23
DICEMBRE
Saint
Vincent Hospital – Blacksburg,
Virginia
“Ciao!”.
La
voce squillante di un bambino ruppe il silenzio che c’era nella stanza.
Mattie
finse di non aver sentito e continuò a tenere gli occhi chiusi. Non
aveva
proprio voglia di parlare con nessuno. Specialmente con un bambino.
Erano
sempre troppo invadenti.
“Ciao”,
ripeté la voce. “Sei sveglia?”.
“Se tengo gli
occhi chiusi e non
rispondo, perché mai dovrei essere sveglia?” pensò tra sé,
continuando a
fingere, anche se era evidente a lei stessa l’illogicità del suo
ragionamento.
“Ciao,
sei sveglia?” insistette la voce, questa volta accompagnata da una
manina che
tirava il lenzuolo con insistenza.
Come
volevasi dimostrare: i bambini erano mocciosi invadenti.
“Adesso
sì”, rispose secca, sperando di scoraggiare immediatamente il piccolo
intruso.
Doveva avere sì e no cinque anni, sei al massimo, si disse
osservandolo. Era
davvero uno scricciolo: piccolo e magro, ma con due occhioni blu che
brillavano
nel visino quasi esangue, incorniciato da cortissimi capelli neri.
Sembrava che
fossero stati appena tagliati col rasoio, tanto erano corti; oppure
sembrava
che fossero appena ricresciuti.
“Come
ti chiami?”, chiese il bambino.
Con un
sospiro rassegnato, la ragazza rispose: “Mattie”.
“Io mi
chiamo Timothy, ma tutti mi chiamano Timmy e sono un aiutante di Babbo
Natale!”
precisò, orgoglioso, il bambino.
“Ah
sì?” domandò la ragazza, in realtà più scettica e sarcastica di quanto
avrebbe
davvero voluto essere. Ma quell’anno lei e Babbo Natale non si erano
proprio
capiti.
“Non
mi credi, vero?” chiese il bambino.
“Sì…
sì… certo”, cercò di rassicurarlo lei. In fondo era ancora troppo
piccolo per
scoprire che Babbo Natale non esisteva.
Ma non
dovette essere stata troppo convincente, perché il bambino aggiunse:
“Te lo
posso provare, sai? Scommetto che indovino esattamente cosa vorresti
per
Natale!”.
“Io
non voglio nulla”.
“E’
impossibile. Tutti vogliono qualcosa…”.
“Ti ho
detto che non voglio nulla”.
“Non
ti piacciono i regali?”
Mattie
non rispose.
Certo,
a chi non piacevano i regali? Ma da quando sua madre era morta, nessuno
gliene
aveva più fatti, meno che meno la vita… sempre che non dovesse
considerare il
suo incidente come un “regalo di Natale” anticipato.
“Pensaci
bene…” sentì dire al bambino, quasi avesse espresso ad alta voce il suo
pensiero ed egli lo avesse sentito. Eppure era certa di non aver
parlato.
Ad
ogni modo il piccolo aveva ragione: la vita le aveva fatto un regalo…
Harm.
Peccato
che avesse deciso di toglierle anche quello.
“Io ho
domandato a Babbo Natale di farmi diventare un bell’angelo…” aggiunse
il
bambino, dopo un attimo di silenzio.
“Un
angelo? Perché?”.
“Mi
piace volare”, fu la risposta di Timmy.
“Anche
a me piace volare. E anche ad un mio amico… lui è un vero pilota!”
disse
Mattie.
“Davvero?
Ma allora vola tanto in alto! Io non so se ci riuscirò, perché non sarò
mai un
angelo bello…”.
“E
perché no? Sei così carino…”.
“Gli
angeli sono tutti biondi e con tanti capelli con i ricci lunghi…”.
“Beh…”
non seppe che rispondergli. Timmy parlava di angeli in maniera molto
seria.
“Comunque
avrò anch’io due ali bianche. Babbo Natale me lo ha promesso. Devo solo
riuscire a fare ancora una cosa… per bene, come vuole lui”.
“Che
cosa?” domandò Mattie.
“E’ un
segreto…”.
“Non
me lo puoi proprio dire?”.
“Devo
aiutare Babbo Natale!”.
“A
fare cosa?”
“Ma
quello che fa Babbo Natale, no? Ora vado, ciao ciao…”.
E
prima che Mattie potesse aggiungere o domandare altro, era già
scomparso.
Ufficio
del Capitano Rabb – Londra
Perché
sentiva così tanto la sua mancanza eppure continuava a provare
quell’irrazionale senso di paura all’idea di lasciare tutto quanto e
stare con
lei?
Il
giorno prima, dopo la sua telefonata, era dovuto uscire… si sentiva
soffocare.
Dall’ansia e dalla rabbia. Ansia per quello che lei gli stava
chiedendo; e
rabbia perché sapeva che aveva tutti i diritti di domandarglielo, ma
nonostante
tutto, sapeva anche che non sarebbe riuscito a darle ciò che lei voleva.
Perché,
dannazione a lui, quella notte a Washington si era lasciato trasportare
da ciò
che da tempo provava per Mac e aveva fatto l’amore? Sapeva che sarebbe
stato
ancora più difficile… ma per un momento aveva sperato che ciò che
sentiva per lei
fosse tanto forte da fargli superare tutti i suoi timori.
Invece
era proprio l’amore e il desiderio per Mac a farlo fuggire… e a fargli
provare
tutta quella paura all’idea di legarsi per sempre a lei.
E se
l’avesse persa, come lui e sua madre avevano perduto suo padre?
Sapeva
che il suo era un ragionamento assurdo e irrazionale, ma non poteva
farci
nulla… certe ferite non si rimarginano mai, neppure dopo anni.
Aveva
colto la disperazione negli occhi di sua madre quando aveva saputo di
essere
rimasta vedova; per mesi l’aveva sentita piangere a letto,
inconsolabile. E
anche lui, bambino, aveva pianto per notti e notti, finché non si
addormentava,
sfinito dal dolore e da quell’ incolmabile senso di vuoto che ancora
ora, a
volte, lo tormentava.
L’unica
differenza era che da quando era fuggito da Mac, non era più certo che
la
tristezza che provava nel cuore fosse ancora legata al ricordo del
padre; ultimamente
si era convinto che fosse lo struggente rimpianto di essere fuggito
dall’amore.
Eppure
era più forte di lui… non riusciva proprio a lasciarsi andare.
Si
abbandonò sulla poltrona, reclinando il capo all’indietro a fissare il
soffitto.
Si
sentiva esausto.
Non
immaginava proprio che fuggire dalle proprie emozioni e dai propri
sentimenti,
potesse essere quasi più estenuante che affrontarli.
La
voce all’interfono gracchiò metallica:
“Capitano,
c’è qui un signore che desidera vederla”.
Con un
sospiro chiese: “Di chi si tratta?”
“E’ un
signore anziano… dice che lei non la conosce, ma che deve dirle
qualcosa”.
“Come
si chiama?”
Sentì
all’apparecchio che il tenente Leach si rivolgeva al signore, per
sapere il suo
nome.
Passò
qualche minuto, senza ricevere risposta. Spazientito domandò
all’apparecchio:
“Allora,
tenente? Di chi si tratta?”
Nessuna
risposta.
“Tenente…”
ripeté con voce più autoritaria.
“Signore…
se n’è andato”, rispose il tenente.
“Andato?
E dove?”
“Non
lo so, Signore. Non ha detto nulla, neppure il suo nome. Ha lasciato
soltanto
un biglietto, pregandomi di consegnarvelo…”
“E che
aspetti a farlo?”
“Ecco,
io… Sissignore, subito signore…” lo sentì dire, e un attimo dopo
compariva
sull’attenti alla sua porta.
“Grazie
tenente”, lo congedò, dopo che gli ebbe consegnato il biglietto, in una
busta
chiusa.
Incuriosito
si soffermò ad osservare la grafia che aveva scritto semplicemente
“Capitano Rabb”
sul davanti della busta: nessuna calligrafia nota.
Aprì
la lettera, impaziente di scoprire cosa vi fosse scritto.
Su un
solo foglio bianco, poche parole e una firma.
“Capitano,
non
commetta il mio stesso errore. E. Scrooge”
E chi
accidenti era questo Scrooge?
“Tenente…
mi descriva quell’uomo” disse al suo assistente, affacciandosi alla
porta.
“Beh…
sulla sessantina, forse anche qualche cosa in più, piuttosto alto e
parecchio
robusto; un paio di occhiali in metallo e capelli, baffi e barba molto
lunga
bianchi. Anche i capelli gli arrivavano quasi alle spalle…”.
“Sembra
che stia descrivendo Babbo Natale, Tenente”.
“No,
Signore. Non indossava abito e cappello rossi…”
“Ovvio
che no, Tenente”, disse accondiscendente. Il Tenente Leach, a volte,
per la sua
ingenuità gli ricordava tanto il Bud dei primi tempi.
“Giusto,
Signore.”.
“Era
solo?”
“Sì,
Signore. Ma quando se n’è andato all’improvviso,
mi sono affacciato alla
finestra e l’ho visto che parlava con un
altro signore, anche questo molto anziano. Forse il biglietto non era
suo, ma dell’altro
vecchietto…”.
Poteva
essere un’ipotesi. Ma comunque non spiegava chi fossero i due uomini,
né a cosa
si riferisse il messaggio.
E,
soprattutto, non gli chiariva come mai il nome Scrooge gli suonasse
addirittura
familiare.
Saint
Vincent Hospital – Blacksburg,
Virginia
“Ciao,
Mattie”.
Per la
seconda volta in quella giornata la salutarono, nonostante avesse gli
occhi
chiusi. Probabilmente non riusciva molto bene a fingere di dormire.
Aprì
gli occhi e si trovò di fronte il volto sorridente del Colonnello
Mackenzie.
“Mac…”
disse sorpresa, immediatamente guardandosi attorno, alla ricerca di
qualcuno.
“Harm è con te?”, chiese fiduciosa, prima che lo sguardo triste e quasi
colpevole della donna infrangesse le sue deboli speranze.
“Allora
non verrà davvero?”.
“Mi
spiace, Mattie. Harm deve lavorare…”.
“Tutte
scuse, Mac. Intanto lo so che non è quello il vero motivo…” disse
sconsolata.
“Lui non sopporta di vedermi immobile in questo letto.”.
“Non è
vero!”, la interruppe Mac, con enfasi.
“Non è per causa tua…”.
“Che
cosa intendi?”
Vide
la donna abbassare lo sguardo per un attimo, quasi fosse indecisa se
dirle
tutto quanto. Poi, tornando a guardarla negli occhi finalmente si
spiegò:
“E’ a
causa mia, Mattie, che Harm non torna”.
“Ma
non dovevate sposarvi? Non erano questi i vostri progetti?”.
“Così
credevo anch’io… Ma temo che Harm abbia cambiato definitivamente idea a
riguardo…”.
“Perché,
Mac?”.
“Credo
che Harm abbia così tanta paura di legarsi a qualcuno da preferire
addirittura
non farlo. Per questo motivo non torna: non vuole essere costretto a
rivedere
me. Gli ho persino detto che non è necessario che mi riveda…
l’importante è che
passi il Natale con te, ma… sai com’è fatto Harm, Mattie…”.
La
ragazza la osservò attentamente e si rese conto di quanto la donna
fosse
triste.
“Tu lo
ami molto, vero?”.
“Sì”,
rispose Mac.
“Anch’io
gli voglio tanto bene. Ma questo, a lui, sembra non importare granché…”.
Appartamento
del Capitano Rabb – Londra
Non
riusciva a prender sonno, così si era alzato e, cosa per lui insolita,
si era
seduto sul divano, davanti alla televisione. In quell’appartamento
ammobiliato
che gli aveva fornito la Marina di televisori ce n’erano ben due: uno
nella
zona giorno, l’altro addirittura in camera da letto.
L’aveva
acceso su uno degli innumerevoli canali a caso, si era trovato una
posizione
comoda sul divano (cosa non facile, vista la sua stazza) e aveva
cercato di
addormentarsi come sentiva dire succedeva a molti (forse anche per
questo c’era
chi apprezzava l’apparecchio anche in camera da letto).
Dopo
un notiziario, un programma d’intrattenimento (all’una e mezza di
notte?) che
tentava, per altro senza granché riuscirci, di offrire un blando
tentativo di
approfondimento di alcuni temi di attualità, e un programma culturale
che
trattava di libri, decise che la TV a lui non conciliava affatto il
sonno e
finalmente la spense.
Spinto
probabilmente dal programma appena visto, si avvicinò ai tre scaffali
sulla
parete opposta dove, ben allineati, vi erano diversi libri.
Diede
una rapida scorsa ai titoli, scoprendo che vi era qualcosa per tutti i
gusti:
dal romanzo d’avventura al legal-thriller, dal genere fantasy fino ad
arrivare
ai classici. C’era persino, a giudicare dal titolo e dall’immagine in
copertina, qualche romanzo d’amore, probabilmente pensato per ufficiali
di
sesso femminile. Quando scoprì tra i classici persino i Racconti di
Natale di
Dickens, sorrise divertito: chi aveva studiato come arredare
quell’appartamento
aveva pensato proprio a tutto!
Un
libro per ogni occasione.
Non
sapendo cosa scegliere, decise di assecondare il pensiero
dell’arredatore e di
rimanere in tema; scelse quindi proprio la raccolta di racconti
natalizi, restando
pure sorpreso nell’accorgersi che si trattava davvero di un libro e
non, come
aveva per un attimo sospettato, di un semplice involucro in cartone
atto a
riempire lo scaffale per fare bella figura.
Il
volume era un’edizione economica, con la copertina morbida, e sembrava
non
essere mai stato neppure sfogliato, la qual cosa non lo sorprese
affatto.
Sulla
copertina bianca spiccavano il titolo del libro in rosso, il nome
dell’autore
in verde e i titoli dei cinque racconti in nero; sotto a tutto questo
vi era
l’immagine di un vecchio signore con un paio d’occhialini in metallo,
baffi,
lunga barba e capelli bianchi, davanti ad un librone aperto, nell’atto
di
pensare prima di scrivere con una penna d’oca, anch’essa verde, su di
un
piccolo quaderno che teneva tra le mani… alle sue spalle, sfumati, i
volti di
diversi bambini. L’immagine sembrava suggerire che il vecchio fosse
Babbo
Natale intento a decidere sui regali da fare ai bimbi, ma senza il
classico
costume rosso… un po’ come la descrizione del signore che lo cercava
quel
pomeriggio, accuratamente fattagli dal tenente Leach.
Saltando
del tutto la prefazione, si accinse a leggere il primo racconto, ‘A
CHRISTMAS
CAROL’.
Un
Canto di Natale…
Il
titolo gli sembrava familiare: un cartone animato di Walt Disney che
ricordava
d’aver visto qualche anno prima con il piccolo AJ, gli sembrava avesse
un
titolo simile… se non si sbagliava c’era un avarissimo zio Paperone che veniva spaventato e
trascinato a destra e
manca da alcuni fantasmi… AJ era buffissimo perché ripeteva quasi le
stesse
espressioni terrorizzate di zio Paperone ogni volta che compariva un
nuovo
spettro.
Dopo
poche pagine si rese conto che il cartone animato doveva essere la
parodia in
chiave disneyana del celebre racconto. Ma soprattutto capì perché il
nome
Scrooge, quel pomeriggio, gli era suonato così familiare.
Lesse
d’un fiato tutto il racconto, deciso a quel punto di scoprire cosa
diavolo
voleva dire il biglietto che aveva ricevuto. Quando terminò era punto e
a capo.
Il
sonno non era arrivato e neppure una spiegazione.
Perché
quel tipo si era firmato come Ebenezer Scrooge, il protagonista di un
racconto
natalizio scritto più di centocinquant’anni prima? (Rifiutava
categoricamente
l’ipotesi che il tizio si chiamasse davvero così).
Come
faceva a sapere il suo nome e il suo grado?
E,
soprattutto, perché mai gli suggeriva di non commettere gli stessi
errori di
zio Paperone, alias Ebenezer Scrooge?
Lui
non era ricco; né come il personaggio di Dickens, né tanto meno, come
il papero
più famoso del mondo. E non era neppure avaro quanto loro.
Perché
mai quel vecchietto si preoccupava tanto?
Diede
un’occhiata all’orologio e scoprì che erano quasi le quattro del
mattino e il
sonno non accennava a venire; rassegnato a trascorrere la notte
insonne, si
mise più comodo, voltò pagina e iniziò a leggere il racconto successivo.
Non
era neppure a metà del “Primo quarto” di “The Bells”, Le campane, il
secondo dei
cinque racconti, che il libro gli scivolò dalle mani: finalmente si era
addormentato.
“Cosa
vuoi da me?”
Il
bambino era piccolo ma il suo sguardo, dai profondi occhi
blu, sembrava quello di un saggio. Indossava una veste candida, lunga
fino ai
piedini, che sbucavano nudi dall’orlo dell’abito.
“Devi
venire con me”
“Chi
sei? Dove vuoi portarmi?”
“Io
sono il Fantasma del Natale Passato, Presente e Futuro”.
“No…
non è così il racconto. Sono tre diversi i fantasmi. E poi perché
tormenti così i miei sogni? Io non sono Scrooge…”
“Lo
so”, disse il bimbo, “tu sei Harmon Rabb e ti piace volare.
Anche a me piace volare e ora voleremo. Vieni… “ e così dicendo gli
prese la
mano. Quando il bambino si voltò, lui vide che aveva due piccole ali
bianche.
“Aspetta…
perché proprio io? Ho letto la storia di Ebenezer
Scrooge… io non sono ricco, non sono avaro come zio Paperone…”
“Si
può essere avari in molti modi, non solo per denaro” rispose
il bambino.
“Non
vengo da nessuna parte con te”.
“Certo
che verrai…” e
detto questo, con la piccola mano gli afferrò la sua e insieme si
sollevarono
da terra.
Rapidamente
attorno a lui il paesaggio cambiò: non era più a
Londra, ma nella casa dove aveva abitato da bambino, assieme ai suoi
genitori.
Quella stessa casa dove un triste giorno erano arrivati dei militari a
comunicare la notizia della scomparsa del suo papà.
In
quel momento, però, poteva osservare una famigliola felice
composta da tre persone; due erano i suoi genitori da giovani e il
bambino che
giocava e rideva sulle gambe di suo padre…
“Sì,
sei tu. Non ti ricordi?” gli disse il piccolo fantasma.
“Ricordo
che mio padre mi faceva sempre saltare sulle sue gambe…
e ricordo le risate della mamma…”
“Non
vedi quanto era felice?”
“Ma
quando ha creduto morto mio padre, non era più così felice…”
“Non
come prima, certo. Ma credi davvero che avrebbe preferito
non amarlo tanto, pur di non soffrire? Non dimenticare che è stato solo
grazie
a tuo padre che ha potuto averti. Solo per questo, credo che non abbia
mai
rimpianto d’averlo amato”.
“Tu
non sai, però, quanto l’ho sentita piangere dopo… ero
piccolo, e il cuore mi si spezzava a sentirla piangere così… e io
stesso
soffrivo tantissimo, volevo il mio papà e lui non c’era più…”
“Per
questo motivo ora fai piangere qualcun altro?”
“Non
faccio piangere nessuno”.
“Ne
sei davvero sicuro?”.
“Certo.
Nessuno piange per me. Per quale motivo, poi?”.
“Lo
scoprirai dopo. Ora è ancora presto. Proseguiamo nel tuo
passato… Guarda lì…”.
Gli
interni erano cambiati; quello che vedeva erano gli uffici
del Jag, a Washington. Bud e Harriett, lui vestito da Babbo Natale e
lei da
elfo; e poi c’era Chloe assieme a Mac.
Mac…
Mac
che rideva, felice.
La
scena cambiò di nuovo e la rivide sotto al vischio in casa
Roberts mentre la baciava… E poi davanti alla chiesa, accanto a
Jennifer che
gli stava dando un bacio sulla guancia… E infine vicino al muro, dove
ogni
vigilia Natale andava a trovare suo padre… ed era con Mattie.
“Pur
di fuggire da loro, quest’anno rinunci anche ad andare a
trovare tuo padre…” disse il bambino.
“Non
sto fuggendo…”
“Ah,
davvero?”
Gli
prese nuovamente la mano
e, all’istante, la scena davanti a lui cambiò di nuovo.
Una stanza
d’ospedale, dove vide Mattie e Mac abbracciate…
“Cosa
stanno facendo? E perché Mac si trova lì?” chiese al suo
Fantasma.
“Piangono,
non lo vedi? Piangono per te.”.
“Per
me?”
“Sì,
piangono a causa tua. Mattie desiderava tantissimo che tu
fossi con lei a Natale. Mac l’ha raggiunta, per non lasciarla sola,
come invece
hai fatto tu. Lo sai che la tua figlioccia si è convinta che non vuoi
più
vederla perché non riesce più a camminare?”
“Ma
non è vero!”
“Ne
sei sicuro?”
“Certo.
Io voglio bene a Mattie. E anche a Mac. Non può non
sapere che l’amo…”
“Te
ne sei andato, distruggendo i suoi sogni. Perché dovrebbe
pensare che l’ami ancora?”
“Ma
è così” rispose con enfasi.
“Allora
perché lasci che soffrano tanto? Non sarà sempre così,
sai? Prima o poi ti dimenticheranno. Allora, forse, quello che soffrirà
sarai
tu…”.
Un
gelo improvviso gli attraversò l’animo, mentre le immagini
cambiavano di nuovo. In una bella stanza, riscaldata da un camino
acceso, un
grande albero di Natale, con numerosi pacchi avvolti in carta rossa
luccicante,
faceva bella mostra di sé; dolci musiche di Natale rendevano ancora più
romantica l’atmosfera. Vide Mattie che stava scattando una foto a Mac…
abbracciata ad un uomo che non era lui. Sorrideva alla ragazza, felice
come non
l’aveva mai vista e poi si voltava verso l’uomo e lo baciava…
“Chi
è quell’uomo?”
“Suo
marito”
“Ma
Mac non è sposata!”
“No,
infatti. Ma lo sarà… e non con te, poiché tu non la vuoi”.
“Non
è vero che non la voglio. Io la desidero, moltissimo. Però
non posso sposarla…”
“Perché?”
“Se
morisse? O se mi lasciasse? Se la perdessi, come ho perso
mio padre? Non voglio più soffrire così…”
“Preferisci
allora rinunciare e far soffrire lei, oltre che te
stesso? Perché tu non sei felice, a vivere lontano da lei. O sbaglio?”
“No.
Non come quando lei mi era vicino…”
“Perché
hai rinunciato?”
“Anche
Mac mi domandò la stessa cosa, tanto tempo fa…”
“E
tu cosa rispondesti allora?”
“Per
le complicazioni… Ma adesso non è più così.”.
“Eppure
hai rinunciato lo stesso…”
“Per
paura”.
“Paura
di trovarti intrappolato in un matrimonio?”
“Non
sei troppo curioso, per essere solo un bambino?”
“Hai
paura anche a rispondere? Voli su dei tomcat, sei un eroe
di guerra… eppure hai più paure tu di quante ne abbia io che sono molto
più
piccolo di te…”
“Tu
non hai paura?”
“Tutti
abbiamo paura… ma per molte cose, tra le quali l’amore
per le persone speciali che ci vogliono bene, vale la pena imparare a
superare
i nostri timori. Essere avari con i sentimenti non ci rende felici…
crediamo di
non soffrire, ma soffriamo lo stesso, senza però avere in cambio la
gioia
d’aver amato e reso felici chi ci vuole bene…”
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