlock ha trovato con chi dividere l'affitto, ottimo almeno sappiamo dove resterà." ma continuai a leggere perché iniziavo a conoscere Jim e quell'unica informazione non l'avrebbe potuto compiacere così tanto. E poi conoscevo quella faccia: era la faccia che aveva quando qualcuno li riferiva che il suo piano era riuscito alla perfezione. Che poi era la stessa faccia che facevo io quando invece vedevo i soldi. Ma poco conta.
Alla fine arrivai all'ultimo post datato 7 Febbraio e tutto fu chiaro. Però non rimasi entusiasta come Jim avrebbe voluto.
"Quindi il nostro tassista gli ha detto il tuo nome." commentai atono.
Jim mi squadrò, visibilmente contrariato dalla totale mancanza di entusiasmo nel suo braccio armato. "E' assolutamente perfetto, tutto è andato come avevo previsto."
"Oh si." concordai, ma niente di più. "Quindi non c'è da festeggiare, l'avevo dato per scontato che sarebbe andato esattamente così."
Jim ci rimase male, glielo lessi in faccia: voleva che lo adulassi, che mi complimentassi, che riconoscessi la sua bravura. Mi limitai a dargli una pacca sulla spalla e a chiedergli se gli serviva nulla visto che stavo uscendo per andare a comprare la birra.
Moran 1 Moriarty 0.
L'unico punto che probabilmente ho mai realmente fatto contro di lui.
Quando tornai a casa, Jim era ancora davanti al computer e al blog del dottore.
"Scrive come un uomo distrutto dalla guerra e in cerca di normalità." annunciò senza togliere gli occhi dallo schermo. "Eppure sceglie Sherlock Holmes come coinquilino, scelta bizzarra."
Mi lasciai cadere sul divano e pensai per qualche istante se dire quello che poi dissi. "Io non lo giudico per questo. Insomma, uno prende i coinquilini che capitano...non c'è molta scelta in giro." Potevo anche essere ammazzato per un commento del genere, ne ero perfettamente consapevole.
Jim roteò gli occhi. "Per il tuo bene sorvolerò sulla chiara implicazione alla nostra convivenza."
"Un po' di brivido non può che farmi bene." scrollai le spalle e mi misi più comodo sul divano dopo aver recuperato il telecomando della televisione.
"Posso spedirti il(N) Siberia, se vuoi." propose Jim e sentii che iniziava a scrivere. Forse un commento al blog del dottore, chi può dirlo?
"Sono tipo da luoghi più esotici...la savana per esempio. O l'India magari." feci zapping tra i canali senza trovare nulla di interessante o che non avrebbe annoiato a morte Jim. L'ultima cosa di cui avevo bisogno era sentirlo ripetere ogni cinque minuti che stavo vedendo un'emerita stronzata. Non che abbia mai usato quel termine, ma il concetto era quello.
Il nostro scambio di battute si concluse lì e fino al girono dopo non ci rivolgemmo più la parola. Una cosa del tutto normale.


 

Sapevo che una volta che Sherlock Holmes avesse ricevuto il biglietto da visita, Jim avrebbe iniziato immediatamente ad occuparsi della mossa successiva.
Qualche giorno dopo fui svegliato poco gentilmente da Jim che cercò personalmente di trascinarmi fuori dal letto. Eppure giuro che avevo chiuso la porta a chiave.
"Sebastian in piedi, dobbiamo lavorare."
"Altri cinque minuti." protestai di rimando. Va bene stare in piedi tutta la notte al freddo e al gelo ad aspettare di colpire, ma una volta che ho preso sonno esigo e pretendo di riposare fino ad un orario decente. E se neanche il gallo è in piedi, non capisco perché dovrei esserlo io?
"Non abbiamo cinque minuti." ringhiò Jim continuando a tirarmi per un braccio. Per essere un genio delle volte è sciocco come un bambino: come poteva sperare di smuovermi? Sono più alto, più pesante e più grosso di lui, insomma.
"Si che li abbiamo." cercai di liberare il braccio, ma senza risultati. "Chiunque debba morire sarà felice di vivere altri cinque minuti, e io di dormire."
"Sebastian!" la gomitata tra le costole che seguì mi tolse il fiato e mi svegliò completamente. "Vestiti, e in fretta."
Quando la porta si richiuse con un tonfo io ero seduto sul materasso tenendomi il costato. Ah, era da quando ero un cadetto che qualcuno non si prendeva così premura nell'essere sicuro che mi svegliassi in tempo.
Mi vestii in fretta come mi era stato ordinato perché l'ultima cosa di cui avevo voglia era affrontare un Moriarty di umore tempestoso.
Quando Jim era di umore tempestoso di solito lo ignoravo, stavo zitto, ed evitavo di incrociare il suo sguardo. La cosa divertente è che di solito non c'è mai un motivo specifico per cui Jim è di umore nero, lo è basta. Ci si sveglia direttamente. E può durare giorni.
Uscimmo poco dopo e, anche se morivo dalla voglia di saperlo, non mi azzardai a chiedergli dove andavamo. Se avessi dovuto uccidere qualcuno probabilmente me l'avrebbe riferito, o avrei trovato in macchina la mia roba, ma quel giorno sembrava che non avrei fatto fuori nessuno. Il che non sempre era un bene. Il traffico inglese mi distrasse dalla bestia nera che avevo seduta accanto e ne fui grato. In quei momenti odiavo essere il suo braccio armato. Ero il primo che ne avrebbe pagato le conseguenze.
Il povero Chop, il nostro autista, si era reso conto quanto me dell'umore nero di Jim e le sue occhiate nervose che potevo vedere dallo specchietto retrovisore mi fecero impietosire. Eravamo chiusi in gabbia con un leone inferocito, come biasimarlo? Solo che lui una volta accompagnatoci a destinazione era al sicuro, io sarei dovuto rimanere al fianco di Jim per tutta la trattativa. Perché, se io non avevo con me il mio fucile, allora era una trattativa.
Arrivammo al quartiere cinese prima che me ne accorgessi e scendemmo dalla macchina prima che a Chop venisse un infarto. Anni di onorato servizio presso Moriarty e ancora ne aveva paura. Un tipo sveglio.
Camminammo tra la gente in religioso silenzio, ma almeno all'aria aperta mi sentivo più sicuro. Magari se le cose si fossero mese male sarei riuscito a scappare e a confondermi tra la gente.
"Ti ho mai detto che parte della Mafia Cinese lavora per me, Sebastian?" quando Jim parlò era evidentemente ancora di pessimo umore.
"Anche la mafia cinese lavora per te? Ero convinto che lavorasse per se stessa." ammisi. Non ero nuovo al sistema di Jim: era un sistema a cellule come quello usato dai terroristi. Cellule indipendenti l'una dall'altra che facevano tutte capo a Jim . Alcune cellule avevano anche altre piccole sotto cellule al loro interno. Poi c'erano persone sporadicamente assoldate senza che loro ne fossero consapevoli, gente come traduttori, programmatori, esperti in vari campi. Jim era l'unico a sapere tutto di tutte le cellule. E poi c'ero io, ufficialmente a capo della sezioni omicidi, in pratica esterno anche ad essa. Io ero solo il braccio armato di Jim e come tale avevo conoscenze per cui altri avrebbero ucciso.
"Non tutta, una piccola sotto-sezione. Non proprio mafia cinese, ma tutto ciò che è illegale in Cina ne fa parte. Si occupano di importazioni principalmente."
"La Cina è una fottutissima superpotenza economica e il suo organo più pericoloso lavora per te." ero sinceramente affascinato e non feci nulla per nasconderlo. Per una volta ammetto che mi aveva stupito. "Questo sì che è geniale."
"Non esagerare, Sebastian." il suo umore nero non gli faceva apprezzare nulla. "Sono uno dei pochi appigli che hanno per piazzare quello che vogliono sul mercato inglese, il minimo che possono fare è tenermi buono con una ottima percentuale sugli incassi."
Avrei potuto e voluto ripetere che era geniale, ma lui si sarebbe offeso, quindi rimasi in silenzio.
Il quartiere cinese è decisamente pittoresco e per poco non mi scordai che tipo di giornata era, tra tutti quei colori e simboli strani, ma non commisi quell'errore perché se Jim era di umore nero significava un'altra cosa: che sarebbe aspettato a me svolgere la trattativa.
Era capitato altre volte con singoli clienti, ma la mafia cinese era tutta un'altra questione.
Entrammo un negozietto di lucky cats e ci dirigemmo subito nel retro perché queste cose devono sempre avvenire nel retrobottega se no che gusto ci sarebbe?- dove una donna ci stava già aspettando.
"Signor Moriarty." si alzò non appena ci vide - non appena vide Jim - ed ebbe il buon senso di non avvicinarsi per fare una scemata come stringergli la mano. Poi si accorse che, sorpresa!, c'ero anche io e sembrò contrariata.
"Sebastian Moran." mi prestò Jim senza tanti fronzoli e senza aggiungere nient'altro. Il mio biglietto da visita era Jim stesso, dopotutto.
"Sono mortificata." fu la premessa della donna non appena ci sedemmo tutti e tre intorno al tavolo.
"No, siete un’incapace." borbottò Jim di rimando. Io capii che era solo una morta che camminava.
La donna trasalì. "Abbiamo sempre usato lo stesso sistema...non potevamo pensare..."
"Che qualcuno avrebbe voluto tenersi un piccolo souvenir?"  Jim scosse la testa. "Era alquanto probabile, invece. Inevitabile perfino. Dovevate metterlo in conto."
"Queste cose non capitano, non a noi. Lo sapete...noi..." la donna cercò di arrampicarsi sugli specchi, in pratica. "Siamo abbastanza potenti da dissuadere chiunque si faccia venire in testa di non seguire i nostri precisi ordini."
Jim era arrivato al punto di ebollizione, magari il suo tono era ancora cortese, ma ebbi la sensazione che se avesse sentito un'altra scusa avrebbe preso la pistola dalla mia giacca, e avrebbe personalmente premuto il grilletto.
"Cosa è successo, di preciso?" domandai seccato.
"Ci è stato rubato del materiale..." iniziò la donna.
"Mi è stato rubato del materiale." precisò Jim in un sibilo.
"Si..." la dona deglutì a fatica. "Quando la consegna è stata fatta abbiamo controllato il materiale, ma mancava un fermaglio per capelli, appartenuto ad una imperatrice. Un piccolo oggetto che da solo vale una fortuna..."
"Nove milioni di sterline." si intromise ancora Jim e, diavolo, ora capivo perché era di umore così nero. Non capita tutti i giorni di perdere tale somma.
"Siete degli incapaci sì." Dovetti concordare con Jim. "La questione è semplice, in ogni caso, recuperatelo e alla svelta."
"Non è così semplice, ci sono complicazioni."
"Siete la mafia cinese!" sbottai. "Non avete complicazioni."
"Non sappiamo chi dei due corrieri abbia rubato l'oggetto. E capirete bene, signor Moran, che l'oggetto deve essere recuperato" ribatté la donna più sicura di sé.
"E allora?" mi stavo stancando di quella storia. "Uccideteli, mettete tutto sottosopra e ritrovate il fermaglio. Un lavoretto da scuola elementare."
"Se li uccidiamo e hanno nascosto l'oggetto non lo ritroveremo più! E se li uccidiamo, la polizia potrebbe insospettirsi, creare un polverone e magari anche arrivare al nostro piccolo traffico. Sarebbe la fine!" la donna si stava preoccupando dei problemi sbagliati. Come diavolo poteva pensare al suo giro di importazioni quando aveva davanti una tempesta pronta a distruggerla?
"Non mi interessa se vi friggono e vi servono con gli involtini primavera. Fateli fuori entrambi." non era un lavoro così difficile. Io l'avevo fatto decine di volte.
"Ma!" protestò ancora la donna.
"Fate come dice." si intromise Jim. "Consideratelo solo un piccolo contrattempo."
Uscimmo immediatamente dopo e fui definitivamente sicuro che quella era una donna morta. E che lei lo aveva finalmente capito.
"Jim, posso occuparmi io dei corrieri se è così importante." mi offrii quando fummo di nuovo nel caos del quartiere.
"No Sebastian, non immischiamoci troppo in questa questione." ribatté Jim, ancora di pessimo umore. "Hanno anche loro i loro assassini, fai lavorare un po' anche gli altri."
"Ma se io non sto praticamente lavorando." protestai.
"Oh, sono addolorato di sentire ciò. Ti troverò qualcosa da fare allora." replicò.
"Sarebbe magnifico." ammisi. E oramai non avevo più problemi ad ammettere che avevo bisogno di uccidere, non solo per i soldi. Mi mancava quella scossa di adrenalina: con Jim c'era una perpetua adrenalina, ma pochi picchi degni di nota, oramai mi stavo abituando.
"Potremmo comprane uno." commentò Jim indicando uno dei centinaia di lucky cats nella vetrina del negozio. "Sono quasi ipnotici."
"Solo se poi posso sparargli." risposi seccato. Quei cosi sono inutili e poi sono orribili.
"Come sei poco incline verso le altre culture." borbottò Jim oltrepassando la vetrina. Fortunatamente non portò a casa nessun lucky cats.
Dopo di che per almeno mezzora non parlammo, ma rimanemmo nel quartiere cinese. Non so se perché Jim stesse tenendo sott'occhio la donna o perché ne avesse voglia. So solo che quella passeggiata smorzò il suo umore nero. Ne presi mentalmente nota, ovviamente. Alla prossima sfuriata l'avrei buttato in macchina e portato nel variopinto quartiere orientale.
O magari in qualsiasi altro posto. Jim è così dannatamente volubile che basta cambiare anche solo stanza che cambia umore.
Mi ero talmente rilassato che solo il suono della voce di Jim mi fece notare che mi ero totalmente deconcentrato, abbassando la guardia come un marmocchio.
"Com'è la vita nell'esercito, Sebastian?"
Per poco non mi strozzai con la mia stessa saliva. Non avevamo ancora parlato di quell'argomento nelle tre settimane in cui avevamo passato praticamente ventiquattro'ore su ventiquattro insieme. Avevamo parlato di tante cose, ma non di quello. Non della mia vita personale, almeno. "L'esercito?"
"Si, l'esercito." ripeté. "Perché ti sei arruolato?"
"Non hai fatto i compiti a casa?" chiese ancora destabilizzato. "Sono quasi certo che abbiate un fascicolo su di me, lo avete di tutti i vostri dipendenti."
"Non ho bisogno di un fascicolo per tenerti sotto controllo visto che abiti sotto il mio stesso tetto." si strinse nelle spalle noncurante.
"Ma lo avete." ribattei convinto della mia deduzione. "Mi arruolai perché nessuna madre vuole un figlio scapestrato a carico. Anzi, perché nessun figlio vuole badare ad una madre che lo sminuisce e lo fa sentire un idiota."
"Meglio essere un assassino che vivere in una famiglia poco salutare." Jim valutò l'ipotesi calciando un sassolino con la punta della scarpa. Una persona normale l'avrebbe fatto distrattamente, lui ci mise cattiveria. Stava sfogando il cattivo umore.
"Per l'autostima è un tocca sana." commentai spintonando un ragazzino che mi era finito addosso.
"Però come motivazione non basta." Jim era partito per uno dei suoi processi mentali. "Non arrivi al rango di Colonnello se l'esercito è solo una scappatoia."
"Sapete che ero un colonnello?" perché la cosa mi stupì non ne ho la più pallida idea, era ovvio che lo sapesse. Meno ovvio era che la cosa gli interessasse.
Jim sorrise sornione pregustandosi quello che avrebbe detto dopo, che fu "Il fatto che sia una mente criminale non significa che non possa anche essere una brava persona che si interessa degli altri. Non giudicare le persone dal loro lavoro."
"Quindi quando parlo mi ascolti!” commentai quasi euforico. Certe volte ero convinto che i muri mi ascoltassero molto di più
"Ovvio che ti presto attenzione Sebastian." Jim trovò di nuovo il sassolino e lo calciò nuovamente.
No, non era ovvio, per niente, non per me. E da quel giorno feci molta più attenzione a quello che usciva dalla mia bocca. Perché se Jim mi prestava attenzione allora avrebbe memorizzato ogni mia parola e prima o poi mi avrebbe presentato il conto.
"Rispondimi seriamente." Jim mi richiamò subito all'ordine.
"Mi arruolai per evitare la mia famiglia, questo è vero." mi accesi una sigaretta in un gesto che perfino un idiota avrebbe ricondotto al nervosismo."Ma poi ci presi gusto. Come vita era relativamente semplice, ordini da seguire, missioni da portare a termine. Da A a B, niente lampi di genio. Mi ci sono abituato subito. Potrei dire che stavo quasi bene."
"Gli altri però non stavano altrettanto bene con te." la cosa lo divertiva, e il divertimento era aumentato dalla mia riluttanza sull'argomento.
"Non sono molto gentili con a chi piace uccidere, lo sai da te. Un paio di reclami e poi mi buttarono nella spazzatura."
"E questo stile di vita non ha mai avuto effetti su di te? Sei sempre rimasto impassibile?" mi squadrò in cerca di non so che cosa. "Sei stato in guerra, Sebastian, chi torna dalla guerra non torna mai lo stesso."
"Non quando ero ancora nell'esercito.  Era lavoro." lavoro un corno, le prime uccisioni mi tennero sveglio per settimane. Poi lentamente processai le mie azioni e me ne feci una ragione e smisi di preoccuparmi. "E quando decisi di fare il cecchino a tempo pieno, ero abituato a vedere la gente morire, quindi..." mentii spudoratamente. Uccidere come cecchino i primi tempi fu fottutamente complicato. Almeno quando ero nell'esercito avevo un nemico, ma la gente che uccidevo per soldi? O, sia chiaro, i rimorsi passarono, smisi di preoccuparmi anche di quello. Onestamente, uccidere non mi da più alcun pensiero, non sento assolutamente niente quando premo il grilletto. Ma per arrivare all'indifferenza si deve prima arrivare all'abitudine e arrivare all'abitudine richiede un lavoro straziante di marmorizzazione su se stessi. Ho messo da parte sentimenti umani per rendere normale qualcosa che non dovrebbe esserlo. Ma onestamente, chi se ne frega, ne è valsa la pena. Per quanto riguarda il mio mentire a Jim...mentii spudoratamente per nascondere quelle che erano state le debolezze di un povero ragazzo che si sentii realizzato solo quando gli diedero un fucile. Essere debole di fronte a Jim non era proprio la mossa più astuta che potessi avere.
"Insensibile, proprio come pensavo." aveva capito il mio bluff? Forse sì, forse no. O forse non era nemmeno quello il punto della questione.
Anche se Jim era in vena di chiacchiere -evidentemente l'umore tempestoso era passato del tutto-, io mi rifiutai di continuare oltre quella discussione.
Continuammo la nostra passeggiata fino ad ora di pranzo, quando Chop ci riportò in ambienti più consoni per le nostre personalità e perfino il nostro autista rimase sorpreso di notare come il malumore di Jim fosse passato in fretta, per una volta.
Sapevamo entrambi che eravamo solo stati molto, molto fortunati.

 


Quindi dal punto di vista puramente cronologico, quando cronometrai Jim e i suoi piccoli isolamenti mentali, stavamo aspettando notizie dalla Mafia Cinese sugli oggetti rubati e che un paio di casi si concludessero da soli una volta sistemate le giuste trappole.
Avevamo almeno cinque lavori in ballo allo stesso tempo ai primi di Marzo e Jim era più che mai attento ad ogni possibile problema che sarebbe potuto sorgere, il che lo teneva quasi sempre inchiodato ai telefoni. Eravamo peggio di un centralino.
Io invece mi annoiavo semplicemente, l'ultimo lavoro risaliva ad almeno due settimane prima -il famoso lavoro che Jim si preoccupò di procurarmi- e il viaggio in Belgio era stato alquanto deludente. Una qualità che non ho mai avuto è la fottutissima pazienza: odio i tempi morti tra un lavoro e l'altro e con Jim quei tempi sembravano non solo essere aumentati, ma anche essersi estesi all'infinito.
"Pazienza, Sebastian, nessun lavoro si completa in cinque minuti, devi saper aspettare. La fretta è cattiva consigliera negli affari." mi ammoniva puntualmente Jim quando iniziava a rendersi conto che smaniavo dalla voglia di fare qualcosa. Qualsiasi cosa.
"Fanculo gli affari." gli rispondevo io altrettanto puntualmente. "Sono un cecchino, non un impresario."
Però ammetto che il caso cinese mi permetteva di combattere la noia: tentare di capire il modo in cui avevano ucciso i poveri corrieri mi tenne abbastanza occupato. Il che però significava che la polizia aveva trovato i corpi. Quella donna era sempre più morta. Verso il venti di Marzo iniziai a tenere pronto il fucile, giusto per sicurezza.
Per quanto Jim fosse più paziente, comunque, la sua mente richiedeva costante lavoro. Solitamente si trastullava con lunghissime equazioni di cui io ne ho sempre capito un centesimo, perché come tutti anche lui aveva una materia preferita a scuola. Ma le equazioni non potevano tenerlo buono per più di un paio d'ore, quindi finiva per chiedermi di giocare a scacchi. La cosa più vicina alla matematica che non fosse la matematica.
Da quando mi ero trasferito da lui avevamo preso l'abitudine di fare almeno una partita al giorno. Il che non richiedeva molto tempo visto che io a malapena so come si muove il cavallo e che lui, invece, gioca meglio dell'attuale campione mondiale, chiunque sia. Certo sono migliorato di giorno in giorno, ma non che la cosa abbia influito molto sui tempi delle nostre partite.
La prima volta che preparammo la scacchiera rimasi così perplesso che per poco non mi strozzai con il the che avevo preparato per entrambi.
"Giochi con i pezzi bianchi?" nella mia testa era assolutamente illogico.
"Sì," per Jim era del tutto normale. Poi capì perché io ero rimasto così perplesso. "Ah, Sebastian." mi canzonò divertito. "Tu trovi strano che io inizi con i pezzi bianchi perché beh, sono bianchi."
"Abbastanza." ammisi.
"Sei uno stupido." commentò posizionando con cura ogni pezzo. "Visto che gli scacchi sono un campo da battaglia, pensi che i bianchi siano i buoni perché sono bianchi e il bianco è il colore puro per antonomasia, secondo la gente comune. Ma se invece di bianchi e neri gli scacchi fossero stati verdi e gialli, tu avresti detto che, sempre nell'ipotetico campo da battaglia, i verdi erano i cattivi perché essendo i primi a muovere sono loro che attaccano. Invece visto che sono bianchi sei portato a pensare che magari si stiano solo difendendo. La realtà è che se questo è un campo di battaglia, i bianchi sono gli assalitori, non le vittime."
Il che aveva fottutamente senso. "D'accordo." borbottai semplicemente.
"Le apparenze ingannano, Sebastian, è importante ricordarlo. Un buon travestimento e anche il diavolo si farà passare per prete."
E quello era proprio il sistema di Jim, come ho detto, era ben consapevole che l'abito fa il monaco.
Da allora Jim ha sempre usato i bianchi e io i neri.
Fu finita l'ennesima equazione della giornata che arrivò in soggiorno con la scacchiera. "Facciamo una partita." disse e io accettai di buon grado.
Ora, cronologicamente parlando, io ero nella mia fase di totale lotta contro la consapevolezza della mia attrazione, ma iniziavo a cedere. Il mio cervello aveva passato quasi un mese a lavorare su quell'informazione senza che io ne fossi totalmente consapevole, e oramai era una nozione bella che radicata nel mio subconscio. Doveva solo riemergere e avrei finito di far finta di nulla, di pretendere che le cose erano esattamente come prima.
Cedetti quel giorno, fissando la scacchiera perché tutto improvvisamente iniziò ad avere senso. Non fu nemmeno una sorta di epifania, fu un lento emergere di una consapevolezza scomoda. Diciamola com'è: mi ero stufato.
Ero così distratto dalle mie riflessioni che stavo giocando peggio del solito, cosa che irritò Jim che invece aveva bisogno di un avversario decente.
"Sebastian." mi richiamò vedendomi distratto. "So che non ami questo gioco, ma potresti almeno metterci un po' di buona volontà."
"Mh-mh." mormorai appena muovendo un pedone che fu mangiato subito dopo. Povero piccolo soldato, ucciso dalle mie elucubrazioni.
Jim non mi chiamò di nuovo, non era nel suo stile, si limitò ad accettare il fatto che io ero chissà dove.
Non gli sarebbe importato che io non avevo voglia di giocare se quello che feci poi non lo avesse lasciato perplesso.
Dopo un paio di mosse, feci capitolare il mio re con un piccolo colpetto dell'indice.
"Non era ancora scacco matto." mi fece notare Jim. "Mi mancavano due mosse." ci tenne a farmi sapere.
"Allora che differenza fa?" mi strinsi nelle spalle prendendo il mio povero piccolo re nero.
"Che questo non è scacco matto." ribadì Jim annoiato. Stava aspettando che io rimettessi a posto il mio re e che potessimo riprendere la partita. Ma io non ne avevo alcuna intenzione.
"Sai cosa stavo pensando?" gli chiesi studiando il piccolo pezzo di legno intagliato. "Pensavo a come per te gli scacchi siano una metafora di una grande battaglia vecchio stile."
"Vai avanti." oh Jim sapeva esattamente cosa stavo per dire, probabilmente se lo era aspettato da un po'. Probabilmente quello che io avevo deliberatamente ignorato era più palese di quanto avessi previsto.
"Invece sai per me di cosa sono metafora?" gli sventolai il re davanti al naso. "Del nostro rapporto. Tu attacchi, io mi difendo, tu vinci sempre, io perdo miseramente come un idiota." il che era esattamente quello che succedeva . "Questi siamo io e te, Jim, dannazione. Questo." e indicai con la testa il re nero. "Questo sono io che nego l'evidenza, che cerco di non cadere completamente nella tua stupida orbita, che cerco di mantenere un minimo di normalità nella mia vita." Poi posai lo scacco al lato della scacchiera, insieme a tutti gli altri pezzi che Jim mi aveva già mangiato. "E questo sono io che smetto di oppormi."
Un lampo attraversò gli occhi di Jim e in un altra situazione mi avrebbe convinto a tenere la bocca chiusa. Ma oramai avevo iniziato e avevo del tutto intenzione di finirla lì. Avevo passato troppo tempo a sforzarmi di ignorare la reale situazione delle cose. Avete idea di quanto sia logorante ignorare un impulso?
Senza aggiungere tutto quello che avrei voluto aggiungere, mi sporsi al di là del tavolo, presi il volto di Jim tra le mani e lo baciai.
Non sapendo minimamente come Jim avrebbe potuto reagire, non mi sorpresi nemmeno quando rispose al bacio, per quanto fosse di gran lunga al'ipotesi meno probabile.
Ci conoscevamo da appena due mesi e già gli avevo ficcato la lingua in bocca, capite bene perché proprio su quel curriculum non posso mettere la voce "coinquilino modello."
Di solito c'è sempre quel profondo momento imbarazzante dopo un bacio in cui non sai proprio che dire o cosa fare, ma evidentemente neanche una situazione del genere poteva scuotere Jim che disse semplicemente. "Un'altra partita?"
"Ma sì." risposi io scoprendomi molto più interessato a quello stupidissimo gioco dopo che quella altrettanto stupidissima metafora era stata risolta.
Ora, dovrei fare almeno un centinaio di precisazione e puntualizzazioni prima che questo gesto sia platealmente frainteso. Per prima cosa ero assolutamente consapevole che un gesto del genere sarebbe stato totalmente inutile, non con uno con Jim, non quando più che fisicamente ero attratto mentalmente, ma ahimè non avevo molti altri metodi da poter utilizzare. Secondo -e non è primo solamente perché è un dettaglio puramente accessorio- io sono etero -sì anche ora dopo che tutta questa storia è finita continuo a dirlo- perché per quanto mi poteva interessare Jim poteva anche avere l'aspetto di un polipo, non era quello il punto.
Terzo: l'ho detto, l'attrazione mentale diventa attrazione fisica.
Non parlammo più di quel bacio.
Il che per me andava benissimo, visto che non mi aspettavo niente.
Non successe nulla, fino al giorno in cui l'aver tenuto pronto il fucile si rivelò la scelta più saggia che avessi mai fatto.
"Sembra proprio che il mio conto in banca mancherà di nove milioni di sterline." annunciò Jim una sera, ma non era lontanamente il Jim furioso di quel giorno al quartiere cinese; lo aveva capito subito che sarebbe finita in quel modo.
"Puoi sempre ricomprarteli. Non quelli, ovvio, altri simili." a me non interessava minimamente, perché con la testa ero già proiettato alle istruzioni che non tardarono ad arrivare.
"Credo proprio che dovrò licenziare la nostra amica." Jim non era lontanamente dispiaciuto.
"Avresti dovuto licenziarla subito e lasciare a me i corrieri." ribattei quasi offeso. "Dove la trovo?"
"Chop è qui fuori che ti aspetta."
Mi ero abituato ad avere Chop come autista, quindi non protestai. Per quanto avere sempre la stessa persona alla guida poteva diventare un problema: qualcuno avrebbe potuto ricollegare una delle nostre due facce all'altro e saremmo stati fottuti entrambi. Preferivo spostarmi da solo, con i mezzi decisi da me. Ma non ho mai trovato il coraggio di disubbidire ad una disposizione così categorica di Jim.
"Portati anche questo." si raccomandò Jim prima che uscissi. Stava giocherellando con un piccolo oggetto che riconobbi subito.
"Quello è il mio telefono." osservai atono.
"Ma non mi dire!" Jim fece una faccia sorpresa, poi scosse la testa  "Ho fatto in modo di poter far comparire sullo schermo anche i messaggi che invierò io, così saprai il momento esatto in cui colpire." giustificò in quel modo un chiaro furto.
"Messaggi?"
"Sto aspettando che mi si metta in contatto per informarmi che il fermaglio è perduto."
"Sempre un passo avanti a tutti." era quasi noiosa come cosa.
"Sarà terrorizzata e cercherà mille scuse, che ovviamente non serviranno a nulla " sussurrò Jim e fui quasi contento di sentire il solito tono crudele, quello da mente criminale, quello del vero Jim. Mi si avvicinò e lasciò scivolare il mio cellulare nella tasca della giacca con un gesto elegante, poi portò la mano libera alla mia nuca e mi attirò a sé. Mi baciò. "Voglio un colpo alla testa."
"D'accordo, capo." Ah, il potere della seduzione. E io che pensavo di esserne immune. Mi ero dannatamente sbagliato.
Giusto per la cronaca, mi ha quasi fatto pena uccidere quella poveretta, ma era inevitabile e lo sapeva anche lei. Basta un solo errore con Jim per essere fuori dai giochi, poco importa se la collaborazione va avanti da anni. Un errore non viene perdonato, se così non fosse, Jim sarebbe finito dietro le sbarre anni e anni fa, visti i suoi precedenti.
E se prima vivendo con Jim camminavo sul filo del rasoio, dopo quello che era successo tra di noi sarebbe bastato uno sbuffo di vento per decretare la mia fine.

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Capitolo 3
*** The Great Game part. 1 ***


III. THE GREAT GAME

Le ultime settimane di Marzo furono assolutamente impossibili. Una corsa sulle montagne russe.

Lavorammo come dei matti, perché oltre ai lavori canonici Jim aveva deciso che era tempo di incontrare la sua nemesi. No, non nemesi, per Jim erano più come due facce della stessa medaglia, o roba simile.

In realtà fu in grado di convogliare i lavori canonici nel suo piano per attirare l'attenzione di Sherlock Holmes, cosa che trovai decisamente notevole. Fatto sta che per poco non uscii fuori di testa ad ascoltarlo parlare per ore e ore di quello che aveva in mente di fare. Spariva per ore senza dirmi dove andava e quando tornava o non smetteva di parlare fino a che non mi chiudevo a chiave in camera per avere un po' di pace, oppure non parlava fino al giorno dopo a colazione.

E fu una in delle giornate particolarmente loquaci che a cena Jim mi raccontò come era incappato per la prima volta nel nome di Sherlock Holmes. Vi dirò: è stata anche una storiella alquanto interessante.

"Non sono sempre stato così, sai Sebastian? Intendo dire, tutto cervello e con una organizzazione ben strutturata alle mie dipendenze: tutti agli inizi dobbiamo improvvisare. In mancanza di gente a cui affidare il lavoro, anche io mi sono personalmente sporcato le mani. Frequentavo ancora la scuola ai tempi, sapevo di essere più intelligente degli altri, ma ancora non avevo capito cosa farmene di questa intelligenza. Andavo avanti pensando che sarei finito ad insegnare all'università -avevo scelto Oxford ai tempi- o che avrei fatto una scoperta sensazionale che mi avrebbe immortalato nella storia. Sogni di ragazzo, ma chi è che non sogna di fare qualcosa da grande e, una volta diventato grande, non si ritrova a fare qualcos'altro? Nella scuola c'era questo ragazzo della mia età,Carl Powers, uno dei classici tipi che si atteggiano da bulli ma che in realtà sono solamente troppo arroganti. Mi calpestò i piedi un po' troppe volte per i miei gusti, quindi dovetti prendere una decisione drastica. Passai notti insonni a studiare il caso, a cercare un modo per creare il crimine perfetto. Alla fine ci riuscii, ovviamente. Nessuno si rese conto che era un omicidio, tranne un ragazzo che avrà avuto più o meno la mia stessa età e che cercò di far capire alla polizia che non era stato assolutamente un incidente. Il mio primo crimine, Sebastian, quello che mi ha aperto gli occhi, che mi ha fatto capire che no, non volevo essere un professore, che volevo essere un consulente criminale; il mio primo crimine, Sebastian, e Sherlock Holmes,  anche lui alle prime armi presumo,  già mi metteva i bastoni fra le ruote. La polizia però non lo ascoltò e archiviò il caso senza mai citare la parola omicidio."

Alla fine della storia stavo quasi ridendo, non sicuro se mi facesse più strano immaginare Jim adolescente o Jim che giurava odio eterno ad un altrettanto adolescente Sherlock Holmes. O Jim che uccideva. Non riuscivo proprio a figurarmi lo stesso Jim che mi aveva assunto per fare i lavori sporchi al posto suo che, beh, faceva quei lavori sporchi.

"Presumo tua madre e tuo padre non siano stati molto contenti della tua decisione di abbandonare la prospettiva di diventare un professore universitario." commentai. Non avevamo mai parlato della famiglia di Jim tanto che mi ero quasi convinto che non ne avesse una. Il che avrebbe avuto senso: di solito sono sempre gli orfani a crescere con...caratteri particolari. Almeno qualche psicologo sarebbe felice se fosse sempre così.

"Ma io sono diventato un professore universitario." precisò Jim sorpreso. "Laurea cum laude, per tua informazione." era decisamente fiero di quel traguardo. "Prima di essere un cecchino tu sei stato un soldato, prima di essere un consulente criminale io sono stato un professore. Un piacevole diversivo mentre mettevo in piedi tutto questo."

Rimasi a fissarlo a bocca aperta per un paio di minuti, la forchetta a metà strada tra il piatto e la mia bocca "I professori universitari sono tutti dei vecchi bacucchi e tu, beh tu non lo sei proprio."

"Non ti ho detto che ho smesso di usare la mia intelligenza da quando ho deciso di diventare quello che sono. Mi sono laureato molto prima del tempo." si strinse nelle spalle come se fosse una cosa che tutti potevano fare.

"Professor J. Moriarty," mormorai quindi, cercando di far calzare quel nominativo all'uomo che avevo di fronte perché ancora non ero sicuro se credere o no a quella storia. "E come mai hai smesso di insegnare?"

"Perché essere un professore non aveva più senso dopo essere riuscito a creare la mia piccola organizzazione."

"Ma sono sicuro che se cercassi il tuo nome in qualche albo o in qualche annuale non troverei nessuna traccia, giusto?"

"Damnatio memoriae, Sebastian." per la prima volta vidi un'ombra di tristezza sul suo volto. "Non potevo diventare la più grande mente criminale d'Inghilterra finché ero ben rintracciabile da qualsiasi idiota in grado di aprire un albo o controllare un sito. Quando ebbi abbastanza soldi da parte e la sicurezza che il mio piano avrebbe funzionato, cancellai ogni traccia del mio passato accademico."

"Tu..." non riuscii a trovare subito le parole giuste perché era assolutamente assurdo. Mi immaginai Jim che, con la criminalità di Londra in pugno, cancellava ciò che era stata la sua vita fino a quel momento, vittorie e sconfitte, ricordi perfino -se voleva essere assolutamente non rintracciabile allora era bene che anche lui si scordasse di ciò che era stato-. E io che avevo pensato che essere congedato con disonore fosse una brutta cosa. Per la prima volta in mesi provai un sentimento decisamente umano di compassione verso una persona per la quale al massimo si può provare timore. "Tutto ciò che eri..."

"Era nulla in confronto a ciò che volevo e potevo diventare." Jim tornò in pieno controllo delle sue inesistenti emozioni. "Nulla in confronto a ciò che sono diventato. Un piccolo prezzo da pagare, tutto qui. Tutti facciamo sacrifici nella vita, non è un argomento così importante."

Pensai che invece lo era, eccome, però lasciai quell'argomento da parte. "Quindi Sherlock Holmes fu una spina nel fianco da subito, eh?"

"Oh, doveva ancora migliorare, non correvo pericoli eclatanti. Come ogni scienza, anche la sua scienza della deduzione andava perfezionata e aveva bisogno di tempo per farlo. Sapevo, però, che avrei fatto bene a tenerlo d'occhio, non perché avevo paura di lui, ma perché era l'unico che avesse una intelligenza pari alla mia. Gli diedi il tempo necessario per essere alla mia altezza."

"Anni e anni di attesa...ora capisco perché ci tieni così tanto a questo primo incontro!" e lo capivo davvero, per la prima volta. Mi misi in testa che tutto sarebbe dovuto andare come voleva Jim, perché se quell'incontro era così importante, l'ultima cosa che volevo era che fosse rovinato e dovermi subire l'ira funesta del mio coinquilino.

"Come ho detto, sei il meno stupido in circolazione."

Non ho mai preteso di sapere tutto di Jim, non gli ho mai nemmeno domandato nulla, ho sempre aspettato che fosse lui a dirmi qualcosa, decidendo che quello che non sapevo non aveva, evidentemente, alcuna importanza per me, che non era funzionale al mio lavoro. Non mi definisco un tipo curioso, ma nemmeno una persona esageratamente riflessiva, per esempio nel primo mese a servizio di Jim avevo imparato tutto su Chop perché non smisi di tempestarlo di domande. Ma tempestare di domande Jim? Mi sembrava stupido, soprattutto perché sapevo che anche se avessi fatto domande a raffica, non mi avrebbe mai risposto.

Proprio per questo quelle piccole informazioni mi interessavano tanto, era come spiare attraverso il buco della serratura e intravedere qualcosa che non riesci proprio a capire, eppure non smetti di guardare.

Quella stessa sera il telefono abilitato per le telefonate internazionali squillò per la prima volta da quando abitavo con Jim: solitamente squillava il telefono di Jim, quello degli affari più importanti, o quello abilitato per le telefonate in tutta la Gran Bretagna, più raramente ricevevamo chiamate da quello europeo. (Si ogni zona corrispondeva ad un telefono, così Jim sapeva esattamente di cosa si poteva trattare prima di rispondere. Poi c'era il suo telefono, ma è un'altra questione: quello era come il vaso di Pandora.) Ma il telefono internazionale era roba nuova.

"Jim, il telefono sta squillando." gli feci notare atono verso il terzo squillo.

Jim però rimase immobile, sdraiato accanto a me sul divano, la testa sul mio petto a guardare Caccia all'Ottobre Rosso. Oltre ad essere una giornata in cui aveva voglia di parlare, era anche una giornata in cui era in vena di contatto umano. Dopo il nostro primo bacio le cose andarono così: alcuni giorni sembravano trascorrere normalmente, come se nulla fosse accaduto, altri giorni in vece Jim sembrava ricordarsi che qualcosa era successo e allora mi cercava, mi baciava, restava accanto a me. Ovviamente a sua discrezione. Però Jim non era molto bravo in queste cose e tutto era dannatamente strano. Non che fosse male, per carità, ma era strano, innaturale. Ma ci feci il callo e mi abituai a quelle reazioni altalenanti, consapevole che Jim non mi cercava perché ero io, Sebastian ect ect, ma perché ero l'unico nei paraggi, l'unico abbastanza folle da lasciarlo fare. E a me andava benissimo.

"James." lo richiamai usando il nome completo sperando che ciò attirasse la sua attenzione, ma per essere sicuri lo scossi per una spalla più o meno delicatamente.

"Si ho sentito, grazie Sebastian." sbuffò lui alzandosi dal divano e decidendosi a rispondere.

Sospirai sollevato quando il telefono smise di squillare: i miei nervi ne avevano avuto abbastanza. Non lo ripeterò mai abbastanza: odiavo ogni singolo telefono in quello stupido appartamento.

Abbassai il volume del televisore, cercando di sentire per errore qualche frase di conversazione, realmente curioso di sapere da dove venisse una telefonata internazionale. Cercai di ricordarmi quali contatti avevamo spedito oltreoceano, ma non mi venne in mente nulla, a parte quella ragazzina spedita a Singapore per rubare dei documenti. Però era troppo presto perché fosse lei a comunicare qualche novità, quindi doveva essere qualcosa di nuovo.

Poi Jim si chiuse nel suo studio e per me fu impossibile ascoltare la parte saliente della conversazione. Peccato, c'è sempre più gusto nel captare informazioni che riceverle direttamente.

Quando tornò in soggiorno era ancora al telefono, ma aveva concluso la telefonata internazionale e aveva invece chiamato qualcuno con il suo cellulare e stava impartendo ordini ben precisi.

"Che c'è sta volta?" chiese sperando quasi che fosse un lavoro per me.

"Devo partire per l'Argentina." mi informò Jim assorto nei suoi pensieri.

"E' un viaggio infernale." l'avvertii. Una volta ero stato in Argentina, credo. O era il Perù? Da quelle parti insomma. "Devo venire anche io?"

"Non ce ne è bisogno." rispose Jim. "Resterai qui e ti porterai avanti con il lavoro: scegli un paio di cecchini, tre o quattro, fai tu."

"Non lavoro in squadra." borbottai poco allettato da quella prospettiva. "E poi in base a cosa diavolo li scelgo? Alle loro foto?"

"Un tempo lo facevi, Sebastian," Jim mi fulminò con gli occhi. "Sai dove sono i fascicoli, fatti una idea su come lavorano. Non serviranno a molto, solo a fare numero, quindi chi scegli scegli. Oh, beh, scegline almeno uno di cui fidarti."

"Un secondo?" scoppiai a ridere. "Se c'è qualcosa di peggio di lavorare in squadra è avere un secondo in comando."

"Sceglilo." ripeté Jim spazientito.

"Signor si signore." borbottai annoiato.

"Controlla anche che Sherlock risolva il mio primo enigma."

"Ovvio."

"Tieni sotto controllo il blog del dottore."

"Come sempre."

"Non prendere nuovi lavori mentre sono via."

"Non mi azzarderei mai."

"Non..."

"Jim, basta. Ho capito."

La mattina dopo Jim partì per l'Argentina e io iniziai la mia noiosissima ricerca.

Non posso dirvi dove Jim tenesse i fascicoli dei suoi...dipendenti...perché sarebbe controproducente e poi non voglio sputtanare nessuno. Capite che se sono stati così bravi da lavorare con Moriarty e rimanere in vita, non sarò certo io a mandarli in galera lasciandomi scappare qualche nome.

Diciamo solo che li trovai e che ci volle più del previsto. Diciamo che qualcuno lo conoscevo almeno di fama.

E diciamo solo che qualsiasi fosse il motivo per cui Jim avesse bisogno di più cecchini contemporaneamente, se fossi stato in Sherlock Holmes, avrei avuto paura.


 

Quando Jim tornò dall'Argentina avevamo un altro tassello del puzzle per Sherlock Holmes, uno complicato, uno di classe. Un tocco da vero maestro. Jim per primo era assolutamente fiero di se stesso. Anche se poi sorsero complicazioni e ammetto di aver ulteriormente complicato le cose anche io. Sentite non è colpa mia se voleva il custode morto e invece di chiederlo a me ha ingaggiato il Golem. Lo ammetto, mi sono offeso. Era un lavoro che aspettava a me di diritto. Mi aveva assunto per casi come quelli non per tenere sotto tiro una vecchietta. Litigammo. Litigammo spesso quegli ultimi giorni di Marzo.
Iniziando da lei, Molly Hooper.
Oh lasciate che vi parli di Molly Hooper. Molly Hooper è la classica ragazza della porta accanto, nel senso che vive nell'appartamento accanto al vostro e voi non vi accorgete che c'è, vi passa accanto, la salutate, ma non vi interessa. Invece Molly Hooper è stata la ragazza più importante nell'universo per un paio di giorni.
No aspettate, quella era Donna Noble in Doctor Who.
Ma più o meno siamo lì.
Molly non è stata una pedina qualsiasi nel Gioco tra Jim e Sherlock, è stata basilare, più importante di molti altri. Più importante perfino di me.
Molly è stata la ciliegina sulla torta, il colpo di genio. Lo strumento perfetto.
L'unico errore di Molly? Conoscere Sherlock Holmes.
Povera ragazza, quando ha iniziato a scrivere il suo blog non poteva proprio sapere che Jim l'avrebbe scoperto, avrebbe indagato su di lei e non l'avrebbe più mollata.
"Cristo." fu il mio commento quando rientrando in casa trovai Jim davanti ad una schermata rosa e piena di gattini. "Cosa è quello?" ebbi quasi paura di chiederglielo.
"Si trova di tutto su internet Sebastian, se sai cercare." Jim aveva il solito tono compiaciuto che usava solo in occasione di scoperte brillanti. Perfetto. Non so cosa mi ha convinto a restare, davvero. "Oggi giorno tutti mettono le loro vite online, cercando un po' di compagnia e comprensione, cercando di uscire dall'anonimato e il risultato? Finiscono nella vasca degli squali." si dondolò sulla sedia, alternando lo sguardo tra lo schermo e me. "E' come prendere caramelle dagli sconosciuti, e pensare che è la prima cosa che ogni madre insegna ai propri figli. Tua madre te l'ha mai detto Sebastian?"

"No, non ha avuto il tempo." diedi uno sguardo rapido alla posta -sì, ricevevamo posta come tutti i comuni mortali, si.-

"Ci avrei giurato." commentò semplicemente Jim. "Questa ragazza, Molly Hooper, lavora nell'ospedale che Sherlock usa per le sue indagini e ricerche. Se sono fortunato potrebbe perfino conoscerlo."

"Potrebbe?" la cosa mi fece inarcare un sopracciglio. "Non sei sicuro che lo conosca? Ti stai affidando alla fortuna?"

L'occhiata che mi lanciò subito dopo mi fece pentire di aver aperto bocca.

"Sebastian io non mi affido alla fortuna, mai. Sono solo cosciente che un margine di errore è sempre presente in ogni informazione. Non l'ho mai vista con i miei occhi, per quanto la descrizione corrisponde, potrebbe anche non essere la ragazza che aiuta Sherlock."

"Stai aspettando che te lo dica lei, dal suo blog?"

"Esattamente."

E lei lo fece.

Per essere sicuro che comunque fosse lei senza aspettare la conferma da blog, Jim si era infiltrato nell'ospedale come tecnico dell'IT. Solitamente Jim non si esponeva mai di prima persona, non ci metteva mai la faccia, insomma. Ma doveva vedere con i suoi occhi. Esattamente come durante il nostro primo incontro.

Furono giorni relativamente divertenti quelli durante il suo lavoro all'IT, per me almeno. Per lui furono un vero inferno.

Lavorò seriamente, come se fosse stato una persona normale, andando via la mattina presto e tornando per l'ora di cena. Mai visto Jim tanto sconvolto.

"Io mi chiedo perché la gente compra un pc se poi non sa nemmeno accenderlo." e "La gente è anche più stupida di quello che pensavo." erano le sue reazioni preferite.

Prendete una brillante mente criminale che considera inferiore il genere umano e mettetela a lavorare nell'unico posto dove, per definizione, dovrà confrontarsi con persone che sembrano inette. Il risultato? Un bel mal di testa perenne per il povero coinquilino della suddetta mente criminale.

"La gente non può essere così stupida." brontolò per l'ennesima volta da quando si era sdraiato sul divano -no più appiattito, quasi a volerci scomparire dentro-  e mi aveva obbligato -e si, era stato un ordine- a fargli un massaggio.  "Insomma, gente così stupida dovrebbe essersi già estinta. O evoluta."

"Jim, smettila." brontolai io annoiato. "Se continui a fare così non ti rilasserai mai."

"Non che il tuo massaggio sia utile." mi fece notare lui atono.

"Non ti ho mai detto di saper fare un massaggio" protestai di rimando.

"Non sapevi nemmeno giocare a scacchi, ma sei migliorato, no?"

"Non vorrai costringermi a farti massaggi tutte le sere."

Lui si limitò a ridacchiare e io roteai gli occhi.

Per essere una brillante mente criminale Jim era stranamente incline alle...chiamiamole coccole. Ti aspetteresti che fosse una persona distaccata, perennemente di cattivo umore, decisamente asociale e invece...Invece ti ritrovavi, come quella sera, a fargli un massaggio per poi passare il resto della serata con la sua bocca perennemente incollata alla tua e...

E poi niente perché il sesso era ancora decisamente off-limits. Ora so perché lo era, ma allora non avevo idea. Avevo perfino pensato che Jim fosse ancora vergine -come Sherlock- ma ad occhio e croce Jim non mi sembrava proprio il tipo da non aver almeno sperimentato il sesso, quindi doveva essere qualcos'altro. Ovviamente pensai anche al fatto che magari non aveva proprio molta voglia di farlo con un uomo, perché insomma anche io avevo i miei ripensamenti, però poi mi ricordavo che stavo facendo congetture su Jim e che quello doveva essere l'ultimo dei suoi problemi. La verità è che stava aspettando il momento opportuno, valutando e calcolando quale fosse il momento più adatto. Si lo so, uccide ogni possibile traccia di romanticismo, ma onestamente non me ne frega nulla.

Tornando a Molly e a Jim...successe una cosa divertente.

Dovete sapere che Molly adora Sherlock Holmes, no no no, lo ama. Un amore di quelli ingenui che ti prendono il cuore e ti fanno sentire felice solo perché l'altra persona esiste -sempre se qualcosa del genere esista. E come tutte le ragazze innamorate con un blog, ne parlava e parlava senza mai citarlo -sì Molly ha 31 anni, ma emotivamente ne dimostra 14- e come tutte le ragazze si è lasciata sfuggire quel nome.

Un semplice nome in un mare di altre parole e Jim si fiondò su di lei come l'aquila che scende in picchiata per prendere la preda.

Quella notte -sì perché capitò di notte- ero fuori per un lavoro, dovevo far fuori Oberyn Dandee, vero nome Steven Karls, un baro provetto che aveva preso troppi soldi dalle persone sbagliate che erano venute a bussare alla porta di Jim, e visto che Jim era bloccato all'IT con un turno notturno non mi aspettavo di ricevere un messaggio.

Molly conosce Sherlock.

Bingo.

JM

Imprecai a denti stretti perché l'ultima cosa di cui avevo bisogno era di essere distratto dai messaggi di Jim. Il problema è che essendo messaggi di Jim non potevo ignorarli neanche durante un lavoro.

Buon per te.

SM

Scrissi velocemente, tornando ad osservare la strada tramite il mirino, aspettando che Oberyn uscisse dal retro del locale, cosa che sarebbe avvenuta relativamente presto.

Però il telefono vibrò di nuovo.

Seb, come si flirta con una ragazza?

JM

O Jim si era scordato che io ero in missione, o davvero brancolava nel buio. Era evidentemente la seconda, perché mi risultò impossibile che Jim si scordasse di un lavoro. E poi perché era abbastanza isolato nel suo mondo per non sapere davvero come abbordare una ragazza. Mi ci volle qualche secondo per realizzare che aveva intenzione di flirtare con Molly e mi ci volle tutto il mio autocontrollo per non ridere. L'ultima cosa di cui avevo bisogno era perdere tutta l'adrenalina e la concentrazione del momento.

Falle un complimento. Alle ragazze piacciono.

SM

Credo di aver aggiunto un paio di lettere di troppe nella fretta di rispondergli. Sentite quando sono appostato il resto del mondo può andare a farsi fottere e smettere di esistere, non è un problema mio, sono totalmente votato all'obiettivo. Quei messaggi di Jim erano noiosi e snervanti come qualsiasi distrazione mentre tenti di masturbarti. Si, lo stesso identico effetto.

Fortunatamente Jim smise di inviarmi messaggi e io potei rimettermi al lavoro. Aspettai e aspettai, pazientemente, appostato sul tetto dell'edificio di fronte a quello dove Oberyn-Steven stava giocando la sua ultima partita a poker. Sperai che avesse vinto abbastanza soldi per morire soddisfatto di sé, almeno un po'. Infondo anche io aveva barato di tanto in tanto, per arrotondare lo stipendio, quasi quasi potevo capirlo. Sentimento che svanì quando comparve nel mio campo visivo per scomparirvi subito dopo quando si accasciò a terra con un bel buco al centro della testa.

Solo a quel punto mi misi in piedi, mi sgranchii un po' le gambe e mi concessi una sigaretta. Dopo un lavoro la vita mi sembra sempre più bella, come se una persona in meno facesse respirare un po' il mondo sovraffollato. Non che sia un benefattore, ma ritengo di offrire un servigio ad un mondo che sta collassando sotto il peso della popolazione umana. E poi c’è quel vago senso di onnipotenza dato dalla capacità di togliere una vita umana.

Avevo appena rimesso religiosamente a posto il fucile, arrivò l'ennesimo messaggio.

Queste macchinette fanno il caffè peggiore che abbia mai bevuto.

JM

Fortunatamente Jim non aveva mai amato molto il caffè, era sempre stato molto british sulla sua assoluta preferenza per il the, quindi mi limitai a scuotere la testa ed allontanarmi velocemente da lì, prima che qualcuno avvertisse la polizia, anche se quello era un fottuto posto dimenticato da Dio e non credo nessuno abbia trovato il corpo prima di mezzogiorno.

Fu così che Jim iniziò ad uscire con Molly, cosa di cui si pentì immediatamente presumo, ma non lo diede a vedere. Doveva arrivare a Sherlock e se per farlo doveva far finta di essere interessato a Molly l'avrebbe fatto.

Uscirono giusto un paio di volte dopotutto, ma la situazione era ridicola. Non perché Jim non sapesse come comportarsi con Molly -non che poi che con una ragazza semplice come lei ci volesse chissà cosa- ma perché era estremamente dolce e carino e lei...Okay, provai pena per Molly perché non aveva capito assolutamente nulla e credeva davvero di aver trovato un bravo ragazzo.

Jim un bravo ragazzo. Esiste qualcosa di più ossimorico?

Però ammetto che trattandosi di lavoro aveva dimostrato una pazienza infinita e ammirabile. Si era perfino sorbito una maratona di Glee con Molly e non aveva battuto ciglio.

Quando tornò a casa quella sera però era visibilmente sconvolto, me ne accorsi dal modo in cui trascinò i piedi rientrando, da come chiuse svogliatamente la porta, dalle spalle curvate che notai quando entrò in soggiorno. Si, eravamo arrivati a quel punto che potevo distinguere il suo umore da come camminava, soprassediamo.

"Hai un aspetto orribile" commentai rimanendomene sdraiato sul divano, il telecomando ancora in mano.

"Non mi dire." si trascinò fino alla poltrona tra i due divani e lì si accasciò esausto.

"Che diavolo è successo?" dovetti allungare il collo e guardare all'indietro per farlo entrare nel mio campo visivo.

"L'orrore." borbottò e anche se lo vedevo sottosopra l'ombra scura sul suo volto era chiarissima. "Molly mi ha fatto vedere questo telefilm infernale di ragazzini che passano tutto il tempo a cantare. Glee, o come diavolo si chiama."

Fu lì che scoppiai a ridere così forte da farmi venire le lacrime agli occhi. Molly Hooper, la ragazza della porta accanto, aveva obbligato la mente criminale più pericolosa d'Inghilterra a guardare il telefilm con meno senso logico della storia della televisione. Molly Hooper non sarà stata un genio, ma la ragazza aveva davvero compiuto imprese degne di nota.

"Smettila Sebastian!" mi ordinò annoiato. Io continuai a ridere, incapace di togliermi dalla testa l'immagine di loro due seduti sul divano intenti a guardare degli adolescenti con complessi che si sfogano cantando. "Smettila."

"Scusa ma...Glee! Di tanti telefilm nel mondo il più inutile? Cos'è l'ha fatto apposta per darti sui nervi?" non avevo ancora smesso di ridere e questo portò perfino Jim a sbuffare divertito.

"E' stato traumatizzante." ammise passandosi le mani sul viso. "Il prossimo che devi fare fuori è Ryan Murphy, e no, non sto scherzando."

"Oh?" non servì comunque a smorzare la mia risata. "Credo che molti fan piangerebbero, mi sembra alquanto crudele solo perché non sa scrivere degli episodi decenti."

Jim ci pensò un po' su, poi annuì dimenticando per sempre la questione Ryan Murphy, fortunatamente.

Rimase in silenzio, ma c'era qualcos'altro che la sua mente stava rimuginando perché aveva il viso contratto e l'espressione di indecisione che gli vedevo sul volto solo quando considerava lavori particolarmente rischiosi. Non era l'espressione da sto-per-rinchiudermi-nella-mia-testa-per-capire-cosa-diavolo-fare, ma l'espressione da il-rischio-che-sto-correndo-vale-il-risultato-che-otterrò?. E onestamente non succedeva mai nulla di buono quando aveva quell'espressione.

"Jim, che diavolo c'è ora?" gli chiesi serio, la testa che ancora ciondolava al di là del bracciolo del divano.

Ovviamente, non mi rispose, non subito, nemmeno quando lo chiamai James -oramai avevo preso a farlo solo quando volevo davvero la sua attenzione- e io lo lasciai crogiolare nel suo silenzio.

Non so quanto tempo passò prima che finalmente riaprisse bocca. "Voglio fare sesso."

"Potevi restare con Molly, allora." risposti istintivamente, senza neanche aver capito a pieno quello stava dicendo.

"Con te, idiota." ebbi giusto il tempo di vederlo sporsi in avanti prima che mi baciasse. Un bacio caldo, invitante, decisamente diverso dai nostri soliti baci. "Possiamo andare in camera da letto?"

La mia anima urlò un sì grande quanto una casa, ma la mia gola non articolò neanche mezzo suono. E questo perché il resto dei miei sensi mi fecero notare che non era da Jim chiedere, se voleva qualcosa se lo prendeva e basta. Ma non ci feci caso perché non me ne poteva importare di meno in un momento del genere.

Mi misi a sedere sul divano in una frazione di secondo, lo baciai a mia volta e finalmente, in un modo più tranquillo di quello preventivato, risposi semplicemente. "Si."

Ora, dovrei essere alquanto reticente a condividere questa memoria, a condividere un momento così privato e importante, ma il fatto è che è strettamente funzionale al resto della storia.

Vorrei poter dire che quella sera il sesso fu meraviglioso, ma mentirei platealmente. Fu imbarazzante e dannatamente strano. Non perché Jim non sapesse cosa fare -diavolo se lo sapeva-. Il problema è che...era Jim.

Eravamo nudi sul mio letto e mentre io ero decisamente concentrato su quello che stavo facendo, lui era fottutamente distante. Intendiamoci, sono stato con parecchie ragazze che appena si ritrovavano nude in un letto diventavano tese come corde di violino -per poi suonare altrettanto bene-, ma non era il caso di Jim, non era teso per la situazione. Non era proprio lì con me. Il suo corpo era teso perché la sua mente si stava concentrando su qualcos’altro.
Sono della scuola di pensiero per cui il sesso si fa in due, per cui mi arresi all'evidenza che stavo solo sprecando energie. Avrei potuto anche fare tutto da solo, lui non si sarebbe ribellato, ma l'idea non era per nulla allettante.

Gli lasciai un ultimo segno di denti sopra l'ombelico prima di sdraiarmi sul letto accanto a lui con un sbuffo annoiato. Almeno si accorse che la situazione era cambiata.

"Che ti prende?" era davvero, davvero confuso.

"A me?" non ero in vena di essere divertito, onestamente. "Ti stai sforzando Jim, e io non ho alcuna voglia di continuare con te che sei chissà dove." cercai di recuperare i  pantaloni per rivestirmi visto che, da come si era messa la situazione, non avremmo concluso molto. Non in due.

"Non mi sto forzando." protestò annoiato. Quindi mi impedì di recuperare i sopracitati pantaloni bloccandomi per un polso. Non fu una presa gentile, anzi mi fece dannatamente male; se avesse aggiunto un po' di pressione sono sicuro che avrei sentito le ossa schioccare e spezzarsi. "Torna a letto." e quello fu un ordine.

"Sarebbe inutile, continueresti ad essere un ghiacciolo." protestai anche in parte per il dolore al polso. Fortuna che era il sinistro, poco male.

"Non tutti reagiscono allo stesso modo a letto." si difese.

"Tu non reagisci proprio."riuscii a liberarmi dalla presa, anche se era oramai inutile: mi rimase il livido di quella presa per giorni. Jim non era dotato di grande forza fisica, ma sapeva quali erano i punti per fare davvero male.

Sospirò un paio di volte, indeciso se saltarmi al collo e farmi fuori o essere paziente ancora un po'.

"Va bene, così non si va da nessuna parte." usò il tono pratico che usava abitualmente quando qualche cliente faceva storie. E poi pretendeva che io credessi davvero che il motivo per cui era altrove era solo perché era il suo normale atteggiamento?

Uscì dalla stanza e io imprecai ad alta voce. Senza neanche accorgermi di averlo fatto, lasciandomi ricadere sul letto.

Qualche secondo dopo tutto l'appartamento fu invaso dalle note di un organo; avevo già sentito quella musica, ma non mi ero mai interessato più di tanto e quindi non riconobbi l'autore.

"Johann Sebastian Bach." annunciò Jim da fuori la porta, quasi mi avesse letto nella mente. "Il modo migliore per sgombrare la mente da ogni pensiero." E Mozart era il modo migliore per decidere su questioni complicate, Wagner era il modo migliore per prepararsi ad incontri potenzialmente problematici, Vivaldi era il modo migliore per concentrarsi sulla lettura e sui numeri e così via... Jim aveva una vera passione per la musica classica. Io l'ho sempre odiata.

Ma non mi sembrava proprio il caso di farglielo presente quando tornò a letto.

"Quindi, cosa vorresti da me Sebastian, esattamente?" mi domandò quasi realmente interessato alla risposta. Riprese a baciarmi in quel modo che mi avrebbe fatto dire si a tutto -e che di fatto fu la mia totale rovina perché funzionò sempre-

"Resta qui, James. Non scappare da qualche altra parte con quella stupida mente che ti ritrovi."

Ad onore del vero, non lo fece.

Non che potessi chiedergli di smettere di essere una persona tutta cervello, ma almeno non vagò troppo con la mente. Credo che per gli standard di Jim, si lasciò parecchio andare. Anche se la sua mente non smise mai di registrare ogni singola sensazione, cosa facevano le mie mani, dove erano le sue. Posso affermare con quasi assoluta certezza che tenne anche il conto dei gemiti.  

Perché anche durante il sesso Jim restò sempre- non solo quella prima volta- padrone e schiavo della sua mente. Il che è abbastanza frustante quando il pensiero più coerente che la tua mente fa è qualcosa molto simile a "Cristo. Sì così."

Mi abituai anche a quello, comunque. Perché il sesso era anche l'unica cosa in grado di far smettere di funzionare il suo magistrale cervello. Perché quando era vicino all'orgasmo l'unico pensiero coerente della sua testa era il mio nome.

E scusate se non è affatto poco.

Tornando a noi, come ho detto, questo racconto è funzionale alla storia perché... perché avrei dovuto capire immediatamente che si stava davvero forzando a farlo -almeno in parte- e il motivo per cui lo faceva era perché quella notte fu solo uno dei suoi tanti esperimenti. Lo scoprii qualche giorno dopo e mi comportai di conseguenza.

Ma il mattino seguente non avevo alcun sospetto e anzi, ero dannatamente appagato e forse quasi felice.

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Capitolo 4
*** The Great Game part.2 ***


III. THE GREAT GAME


L'idea che quando mi fossi svegliato Jim sarebbe stato nel letto accanto a me non mi sfiorò nemmeno lontanamente, quindi quando mi svegliai da solo nel mio letto fu tutto assolutamente normale.
Lo trovai invece nel suo studio intento a contemplare la piantina di Londra che occupava una delle pareti. Solitamente era vuota, nessun segno particolare, nulla di nulla, perché tutto era nella testa di Jim, ma quella mattina aveva quattro puntine in tre strade di Londra.
"Il gioco è iniziato, Sebastian." era il suo buongiorno e credo che nella sua concezione fosse il miglior buongiorno possibile.
"Era ora." ammetto che i preparativi erano diventati abbastanza snervanti, tra telefonate, minacce, visite a tutte le ore del giorno e della notte. Almeno ora, avrei avuto qualcosa da fare. Lo abbracciai da dietro e posai il mento sulla sua spalla continuando a guardare la piantina. "Cosa sono quei punti?"
"Dove metteremo gli ostaggi ad aspettare ce Sherlock Holmes li salvi." mi rispose Jim fissando anche lui quei tre punti sul muro. Chissà, forse per lui avevano qualche significato particolare.
"Abbiamo anche degli ostaggi?" domandai perplesso posandogli un bacio sul collo. Aveva ancora il mio odore addosso.
"Certo che sì." ridacchiò. "Che gusto ci sarebbe, altrimenti? Qualcuno fatto saltare in aria non può che rendere tutto più divertente."
"Pensavo di doverle fare fuori io." e anche non volendo la mia voce risuonò decisamente offesa, come al solito. Non mi ero mai accorto quanto fossi capriccioso in fatto di lavoro.
"Sebastian non essere stupido, ovvio che li lascio a te." e il modo in cui lo disse mi fece pensare che avrei dovuto considerarli un regalo speciale. "Solo che è più divertente vedere la polizia convinta che sia saltato tutto in aria quando invece è stato un colpo di fucile ad ucciderli."
"Non che per fregare Scotland Yard servano espedienti così raffinati." nella mia esperienza personale, Scotland Yard non aveva mai rappresentato un problema, anzi. Delle volte mi facevano pena poverini, si impegnano, è solo che la maggior parte di loro sono degli inetti per natura. E la loro concorrenza sa il fatto suo.
Jim rise quasi di cuore e la consapevolezza che era di buon umore mi svegliò del tutto. Mi resi conto che era tornato nel suo stato febbrile e che quindi per Londra sarebbe stata una giornata davvero pericolosa. Perché il suo piano sarebbe potuto cambiare un centinaio di volte in un ora e questo non era un bene.
"Oh Sebastian." c'era una sorta di euforia e accettazione tutta nuova nel modo in cui aveva pronunciato il mio nome che mi fece venire i brividi. E anche voglia di spingerlo contro il muro e continuare quello che avevamo fatto la notte precedente. "Ti prometto che quando questo gioco sarà finito io e te saremo insieme sulla cima di questo mondo e lo plasmeremo come più ci piacerà."
"Vuoi dire che tu sarai in cima al mondo e io un po' più sotto."
Rise di nuovo e mi passò una mano tra i capelli, vizio che non si tolse mai "Si." si voltò e cercò le mie labbra. "Ma tutti gli altri saranno comunque sotto di te, quindi in cima ci saremo noi. Ti prometto, Sebastian, che questo mondo sarà nostro."



Ometterò i dettagli dei due giorni seguenti per varie ragioni, che illustrerò di seguito.
1: Non ho alcuna intenzione di svelare troppo i piani di Jim.
2: Non è funzionale alla storia.
3: Il caro dottor Watson si è preso la briga di fare il lavoro al posto mio.
Taglierò corto, dicendo solo che mentre io ero in giro, appostato per ore e ore e ore tenendo sotto tiro gli ostaggi, Jim era rimasto a casa a gestire tutto dal divano. Non solo non amava sporcarsi le mani, ma soprattutto non amava esporsi in prima persona. Lui e i suoi stupidi aggeggi elettronici. Si prese la briga di uscire di casa solo per andare convincere Molly a presentargli Sherlock e per mettere del tritolo intorno ad una vecchietta, la quale era cieca e quindi proprio non poteva vedere Jim. Però poteva sentirlo e ebbe la brutta idea di dirlo a Sherlock. Non che abbia accorciato di molto la sua vita, in ogni caso.
Insomma, agì dall'ombra, tirando i fili di ogni personaggio coinvolto nel Gioco. Sono abbastanza sicuro che ci sia una canzone dei Metallica intitolata Master of Puppets. Sarebbe un titolo onorario perfetto per Jim.
Come ho detto, litigammo spesso in quel periodo e uno dei motivi fu la scelta di uno degli ostaggi. Oh sono sicurissimo che nel piano originale non doveva andare come poi di fatto andò, ma che quella fu una delle tante modificazioni dovute all'eccessivo buon umore di Jim.
Generalmente, oserei dire che sono un uomo senza troppi scrupoli, che non si fa troppi problemi. Insomma la mia moralità, concesso che ci sia mai stata in primo luogo, se ne è andata a farsi fottere da un bel pezzo, e a me va benissimo così.
Ma quando mi trovai a dover tenere sotto tiro un bambino fu troppo perfino per la mia mancanza di coscienza che aveva spinto Jim a darmi quel lavoro in primo luogo.
"Jim, è un fottutissimo bambino." sibilai sapendo che se Jim aveva tanto insistito per rimanere in contatto radio allora era in perenne ascolto.
"Si." rispose tranquillamente.
"Un bambino." ripetei di nuovo, duramente. Avrà avuto al massimo dieci anni.
"Si, Sebastian lo so." sentii chiaramente che sospirò annoiato.
"Non posso uccidere un bambino!" e per la prima volta da quando era iniziata quella storia, mi ribellai apertamente ad un ordine di Jim. Prima di allora non avevo mai avuto reali motivi per farlo, dopotutto.
"Perché no?" non c'era alcun tono di sfida o di provocazione, semplicemente, non capiva.
"Perché è un bambino!" ripetei ancora perché quella era la spiegazione di tutto. Ma pretendere da Jim di avere rispetto per un bambino era più o meno come chiedere ad una tigre di non tentare di sgozzarti con un morso dopo che le hai sparato. Del tutto inutile.
"Non capisco perché stai frignando come una ragazzina, Sebastian." il suo tono era diventato più sottile. Si stava innervosendo.
"Perché hai avvolto un bambino nel tritolo! Dannazione il giubbotto esplosivo è più grande di lui!" però non abbandonai la postazione, in realtà non ci pensai neanche per un istante. Sono quasi uno stacanovista.
Se hai qualche problema Sebastian, posso sempre mandare qualcun'altro." e per qualcun'altro intendeva il sostituto che avrebbe dovuto cavarmi gli occhi.
"Si che ho qualche problema!" risposi comunque, minaccia o non minaccia. "Per il giusto prezzo posso uccidere anche mia madre, ma...non un bambino, Non ti può aver fatto nulla di male!"
"Stai mettendo in dubbio le mie decisioni?"
"Si."
E nel mio orecchio risuonò solo il silenzio più abissale che abbia mai udito. Fui dannatamente contento di essere chilometri e chilometri distante da Jim, perché almeno potevo sperare di essere al sicuro. Non ero così stupido da pensarlo veramente, comunque.
"Allora spera che Sherlock sia così bravo da risolvere l'enigma in tempo." sibilò improvvisamente, tanto che per poco non sobbalzai. "Vuoi che mandi qualcun'altro a fare il lavoro, o pensi di potercela fare a smettere di lamentarti?"
Mi resi conto solo in quel momento di aver trattenuto il respiro. "No, capo." dissi dopo quella che mi sembrò un'eternità. "Non ho alcun problema."
Almeno, Sherlock Holmes salvò quel bambino, anche se per un soffio. Non mi sarei mai perdonato di aver ucciso un bambino, seriamente.
Oh, ma sapevo che per me i problemi erano solo iniziati. Tecnicamente viviamo in un mondo con un po' di libertà, in pratica io vivevo sotto una dittatura. E sotto la dittatura ogni ribellione va punita. Ogni punizione deve essere esemplare e deterrente per le altre.
Quando tornai a casa fu come entrare nella tana del Diavolo in persona.
"Jim, mi dispiace." fu la prima cosa che dissi, tutta d'un fiato perché non sapevo se avrei avuto altre occasioni per parlare.
"Hai messo in dubbio un mio ordine." si limitò a constatare oggettivamente con tono piatto. "Cosa dovrei fare secondo te?" quella calma ostentata l'avevo vista altre volte e sapevo che si sarebbe trasformata in tempesta nel giro di pochi istanti.
"Non so che mi è passato per la mente." non avevo giustificazioni - comprensibili a lui- e quindi optai per la classica.
"Pensavo che avessimo un accordo." sibilò mentre gli occhi gli si riempirono di furia. "Io ti pago, tu fai quello che ti dico."
"E' così." risposi atono.
Mi girò intorno come un corvo intorno ad una carcassa e improvvisamente provai pietà per tutti quelli che si erano trovati nella mia situazione prima di me. E pensare che finiva con me che li facevo fuori. Per un momento mi chiesi che metodo avrebbe usato Jim per fare fuori quello che di solito faceva fuori gli elementi oramai superflui.
"Cosa me ne faccio di te se tu non rispetti gli accordi?" sembrò quasi addolorato, ma il suo sguardo continuò ad essere furioso. "Io devo potermi fidare di te, Sebastian, altrimenti non ha alcun senso che ti tenga con me. Pensavo di potermi fidare, ma sei inutile, esattamente come tutti gli altri."
"Ma puoi fidarti, James!" protestai. Fortunatamente gli anni nell'esercito si rivelarono utili: riuscii a mascherare qualsiasi traccia di paura nella voce. Perché avevo paura. Oh se avevo paura.
Quella mia risposta fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Non mi accorsi che mi aveva schiaffeggiato finché non sentii il bruciore alla guancia e il sapore metallico del sangue.
"No che non posso!" urlò e fu quasi un sollievo, perché era molto più semplice rimanere calmo di fronte ad una sfuriata che ad una calma apparente. Mi afferrò il braccio sinistro e, nonostante lo stesse piegando ad un angolo innaturale dietro la mia schiena, improvvisamente mi sembrò che le cose non stessero andando così male. "E sai cosa succede ai collaboratori di cui non posso più fidarmi."
Aspettai il suono dell'osso che si spezzava,e invece non arrivò. Jim smise di storcere appena prima del punto di rottura. Non era stato un errore, come ho detto sapeva esattamente come fare male.
"Anche se non mi fido, ho ancora bisogno di te."mi lasciò il braccio in maniera brusca e dal tono tagliente che aveva usato la cosa non gli andava minimamente a genio. Però con un calcio ben assestato dietro il ginocchio mi fece perdere l’equilibrio e mi ritrovai in ginocchio sul pavimento.
In fin dei conti quando sentì lo schiocco delle dita della mano sinistra che si rompevano capii che me l'ero cavata con poco. Oh, se non fossimo stati nel bel mezzo di un lavoro mi avrebbe rotto quelle della destra, per sfregio.
"Non mettere mai più in discussione i miei ordini."
"No, capo."




Mano sinistra malandata o no, fu compito mio rapire il caro dottore.
Non che rapire sia il termine giusto, mi sono limitato a seguirlo per un paio di minuti ed usare un po' di cloroformio.
L'ultimo ostaggio di Jim –non capii perché avesse scelto proprio lu-i. Non aveva mai parlato troppo del dottore, tutto concentrato com'era su Sherlock, quindi mi limitai a portarglielo nella piscina senza fare troppe domande. Ero ancora troppo concentrato sul dolore alle dita per farmi venire la brillante idea di disturbare Jim. Con la fortuna che mi ritrovavo l'avrebbe presa come un'altra insubordinazione.
Fu compito mio anche decidere dove e come posizionare gli altri cecchini per tutto il perimetro della piscina, in modo che nessun punto fosse sicuro.
Ma soprattutto fu compito mio tenere sotto tiro il dottore.
"Sebastian." Jim mi chiamò con un cenno della mano prima che mi allontanassi per andare ad occupare il mio posto -l'unico scelto da Jim, per dovere di cronaca-
"Si, capo?"
Lui mi squadrò per un po' prima di parlare. Sono sicuro che stesse valutando se poteva fidarsi ancora, se un paio di dita spezzate potessero essere un deterrente efficace e sufficiente con uno come me. "Stasera hai un solo compito: mira al cuore del dottore. E che sia il cuore, Sebastian. Non mi interessa come si sposta, come non si sposta: tu mira al cuore."
Non so perché fosse così importante mirare al cuore, ma annuì e mi attenni a quelle disposizioni. Non era la prima volta che Jim mi chiedeva un colpo preciso in un punto, non sarebbe stata l'ultima e non fu nemmeno la richiesta più strana: una volta mi aveva chiesto di colpire un uomo all'ombelico, chissà perché.
Ancora una volta, eravamo tutti collegati tramite contatto radio -non che ce ne fosse bisogno, l'acustica di quella piscina faceva invidia ai migliori stadi-, quindi sentii tutto e diavolo se Jim sembrava pazzo. A forza di viverci insieme mi ero abituato al suo modo di fare e mi ero scordato che non era lontanamente normale.
Non sarei voluto essere al posto del dottore, nemmeno per un milione di sterline: posso solo immaginare come ci si può sentire a svegliarsi e rendersi conto di essere una bomba vivente per poi essere tenuto costantemente sotto tiro, senza possibilità di aiutare il proprio...qualsiasi cosa sia Sherlock Holmes per John Watson.
Se dovessi dire chi uscì vincitore da quel primo incontro, direi Jim, ma solo perché Sherlock aveva John a cui badare, altrimenti sono sicuro che le cose sarebbero andate in maniera differente. Sherlock Holmes non mi sembrò così differente da Jim, se devo essere sincero. Almeno, non quando minacciò di sparargli.
Non appena Jim uscì di scena, smisi di tenere sotto tiro il dottore, perché non ce ne era più bisogno. O almeno così credetti.
"Ho cambiato idea, non ho ancora finito con i nostri ospiti, Sebastian caro, sai cosa fare."
Come avevo detto, quando Jim era di buon umore era più lunatico del solito, più capriccioso, e non era mai un bene. Sapevo esattamente cosa fare: riposizionai il fucile e tornai a tenere sotto tiro il dottore, tenendo a mente l'ordine categorico di Jim: mira al cuore.
Il povero dottore non ebbe tempo di riprendere fiato che il puntino rosso sul petto lo rigettò nella realtà della situazione e Jim fece la sua seconda entrata in scena senza immaginare che Sherlock aveva avuto tutto il tempo di tornare in totale controllo di sé.
Fu il silenzio ad allarmarmi, a farmi capire che qualcosa non andava.
Per un breve istante, un fottutissimo istante, smisi di tenere sotto tiro il dottore per lanciare uno sguardo alla situazione a bordo piscina.
Il primo pensiero fu che Sherlock stava di nuovo puntando la pistola verso Jim, e il cuore mi saltò in gola, ma poi mi resi conto che mirava troppo in basso e, dannazione, riconobbi subito il giubbotto esplosivo che aveva tolto al dottore.
Stavamo per saltare tutti in aria.
Sarei potuto scappare e mettermi in salvo -come il silenzio radio mi faceva presumere che avessero già fatto gli altri cecchini, ma la verità è che non avrei lasciato la mia postazione. Un capitano affonda con la sua nave, no?
La verità, però, è che non avrei lasciato Jim da solo in quella situazione.
Se dovevamo saltare in aria, beh, saremmo saltati in aria insieme.
Furono momenti tesi, cercai di calcolare quante possibilità avevo di colpire Sherlock nella frazione di secondo prima che premesse il grilletto. Se solo avessi potuto sparare a Sherlock di mia iniziativa...ma no, se lo avessi colpito senza motivo, senza che avesse pensato di premere il grilletto, Jim avrebbe voluto la mia testa in cambio.
Mi attenni agli ordini, non persi di vista il dottore.
Il cuore mi rimbombava nel petto, il silenzio mi fece fischiare le orecchie. E io sorrisi.
Quella era esattamente la scossa di adrenalina che avevo cercato per tutta la vita.
La paura -per la mia vita, per Jim-, l'attesa, l'assenza di controllo sulla situazione, l'imprevedibilità di ciò che sarebbe successo. Nessuna caccia alla tigre poteva farmi scorrere il sangue così velocemente nelle vene.
Sorrisi perché non ero mai stato così vivo in vita mia.
Probabilmente ero solo diventato pazzo a forza di vivere con un pazzo, ma quello era il momento più eccitante della mia vita e ne ero consapevole.
Mossi le dita rotte, concentrandomi sulla scarica di dolore che mi arrivò dritta al cervello: dovevo tenere sotto controllo l'adrenalina e dovevo assolutamente rimanere lucido. Lasciarmi prendere dalle emozioni sul lavoro non è la mia politica.
Passarono minuti? Passarono solo dei secondi?
Il tempo sembrò dilatarsi all'infinito e io non seppi più come volevo che finisse: volevo una bella esplosione -morire avendo vissuto l'emozione più forte della mia vita- o uscire da lì e utilizzare tutta quell'adrenalina? Per un momento non mi importò di morire, devo essere sincero.
Poi Stayin' Alive risuonò per tutta la piscina e io tirai un sospiro di sollievo, imprecando a denti stretti. Evidentemente avevo ancora voglia di vivere
Eravamo ancora tutti vivi. Una gran bella vittoria.
Non so chi avesse chiamato Jim, ma chiunque fosse, non avevo mai sentito Jim rivolgersi in quel modo a qualcuno. Di solito ero in grado di capire se era un cliente o un collaboratore, e anche se importante o assolutamente inutile. Ma in quel momento poteva essere entrambi visto che aveva alternato minacce a promesse.
Chiunque fosse, però, convinse Jim a finire lì il suo prezioso incontro con Sherlock Holmes. Va da se che non era cosa da poco.
Dato l'ordine di abbandonare le postazioni, raggiunsi Jim il più velocemente che potevo -il che implicava smontare il fucile e sistemarlo con cura nella custodia- trovandolo praticamente già in macchina.
"Ah bene, sei qui Sebastian." annuì soddisfatto. Come se non avesse saputo che gli sarei corso dietro. "Questo affare non può aspettare." commentò vago. "Ma temo tu abbia da fare qui, ancora. Fai fuori la tua squadra. Sempre che qualcuno sia rimasto."
Soffocai una risatina: avevano davvero pensato di svignarsela e di rimanere sani e salvi? "Con piacere."
"Dopo, vai a farti controllare quelle dita, stanno diventando viola." aggiunse distrattamente prendendomi la mano e controllandola. Mi ci volle un gran bello sforzo a nascondere la smorfia di dolore.
"A tempo debito." borbottai come se fosse una questione di poca importanza. Più tempo lasciavo la frattura non trattata, più tempo ci sarebbe voluto perché si aggiustasse e, dannazione, per quanto sia destrorso, la mano sinistra mi è tornata utile in un paio di occasioni.
E poi Jim, assolutamente all'improvviso, mi baciò con forza. Direi quasi che fu un bacio furioso. Iniziai a chiedermi quanti diavolo di modi per baciare conosceva.
"E questo bacio per cos'era?" chiesi senza fiato.
"Odio quella donna e se devo starla a sentire, preferisco avere un buon sapore in bocca."
Quella donna. La donna. Irene Adler.
Ma questa è un’altra storia.

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Capitolo 5
*** The Lost Year ***


IV. THE LOST YEAR

 

 
Non tutti i cecchini erano scappati via e, per questo, come detto, terrò l'anonimato. Per gli atri fu una vera e propria caccia all'uomo, li dovetti inseguire, braccare, stanare.
Ovviamente non videro il sorgere dell'alba. Non c'è caccia che Sebastian Moran non porti a termine con successo.
All'alba, mentre i loro corpi erano già freddi, io ero in ospedale a farmi letteralmente aggiustare le dita. Fortunatamente, l'abilità di Jim mi evitò parecchi problemi: una frattura pulita e netta è più facile da sistemare. Nonostante questo però, tra steccatura e riabilitazione, mi ci sarebbe voluto un mese per tornare ad usare le dita come prima.
Un mese di dolore, perfetto. Credo che fosse esattamente l'obiettivo di Jim.
Quando ritornai nell'appartamento era giorno fatto e Jim non era ancora tornato. Quale diavolo di incontro poteva durare così tanto?
Visto che non avevo assolutamente niente di meglio da fare -oh riposarsi sarebbe stato così noioso- mi dedicai al lavoro prettamente burocratico.
Non sono un uomo che ama stare dietro ad una scrivania a compilare fascicoli, questo è più che evidente, ma non ero più neanche un semplice cecchino che veniva chiamato, completava la missione, prendeva i soldi e scompariva nel nulla. Ero parte di qualcosa di assurdamente più grande e importante e non ero l'ultima ruota del carro. In quanto braccio destro di Jim Moriarty mi toccava anche qualche lavoro sulle scartoffie. Vediamo i lati positivi: i conti li teneva solo Jim e non vidi mai i libri contabili.
Aggiornai i fascicoli sui cecchini, aggiungendo una voce lavorativa al curriculum di quelli ancora in vita, o aggiungendo data e motivi di morte -e con sommo piacere anche esecutore della sentenza- di quelli che erano fuggiti. Abbiamo un unico modo nell'esercito per etichettare i tipi come quelli: codardi. Abbiamo un unico nome per quel reato: diserzione. Abbiamo una unica soluzione: la morte.
Quando mi cacciarono dall'esercito, pensavo di aver riconquistato la libertà e la totale padronanza della mia vita.
Quando entrai al servizio di Jim, non pensavo che sarebbe stato anche peggio che essere nell'esercito e che tanti schemi mentali sarebbero stati simili.
Creai i fascicoli anche per quelle poche figure che si erano ritrovate coinvolte nella partita tra Jim e Sherlock, perché Jim aveva questa assurda convinzione che tutti andassero schedati. Sono sicuro che se Scotland Yard mettesse le mani su quei fascicoli festeggerebbe il Natale in anticipo.
Non fu un lavoro semplice, soprattutto con la mano sinistra pressoché inutilizzabile. O dovevo scrivere al computer mettendoci il doppio del tempo, o dovevo tenere dei fogli che continuavano a cadermi di mano.
Jim ritornò mentre io stavo sistemando -lottando per tenere aperto- l'ultimo fascicolo e il fatto che mi rivolse subito la parola mi fece capire che l'affare era andato bene.
"Ecco qualcosa di insolito: Sebastian Moran intento a compilare documenti." commentò divertito -o qualsiasi cosa di simile al divertimento possa provare uno come lui-
"Sebastian Moran, costretto a compilare documenti." lo corressi, puntandogli contro la penna.
"Su, non lamentarti." mi venne vicino, mi baciò e mi passò una mano fra i capelli. "Ti sei divertito abbastanza ieri sera, puoi fare un po' di lavoro burocratico."
"Oh, molto bello essere sul punto di saltare in aria." replicai semplicemente.
"Ero sicuro che fosse stato il tuo momento preferito della serata." e la sicurezza con cui lo disse mi diede quasi fastidio, quindi sbirciò il foglio e commentò. "Oh, mi piace quella scritta. Morto. Hai anche usato la tua migliore grafia, Sebastian, impressionante."
"Avevo tempo da perdere." commentai così tutta l'attenzione che avevo dato alla grafia. Il che in parte era vero.
"Vedo che sei passato in ospedale." cambiò discorso e io risposi con un sorriso tirato. Jim è la classica persona che prima lancia il sasso e poi nasconde la mano.
"Chi è che hai incontrato?" domandai cambiando discorso a mia volta. Potevamo andare avanti per ore così."Deve essere un affare grosso per averti trascinato via da quella piscina..."
Jim è come un bambino in perenne cerca di attenzione. Vive per mostrare la sua intelligenza, o con i fatti o con le parole.
"Se vuoi considerare avere abbastanza materiale per poter ricattare la famiglia reale un affare grosso, allora sì. Non credevo Irene riuscisse nell'impresa: ha un certo talento, non posso negarlo. Ma è un talento così sopravvalutato, è aiutata dall'essere donna. Forse il suo unico talento è saper sfruttare al massimo le caratteristiche con cui è nata. Che, di per sé, non è una cosa che disprezzo, solo che..." sbuffò "E' così scontato e volgare. Si definisce una ladra,ma l'unica cosa che fa è ricattare gente che ha avuto la malaugurata idea di andare a letto con lei."
"Oh, avevo una ragazza del genere una volta." commentai divertito. "Quindi Irene si porta a letto gente potente e loro le danno quello che vuole pur di evitare uno scandalo?"
"Esattamente. Potrebbe farlo chiunque." ed eccolo lì il vero criterio di distinzione usato da Jim: se avevi un talento unico, singolare -se eri speciale- meritavi la sua attenzione, se invece eri bravo in qualcosa che qualcun'altro avrebbe potuto benissimo fare, allora non eri nessuno.  Non è mai stato un dramma che io fossi nella seconda categoria.
"Beh, bisogna avere abbastanza fegato per mettere in atto le proprie minacce, questo non lo farebbe chiunque."
"Ci vuole proprio un gran fegato a mandare una e-mail a qualche giornale, già." Jim scosse la testa e si chiuse nel suo studio e non lo vidi più fino a sera.


 
 
Nel primo pomeriggio controllai il blog del dottore. Con tutta l'attenzione che metteva in quel blog mi sarei sentito deluso se non avesse aggiornato con le peripezie della notte precedente.
Se avete tempo -e non avete proprio niente di meglio da fare- leggetevi quel post. Credo ci abbia messo almeno un'ora per scrivere tutto perché è un post chilometrico. Leggerlo è stata un'impresa titanica, fatemelo dire. Soprattutto perché sapevo già come sarebbe andata a finire. Insomma, rileggere le ultime giornate della mia vita non fu proprio esaltante.
Ma fu illuminante. Oh, se lo fu.
Perché dovete sapere che quando Jim considera il resto del mondo fatto da idioti e include anche me, beh ha perfettamente ragione.
Perché solo un idiota si sarebbe fatto fregare come mi sono fatto fregare io nonostante fosse palese.
Nonostante sapessi che qualcosa non andava, senza l'aiuto del dottore non ero riuscito a mettere in relazione tutti quei dubbi e a completare il puzzle. Ogni mistero, con la giusta chiave di lettura, è facilmente risolvibile, dopotutto.
Arrivato al paragrafo in cui il dottore raccontava della scenetta in piscina, ero così annoiato che inizialmente mi passò inosservato un dettaglio, poi qualcosa mi spinse a rileggere, qualcosa che proprio non mi tornava.
"All'improvviso, ho afferrato Moriarty. Sapevo che il suo assistente (il suo John Watson?) non l'avrebbe ucciso."
Ed eccola lì la chiave per capire tutto ciò che non aveva avuto senso negli ultimi mesi. Il suo John Watson.
Rilessi le pagine del blog del dottore dalla prima all'ultima, memorizzai le date, le confrontai con i miei ricordi degli ultimi mesi. Tassello dopo tassello il puzzle si completò.
A quel punto, dovevo uscire: avevo bisogno di aria, di far lavorare e respirare il cervello.
"Jim!" urlai perché mi sentisse dallo studio. "Io esco." lo avvertii in modo che non potesse sospettare che ero fuggito. Perché sì, stavo letteralmente fuggendo dalla situazione. Ma davvero, dovevo liberarmi di Jim, anche solo per mezz'ora, per poter riflettere in santa pace.
Uscii e fumai una sigaretta dopo l'altra, vagando per Londra.
Vagai finché non tramontò il sole, finché gli autobus furono quasi vuoti, finché la mia mente ne aveva bisogno.
Capii Jim in quelle ore: non sapevo dove stavo andando, nemmeno dove stavo mettendo i piedi e questo perché i miei ragionamenti richiesero tutta l'attenzione di cui ero capace. Che bisogno c'è di controllare se il semaforo è rosso quando devi pensare a come sei stato idiota negli ultimi mesi?
Stupido, ero stato così dannatamente stupido.
E la verità era così meravigliosamente chiara che perfino io l'avevo capita. Solo che mi aveva fatto più comodo rinchiuderla in qualche angolino remoto della mia coscienza e scordarla.
Dopo qualche ora riuscii a frenare i miei attacchi di ilarità -ero stato così cieco che la cosa era decisamente comica- e mi fermai in un bar.
Avevo bisogno di bere prima che mi scoppiasse la testa a forza di pensare.
Non c'è modo migliore di smettere di pensare se non chiudersi in un bar pieno di gente che non ha alcun interesse nei tuoi confronti, con un bel bicchiere di scotch davanti.
Avevo tutta l'intenzione di rimanere lì per l'intera notte -o almeno finché non mi avessero buttato fuori- perché era un posto così normale e io avevo bisogno di normalità.
Ma di nuovo, quante volte può sbagliarsi una persona prima di capire che è inutile farsi aspettative?
Non mi accorsi del profondo silenzio religioso che era sceso nel bar fino a quando sentii un unica voce alle mie spalle.
"Non dargli dell'altro scotch, Jeremy, l'ultima cosa di cui ho bisogno è un cecchino sbronzo."
Jeremy, il povero barman, annuì frettolosamente e rimise a posto la bottiglia tra tutte le altre.
"Come diavolo hai fatto a trovarmi se nemmeno io ho la più pallida idea di dove sono?" chiesi atono continuando a fissare il mio bicchiere.
"Dovresti saperlo, oramai." Jim commentò divertito sedendosi sullo sgabello accanto al mio. Probabilmente mi stava squadrando, ma io mi sforzai di tenere lo sguardo fisso sul bicchiere.
"Perché mi sei venuto a cercare?"
Il rumore delle sedie mi costrinse a voltarmi: il bar non era più solo silenzioso, era anche fottutamente vuoto. Perfetto. Un cenno della testa di Jim, e anche Jeremy scomparve chissà dove.
"Non mi dirai che il bar è tuo." esclamai quasi disperato. Di tutti i bar di Londra, proprio uno sotto il controllo di Jim dovevo beccare? Quante diavolo di possibilità potevano esserci?
"No, ma il proprietario mi deve un paio di favori." commentò Jim con una scrollata di spalle. "Sai...non mi sarei accorto che qualcosa non andava se non ti fossi dimenticato la pistola. E tu non esci mai senza la pistola."
Per un attimo ebbi paura che la tirasse fuori e me la sventolasse sotto il naso, ma fortunatamente non accadde.
"Poi ovviamente c'era la sedia del computer. Lontana dalla scrivania e lasciata angolata in maniera insolita. Come se qualcuno si fosse alzato di scatto. Quindi dovevi essere stato al computer  prima di uscire. Qualcosa che avevi visto ti aveva portato a reagire d'istinto. O magari qualcosa che avevi letto. Quindi non mi restava che controllare la cronologia degli ultimi siti visitati e dei file recenti. Davvero, Sebastian, qualsiasi cosa accada, cancella la cronologia del browser."
Ed ecco perché vivere con una mente brillante è vivamente sconsigliato.
"Bene." buttai giù le ultime gocce di scotch. "Quindi sai perché sono uscito, non puoi biasimarmi."
"In realtà so solo cosa hai letto. Non a quali conclusioni tu sia arrivato." sorrise. "Illuminami."
Era una sfida, non una richiesta. Per lui quello era solo un altro tassello del gioco e forse in uno dei suoi isolamenti mentali si era anche immaginato come avrei reagito, cosa avrei detto. Probabilmente voleva sapere quanto lontano dal suo tracciato mi sarei allontanato.
"Vuoi sapere le mie conclusioni? Bene." mi sforzai di sorridere, quindi mi spostai un po' per fronteggiare Jim. E fidatevi se vi dico che mi ci volle una faccia tosta ad andare avanti. "Da quando ti ho conosciuto ci sono stati parecchi dettagli che non avevano senso. Per esempio: perché scegliere quattro perfetti sconosciuti come ostaggi per poi concludere con il coinquilino di Sherlock? Coinquilino di cui non ti sei mai interessato troppo, non apertamente, concentrato come eri su Sherlock. Perché rapire qualcuno di cui non ti importava? Ovviamente perché sei arrivato alla conclusione che Sherlock teneva al suo dottore. Non so quando, non so come, ma hai capito che non erano semplici coinquilini, sicuramente prima di me.Ma, vedi, questo è stato il tuo problema: la tua mente ti ha detto di sfruttare la situazione a tuo vantaggio, solo per poi ricordarti che, per quanto brillante fosse l'idea, non sapevi se avrebbe realmente funzionato. Insomma, le relazioni umane non sono il tuo forte, ti limiti a sapere che minacciare i figli di qualcuno è efficace. Ma rapire il non-solo-coinquilino di Sherlock Holmes? Non potevi sapere se avrebbe funzionato. Per questo hai fatto un esperimento." Dannazione, stavo parlando come Jim, a forza di seguire i suoi ragionamenti iniziavo anche io a perdermi in catene logiche.
"Un esperimento." mi interruppe. "E ci sei arrivato tutto solo, Sebastian?"
"No, il caro dottore mi è stato d'aiuto." non c'era motivo di vergognarsi. Non quando Jim lo sapeva già. "Ho controllato le date: mi sono trasferito da te quando John e Sherlock si sono conosciuti. Sono sempre stato il tuo John Watson, la tua cavia. Dovevi sperimentare quel rapporto in prima persona per sapere se romperlo sarebbe stato efficace quanto volevi."
In realtà dirlo a voce alta rese tutto così logico e naturale, che mi scordai perfino che ero io il diretto interessato della questione.
"Ho sbagliato qualcosa?"
Jim mi fissò per un lungo istante. "No, ma non ti aspettare ti faccia i complimenti."
"Non ne voglio, tranquillo." avrei decisamente buttato giù un'altro po' di scotch.
"Oh, Sebastian, sembri così amareggiato e deluso." commentò mettendo su un’espressione teatralmente triste. "Ti ho spezzato il cuore?"
"No. Sono offeso." risposi alzandomi. "Ero convinto avessimo un accordo." e sbattergli in faccia la sua stessa obiezione mi fece sentire dannatamente bene. "Mi hai assoldato per fare il lavoro sporco che non hai il coraggio di fare da solo. Non si è mai parlato di farti da cavia.."
"Dettagli." Jim si strinse nuovamente nelle spalle. "Usare te era la scelta più logica, cosa avrei dovuto fare? Cercarmi qualcun'altro?"
Presi un profondo respiro e decisi che quella conversazione sarebbe finita lì. "D'accordo, hai fatto il tuo bell'esperimento, hai avuto le tue risposte, quindi non c'è più bisogno che rimanga a casa tua, no?"
Jim si fermò a pensare un attimo su come rispondermi. Mi squadrò di nuovo come una iena studia la preda. "No."
"Bene." fu quasi un sollievo.
"Hai intenzione di svignartela, Sebastian?" il tono del tutto disinteressato con cui me lo chiese mi fece venire i brividi. Mi stava punzecchiando, toccando i tasti giusti.
"Non ho detto che smetterò di lavorare per te." che era il nostro: ti mollo, ma rimaniamo amici. "Sai come trovarmi, non c'è bisogno di abitare nella stessa casa. Ma." e mi fermai per lanciargli un occhiataccia. "Non avrai l'esclusiva visto che mi hai anche dimezzato la paga."
Jim mi guardò sorpreso per poi ridacchiare.
"Dico sul serio, James." sbuffai.
"E pensi che te lo lascerò fare?" tornò improvvisamente serio, giusto per ricordarmi quanto era pericoloso. E per ricordarmi che potevo anche pensare fosse una mia idea, ma che in realtà era solo una sua fottutissima gentile concessione.
"Non m'importa." fu il mio turno di stringermi nelle spalle. "Il tuo John Watson si prende un bel periodo di vacanza. Me lo merito" annunciai trionfante. Decisamente colpa dell'alcool.
"Nessuno si prende una vacanza quando lavora per me." sbuffò lui annoiato.
"Oh, allora guarda e impara."
Mollai Jim nel bar e mi buttai di nuovo nel cuore di Londra, decisamente sollevato.

 

 
Il problema è che mi ritrovai improvvisamente senza un tetto sulla testa.
Tornare nel mio vecchio appartamento era fuori questione e anche passare la notte in albergo. Ho sempre avuto una avversione per gli alberghi, mi ci stabilisco solo se strettamente necessario: troppa gente che potrebbe ricordarsi la mia faccia.
E poi con la fortuna che avevo nell'ultimo periodo sarei finito in un albergo sotto il controllo di Jim e mi sarei ritrovato il peggior servizio in camera di sempre.
No, l'albergo era fuori questione come l'appartamento.
Di certo non avevo voglia di passare la notte girovagando per Londra, quindi dovevo farmi venire un'idea e velocemente.
Fu così che verso le tre del mattino mi ritrovai a bussare alla porta di Chop, sicuro che mi avrebbe aperto perché chiunque lavori con o per Moriarty ha il sonno leggero per svariate ragioni che vanno dall'essere sempre pronti fino all'aver perso il sonno per gli orrori visti.
Chop mi aprì la porta quasi subito, fissandomi sconsolato per un lungo istante prima di chiedermi. "Che c'è sta volta?"
"Ho bisogno di un posto dove passare la notte." ammisi onestamente, sentendomi quasi in colpa di averlo fatto alzare.
Chop mi squadrò perplesso, evidentemente non gli succedeva spesso di ritrovarsi davanti un collega che gli chiedeva ospitalità.
"Perché?" mi domandò ancora, del tutto sveglio e all'erta. A forza di lavorare per Moriarty era diventato sospettoso quanto necessario per sopravvivere.
"Non per lavoro." risposi tranquillamente. "Semplicemente, non ha più bisogno che rimanga a casa sua e io non so dove andare."
Se qualcuno poteva capire quella motivazione, era Chop. "Entra."
Casa di Chop era piccola ma accogliente, una di quelle case che quando entri senti subito un calore famigliare. La differenza con l'appartamento di Jim non poteva essere maggiore. La porta d'ingresso dava direttamente sul piccolo soggiorno, su cui si affacciava la cucina e un corridoio su cui si affacciavano le stanze da letto: e tutto era visibile a colpo d'occhio. Onestamente, mi ero aspettato che essere l'autista di fiducia di James Moriarty fruttasse di più.
"Chop?" una voce femminile e cristallina arrivò dal corridoio e il diretto interessato si diresse subito verso la fonte di quella voce e iniziarono a parlottare in cinese.
Anche se fossi stato stupido, mi sarei accorto che stavano parlando di me perché la donna continuava a lanciarmi occhiate. E non era proprio felice di vedermi.
"Non resterà." disse la donna sicura tirando fuori un accento inglese perfetto in modo che anche io potessi capire.
"Mei." borbottò Chop.
Parlarono ancora un po', poi la donna venne verso di me. Era più giovane di quanto mi aspettassi, aveva il viso tondo e lineamenti dolci, ma aveva lo sguardo di una leonessa. E fidatevi, ho visto animali simili, sono i peggiori.
"Colonnello Moran" mi apostrofò prendendomi in contropiede. Rango e cognome, la donna era ben informata. Mentalmente mi appuntai che Chop si meritava una bella ramanzina. "So chi siete e so cosa fate, quindi non pensate che vi lascerò rimanere nella stessa casa dove dormono i miei figli."
Al posto suo, avrei detto esattamente la stessa cosa.
"Non mi hanno pagato per ucciderli, non dovete preoccuparvi di nulla." tentai di fare lo splendido, ma per tutta risposta Mei divenne più ostile.
Chop sospirò al posto mio. "Mei,basta." tirò fuori il miglior tono da marito che poteva usare. "Resterà, che ti piaccia o no."
Mei guardò il marito con lo stesso sguardo che aveva dedicato a me, ma se ne tornò in camera da letto. A testa alta.
"Il divano è tutto tuo. L'hai conquistato con onore!" scherzò Chop dandomi una pacca sulla spalla e scomparendo nel corridoio per poi tornare con una coperta che mi affidò.
Apprezzai oltre modo il fatto che qualsiasi cosa volesse dirmi, non me la disse.
Almeno dormii un sonno tranquillo.
Mi svegliai dolorante e intorpidito -cosa che mi fece decidere che dovevo trovarmi un appartamento in tempi brevi- con qualcosa che mi punzecchiava una guancia. Più che qualcosa, era qualcuno. Un ragazzino di circa quattro anni che era la fotocopia in miniatura di Chop.
Appena vide che ero sveglio, si allontanò con un urletto divertito, richiamando così sua madre.
"Xiu!" chiamò decisa artigliando il polso del figlio e allontanandolo da me, neanche fossi un appestato. "Non disturbare il Colonnello."
Davvero, essere chiamato con il mio vecchio rango iniziava ad essere noioso e a darmi parecchio fastidio.
"Buongiorno." dissi completamente sveglio.
Mei mi lanciò un occhiata torva, che mi fece capire che non aver ucciso i suoi figlioletti nel cuore della notte non aveva aiutato a farmi accettare.
"Chop è dovuto uscire per lavoro." mi avvertì senza cerimonie. Fino al giorno prima sarebbe stato Jim in persona ad avvertirmi che Chop lo aspettava in strada. Provai una strana sensazione di straniamento, come se non facessi più parte di quel mondo. Ma credo ch capiti a chiunque sia gravitato nell'orbita di Jim Moriarty. Beh, che capiterebbe a chiunque sia gravitato nell'orbita di Jim Moriarty, se fosse vivo per rendersene conto.
"Uscirò anche io." annunciai una volta in piedi. Senza Chop in casa mi sentivo privo di protezione. Mei avrebbe potuto uccidermi in qualsiasi momento e giuro che sembrava averne tutta l'intenzione. "Devo trovarmi un nuovo appartamento e prima lo trovo, meglio è."
Per una volta io e Mei fummo d'accordo su qualcosa. Era un passo avanti, buon per me.
"Perché non siete andato in albergo invece di venire qui?" chiese senza sapere quanto difficile fosse darle una risposta. Non potevo certo dirle che non ci ero andato perché non avevo con me la pistola.
"Non ci ho pensato." mentii scompigliando i capelli di Xiu che continuava a fissarmi curioso.
Mei sospirò e mi chiesi quante stravaganze avesse visto in vita sua avendo sposato l'autista di Jim Moriarty. Forse l'avevo giudicata male, e troppo in fretta.
"Rimanete per colazione, almeno." non era una richiesta, ma un ordine. E allora seppi che Mei era esattamente come Chop: gentile di natura, scontrosa per necessità.
"Non c'è bisogno." declinai l'invito il più gentilmente possibile. E poi non avevo voglia di stare in casa solo con la moglie di qualcun'altro: il mondo è piccolo la gente parla.
"Si invece." ribatté lei spedendo Xiu a svegliare i fratelli affinché potessimo rimanere soli. "Non voglio avere problemi con il signor Moriarty perché ho trattato male il suo braccio destro."
"Sempre che lo sia ancora." commenta atono. Però ero ancora vivo, il che faceva sperare bene. Se Jim avesse voluto liberarsi di me, non avrei visto l'alba di quel giorno, poco ma sicuro.
"Vi ha solo detto di cambiare sistemazione, non lavoro." continuò. Chop sarà anche stato una lingua lunga, ma non tanto lunga da dire a sua moglie come stavano davvero le cose. Ovviamente, Chop sapeva di me e Jim. Può essere, come può non essere, che ci abbia sorpreso avvinghiati sul sedile posteriore della macchina. Ma può anche non essere mai successo, ripeto.
Squadrai Mei e il suo atteggiamento fiero: non stava chiedendo una pace, ma proponendo una tregua.
"Resto a colazione." acconsentii appena arrivò Xiu con gli altri tre fratelli: Chop aveva fatto un ottimo lavoro di trasmissione del DNA, ma anche Mei. Min ,la loro figlia maggiore, era bella e fiera come la madre già a 12 anni.
Fu così che restai a colazione a casa Chop intrattenuto da quattro marmocchi che parlavano un cinese misto ad inglese che mi fece venire il mal di testa.
Finita la colazione ero deciso ad andarmene, ma fui interrotto da una consegna non prevista.
Una consegna per il sottoscritto.
Mei mi passò il pacco con il viso pallido. Era una confezione regalo, almeno così dedussi dal grosso fiocco rosso che decorava la scatola nera. Non ebbi bisogno di aprirlo per sapere cosa diavolo ci fosse dentro.
"Tu marito ha la lingua lunga, come diavolo ha fatto a sopravvivere fino ad oggi?" sbottai tenendo ben saldo il pacchetto tra le mani.
"Proprio perché ha la lingua lunga e Moriarty adora farsi raccontare storie." replicò Mei e io dovetti concordare.
Ora che c'era quel pacchetto, Mei era tornata sul piede di guerra e se avesse deciso di attaccare in quel momento, avrebbe portato a segno il colpo. Sapevo che andare da Chop era una mossa azzardata, era come rimanere sotto il naso di Jim, ma avevo pensato che Chop avrebbe mantenuto il silenzio. Al diavolo, sapevo che Chop non c'entrava nulla e che era tutta colpa di Jim. Se Jim voleva sapere dove fossi, non doveva certo chiederlo a qualcuno.
"Grazie per l'ospitalità." mi congedai con un cenno del capo, senza ricevere alcuna risposta se non la porta che veniva chiusa con forza alle mie spalle.
Appena fui in strada buttai via la scatola e il fiocco nel primo cassonetto che individuai.
Almeno riavevo la mia pistola.
 


 
Non c'è molto da dire su ciò che successe nel successivo mese e mezzo.
Per prima cosa mi trovai un appartamento: niente di speciale, anzi, talmente piccolo che per risparmiare una stanza avevano sistemato il letto sul soppalco. Meglio di niente.
Continuai a lavorare, sia per Jim, sia per nuovi clienti. Ammetto che in quel periodo sono andato poco all'estero, rimanendo in Inghilterra per la maggior parte dei lavori.
E mi trovai anche una ragazza.
Mi immagino lo scalpore che può fare questa affermazione, ma successe davvero.
Incontrai Alicia nel più ridico dei modi: in un pub.
Ricordate tutto quel bel discorso sull'attrazione fisica? Ecco, valse in quell'occasione. Era carina, minuta, timida e dannatamente semplice. La ragazza perfetta.
E aveva anche degli ideali e una visione del mondo decisa, il che era una bella comodità.
Alicia fu la mia piccola crocerossina -e con questo non voglio insinuare che si sia vestita da infermiera per me- e fu lei ad aiutarmi con la riabilitazione alle dita. Per quanto sia abituato al dolore, fa sempre piacere avere qualcuno che tenta di alleviarlo.
E poi una ragazza che non scappa alla vista dell'appartamento che mi ero ritrovato, con tanto di mobili orribili, è già fantastica di partenza.
Anzi, l'appartamento le piaceva perché trovava assolutamente comodo che il letto si affacciasse sul salottino: un modo perfetto per concludere la serata. Dalle coccole al sesso, senza passare per il via.
Di solito i vestiti li ritrovavamo sulle scale, se capite quello che intendo.
Voglio dire che per quanto non fosse seria, la nostra era una bella storia.
Un mese e mezzo perfetto.
Se non contiamo i regali che Jim le inviò, spacciandosi per un ammiratore anonimo.
Per una mostra fotografica, Jim le inviò un abito rosso fiamma in netto contrasto con i capelli biondi, le fece portare un libro mentre era in un bar con delle sue amiche, le regalò anche un anello credo.
Per il suo compleanno le fu recapitato un mazzo di fiori al tavolo dove stavamo cenando a lume di candela -credeteci o no, ogni tanto posso anche prendere accorgimenti del genere-, e vedendo i papaveri, Alicia sorrise a tal punto che le si illuminarono perfino gli occhi. Mi sentii in colpa per lei perché non aveva la minima idea di cosa significassero. Non erano tanto un dono per lei, quanto un messaggio per me: caro Seb, so esattamente dove e con chi sei, anche se non ti fai sentire.
"Tesoro, io proprio non capisco." dissi quella sera prendendole le mano. "Non puoi accettare tutti questi regali da uno spasimante anonimo. Non mentre stai con me." Non potendo certo dirle come stavano le cose, giocai la carta del fidanzato geloso. Ha sempre funzionato.
"Seb." continuò a sorridere come se nulla fosse. "Non faccio niente di male ad accettare questi regali. E finché vengo a letto solo con te non mi sembra che tu ti debba preoccupare."
L'immagine mentale di Jim e Alicia a letto arrivò prima che potessi schermare la mia povera mente. Era proprio l'ultima cosa di cui avevo bisogno.
"Potrei comunque offendermi." le feci notare. "E stai dando false speranze a chiunque sia il tuo ammiratore."
Alicia rise. "Ti prometto che se mai smetterà di essere un anonimo nell'ombra e vorrà essere un uomo vero sotto il sole, io rifiuterò l'invito."
Buon per lei, davvero, non credo che incontrare Jim Moriarty sarebbe stata una bella esperienza.
"Dovresti comunque smettere." l'avvertii insistendo un po' troppo.
Alicia roteò gli occhi, e annuì. Non aveva senso rovinare la serata con una discussione del genere. Anche se imparai che, qualsiasi cosa accada, non si deve mai impedire ad una donna di lasciarsi corteggiare e farsi fare regali.
Come ho detto. fu un mese e mezzo assolutamente normale.
Fin troppo, credo che se fossero stati due o tre, sarei impazzito.
Fu un bel periodo della mia vita davvero, ma tutto era così sotto tono. E non era una questione di non essere più sulla cima del mondo con Jim, no signore, si trattava di girovagare per le strade e vedere solo la normalità, sapendo però che al di là della facciata c'era un intero mondo infinitamente più complesso ed eccitante. E me ne ero tagliato fuori da solo. Dannazione, la mia vita era al massimo picco di comicità.
Si, continuavo ad essere un cecchino, a vivere la criminalità, ma era come stare con i bambini quando i grandi prendevano decisioni importanti nell'altra stanza.
Ero di nuovo libero, perché ammettiamolo stare con Jim era più opprimente che stare nell'esercito, e invece di esserne felice, rivolevo indietro la mia fottutissima vita.
Ma ovviamente, quello che volevo io non era di alcuna importanza.
E la rivorrei indietro anche adesso, quella vita. Perché senza Jim è tutto così noioso.
Dopo il primo mese iniziai a sperare che Jim aggiungesse qualche commento agli sms. Una qualsiasi cosa. Era come se non ci conoscessimo più di persona.
Ma essendo inutile piangere sul latte versato, andai avanti con la mia vita.
Fino a quando un giorno, per puro caso giuro, mi ritrovai nei pressi del nostro appartamento e mi arrivò un sms.
Visto che sei nei paraggi, perché non sali?
JM


 
Avete presente quando la cosa che tanto volete accade e improvvisamente vi rendete conto che dopotutto, davvero, non la volete poi così tanto?
Leggendo quel sms  compresi che tornando da Jim avrei perso di nuovo la mia sacrosanta libertà e l'idea non era poi così allettante.
Era quella il momento di decidere: fuggire o restare. Sapendo che restare avrebbe significato restare per sempre, accettando ogni cosa, ogni incarico, ogni  stravaganza, tutto. Fuggire ed essere libero, o restare ed essere vivo.
Quando mi richiusi la porta dell'appartamento alle spalle, sapevo di essere in trappola e che non c'era più alcuna via d'uscita.
"Sebastian, puoi passarmi la confezione di gessetti che è in cucina?" sentire la voce di Jim fu quasi un sollievo. Forse perché mi ero aspettato una lavata di capo epocale, o forse perché non mi ero aspettato tutta quella naturalezza. Era come se quel mese e mezzo non fosse mai passato.
Jim era totalmente assorto in una complessa equazione scritta fittamente sulla lavagna che dal suo studio era stata trasportata in un posto d'onore al soggiorno davanti la libreria.
"Di nuovo in fase cervellotica?" gli chiesi passandogli la scatola.
"Ah, vedo che le dita sono guarite." commentò atono aprendo la confezione e tirando fuori un gessetto. Per essere un uomo totalmente votato alla tecnologia era quasi ridicolo vederlo davanti ad una classica lavagna e con i resti di gesso sotto le unghie. Ma vedete, Jim ha un debole per una idea di classico tutta sua.
Feci una piccola pausa prima di dirgli "Se non va bene puoi sempre romperle di nuovo."
Gli occhi di Jim furono attraversati da un lampo per un breve istante, poi però piegò le labbra in una smorfia che sarebbe dovuta essere un sorriso. "Non ce ne è bisogno, Sebastian. Hai imparato la lezione."
E in quel momento ebbi la conferma che anche quel periodo di distacco era stato calcolato al secondo. Che quella lontananza era solo parte di un piano ben preciso.
"Si." risposi semplicemente. E diavolo se avevo imparato la mia lezione.
Come le fatine hanno bisogno di applausi per vivere, Sebastian Moran ha bisogno di Jim Moriarty.
E' difficile, dannatamente difficile, tentare di spiegare in che situazione mi ritrovavo, finisco per sminuirmi e sembrare un idiota. Non voglio dire che Jim fosse la mia ragione di vita, intendo dire ben altro. E' una questione di pura percezione di se stessi: lontano da Jim mi sentivo una nullità. Credo che a quel punto non contasse più il mio passato nell'esercito, ma solo il mio presente come braccio destro di Jim.
Come al solito, a me andava perfettamente bene in quel modo.
Capite cosa intendo quando dico che finisco per sembrare un idiota,si?
L'unica cosa che era cambiata era ovviamente il nostro rapporto: potevamo anche vivere insieme, ma non c'era più alcun motivo per tornare alle vecchie abitudini, quindi continuai a vedermi con  Alicia. Anche se dopo un mese e mezze dovevo iniziare a troncare quel rapporto, perché davvero  stava durando un po' troppo. E poi sarebbe stato così buffo doverle spiegare che ora ero andato a vivere con un'altra persona. Probabilmente avrebbe preso meglio la notizia che ero un cecchino.
Andai avanti una settimana o giù di lì facendo finta di aver perso qualsiasi interesse verso Jim, cercando di ripetermi che ero ancora offeso per come mi aveva usato, ricordandomi che ora che l'esperimento era finito Jim non aveva più alcun interesse nei miei confronti.
Almeno, era come pensavo stessero le cose.
Evidentemente non ero ancora stufo di sbagliare.
Quel pomeriggio ero sul divano concentrato a scambiare messaggi con Alicia, che era partita per un lavoro, quando Jim mi sfilò di mano il cellulare e lo lanciò sull'altro divano senza tante cerimonie. Cosa strana visto tutte le modifiche che gli aveva fatto.
"Lascia in pace quella povera ragazza, è un consiglio amichevole Sebastian." commentò sedendosi a cavalcioni su di me.
"Cosa stai facendo, Jim?" chiesi perplesso. Quella era una delle situazioni che, sulla carta, non sarebbero più dovute succedere.
"Sai è buffo, ti ho osservato per questa settimana. Come mi guardavi e non mi guardavi,come mi cercavi e come mi evitavi ,come te ne stavi buono e zitto senza sapere cosa fare esattamente." ridacchiò. Ero così dannatamente palese? "Non hai proprio capito, vero?"
"Capito cosa?" non ero assolutamente dell'umore per i suoi giochetti.
"Che non è cambiato proprio nulla." rispose Jim con calma. "Le tue deduzioni sono state ineccepibili." una nota di compiacimento del tutto inaspettata colorò la sua voce. "Peccato che tu ti sia fermato a quelle senza ragionare sulle conseguenze."
Ero sempre più confuso, ma iniziavo a capire dove volesse andare a parare. E se avevo ragione, Alicia era nei guai. Grossissimi guai.
"Non ti è mai passato per la testolina che se avevo rapito il dottore significava che ero arrivato alla conclusione che la mia azione avrebbe danneggiato Sherlock Holmes e che ciò sottintendeva, visto che eri stato la mia cavia, che perdere te avrebbe recato danno a me?"
Credo di aver sentito metà delle parole, troppo distratto dalle sue dita tra i miei capelli, ma il senso era comunque chiarissimo.
"Allora perché mi hai lasciato andare?" rimasi sorpreso dalla freddezza nella mia voce.
"Perché tu volevi andartene." replicò Jim stringendosi nelle spalle.
Eravamo in una situazione di stasi in un conflitto non ben precisato. Io ero ancora offeso per essere stato usato come surrogato del dottore e Jim era ostile perché avevo agito di testa mia.
Alzai gli occhi al soffitto e sospirai. Non era proprio il caso di dire a Jim che non volevo realmente andarmene.
"Sai, Sebastian, mi sei mancato nell'ultimo mese e mezzo." e almeno utilizzò un tono che mi fece credere in parte che ciò fosse vero. Ma non riuscivo proprio ad immaginarmi Jim che sentiva la mancanza di qualcuno. Nella sua ottica tutti sono necessari, ma non indispensabili. Anche io ero sacrificabile.
"Non essere sarcastico." commentai rimanendo sulla difensiva. L'ultima cosa che vuoi, quando hai a che fare con un serpente, è rimanere ammaliato.
"Sono serio." affermò deciso, così vicino che il suo respiro mi solleticava il viso.
"Ciò implicherebbe che tu sia capace di provare sentimenti." avevo il cuore in gola, ma non sapevo se per la paura o perché quella vicinanza mi era mancata.
"Oh, io odio i sentimenti. Ti rendono debole." le sua labbra sfiorarono le mie mentre pronunciava l'ultima parola.  "Ma in questo sciocco mondo, sei l'unica persona che non mi rende debole, ma più forte."
"Solo perché uccido la gente per conto tuo."
Jim mi fissò e giuro, ho visto tigri meno spaventose.
"Allora resterò." commentai con tranquillità, come se realmente non importasse. Quell'uomo mi stava offrendo qualsiasi cosa avesse al posto del cuore. Perché non pensate che io abbia mai creduto, per un solo istante, che Jim avesse un cuore. O che io fossi il sostituto di quell'organo come lo era il dottore.
Per onore della cronaca, io mantenni la mia parola e restai. Lui si tirò indietro.
"Farai meglio a dire addio ad Alicia. Pensi le piacerà la Danimarca?" aveva iniziato a sbottonarmi la camicia con calma meticolosa.
"Vuoi spedirla in Danimarca?" non che mi importasse realmente. Non in quella situazione almeno.
"Una buona offerta di lavoro e resterà lì, nulla di pericoloso."
Risi perché quello era il delicato modo di Jim di dirmi che era geloso e che non amava avere concorrenza. Lui aveva l'esclusiva su Sebastian Moran.
"Credo che lo troverà un paese molto pittoresco." così Alicia uscì dalla mia vita. Credo sia ancora in Danimarca, o alle Hawaii, non so di preciso.
Quel giorno posso dire che il sesso fu davvero eccezionale. Morsi, graffi, poca gentilezza e tanta possessività. Mai chiesto di meglio.
Da quel giorno abbiamo condiviso il letto tutte le notti, con rare eccezioni quando io ero via per un lavoro o Jim non dormiva affatto troppo preso da qualche problema. Ma prendemmo l'abitudine di andare a dormire insieme, e quando non succedeva, nel cuore della notte Jim si intrufolava nel mio letto.
A dirla tutte erano le serate che preferivo, perché mi facevano capire come, anche se poteva andare a dormire nella sua camera, scegliesse di dormire comunque con me.

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Capitolo 6
*** The Woman ***


V. THE WOMAN




Come ho detto, Irene Adler è parte di un'altra storia, storia che iniziò verso settembre e finì verso Marzo, cosa che non fece bene ai nervi di Jim.
Per Irene fu solo uno dei tanti affari, per Jim invece Irene fu solo una delle tante pedine da usare per un lavoro importante.
Eravamo tornati da qualche giorno da una vacanza nel nord della Francia -e stranamente era stata una vacanza vera, niente lavori o consulenze- e Jim era stato parecchio silenzioso.
Più del solito, il che non lasciava presagire nulla di buono. L'avevo visto così solo quando si era immischiato nell'affare con Sherlock Holmes.
Una mattina stava sorseggiando del the fissando il suo cellulare in una silenziosa attesa.
Anche un idiota avrebbe capito che qualcosa non andava.
"Problemi con Sherlock Holmes?" chiesi mettendo nello stereo un cd di Vivaldi. Sono le cose che fanno i bravi partner, no?
"Con l'altro Holmes, il fratello." replicò lui portando la tazza alle labbra.
"Cosa? Ce ne è un'altro?" la notizia mi trovò del tutto impreparato. Non mi era mai passato per la mente che Sherlock Holmes potesse avere un fratello.
"Oh si, le disgrazie non vengono mai da sole." commentò freddamente. "In realtà Mycroft Holmes è ben peggiore del fratellino. Mycroft Holmes è il governo britannico e come tale è il mio vero nemico."
Il cellulare squillò e sul viso di Jim vidi l'espressione più disgustata che abbia mai visto. Nessun dubbio su chi fosse il mittente.
"Che ti avrà mai fatto di male Irene?" chiesi curioso sfogliando un libro a caso preso dalla libreria.
"E' inutile." sibilò crudelmente. "Odio dover fare affari con lei. Pretende sempre un trattamento di favore."
"Vuole che tu sia solo cavaliere." replicai con calma.
Lui fece una pausa per poi commentare. "A volto scordo che sei un soldatino e che hai ancora un codice morale."
"Non è vero, James." sbuffai. Aveva messo su il broncio come i bambini.
Poi i suoi occhi si illuminarono e si voltò verso di me con aria soddisfatta.
"Sebastian, tesoro, hai voglia di conoscere Mycroft Holmes?
 
 
 
Non chiedetemi di spiegarvi in che guaio si fosse cacciato Jim e a cosa gli servissero le foto che aveva Irene, ci vorrebbe troppo e non è la parte più divertente della storia. Non per me. No, davvero, credo che Irene si sia divertita molto più di me ha flirtare con Sherlock Holmes per farsi decifrare l'informazione di cui Jim aveva bisogno.
Vedete il punto della questione era che Mycroft Holmes non voleva che Jim Moriarty avesse quelle informazioni che invece Jim voleva. E le voleva anche per ripicca verso Mycroft. C'era una sorta di rivalità tra quei due che aveva del comico: come mi aveva detto Jim, Mycroft era il governo britannico e quindi, per Jim, fare fesso Mycroft significava fare fesso il governo. Quale fosse il problema di Jim con gli Holmes non l'ho mai realmente capito.
Il piano era semplice: convincere Mycroft a darci – realmente rubargli- la chiave di codifica, senza passare per Irene.
Un pomeriggio ero di ritorno da una partita di poker con i vecchi amici di Oberyn Dandee (oh, Jim si sarebbe infuriato con me se avesse saputo che tenevo rapporti con degli ex-clienti. In realtà la parte divertente era quella, la paura di essere scoperto, più che barare.) quando una macchina iniziò a seguirmi. Camminai un po' come se nulla fosse per essere sicuro che stesse seguendo me e così era.
Mi fermai, si fermò anche la macchina.
La testa di una donna comparve gradualmente mentre veniva tirato giù il finestrino.
"Colonnello Moran, la pregherei di salire in macchina."
"Non sono più colonnello." avrei dovuto scriverlo su un cartello e portarmelo dietro, così che tutti la smettessero con quella storia.
"Non fa differenza." e il tono della risposta mi fece capire che era stata d'istinto.
"Purtroppo temo di sì. Almeno per il mio curriculum vitae." commentai salendo in macchina.
Scrutai la donna che avevo affianco e capii subito che anche lei era parte del club formato dal sottoscritto e John Watson. Era la controparte di Mycroft Holmes; i suoi occhi, la sua voce.
"Puoi chiamarmi Anthea." si presentò educatamente, senza staccare gli occhi dal suo blackberry.
"Oh, non è valido." protestai. "Tu mi dai un nome falso e sai anche il rango che avevo nell'esercito."
La vidi sorridere per un breve istante.
Anthea mi piacque subito. Quel suo viso duro, i suoi occhi attenti e profondi e i suoi modi disinteressati.
Stando con Jim avevo imparato a giudicare le persone dai loro tratti caratteristici, non dalle apparenze. E sapevo benissimo che studiando Anthea avrei potuto carpire qualche informazione su Mycroft Holmes. Così come studiando John Watson si poteva dedurre che tipo di persona fosse Sherlock Holmes. Come guardando me si poteva benissimo vedere l'ombra di Jim Moriarty.
La prima cosa che notai fu il vestito e le scarpe con il tacco alto. Troppo alto: Anthea non era una donna d'azione, probabilmente passava tutto il suo tempo a fare la bella bambolina sul sedile posteriore dell'auto, il blackberry in mano per passare in tempo reale ogni informazione a Mycroft Holmes.
Riprese a parlare solo quando ci ritrovammo nel traffico londinese.
"Il mio capo ha un messaggio per il vostro."
"Quando dite capo, intendete Mycroft Holmes, gusto?" chiesi per sicurezza prima di aggiungere. "E puoi chiamarmi Sebastian e darmi del tu."
Anthea staccò gli occhi dal blackberry e sorrise di nuovo.
E capii che stava facendo il mio stesso gioco: mi stava leggendo come io avevo letto lei. Solo che lei era molto più brava di me. Le bastò una sola occhiata. Un punto a suo favore.
"Qual'è il messaggio?" chiesi scocciato di essere stato studiato.
"Di lasciare perdere questo caso, per il bene di tutti." la voce di Anthea era soffice, ma dura.
"Non credo lo farà solo perché gliel'ha chiesto Mycroft." commentai stringendomi nelle spalle.
"E' una partita che non può vincere. Non questa."
La cosa divertente del parlare con Anthea era che nessuno dei due poteva prendere decisioni: eravamo dei semplici messaggeri di amichevoli minacce.
"Non so neanche quale sia." dissi con indifferenza, come se non saperlo potesse dissuadermi dal dare quel messaggio."
"Oh, non vi ha detto nulla? Ero convinta foste intimi."
Ahi. Quel commento non ci voleva. Anthea sapeva e a me l'idea non piaceva proprio. L'aveva capito con quell'unico sguardo, o qualcuno gliel'aveva detto? Lo sapeva tutta Londra, dannazione?
"Ero occupato con altri casi."
"Falso. Eravate in Francia, nessun caso da quando siete tornati."
La odiai e la adorai al tempo stesso. Forte, intelligente, meravigliosa.
"Che c'è, ci spiate?"
Lei rise, ma fu una risata controllata. "No, il professore ama scambiarsi battute con il signor Holmes."
Aveva perfettamente senso, quindi non ribattei.
Anthea fu così garbata da non farmi pesare la mia ignoranza. Sapevo del loro gioco, non che quello di Mycroft Holmes fosse il secondo numero di cellulare più utilizzato da Jim.
O forse Anthea mi stava deliberatamente mettendo al corrente della vera natura del rapporto tra Jim e Mycroft.
Era assolutamente meravigliosa. Troppo.
"Riferirò." conclusi alla fine. Ma dovevo avere io l'ultima battutina sagace di quella conversazione, per una questione di ego. "Ma è un peccato che Mycroft non voglia collaborare. Per una volta Jim era anche disposto a scendere a patti. Al solito, però, quando c'è una donna di mezzo le cose si complicano."
La cosa bella del genere femminile è che quando tiri in ballo una donna, si offendono tutte. Anthea non fece eccezione, anche se lo nascose bene.
Avrei potuto anche chiederle di uscire insieme, se solo avessi saputo il suo vero nome.
Quando tornai a casa credo che Jim mi avrebbe incenerito volentieri, ma non lo fece solo perché sapeva da subito che avrebbe dovuto collaborare con Irene.
Fu così che conobbi ufficialmente Irene Adler.
 
 
Aprii la porta appena suonò il campanello e mi ritrovai di fronte una delle donne più belle del secolo.
Non perché fosse bella come una dea o roba simile. Era qualcosa di più. Era bella e sapeva di esserlo, il che la rendeva ancora più bella. Sapeva come mostrarsi e cosa mettere in luce, sapeva come attirare l'attenzione e monopolizzarla.
"Il colonnello Moran, presumo." commentò semplicemente fissandomi.
"Ci rinuncio." dissi io scuotendo la testa e lasciandola entrare. La precedetti in soggiorno, ma lei sapeva esattamente dove avrebbe trovato Jim, il che mi fece capire che era stata nell'appartamento altre volte.
Per l'occasione Jim aveva preparato del the e dei pasticcini, per essere cortese. In realtà continuava a riecheggiarmi in testa quello che aveva detto mentre preparava il tutto e lo disponeva in soggiorno: "E' una Mantide Religiosa: ti adesca e poi ti stacca la testa a morsi."
Jim era un serpente, Irene una mantide e io una tigre. Quel soggiorno iniziava a sembrare pericolosamente uno zoo.
"James." Irene cercò di far suonare la sua voce il più calda possibile mentre si sedeva.
"Irene." salutò Jim, senza alcuno sforzo per sembrare contento di quella visita.
Si fissarono per un lungo istante mentre io presi posto accanto allo stipite della porta della cucina: Irene era pur sempre una cliente e un ospite e gli ordini erano che io non lasciassi la stanza finché non mi fosse stato esplicitamente ordinato.
"E' carino." la sentii commentare con voce vellutata. "Potresti prestarmelo; è un ubbidiente?" domandò lasciando cadere un cucchiaino di zucchero nel suo the. Credo che Jim avrebbe preferito ammettere che Sherlock Holmes era più bravo di lui piuttosto che servire Irene.
"Ogni tanto fa di testa sua. E non credo Sebastian sarebbe d'accordo con il cedimento."
"Cosa diavolo c'entro io?" chiesi perplesso.
Jim e Irene si voltarono verso di me; lo stesso sguardo divertito e canzonatorio nei miei confronti.
"Oh." essere il più stupido in quella stanza non era proprio il massimo della vita. "Sono io quello carino." il che mi fece indispettire. "Non sono carino! Non sono un pupazzetto o altra roba definibile carina. Al massimo posso essere virile e affascinante."
Jim roteò gli occhi, ma Irene non smise di squadrarmi.
"E' vero, lo siete." acconsentì. "Ed è proprio questo a farmi perdere qualsiasi interesse."
Non sapevo cosa non andasse in Irene; era il tipo di donna che Jim avrebbe potuto trovare simpatica.
"Come sta la cara Kate?" domandò Jim distogliendo la nostra ospite da me.
"Magnificamente. Stavo pensando di farle un regalo, ultimamente è stata così..." Irene sorseggiò il the con calma, un piccolo sorso. "...appagante." e non c'era alcun bisogno di essere maliziosi per capire cosa intendesse.
"Potrei suggerire uno smeraldo? Non ha molti gioielli nelle tonalità del verde, ed è un vero peccato." Jim sembrava conoscere molto bene questa Kate, io invece non avevo la minima idea di chi fosse.
"Oh, no." Irene accavallò le gambe. "Il verde tenderebbe a togliere la luce dal suo viso e sarebbe un tale spreco!"
"Allora so che ha un debole per un abito di Chanel. Nessun dubbio che potrebbe permetterselo, ma credo sia uno di quegli abiti che nascono per essere regalati, per fare una grande sorpresa."
Non che Jim fosse interessato alla questione del regalo: voleva solo mostrare ad Irene che sapeva tutto.
Andarono avanti con quei convenevoli per una decina di minuti, scrutandosi in cagnesco mentre sorseggiavano the come amici di vecchia data.
Io rimasi esattamente dove ero perché non mi sarei perso per nulla al mondo quello scambio di battutine.
Anche se ebbi paura che Irene, da un momento all'altro, chiedesse a Jim se aveva intenzione di farmi qualche regalo..
La sceneggiata finì quando Irene tirò fuori il suo cellulare e lo pose tra lei e Jim, accanto ai pasticcini, e Jim tornò ad essere se stesso.
"Adesso, James, cosa vogliamo fare?"
Jim storse la bocca, totalmente contrario a quello che invece avrebbe dovuto obbligatoriamente fare. "Sebastian, lasciaci."
Peccato, avrei dato una bella cifra in sterline pur di assistere a quello scontro tra titani.
"Su, Sebastian, lasciaci: i grandi devono discutere."
Ignorai l'ultima battuta di Irene, invece scambiai una occhiata con Jim. E seppi che avrei fatto meglio a non farmi vedere nell'appartamento per un bel po'.
 
 
 
Jim non parlò fino alla mattina successiva all'incontro con Irene, quando imprecò in maniera così colorita che io scoppiai a ridere. E continuai a ridere anche quando mi diede uno spintone facendomi cadere a terra.
Non riuscendo ad arrivare personalmente ad un accordo con Mycroft, Jim era ricorso ad Irene: era il momento di usare le foto che la cara mantide aveva collezionato. Il piano era semplice e la prima parte funzionò alla perfezione: le foto di Irene furono usate come merce di ricatto e Mycroft avrebbe dovuto cedere i codici di qualche volo che qualche cliente aveva chiesto a Jim. Pur di non cedere, Mycroft le provò tutte: compreso ricorrere all'aiuto del fratello per riprendersi le foto contenute nel cellulare di Irene. Jim era così contento di avere entrambi i fratelli Holmes nella stessa partita, che quasi si scordò che il suo secondo era Irene.
Però, questo significava anche tornare a tenere sotto stretta sorveglianza il carissimo Sherlock.
Una notte Jim si intrufolò nel mio letto, come al solito,e si strinse a me. In realtà furono le sue dita che mi solleticavano l'addome a svegliarmi, le sue dita che scesero giù superando l'elastico dei boxer.
"Sebastian" mi chiamò sapendo che a quel punto dovevo essere sveglio. Beh, il mio corpo lo era di certo. "Devo chiederti un favore."
Cosa decisamente strana. Jim non chiedeva favori, a nessuno, figuriamoci a me. Dava ordini che la gente poteva eseguire o non eseguire e pagarne le conseguenze. Ma favori? No signore.
"Questa è nuova." commentai intontito. "Qualsiasi cosa sia, sai che basta un piccolo extra sulla paga."
Posò le labbra sul mio collo e fermò la discesa delle sue dita. "Non questa volta." percepii ogni singola parola sulla pelle del mio collo, un soffio caldo.
"E cosa potrà mai essere." sminuì la faccenda.
Jim fece una lunga pausa, poi si avvicinò al mio orecchio per parlare in tutta segretezza -cosa del tutto ridicola visto che eravamo gli unici due nell'intero appartamento- "Voglio che tu faccia la corte a Molly Hooper."
Si, va bene, magari quel favore non poteva essere pagato in moneta sonante.
"Io non voglio fare la corte a Molly Hooper." borbottai.
"Per questo è un favore." puntualizzò Jim.
Ogni intimità era scomparsa ed eravamo pronti a discutere di affari come al solito, solo sdraiati a letto.
"Perché dovrei?"
"Voglio tenerla d'occhio, visto che Sherlock continua ad andare nel laboratorio dello stesso ospedale. Lo farei personalmente, ma la mia copertura è saltata."
"Io te l'avevo detto che quelle mutande erano oscene."
"Sono servite allo scopo. Rimane comunque il problema."
"Giocati la carta dell'amico gay."
"Sebastian, sto parlando seriamente."
E per chiedermelo nel cuore della notte, quando le mie difese erano al minimo livello, doveva esserlo davvero. In qualsiasi altro momento della giornata l'avrei mandato al diavolo, ma non in quel momento.
"Quanta corte devo farle?" mi informai controvoglia.
"Oh, niente di esagerato." una nota compiaciuta nella voce di Jim mi fece capire che era contento di avermi passato quell'onere. "Parlaci, falla sentire importante, sii amichevole, qualche passeggiata, magari portala a cena fuori. Oh, ma non cercarla troppo, deve sembrare tutto casuale, così non ricorderà la tua faccia e non ci creerà problemi."
Borbottai qualcosa per fargli capire che avevo ricevuto le istruzioni, poi scoppiai a ridere. "Povera, povera Molly! Corteggiata dal convivente dell'ultimo ragazzo che le ha fatto la corte ed è risultato gay."
Ah, l'ironia. Non credo Jim abbia mai apprezzato quanto ogni suo piano fosse ironico.
Comunque due giorni dopo conobbi Molly Hooper e iniziò una lunga serie di incontri casuali, di caffè presi in cinque minuti di pausa, di passeggiate alle ore più improbabili: ero sempre al momento giusto quando serviva. Tenere d'occhio Sherlock non fu difficile, Molly non si accorgeva nemmeno di parlarne con assoluta naturalezza. Eppure ero convinto che fosse diventata più attenta su quell'argomento dopo la colossale fregatura avuta con Jim. Ma le persone non imparano mai dai loro errori. Mai.
Fu così che arrivò dicembre e diavolo, non me ne ero nemmeno reso conto.
E ebbi la spiacevole fortuna di incontrare di nuovo Irene Adler.
Rientrai a casa e trovai Jim e Irene intenti in una discussione. Un occhiata e capii che Jim era furibondo e che Irene era quanto mai indispettita, ma non abbastanza impaurita. Non si accorsero nemmeno che ero rientrato.
"Non li ho chiamati io gli americani, James" si difese Irene, la voce assolutamente calma e vellutata.
"Ma sono arrivati, Irene." sentenziò Jim in un sibilo.
Mi accorsi solo in quel momento che si chiamavano per nome, nessun Miss Adler o Mister Moriarty, no. Le persone che Jim chiamava per nome si potevano contare sulle dita di una mano, e aggiungere Irene Adler a quell'elenco fu quanto mai strano.
Si squadrarono, poi Irene sospirò. "Sai benissimo che quel telefono è tutta la mia vita e sai benissimo che dentro non ci sono due o tre foto, ma abbastanza da ricattare qualsiasi persona politicamente rilevante. E' normale che, di tanto in tanto, qualcuna di queste persone, decida di riprendersi quelle foto con la forza."
"Il problema, cara Irene, è che non mi importa di tutte le foto che hai in quel maledetto telefono." Jim si avvicinò alla nostra ospite, fermandosi solo quando tra di loro ci fu solo un passo e mezzo di distanza. Per istinto, se fossi stato Irene, io mi sarei già allontanato, ma lei rimase ferma nella sua posizione. "Mi importa delle foto che servono  a me. A me." scandì con fermezza. "E non vogliamo che quelle foto spariscono solo perché qualcun'altro dei tuoi poveri imbecilli si sente minacciato, vero?" sibilò retoricamente.
In quel momento Irene arretrò e si rifugiò dietro di me. Si, si erano accorti che ero tornato.
"Sebastian." mi chiamò, nascosta dietro la mia schiena, le sue mani si strinsero intorno ai miei bicipiti, quasi si stesse aggrappando. "Cosa fai quando è così arrabbiato per farlo calmare?" mi domandò. Almeno sapeva che Jim era infuriato e che da un momento all'altro avrebbe potuto attaccare. Chissà se un serpente era in grado di uccidere una mantide. "Ti metti in ginocchio?"
Non gradii per niente quell'allusione. "Non c'è modo per calmarlo." la informai gentilmente.
"Dobbiamo risolvere la faccenda." annunciò Jim seccato. "E' ovvio che tu debba sparire dalla circolazione, Irene."
Irene sospirò e roteò gli occhi. "Devo proprio?"
"Hai due opzioni: farti ammazzare dagli americani o fare finta di essere morta. Nel primo caso io perdo le mie foto, quindi direi che la seconda opzione è l'unica possibile."
"Aggiungendo che nel primo caso io sarei morta davvero, credo anche io."
"Oh bene." mi intromisi io nella discussione, giusto per fare qualcosa. "Per fingere la tua morte consigliere di iniziare a cercare una ragazza della tua stessa corporatura. Il problema di quando le persone tentano di fingere la propria morte è che cercano qualcuno che gli assomigli, ma non si preoccupano dell'altezza e altri dettagli e l'aspetto generale è così sballato che non è credibile. Il viso si può sempre rendere irriconoscibile, richiedendo così la necessità di un riconoscimento." Per tutto il discorso Irene mi affondò le unghie nelle braccia, bruciando di muta rabbia. Jim invece era profondamente divertito, quindi potevo ritenermi soddisfatto.
"Se come hai detto Sherlock Holmes era con te quando hanno fatto irruzione gli Americani, Mycroft saprà dell'attacco e quindi una morte violenta sarà del tutto giustificabile." l'umore di Jim era nettamente migliorato.
"Ma se muoio che ne sarà del mio telefono?" domandò Irene perplessa. "Mycroft non ci metterà molto a capire che non l'hanno preso gli americani."
"Oh, lascialo a Sherlock Holmes. Lasciamolo divertire mentre cerca di accedere alle informazioni."
"Inizia a cercare la ragazza, appena l'hai trovata chiamami. Potrei fare un prezzo di favore."  ironizzai.
"Nessun'altro cliente oltre a me, Sebastian." mi ricordò Jim in una cantilena divertita.
"Chiamami." ripetei a Irene sottovoce, divertito dal suo sguardo pieno di rancore.
"Fossi in te, Irene, mi sbrigherei a trovare la ragazza. E spera che gli Americani non ti trovino nel frattempo. O spera che se ti trovano ti uccidano, perché se si limitano a rubare il tuo telefono mi occuperò personalmente di farti congedare da questo mondo."
Lanciai un'occhiata a Irene, sorridendole gentilmente e finalmente sembrò rendersi conto che non ero carino, ma che ero il secondo uomo più pericoloso d'Inghilterra.
Passò un lungo istante in cui Jim e Irene si studiarono ancora, un'altro gioco di potere o roba simile.
"Credo che ora possa andare, miss Adler." dissi prendendola per le spalle e guidandola verso l'uscita. Era stato tutto così dannatamente divertente. Non so bene perché, ma vedere Irene in difficoltà mi aveva reso la giornata decisamente migliore.
Le aprii la porta, con educazione, ma prima di uscire, Irene si voltò verso di me e mi chiese semplicemente. "Se dovrete uccidermi, farete in modo che sia una cosa rapida, colonnello?"
"Assolutamente no. Buona serata, miss Adler." fu la mia risposta e le richiusi la porta in faccia.
Fu una sensazione meravigliosa.
Iniziavo a capire cosa desse così fastidio a Jim: Irene era troppo sicura, troppo brava nel manipolare la gente, troppo sveglia. Sarebbero state caratteristiche meravigliose se non fosse stata anche velenosa.
Almeno, Molly era una ragazza squisita e uscire con lei era quasi divertente.
Un pomeriggio ero nei pressi del S. Barth Hospital quando pensai che era il caso di fare una visitina -del tutto casuale- a Molly.
Lei mi salutò con un grosso sorriso che le illuminò anche gli occhi. Era così semplice leggere le sue emozioni che era quasi commuovente.
"Sebastian!" esclamò allegra sistemandosi meglio la borsa su una spalla, indecisa se avvicinarsi oppure no.
"Hai finito il turno?" le chiesi, anche se era palese. Ma essere un po' tonto non poteva che giovarmi in quel momento.
"Si." rispose lei. "Stavo andando da una amica. Che ci fai qui?"
"Ah, passavo per caso!" mi strinsi nelle spalle. Se mettere una lettera minatoria sotto la porta di qualcuno è passare per caso, allora avevo detto la verità.
"In giro per uno dei tuoi lavoretti ?" mi chiese affiancandomi. Avevo raccontato a Molly che dopo aver lasciato l'esercito avevo iniziato a fare vari lavori, nulla di fisso. Bisogna sempre usare un fondo di verità per evitare che la propria copertura salti.
"Già." annuì e sorrisi amichevolmente. "Ma tu stavi andando!" esclamai come se me ne fossi ricordato solo in quel momento. "Dai ti accompagno."
"Ma no...lei abita lontano...non vorrei...." protestò timidamente, ma quando la presi per mano e insistetti un'altro po', accettò la mia compagnia.
Fuori l'atmosfera natalizia faceva mancare l'ossigeno. Non ho mai amato il Natale, nemmeno quando ero bambino e significava regali, anche se non ce ne erano molti. E comunque mio padre tornava raramente per le feste e mia madre...era mia madre. No, il Natale a casa Moran non era proprio un granché.
"Devo iniziare a pensare ai regali di Natale." commentò Molly, attirata a sua volta da quell'atmosfera. Almeno a lei piaceva.
"Sai già cosa farai a Natale?" le chiesi interessato, anche se realmente lo ero solo per metà.
"Non so ancora." ammise, la voce che tremava per il freddo. "Non ho molti posti dove andare, né molti amici con cui stare. E poi le feste troppo affollate non fanno proprio per me."
Quella era Molly Hooper: solitaria, con un umorismo impacciato reso macabro dalle ore spese in obitorio, più incline a conversare con i morti che con i vivi. Ma era anche di una semplicità disarmante. Per uno come me, immerso fino al collo in un mondo in cui il primo idiota che passa tenta di farti fuori, avere accanto qualcuno di così onesto era terrificante.
Come fai a trovare il punto debole di una persona che non nasconde nulla di sé?
"Lo stesso vale per me." commentai solidale. In parte era vero: a parte Jim e la sua allegra banda, mi mancavano dei veri amici. Ne avevo qualcuno nell'esercito, ma sono stranamente spariti quando sono stato cacciato e dopo farsi amici era impensabile. Un altro bel regalo del mio lavoro.
Molly mi sorrise e si azzardò ad avvicinarsi, anche se sarebbe stata costretta comunque a farlo visto la folla che passeggiava sui marciapiedi. La presi sottobraccio e lei arrossì come una scolaretta e da quel momento non smise di sorridere.
"Sei sicuro...di volermi accompagnare? Non...non devi, se non vuoi."
"Non preoccuparti, mi fa piacere."
La perenne insicurezza di Molly era il punto su cui fare leva per convincerla a fidarsi di me. Eravamo oramai buoni amici e avevo capito che lei aveva iniziato a sperare che saremmo potuto diventare qualcosa di più. E io non avrei fatto nulla per farle credere il contrario.
"Spero vivamente che almeno sotto Natale muoia meno gente." la buttai lì, per quanto fosse una frase priva di senso.
"Scherzi? C'è gente che uccide pur di non dover fare troppi regali!" Molly rise stringendosi di più al mio braccio. Poi divenne improvvisamente seria. "Oh, perdonami...è stato...è stata una battuta pessima...così pessima."
"Non è vero!" mi sbrigai a dire, tenendola stretta a me quando tentò di allontanarsi. "Era una gran bella battuta."
E diavolo, forse in tutta Londra ero l'unico che poteva trovare quella battuta decente.
Molly mi guardò timidamente e rimase muta per un po', troppo imbarazzata e spaventata per dire altro.
"Davvero Molly." la rassicurai. "E poi credo che sia tremendamente vero."
"Da quello che so Sherlock sta organizzando una festa a casa sua." raccontò cambiando discorso, in modo da lasciarsi la battutina e il momento imbarazzante alle spalle. "In realtà sono sicura che lo faccia per evitare che John vada dalla sorella."
Tornato a casa avrei avuto qualcosa da riferire a Jim, non potevo chiedere di meglio.
"Che cosa crudele!" mi finsi oltraggiato. "Non lascia andare il suo coinquilino dalla sorella?"
"Sherlock è strano, quando si tratta di John." commentò Molly. Di certo lei non poteva sapere quello che sapevo io. "Sai, conosco Sherlock da abbastanza tempo per dire che non ha mai avuto amici. Mai. John è il primo e temo Sherlock non sappia bene come comportarsi. So solo che ha paura di perderlo. Ha perennemente paura di tornare solo. Lo è sempre stato e forse c'è abituato. Ma a nessuno piace essere solo, no?" Infatti, sapeva molto di più.
Per la prima volta guardai Molly seriamente. Abbandonai tutti i pregiudizi che mi ero fatto su di lei dai racconti di Jim e dal suo blog e la guardai per quello che era. Non era intelligente, non era bella, non era in grado di avere rapporti sociali, ma aveva qualcosa che mancava a me, che mancava a Jim, che mancava anche a Sherlock.
Molly Hooper era sensibile.
Aveva compreso Sherlock Holmes e il suo rapporto con John Watson alla perfezione, aveva compreso aspetti che io potevo solo ipotizzare. Molly Hooper sapeva leggere le persone come un libro aperto. Era riuscita a capire le emozioni di Sherlock Holmes, emozioni che neanche il diretto interessato sapeva di avere.
"Sebastian?" mi chiamò preoccupata. Ero rimasto un po' troppo in silenzio, preso da quella scoperta.
"Scusami, stavo pensando ad una cosa." accennai un sorriso, ma fu più difficile del previsto.
"Sai mi sembra che ci sia qualcosa che ti preoccupa ultimamente." borbottò e io imprecai mentalmente. Aveva dei superpoteri o cosa?
"Tutti abbiamo qualcosa che ci preoccupa no?"
Molly annuì imbarazzata e continuammo a camminare, cambiando completamente discorso. Non mi ricordo neanche di cosa parlammo, ma era totalmente irrilevante.
Ricordo benissimo che quando arrivammo alla palazzina dove abitava la sua amica, prima di lasciarla andare la baciai.
Dovevo essere diventato pazzo tutto insieme perché non aveva alcun senso. Però lo feci e in quel momento mi sembrò la cosa giusta da fare. Ovviamente fu il primo e ultimo bacio che ci scambiammo e così va bene.
Quando si allontanò Molly cercò di contenere la sua contentezza, ma stava praticamente saltellando dalla gioia quando entrò nel palazzo.
"Hai fatto un grosso errore di calcolo." avvertii Jim quando tornai dopo quell'incontro con Molly.
"Sono tracce di rossetto quelle?" mi domandò Jim perplesso dopo avermi circondato il collo con le braccia.
"Si." risposi io semplicemente. Le mie mani si sistemarono automaticamente sui fianchi di Jim. "Hai sottovalutato Molly."
"Il rossetto è suo? L'hai baciata?" continuò a chiedermi, ignorando beatamente quello che stavo tentando dirgli.
"Si e si. Ma Jim, davvero. Non la sottovalutare."
Ovviamente fu tutto inutile e sprecai solamente tempo e fiato.


 
 
Arrivò Natale e le cose si movimentarono almeno un po', cosa che non guasta mai.
Molly decise di andare alla festa di Sherlock, evitandomi la scocciatura di portarla da qualche parte o inventarmi qualche scusa, Irene riuscì a trovare una poveraccia da usare come manichino per l'obitorio -ma non mi chiamò, fu un vero peccato- e io passai la vigilia di Natale a casa Chop, insieme a Debbie.
Avevo proposto a Jim di fare qualcosa -qualsiasi cosa, anche solo andare in giro-, ma se a me il Natale non piaceva, a Jim non interessava minimamente. Ovviamente, l'aspetto religioso della cosa era ridicolo perfino per me, ma Jim non apprezzava la serata nemmeno come occasione di fare baldoria.
Almeno Debbie fu una ottima compagnia di bevuta. Debbie era la nostra ladra di fiducia, ma era anche un ragazza irriverente quindi quando Chop mi disse che io e lei eravamo gli unici invitati, fui soddisfatto.
Mei non fu per niente felice di vedermi, non c'è bisogno che lo dica, ma eravamo di nuovo in un periodo di tregua e sperai con tutto il cuore che durasse più del precedente.
Min, invece, arrossì come la ragazzina che era quando mi vide e disse qualcosa a suo fratello Chao in cinese. Risero, ma non sono sicuro per quale motivo. I bambini ridacchiano per ogni cosa possibile.
Per tutta la serata mi ritrovai due occhi scuri fissati su di me, pieni di adorazione. E anche Debbie se ne accorse e di conseguenza mi riempì di battutine per tutta la serata.
Ci divertimmo, lo ammetto, fu uno dei migliori Natali degli ultimi anni perché fu assolutamente normale. E lo fu perché sapevo che tutte le altre persone nella casa erano nella mia stessa situazione. Niente copertura o far finta di essere un tipo comune.
La cosa meno divertente fu svegliarsi il mattino dopo con i postumi di una sbornia e Debbie addormentata profondamente sopra di me. Non mi ero reso conto nemmeno di aver bevuto così tanto e non ricordavo di essermi coricato sul divano. Almeno speravo che non ricordarmi nemmeno di averci provato con Debbie significasse che non l'avevo fatto. Il tutto mi valse una battutina divertita di Mei. "Colonnello, vedo che vi siete affezionato al mio divano."
Fu una piacevole vacanza, destinata a non durare più dello stretto necessario. Quando la mattina tornai nel nostro appartamento mi sentii in colpa per aver lasciato Jim da solo. Non aveva molto senso: era lui ad avermi detto di andare alla festa di Chop e sapevo benissimo del suo totale disinteresse per il Natale. Però mi sentii comunque in colpa per averlo lasciato solo.
Che ragionamento idiota, lui stava benissimo, come sempre.
In quei momenti in cui capivo quanto non facessi alcuna differenza nella sua vita, mi sentivo quasi preso in giro.
 
 
Il mio primo -ed unico- Natale con Jim fu triste , ma almeno per capodanno mostrò un maggiore interesse.
Era prevedibile, infondo: la fine di un anno era un momento di bilancio, quindi era un momento relativamente importante.
"Direi che se escludiamo la noiosa presenza di Irene negli ultimi mesi, è stato un ottimo anno." commentò concedendosi la prima sigaretta da quando l'avevo conosciuto. Non mi ero nemmeno accorto che mi aveva rubato il pacchetto di sigarette dalla tasca del giubbotto.
"Ovvio, è stato un anno all'insegna di Sherlock Holmes. Quando ti ho conosciuto stavi iniziando la tua trappola per Sherlock e ora, a fine dell'anno, stai aspettando che decifri il codice del fratello maggiore." allungai la mano tentando di riavere indietro il pacchetto.
"Non essere così semplicista, Sebastian." replicò lui poggiando il pacchetto sul mio palmo aperto. "La vera soddisfazione è sapere che Sherlock Holmes non è stato in grado di battermi."
"Non puoi saperlo." anche io presi una sigaretta. "Chissà cosa sarebbe successo se Irene non avesse chiamato. Magari non saremmo qui a raccontarlo."
Quell'insinuazione non gli piacque. Per niente.
Per un momento pensai che avrei passato un altro mese con delle dita rotte. O un polso, magari.
Jim inspirò a fondo, controllando qualsiasi reazione stesse per avere. "Spero che tu non stia seriamente dicendo che Irene ci sia stata d'aiuto quella sera evitandoci di saltare in aria, cosa che stai insinuando sarebbe successa senza di lei."
Deglutì a fatica, ma non mi scomposi. "Ovviamente no." risposi utilizzando la mia migliore faccia da poker, che mi aveva sempre aiutato ad arrotondare lo stipendio.
“Non sembri molto felice.” Commentò Jim. “Non è stato un buon anno?”
“No, non sono felice.” Commentai duramente. Lasciai che la sigaretta si consumasse senza fumarla, facendo attenzione solo a non bruciarmi con la cenere. “E’ stato un anno impossibile.”
Avevo la nausea. Se ripensavo all’ultimo anno mi faceva male la testa. Erano cambiate così tante cose, troppe cose. Un anno prima ero un povero disperato cacciato dall’esercito che si era accontentato di una misera vita perché, ehi era decisamente vivibile e per niente male, e ora ero immischiato in qualcosa che, come un cappio, mi soffocava pian piano.
Improvvisamente ero arrabbiato con Jim.
Ero arrabbiato perché mi aveva portato via da una vita semplice, perché mi aveva gettato nella fossa dei leoni, aprendomi gli occhi ad un mondo che ora non potevo più ignorare.
Ero arrabbiato con Jim, perché mi aveva trasformato in un’altra persona che non ero più io.
Mentirei se dicessi che il Sebastian che stava celebrando un anno di vittorie era lo stesso che un anno prima era entrato per la prima volta in quell’appartamento.
Mentirei anche se dicessi che il Sebastian che sta scrivendo è lo stesso che stava brindando.
“Impossibile non è necessariamente un aggettivo negativo.” Sentenziò Jim con assoluta calma.
Eravamo così fieri di noi quella sera che non sospettavamo minimamente come tutto sarebbe andato a rotoli nel giro di un paio di mesi.
Brindammo al successo dell'anno passato e ai progetti dell'anno futuro, ignari del disastro che ci aspettava.
 
 
 
 
Probabilmente saremmo stati più felici se la storia di Irene fosse stata già archiviata, ma l’ultimo grandioso atto era appena iniziato.
Quando Irene ci fece visita nuovamente, era un anno esatto da quando mi ero trasferito da Jim. O da quando il caro dottore si era trasferito a Baker Street, se preferite.
Fatto sta che Jim mi sorprese con un regalo. Un regalo serio, pensato appositamente per me.
Sul tavolo della cucina c’era una custodia anonima e già immaginavo cosa potesse esserci dentro. Quando fa il cecchino per vivere, riconosci a colpo d’occhio una custodia di fucile, per quanto camuffata.
Ma mai –e dico assolutamente mai- mi sarei aspettato un Accuracy International Arctic  Warfare.
“Cristo.” Fu il mio commento. Rimasi impalato ad osservare le varie parti disposte nella custodia, in ammirazione.
“Presumo ti piaccia.” Commentò Jim atono.
“Come diavolo l’hai rimediato?” anche se volevo alzare gli occhi e guardare Jim, rimasi incantato da quel fucile. “E’ in dotazione solo all’esercito …Non sono riuscito a rubarne uno quando mi hanno cacciato!”
“Ho le mie conoscenze.” Jim si strinse nelle spalle, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Ma non lo era, credetemi.
“Era il fucile che usavo quando ero nell’esercito.” Ammisi. E con piacere notai che le mie mani non avevano perso l’abilità nel montarlo.
“Oh, davvero?” ironizzò Jim, meritandosi un’occhiataccia da parte mia. “Ora mi dirai che era il tuo preferito perché la versione Magnum era esagerata.”
Qualsiasi conoscenza avesse Jim, era anche mia perché quelle erano informazioni davvero confidenziali.
“Un’estensione naturale del mio braccio. Nessun’altro fucile mi fa sentire così.”
Mi venne in mente una discussione con mio padre; quel caro uomo si limitò a darmi del codardo perché preferivo nascondermi tra i cespugli o chissà dove invece di buttarmi in prima linea nella vera battaglia.
Che caro uomo.
“James.” Interruppi qualsiasi cosa stesse per dire. “A cosa devo questo regalo? Cos’è un premio di promozione?”
Jim rise. “Sei il secondo uomo più pericoloso di Londra, non essere ridicolo. Non puoi essere promosso.”
Non quando il primo era lui, naturalmente.
Presumo che spiegare quanto fosse meraviglioso l’AW sarebbe solo uno spreco di tempo. Non capireste. Le armi si amano o no.
Vedete, quando a Jim dissi che quel fucile era la mia naturale estensione, non stavo mentendo: trovare una arma che combacia perfettamente con il soldato è difficilissimo. Ma quando si trova il binomio giusto è come un lungo e felice matrimonio. Con le stesse emozioni.
Riavere un AW tra le mani fu come tornare completo. Non che i miei altri fucili non fossero buoni, ma…non erano l’AW.
“Grazie Jim.” Dissi non appena il fucile fu di nuovo a posto nella custodia. Per una volta fu il mio turno di prenderlo contropiede con un bacio che lasciò entrambi senza fiato.
Cosa mi stava passando per la testa era molto semplice: riavere il fucile e ripensare alla guerra mi stavano facendo ribollire il sangue.
E visto che sul momento non potevo uccidere nessuno, decisi di convogliare tutto quell’entusiasmo in qualcosa di altrettanto soddisfacente.
Spinsi Jim contro il muro della cucina e continuai a baciarlo. Sangue e sesso: è facile farmi perdere la testa.
Ero in ginocchio, deciso a slacciare la stramaledettissima cinta di Jim che non voleva farsi slacciare, quando Irene ci degnò dell’ennesima noiosissima visita.
Forse Jim se l’aspettava perché fu lui a riceverla, differentemente dalla quotidiana prassi.
“Perdonami se non ti ho ancora augurato un felice anno nuovo, James.” Commentò Irene. Ipocrita, era quasi finito Gennaio, che senso aveva?
“Non preoccuparti, eri ufficialmente morta. Quale morto manda messaggi o fa telefonate?”
C’era palesemente qualcosa che mi sfuggiva, perché Jim la stava accusando e Irene sembrava colpevole.
“Ah, Sebastian.” Esclamò vedendomi. Mi venne vicino e mi posò un bacio sulla guancia, lasciandomi una traccia di rossetto. Da quando tentare di ingraziarsi il boia era una mossa intelligente? E, soprattutto, da quando mi chiamava per nome? “Spero tu stia bene.”
“Naturalmente. Grazie miss Adler.” L’allontanai da me con fermezza.
Jim la guidò nel suo studio prima che potesse continuare quel teatrino.
Prima di scomparire nella stanza, Irene si fermò sulla soglia e mi lanciò un sorriso sghembo. “Vedo che avevo ragione: vi mettete davvero in ginocchio.”
Scomparve prima che potessi replicare. Da cosa lo aveva capito? Dalle pieghe dei miei pantaloni? Dalla polvere sul tessuto all’altezza delle ginocchia?
Almeno se ne andò via presto. Fu un colloquio breve, troppo breve.
“Che diavolo voleva questa volta?”
“Voleva il mio permesso per tornare in vita.” Jim ridacchiò. “O meglio: il mio perdono per esserlo già tornata.”
Tornata ufficialmente in vita, Irene fece leva sull’infatuazione di Sherlock per lei. No, devo essere onesto: era lei ad essersi infatuata. Ma non me la sento di giudicarla.
Sono pur sempre quello che divideva il letto con Jim Moriarty.
In ogni caso non è rilevante chi fosse infatuato di chi: Jim ottenne quello che voleva.
Ma quella nostra vittoria, non lo fu per Irene. Ah, no. Irene giocò con il fuoco e rimase bruciata.
 
 
 
 
 
Il campanello suonò e io mi costrinsi ad alzarmi dal letto ed andare ad aprire. Era dannatamente presto e Jim era uscito prima dell’alba, svegliandomi per dirmelo. Era una di quelle giornate in cui dormire era assolutamente fuori questione.
Aprì la porta trovandomi di fronte Irene.
“Miss Adler.” Commentai quasi sorpreso.
“Sebastian, accogli tutti i clienti a petto nudo?” mi chiese inarcando un sopracciglio.
“Quelli che mi buttano giù dal letto si.” Borbottai di rimando.”Prego.” la feci accomodare, per quanto fosse inutile quel gesto. Irene era di casa nel nostro appartamento. “James è fuori.”
“Meglio.”
Quel commento mi insospettì. Finalmente mi accorsi che Irene non aveva la sua solita spavalderia, né la solita cura per il suo aspetto.
“Accomodatevi, miss Adler.” Le indicai una delle poltrone.
“Chiamami Irene.”  Disse velocemente, interrompendo il mio discorso a metà.
La studiai per un secondo, indeciso se passare ai termini di primo nome con quella donna oppure no. Se Jim si era fidato abbastanza, potevo farlo anche io.
“Come volete voi, Irene.”
Cercò di convincermi anche a darle del tu, ma sarebbe stato troppo.
“Mi metto qualcosa addosso e mi dite quale problema avete.”
La sentii ridacchiare mentre mi ero in camera. “Come fate a sapere che ho un problema?”
Le risposi una volta tornato in soggiorno. “Perché o siete venuta qui per affari o per problemi. Non credo abbiate nulla che interessi a Jim, ora come ora.”
Irene curvò le labbra in un sorriso tirato poi prese un profondo respiro e parlò. “Sherlock ha scoperto la password del mio cellulare: ora Mycroft ha tutto ciò che c’è dentro.”
La guardai un secondo prima di dovermi tappare la bocca con la mano per impedirmi di scoppiare a ridere. “Capisco perché è un bene che Jim non ci sia!” scossi la testa. “Siete fottutamente fortunata.”
Ovviamente Irene non era l’unica ad essere nei guai: con quel telefono in mano, il governo britannico sarebbe potuto risalire anche a Jim con un po’ di impegno.
“Ho bisogno di scomparire, Sebastian.” Una nota di agitazione le incrinò la voce. “Non ho quei marmocchi di Scotland Yard alle calcagna, ma il governo.”
“E anche Jim,” le ricordai. “Voi volete che vi aiuti a scomparire anche dal nostro stesso radar. Pensate davvero che possa aiutarvi?”
Irene era dolorosamente consapevole della situazione in cui si era cacciata.
“Ne va della mia vita.” Ripeté solenne.
“Oh, lo so.” Decisi di assecondarla, di ascoltarla. Mi sedetti a mia volta, nella poltrona dove non molto tempo prima si era seduto Jim per parlare con la stessa donna.
“Fate la vostra offerta, quindi.” La invitai con un gesto della mano.
“Oh, così che poi voi possiate bocciarla e offrirmi meno della metà di quello che vi ho chiesto?” Irene arrossì di rabbia, ma non si scompose.
“Sapete come funziona, cara Irene.” Le ricordai con tono suadente. “Lo sapevate anche prima di venire qui, ma siete venuta comunque.”
Irene prese un profondo respiro e si aggiustò la gonna, che non le sarebbe arrivata alle ginocchia neanche se avesse tirato il tessuto per l’intera giornata.
“Datemi un biglietto per qualche posto sperduto, un contatto per trovare una sistemazione sicura e cancellate le mie tracce.”
Risi sgarbatamente. “Avete un sito al limite del porno e un account twitter con pochi followers, ma molti accaniti e fedeli lettori e dovremmo cancellare le vostre tracce?”
Avevo visto il sito di Irene, oh se lo avevo visto. Fortunatamente Jim non era in casa in quel momento; sarebbe stato così difficile spiegargli perché i pantaloni erano diventati troppo stretti per i miei gusti.
“Come pensate possa lavorare se chiudo ogni forma di contatto con i miei clienti?” chiese scandalizzata.
“Dovete scordarvi di lavorare, finché avrete anche solo un cliente, chiunque potrà sapere dove siete, dominatrix.”
Dal modo in cui strinse le labbra capii che  avrei dovuto chiamare qualcuno per chiudere il sito e l’account twitter di Irene cancellando ogni traccia telematica.
“Allora, mi aiuterete?” chiese con urgenza. Sperai che la porta si aprisse e che Jim si unisse a noi, sarebbe stato così divertente!
“Ho una proposta migliore.” Sorrisi gustandomi il lampo di preoccupazione che le attraversò gli occhi. “Vi fornisco il biglietto e vi faccio sparire dalla circolazione. Ma niente protezione o contatti: vi do un paio di giorni per muovermi come preferite e poi…” feci una pausa e mi strinsi nelle spalle. “Poi inizia la caccia.”
Irene fu sul punto di alzarsi, ma strinse i braccioli e rimase al suo posto. Sapeva di non poter sperare in nulla di meglio con Jim contro.
“Non fate quella faccia, Irene.”
“Sta bene, accetto.” Tagliò corto. Tolto il dente, tolto il dolore.
“Benissimo. Preferenze sulla destinazione?” mi informai divertito. Iniziavo a capire come si potesse sentire Jim nel riuscire a battere quella donna al suo stesso gioco.
Irene sembrò leggermi nel pensiero. “Capisco perché James ha scelto te.” Improvvisamente tornò padrona di se stessa: il tono vellutato, il sorriso accattivante, le movenze seducenti. “Guardati: stai diventando come lui.”
E improvvisamente il cacciatore era diventato la preda, fantastico.
“Non sto diventando come James.” Le feci presente con educazione.
“Invece si.” Irene continuò con assoluta calma. “Parlate allo stesso modo, gesticoli come fa lui, per quanto non ancora in modo altrettanto nervoso, e inizi a pensare come lui.” Mi guardò quasi con compassione. Non scorderò mai quell’occhiata e come mi fece sentire un bambino indifeso. “Ti sta plasmando per benino.”
Se voleva insultarmi c’era riuscita in pieno.
“Irene c’è una cosa che non devi mai, mai scordare.” Le dissi piano guardandola dritta negli occhi. “Io non sono James. Sono la persona più lontana da lui che ci sia in questo mondo: agisco prima di pensare, seguo l’istinto senza pensare alle conseguenze. E soprattutto io non ho alcun problema nel sporcarmi le mani.”
Irene reclinò appena la testa, gentilmente, in un gesto così dannatamente femminile. “Non essere così sgarbato, Sebastian. La mia era solo una osservazione oggettiva. Non pensavo ti facesse arrabbiare. Ero convinta che tu fossi molto più consapevole del tuo rapporto con Jim.”
“Rispetto a chi?” sbuffai indispettito. Non so se odiare è un aggettivo che riesce bene a spiegare i miei sentimenti nei confronti di Irene.
“Rispetto a Sherlock e John.” Lei ridacchiò. “Ho avuto una deliziosa conversazione con il dottore riguardo a come nega l’evidenza del suo rapporto con Sherlock.”
Ora anche Irene vedeva i paralleli tra me e il dottore, sempre più fantastico. Davvero, ero sul punto di cacciarla via. Gettandola dalla finestra.
“Io non nego proprio niente.” Ribattei amaramente. Anche perché era il gossip del secolo per il mondo criminale, temo.
“Non vedo perché dovresti.” Irene si strinse nelle spalle.
“In ogni caso, andare a letto con Jim ed essere plasmati a sua immagine e somiglianza non è la stessa cosa.”
“Ma non è solo andarci a letto.” Precisò Irene con una delicatezza del tutto fuori luogo. “E’ viverci insieme, è respirare la stessa aria, è vedere lo stesso mondo, parlare la stessa lingua, compiere gli stessi gesti.” Scosse la testa, assorta in qualche pensiero profondo che la fece sembrare distante per qualche secondo. “Non ti è mai capitato, Sebastian? Di stare accanto a lui e voler essere lui, anche solo per un minuto, sapere cosa c’è nella sua testa davvero?”
Evitai di dirle che era per un ragionamento del genere che mi ero ritrovato in quella posizione.
“E’ capitato.” Commentai atono.
“E’ così frustante, vero? Questo perenne desiderio di capire che ti porta ad essere come lui…”
Inarcai un sopracciglio. “Irene.” Forse stavo capendo come stavano le cose. “Voi state cercando di essere come Jim, è per questo che vi detesta così tanto?”
Irene rise e si alzò, mi porse la mano. “Non metteteci troppo a trovarmi quel biglietto.”
Furono le ultime parole che sentii da Irene Adler prima della tragedia che ci aspettava dietro l’angolo ad un paio di mesi di distanza.
 


 
 
 
 
 

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Capitolo 7
*** The Hound of Baskerville ***


 
VI. THE HOUNDS OF BASKERVILLE

 


No.
Mettiamolo subito in chiaro:  io e Jim non c’entrammo assolutamente con la storia del mastino nella brughiera.  Eravamo impegnati in ben altro.
Mente Sherlock Holmes e il suo fidato blogger andavano in giro per boschi, noi iniziammo a tessere la ragnatela della trappola definitiva.
In realtà fu un bene che fossero entrambi fuori città, non avemmo scocciature.
Niente Irene, niente Sherlock… nessuno a dirci cosa fare o a metterci i bastoni fra le ruote.
Quello si che fu Natale, gente.
Londra non fu mai più bella e pericolosa.
C’era un fremito nell’aria in quei giorni: una elettricità tutta nuova. Non solo io e Jim, ma tutto il crimine londinese sembrava godersi quell’ora d’aria buona.
Fu un regno breve, certo, ma fu un gran bel regno.
Le scartoffie si moltiplicarono, dovendo schedare tutto quello che stava succedendo, ma era un effetto collaterale che non guastò il nostro buon umore.
Jim iniziò anche a fischiettare, allegro come una rondine di primavera, mentre lavorava: conti da saldare, istruzioni da dare, nemici da ricattare. Sembrava realmente felice.
Si dice che di solito quando si tocca il fondo non c’è che la risalita, no? Beh, dovevamo capire che il discorso vale anche al contrario: toccato l’apice non si può che precipitare giù, giù e giù, in caduta libera.
Ma non ci importava. Londra era nostra.
La grande sinfonia di apertura all’ultimo atto. Grandiosa.
Probabilmente, Scotland Yard nemmeno se è accorta di quello che stava succedendo. Avranno pensato che gli arrivavano solo un po’ troppi allarmi. Non che tutti i criminali di Londra avessero capito che la città era libera e che quello che era il giusto momento per colpire.
Mi immagino quanta gente abbia chiamato Sherlock Holmes solo per sentirsi rispondere la segreteria telefonica e che, quindi, abbia rinunciato a risolvere qualsiasi problema gli                   .
Racimolammo più denaro in quel breve periodo che negli ultimi mesi. Tanto chi avrebbe controllato il flusso di denaro se non glielo faceva presente il caro detective?
Si, fidatevi del vostro Sebastian: senza Sherlock Holmes la polizia inglese non ricaverebbe un ragno dal buco per le questioni veramente veramente importanti.
Acciuffare un rapinatore di banche? Certo.
Acciuffare un ladro d’appartamento? Certo.
Acciuffare un rapinatore di gioiellerie inviato da Moriarty? No.
Acciuffare un cecchino mandato ad assassinare gente apparentemente senza legami? Ci hanno provato e hanno fallito.
Come ho sempre sostenuto: ci provano, non è colpa loro.
Un bel giorno Jim mi chiamò nel suo studio, con un tono così duro e serio che mi chiesi subito cosa avesse potuto gustare il suo buon umore.
“Siediti, Sebastian.” Mi ordinò e io ubbidì.
Dove c’era stata la pianta di Londra con i segni delle posizioni degli ostaggi, c’era un murales di foto, collegate tutte ad una unica foto centrale. Non riconobbi nemmeno una persona di quelle ritratte. Non era un buon segno.
“Come ben sai Sherlock Holmes è da qualche parte a caccia di qualche strano cane…”
Roteai gli occhi e sbuffai. Stava per iniziare un lungo, lunghissimo discorso che avrei seguito a metà –pentendomene non appena la situazione si fosse fatta un poco più complicata- e della metà seguita avrei capito meno della metà perché solo Jim poteva capirsi in quei discorsi.
“…quindi è questo il momento per iniziare a preparare il terreno per il nostro scontro finale.”
Per ora era semplice e annuii.
“Voglio che sia uno scontro in grado di cambiare la storia. Ma che sia anche definitivo. E’ giunto il momento di mettere in chiaro le cose; voglio mettere alla prova Sherlock Holmes.  E voglio metterlo in ginocchio, dimostrargli che, qualsiasi sforzo faccia, non riuscirà mai ad eguagliarmi. Si ostina a fregiarsi di titoli che non gli competono, a bearsi dell’adorazione della stolta massa. Lo chiamano genio, quando si limita ad improvvisare. Ma il beneficio del dubbio si da a tutti: Sherlock potrebbe anche rivelarsi migliore di quello che credevo, un vero genio.  Voglio dargli modo per dimostrarmi di valere qualcosa, di essere alla mia altezza”
Jim aveva iniziato a fare avanti e indietro, facendomi venire il mal di mare. Mi alzai, lo bloccai prendendolo per le spalle. “Sta fermo.” Gli ordinai bruscamente. Mi guardò annoiato, ma almeno non riprese a camminare. “Va avanti.”
“Abbiamo un problema, io e Sherlock. Io mi sforzo così tanto per avere questa città nelle mie mani e lui tenta, ripetutamente, di far sì che la città dorma sonni tranquilli. E’ la sua intelligenza che sfida la mia. Il problema finale: chi è più intelligente? Chi merita di avere tutta la gloria? Non fare quella faccia, Sebastian. E’ una questione seria. Sherlock sta diventando fastidioso e il mondo sembra averlo eletto a suo impavido eroe. Ebbene, non esiste eroe che non abbia affrontato imprese al limite dell’impossibile. E chi meglio di me può procurargliela?”
Iniziavo a sentire solo un brusio indistinto, totalmente sconfitto da tutte quelle parolone.
“La cosa che davvero, davvero, mette a dura prova i miei nervi è sentire la gente che lo osanna, che rimane affascinata dal suo intelletto, dalla sua scienza della deduzione. Se conoscessero me cosa farebbero? Getterebbero tappeti rossi e petali di rosa dove passo e mi sventolerebbero foglie di palma per ripararmi dal sole che si scorda di splendere su Londra? Ma la gente è anche molto volubile e il suo consenso è così difficile da mantenere…I l minimo dubbio sulla integrità di Sherlock e tutto si sgretolerebbe più facilmente che un castello di sabbia. Una sola cosa so per assolutamente certa: Sherlock è particolarmente sensibile quando si parla della sua intelligenza. E’ tutto ciò che è, senza la sua intelligenza sarebbe nulla. Ed è lì che voglio colpirlo. Voglio fargli terra bruciata, convincere il mondo –e perfino lui- che tutta la sua intelligenza non è altro ch una messa in scena. Se voglio distruggere Sherlock Holmes, devo distruggere la sua intelligenza.”
Ascoltai più o meno, sapendo che in realtà quel discorso si sarebbe potuto applicare anche a Jim. Quella consapevolezza mi fece rabbrividire. Mi chiesi quanti danni collaterali avesse quel semplice principio di base. E se distruggere la reputazione di Jim sarebbe stato altrettanto facile. O se distruggere quella di Sherlock avrebbe irrimediabilmente distrutto anche quella di Jim. Problematiche che sembravano interessare solo a me, comunque.
“Tu sei pazzo.” Tagliai corto, perché non sarei mai riuscito a replicare ad un discorso seguito malamente. “Possiamo arrivare alla parte in cui mi spieghi cosa diavolo sono quelle?” domandai indicando il murale di foto.
Jim mi lanciò un occhiata di disprezzo per aver interrotto il suo lungo discorso, ma oramai non aveva più molto effetto. Non quando non c’era nessun reale pericolo che si arrabbiasse.
“Rovini sempre il divertimento, Sebastian.” Ci tenne a farmi sapere e io mi strinsi nelle spalle, oramai abituato. “Quelle foto sono la parte più lunga del piano.” Mi avvertì “Devo crearmi una nuova identità.” No, non era delle cose più strane che Jim avesse fatto. “L’uomo qui ritratto è Richard Brook” indicò la figura al centro; un uomo che avrà avuto più o meno la mia età o quella di Jim. “E’ deceduto qualche mese fa per motivi che sono quanto mai irrilevanti. Queste altre foto ritraggono le persone più vicine a lui: la sorella, il fratello, la cognata vedova, la madre, il padre, qualche amico…” in realtà non erano molte persone. Ebbi l’impressione che Richard Brook fosse alquanto solo.
“Ho intenzione di assumere l’identità di Richard Brook. E’ morto da relativamente poco e, per quanto sia contraddittorio, eliminare un certificato di morte è più facile che creare un certificato di nascita. Senza contare che così non c’è il problema di creare un background credibile.”
Rimanemmo in silenzio per un lungo momento, guardandoci.
“Forza, spara.” Sbuffò Jim. “Fai uno dei tuoi insulsi commenti, sempre fuori luogo e sprezzanti.”
Sorrisi perché ebbi l’impressione che Jim si fosse abituato ai miei modi. Probabilmente non ero il solo a farsi influenzare dalla nostra convivenza.
“Okay, i morti non si lamentano, è un dato di fatto, ma i vivi rompono le palle.” Indicai le foto dei famigliari. “Se tu assumi l’identità di Richard loro ci rimarranno molto, molto male.”
“Per questo è la parte più lunga del piano.” Jim si strinse nelle spalle. “Queste persone vanno corrotte o ridotte al silenzio.”
“Ah, la cara e vecchia corruzione.” Mormorai affascinato. “Giochiamo a fare i buoni sammaritani?”
“No, non direi. Tu giocherai a fare il genio della lampada ed esaudirai i loro desideri finché non terranno la bocca chiusa.”
Quel piano ci sarebbe costato un bel po’, valutai mentalmente.
“Aspetta!” esclamai. “Io? Devo farlo io?”
“E chi altri, se no?” Jim sembrò così sorpreso della mia reazione. “Sei il mio braccio destro, Sebastian. Questo lavoro è troppo importante: se qualcosa va storto, ci rimetto direttamente. Non mi fido di nessun altro.”
Quando Jim usava quelle parole –fiducia e robe simili- avevo sempre voglia di scappare. Quando il Diavolo si fida di te, deluderlo vuol dire avere l’inferno alle calcagna.
“Quando sarò Richard Brook voglio essere sicuro di non correre rischi.” Mi prese il mento con una mano e mi alzò il viso. In quei momenti non mi piaceva guardare Jim negli occhi perché potevo vedere l’orrore di cui era capace. Motivo per cui non ho mai avuto un grosso rapporto con gli specchi.
“Stammi bene a sentire, Sebastian, molto bene: se sbagli qualcosa io sono fottuto. Per tutto il tempo che sarò Richard Brook ti affido Jim Moriarty.”
Ah, era come se mi avesse affidato il mondo. Ma un modo in fiamme che sarebbe potuto sfuggirmi di mano in qualsiasi istante. Fui lusingato e terrorizzato insieme.
“Si, capo.” Dissi semplicemente. Perché infondo le cose stavano già in quel modo da quando avevo accettato quel lavoro.
Restammo di nuovo in silenzio e sperai che mi baciasse. Desideravo baciarlo come non mi era ancora capitato: come se un bacio potesse suggellare quel patto con il Diavolo.
Non mi baciò e io non ci provai nemmeno.
“Inizierei dalla sorella e dalla madre.” Mi suggerì Jim indicando due donne che si assomigliavano parecchio, tranne che per il naso e l’arcato sopraccigliare. “Ma prima Sebastian, dobbiamo andare a fare shopping.”
“Non il tipo di shopping che piace a me, vero?”
Generalmente non odio fare compre, ma fare shopping con Jim significava spendere almeno quattro ore alla ricerca dell’abito perfetto nei migliori atelier. Se fosse stato solo un altro pomeriggio passato ad aspettare che Jim scegliesse i vestiti sarebbe andato bene, ma fui costretto a provare abiti.
Un numero indecente di abiti.
Seriamente, avremo passato almeno quattro ore in cerca del mio abito. E mentre io facevo avanti e indietro dal camerino, Jim si lamentava anche di quanto ci stessimo mettendo, rimanendo tranquillamente seduto su un divanetto fuori dai camerini.
Come se fosse colpa mia se sembro –e sono sempre sembrato- ridicolo con un completo elegante addosso.
Per me potevo anche prendere il primo vestito provato.
“Ancora non mi hai detto perché devo trovarmi un nuovo abito. Non vanno bene quelli che ho?” gli chiesi sistemandomi la cravatta.
“Quelli che hai sono stracci da pochi soldi.” Rispose lui scocciato. “No, no, no, Sebastian, neanche questo va bene.” Decise dopo una breve occhiata.
“Cosa ha questo che non va?!” sbuffai. “L’hai scelto tu!”
“Ti fa sembrare un pinguino.” Commentò lui neutro. “E più basso di quello che sei realmente.”
Ubbidiente cambiai abito. Probabilmente se non fossimo stati clienti privilegiati, la povera commessa ci avrebbe già fatto fuori. Probabilmente stava progettando di cavarci gli occhi con le unghie e io le avrei dato volentieri una mano.
All’ennesimo vestito, finalmente ottenni un commento positivo.
Appena mi vide, Jim concentrò tutta l’attenzione su di me, senza perdere subito interesse.
“Fermo lì.” Mi ordinò. Squadrò me e il mio riflesso, si alzò, mi girò intorno e finalmente annuì soddisfatto. “Abbiamo trovato il tuo colore Sebastian! A quanto pare il fumo di Londra ti dona e parecchio.” Sistemò la mia cravatta, lisciò le pieghe della giacca, soddisfatto di come apparivo.
“James, un bel vestito non è così importante…”
“Invece sì, lo sai benissimo. L’abito determina la reazione che la gente avrà vedendoti.”
“Mettere un bell’abito addosso a me è come nascondere la polvere sotto il tappeto e sperare che nessuno se ne accorga.”
Jim scosse la testa divertito. “Sembri un’altra persona, fidati di me.”
Non che avessi molte scelte.
“Si, lo prendiamo.” Decretò infine dopo un altro breve studio della mia figura.
“Comunque il grigio non va bene, dobbiamo trovarne uno nero, torna in camerino.”
Prima che potessi protestare, mi spinse verso il camerino con tutta la non gentilezza di cui era capace.
“E perché deve essere per forza nero?” sbuffai mentre mi cambiavo per l’ennesima volta.
“Perché andiamo a vedere l’opera.” Rispose Jim annoiato.
“L’opera?” la sola idea m faceva star peggio che una intera giornata passata a provare vestiti su vestiti. Ma mi feci coraggio: non c’era modo di scamparla.

 

 
 
Passò qualche giorno, tutto tacque in attesa di un momento favorevole per riprendere l’azione.
“Sebastian.” Jim entrò in camera mia –senza bussare o usare altri gesti ritenuti educati- mentre stavo pulendo la browning. Il che implicava che ero seduto sul bordo del letto circondato da pezzi di ferraglia. “Cosa è questa confusione?”
“Sta zitto.” Lo ammonì senza degnarlo di uno sguardo. Visto che praticamente affido la mia vita alle mie armi, prendermi cura di loro è un’operazione basilare.
“Ti sei svegliato con il piede sbagliato?” mi domandò Jim piazzandosi di fronte a me.
“No,anzi, mi sono svegliato come la bella addormentata: riposato e con un bel bacio.”
Non disse nulla per un lungo momento e io continuai la manutenzione, ma quel silenzio divenne presto così fastidioso che alzai gli occhi verso di lui. “Che c’è.”
“Devi fare un lavoro.” La classica frase di routine.
“Devo portarmi la pistola o i fucili?” altra frase di routine.
“Nessuno dei due.” Dalla tasca interna della giacca tirò fuori una anonima busta bianca, il formato standard smistato dalle celeri poste della nostra adorata regina. “Devi consegnare questa.”
“A chi?” misi a posto i pezzi della pistola velocemente: se c’era un lavoro da fare, non avevo tempo per i miei giocattolini.
“Anthea.” Disse con un grosso sorriso appena presi la busta. “E’ un messaggio per Mycroft.”
“Non puoi semplicemente chiamarlo?” sbuffai scocciato. L’idea di rivedere Anthea non mi entusiasmava affatto: non volevo passare per l’idiota di turno un’altra volta.
“E’ una consegna, non un semplice messaggio.” Ribadì Jim con calma.
“E come la trovo Anthea, di grazia?”
“Ah, sicuramente ti troverà lei.”
Uscii e mezz’ora dopo individuai l’anonima macchina di Anthea parcheggiata lungo la strada, ma non mi avrebbero convinto che non erano nell’automobile nemmeno se fosse stata vuota, sia chiaro.
Bussai al finestrino con colpi precisi, aspettando poi che comparisse Anthea.
“Ciao bellezza” la salutai con un grosso sorrisone.
“Sebastian.” Mi salutò lei a sua volta, ma niente sorriso.
“Che c’è non mi fai salire in macchina, sta volta?” la punzecchiai cercando di prendermi tutto il vantaggio il prima possibile.
“Non vedo perché.” Scrisse qualcosa sul blackberry e mi immaginai che avesse appena avvertito Mycroft del nostro piccolo incontro.
“Ho una consegna per il tuo capo.” L’avvertii tirando fuori la busta; gliela mostrai, ma la tenni ben stretta.
“Di cosa si tratta?” domandò guardinga. Studiò la busta, in palese cerca di qualche segno di troppo che significasse pericolo.
“Ah non chiederlo a me!” esclamai. “Jim non me l’ha detto.” Mi strinsi nelle spalle.
“Non ti annoia non sapere assolutamente nulla di quello che il professore combina?” sembrò particolarmente seria nel porgermi quel quesito.
Naturalmente lo ero e iniziavo a chiedermi quanti piani Jim mi tenesse nascosti.
“A te non scoppia la testa nel tenere informato ventiquattro ore su ventiquattro il caro Mycroft?”
Chissà, magari Anthea aveva qualche nano macchina o microchip nel cervello per l’archiviazione dei dati. E’ una eventualità che non mi sento di scartare, non del tutto.
“D’accordo, consegnerò la busta.” Decise infine, forse perché mentre ci punzecchiavamo aveva ricevuto l’okay dal diretto interessato.
“Meraviglioso!” le porsi la busta e le sorrisi di nuovo. “Fai attenzione mentre gironzoli per Londra.”
Anthea mi ignorò e richiuse il finestrino, interrompendo ogni comunicazione con me.
Era andata meglio del previsto.
Come Anthea aveva ben sottolineato non avevo la più pallida idea di cosa ci fosse nella busta. Poteva esserci un foglio con una sola lettera o un foglio con una piena confessione di tutti i crimini di Jim. Poteva esserci di tutto.
Capii cosa ci fosse davvero quando era troppo tardi.
Come ho detto, Jim mi aveva annunciato che saremmo andati a vedere l’opera- per l’esattezza il Don Giovanni- e i biglietti erano stato acquistati da un bel po’ di tempo.
Quella sera eravamo entrambi vestiti di tutto punto, più simili a due pinguini che a due criminali.
Ammetto che ero agitato perché non sapevo se era una uscita di piacere o di lavoro, qualcosa mi diceva che non stavamo semplicemente andando all’opera. I miei sensi da cacciatore non la smettevano di farmi cercare il pelo nell’uovo.
E per fortuna.
“Chop ci sta aspettando in strada.” Annunciò Jim chiudendo il polsino della camicia. “Datti una mossa Sebastian. “
“Arrivo, arrivo!” mi infilai di corsa la giacca – a me non interessava minimamente essere impeccabile per la serata- e affiancai Jim.
“Prendi i biglietti.” mi ricordò aprendo la porta.
Fu quando presi i biglietti che mi accorsi di cosa non andava.
“Non siamo seduti nella stessa fila?”
Stupido io che l’avevo dato per scontato, ovviamente.
“Ah no.” Rispose come se si fosse ricordato solo in quel momento di quella svista. “Non siamo soli.”
“Non dirmelo.” Sbottai scuotendo la testa e uscendo dall’appartamento. “Mycroft sarà dei nostri, vero?” Volete sapere come c’ero arrivato? Avevano lo stesso spessore e peso della busta che avevo consegnato ad Anthea.
“Che c’è, sei arrabbiato?” Jim sbuffò e si richiuse la porta alle spalle. “Non pensavo fosse un dettaglio degno di nota.”
“Infatti ti ho detto di non dirmelo.” Ribattei salutando Chop con  un  cenno della mano e salendo in macchina.
“Sei sempre così drammatico, Sebastian. Mi chiedo perché non mi libero di te semplicemente.”
“E’ una ottima domanda.”
Almeno sapevo dov’era la fregatura. E in fondo ero curioso di conoscere di persona Mycroft Holmes, non avendo avuto il piacere di conoscere il fratellino minore. Avevo la sensazione come se ciò potesse aiutarmi nel capire Jim perché avevo ancora tante cose da imparare, nonostante fosse passato più di un anno.
In teatro, però, non ci stava aspettando solo Mycroft Holmes, no signore. Era in dolce compagnia.
Mentre Jim e Mycroft si salutavano come se fossero vecchi compagni di scuola e non due moderni Lupin e Zenigata, io non staccai gli occhi di dosso ad Anthea.
L’abito da sera la fasciava che era una meraviglia e con i capelli tirati su era anche più bella. Sembrava a suo perfetto agio in quell’ambiente, a differenza del sottoscritto.
“Anthea, è sempre un piacere.” La salutò Jim con un tatto che Irene Adler si sarebbe potuta solo sognare.
“Professore, presumo di doverla ringraziare per la serata.”
“Non ce ne è bisogno.”
“Lei deve essere il Colonnello Moran.” Si intromise Mycroft Holmes, risparmiandoci da un ulteriore scambio di convenevoli tra Jim e Anthea.
“Signor Holmes.” Lo salutai con rigore militare stringendogli la mano. Criminale o no, un rappresentante del governo è un rappresentante del governo. Ed è meglio non farli arrabbiare, quelli del governo, se vuoi continuare con le tue piccole azioni criminali.
“Ammetto che perdere un talento come il suo è stato un vero colpo per la milizia britannica.” Commentò e Anthea nascose a malapena un sorrisetto divertito.
“Non si preoccupi signore. Ho trovato altri impieghi.” Replicai consapevole che il messaggio sarebbe stato recepito meravigliosamente.
Iniziavo a trovare divertente rivolgermi alle persone per allusioni.
Intorno a noi la gente iniziò a muoversi, rumorosa e ignara, segno che mancava poco all’inizio dell’opera.
“Dopo di te, James.”
Jim e Mycroft si allontanarono senza degnare né me né Anthea di un altro sguardo. Era assolutamente meraviglioso essere sicuro di essere di troppo in quel luogo.
“Questo mi fa presumere che sia tu il mio cavaliere per la serata.” Commentò atona Anthea.
“Temo di si, dolcezza.” Le sorrisi perché eravamo in due ad essere di troppo. Le offrì il braccio. “Poteva andarci peggio.”
“Non vedo come.” Replicò lei alzando gli occhi al cielo.
“Potevo essere un drago o una tarantola o che ne so, un pericoloso assassino.” Ironizzai.
“Molto divertente.” Commentò lei cercando di nascondere il grosso sorriso che ero riuscito a strapparle.
La platea era già piena di gente e di rumore, cosa che mi rassicurò in parte. Qualsiasi cosa Jim avesse in mente –perché palesemente aveva qualcosa in mente- avrei sempre avuto un bel po’ di gente da usare come scudo.
A partire dalla mia dama, che si sedette elegantemente nella poltroncina, confondendosi tra gli altri spettatori.
Riflettei: probabilmente Jim aveva messo in conto che Mycroft, avendo a disposizione due biglietti, avrebbe portato Anthea con sé e che, notando i numeri di posto differenti, avrebbe immaginato che io sarei stato l’altro invitato. Quindi c’era un motivo per cui io e Anthea eravamo seduti così vicini che a fine serata avrei avuto l’odore del suo profumo alle rose sui miei vestiti.
“Come hai fatto a finire al servizio di Mycroft Holmes?” le domandai mentre sfogliavo il programma della serata, totalmente disinteressato.
“E tu come sei finito al servizio di James Moriarty?” mi chiese di rimando togliendosi e rimettendosi l’orecchino destro. Magari era qualche segnale.
“Ho chiesto prima io, devi rispondere.” Ribattei infantile.
“Posso rispondere, ma posso anche mentire.” Mi avvertii docilmente, passando all’altro orecchino. Magari le facevano solo male.
“Non mi interessa se menti, voglio solo fare conversazione.” Le feci presente.
“Allora potresti chiedermi di che segno zodiacale sono o quali sono i miei fiori preferiti, non perché lavoro per Mycroft Holmes.” Mi lanciò un occhiata annoiata.
“Andrò per tentativi se non vuoi rispondermi.” Annunciai quasi divertito da quell’idea.
“Ti rispondo.” a quanto pare la mia minaccia funzionò. “Sono finita a lavorare per Mycroft perché sono abbastanza intelligente da meritarmelo, ecco perché.”
“Tutto qui?” ne rimasi quasi deluso. “Puoi fare di meglio, dolcezza.”
“Sebastian da me non avrai nessuna informazione.” Mi avvertii in un sibilo. “Nulla di nulla, sia chiaro. Non so cosa stia tramando il tuo capo, non so perché tu debba tampinarmi. Ma qualsiasi cosa tu voglia, non l’avrai da me.”
Soprattutto perché non avevo idea di cosa dovessi scoprire.
E sapete cosa?
Decisi che non avrei nemmeno cercato di scoprirlo. Al diavolo Jim e il suo vizio di farmi brancolare nel buio.
“Ho una proposta, dolcezza.” Le passai il braccio intorno alle spalle. “Per una serata, lasciamoli scannare tra di loro. Che si cuociano nel loro brodo. E’ un gioco tutto loro, noi non c’entriamo nulla. Godiamoci la serata e mandiamo al diavolo quei due.”
Anthea mi fissò come se fossi un alieno pazzo venuto da un’altra galassia. Evidentemente non aveva mai lasciato il lavoro da parte in vita sua. Stacanovista.
“Come fai ad essere ancora vivo è un mistero.” Borbottò lei ricomponendosi.
“Lo è, lo è.” Ridacchiai.
Non sprecherò nemmeno mezza riga sullo spettacolo perché a malapena me lo ricordo. Passai più tempo con la testa rivolta verso la balconata dove erano Jim e Mycroft che girato a vedere il palco. Era una ambientazione troppo strana perché fosse una serata normale. Il solo fatto che quei due stessero parlando avrebbe dovuto convincere tutti ad evacuare il teatro.
Non ne poteva venire fuori nulla di buono.
La mia sensazione fu confermata quando non vidi Jim all’intervallo: tutti erano di nuovo nell’atrio del teatro, ma di Jim e Mycroft nemmeno l’ombra. Anthea era preoccupata quanto me, ma entrambi lo nascondevamo benissimo. Lei probabilmente c’era abituata, io non avevo abbastanza pazienza per stare dietro a Jim ogni secondo della giornata.
Quando lo spettacolo finì, eravamo entrambi due fasci di nervi, tesi come corde di violino.
Fui il primo ad individuare l’improponibile accoppiata e a capire che qualcosa non andava. Forse era il modo in cui si muovevano tra la folla senza attirare attenzione, o più semplicemente la leggerissima presa di Mycroft sul braccio di Jim. Abbastanza discreta da non dare nell’occhio, abbastanza sicura per impedire a Jim di andare da qualsiasi parte.
Jim però non sembrava minimamente turbato da quella situazione, anzi, sembrava pronto per una bella passeggiata notturna.
“Credo sia ora di andare, Anthea.” Annunciò Mycroft con naturalezza. “Ah, colonnello, spero lo spettacolo sia stato di suo gradimento.”
“Naturalmente.” Risposi automaticamente, ma non staccai gli occhi di dosso da Jim. Il bastardo non disse una parola. Non una fottuta parola.
Mycroft se lo portò via così, senza che io capissi cosa diavolo stava accadendo.
Quando Chop mi chiese dove fosse Jim, non seppi cosa rispondergli.

 

 
 
Aspettai due giorni.
Due fottutissimi giorni.
Andai nel panico, letteralmente. Capitemi: per un anno e passa la polizia non era mai arrivata alla nostra porta e improvvisamente uscivamo con Mycroft Holmes e Jim veniva portato via.
Ero pronto al peggio -ma sapevo davvero poco di come il peggio sarebbe realmente stato- e quindi non ragionai.
Fu il primo momento in cui mi accorsi quanto importante fosse Jim.
Quanto significasse per me.
Un'altra bella epifania nel racconto della mia vita, ma non ne voglio parlare. Non è da me, pensare a queste cose, dare importanza a queste dinamiche.
Di solito ti fanno finire morto ammazzato.
Così il terzo giorno, decisi di agire. Tenermi occupato, mandare avanti la baracca e i piani senza senso di Jim.
Dallo studio di Jim staccai le foto della signora Brook e della figlioletta: Jim o non Jim c'era del lavoro da fare.
Valutai se portarmi o no la pistola, decidendo che se la corruzione non fosse andata a buon fine, avrei sempre potuto fare fuori tutti. Magari mi sarei divertito a far ricadere su qualche innocente la colpa. Sarebbe stato meraviglioso.
La famiglia Brook viveva appena fuori città, lontano dal caos, ma abbastanza vicino per raggiungere i luoghi di lavoro tutte le santissime mattine. Il lavoro di tutti i giorni non ha mai fatto per me, decisamente. La sola idea di fare ogni giorno gli stessi movimenti mi fa star male. E sono stato nell'esercito, insomma. So quello che dico.
Avevo deciso di non vestirmi in modo troppo formale, ma nemmeno potevo sembrare un pezzente, no? E poi la giacca avrebbe coperto alla perfezione la pistola.
Quindi ero lì, giacca e jeans, di fronte ad una porta senza sapere se la persona per cui stavo facendo quel lavoro sarebbe tornata.
Ah, adoravo la mia vita!
Mi aprì la sorella di Richard e fu sorpresa di vedere un volto nuovo alla porta di casa sua.
"Si?" mi chiese circospetta. Sarebbe dovuta essere a scuola vista l'età, ma dal pessimo colorito immaginai che fosse malata. Sperai che fosse qualcosa di grave, almeno avremmo trovato un accordo molto facilmente e noi ci avremmo fatto la figura dei buoni samaritani davanti a tutti.
"Lena Brook?" chiesi sfoggiando il mio miglior sorriso e porgendole un biglietto da visita. Si, avevo anche un biglietto da visita: un cartoncino color avorio con il mio nome e sotto la generica indicazione J. Moriarty Firm. Potevamo essere uno studio legale o un ente di beneficenza per quanto lasciava intendere il biglietto. "Sebastian Moran. C’è tua madre in casa?” la mia era una domanda retorica.
Lena studiò il bigliettino, tirò su con il naso e chiamò la madre.
“La signora Samantha Brook.” La salutai educatamente stringendole la mano. “Vorrei parlarle di affari.” Potevo scegliere mille approcci diversi per iniziare quel discorso, ma in fin dei conti si trattava solo di affari.
“Affari?” aggrottò le sopracciglia guardandomi neanche fossi un pazzo.
“Si. Sarebbe così gentile da farmi entrare?” tentai con le buone, ma ero prontissimo a tirare fuori la pistola.
“Io…non credo…non credo sia il caso.” Scosse la testa.
“D’accordo.” Ma invece di tirare fuori la pistola aggiunsi. “Devo parlarle di suo figlio Richard. E sono sicuro che non vuole parlarne qui fuori, no?”
Sbiancò, letteralmente, al nome del figlio morto e tentò di chiudermi la porta in faccia, ma la bloccai prima che ci riuscisse.
“Non sono qui per disturbarla, ma per migliorarle la vita se me lo permette. Ho un affare da proporle che va tutto a suo vantaggio.”
E come se fossi stato invitato, entrai in casa. Con le buone o con le cattive, no?
“Se ne vada! O chiamo la polizia!” mi urlò contro Samantha, già lontana.
“No, no, no, no.” Le andai dietro fermandola prima che potesse prendere il telefono. Ci mancava solo che mi arrestassero per una stronzata del genere dopo che per anni l’avevo fatta franca.
“Lasciatemi.” Sibilò cercando di liberarsi dalla mia presa intorno ai suoi polsi, ma non ci riuscì.”Cosa vuole!”
“Parlare di affari.” Ribadì di nuovo, con calma. Ci scrutammo per un lungo istante e sentì Lena avvicinarsi verso di noi con passo in certo. Sperai solo che non avesse una mazza da baseball o roba simile.
“Chi è lei?” sibilò di nuovo, spintonandomi con cattiveria non appena la lasciai libera.
Mi presi un istante per ricompormi e sfoggiare di nuovo un gran bel sorriso.
“Il genio della lampada.” Le dissi semplicemente.
Ci spostammo in soggiorno, Lena si era unita a noi, madre e figlia ancora incerte sul perché ero lì. Mi chiesi se in quel momento stavo avendo su di loro lo stesso effetto che Jim aveva sempre sulle persone. Anche io stavo incutendo una pacifica paura che le costringeva ad ascoltarmi?
“Lavoro per un uomo in possesso di alcuni…mezzi. Un uomo che si è interessato alla vostra situazione. Perdere un figlio è un dramma, ma perderne due è una tragedia.”
“Cosa c’è, siete un ente di volontariato?”
“No, decisamente no.” Ridacchiai perché l’idea di Jim a capo di una organizzazione di volontariato era decisamente comica. “No, signora Brook. Siamo solo un gruppo di persone che fa affari. Affari particolari.”
Descrivere la nostra organizzazione era sempre così dannatamente complicato.
“E che tipo di affari potrebbero coinvolgere mio figlio?” non pronunciò la parola morto, ma riecheggiò comunque nella stanza.
“Vedete...” Tirai fuori dai jeans il pacchetto di sigarette e l’accendino. “Le dispiace se fumo? L’affare che vi propongo è semplice: voi avete qualcosa che serve al mio capo, noi possiamo darvi qualcosa di cui avete bisogno. Qualsiasi cosa. Possiamo esaudire tutti i vostri desideri. E quando dico tutti, intendo tutti.”
“E cosa abbiamo noi che vi possa interessare?” domandò Samantha osservando il biglietto da visita che Lena le aveva appena passato.
“Il mio capo.” E coinquilino e amante, ma non era proprio il caso di dirlo “Ha bisogno, per motivi che non vi interessano, di assumere una nuova identità. Ha scelto quella di vostro figlio Richard e quindi ha mandato me a chiedervi il permesso.”
L’orrore sulle loro facce valse tutti i soldi che avremmo speso per comprarne il silenzio.
“Ma che cazzo…” Sbottò Lena con voce nasale. “Siete uno strafottutissimo pazzo!”
“Fuori da casa mia.” Ordinò Samantha con più autocontrollo. “Ora.” Sibilò con un tono degno di Jim.
“Non sia così precipitosa.” Dissi verso la signora Brook. “Richard è morto, che male può fare se qualcuno usa la sua identità per un paio di giorni?”
“Non può venire in casa mia e…” respirò a fondo. “dirmi che un perfetto sconosciuto vuole prendere l’identità di mio figlio!”
Sbuffai annoiato. Era il momento di tirare fuori la pistola.
“Volevo essere gentile.” Mi lamentai tirando fuori la pistola.  “Può darmi il permesso e fare l’affare della vostra vita, o può rifiutare e raggiungere Richard. Personalmente preferirei sceglieste la seconda opzione: ci prendiamo comunque l’identità di Richard senza sborsare nulla.”
L’ho già detto: una pistola fa miracoli in fatto di persuasione. Solo se chi la usa è serio. E io lo ero.
Lena iniziò a piangere silenziosamente, ma sua madre tenne i nervi ben saldi: drizzò la schiena e mi guardò fisso negli occhi,
“La ascolto.” Solo la voce tradiva tuta la sua paura.
“Bene, iniziamo a ragionare.” A quel punto feci una cosa che il vecchio me –quello cacciato dall’esercito- non avrebbe mai fatto: posai la pistola sul basso tavolo che ci separava. Per fare affari devi fare in modo che la gente si fidi di te anche se ha paura. Certo, una delle due poteva prendere la pistola e spararmi, ne ero consapevole, ma era proprio quello il punto: una fiducia reciproca. Più o meno.
“So che la richiesta è quanto mai singolare, ma l’assicuro che è totalmente innocua.” Beh per quanto qualcosa organizzato da Jim potesse esserlo, ovviamente. “Non faremo nulla che possa danneggiare la memoria di suo figlio. Utilizzeremo l’identità per il tempo strettamente necessario. Siamo disposti a darvi tutto quello che volete.”
Passò una buona mezz’ora di proteste prima che accettassero. Il potere dei soldi è infinito, lo so per esperienza. Non voglio parlare di quanto sganciammo, se ci ripenso mi gira ancora la testa. Fu una cifra così alta che non avevo mai nemmeno pensato a tanti soldi tutti insieme per la stessa famiglia.
Quando uscii da quella casa seppi con certezza che Jim non sarebbe stato per niente contento di come le cose erano andate. Sempre che Jim fosse tornato, sia chiaro.
L’unico lato positivo era che mi ero guadagnato un lavoro: a quanto pare la vedova del fratello morto di Richard aveva voglia di vendetta. Beata donna, mi rese divertente i giorni successivi.
 
 
 
Passò una settimana e io cercai disperatamente –e intendo disperatamente- di tenere la mente occupata.
Completai i lavori della famiglia Brook, ritrovai le tracce di Irene nei pressi di Praga e le misi addosso un paio di mastini giusto per gusto personale. Avevo detto che le avrei dato la caccia e l’avrei fatto.
Con i nostri clienti mi comportai come se tutto andasse alla perfezione, scoprendomi un ottimo bugiardo sotto pressione.
Essere solo nell’appartamento era opprimente.
Andai in paranoia, incapace di concentrarmi realmente su qualcosa che non fosse la mancanza di Jim.
Cercavo di starmene in giro il più possibile, ma quando tornavo a casa e mi rendevo conto che ero ancora solo non riuscivo a darmi pace; e ripetermi che seguire Mycroft doveva essere stata parte del piano –perché razionalmente sapevo che Jim era troppo rilassato quella sera- non servì a nulla.
Anche Chop iniziò a preoccuparsi, per Jim e anche per me, e tenerlo a bada quando ero io il primo fuori di testa fu complicato.
“Sebastian è passata una settimana.” Mi fece notare mentre eravamo bloccati nel traffico. Visto che Jim non c’era, mi ero impossessato del sedile del passeggero invece che sedere sul sedile posteriore solo come un idiota.
“Non me ne ero accorto.” Ribattei seccato e ironico.
“Lavoro per lui da molto più tempo di te.” Replicò con calma ignorando il mio cattivo umore. “Una situazione del genere non si è mai verificata.”
“Certo che no.” Sbuffai. “Non siamo in una situazione normale, stiamo affrontando il problema finale.” Scimmiottai il tono di Jim.
“E comprendeva farsi arrestare?” non sapeva per certo cosa fosse successo, ma era la cosa più probabile –almeno era la versione su cui ci eravamo accordati.
“Io…” scossi la testa. “No, non lo so, Chop. James non mi mette al corrente di tutto.”
Chop rimase in silenzio per un lungo istante, valutando quanto fossi realmente di malumore.
“Tu come stai?” si decise a chiedermi, anche se tentennando. Di tutte le persone che conoscevo era l’unico sinceramente preoccupato per me.
“Sto benissimo.” Peccato che io non volevo assolutamente parlare di ciò che stavo passando.
“Sai che intendo…”
“Sto bene. Un’altra parola e ti sparo, giuro.”
La verità è che non stavo affatto bene.
“Non stai bene.” Insistette lui. “Sei irascibile –più del solito-, sei assolutamente deconcentrato, sei preoccupato.”
“Chop ho la pistola con me.” Lo minacciai aggiungendoci un’occhiataccia.
Lui mi guardò, ma non cedette la sua posizione, aspettando pazientemente una risposta.
Magari con Chop potevo parlarne. Magari dopo mi sarei sentito meglio.
“Che faccio se non torna?” chiesi semplicemente guardando fuori dal finestrino. Non sarei riuscito a dire altro guardando Chop e quella sua stupida faccia piena di comprensione. “Insomma!” sbottai subito dopo infuriato.”Se non torna tu ti trovi qualcun altro a cui fare l’autista e la tua vita continua come prima, Debbie ruberà come al solito, ma io?” Io non sarei mai riuscito a tornare al mio status quo di semplice mercenario.
Ironica la vita, vero?
Se solo allora avessi saputo quanto poco tempo avrei avuto per darmi una risposta, le cose sarebbero andate differentemente.
“E’ così importante per te?”
“E’ tutto.”
Oramai Jim era diventato qualcosa che avevo costantemente sotto pelle, una parte integrante del mio essere. E la lontananza mi stava letteralmente facendo uscire di testa.
Chop non aggiunse altro e la conversazione morì lì. Era stato già abbastanza imbarazzante.
Sentimenti!
Chi diavolo ha bisogno di sentimenti?
L’esempio più calzante per far capire come stavo è dire che iniziavano a mancarmi le nostre partite a scacchi. Ero entrato in uno stato senza pace, ammetto che nei momenti liberi sembravo un povero idiota.
Quando poi Jim tornò per i primi momenti pensai di essermi fottuto definitivamente il cervello e avere le allucinazioni.
Prima che potesse dire qualsiasi cosa, gli andai incontro e gli strappai un bacio.
Accertatomi che era davvero lì, in carne ed ossa, tutto tornò al suo posto, secondo lo schema, compresa la mia sanità mentale.
Lo spinsi contro il muro, ma fui bloccato dal gemito di dolore che ebbi in risposta da parte sua.
“Okay, non posso essere stato io.” Commentai semplicemente allettando la presa sulle sue braccia.
“Non sei stato tu.” Confermò lui
Senza pensarci due volte gli sollevai la maglietta e,beh, capii perché gli avevo fatto male. Era pieno di lividi, ematomi e tagli. Non ci voleva molto a capire che diavolo fosse successo.
"Erano parte del piano anche questi?" sbottai poco gentilmente. Si, forse avrei dovuto usare un po' più di tatto, ma non ci pensai nemmeno.
"Si, direi di si." commentò Jim neutro. "Avevo messo in conto che potessero malmenarmi per avere delle informazioni."
Per esperienza personale so che essere davvero malmenati non è mai come averlo messo in conto. Quando ti picchiano fa male sul serio.
"Le hanno avute?" chiesi atono e cauto.
"Ovvio che no, Sebastian!" esclamò lui quasi offeso. Si allontanò da me risistemandosi la maglia e si avviò verso il bagno. "Ho tenuto la bocca ben chiusa e a parlare sono stati loro. Esattamente come voleva il mio piano. Ho bisogno di un bagno caldo."
"Già il tuo geniale piano." esclamai ironico. "Quello di cui non mi hai detto nemmeno una parola!" aggiunsi piuttosto frustrato. Afferrai Jim per le spalle e gli diedi una bella scrollata. "Hai idea di cosa è successo questa fottuta settimana perché tu non mi hai detto che cosa diavolo avevi in mente?" avevo iniziato ad urlare senza volerlo. Non avevo passato delle buone giornate e si vedeva. "Chop si è preoccupato, a malapena sono riuscito a concludere i contratti che c'erano da concludere, ho dovuto fare di testa mia con la famiglia Brook. Tutto questo senza neanche sapere se saresti tornato!" lo lasciai andare, spintonandolo verso il muro. "Non è che funziona così negli affari."
 "Sei così arrabbiato." ridacchiò Jim nascondendo la smorfia di dolore. "Però mi sembra che le cose siano andate per il meglio, no? Hai fatto tutto il lavoro che c'era da fare senza combinare casini; possiamo ritenerci soddisfatti."
"Fottiti." ringhiai concludendo lì quella discussione e chiudendomi in camera. Ci mancava solo che mi mettessi a fare a pugni con Jim perché mi ero preoccupato per lui.
Mi chiesi se Jim si fosse già accorto del mio cambiamento; per quanto ne potevo sapere poteva aver capito che qualcosa era cambiato dal mio odore. Non mi avrebbe stupito.
Alla fine, ubbidiente come un cagnolino, lo raggiunsi in bagno dove era già ammollo nella vasca. Io ho sempre preferito la doccia, anche per forza dell'abitudine, mentre Jim adorava rimanere immerso nell'acqua calda. Fidatevi, alcuni dei suoi peggiori piani criminali sono usciti fuori durante un bel bagno.
 "Che informazioni ti servivano?" gli chiesi finalmente appoggiandomi allo stipite della porta. "Cosa potevi avere solo entrando nell'accampamento nemico?"
"Allora usi il cervello, di tanto in tanto." commentò Jim per niente soddisfatto. "Avevo bisogno di fare una chiacchierata con il caro Mycroft. In realtà direi che l'ho ricattato: con la promessa di informazioni mi ha raccontato la vita del fratellino."
Ovvio.
Jim non si sarebbe mai fatto ridurre in quel modo se non ci fosse stato di mezzo Sherlock Holmes.
"E' stata interessante, almeno?" cercai di non sembrare mortalmente annoiato.
"Oh si." Jim ridacchiò in un modo che mi fece venire i brividi.
"Almeno adesso abbiamo tutto quello che ci serve per la soluzione al problema finale."
Eravamo pronti, quindi. Non ne ero minimamente felice. C'era qualcosa in quel piano che non aveva alcun senso, era troppo pericoloso e sottile per i miei gusti. Ma chi ero per oppormi?
"Quanto hai pagato la famiglia Brook?" mi chiese poi, serio. Quando gli dissi la cifra esatta e anche dell'omicidio, storse il naso. "Se lasciassi a te gli affari, andremmo in bancarotta nel giro di un mese, forse due se ti impegni con le uccisioni."
"Sono un cecchino, non un contabile." Mi difesi malamente, Jim fece un versetto e lasciò cadere il discorso in quel modo.
Potevo vedere alcuni segni, più chiari e quindi più leggeri, anche sulla parte del petto non nascosto dall'acqua e dalla quantità esagerata di schiuma. Jim aveva una pessima cera, ma il mio riflesso nello specchio non se la passava meglio. Avevo l'aria distrutta e trascurata, accentuata dallo strato leggero di barba che iniziava a coprirmi le guance e il mento. Decisi che l'avrei tagliata la mattina dopo. In esercito non avevo scelta se non essere pulito e presentabile e mi ero abituato in parte a quell'immagine, almeno per il viso -i capelli invece li avevo fatti ricrescere subito.
"Sono deluso." commentai ignorando il mio riflesso. "Pensavo che un uomo come Mycroft non vendesse il suo fratellino."
"Perché non guardi le cosa dal punto di vista giusto." Jim chiuse gli occhi e reclinò indietro la testa rimanendo a mollo in quello stato di torpore. "Prima di essere un fratello Mycroft è un funzionario del governo. Non giudicarlo: tu hai ucciso per lo stesso paese."
"Si, è vero."mi strinsi nelle spalle. "Ma erano perfetti sconosciuti."
"Ma hai creduto in quella causa per cui lo facevi." ribatté Jim più monocorde del solito. "Si, Sebastian, so che mi hai mentito sul perché sei entrato nell'esercito. Credo sia più facile per te scordarti di come eri un tempo, e a me non importa, onestamente." buon caro, vecchio e menefreghista Jim. "Ripetiti qualsiasi cosa che ti aiuti a dormire la notte. Chissà dove sei cambiato così radicalmente, dove la mela è diventata marcia. Forse dovrei studiarti più a fondo e venire di meno a letto con te."
"No, rimaniamo che non mi studi e vieni a letto con me." era passato troppo tempo perché potessi scompormi di fronte ad una analisi del genere. Si, un tempo ero un bravo ragazzo che era entrato nell'esercito di sua maestà perché aveva dei valori -valori trasmessigli da quell'adorabile personcina che si ritrova come padre- e perché voleva difendere il suo paese. Un tempo. Prima che iniziasse a piacermi la guerra.
Jim rise divertito."D'accordo, d'accordo, come vuoi tu. Resta il fatto che Mycroft ha un dovere verso il suo paese e se per proteggerlo deve mettere a rischio suo fratello è giusto che lo faccia. E' una questione di priorità."
"Non gli è servito a molto, però." osservai pensieroso. "Tu non gli hai dato alcuna informazione."
"E a chi importa? Mycroft ci ha provato, ha fallito, ma non avendo datomi informazioni governative, bensì personali, nessuno si lamenterà."
Jim era un fottuto genio; se fosse stato più disonesto sarebbe stato un perfetto avvocato.
"Dobbiamo fare qualcosa per quei lividi e per il dolore." annunciai deciso.
"Giorno più giorno meno. Alcuni hanno già cinque giorni e oramai mi sono abituato al dolore."
"Jim." sbuffai annoiato. Mi avvicinai alla vasca e lo tirai su di peso –certe persone puoi prenderle solo con le cattive-, e anche se lui protestò vivamente e cercò di prendermi a calci, riuscì ad avvolgerlo in un asciugamano. Poteva essere più furbo di me, ma non più forte, poco ma sicuro. Insomma, era magro come un filo d'erba! Una folata di vento potrebbe portarselo via. "Hai dormito questi ultimi giorni?"
"Il sonno è per i deboli." commento Jim apatico, asciugandosi più o meno con lo stesso entusiasmo. "Tu invece sembri non dormire da...quanti sono, due o tre giorni?" mi piazzò una mano sulla faccia e controllò lo stato delle mie occhiaie.
"Non ne ho idea." ammisi con un sospiro sconsolato. Ero abituato a stare per così tanto tempo sveglio, dopotutto. "Per te stare dietro a tutto è facile, ma io non ho la tua mente, è stata una fottutissima impresa titanica."
"L'impresa fallirebbe in una settimana." borbottò Jim, come se non lo potessi sentire. Quando gli lanciai un'occhiata torva mi guardò come se fossi io quello pazzo.
"Hai bisogno di riposarti. Vado a prenderti qualcosa di comodo da metterti addosso, tu finisci di asciugarti."
"Da quando sei il mio dottore?"
"Da quando nella tua stupida mente mi hai sovrapposto al dottor Watson.” Gli risposi con estrema soddisfazione.
Io di certo non me lo ero scordato, e non avrei permesso che Jim lo facesse.
Si vestì ubbidiente, con assoluta calma, mentre io constatavo che la mia brillante idea di tirarlo fuori dalla vasca con la forza aveva avuto come conseguenza l’allagamento del pavimento.
“Andrò a riposarmi, ma solo perché credo al mens sana in corpore sano.” Precisò allontanandosi a passo di lumaca.
“No, ci andrai perché sei un essere umano e devi dormire. Soprattutto perché ti hanno pestato a dovere.” Ribattei spingendolo fuori dal bagno e guidandolo fino in camera.
Jim si lasciò cadere a peso morto sul suo letto, affondando la faccia nel cuscino.
“Sono stato torturato quando ero nell’esercito.” dissi con lo stesso entusiasmo con cui avrei fatto l’elenco di cosa avevo comprato al supermercato.  “E so che non è una bella esperienza.”
“Eppure ero convinto che ti piacesse essere ammanettato, legato e cose del genere.”
“Solo se finiscono con un bell’orgasmo.” Replicai neutro.
Jim ridacchiò, ma era stanco anche per quello.
La cosa davvero efficace della tortura è che non è solo fisica, ma soprattutto mentale.
Il suo obiettivo è ricavare informazioni, non uccidere l’ostaggio. Il dolore deve essere proporzionato alla soglia di dolore del soggetto in modo da indurlo a parlare. Bisogna fare in modo che il soggetto sia disposto a tutto pur di far finire quel costante dolore, rimanendo abbastanza lucido da vuotare il sacco.
“Davvero sei stato torturato?” mi chiese dopo un po’ Jim voltando la testa di lato per guardami. “E cosa ti hanno fatto?”
“Mi hai visto nudo, hai visto le cicatrici.” Commentai atono sedendomi sul bordo del letto accanto a lui. “Non ti dirò nulla, solo che tu al confronto sei un dilettante.” Sapevo che Jim avrebbe voluto sapere ogni  dettaglio, ma avrebbe dovuto torturarmi di nuovo per farmi parlare.
“No stuzzicarmi,Sebastian, potrebbe bastarmi per decidere di farti rimpiangere il giorno che sei nato.”
Ed essendo vero, rimasi zitto e gli passai la mano tra i capelli in un gesto affettuoso.
“Ti lascio riposare.” Mi chinai per posargli un bacio sulla nuca. “La privazione di sonno può avere effetti disastrosi sulla mente e sul corpo, non vorrei che ti rendesse normale e noioso.”
Jim borbottò qualcosa, ma con la testa affondata nel cuscino non riuscì a capire una sola parola.
“Potrei ucciderti solo per essere così amorevole.” Sentenziò poi più chiaramente. E chi gli avrebbe dato torto se l’avesse fatto.
Lasciai la stanza deciso a concedermi una nottata di sonno a mia volta.
Peccato che quella notte, dopo anni, ebbi un incubo.
Mi svegliai nel cuore della notte, calmo come se non fosse successo nulla, calmo come avevo imparato a rimanere in ogni situazione.
L’incubo era fatto dei ricordi di quando ero stato torturato, solo che a torturarmi era Jim. Non che il collegamento mentale mi sorprendesse, siamo onesti.
Rimasi immobile nel letto, le coperte finite chissà dove mentre mi agitavo nel sonno, mentre riprendevo il controllo della mia mente e le sensazioni dell’incubo scivolavano via. Razionalmente mi convinsi che le mie dita non erano spezzate, che nessun centimetro di carne era martorizzato, tagliato o raschiato. Aspettai che mi scomparisse il finto sapore di sangue dalla bocca prima di alzarmi.
Andai in bagno per sciacquarmi il viso e se possibile il mio riflesso era in uno stato ancora più pietoso: il viso era gonfio di sonno e negli occhi avevo ancora un barlume di spavento.
Fidatevi, so cosa si prova a sentire il coltello rigirato nella piaga. Letteralmente.
E so cosa si prova a sentirsi gettare sale su una ferita. Sempre letteralmente.
Quel momento di debolezza fu un sollievo. Significava che mi importava ancora. Che avevo ancora una minima parte umana dentro di me.
Irene aveva torto, non ero assolutamente come Jim.
E detto tra di noi, non volevo esserlo.

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Capitolo 8
*** The Reichenbach Fall ***


VII. THE REICHENBACH FALL




Ultimo capitolo di questa storia.
E l’unica cosa a cui riesco a pensare è come finisce.
Vorrei finire qui, sprecare un paio di righe per insultare Jim e dimenticarmi per sempre di questa storia.
Come se poi potessi farlo veramente.
Ho un dovere verso Jim, l’ultimo dannatissimo dovere. Sono l’unico che sa la verità e non posso starmene zitto. Lui non vorrebbe che il mondo lo ricordasse come Richard Brook.
Ci si rivoltò tutto contro. Tutto.
Ah, ma non dovrei essere così drammatico. Dovrei portare la narrazione al sui(o) climax gradualmente, senza commenti ridicolamente tristi.
Ma non sono un bravo narratore, non di storie almeno.
Dovrei concentrarmi sullo stato di euforia in cui passammo quelle settimane. Sembravamo ubriachi, ma eravamo comunque abbastanza concentrati da non perdere d’occhio la serietà della faccenda. Solo che ci sembrava tutto così semplice, tutto così ben predisposto, ed eravamo così vanitosamente fieri di noi.
Alternavamo ore di lavoro cervellotico e organizzazione, per finire a fare l’amore dove capitava e poi tornare a lavoro.
Siamo onesti, era la migliore vita che potessi chiedere.
La prima parte del piano comprendeva entrare nella Torre di Londra e rubare i gioielli della corona.
L’avrete sicuramente letto sui giornali: non capita tutti i giorni che qualcuno riesca nell’impresa.
Ma i giornali non vi hanno raccontano di come il piano è stato preparato, mentre io posso farlo.
Jim mi aveva mandato ad assicurarmi che l’accordo con la famiglia Brook fosse ancora sicuro e quando tornai a casa lo trovai intento a studiare un grosso progetto su carta blu aperto sul pavimento del soggiorno.
“Cos’è?”
“I progetti della Torre di Londra.” rispose Jim rimanendo sdraiato sul pavimento, o meglio, su metà del progetto studiando l’altra metà. “Se tu dovessi rubare i gioielli della corona da dove entreresti?”
Mi sedetti sul pavimento, dando un occhiata al progetto a mia volta. I sistemi di sicurezza erano impressionanti, ma questo dovreste saperlo da voi. “Onestamente? Ucciderei tutti e poi entrerei.”
“Non è una scelta di classe.” Si lamentò Jim. “Ho chiesto anche a Debbie cosa avrebbe fatto lei.”
“Fammi indovinare gliel’hai chiesto quando ti ha portato i progetti.”
“Naturalmente, ma rimango della mia opinione: il modo migliore per entrare nella Torre di Londra è dalla porta principale.”
“Sei serio?” scrutai Jim per un istante. “Si, sei serio…” era assolutamente ridicolo. “E come fai a rubare i gioielli della corona se entri dalla porta principale?”
“Oh, ma rubare i gioielli della corona è solo un diversivo.” Commentò Jim. “Visto che ti lamenti sempre di come non ti dica i miei piani questa volta ti dirò come stanno realmente le cose.”
“Grazie, vostra maestà.” Commentai ironico.
“Ho intenzione di farmi arrestare questa volta.”
Fissai Jim, lui fissò me. Sospirai pesantemente mentre mi stendevo accanto a Jim. “Questo è il piano più folle che abbia mai sentito.”
“Solo perché sei stupido.” Replicò Jim freddamente. “Sai già che ho intenzione di distruggere la fama di Sherlock e più in alto salirà più dolorosa sarà la caduta. Immagina quanto famoso diventerà se porterà all’arresto una grandiosa mente criminale.”
Fu in quel momento che iniziai ad avere una bruttissima sensazione riguardo al quadro generale della situazione.
“Sei appena stato trattenuto da Myrcoft e già vuoi farti arrestare? Non ha senso.” Protestai confuso. “E tutta la faccenda di Richard Brook?”
“Ah, qui arriva il bello.” Jim ridacchiò “Quando il mondo sarà convinto che ad essere stato arrestato è stato James Moriarty, ecco che si scopre che James Moriarty non esiste! In realtà è Richard Brook, attore pagato da Sherlock Holmes il quale –ed è ancora più bello- non è il grande genio che tutti pensano, ma un bella fregatura!”
Rimasi in silenzio ad ascoltare, indeciso su cosa fare: farlo ricoverare in un istituto psichiatrico o dargli retta.
“Versione che sarà resa pubblica da una intervista che ho intenzione di rilasciare appena tornato in libertà. Le informazioni che mi ha dato Mycroft saranno il fondo di verità che farà reggere in piedi tutta la storia. Più qualche tocco di classe, che terrò per me.”
“Per caso Richard era nella scuola di Sherlock o roba simile?”
“Sono felice che tu faccia certe domande, ma avresti dovute farle prima Sebastian, ora non hanno importanza.” Mi rimproverò come se avessi preso un brutto voto in un compito in classe.
“Altra domanda.” Ci provai di nuovo. “Come pensi di uscire di prigione? Insomma per essere colpevole sei colpevole.”
“L’unica pecca del sistema  giuridico…” iniziò a giocherellare con le mie dita in un gesto annoiato “ è che la giuria è composta da elementi umani e, come tali, ricattabili.”
“Ah.” Valutai quell’affermazione per un momento. “Ma nessuno sa i nomi dei giurati prima del processo, no?”
“Fidati di me, Sebastian. Andrà tutto bene.”
“Io mi fido di te.” Ed era in parte verso e in parte era la più grande bugia che avessi detto in vita mia. Avrei dato la mia vita per Jim, ma pentendomene fino all’ultimo istante.
Due giorni di lavoro dopo, Jim era pronto per il suo soggiorno dietro le sbarre e mi diede le ultime istruzioni.
“Dovresti richiamare un paio di tuoi colleghi.” Fu la prima cosa che mi disse quel giorno; eravamo seduti per la colazione e non aveva aperto bocca prima di quel momento.
“Dopo l’ultima avventura non credo saranno ben disposti a lavorare di nuovo per te.” Lo avvertì passandogli lo zucchero.
“Questa volta è meno pericoloso.” Commentò atono. “Sarò convincente, tu limitati a chiamarli.”
“Se ti ritrovi con una pallottola in mezzo agli occhi non dire che non ti avevo avvertito però.”
Essendo lui quello che da lì a poche ore sarebbe stato arrestato sarebbe stato logico che fosse lui quello agitato, invece ero io quello nervoso, e lo ero abbastanza per entrambi, ma non lo diedi a vedere. Beati i miei nervi di ferro.
“Non succederà perché non è mai successo.” Replicò con assoluta calma e tornò di nuovo in silenzio.
Normalmente non mi avrebbe dato fastidio, ma sapendo cosa stava per succedere mi venne voglia di  dargli un pugno in faccia. La verità è che avevo bisogno di essere rassicurato che il piano sarebbe funzionato al cento per cento.
Credo che passò almeno una buona ora prima che Jim fosse pronto con la sua tenuta da turista e qualcosa di molto simile ad una faccia da bravo ragazzo.
“Su Sebastian, accompagnami alla Torre di Londra. E’ tempo di attirare l’attenzione di Sherlock.”
“Io non ci entro nella Torre di Londra.” Annunciai. “Soprattutto con te che vuoi farti arrestare.” A quel punto mi resi conto di quanto fosse ironico quel momento: il più grande criminale del XXI secolo stava per farsi arrestare nel luogo che aveva ospitato i più grandi criminali dei secoli d’oro di questo paese.
“Come vuoi.” Acconsentì Jim. “Infondo mi servi qui per gestire gli affari al posto mio; meglio non rischiare.”
Lo seguì fuori dall’appartamento abbastanza controvoglia.
“Ammettilo, sei masochista.” Gli borbottai dietro perché quella era l’unica spiegazione possibile. Una persona normale non si farebbe arrestare, figuriamoci una con centinaia di scheletri nell’armadio.
“No, sono solo consapevole che bisogna rischiare qualcosa per avere tutto il premio.”
Giocammo ai turisti girando per Londra immischiati nella folla internazionale, prendendoci tutto il tempo per sembrare assolutamente banali. E beh ci riuscimmo parecchio bene, soprattutto perché presi in giro Jim tutto il tempo per quel suo stupido cappellino.
“E’ ora di andare in scena.” Annunciò quando fummo nei pressi della Torre; io ero ancora deciso a non entrare.
Iniziavo a chiedermi se sarei riuscito a farlo desistere da quella cretinata –perché per me lo era-, ma Jim era troppo sicuro di sé.
“Mi sembra un suicidio.” Ribattei poco convinto, ma dovevo provare. Ah, se solo avessi saputo che un suicidio avrebbe avuto ben altro aspetto…
Jim mi prese per mano, un gesto così poco da lui che i miei sensi mi misero in allarme. “Dimmi quando mai un mio piano è fallito.”
“Elenco cronologico?” chiesi ironico. “C’è il caso Saffork, il caso del vello d’oro, la rapina a casa Statehouse…”
Non credete che Jim fosse infallibile: sulla carta il piano poteva esserlo, ma molte volte la componente umana aveva mandato all’aria mesi di lavoro. Nessuna sorpresa se Jim odiava la gente.
“Taci, Sebastian.” Mi tappò la bocca con la mano libera e se non fossi stato zitto probabilmente mi avrebbe soffocato, o roba del genere. Fargli notare i suoi fallimenti non è mai una bella idea. “Sono incidenti non dipendenti da me.”
“Sarai in galera, nulla dipenderà da te!” gli feci notare poco gentilmente.
“Per questo affido tutto a te, oramai sai cavartela.”
“In realtà mi vuoi morto e mi metti in queste situazioni per farmi uscire di testa e ammazzarmi.” Mi lamentai e lui mi circondò il collo con le braccia. Non ero assolutamente abituato a quella vicinanza in pubblico, fu quasi imbarazzante.
“Io non ti voglio morto, Sebastian.” Affermò quasi stupito dalle mie parole. “Ma se non mi tiri fuori di galera sarai molto, molto morto, stanne certo.”
Mi baciò un’ultima volta prima di entrare nella Torre. Credetemi, credo che oramai non stesse più nella pelle.
Restai nei paraggi, aspettando l’arrivo della polizia perché ammetto che non mi sarei perso la scena per nulla al mondo. Ci fu una gran confusione, tra forze dell’ordine e curiosi che si erano avvicinati.
Io ero preoccupato, ma almeno ero pronto alla lontananza. Per quanto l’idea di Jim in una cella non mi piacesse per niente.
Avvertì Chop del piano di Jim e concordammo entrambi che oramai aveva perso il lume della ragione.
Iniziai a pensare che Chop fosse il mio unico vero amico. Che cosa triste.
 
 
 

Non andai al processo e non ci sarei andato nemmeno se mi avesse pagato per farlo. Seguì la vicenda sui giornali, come qualsiasi altra persona. Il mio unico coinvolgimento fu quello di chiamare un avvocato, scegliere un vestito per Jim –categoricamente chiaro sempre per la metafora degli scacchi- e fare in modo che il sistema telematico dell’albergo dei giurati fosse accessibile.
Fu un coinvolgimento minimo e fu meglio così.
Quando Jim tornò un uomo libero procedemmo con la nuova fase del piano. Vi risparmio la riunione con i miei colleghi, diciamo che facendomi due rapidi conti arrivai alla conclusione che eravamo sull’orlo della bancarotta, ma se il risultato era diffamare Sherlock, il prezzo non era un problema.
Più divertente fu il giorno successivo quando mi ritrovai tutta la mia roba inscatolata e catalogata nel soggiorno.
“Che diamine vuol dire?” chiesi entrando nello studio di Jim senza bussare, più arrabbiato che sorpreso –oramai sorprendermi mi riusciva difficile.
“Vuol dire che ti trasferisci. Ho bisogno che tu ti unisca agli altri nel tenere sotto controllo Sherlock e il dottore. Ti ho trovato un appartamento a Baker Street di fronte al 221b.”
Scrollai le spalle e a accettai quel lavoro come avevo accettato tutti gli altri: annuendo da bravo soldatino.
“Ci saranno telecamere nell’appartamento di Sherlock, tu dovrai controllare e farmi rapporto.”
“Un Grande Fratello con Sherlock Holmes e John Watson come unici concorrenti. Questa è una cattiveria nei miei confronti.”
“Non gira tutto intorno a te, Sebastian.” Sbuffò Jim porgendomi alcuni fogli. “Sono i documenti per l’affitto. La padrona di casa sa già del tuo arrivo, ovviamente non le ho detto il tuo vero nome.”
Diedi una rapida occhiata ai documenti . “Che nome hai scelto?”
“Alexander Picks. Tienilo a mente, ti servirà ancora.” Mi avvertì Jim, ma la sua attenzione era di nuovo rivolta ad un elenco di nomi scritti a mano –sempre per quel gusto dell’antico tutto suo-
“Immagino che non saprò perché.” Commentai atono. “Tu che farai?”
“Anche io lascerò Conduit Street.”
Fu allora che capii che tutto sarebbe andato storto. Non si abbandona il quartier generale in un momento delicato: lo si difende. E il capitano non lascia la nave prima che affondi.
“E dove andrai?”
“Ti pare che Richard Brook possa abitare in una casa simile?” mi domandò retorico. “Ho una giornalista a cui vendere la mia storia, ci vuole tempo.”
“Quindi…” circondai Jim con le braccia e posai il mento sulla sua spalla. “Entrambi lasciamo l’appartamento….” Gli morsi l’orecchio. “Io proporrei un’ultima visita alla camera da letto.”
Jim sbuffò .”Sebastian, devo lavorare.” Protestò piuttosto deciso.
“Dai.” Insistetti posandogli una serie di baci sul collo.
“Come fai a pensare al sesso quando c’è un lavoro importante in ballo?”
“Perché sono un essere umano di sesso maschile e perché adoro fare sesso con te.”
Jim scosse la testa, ma non disse nulla. Vinsi io e la mia partenza fu ritardata di qualche ora.
 
 

 
L’appartamento assomigliava paurosamente a quello che avevo prima di conoscere Jim; il deja-vu non fu gradito.
Di sicuro non aveva l’aspetto di una sistemazione temporanea per un criminale.
Ametto che tenere sotto controllo Sherlock e John non fu più noioso che stare appostato per ore all’aperto: almeno potevo mangiare, bere, leggere. Fare qualsiasi cosa.
Fatemi dire che il rapporto tra Sherlock e John non assomigliava per niente a quello tra me e Jim.
La vita di Sherlock e John era tranquilla, lineare, logica, priva di qualsiasi serata passata a decidere chi far fuori. Notai tra di loro, però, lo stesso rapporto di simbiosi, lo stesso che Irene mi aveva fatto notare, e notai anche che John riusciva a mantenere più indipendenza di me. Buon per lui.
Sherlock invece era la fotocopia di Jim: nelle piccole cose, come si rapportavano alla gente, come consideravano gli altri. Anche alcuni processi logici erano uguali, ma mi vidi bene dal dirlo a Jim.
Per un paio di giorni non ebbi notizie da Jim, poi si prese la briga di venire a trovarmi.
Andai ad aprire con la pistola a portata di mano –insomma nessuno sapevo che ero lì e gli altri cecchini stavano buoni nelle loro postazioni- e questo mi valse una bella strigliata.
“Alexander Picks non usa la pistola.”  Jim si rinchiuse la porta dietro di sé. “Vedi di non dare nell’occhio.”
“Presumo che si limiti a spiare la coppietta della casa di fronte.” Ironizzai poco divertito. “Sono di una noia mortale quei due.”
“Che ti aspettavi.” Jim si lasciò cadere sul piccolo divano in soggiorno. “Un altro paio di giorni e movimenterò le cose.”
“Come sta andando con la giornalista?”
“Mi crede.”
Ed era tutto ciò di cui avevamo bisogno.
Restò anche la notte, ma non dormimmo affatto.
“Che hai raccontato alla giornalista? Qual è la storia di Richard?” gli chiesi prima che si potesse addormentare con la testa poggiata sul mio petto.
“Non ti interessa realmente,” borbottò poco gentilmente.
“Si, invece.” Protestai scostandogli un ciuffo di capelli dalla fronte. “Per esempio: che lavoro fa?”
“Dovrebbe essere un attore, ma non avendo avuto grande fortuna si limita a narrare storie per bambini per una rete televisiva. C’è una collezione di DVD che lo conferma.”
“Aspetta, ti sei messo a narrare storie per bambini?” gli chiesi confuso. “Facendoti riprendere?”
“Si, Sebastian.” Sospirò pesantemente.  “Ho dovuto farlo, così da non lasciare dubbi.”
Decisi che eravamo rimasti senza un soldo.
“E per il resto? Com’è la sua vita?”
“Ha una vita semplice, molto basilare, non volevo certo che fosse troppo appariscente.” Sospirò. “Tutto famiglia e lavoro.”
“E a che punto arriva Sherlock Holmes?”
“Oh, arriva perché le favole non pagano in questo mondo, e tutti hanno bisogno di soldi.”
Le motivazioni umane sono poche e basilari: amore, vendetta, soldi.
In realtà l’esistenza è un libro giallo, altro che romanzetti alla Nicholas Sparks. Leggetevi Agatha Christie o Conan Doyle e avrete il succo della vita.
“E pensare che Sherlock non ha nemmeno i soldi per pagare l’affitto da solo.” Ridacchiai mentre Jim si sdraiava sopra di me.
“Sei pregato di tenere quella boccaccia chiusa, Sebastian.”
“Obbligami.”
Si okay, l’orgasmo successivo mi lasciò senza fiato e mi fece passare qualsiasi voglia di spifferare il piano di Jim al mondo.
Nelle serate giuste, Jim era il migliore amante del mondo; peccato che fossero davvero poche.
Continuammo la discussione non appena ripresi fiato.
“E dimmi un po’, Richard e Alexander si conoscono?”
Jim mi sorrise sornione. “Ovvio, hanno una relazione stabile da poco più di un anno. Una felice, equilibrata e classica storia d’amore.”
Invece di farmi sentire bene, quell’affermazione mi mandò su tutte le furie. Mi faceva male perché quello che io stavo vivendo e provando per lui era solo una ottima copertura. Perché io quello stronzo lo amavo sul serio.
Non risposi subito, smaltendo la prima ondata di rabbia che comunque svanì quasi subito, visto che oramai ci avevo fatto il callo.
“Potremmo farlo.” Commentai. Lui voltò la testa verso di me e io la mia verso di lui. “Mollare tutto e avere una felice, equilibrata e classica storia d’amore.”
“Non essere ridicolo.” Jim ridacchiò e allungò una mano per accarezzarmi il viso. “Sarebbe una vita patetica. Io e te siamo fatti per uccidere, per essere criminali, non per giocare alle colombelle. Smettila di essere così romantico, Sebastian.”
Era vero. “E allora perché da più di un anno andiamo a letto insieme?”
“Perché, amore mio, tu mi appartieni.” Mi sfottè Jim facendo scivolare la mano sul mio petto, graffiandomi con le unghie. “Tutti gli uomini hanno un prezzo: c’è chi vuole soldi, chi vuole fama, chi vuole potere. Dagli ciò che vogliono e ti saranno fedeli. Ma tu…” si sporse per baciarmi. “Tu avevi già tutto questo, o avresti potuto ottenerlo, non saresti mai restato. Capire quel’era il tuo punto debole per far leva su di esso non è stato così difficile visto che ci hai messo davvero poco ad infilarmi la lingua in bocca.”
“Ehi, tu hai ricambiato, non sei stato proprio un santo.” Protestai.
“L’ho fatto, verissimo.” Ridacchiò divertito dalla mia reazione indispettita. “E se non l’avessi fatto, non ti avrei potuto controllare momento per momento perché saresti scappato chissà dove. Ti ho dato così tanto potere… se non ti controllassi perennemente potresti diventare una mina vagante pronta ad esplodermi in faccia.”
“Non mi controlli con il sesso.”
“Oh si invece!” cantilenò lui. “E la cosa divertente è che sei stato tu a darmene la possibilità.”
“Questo ti rende parecchio patetico, Jim.” Sbottai. “Perché ti sei messo ad usare il tuo corpo come qualsiasi puttana.”
Lo schiaffo me lo meritai tutto, lo ammetto.
Restammo in silenzio per un po’, guardandoci in cagnesco. Probabilmente l’ultima cosa di cui avevo bisogno in quel momento era insultare un compagno rompipalle.
“Ogni volta che ti lasci baciare e toccare è come se mi dicessi che sì, resterai con me. Ma ammetto che se tu non fossi stato un ottimo amante non sarebbe stato tutto così piacevole .”
“Ah beh, grazie.” Commentai mentre Jim si accoccolava a  me e poggiava di nuovo la testa sul mio petto. “Mi spieghi per quale ragione dovrei continuare a darti retta dopo questa scoperta?”
“Perché non sei solo dipendente dal pericolo, ma hai anche problemi relazionali. Cerchi sempre relazioni distruttive e degradanti. Ma non è colpa tua Sebastian, i padri sono sempre determinanti nella formazione del carattere di un individuo.”
“No Jim, non ti azzardare. Non mio padre. Mi hai umiliato abbastanza.”
“Mi hai paragonato ad una puttana.” Mi ricordò. “Un padre assente è già un problema, ma uno che torna e non ti reputa all’altezza delle sue aspettative è un grosso problema. Non sei mai stato abbastanza per lui, vero? Mai abbastanza intelligente, mai abbastanza coraggioso, mai abbastanza sicuro di te, mai abbastanza fiero, mai abbastanza abile. Nemmeno entrare nell’esercito gli ha fatto cambiare idea.”
“Jim basta.” Invece di essere minaccioso, sembrai un bambino che implorava pietà. “Puoi spezzarmi qualche altro osso, se vuoi.” Proposi ironico. Avrebbe fatto meno male.
“Aggiungiamo una madre concentrata solo sulla figlia e cosa abbiamo? Un ragazzo che si crogiola nella guerra e in relazioni effimere. E che si fa umiliare dal suo attuale amante dopo che hanno fatto sesso. Che storia tragicomica.” Jim sembrò fare le fusa mentre finiva di parlare. Si addormentò più soddisfatto per quell’ultimo discorso che per tutto il sesso che avevamo fatto.
Non che Jim avesse torto, sia chiaro. Mio padre era stato un bastardo. Ma io ero diventato migliore di quanto lui avesse mai potuto sperare. Ero stato debole, è vero, ma poi avevo scoperto quanto fosse gratificante uccidere.
Ma Jim aveva ragione anche sul controllo che aveva su di me. Ero stato ad ascoltarlo senza battere ciglio.
Oramai era comunque troppo tardi per cambiare le carte in tavola.
All’alba capii che non mi sarei addormentato, quindi lasciai riposare Jim e mi collegai con la nostra personale casa del Grande Fratello.
Sherlock si era appena svegliato e aveva preso il violino: fui contento perché anche il caro dottore avrebbe passato una pessima giornata per via del sui coinquilino. Eravamo così dannatamente speculari anche in quelle piccole cose che avrei voluto vomitare.
In realtà scoprì che le parole di Jim non mi avevano fatto così male come avevo inizialmente pensato; era come essere stato ferito in guerra e scoprire che la ferita non era mortale, ma che sarebbe stata solo un’altra grande cicatrice. Nel mio caso si trattò di buttare via un altro po’ di umanità.
Jim si svegliò per ora di pranzo dopo le sue ore di sonno da principessina reclamando a gran voce del cibo e io mi offrii volontario come cuoco del castello. Come sempre.
“Non sei arrabbiato con me, vero Sebastian?” mi chiese una volta uscito dalla doccia e vestito. Vestito alla Richard.
“No, non lo sono.” Ed era stranamente vero.
“Magnifico!” esclamò Jim con un grandissimo e altrettanto inquietante sorriso. “Voglio che tu capisca che affrontare i problemi rende più forti e io voglio che tu lo sia. Voglio sfruttare tutte le tue potenzialità.”
“Certo.” Concordai. “Tu vuoi solo il mio bene, James.”
“Sempre, Sebastian. Più di quanto voglia il mio.”
Pensai che stesse scherzando, ma diamine se mi sbagliavo: era assolutamente serio.
 
 

 
Jim lavorò sulla sua identità e come distruggere la fama di Sherlock. Io vidi tutto grande l’occhio del Grande Fratello.
Vidi il mondo di Sherlock Holmes sgretolarsi, inconsapevole che anche il mio mondo si stava sgretolando.
In realtà l’unica cosa che sapevo era che eliminare Sherlock Holmes avrebbe avuto delle conseguenze anche su Jim. Era come tagliare un arto ad una persona quando era estremamente necessario per salvargli la vita: la persona vive, ma perde pur sempre un arto.
Jim mi fece altre visite, evidentemente parte della copertura –riuscivo ad immaginarmi come lasciasse la giornalista da cui si era trasferito per sicurezza dicendogli che doveva vedersi con il suo Alexander-, ma soprattutto mi telefonò.
Non passò giorno in cui non mi tenne al telefono per parlare di assolutamente nulla. Parlava soprattutto lui, ad essere sincero. A me importava più ascoltare. A me importava di sentire la sua voce. E forse perché potevo avere tutte le reazioni del mondo senza che lui me le leggesse in faccia.
A me importava che lui avesse avuto il pensiero di chiamarmi, che aveva rubato tempo alla sua monotona giornata per me.
Ogni piccolo privilegio che ottenevo per me valeva oro.
Il giorno della fine dei giochi mi venne a prendere personalmente.
Ah, non mi scorderò mai quel momento, quando finalmente alla porta non trovai Richard, ma il Jim di sempre.
Il mio Jim, vestito di tutto punto per l’occasione, i capelli pettinati all’indietro, una luce di cruda determinazione negli occhi.
“Chop sta aspettando in strada. Prendi il fucile, Sebastian.”
Feci come mi era stato ordinato e ci avviammo. La tensione rese la macchina claustrofobica e Chop fu più silenzioso del solito. Non che prima di un lavoro fossimo dei simpaticoni, ma c’era qualcosa di differente, e sapevo benissimo che era Jim. Era così raro che lui fosse coinvolto in prima persona che cambiava tutte le carte in tavola.
Stranamente Jim scelse con me la postazione, cosa che di solito mi lasciava fare senza problemi, e scartò anche tre delle mie proposte.
“Il dottore ha lasciato l’edificio, ma tornerà.” Mi avvertì sfilando davanti ad una serie di finestra e affacciandosi ad ognuna per controllare la visuale.
“Devo tenerlo sotto tiro anche questa volta?” commentai annoiato. Potevo solo seguirlo trascinandomi dietro la custodia del fucile. “Ho un deja-vu.”
“Non sei spiritoso, Sebastian.” Mi rimproverò non totalmente attento a me, la testa di Jim era già altrove. “Questa volta sarà più divertente.”
“Ah e come mai?” solo all’ennesima finestra la visuale cambiò abbastanza da permettermi di riconoscere la struttura dall’altro lato della strada. “Ma non è l’ospedale di Saint Bart’s?”
“Lo è.” Confermò Jim. “Sherlock si è nascosto lì.”
“Scelta di un uomo senza grandi opzioni.” Fu il mio commento, ma me ne pentì immediatamente.
“No, è la scelta di un uomo di scienza che ha bisogno di un laboratorio. L’avrei fatto anche io, assolutamente prevedibile.”
Non aggiunsi altro e salimmo al piano superiore dell’edificio, per quanto a mio avviso fosse inutile per un colpo a livello stradale. Jim non volle sentire storie.
“Qui.” Mi disse semplicemente indicando la finestra scelta, e io ubbidì iniziando a montare il fucile, bloccandomi quasi subito.
“Jim.” Lo chiamai.
“Si?”
“Devi proprio rimanere qui?” gli chiesi sgarbatamente.
“Non vedo quale sia il problema.” Replicò lui con tutta calma.
“Non ho bisogno della baby sitter.” Gli feci notare.
“Che c’è, non riesci a lavorare se qualcuno ti guarda?”
Alzai gli occhi al soffitto e non risposi, né finì di montare il fucile. Eravamo di nuovo in quella ridicola situazione di stallo. Avrei dovuto esserci abituato, ma non lo ero affatto.
Rimanemmo in silenzio e alla fine io mi accesi una sigaretta e mi misi comodamente seduto sulle scale, ignorando il cartello di divieto di fumo. Non era di certo il mio peggior crimine, quello.
Poco dopo Jim si unì a me, avendo evidentemente deciso che non c’era motivo di fare i bambinetti, sedendosi sul mio stesso scalino. Non aprì bocca per un altro minuto buono, si limitò a guardare fisso di fronte a sé, mentre io guardavo lui. Nulla di nuovo direi.
“Questa volta il gioco è un po’ diverso.” Mi annunciò finalmente. “Non voglio che tu uccida subito il dottore, devi aspettare.”
Spensi la sigaretta sul marmo del gradino. “Cosa devo aspettare questa volta?”
Jim mosse le labbra in una specie di sorriso. “Che Sherlock Holmes si butti dal tetto dell’ospedale. Se non lo fa, uccidi il dottore.”
“Aspetta, aspetta.” Lo bloccai. “Perché Sherlock dovrebbe buttarsi dal tetto?”
“Perché io lo costringerò a farlo.” Fu l’atona risposta di Jim.
“L’hai fatto di nuovo!” urlai furioso alzandomi e tornando alle finestre. “Mi hai tenuto all’oscuro del tuo strafottutissimo piano!” era l’unica cosa in grado di mandarmi fuori di testa, essere così tagliato fuori dalla sua vita, dalle cose davvero importanti. “Sta volta avevi detto che mi avresti messo al corrente di tutto.” Sperai che l’edificio fosse vuoto, perché altrimenti avevo appena fottuto tutta l’operazione.
“Ho mentito.” Rispose lui impassibile. La cosa divertente era che sapevo che avevo informazioni che gli altri cecchini si sognavano di avere.
I nostri litigi erano sempre in quel modo: io esplodevo come una bomba e lui rimaneva impassibile come una lastra di granito.
“Io non ti capisco!” continuai. “Non hai problemi a venire a letto con me, ma ti strapperesti la lingua prima di dirmi che ti passa per la testa!”
“Sai benissimo perché vengo a letto con te.” Jim si alzò con un sospiro teatrale aggiustandosi le pieghe del vestito. “Ti dico solo ciò che è necessario, non devi sapere tutto il resto.”
“Ma io voglio sapere tutto il resto! Voglio sapere tutto!” era la prima volta che lo ammettevo, almeno con tutta la rabbia e il disagio che ne conseguiva. “Sono il tuo braccio destro, non il tuo cagnolino.”
“Su questo potrei ribattere.” Puntualizzò con leggerezza.
Fu a quel punto che lo afferrai per il bavero del cappotto e lo spintonai contro il muro, tra due delle finestre del corridoio. Non batté nemmeno ciglio.
“Non sono il tuo cagnolino, se sono restato è perché l’ho voluto io. Io.” Sibilai così vicino al suo viso che potevo vedere ogni sfumatura dei suoi occhi.
“Qual è il problema, Sebastian?” cercò di liberarsi, ma non mollai la presa sul suo cappotto. “Hai paura mi succeda qualcosa? Non ho bisogno di una mamma apprensiva che deve sapere ogni mia mossa. Pensi non sia in grado di cavarmela?” stava urlando anche lui, cosa che mi fece stare meglio, per quanto nei suoi occhi era visibilissimo tutto il disappunto per la mia scenata. “Pensi che sia un incapace?”
“No!” gli risposi io con veemenza spingendolo un’altra volta contro il muro. “E’ perché io…” mi dovetti letteralmente mordere la lingua per zittirmi in tempo, prima di dire qualcosa che era meglio non dire. Finché Jim si limitava a dedurre ciò che provavo, andata tutto bene, ma dirlo ad alta voce era tutto un altro problema.
“Vai avanti, finisci la frase, Sebastian.” Mi spronò tornando calmo come sempre. Sapeva cosa volevo dire. O meglio cosa non volevo dire.
Scossi con vigore la testa, rifiutandomi.
“Dopo ti sentirai meglio.” Insistette lui.
“Perché ti amo.”
Tre parole. La prima volta che le dissi. E anche l’ultima.
Mi allontanai da Jim, improvvisamente svuotato non solo della rabbia, ma anche di qualsiasi forza.
“Bene, ora che la questione è risolta.” Annuì soddisfatto sistemandosi il cappotto che avevo sgualcito. “Ho bisogno che tu mi dia la tua pistola.”
“La mia pistola?” non fraintendete, Jim aveva un paio di pistole di sua proprietà e io l’avevo indottrinato molto bene sulle tipologie possibili, ma non mi aveva mai chiesto la mia. “A che ti serve?”
“Ma come! Non sei tu a dire che una pistola è sempre molto persuasiva?”
“Si.” Ammisi passandogli la pistola come richiesto e sentendomi totalmente indifeso. E avevo un fucile mezzo montato a pochi passi.. “Quindi il tuo geniale piano è così geniale che hai paura ti serva una pistola?”
“Ah.” Jim alzò un dito bloccando la mia ironica osservazione. “Non aggiungere una parola, Sebastian. Hai detto abbastanza per oggi, non ti pare?”
Mi ero solo dichiarato, infondo, quindi annuì.
“Perfetto, è ora dello spettacolo finale.” Annunciò controllando l’orologio. “Peccato tu non possa assistere, un po’ di pubblico mi avrebbe fatto piacere.”
“Mi è  bastata la piscina.” Risposi con una scrollata di spalle.
Non lo lasciai andare prima di averlo baciato, anche se sapevo che quel gesto l’avrebbe fatto infuriare data la situazione. Al diavolo, non poteva essere peggio di essermi dichiarato in maniera ridicola neanche fossi stato una ragazzina alla prima cotta.
“Mi raccomando, Sebastian, questo è l’unico lavoro della tua vita che non puoi fallire.”
“Lo so, fidati di me.”
“Io mi fido dite. Mi fido solo di te.”
Furono le ultime parole che Jim mi disse.
 
 

 
Sherlock si buttò, non devo essere io a dirvelo, e il dottore fu salvo.
Eppure qualcosa non andava.
Rimisi il fucile nella custodia e aspettai qualche altro minuto, ma Jim non si fece sentire e io mi ero aspettato una reazione eclatante. Quindi decisi di andare a vedere cosa diavolo stesse combinando.
Con la custodia del fucile dietro ammetto che passare inosservato per l’ospedale non fu proprio semplicissimo, ma arrivai sul tetto, totalmente impreparato per ciò che avrei visto.
Prima notai la striscia rossa sul pavimento, poi il cadavere di Jim.
Fu in quel momento che il mondo smise di girare nella direzione giusta e io smisi di usare il mio buon senso. Sarei dovuto scappare perché la polizia sarebbe potuta arrivare da un momento all’altro, invece mi avvicinai a Jim e lo fissai. Lo fissa per quella che mi sembrò un eternità senza pensare a nulla. Cercai di forzarmi di provare qualsiasi cosa, ma non ero né triste né felice, non ero né amareggiato né soddisfatto. Nulla di nulla.
“Figlio di puttana.” Gli dissi tranquillamente sedendomi accanto a lui.
Non riuscivo a smettere di guardarlo. Non che non avessi mai visto un cadavere da così vicino. “Vedo che la pistola è stata persuasiva. La mia pistola, stronzo.” Avrei dovuto prenderla per evitare qualsiasi guaio, ma un cadavere con un buco nella testa e senza pistola avrebbe suscitato più sospetti del necessario.
Rigirai una sigaretta spenta tra l’indice e il pollice: avrei voluto fumare, ma l’ultima cosa di cui avevo bisogno era lasciare tracce di cenere sul pavimento. Per quanto chiunque le avrebbe potute lasciare prima di me, era meglio non rischiare.
“Sei stato un bastardo fino alla fine, i miei complimenti.” Stavo parlando con un morto e mi sembrava assolutamente normale. Forse perché ancora non credevo che fosse davvero morto.
Uscì in fretta dall’edificio, così in fretta che imboccai i corridoi sbagliati.
O quelli giusti, a seconda dei punti di vista.
Riconobbi la voce di Molly provenire da una delle stanze dell’ennesimo corridoio vuoto, giusto in tempo per nascondermi. Non avevo bisogno che mi trovasse lì a gironzolare. In quel momento non sarei riuscito a recitare la parte che mi ero costruito con tanta cura.
Con lei c’era qualcun altro e riconobbi anche quella voce e lo stomaco mi si attorcigliò. Non poteva essere possibile, non razionalmente almeno, ma sapevo che lo era.
Sherlock Holmes era vivo e vegeto, a dispetto di quello che avevi visto.
“Tuo fratello sarà qui tra poco.” Sentii dire da Molly.
“Non lui, qualcuno per lui.” Ribatté Sherlock con calma.
“Potresti almeno avvertire John…”
“Non posso.”
Avrei dovuto ucciderli entrambi, ma ammetto che volevo sapere perché Sherlock avesse messo in scena la sua morte. Visto che Jim era morto (e sul serio. Il suo cuore non batteva e me ne ero accertato.) perché lui doveva ancora fingere?
A che gioco stava giocando?
Quando andò a chiudere la porta sono sicuro che mi vide e mi riconobbe. Un test per sapere come avrei reagito?
Io onestamente uscì dall’ospedale, lasciandomi alle spalle quella storia. Che Sherlock vivesse un giorno in più.
Salì in macchina di Chop il più velocemente possibile, consapevole che avevo sprecato già un po’ di tempo.
“Sebastian?” mi chiese Chop vedendomi gettare il fucile sul sedile posteriore senza le mie solite cerimonie.
“Parti, Chop.” Gli ordinai. “E schiaccia sull’acceleratore.”
“Ma Moriarty…?” mi guardò confuso.
“Parti!” gli ringhiai contro e lui finalmente mi obbedì.
“Sebastian che diavolo sta succedendo?” mi chiese dopo un paio di minuti.
“E’ morto.” E dirlo a voce alta fu uno schiaffo in piena faccia.
Non c’era bisogno di specificare chi, era chiaro dalla mia faccia che non stavo parlando di Sherlock. Chop mollò il volante per la sorpresa e per poco non finimmo fuori strada.
“Cosa?” deglutì a fatica dopo lo spavento.
“Sono morti entrambi. Uno si è buttato e l’altro si è sparato.” Mi tornarono in mente i pezzi di cervello rosa sullo sfondo rosso del suo sangue. “Portami a Conduit Street, poi corri a casa, prendi tua moglie e i bambini e scappa da Londra. Vai da qualche parente in Cina se ci riesci, va via. Con Jim morto verremo braccati come prede.” Lo dissi in automatico, realizzando solo in quel momento la gravità della situazione.
Chop annuì e la tutta la sua giovinezza sparì in quel momento.
“Chiamo Debbie.” Lo avvertì e lo feci. Chiamai lei e un altro paio di persone, quelle più fidate, quelle che avevano più da rischiare. Jim le avrebbe lasciate al loro destino al posto mio.
Arrivammo all’appartamento prima che potessi riconoscere la strada, forse Chop aveva usato strade differenti per distanziare la polizia, chi può dirlo, infondo era il suo lavoro in quanto autista, non il mio.
“Tu cosa farai ora?”
Avevo solo due scelte: prendere in mano l’impero criminale di Jim Moriarty e tentare di tirare avanti, o lasciare sgretolare il tutto.
Io però non ero Jim Moriarty.
“Addio Chop.” Lo congedai. “Grazie di tutto, amico.”
No, non sarei mai stato in grado di riuscire nell’impresa come Jim. L’aveva detto anche lui dopotutto.
Richiusi la porta dell’appartamento alle mie spalle e finalmente permisi ai miei nervi di cedere.
Quando mi cacciarono dall’esercito passai una settimana in cerca di risse, e ogni sera avevo avuto modo di spaccare qualche costola o fare qualche occhio nero. Anche in quel caso era colpa dei miei nervi a pezzi.
Quando arrivai in soggiorno, invece, gettai uno stupido vaso a terra e il rumore mi fece sobbalzare. Un semplice rumore di cocci a terra mi fece sobbalzare. Ero ridotto parecchio male.
Fu il silenzio successivo ad essere insopportabile perché nella testa mi sentì chiaramente chiamare Jim in un gesto automatico e abitudinario.
Mi lasciai cadere sul divano visto che le mie gambe avevano smesso definitivamente di funzionare.
Accesi la sigaretta che volevo accendermi sul tetto, accorgendomi che stavo tremando come una foglia dalla testa ai piedi. Capita quando i tuoi nervi vanno a farsi fottere.
Fumai fino alla nausea, ma non servì a calmarmi o farmi pensare in maniera lucida. Non pensai affatto.
Avevo detto a tutti di scappare e avrei dovuto fare lo stesso, ma non me la sentì.
All’ennesima sigaretta, spenta a metà perché oramai il sapore mi disgustava, decisi che era il caso di fare qualcosa. Qualsiasi cosa.
Barcollai fino stanza di Jim; era il luogo della casa che in realtà gli apparteneva di meno: già dormiva poco e se poi quando dormiva lo faceva in camera mia, la sua stanza finiva per essere quasi asettica.
Aveva bisogno di smettere di pensare a ciò che era successo e decidere cosa fare.
Avrei dovuto seppellirlo e pensare al funerale. Il pensiero successivo fu che a morire era stato Richard Brook.
Una seconda volta, ah che sfortuna!
Fu la rabbia di non poter nemmeno seppellire Jim Moriarty a convincermi a muovermi. Fortunatamente le mie cose erano tutte a Baker Street e quel poco che rimaneva potevo portarcelo senza problemi. Forse Jim aveva pensato anche a quella evenienza, ammetto che lo pensai.
Mi alzai dal letto dove mi ero raggomitolato come un bambino e aprì il grande armadio con tutti i suoi vestiti. Fu peggio che aprire un album di fotografie: odiavo quei vestiti, ma ad ognuno di essi era legato un maledetto ricordo. Ne presi uno. Quello che aveva addosso quando lo conobbi. Chiamatemi sentimentale, non potrebbe importarmene di meno.
Lasciai Conduit Street sapendo che non ci sarei mai più tornato.
 

 
 
Restai a Londra fino al giorno del funerale, consapevole che ero l’unico che si sarebbe preso la briga di sbrigare quella rognosa faccenda.
Tutti i partecipanti –e si potevano contare sulla punta delle dita di due mani visto che eravamo: io, la signora Brook e la sua adorabile figlia, due o tre persone che non avevo idea chi fossero e la giornalista assoldata da Jim- erano vestiti di rigoroso nero tranne me. Io avevo messo il vestito grigio che Jim aveva tanto decantato. Tanto mi sarei dovuto vestire comunque elegante, tanto valeva mettere addosso qualcosa che mi ispirasse un minimo di sicurezza.
La signora Brook fu ovviamente l’essere più scortese che avessi mai visto, era il secondo funerale del figlio a cui assisteva ed era assolutamente stufa.
“Spero che questa storia finisca qui.” Mi sibilò prima di andare via. Io mi limitai ad annuire . Era già tanto che avessero retto il gioco fino a quel momento.
Non dissi una parola per tutta la cerimonia, perché dannazione ero l’unico in lutto in quel cimitero.
“Lei deve essere Alexander Picks.” La giornalista mi offrì la mano e io la strinsi. “Condoglianze per la sua perdita.”
“La ringrazio.” Per qualche ragione tutti avevano deciso che ero io il più distrutto dall’evento –cosa che era vera-, ma la questione mi irritava oltre ogni immaginazione. Nessuno si era rivolto a quelle che, tecnicamente, erano la madre e la sorella del defunto.
“So che non è il momento migliore.” Esordì. “Ma vorrei farle delle domande.”
No, non era il momento migliore, non sapevo se sarei riuscito a recitare la parte di Alexander Picks. Il dolore che provavo –no, la rabbia- era decisamente del vostro affezionatissimo Sebastian Moran.
“Basta che siate veloce. Vorrei rimanere un po’ qui, dopo.”
“Oh,certo.” Lei annuì e, ignorando beatamente l’ambientazione, tirò fuori carta e penna. Credo che una brava giornalista sia sempre pronta all’evenienza. Non era poi tanto differente da me che mi portavo dietro la pistola ovunque. “E’ stato un gesto così estremo e disperato. Sa che le autorità hanno ipotizzato che Richard si sia ucciso perché Sherlock si è buttato?”
Aggrottai la fronte prima di realizzare che non potevano sapere, come sapevo io, che Jim si era sparato prima che il detective spiccasse il volo.
“Ma lei lo conosceva meglio, cosa crede abbia spinto Richard?”
“Richard era una persona onesta, semplice. In realtà era stufo di aiutare Sherlock con il suo inganno, era arrivato al limite. Solo…non immaginavo fosse così disperato.”
“Oh, quindi è così che andata, capisco.” Scribacchiò qualcosa sul blocchetto di appunti. “Conoscevo Richard, certo non quanto lei,ma non mi era sembrata una persona con manie di suicidio.”
“No, infatti.” Aggiunsi un sorriso amaro per la scenata. “Ma questa situazione lo stava tormentando, i sensi di colpa lo hanno divorato, glielo potevo leggere in faccia, si è consumato dentro, giorno per giorno. Avrei dovuto fermarlo.” Il singhiozzo che sfuggì dalle mie labbra era del tutto reale. Avrei dovuto davvero fermarlo. Avrei potuto. Perché sapevo che in un modo o nell’altro questo piano l’avrebbe colpito direttamente.
Era compito mio proteggerlo e avevo fallito.
“Nessuno poteva prevedere cosa sarebbe successo.” Mi avvertì con delicatezza.
“Nell’articolo… si assicuri che la colpa ricada su Sherlock Holmes e su come ha forzato un ragazzo innocente a recitare una parte che non voleva più, portandolo a scegliere la morte come via d’uscita.” Le chiesi con freddezza. Ero io a volerlo, mi avrebbe fatto sentire meglio.
“Oh si. Ho intenzione di fare di Richard un martire.”
“Se lo merita.” Risposi con un cenno della testa. “Sherlock ha distrutto la vita di Richard e la mia.” Ed era vero. A patto che a posto di vita si sostituisse la parola organizzazione criminale.
“Una vera tragedia.” Lei mise via gli strumenti del suo lavoro e mi strinse di nuovo l mano, con delicata forza. “Cosa farà ora?”
“Devo rimettere a posto la mia vita, ma non ci riuscirei ora. Viaggerò forse, un qualche posto sperduto per cambiare aria e capire cosa è rimasto di me.” O per non farmi trovare dalla polizia.
“Buona fortuna.” La giornalista si congedò e negli occhi vidi già lo stile giacobino con cui avrebbe scritto quella storia.
Rimasi l’unico davanti alla lapide, in piedi come un idiota, senza sapere cosa fare.
“MI(i) avevi promesso che saremmo stati sulla cima del mondo.” Mi tornò improvvisamente in mente quella mattinata nel suo studio. “Dovevamo esserci insieme. Io sono qui, figlio di puttana, ma tu dove diavolo sei?”
Non potevo che essere infuriato.
“So che non sono mai stato nulla per te.” Avrei voluto prendere a calci la lapide. “Ma lasciarmi così è crudele perfino per te. Sono a pezzi, contento? Non so nemmeno se riuscirò a rimettermi in sesto questa volta. Sono stanco.” e, al diavolo l’etichetta, mi sedetti a terra e fissai le lettere di un nome estraneo incise sulla pietra di fronte a me. “Potevi dirmi che cosa avevi in mente di fare. Non ti avrei fermato.” Ed era la verità. Mi ero chiesto se, sapendo tutto il piano, avrei fatto qualcosa e quella era stata la risposta. “Mi dici che diavolo faccio ora senza di te?”
Era il posto meno sicuro del mondo quello, ma rimasi comunque almeno un ora davanti alla lapide, così grottescamente sbagliata, senza dire altro. Non che avessi molto da dirgli che non fosse una lunga lista di insulti creati appositamente.
Prima di andarmene dissi un ultima cosa con tutta l’ironia che mi era rimasta e non era molta.
“Prenotami un biglietto all’inferno, magari lì saremo più fortunati. Spodestare Lucifero non può essere più difficile che battere Sherlock Holmes.”
 

 
Partì il giorno dopo il funerale, ringraziando la mia buona sorte che Scotland yard non fosse arrivata a me in quel lasso di tempo.
Viaggiai leggero: qualche vestito, qualche pistola e qualche fucile per la caccia. Ciò che avevo lasciato a Londra poteva anche essere sequestrato, sarei comunque sopravvissuto.
Sulla via dell’aeroporto incappai nell’ennesimo murales con la scritta I believe in Sherlock Holmes.
C’era una sorta di movimento autonominatosi Watson’s Warrior che professava l’autenticità di Sherlock e cercava, in quei modi invadenti, di salvare la fama del detective. Non mi aspettavo che ne esistesse un secondo che aveva assunto come motto la frase Richard Brook was Innocent.
Fermai la macchina ed andai ad ammirare il capolavoro da vicino. Mi fece infuriare allo stesso modo della stupidissima lapide.
Notai per terra alcune mezze bombolette, lasciate lì probabilmente perché chiunque avesse fatto il murales era scappato a tutta velocità, e fu lì che mi venne l’idea.
Con una pessima tecnica –devo ammetterlo- feci un’altra scritta con la prima cosa che m venisse in mente.
Moriarty was real.
Quello che non  potevo sapere era che, a mesi di distanza, quando tornai a Londra, avrei trovato quella scritta su molti muri perché il movimento pro-Sherlock Holmes l’aveva adottata insieme alla prima. Il che mi rendeva un Watson’s Warrior onorario. E aveva senso visto che ero il Watson di Jim.
Ebbene sì. Il primo Moriarty was real fu il mio. E me ne vanto.
Dopo la piccola pausa artistica, presi comunque il mio aereo e andai in India, a caccia di Tigri –non dovrei dirlo, presumo. Avevo assolutamente bisogno di tenere la mente occupata.
Mi sentì a casa nella giungla indiana: in qualche modo aveva sempre avuto un effetto terapeutico su di me. Peccato che i miei nervi non volevano saperne di smettere di giocarmi scherzi.
Iniziai a bere per quel preciso motivo, ed è una delle decisioni di cui mi pento. Ma davvero, era(O) troppo stanco per cominciare tutto da capo per l’ennesima volta. E con Scotland yard alle calcagna.
Ero patetico e ancora in me. Avevo perso ogni interesse per il mondo.
Perché davvero, non avevo più un mondo.
Tutto ciò che avevo era perduto, ma a distruggermi era l’idea che, qualsiasi sforzo avessi fatto, non l’avrei mai più avuto.
Così come avevo perduto Jim.
Lasciatemi essere smielatamente romantico per una volta.
Ho amato Jim con tutto me stesso, con ogni fibra del mio essere. Ho lottato contro quel sentimento come una tigre in gabbia, negando l’evidenza. L’ho amato sul serio. Come non ho mai amato nessuno.
Non eravamo anime gemelle, non credo a quelle stronzate e poi non potevamo essere più differenti, ma eravamo due anime che si erano accettate completamente. Che si sono sopportate.
Cristo, è stato l’unica persona che non ha mai avuto da ridire per la pistola sotto al cuscino!
Ma credo che questo discorso valesse più per lui. Nonostante tutte le litigate e le mie scenate, ha sempre saputo la verità.
Sono stato l’unico.
L’unico ad amarlo, a sopportarlo, a rimanergli accanto.
L’unico così cocciuto da tenergli testa.
Non male, eh?
Per quei motivi non mi ha fatto fuori quando gli ho detto di amarlo.
Bene, momento romantico finito, incredibile come una persona possa credere a certe scemenze.
La verità è che è stato un miracolo se non ci siamo uccisi a vicenda.
A Mumbai incontrai Irene. Così tanta gente che doveva essere morta e che non lo era.
Era irriconoscibile: avvolta nello sfarzo dei colori indiani, il volto pulito da qualsiasi trucco, i capelli lasciati ricadere in morbide onde oltre le spalle.
Passammo almeno un mese insieme, girando per la città, sprecando i soldi in cose totalmente inutili.
Ci saremmo divertiti molto di più se lei non fosse stata totalmente attratta dalle donne –e sapevo che era troppo intelligente per cercarsi un uomo come compagnia- e io totalmente disinteressato al genere umano.
Ma nonostante la mancanza di sesso, stavamo bene insieme. Eravamo due persone che si stavano re-inventando lontane da ciò che le aveva distrutte.
Sotto al sole di Mumbai mi prese per mano, ma non pronunciò la solita battutina o la solita scemenza –avevamo in qualche modo sempre ignorato i grandi argomenti e le cose importanti-.
“Ricordi quando ti dissi che iniziavi ad assomigliare a Jim?”
“Si.” E chi se lo sarebbe scordato.
“Ora hai anche lo stesso sguardo negli occhi.”
“Jim aveva gli occhi più spenti che abbia mai visto.” e il solo parlarne me li riportò in mente e anche il ricordo fu spaventoso come il suo vero sguardo.
“Appunto.” Sussurrò lei.
 Ecco cosa succede quando il mondo diventa noioso: perdi qualsiasi interesse.
“Credo che tu sia il suo capolavoro.” Continuò prendendomi il viso tra le mani e sorridendo con amarezza. “E ti ha completato con la sua morte. Sei la sua copia perfetta, intelligenza a parte.”
Comprò una marea di regali per Kate e quella sembrava essere l’unica cosa a renderla felice. Irene Adler felice è una visione che non auguro nemmeno al mio peggior nemico –che essendo Sherlock Holmes temo l’abbia vista-. Si trasformava in una sottospecie di Maria Maddalena, puttana nell’animo, santa all’apparenza. Contrasto bizzarro.
Quando Kate raggiunse Irene a Mumbai, provai solo invidia per come si guardavano ed erano contente.
Tornai a Londra il giorno dopo.
 
 

Una volta a Londra, rimasi a Baker Street. Nascondersi non aveva senso, non con Mycroft Holmes come vecchio amico.
Il dottore era distrutto quanto me, o forse di più. Almeno io e Jim eravamo stati onesti l’uno con l’altro nell’accettarsi a vicenda. Non c’era nulla di lasciato in sospeso.
Capì cosa aveva cercato di dirmi Irene e ammetto che, se non avessi saputo che Sherlock Holmes era vivo, avrei iniziato a incontrare il dottore per farci forza a vicenda. Una sorta di club per poveri colleghi di sociopatici.
Eravamo l’uno lo specchio dell’altro anche nel dolore.
Rimanevo sempre e comunque il suo John Watson.
Per quanto riguarda Sherlock Holmes, lo cercai senza successo. E ammetto che pensai anche di seguire l’ultimo ordine di Jim e uccidere il dottore. Una parte di me voleva davvero farlo, ma ero troppo distrutto.
Perché avrei dovuto alleviate le sue fottute sofferenze quando le mie non lo sarebbero mai state?
Ero geloso di lui perché sapevo che un giorno Sherlock Holmes sarebbe tornato, ridando vita a quel pover’uomo.
Non osai nemmeno sperare che Jim tornasse.
Il mondo non è una grande fiaba.
E anche se lo fosse stata, per i cattivi non c’è mai il lieto fine.
 

 
Quando la polizia irruppe nell’appartamento urlando “Mani in alto!” sorrisi a Mycroft che chiudeva il drappello di forze armate.
“Sebastian Moran, la dichiaro in arresto.” Disse un uomo che riconobbi subito come il detective Lestrade. Anche lui era stato parte del piano.
Lasciai che mi ammanettassero, ma non staccai gli occhi da Mycroft. “Ce ne (ha. messo di tempo.”
“Colonnello.” Mi apostrofò lui.”Ha un aspetto orribile.”
“E lei è ingrassato.” Scrollai le spalle a fatica.
“Non oppone nessuna resistenza?” mi chiese quasi deluso da quella scelta.
“E per quale motivo dovrei farlo?” gli chiesi onestamente.
Esattamente come Jim la notte dell’opera, mi lasciai portare via. Se fosse successo prima di incontrare Jim, probabilmente mi sarei fatto ammazzare prima di permettergli di mettermi le mani addosso.
Sapevo che mi avrebbero dato almeno un ergastolo per tutto quello che avevo combinato. Mycroft non mi avrebbe mai arrestato se non avesse avuto abbastanza prove.
In realtà mi andò relativamente bene. Magari l’avete letto sui giornali, del mio processo pieno di risvolti interessanti. Passarono in rassegna tutti i miei crimini: dal mio barare a poker, alle mie risse, a qualche omicidio con testimoni creati ad hoc. Ovviamente uscì fuori tutta la questione dell’esercito e la condanna fu sicura.
Devo ringraziare il tempo trascorso in prigione, a dirla tutta.
Innanzitutto smisi di bere. Totalmente. Giusto in tempo prima di diventare un alcolizzato. Riavere la mia mente lucida fu meraviglioso. E migliorò anche il mio tremore alle mani.
All’inizio pensai che tutto quel tempo per pensare mi avrebbe fatto uscire di testa definitivamente, invece, ridimensionai le cose. Ebbi il tempo di riappiccicare i pezzi alla meno peggio.
Nessuno mi diede fastidio e sapevo che non era perché avrei potuto farli fuori in mille modi senza bisogno di particolari oggetti, ma perché metà di loro avevano lavorato per Jim e l’altra metà era stata incastrata così magistralmente da Jim da averne paura.
Non vidi Chop e questo mi fece sperare che fosse riuscito a fuggire.
In prigione, poi, ebbi tutto il tempo per scrivere quello che avete letto. Un novello Marco Polo. Solo che invece della Cina, ho scoperto un intero mondo criminale.
Non so nemmeno perché l’ho fatto, forse per passare il tempo, forse per convincermi che è successo tutto realmente.
Forse per lasciare una testimonianza dell’uomo più potente e pericoloso che Londra abbia mai conosciuto.
Forse per permettermi di dimenticare ciò che è successo, visto che ora è nero su bianco.
Credo che la motivazione la decideranno tutte le persone che leggeranno la storia e si faranno una loro idea di come siano andate le cose.
Sappiate solamente che sarà sicuramente sbagliata.
Definire Jim è per me ancora la cosa più complicata. E l’ho conosciuto, venerato, ammirato.
Voi che non ne sapete nulla, non potete sperare di capire.
Ammetto, però, che scrivere tutto questo è stato un ottimo passatempo.
Quando mi buttarono fuori di prigione non seppi quale angelo custode ringraziare per avermi salvato da decenni e decenni e decenni di miseria.
 

 
 
Chiedete in giro di Sebastian Moran e se siete fortunati vi diranno che fu un colonnello dell’esercito di Sua Maestà, che usò la sua abilità di cecchino per fare il mercenario, che fu il braccio destro di Jim Moriarty nel grande gioco contro Sherlock Holmes, che fu arrestato da Scotland yard e rilasciato misteriosamente.
Ma pochi vi sapranno dire la verità.
Sebastian Moran è diventato l’uomo più pericoloso di Londra.
 

The End.

 

Note dell’Autrice
Circa 56.000 dopo il titolo questa storia è finita.
E’ stata una Odissea che mi ha preso 4 mesi della mia vita, ma se tornassi indietro la rifarei.
Ci sono tante cose che devo dire e penso che alla fine di tutto sia arrivato il momento per farlo.
Per prima cosa devo ringraziare la mia beta e consigliera, Nessie. Senza di lei non sarei mai riuscita nell’impresa: mi ha spronata, assillata, aiutata nel decidere cosa e cosa non fare, mi ha dato la forza di non mollare a metà il progetto. E ho iniziato ad assillarla prima di iniziare a scrivere, figuriamoci. Non sapevo nemmeno se farli incontrare prima dell’inizio della serie! E lei è ancora convinta che avrei dovuto farli conoscere prima…ma un parallelo è pur sempre un parallelo.
Tutta la fan fiction si basa su un concetto di parallelo, dopotutto. Ogni mezzo per rafforzarlo.
Ringraziare Moffat e Gatiss per aver scelto Andrew come Moriarty e aver creato un personaggio così meraviglioso…e anche per non averci dato nemmeno un accenno di Sebastian. Sarebbe stato impossibile per me scrivere se Sebastian ci fosse già stato mostrato.
Spero, però, che la 3x01 si rifaccia a The Empty House e ci mostri Sebastian.
Non è stato facile scrivere di questi due, fidatevi. I dubbi si sono accavallati ma fortunatamente mi ha aiutato un libro. The Hounds of d’Ubervilles di Kim Newman, storia delle Novelle del Professor Moriarty.
Scrivevo qualcosa e magari, una trentina di pagine di libro dopo, la scriva anche Newman.
Mi ha dato sicurezza.
Così tanta sicurezza che gli ho fregato Chop.
Chop è solo citato, ma mi ha così colpito che non so come è diventato il best friend di Sebastian. Non so come, ma è successo.
E risolto il dilemma Chop, vorrei parlare della fine e delle decisioni che ho preso. Nella mia testa Jim non sapeva che si sarebbe ucciso (nel fandom MorMor molte teorie invece dicono di si perché vogliono il momentone di Jim e Seb prima della fine.) ma poi mi sono accorta di aver fatto esattamente la stessa cosa. Solo che il mio Sebastian (e nemmeno io) non se ne è accorto. Jim l’ha forzato a dichiararsi perché era l’ultimo momento.
Ma non aspettatevi da me che faccia riciucciare Jim vivo e vegeto. No, nemmeno Richard Brook. Si è sparato, non c’è via di ritorno. (ma una Seb/Richard potrei scriverla, ma fuori da his john waston)
Nel canon Sebastian è a Reichenbach, guarda i due cadere e cerca di tirare sassi a Sherlock per farlo cadere quando capisce che è vivo; per questo il mio Sebastian incrocia Molly (che palesemente ha aiutato Sherlock e fine.) e Sherlock. E sempre nel canon Sebastian viene arrestato tentando di ammazzare Sherlock e io ho preso lo spunto per motivare la realizzazione dell’opera. Ebbene si ho dato anche un senso al perché della storia.
Anche se è triste pensare che dopo tutto quello che è successo Sebastian si considera ancora e solo il John Watson di Jim.
Non so come abbia fatto a riuscire in questa impresa senza impazzire, credetemi.
Sono contenta di averlo fatto, perché la soddisfazione è stata immensa.
Quindi questa è davvero la fine.
Grazie a tutte.

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