Noi - Due Rette Parallele di Midori_ (/viewuser.php?uid=184953)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** War is not Over ***
Capitolo 3: *** Cold Blood ***
Capitolo 4: *** Duty ***
Capitolo 5: *** Alarm ***
Capitolo 6: *** Past ***
Capitolo 7: *** Winds of War ***
Capitolo 8: *** Ready for the Battle ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Noi – Due Rette
Parallele
Prologo
La vita di
Percy Weasley, dopo la guerra, era scandita dal lavoro, dalle cene
silenziose in famiglia ed infine da altro lavoro che inevitabilmente
doveva compiere la sera tardi, seduto su quella vecchia scrivania che
un tempo era piena di libri di Hogwarts.
Non
si concedeva pause, non si concedeva libertà.
Il suo mantra
girava intorno all'idea che solo lavorando, solo esaurendo ogni neurone
della propria naturale energia, solo faticando, poteva dormire sonni
bui e innocui.
E in fondo i
fatti gli dimostravano che aveva ragione, il suo metodo meritava un
articolo in qualche seria rivista.
Ogni qual volta
si addormentava sul suo vecchio letto, con le lenzuola linde e
profumate di limone, il collo semi-rigido e le palpebre già serrate,
scivolava in un sonno senza sogni o incubi.
Un
breve ed agitato sonno.
Quanto bastava
per dare respiro al suo corpo dalle fatiche umane e poi ripartire con
più energia l'alba seguente.
A lavoro erano
ormai in pochi che gli accennavano delle sue occhiaie spaventose o
della sua tendenza ad ingurgitare caffè bollente e nero ad ogni ora del
giorno e della notte.
E quando
tornava a casa, ormai trascinandosi con le poche forze rimaste, si
metteva a mangiare ignorando gli sguardi preoccupati dei suoi
famigliari, gli occhi spenti del fratello e quella terribile sensazione
di essere la causa.
Il
problema.
Sibilava un
grazie non appena appoggiava le posate e si fiondava nella sua vecchia
stanza a leggere centinaia di fogli, centinaia di righe; cercando in
tutti i modi di annegare in quel mare d'inchiostro e di morire
definitivamente.
Meritava di
morire, o meglio, di scomparire silenziosamente.
Senza i pianti di sua madre, senza il mutismo di suo padre, senza i
sussurri e l'angoscia che vedeva nei fratelli.
Silenziosamente.
Ma oltre ad
essere un completo idiota, un traditore,
era anche un vigliacco.
Un codardo
della peggior specie.
Non aveva
trovato quella forza necessaria ad entrare a far parte della squadra
Auror quando il neo-Primo Ministro in persone glielo chiese, ora poteva
essere morto in chissà quale straordinaria azione.
Invece aveva
ripiegato per un'occupazione al Ministero della Giustizia.
“Precisione, volontà, giustizia e sapienza”
era questo il lungo motto di quel dipartimento, parole che lo
rappresentavano perfettamente, eppure …
Eppure c'era
qualcosa di irrimediabilmente diverso in lui, qualcosa di rotto che gli
rendeva difficile persino respirare profondamente.
Già, Percy il
Preciso era solo un giocattolo rotto, uno di quelli pieni di polvere,
dimenticato nell'angolino e che lentamente marciva.
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Capitolo 2 *** War is not Over ***
#War
is not Over
Le riunioni straordinarie
del Gabinetto del Primo Ministro voleva dire solo una cosa: nuovo
attacco.
Nonostante la sconfitta del
Signore Oscuro, l'incarcerazione della maggior parte dei Mangiamorte,
i processi in corso e l'intero mondo magico ormai in piedi e pronto a
difendersi; in tutta Europa erano nati gruppi analoghi che stavano
devastando intere comunità magiche.
Percy si sedette
pesantemente alla destra di Kingsley Shacklebolt e fissò le diverse
cartellette colorate poste al centro del tavolo di legno scuro.
Kingsley sembrava a dir poco
agitato mentre scribacchiava velocemente una breve lettera su un
foglietto di pergamena. Appena ebbe finito la diede a uno dei giovani
assistenti che subito si precipitò fuori dalla stanza.
-Mia moglie mi ucciderà
appena tornerò a casa, le avevo promesso che sarei tornato presto.-
sussurrò Kingsley a Percy, sorridendo amaramente.
Come ormai da tempo
capitava, il giovane Weasley non rispose, si limitò a stiracchiare
il viso in una smorfia che doveva essere un sorriso di comprensione e
si voltò immediatamente, infilando naso e occhi nelle cartellette
aprendole di scatto e ignorando completamente il Ministro.
Shacklebolt, dal canto suo,
si passò la mano sul volto e cercò di passare oltre, ancora una
volta.
Ormai si era arreso di
fronte ai fatti.
Il suo amico non sarebbe mai
più tornato quello di una volta.
Niente discorsi pomposi.
Nessuna lunga chiacchierata
sui trattati firmati nel 1889 e via dicendo.
Non appena l'intero
Gabinetto prese posto e cominciò ad analizzare le diverse
cartellette, il Primo Ministro prese parola.
-Signori, vi ho riunito in
tutta fretta perché c'è giunta voce di un violento attacco da parte
di un gruppo di Mangiamorte tedeschi, nei confronti della comunità
magica francese.-
L'annunciò mise
sull'attenti la maggior parte delle persone.
-Qual'è il bilancio?-
domandò uno dei Capi Auror.
-Una trentina di morti fra i
maghi non- Auror, almeno una decina di Babbani trovati uccisi pochi
minuti fa e non c'è ancora un bilancio sui feriti.- rispose
Kingsley. -Quello che mi preme far sapere è che la Francia ha deciso
di chiudere a tempo indeterminato le frontiere. Abbiamo solo
ventiquattr'ore per far espatriare i maghi e le streghe inglesi
residenti in Francia, compresa quello che è rimasto della squadra
Auror internazionale.-
Percy ruotò la testa verso
il Primo Ministro. -Ma...Ma non possiamo farlo senza il consenso
degli altri stati membri? Verremmo … -
-Espulsi, sì Weasley me ne
rendo conto, ma l'attacco in Francia non è l'unica brutta notizia.
Il mondo Babbano sembra sul piede di guerra e il mio collega, il
Primo Ministro Britannico Hogers sembra in una brutta situazione. Nel
pomeriggio c'è stata una violenta manifestazione ed è probabile che
nei prossimi giorni ci sia un attentato contro le istituzioni
Babbane.-
-E quindi?- incalzò nervoso
Percy.
-Quindi siamo costretti a
ripensare a tutta la struttura delle nostre istituzioni. Non possiamo
più occuparci dei processi, dobbiamo difendere i nostri confini e
quello dei Babbani. La situazione sta peggiorando sempre di più e
ora abbiamo perso persino la Francia.-
Qualcuno dal fondo della
sala sbuffò, altri sussurravano.
-Ne è sicuro?- domandò il
Ministro delle Finanze, Williams. -Perderemo credibilità all'estero.
Potrebbe essere la mossa sbagliata.-
Kingsley annuì lentamente.
-E' l'unica mossa che ho. L'unica.
Non siamo ancora usciti da questa
crisi. La guerra ha decimato la forza militare magica e i nostri
Babbani si stanno armando per uccidersi fra loro, dobbiamo pensare
prima al nostro paese e richiamare tutti gli Auror inglesi che
servono all'estero.-
Percy si tolse gli occhiali
e li pulì con un lembo del maglione scuro.
-Per il rimpatrio come ci
muoveremo?- chiese ormai stanco e adirato per la faccenda degli
Auror.
Il Primo Ministro spiegò
velocemente come l'Ambasciata stesse lavorando alla creazione di
Passaporte che già dall'alba avrebbero portato diversi cittadini
inglesi a casa.
Raccontò inoltre che gli studenti di magia francesi
sarebbe tutti espatriati nella lontana scuola australiana, paese non
interessato dagli scontri, per evitare ciò che era successo ad
Hogwarts.
Sciolse la riunione quando
l'orologio nella segnò le due di notte, ma chiese a Percy di
fermarsi un attimo.
-Di che si tratta?- chiese
Percy appoggiandosi al muro, quasi incapace di reggere altre notizie.
Kingsley aspettò qualche
secondo prima di parlare. -Vorrei che venissi con me in Francia. Ora,
intendo.-
Percy aggrottò la fronte,
stupito dalla richiesta. -Certo, va bene. Prendo la giacca e ritorno
qui ...- borbottò il giovane sistemando nervosamente gli occhiali al
naso.
-Percy, in realtà si tratta
dei genitori di tua cognata, i signori Delacour sono nella lista dei
dispersi.-
La gola del Weasley si seccò
immediatamente e un leggero tremolio sconvolse le sue mani.
-Sei … Sei sicuro che
fossero lì? In quella città?- domandò non accettando quella
possibilità.
-Assolutamente. Il Signor
Delacour era lì per affari con la moglie, mentre la figlia minore
era già in viaggio per l'Australia, li hanno visti entrare in uno
degli edifici crollati. Fin'ora non li abbiamo trovati.-
Percy chiuse gli occhi per
qualche secondo e poi li riaprì bruscamente, spaventando per un
attimo Kingsley.
-Devo avvertire mio fratello
… - sussurrò. -Devo.-
-Di questo, purtroppo, non
ti devi preoccupare. Il Ministero degli Esteri francese ha già
avvertito tutti, ci vediamo fra dieci minuti all'entrata.-
In meno di quindici minuti
si ritrovarono nel bel mezzo di quella che doveva essere una serena
città di campagna, fatta di negozietti, strade, case colorate e
gente perbene.
Ora i palazzi si erano
accartocciati su sé stessi, bruciati all'interno e ancora fumanti.
Dei negozi non c'era più la
minima traccia.
Percy si girò e notò un
gruppo di Medimaghi che coprivano con dei teli bianchi e blu, corpi
dilaniati dalla fuliggine e dalle maledizioni.
Sentì una mano appoggiarsi
sulla sua spalla e intimargli di non guardare.
Kingsley lo fissò severo e
Percy intuì cosa volesse dirgli in realtà, ma non riuscì comunque
a reprimere quel senso di nausea che gli opprimeva lo stomaco e gli
rendeva difficile persino respirare.
Il Capo degli Auror, Peter
Sartos, indicò una figura scura che si stava avvicinando,
incespicando fra le macerie della città.
Quando si avvicinò, Percy
notò con stupore che si trattava di una ragazza, o meglio, uno dei
migliori Auror ancora in vita era una ragazza.
Kingsley le venne incontro
spiegando che erano venuti lì per vedere il Ministro francese, ma la
ragazza lo interruppe e si sedette su un grosso masso che un tempo
era un balcone.
Non era particolarmente alta
o muscolosa, aveva una di quelle corporature insignificanti a primo
sguardo, capelli biondi raccolti in una treccia ormai sfatta e piena
di polvere e occhi chiari.
Parte del volto era
ricoperto dal sangue a causa di una ferita che percorreva la fronte,
gli abiti scuri erano sgualciti mentre le mani erano coperte dai
guanti che tenevano nervosamente una di quegli affari di ferro che i
Babbani usavano per difendersi.
La ragazza indicò
l'orecchio. -Non sento. Esplosioni.- disse accennando a uno strano
sorriso.
Effettivamente l'orecchio
era pieno di sangue grumoso ed era arrossato fino all'inverosimile.
-Vi porto io dal Primo
Ministro, seguitemi.- si rialzò immediatamente, scattando
improvvisamente.
Camminarono lentamente
finché la strada fu sgombra da ogni maceria.
La ragazza indicò un
palazzo ancora in piedi e parzialmente bruciato.
-E' lì.- disse solamente,
riprendendo a camminare.
Fu lei ad aprire la porta
con un incantesimo non verbale e poi li fece passare.
Una volta entrati, Kingsley
si rivolse a Percy. -Tu vai con lei, chiedile se riesce ad entrare
nell'ospedale Babbano dove alcuni maghi potrebbero essere stati
erroneamente
portati. Forse i genitori di Fleur sono lì.-
Il Weasley aprì la bocca,
non sapendo cosa dire o proporre e la richiuse.
Qualcosa gli diceva che
intrufolarsi negli ospedali era considerato un reato da quelle parti.
-Senti, ci possiamo muovere
ed andare in questo ospedale Babbano?- domandò irritato, scandendo
bene le parole.
La ragazza alzò un sopracciglio leggermente
infastidita, strinse le spalle e gli indicò una porta.
-Andiamo lì.- disse
solamente. -Comunque, sono Audrey Rivers.- disse ricordandosi delle
buone maniere e tendendo la mano.
-Percy Weasley.- rispose
velocemente, stringendo brevemente la sua mano.
Non si guardarono negli
occhi, né parlarono molto, eppure nessuno dei due riuscì a
scrollarsi di dosso una strana
sensazione.
[Ringrazio
tutti coloro
che hanno letto il Prologo e lo hanno anche commentato, non sapete
quanto mi abbiate resa felice.
Cercherò
di aggiornare
almeno una volta a settimana, forse anche due salvo complicazioni.
Spero vi
sia piaciuto
questo primo capitolo!]
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Capitolo 3 *** Cold Blood ***
* * * * *
#Cold
Blood
Audrey Rivers teneva la testa bassa, gli occhi rivolti verso il terreno
ricoperto dai calcinacci e pezzi di muro. Ogni tanto evitava con poca
grazia e disinteresse pozze di sangue grumoso.
La strada da fare era ancora molta e come se non bastasse doveva
scarrozzarsi in giro uno che fino a qualche secondo prima non aveva
idea di cosa fosse vivere nel resto d’Europa.
Pur non sentendo molto a causa dei timpani ormai perforati, aveva come
la terribile sensazione che il funzionario inglese si fosse fermato.
Si voltò bruscamente e lo vide chino a terra a spostare dei massi.
-Non abbiamo tempo per la caccia al tesoro!- sibilò lei raggiungendolo
già arrabbiata.
Il ragazzo non tentò nemmeno di spiegarle cosa diamine gli era venuto
in mente quando vide una chioma castana spuntare da un grosso masso.
Per un attimo rimase immobile, congelata dalla sorpresa e indispettita
da quel rallentamento.
-Weasley, sarà morto.- dichiarò lei.
Lui si girò di scatto e gridacchiò. –Di solito i morti non si lamentano
per il dolore- osservò indicando il tizio.
Audrey allargò le braccia e si avvicinò.
Con il suo aiuto fu semplice spostare le ultime cose e trascinare
nell’angolo meno devastato della zona, il corpo malridotto di quello
che doveva essere un trentenne.
Percy appoggiò le dita intorno al collo e un sorriso impercettibile
solcò le sue labbra. –Il battito c’è.- le disse quasi orgoglioso.
Audrey si avvicinò al corpo e cominciò a tastarlo.
-Nessuna bacchetta e nessuna pistola, direi che è uno dei Babbani che
viveva nella zona.- disse togliendo da una delle sue tasche un
comunissimo portafoglio scuro. –Non si è nemmeno portato tutti i
documenti Babbani.-
Percy aggrottò le sopracciglia confuso. –Non dovremmo portarlo
all’Ospedale? Ha bisogno di cure.- disse scandendo nuovamente le parole.
-Smettila di parlarmi come se fosse scema, ci sento! C’è solo questo
forte ronzio che mi sta rimbecillendo!- gracchiò lei. –E comunque non
c’è nulla che possiamo fare. Ha una gamba maciullata, probabilmente da
amputare. Fratture multiple in tutto il resto del corpo e una ferita
alla testa preoccupante. Morirà entro stanotte.- sentenziò rialzandosi
e tenendo in mano il portafoglio scuro. Esaminò le diverse carte sconto
di negozi e classificò il tipo come un tizio ordinario con la smodata
passione per i vestiti. Gettò tutto a terra, mentre tenne due
documenti, una normalissima carta d’identità e una patente.
Si voltò e notò che il ragazzo si era tolto la giacca per porla al
giovane moribondo e con la bacchetta cercava di ricucire più tagli
possibili.
Qualcosa la colpì; forse la determinazione con cui l’aveva ignorata e
stava aiutando quel tizio, forse per il semplice fatto che quel Weasley
era assolutamente fuori posto.
Quei capelli rossicci e ben pettinati, quel maglione di ottima fattura,
i pantaloni dalla piega perfetta, la cravatta cangiante che spuntava in
mezzo al colletto, le dita lunghe e agili che agitavano la bacchetta.
Tutto era assolutamente fuori posto.
-Non c’è nulla che riuscirai a fare. E’ finita per lui.- gli gridò
avanzando verso i due. Alzò la maglia sgualcita e polverosa del ferito:
chiazze blu e gialle, striate di rosso, coprivano l’intero stomaco.
-I suoi organi vitali sono k.o. Ci vuole un medimago qui, non è
sistemando i tagli superficiali che lo salverai.-
-E allora cosa proponi di fare?- rispose acidamente Percy. –Guardarlo
morire?-
A quella battuta Audrey rispose con un silenzio teso.
Sfilò la bacchetta da una tasca dei pantaloni e eseguì diversi
movimenti decisi, per qualche secondo non accade niente ma
all’improvviso una luce accecante uscì fuori e una figura alta quasi un
uomo comparve.
Percy strabuzzò gli occhi quando comprese che si trattava di un
Patronus dall’aspetto di un orso feroce. L’animale si alzò su due zampe
e ruggì prima di allontanarsi velocemente verso un muro e scomparire.
-Forse Florence riuscirà a venire.- disse Audrey fissando il punto in
cui il suo Patronus era scomparso. –Non possiamo perdere altro tempo,
fra quindici minuti questa zona verrà bombardata dai Babbani.-
-Bomba..cosa?- chiese confuso alzandosi da terra e lasciando il
moribondo e rivolgendogli uno sguardo triste.
-Corri. Devi correre.- fu l’ultima cosa che gli disse Audrey prima di
accelerare il passo.
Audrey si fermò solamente quando intravide sul fondo della strada le
luci e la strada sbarrata da centinaia di Babbani in divisa.
Prese per un braccio il funzionario inglese e lo trascinò fuori dalla
strada principale, andandosi a nascondere fra i pochi alberi
disseminati lungo il ciglio dell’autostrada.
Imprecò appena e si lasciò scivolare a terra.
-Merda.- ripeté di nuovo.
Percy la fissò sconcertato, le sue dita stringevano convulsamente la
bacchetta e il suo cervello cercava di reprimere ogni suo istinto
vigliacco.
“Non oggi. Non questa volta”,
si ripeteva cercando di darsi coraggio.
-Non possiamo entrare, giusto?- le domandò, ma lei non parve sentirlo.
Stava cercando di riprendere fiato e continuava a tastare le tasche
contando a voce alta.
Sembrava troppo assorta anche solo per accorgersi del vento freddo che
spazzava via ogni sensazione di calore.
Lei si alzò e gli rivolse uno sguardo serio.
-Ora tu mi ascolterai bene, perché non posso farti da balia, stasera.-
gli disse sibilando. –Ora prenderemo una di quelle due auto là in
fondo, tu fingerai di essere incosciente, di essere stato ferito
brutalmente. Quando avremo superato la barriera, saremo in territorio
nemico. Dovremo trovare dei camici e fingerci medici. Se sarà
necessario li ruberemo. Una volta con in camice addosso potremmo girare
indisturbati per l’ala ovest e cercare di trovare questi Delacour che
state cercando disperatamente.- si voltò verso l’ospedale, respirando
profondamente. –Intesi?-
-Intesi.- soffiò appena Percy sistemando il colletto della camicia e la
bacchetta nella tasca dei pantaloni.
Audrey lo fissò alzando un sopracciglio e con un accenno di risa negli
occhi gli diede una leggera spinta. -Dai, muoviamoci.-
Una volta che Audrey riuscì a far partire l’auto, fu fin troppo
semplice varcare la barriera dopo uno sbrigativo controllo, passare
oltre le file e file di carrarmati in attesa di partire e gli sguardi
impenetrabili dei giovani armati di fucili e pronti a scendere in campo
per scrivere la storia, una storia.
Quando Audrey fermò l’auto e lo fece scendere velocemente, quasi
nessuno prestò attenzione a quel duo bizzarro che entrava
silenziosamente fingendo di zoppicare.
L’atrio dell’ospedale era pieno zeppo di persone ferite, di medici che
urlavano, di militari che spintonavano, il caos più totale.
-Attaccati a me e seguimi.- gli sussurrò vicino all’orecchio.
S’incamminò subito dietro di lei, mentre si faceva strada nella folla e
raggiungeva a grandi passi un infermiere e un militare che
trasportavano un carrello pieno di medicinali e soluzioni fisiologiche.
Audrey si avvicinò a loro, quasi come un’ombra e punto una piccola
pistola contro la tempia del soldato.
-Girate a destra, ora.-
I due uomini sobbalzarono ma ubbidirono, uno intimorito e l’altro certo
di poterla affrontare in quella stanzetta, ma non ebbero nemmeno il
tempo di vedere in volto Audrey che lei puntò l’arma contro la tempia
del militare e sparò.
Gli schizzi di sangue colpirono il muro e il pavimento, imbratto parte
del braccio della donna e lasciò sconvolto l’infermiere che tentò di
urlare.
Ma l’urlo gli morì in gola non appena l’arma esplose un altro colpo che
lo centrò in pieno volto.
-Aiutami a togliere queste divise.-
Percy con mani tremanti tolse la giacchetta azzurra del medico e la
indossò, prese anche il suo tesserino di riconoscimento e lo mise al
contrario.
Audrey invece prese solamente le armi del militare, ripulendo il morto
di ogni cosa.
Non si parlarono quando uscirono da quella stanzetta e nemmeno quando
qualcuno nei corridoi gli rivolgeva strane occhiate.
Impassibile.
Un'assassina impassibile.
Ecco cos’era Audrey Rivers.
E Percy era convinto che non avrebbe esitato in situazioni estreme a
farlo fuori.
Sfiorò con le dita la piccola sporgenza della sua bacchetta e una magra
consolazione lo pervase; rimaneva comunque un mago.
Avevano percorso molti corridoio senza trovarli, nessuna traccia dei
coniugi Delacour e la cosa stava facendo arrabbiare Audrey che ormai
spalancava le porte e le tende, spaventando a morte medici e degenti
gravemente feriti, sorpassava la gente spingendola contro l’altro lato
del corridoio e lanciava sguardi carichi di tensione al suo orologio.
-L’alba sta sorgendo …- disse solamente.
Ancora poche ore e le autorità avrebbero innalzato la barriera magica.
Fu Percy ad accorgersi di un signore seduto su una panca, con gli abiti
sgualciti e l’aria distrutta, e a riconoscerlo nell’istante in cui
incrociò gli occhi azzurri, gli stessi occhi di Fleur.
-Signor Delacour …- mormorò solamente.
L’uomo alzò lo sguardo e confuso lo fissò a lungo prima di esclamare il
suo cognome. –Weasley!-
-Dov’è sua moglie?- chiese impaziente Audrey intromettendosi
bruscamente fra i due.
L’uomo sembrò irrigidirsi improvvisamente. –Lei … Suzanne, lei…-
-Bene, allora dovrà seguirci. Abbiamo una Passaporta che parte fra
un’ora esatta, andiamo nei bagni e ci smaterializzeremo da lì.- li
istruì la donna, marciando verso la fine del corridoio.
Percy accompagnò il signor Delacour. –Dobbiamo affrettarci, la Francia
chiuderà i confini magici.-
-Lo so. Gabrielle è già in Australia, per fortuna.- sussurrò. –Vorrei
solo vedere Suzanne …-
Percy aumentò la stretta alla spalla del padre di sua cognata.
–Purtroppo non possiamo.- disse sommessamente.
Dello strano fumo invase il corridoio e Audrey cominciò a correre verso
la direzione opposta, trascinandoli dietro di sé.
Tirò fuori la pistola che aveva usato per uccidere i due poco prima, la
privò del silenziatore e la caricò velocemente.
-Siamo stati scoperti.- disse solamente quando intravide una dozzina di
uomini.
-Getta l’arma ragazza!- gridò uno di loro.
Audrey si mise davanti ai due, Percy tirò fuori istintivamente la
bacchetta.
-Weasley, smaterializziamoci non appena lasciò l’arma a terra, okay.
Verso il quartier generale, il punto di partenza.- mormorò la giovane.
Quando Audrey sentì una mano stringerle la spalla, lasciò l’arma a
terra e chiuse gli occhi.
Nel momento in cui Percy aprì gli occhi e si ritrovò nell’atrio buio
del quartier generale, realizzò che qualcosa doveva essere andato
storto.
Sentì qualcuno tossicchiare e si girò a vedere chi fosse.
Tirò un sospiro di sollievo quando riconobbe il signor Delacour seduto
a terra e impolverato.
-Cosa è successo?- domandò con pesante accento francese.
Percy voltò la testa, certo che Audrey Rivers avesse la risposta giusta.
Ma nulla di cattivo o sbrigativo uscì da quelle labbra sottili.
Audrey, l’impassibile assassina, era riversa a terra, il volto coperto
dai ciuffi biondi e dalla fuliggine.
Sotto il suo corpo pozze di sangue si
espandevano.
[Ringrazio chi ha letto questa storia, chi
l’ha indicata come sue preferita o fra le seguite!
Vi ringrazio dal profondo del cuore!
Buona giornata e Buon Primo Maggio a
tutti!]
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Capitolo 4 *** Duty ***
#Duty
Freddo.
Il freddo era entrato dentro lei e aveva
cominciato a ghiacciare ogni suo organo, ogni barlume di vita.
Tenebre.
Le tenebre, ombre scure e lampi di luce
spettrale, erano tutto quello che vedeva, mentre la vista si
annebbiava,
scompariva e poi ritornava prepotente.
Acqua.
Aveva sete, una terribile sete. Era l’unica
cosa che la sua mente persa nel dolore riusciva a pensare.
Conosceva fin
troppo bene quei corridoi bianchi e verdi del San Mungo, li aveva
percorsi per
giorni interi dopo la Battaglia di Hogwarts, per stare vicino al corpo
freddo
di suo fratello, per stare vicino al futuro Ministro gravemente ferito,
per
fare qualcosa.
Le luci
tremolavano al suo passaggio mentre superava la porta che divideva
l’ospedale
Magico da quello Babbano, le torce magiche che si confondevano, sempre
più, con
le lampadine al neon.
Quando aprì la
porta, fu colpito dall’odore pesante del disinfettante, dal candore e
dal
silenzio che regnava sovrano in quella parte di ospedale.
SI fermò di
fronte alla terza finestra di vetro e fissò la paziente numero
centoventidue
dormire apparentemente serena.
Audrey Rivers se
ne stava lì, col volto parzialmente coperto da bende bianche, fili di
ogni tipo
e di ogni colore la ricoprivano e la collegavano a macchine Babbane.
Eccola lì, quella
normale ragazza che sapeva trasformarsi in un feroce boia, quella
ragazza che
aveva spalancato le braccia e li aveva protetti fino alla fine.
Che lo aveva protetto fino alla fine.
Quel pensiero,
prima timido e ora feroce, lo tormentava, confondendosi con gli antichi
sensi
di colpa.
Ed erano quei
sentimenti intricati fra loro che lo portavano ogni sera a passeggiare
per quei
tetri corridoi, ad ignorare le mute domande dei suoi familiari che
chiedevano
il perché di tanto silenzio e segretezza, a fissare quel vetro nella
speranza
di vedere un movimento, un occhio aperto, una mano che si muova.
Come al solito,
le sue preghiere silenziose ed intime non erano ascoltate.
Ancora una volta,
Percy Weasley non poteva fare niente per riparare ai suoi errori.
Avrebbe dovuto
ignorare quel ferito.
Avrebbe dovuto
seguirla fin da subito, sbrigarsi e nessuno li avrebbe trovati in
quell’angolo
maledetto.
E la signora Delacour sarebbe ancora viva.
E quell’Auror, quella sua
coetanea, avrebbe continuato la sua normale vita.
E…
Fu la guaritrice
Lucy Derwent a svegliarlo da quel torpore mentale che gli aveva
impedito di
accorgersi della sua silenziosa presenza. Percy la fissò per un lungo
momento,
quasi volesse leggere quella mente, anticipare ogni parola, senza usare
la
bacchetta.
La guaritrice si
sistemò un boccolo castano dietro l’orecchio e gli sorrise appena.
-L’operazione Babbana
è andata bene, hanno estratto tutti i resti del proiettile scheggiato e
per ora
siamo certi che si sveglierà.-
-E quando?-
domandò con urgenza Percy, tormentandosi il lembo finale della sua
cravatta
ormai sfatta.
-E’ quello
l’unico problema, non siamo in grado di dirle se si sveglierà oggi o
fra tre
giorni. I parametri vitali sono buoni e ogni giorno che passa acquista
forza.
Quando il suo corpo sarà pronto a risvegliarsi, sono certa che la
signorina
Rivers riaprirà gli occhi.- disse ottimista la donna.
Entrambi rimasero
a lungo in silenzio, contemplando il scenario deprimenti di quella
stanza
spoglia in cui Audrey riposava.
Nessun fiore,
nessuna famiglia a circondarla e a piangerla un po’, a pregare per il
suo
risveglio.
Nessuno.
Ed era quello che
lo tormentava, l’idea che Audrey, una ragazza normale e sua coetanea
non avesse
nessuno.
-E’ venuto qualcuno
oggi?- si azzardò a domandare Percy.
La guaritrice
scosse la testa lentamente. –No, nessuno è passato. Ho chiesto a mia
sorella al
Ministero se poteva contattare qualcuno dell’ufficio Auror.-
-E che hanno
detto?-
-Nulla che non
avessi capito prima.- sospirò Lucy Derwent prima di parlare nuovamente.
–Pare che
non abbia mai indicato nessun indirizzo di un familiare da avvertire. –
Percy s’infilò le
mani nelle tasche e fissò con ancora più angoscia il vetro.
“Non ha nessuno”.
Quando Audrey
Rivers aprì gli occhi era notte fonda.
Non riuscì subito
a distinguere il mondo intorno a lei, così preferì stare a sentire il
ritmico
suono del suo battito amplificato dalla macchina vicino a lei.
Sapeva dove si
trovava e la cosa la stava già irritando.
Di nuovo in
ospedale, di nuovo ferita.
Ormai era
diventata una regola da rispettare quella di farsi quasi ammazzare a
fine
missione, prima a Dumstrang, in Inghilterra poco prima della vittoria a
Hogwarts e poi in Francia. Per un pelo in Asia non era morta cadendo da
un
palazzo.
Già, per un pelo.
Considerò l’idea
di alzarsi e andare in bagno, rimediare qualche abito in giro e magari
fuggire
velocemente da quel posto, ma il dolore che sentiva, sordo e lontano,
alla
schiena era come un avviso di garanzia che le impediva di andarsene sul
serio.
Così si
addormentò lentamente, scivolando verso sogni pallidi e incubi feroci.
Molly Weasley era
una donna che tendeva ad impicciarsi e a curiosare nella vita personale
dei
suoi adorati figli.
Lo aveva fatto
con Bill e Fleur, tormentava da anni Charlie, fissava Ron e Ginny con
sospetto
ogni volta che uscivano fuori, ma solo due figli non si azzardava più a
farlo:
George e Percy.
Quasi due anni
erano passati da quel giorno, eppure ogni volta che li vedeva il dolore
ritornava
forte e deciso a colpirla come quel maledetto giorno.
George non
sorrideva più come prima, non infastidiva più nessuno, non si lanciava
più in
lunghe discussioni sulle sue geniali opere. Preferiva il silenzio,
preferiva passeggiare
con le mani in tasca per il giardino, preferiva volare con la sua scopa
per la
città, percorrendo miglia e miglia.
Invece, Percy,
rimaneva granitico come sempre.
Silenzioso e poco disponibile a fare cose che
non riguardassero dormire, mangiare appena e lavorare.
Spesso vedeva che si
lasciava prendere dalla malinconia, dalla rabbia e da molti altri
sentimenti,
ma se gli rivolgevi una sola parole, lui negava tutto, fuggiva
inventandosi
impegni e doveri.
Adesso doveva
affrontare la tristezza del signor Delacour, del vento di morte che
soffiava
dalla Francia, della spaventata Fleur e dell’impotenza di suo figlio
Bill. E lo
avrebbe affrontato con la solita forza che aveva, quella di sorella che
ha seppellito
i suoi fratelli maggiori, quella di madre che ha salutato per l’ultima
volta un
figlio.
Quel mattino era
cominciato come tutti gli altri giorni della settimana, con una
abbondante
colazione, con le lettere che mandava regolarmente a Charlie e la lista
della
spesa.
Quando portò il
cibo in tavola, aiutata da un Arthur ancora assonnato ma sempre
disponibile,
non si accorse del leggero sorriso che increspava le labbra di Percy.
Aveva posato il
giornale che aveva appena letto, lasciandolo sulla sedia del padre e
leggeva
con grande attenzione una breve lettera giunta attraverso un gufo
marroncino,
tranquillamente appollaiato sullo schienale di una sedia.
Molly si accorse
di quello sguardo solo quando si avvicinò e gli diede la solita tazza
di caffè
bollente.
-Tesoro, cosa è
successo?- domandò incerta.
-Niente di che,
mamma.- disse lui prima di alzarsi, bere velocemente la tazza e
scomparire
dalla sua vista.
-Tu credi che sia
successo qualcosa di positivo?- chiese ad Arthur, l’altro silenzioso
spettatore
di quella strana scena.
-Credo di sì,
cara.- disse lui sedendosi e aprendo il giornale. –Di solito non sorride.-
Lucy Derwent
aveva almeno trent’anni di esperienza nel campo medico, aveva affinato
sempre
di più le sue tecniche magiche, integrandole con le piccole rivoluzioni
della
medicina Babbana, compiendo scelte alcune volte discutibili.
Ma quel giorno
era irremovibile, la signorina Rivers non si sarebbe alzata da quel
letto per
almeno altri cinque giorni.
-Ma io sto bene!-
gridava Audrey contro la guaritrice.
-Non mi pare che
le analisi dicano questo, signorina.- rispose piccata la signora
Derwent. –Quindi
finiamo qua, questa sterile conversazione.-
C’erano diversi
tipi di pazienti.
Quelli che la
ringraziavano commossi ogni volta, quelli che invece sembravano
indifferenti
alle sue parole, quelli che gridavano ordini e chiedevano di essere
lasciati
andare.
E quella ragazza
bionda faceva parte del terzo gruppo, il più difficile da tenera a bada
e da
curare.
Quando uscì dalla
stanza, molto più stanca di quando era entrata, ritrovò fuori il signor
Weasley.
-Oh, è arrivato
subito, io l’aspettavo per sera.- disse sorpresa.
-Ho appena dieci
minuti, volevo solo salutarla e ringraziarla per … Per quello che ha
fatto.-
balbettò Percy confuso. Era veramente quello il motivo per cui era
venuto?
A quella domanda
non sapeva nemmeno lui rispondere.
-Tecnicamente l’orario
visite è fra due ore, ma se è solo per dieci minuti … Può entrare.-
terminò
infine, lasciandolo passare.
Percy camminò con
sempre meno sicurezza finché non incontrò lo sguardo irritato di Audrey
mentre
tentava di sedersi ma qualcosa glielo impediva.
Nessuno dei due
parlò a lungo.
Una sorpresa.
L’altro perplesso.
-Weasley, che ci
fai qui?- disse infine Audrey distogliendo gli occhi dai suoi e
fissando le
coperte linde.
-Io …Io volevo
solo ringraziarti.- disse incerto. –Anche a nome del signor Delacour,
ovviamente.- aggiunse precipitosamente Percy.
–Naturalmente il Ministero è felice di sapere che presto
ritornerai a …-
-Risparmiami cosa
dice o vuole il Ministero.- esordì Audrey interrompendolo.
–E’ per il Ministero che ora non posso
nemmeno andare al bagno da sola.- disse seccata, mentre perdeva la
battaglia
che aveva ingaggiato con le sue gambe che non si muovevano come lei
voleva.
-Comunque, ero
venuto anche per sapere come stavi.- disse Percy. –Due operazioni
chirurgiche
difficili da sopportare, immagino.-
Audrey ripuntò
gli occhi su di lui. –Sto bene. So che deve essere stato uno spettacolo
orrendo, ma ci sono abituata ormai. E’ il mio lavoro. E’ il mio
dovere.-
Percy aggrottò la
fronte.
Non aveva mai pensato in quei termini.
Lui non voleva che altri si
sacrificassero per lui, che altri spendessero buoni pensieri e parole
sul suo conto.
Non dopo quello
che aveva fatto.
-Direi che sei
stato fin troppo gentile a trascinarti fino a qui, puoi andare, avrai
sicuramente
un mucchio di scartoffie da leggere.- ridacchiò Audrey allungando una
mano per
stringere la sua mano.
-Oh, certo, hai
ragione devo andare.- strinse la sua mano, notando il leggero sudore e
l’accenno
di forza nella stretta. –Io sono sicuro che ci rivedremo in
dipartimento,
qualche volta.-
Si congedarono rivolgendosi
appena un sorriso ma Percy non riuscì, una volta aperta la porta, a
trattenersi.
Lui che si
tratteneva sempre, lui che circoscriveva persino le emozioni, ora stava
esplodendo, come era esploso due anni fa.
-Non lo hai fatto
per dovere vero? Non ti sei presa quelle cose Babbane solo per dovere.-
Audrey rimase a
lungo in silenzio, sperando che quel giovane funzionario se ne andasse,
tuttavia lui se ne stava lì, in piedi e pronto a starsene lì altro
cento anni.
-Quando fai
questo tipo di lavoro, la tua vita non conta più nulla. Vivere o morire
sono
solo dettagli, l’importante è completare le missioni o almeno provarci.
Non sarò
la prima né l’ultima a morire per dovere.- parlò piano la ragazza,
quasi come
sussurrasse quelle parole più a sé stessa che a Percy.
E quando sentì la
porta chiudersi, perse del tutto la battaglia con le sue gambe e si
distese
bruscamente.
Chiuse gli occhi
e regolarizzò il suo respiro agitato e ripeté più volte il suo mantra.
Dovere.
Il dovere prima
di ogni altra cosa.
*
* * * *
[Ringrazio tutte le adorabili persone che
leggo, recensiscono, passano, mettono fra le
seguite/ricordate/preferite questa
storia. Senza la vostra partecipazione non continuerei a scrivere con
rinnovato
entusiasmo ogni volta.
Spero
che vi sia piaciuto il capitolo.
Un
bacio, Midori_]
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Capitolo 5 *** Alarm ***
#Allarm
Tre
suoni lunghi.
Due
corti.
Infine
uno più lungo, quasi eterno.
Era questo
l’allarme creato dal risorto Ministero per avvertire l’inizio
della chiusura delle frontiere per tempo indeterminato.
Semplici
suoni che combinati insieme avvertivano giovani e vecchi che altri
sacrifici venivano riscossi dallo stato.
Era stato
Percy a inventarlo.
Nulla di
così complicato, la sua celebre intelligenza gli aveva suggerito che
far viaggiare decine di migliaia di gufi non sarebbe stato possibile,
quindi decise di far viaggiare quel suono in ogni casa magica, far
vibrare ogni bacchetta.
Pur avendo
seguito passo per passo le fasi dell’invenzione, non sapeva quando
Kingsley avrebbe innalzato la barriera.
Quando sarebbe cominciata quella nuova misura?
Quando
le tenebre avrebbero cominciato a dominare, di nuovo,
in Inghilterra?
A Percy
quelle domande, questioni che intere famiglie si ponevano la sera
mentre salutavano il sole e accoglievano tetri le ombre, non
interessavano.
Lui non era
mai uscito al sole.
Lui viveva
bene nelle sue ombre, ci era abituato e ci stava bene.
Nessuno gli
rivolgeva strani sguardi, parole sussurrate e poi ritirate, accuse
flebili e dolore.
Nel
buio lui non vedeva niente.
Percy
nell’ombra ci stava benissimo.
A casa Weasley il pranzo domenicale era stato servito da molto tempo e
il tavolo era ormai sgombro dalla montagna di cibo caldo e dolci di
ogni tipo.
Ron e
Harry, seguiti poi da George e Ginny, erano usciti per una veloce
partitella a Quidditch.
Una
tradizione che nonostante tutto era rimasta inossidabile.
Bill e la
sua famiglia erano ritornati a casa subito, il signor Delacour non
sembrava essersi ripresi ed era caduto in una sorta di profondo stato
di dormiveglia, voleva solo dormire.
Dormire il più possibile.
Così, quel
pomeriggio Percy rimase seduto al solito posto, tirando fuori centinaia
di fogli e cartelle da esaminare, lunghe lettere da scrivere alle
organizzazioni di maghi stranieri, si ributtò nell’unico luogo non
fisico che riusciva a far calare le tenebre dentro di sé.
Non si
accorse dello sguardo serio ed indagatore di sua madre Molly.
Teneva in
mano un piatto pieno di biscotti con gocce di cioccolato, ancora caldi,
ma il suo corpo si era arrestato di fronte al gelo che quell’angolo
della stanza piena di cose, emanava.
Lo poteva
sentire quel gelido soffio di sofferenza.
Era quello
che lei sentiva costantemente soffiargli sulla nuca, ogni giorno da
quella maledetta notte senza stelle.
Per un po’,
dopo quella repentina fuga di primo mattino, Molly aveva pensato che il
suo figlio più tormentato ritrovasse un’oasi di pace, un amico o
conoscente con cui parlare.
Qualcuno che non sapesse nulla delle sue scelte passate e che non gli
desse il tempo di allontanarsi.
Invece,
dopo quel breve sprazzo di luce, le ombre erano ritornare sul suo volto
sempre stanco, sempre immobile.
S’incamminò
facendo attenzione alle tante sedie della stanza e lasciò il piatto
proprio di fronte a Percy, nell’unico quadrato di spazio libero da
carte e boccette di inchiostro.
-Caro,
magari dopo ti viene fame.- gli disse mentre gli sorrideva
incoraggiante.
Ma
per incoraggiarlo a cosa?
Percy alzò
appena gli occhi e la fissò per un breve secondo, quasi sforzandosi di
essere partecipe, di essere presente in quella stanza.
-Grazie
mamma.- rispose meccanicamente.
Normalmente
Molly gli sorrideva e se ne andava via, confusa ma anche impotente di
fronte a quel invalicabile mutismo, cercando dentro di sé una nuova
idea per fargli tornare quel sorriso che tanto amava.
Ma quel
giorno si sedette di fronte a lui e si diede coraggio.
Doveva parlare.
Doveva sapere.
Doveva chiedere.
-Perce
caro, come … Come va al lavoro?- gli domandò, dandosi subito della
sciocca. Era una domanda stupida dato che l’unico argomento di
conversazione con suo figlio si concentrava sul lavoro.
Percy
aggrottò le sopracciglia e si rimise a leggere con ostinazione. –Direi
che va bene come sempre. Ne abbiamo parlato a pranzo.- la informò.
-Giusto,
giusto.- concordò Molly. –Senti caro, che ne dici se invitiamo
quell’Auror che ha salvato il signor Delacour. Fleur mi ha scritto che
da un po’ il padre chiede di quest’Auror, sono sicura che gli farà
piacere.-
-Non so
dove sia finita Rivers, so solo che è uscita dall’ospedale.-
-Ma
Kingsley saprà assolutamente come ritrovare l’indirizzo. Potrebbe
cenare con noi, magari Ron e Harry potrebbero fare delle domande più
precise sul test, sulle lezioni e cose di questo genere.-
Sentendo la
proposta Percy rabbrividì.
Rivers.
No, non gli
piaceva quell’idea.
Quella
ragazza era … Era un continuo mistero.
Un groviglio di fili che non voleva
slegare.
La
settimana prima gli aveva mandato un gufo, giusto per augurarle buon
Halloween.
Si sarebbe
aspettato una risposta educata nel giro di qualche ora, invece nulla.
Per quanto
ne sapeva poteva essere già in qualche altra battaglia dall’altra parte
del globo.
C’era l’Est
Europa pieno di Mangiamorte in fuga, l’Africa neutrale e terra piena di
piccoli e grandi gruppi di Maghi Oscuri, le Americhe che non erano in
grado per ora di capire chi li stesse attaccando; erano i maghi
asiatici oppure organizzazioni criminali?
-Non ho la
più pallida idea di dove sia Rivers, né mi interessa saperlo. La
prossima volta che la vedo, cosa di cui dubito, gli dirò di passare dal
signor Delacour. Mamma, vorrei ricordati che Rivers è un Auror
dell’Ufficio Internazionale, potrebbe essere già partita.- disse quasi
con stizza, cercando di non alterare la voce.
Ma nessuno
di due poté dire altro.
Tre
suoni lunghi.
Due
corti.
Infine
uno più lungo, quasi eterno.
Un
brivido.
Solo un
brivido si concesse quando l’aria di quel bar dimenticato e polveroso
venisse squarciata da quei suoni.
Appoggiò con delicatezza la bottiglia di birra e si guardò intorno.
Sguardi vuoti ed occhi lucidi.
Indifferenti
ed annoiati come lei.
Riprese a
bere, finì la bottiglia e chiese del Whisky Incendiario.
Il barista,
capelli grigi e aria minacciosa, le ricordò che erano soltanto le tre
del pomeriggio di una normalissima domenica.
-Chiudi
quella bocca e versami da bere.- sibilò improvvisamente piena di rabbia.
Il barista
la fissò indispettito ma poi le portò un bicchierino di Whisky.
Audrey lo
finì con un solo e pesante sorso che risuonò nelle sue orecchie.
Il liquido
le stava bruciando ogni piccola vena, ogni grumo di sangue.
Sembrava
quasi un alito di vita in corpo morto.
Poco dopo
aver pagato, sgusciò via e si diresse in un vicolo per smaterializzarsi.
Aveva
chiuso gli occhi, cercando di vincere la nausea che ogni volta che si
smaterializzava saliva prepotente e tentava di straripare, e quando li
riaprì si pentì di averlo fatto.
Di fronte a
lei c’era il caos più totale, ad investirla per prima furono i colori
delle veste da mago, dei mantelli, dei pantaloni dalla piega rigida, i
cappelli e i guanti di chi se ne stava nell’atrio a gridare cose
difficili da captare e ancora di più da comprendere.
Lo sapevano
tutti che la barriera, alla fine, sarebbe stata attivata.
Troppi i
Mangiamorte in libertà e alla ricerca di uno scontro, mortale o
inutile, non aveva molta importanza per persone spogliate dei loro
beni, dei loro titoli e del loro discutibile orgoglio.
S’incamminò
con qualche difficoltà, la sua gamba destra era ancora rigida.
Le nuove ossa e i muscoli ricostruiti sembravano aver deciso di non
ascoltare i suoi ordini, i suoi impulsi nervosi arrivava in differita
di qualche secondo, impedendole di camminare con il giusto e naturale
ritmo.
Così
zoppicando e tirando qualche spallata riuscì a raggiungere l’ascensore.
Era troppo
contenta di aver raggiunto l’angusto spazio che si accorse dell’altro
passeggero solo quando le porte si chiusero con uno scatto.
Capelli rossi.
Occhiali da vista che quasi
aumentavano i cerchi bluastri intorno agli occhi.
Mantello scuro e cravatta perfettamente al centro.
Insomma, Percy Weasley.
Entrambi si
erano accorti l’uno dell’altro, ma entrambi erano convinti che il
silenzio era l’unica arma da sfoderare.
-Allora, è
confermato?- chiese improvvisamente Audrey, ricordandosi dei tre suoni.
-Sì, è
stato appena confermato.- rispose meccanicamente Percy mentre la porta
si riapriva rivelando un corridoio pieno di persone che conoscevano.
Quando notò la difficoltà della ragazza nel camminare correttamente le
spalancò la porta e la lasciò passare per prima, beccandosi una
occhiata torva.
-Potrò dire
a mia nonna che ho appena visto l’ultimo gesto galante di questo
pianeta.- disse lei scuotendo la testa.
-Questa si
chiama educazione, non galanteria.- la corresse lui.
Audrey
scrollò le spalle ed alzò le mani verso l’alto. –Sì, scusi signor
agente. Non lo farò mai più.- disse lei ridacchiando.
Ma la sua
risata, la prima risata che Percy aveva mai udito uscire da quelle
labbra sottili, morì improvvisamente.
Gli occhi
della ragazza erano fermi a fissare un gruppo di persone.
Si
trattavano di Harry Potter, il Ministro Kingsley e il Capo Auror della
squadra Internazionale John Bolton.
-Che ci fa
lui qui?- ringhiò quasi Audrey.
Percy
attese qualche secondo prima di rispondere. –Le cose stanno
peggiorando.-
-Talmente
tanto da richiamare John Il Mannaro?-
-E’ il tuo
capo.- ribatté infastidito Percy. –Ed è a lui che devi chiedere se le
cose stanno peggiorando anche per te.-
Audrey lo
fissò seria per qualche secondo.
Notò che lo
sguardo corrucciato di Percy, gettava delle strane ombre sul suo volto,
come se la invitasse a scavare più a fondo.
Ma
cosa ne poteva sapere lei di un funzionario del Ministero?
Respinse
quella sua indole investigativa e si diresse verso quel gruppetto che
parolottava a bassa voce.
Quando
Audrey entrò nel campo visivo del suo capo, un’immaginaria folata di
vento aveva irrigidito i loro corpi e i loro sguardi.
-Ma guarda
un po’ chi c’è qui. Strano Rivers, non eri rimasta sepolta da qualche
parte?- domandò ridacchiando Bolton.
Audrey
sorrise alla battuta e fece uno strano inchino. –Come vedi sono ancora
in piedi. Mi piego, ma non mi spezzo e tu dovresti saperlo bene.-
Bolton, un
uomo non particolarmente alto, con lunghi capelli castani tenuti
raccolti in una sobria coda e il volto magro percorso da una leggera
cicatrice, sorrise.
-Già.-
sospirò teatralmente indicando la sua cicatrice. –La mia faccia ha
conosciuto il tuo furore, ma tu non hai ancora assaggiato quello che so
fare, mia cara.-
Audrey fece
una smorfia schifata. –La prossima volta che tenti di minacciarmi ti
prego scrivimi una lettera, altrimenti corro il rischio di
addormentarmi.-
Bolton
ridacchiò appena e le indicò una porta aperta, la ragazza sospirò
infuriata e zoppicando s’infilò nella stanza.
Percy si
sistemò gli occhiali con energia.
Non era la
prima volta che vedeva Bolton, ormai nelle ultime settimane era
diventato parte integrante del gabinetto del Ministero, ma mai lo aveva
visto parlare in quel modo.
Da quel che
aveva capito, Audrey Rivers oltre ad essere un Auror aggressivo e
spietato, era pure l’insolenza fatta persona.
Il suo
sguardo perplesso incrociò quello confuso di Harry.
-Ma che è
successo?- chiese il giovane Grifondoro.
-Non ne ho idea.- rispose Percy.
[Ringrazio
coloro che hanno letto fino a qua, questo ennesimo capitolo! Buona
Navigazione e Lettura!^^]
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Capitolo 6 *** Past ***
#Past
C’era qualcosa di irritante nella strana uniforme dei maghi di Bolton,
gli Auror della sezione Internazionale, quei colori scuri,
quell’accenno di verde.
Lo riportava indietro a qualche anno prima, a quella sera in cui aveva
conosciuto il perdono, la fratellanza ed infine la morte.
Audrey se ne stava in un angolo, isolata dagli altri, con una strana
espressione fissava Bolton accerchiato da decine di altri Auror e
sembrava quasi volesse ucciderlo con lo sguardo.
Percy si avvicinò porgendole un pesante fascicolo dalla copertina rossa.
-No.- disse solamente la ragazza fissandolo. –No, non può essere questo
il mio nuovo compito.- sibilò lei guardando schifata le centinaia di
pergamene.
-Sono gli ordini di Bolton.-
-Finirò per ammazzarlo.- ironizzò lei. –Ucciderò il Primo Ministro
Babbano alla prima occasione.-
Il giovane funzionario alzò il sopracciglio. –Tu non sei normale.-
commentò secco.
-Già, mia nonna mi diceva sempre che mio padre mi aveva fatto cadere
dalla sedia a tre, questo piccolo evento mi ha spappolato il cervello.-
disse sovrapensiero mentre scorreva velocemente le pagine del fascicolo.
Percy la fissò in silenzio.
Non capiva quelle strane sensazioni che negli ultimi giorni lo avevano
fatto dormire dormire poco e mangiare ancora meno del solito.
Si sistemò nervosamente la cravatta e gli occhiali.
-E’ vero? E’ vero quello che si dice in giro su di te.-
Silenzio.
Audrey rabbrividì quando sentì quelle poche parole e per poco non fece
rovesciare il fascicolo.
S’irrigidì e cominciò a sentirsi in trappola.
Ancora una volta, la sua fama, l’aveva preceduta.
Ammazza Compagni.
Era con quel soprannome che molti la chiamavano nell’ambiente.
Negli anni aveva avuto molti compagni, troppi erano caduti durante la
guerra, durante le missioni.
Ma un solo evento l’aveva trasformata da bravo Auror a mostro.
La morte del nipote di Bolton.
Deglutì la saliva che le impediva quasi di respirare e sollevò lo
sguardo.
Prima regola di un Auror, mai avere paura.
-Sì, è vero. John Bolton era ferito gravemente e per non portarmi pesi
morti in giro per le Alpi, io …- Audrey si bloccò cercando di reprimere
il velo di rabbia e terrore che spuntavano dai suoi occhi, trasformati
in lacrime. –Io
l’ho lasciato indietro.-
E poi solo il silenzio.
Nella sua vita breve aveva visto molto.
Aveva vissuto fin troppo.
Aveva conosciuto le sfumature dei difetti degli esseri umani, la
codardia, la rabbia, la frustrazione, i sensi di colpa, il vittimismo.
Le aveva conosciute tutte e riusciva a viverle ormai con una certa
serenità, convinto di non poter essere nient’altro che il “Weasley che tradì”.
Eppure per la prima volta si ritrovò a pensare che forse c’era chi
soffriva di più, chi aveva pene più grandi da sopportare.
Quando Audrey aprì gli occhi, li richiuse immediatamente.
Odiava dormire.
Odiava rivivere il passato.
Li aveva rivisti, di nuovo.
John, Mace, Florence, Patrick.
Li aveva persi, di nuovo.
Solo che stavolta, in quell’incubo, anche lei era morta.
Una maledizione senza perdono l’aveva colpita alla schiena,
scaraventandola a terra, risucchiandole la vita, impedendole di
respirare, lasciandola morire.
Deglutì e si mise a sedere, scalciando le coperte e accendendo la luce.
No, non era morta, constatò quando si guardò attorno, e nulla poteva cambiare
il passato.
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Capitolo 7 *** Winds of War ***
#Winds of War
Non dormiva da giorni.
Non dormiva da settimane.
Le sue occhiaie ormai facevano parte del suo viso, come se fossero un
nuovo organo, un nuovo naso.
La sala riunione del Consiglio della Difesa era nuovamente vuota.
L’ultima riunione era stata sciolta qualche ora prima, i generali e
comandanti era ormai sulla via del ritorno alle loro basi, magari
alcuni di loro avrebbero abbracciato per l’ultima volta figli e moglie.
L’indomani mattina, l’Inghilterra si sarebbe dichiarata favorevole o
contraria alla guerra.
Audrey respirò rumorosamente mentre guardava la cartina dell’Europa
lasciata al centro del lungo tavolo.
-Credi che sia una buona idea, Sergente Rivers?- chiese una voce che
spuntò dietro le sue spalle.
Nella stanza era appena ricomparso il Primo Ministro, fra le mani
teneva due bicchieri di Whisky.
Audrey prese un bicchiere, cercando di fermare il tremolio alla mano.
Il suo corpo non era del tutto guarito e lei lo stava spingendo al
massimo.
Bevve tutto il solo sorso e si sedette di fronte al Ministro.
-Ho sentito che non sei favorevole alla guerra.- disse solamente.
-La Francia è ben armata, ha un numero maggiore di persone e quindi di
futuri soldati e un paese troppo vasto da bombardare tutto in una
notte.-
-Ma non conti in fattore americano.-
-Io non mi fiderei di quei gradassi, ma è lei per fortuna il Ministro,
sta a lei e al Parlamento scegliere.-
Il Ministro si toccò più volte in naso. –Cosa pensi dei … Di quelli
come te?-
Audrey s’irrigidì. Si era preparata a quella domanda, da molto tempo
ormai il Ministro era accerchiato da richieste e sollevazioni popolari.
La gente chiedeva sangue, ma non aveva idea di quanto distruttiva
poteva essere un’altra guerra.
-Purtroppo, anche in quel mondo, la mia parola non conta nulla.-
Il Ministro sorrise e annuì. –Capisco, ma dimmi, voi potete darci una
mano … -
-Noi combatteremo quelli come noi che si arruoleranno negli eserciti
nemici. Nulla di più, nulla di meno. Ma le consiglio di parlare con il
nostro Ministro.- rispose Audrey indicando il camino.
Il Ministro Babbano seguì il suo sguardo incerto. –Ma come diamine ci
riuscite? E’ chimicamente impossibile. Va contro tutte le nostre leggi.-
Audrey sorrise e si alzò, prese un po’ di Metropolvere che teneva in un
sacchetto in tasca.
Si girò verso il suo superiore, gettò la polvere e le fiamme guizzarono
verso l’alto, lingue di fuoco verdi e gialle. –Pura magia, Ministro.-
Percy alzò lo sguardo dalla pila di documenti che stava esaminando alla
sua scrivania quando un messaggio planò verso di lui.
Lo prese al volo, nonostante i suoi muscoli si fossero atrofizzati dal
troppo lavoro.
Kingsley lo stava convocando per una straordinaria riunione del
gabinetto sull’emergenza Babbana.
Percy stracciò il foglietto e lo gettò nel piccolo cestino affianco
alla grande scrivania.
Si passò le mani sul volto e cercò di trovare la forza di alzarsi ed
essere impeccabile.
Un’altra serata in bianco.
Un’altra ancora e sarebbe morto.
Si alzò lentamente ed indossò il mantello, mentre camminava lentamente
cercò di sistemarsi la cravatta con pochi risultati.
Entrò nella sala delle riunioni e salutò con un cenno Kingsley.
-Sembra che l’intero mondo si sia messo contro di me, non riesco più a
dormire per più di tre ore.- sbuffò il Ministro magico mentre apriva
una cartelletta ed esaminava diverse pergamene.
-Già. Il mondo è impazzito.- fu l’unico commento di Percy prima che due
persone entrassero nella sala. Riconobbe subito il nuovo Premier
Babbano, un certo Jhonson, e Audrey Rivers.
O almeno l’ombra di Audrey Rivers.
Doveva aver perso tutti i chili accumulati durante la degenza in
ospedale, gli occhi erano cerchiati di blu, il volto scavato e stanco,
la camminata ancora insicura e zoppicante.
-Il vostro palazzo e le vostre … Tecnologie , sono ammirevoli.- esordì
Jhonson. –Sergente ora può aspettare fuori.- disse dando una leggera
pacca sulla spalla, pacca che stava per farla praticamente inciampare.
-Percy, Rivers m sembra messa male, vedi cosa puoi fare.- ordinò
Kingsley mentre si alzava per stringere la mano all’altro Ministro.
Percy se ne andò bruscamente , decisamente irritato dal non essere
stato estromesso dal colloquio.
Aprì la porta deciso ad ignorare Audrey quando se la trovò a terra
seduta mentre fissava il vuoto.
-Shacklebolt deve convincerlo a smetterla di fare lo stronzo o sarà la
fine per i Babbani.- disse continuando a fissare il suo punto
immaginare.
Chissà cosa vede, oltre il muro, oltre lo spazio intorno a sé? Si
domandò Percy, lasciandosi scivolare accanto a lei, anche lui stanco,
anche lui distrutto.
-Quando?-
-Domani mattina ci sarà la discussione con la Regina, l’unica
contraria, e il Parlamento. La vedo dura per i pacifisti.-
-Il popolo che dice?-
Audrey scrollò le spalle e si girò a fissarlo. –Il popolo non è
importante per quelle teste calde del Consiglio di Difesa.-
-Hai una brutta cera, comunque.- le disse cercando di non sembrare
troppo maleducato. Una volta Fred gli aveva detto che alle ragazze
andavano solo fatti complimenti e sorprese. E quella frase non era
nemmeno lontanamente vicina a un complimento.
Audrey ridacchiò. –Oh, devo essere proprio evidente questa cosa.-
-Vuoi del caffè? Nel mio studio ne ho una caraffa piena.- propose lui
alzandosi.
Percy tese una mano e Audrey l’afferrò.
La sua mano era calda, molto più calda della sua, e quando si ritrovò a
qualche centimetro dal suo corpo sentì un leggero odore di muschio,
stanchezza e di maschio.
Sorrise.
Mai avrebbe pensato a Weasley in quel
senso.
Lo seguì in silenzio, cercando di reprimere quello strano sorriso di
derisione e simpatia che le era spuntato e alla fine si sedette accanto
a lui su un divano duro e una tazza di caffè nero fumante.
-Ormai il caffè non mi fa più effetto.- disse lui mentre lo sorseggiava
cercando di non scottarsi.
Percy annuì e le sorrise appena. –Immagino che tu non dorma da
settimane.-
-Settimane o mesi? No me lo ricordo.- ripose lei alzando le spalle. –Ma
nemmeno tu sembri fresco come una rosa.-
-Diciamo che qui abbiamo avuto solo qualche intoppo.-
-Beati voi.-
Seguì un lungo silenzio, un silenzio rotto solo dai venti di guerra che
ormai soffiavano in ogni ufficio, nei cuori di ogni mago.
-Se dovessi … Se dovessi andare direttamente al fronte, potresti
occuparti di una cosa?- domandò improvvisamente Audrey stringendo
entrambe le mani intorno alla tazza, il volto rivolto verso l’imponente
scrivania.
-Di che genere?-
-Io ho solo due parenti in vita. Mio zio è un Babbano e vive in
Sudafrica, mentre mia nonna vive ancora in Scozia. Se dovessi morire … -
-Non succederà.- interruppe bruscamente. –Non morirai Audrey.- si
avvicinò appena, la mano che ghermiva la spalla.
-La possibilità, una grande percentuale, è a favore della mia morte. E’
un semplice dato di fatto.- rispose lei tirando fuori dalla tasca dei
jeans una busta blu. –Qui dentro c’è il mio testamento. Non ho molto,
ma quel poco voglio che venga venduto e i soldi equamente divisi fra
mia nonna e mio zio.- lasciò la lettera sul tavolino.
-Perché a me?- chiese Percy.
-Perché sei uno dei pochi che non mi guarda come se fossi un mostro.-
-Ma tu non sei un mostro.-
Un gruppo alla gola impedì a Audrey di rispondere. Irritata cercò di
asciugare e scacciare via le lacrime silenziose che scendevano lungo il
suo volto.
E Percy seppe cosa fare.
Le pulì una guancia con le sue lunghe dita e l’abbracciò.
Un gesto spontaneo.
Un gesto gentile.
L’ultimo gesto umano prima della
guerra.
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Capitolo 8 *** Ready for the Battle ***
#Ready for the Battle.
Si svegliò di soprassalto, con la nuca sudata e la bocca spalancata in
un grido silenzioso.
Un mantello era stato posato sul suo petto e lo lasciò scivolare a
terra, mentre passandosi le mani sul volto e riprendendosi.
Percy si alzò dalla poltrona in cui aveva cercato di dormire
nell’ultima ora e si avvicinò.
-Ehi … - le disse avvicinandosi. –Ti sei addormentata e … -
Audrey si voltò bruscamente a guardarlo.
Forse solo in quel momento ricordò le sue lacrime, quell’abbraccio
spontaneo, quelle parole di conforto appena sussurrate.
-Sto bene …- disse appena alzandosi. –Sono già le cinque, devo andare.
Il Ministro?-
-Shacklebolt è ancora con il Ministro Babbano stanno mangiando in
mensa, su al terzo piano.-
Audrey si lasciò andare a un sospiro di sollievo.
Non avrebbe dovuto dormire ed allontanarsi per così tanto tempo dal
Ministro Jhonson.
Ancora poche ore e mezza Inghilterra avrebbe preso in mano un fucile o
una bacchetta per difendere le loro case e la loro gente.
Pronti per la
battaglia.
-Okay, allora vado a raggiungerlo. Se beve troppo, si addormenterà
durante le sedute parlamentari e allora sì che scoppierà una guerra.-
mormorò cercando di sdrammatizzare.
Non aspettò la sua risposta, prese la sua giacca e si allontanò con
passo ancora incerto, ma più lucido verso la porta. –Alla prossima,
Weasley.- disse soltanto facendo un breve cenno con la testa.
-Alla prossima, Rivers.- rispose Percy, fissandola confuso mentre lei
chiudeva la porta con delicatezza.
E il suo sguardo, ancora stanco e coperto dalle occhiaie, si fermò
sulla busta blu lasciata sul tavolino.
No, lui non era l’uomo giusto per queste cose.
Lui non poteva e non doveva ispirare fiducia, in nessuno.
Un tempo forse avrebbe gioito e si sarebbe sentito orgoglioso di essere
un custode di un segreto così importante.
Ma ora, alla sola idea che qualcuno come Rivers, una ragazza in balia
degli eventi come lui, potesse anche solo sperare di morire e
cancellare parte del suo dolore e nonostante tutto avesse ancora
fiducia nelle persone, lo ripugnava.
Lui non sapeva cosa significasse
avere fiducia.
Audrey si guardò nello specchio posto sopra un lungo lavandino.
Passò una mano bagnata lungo il proprio viso e cercò di sorridere.
Un sorriso d’incoraggiamento.
Sì, ce la poteva fare in pochi minuti, gli sarebbe costato solo una
lunga sforbiciata sicura e letale e sarebbe stata pronta per
presentarsi.
Guardò la forbice che teneva nell’altra mano e fissò la sua lunga
treccia.
-I capelli ricrescono.- mormorò incerta. –E poi tanto non uscirò viva
da quel mattatoio …-
Due notti prima, il Ministro le aveva affidato una squadra
specializzata in perlustrazioni che sarebbero entrati in azione dopo le
pesanti incursioni aeree.
Ma prima di tutto ciò, Audrey doveva tagliarsi i capelli.
E per la prima volta odiò
profondamente il suo lavoro.
Arthur piegò il giornale e lo lanciò nel caminetto non appena sentì i
passi strascicati di Percy, ancora addormentato ma già pronto per una
lunga notte di lavoro.
-Figliolo, vuoi del caffè?- domandò il padre indicando la tazza e la
caffettiera ancora fumante.
Percy annuì distratto e si lasciò cadere sulla prima sedia che trovò.
Aveva trovato la forza per vestirsi e scendere dopo appena tre ore di
sonno e ora era di nuovo in piedi e seguire i bombardamenti inglesi in
territorio francese.
-A che ora cominciano?- chiese Arthur.
-Non ci è stato detto niente, solo di presentarsi all’una.- rispose
Percy bevendo la sua tazza.
-Credi che … Credi che possano contrattare?- Arthur fissò le fiamme,
grigio in volto. –Non sono sicuro di quanto gli inglesi in generale
possano resistere.-
Percy scrollò le spalle. –Io ho solo brutte sensazioni.- si alzò
bruscamente. –Papà, mi raccomando se gli aerei francesi superano la
linea britannica, potrebbero arrivare fin qui. Andate in cantina o a
Hogwarts, che ancora meglio. Lì sarete al sicuro.-
Arthur annuì lentamente. –E tu?-
-Io andrò al Ministero e rimarrò con Kingsley fino alla fine. Quando
sarà tutto finito vi verrò a cercare.- disse velocemente Percy
mettendosi il mantello. Stava per smaterializzarsi quando sentì la voce
stanca ma gentile di suo padre.
-Sono orgoglioso di avere un figlio come … -
Sorrise e si smaterializzò.
Si accese una sigaretta e la lasciò in bilico fra le labbra sottili.
Fumava raramente e quando sentiva il bisogno di avere quel veleno nei
polmoni era perché era certa che l’ora dopo o il giorno dopo non
avrebbe più potuto respirare di nuovo.
Fissò distrattamente i maghi e le streghe che si stavano riunendo in
piccoli gruppi per parlare e discutere o semplicemente confortarsi.
Si sentiva molto lontana da loro, lontana da quelle vesti svolazzanti,
dai copricapi pesanti, mantelli scuri o ricamati, scarpe dalla suola
dura.
Lei stava bene con la sua divisa di soldato Babbano.
La sua pelle sembrava gioire a contatto con la stoffa dura, quasi
ingessata, di quel verde scolorito.
Il suo capo desiderava solo indossare quel basco scuro con la stella e
le sue spalle adoravano il leggero peso del metallo e delle medaglie.
Ne aveva qualcuno, ma la più importante la conservava dentro il
taschino interno.
Schiacciò la sigaretta contro il tacco della scarpa e ne accese subito
un’altra e lasciò che una boccata di fumo le coprisse la visuale.
Non voleva vederlo ora.
Lui sapeva troppe cose.
Non voleva vedere quegli occhi
gentili ed educati che l’avevano fatta cedere qualche sera prima.
Non voleva vedere
colui che aveva conosciuto la sua debolezza.
Percy la fissò mentre si toglieva alcuni bottoni della giacca e si
sedeva di fronte a diversi schermi, le sue dita vagavano sicure fra
centinaia di bottoni, fili, pulsanti, schermi più piccoli e scritte in
altre lingue.
-Ho sentito che Rivers è stata assegnata alla squadra d’assalto che
dovrebbe invadere Calais e impossessarsi del porto.- disse Kingsley
sedendosi accanto al suo vice.
Percy aggrottò la fronte. –Davvero?-
Il Ministro strinse le labbra in una strana smorfia. –Già e la cosa non
mi piace. E’ fra i migliori Auror che abbiamo ora. Certo non brilla per
le indagini, ma dalle un obiettivo da colpire e lei lo farà … Ma
stavolta non credo che riuscirà a tornare.- disse con un soffio di
voce.
Percy sentì una strana sensazione. –Perché deve andare a lei? Potremmo
chiedere a Bolton di darle qualcos’altro da fare.-
Kingsley scrollò le spalle. –E’ lei che la chiesto. Si è messa
d’accordo con Jhonson e il Consiglio di Difesa Babbano. Con lei ci
saranno due maghi spagnoli, una strega greca e un centinaio di soldati
Babbani super addestrati.-
Improvvisamente un suono forte, quanto una sirena che passava proprio
accanto a loro, li zittì.
Audrey e l’altro soldato si alzarono in piedi dalle loro postazioni,
con ancora le cuffie alle orecchie.
-Siamo noi? Vero?- chiese la ragazza.
L’altro soldato si voltò a fissarla brevemente per poi spostare lo
sguardo lungo i macchinari. –Non credo. Sono le 0.45. Noi avremmo
attaccato all’una. Ci hanno anticipato.-
Audrey si precipitò ad accendere e a sedersi.
-Qui è Rivers. Qui è il Sergente Maggiore Rivers alla postazione Red5,
chiedo conferma dell’attivazione della sirena anti-aerei. Passo.-
Una strano suono pervase l’aria e una voce distante e gracchiante
parlò. –Qui è la postazione RedOne, confermo attivazione sirena.
Inoltro messaggio generale, attacco aereo in Cornovaglia
Settentrionale. Torquay distrutta. Passo.-
-RedOne, ci sono ordini di tipo sette. Passo.-
-Red5, la 42° divisione dell’esercito di terra e la Great della Marina
sono lì. C’è un richiamo generale per tutti i Sergenti Maggiori,
rientrare alla base di appartenenza subito e aspettare ordini
superiori. Passo e chiudo.-
Audrey fissò lo schermo dove dei puntini bianchi comparire e scomparire
sempre più.
Si alzò bruscamente e si voltò verso il piccolo gruppo di persone che
in silenzio aspettavano una qualunque notizia.
-Siamo stati colpiti per primi. Torquay è sotto fuoco nemico. Tutti i
soldati sono stati richiamati alle divisioni di appartenenza.- disse
solamente. –Rimarrà con voi il soldato Garcia.- si tolse le cuffie e
riprese il basco.
-Nessun ordine per noi?- domandò Kingsley.
-Per ora no.- scosse la testa. –Siamo stati presi un po’ di sorpresa ma
ora dobbiamo contrattacare.-
-Buona fortuna, Rivers.- disse il Ministro stringendole la mano.
-La fortuna ci servirà a poco, ma grazie …- rispose lei ironica.
Rivolse un ultimo sguardo a Percy.
Un ultimo sorriso.
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