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Rea
aveva deciso di seguire Laura alla True Cross Academy solo perché non voleva
rimanere da sola. Sapeva che, se non fosse andata con lei, se ne sarebbe
pentita, così, quando erano salite sul treno, si era sentita tranquilla e
rilassata: stava facendo la cosa giusta.
“Allora ci siamo, eh Rea?” le chiese l’amica. Lei
annuì.
“Già. Siamo proprio sicure di voler stare in un’accademia?
Insomma, non sarà come una specie di convento dove non possiamo fare
niente?”
“Speriamo di no!”
“Magari è un castello enorme dove ci sono i demoni e i
fantasmi!” sperò lei. Sapeva benissimo che Laura ne era terrorizzata,
però a lei piaceva l’idea che esistessero nel mondo delle cose sovrannaturali.
Ne era affascinata.
Vide
una luce in fondo al tunnel.
“Ehi, credo che ci siamo!” esclamò avvicinandosi al
finestrino.
Un
altro mondo si spalancò davanti ai suoi occhi, lasciandola a bocca aperta.
“Oddio!” pensò: non era una semplice scuola, era un
vero e proprio paese! Le ragazze rimasero a bocca aperta, incapaci di parlare.
La montagna sulla quale si ergeva la scuola aveva alla base una città che si
estendeva per qualche chilometro, circondata da una baia.
“Non… non mi sembra proprio un convento, sai Rea?”
disse Laura.
L’altra
annuì, ancora troppo stupita per rispondere.
L’interno
della True Cross era enorme, talmente grande che ci si poteva perdere da un
momento all’altro. Spaventate e insicure, le due ragazze rimasero vicine fin
quando il preside tenne il discorso.
“Le lezioni inizieranno la prossima settimana, così potrete
ambientarvi e sistemarvi per bene. Benvenuti alla True Cross Academy,
ragazzi!” disse.
Era un
tipo strano: vestito di bianco con buffe calze a righe rosse, portava una tuba
dello stesso colore del vestito e un foulard rosa a pois. Rea voleva scoppiare a
ridere per quella tenuta così assurda e si voltò verso Laura per vedere come
stava reagendo. Con sua sorpresa, l’amica sembrava rapita da
quell’uomo.
“Che stai guardando?” le chiese. Quando lo comprese,
rabbrividì.
“No! Non ci pensare!” le disse scuotendola.
“A cosa? Chi stava pensando? Ti sembro il tipo che
pensa?”
“Laura, non dirmi che ti piace il preside, ti prego non
dirmelo!” implorò disperata Rea. Si stavano dirigendo verso le loro
stanze. Sarebbero state in camera insieme.
“Possiamo parlarne una volta da
sole?”
“Sei un’idiota, ricordatelo, ma va bene” le disse.
Sapeva
per esperienza diretta che quando Laura si innamorava non esisteva nient’altro
che il soggetto del suo interesse.
Era
stato così già due volte e in entrambi i casi loro avevano
litigato.
Stavano
cercando la stanza a caso, seguendo la massa, e ci impiegarono venti minuti per
trovare l’alloggio. Quando, finalmente, aprirono la porta, Rea volò
letteralmente sul letto.
“Questo posto è gigantesco! Sei sicura di non
perderti?” insinuò Laura, sogghignando. Il senso dell’orientamento
dell’amica era paragonabile a quello di un cieco in un
labirinto.
“Cosa vorresti dire? Guarda che potrei dirti la stessa
cosa!” rispose lei arrabbiata.
“No, non puoi. Io so orientarmi molto meglio di te e lo
sai benissimo” ribatté Laura sedendosi sull’altro
letto.
“Ah sì? Ora la paghi!” le disse Rea, catapultandosi
dall’altra parte della stanza e stendendola sul letto. Iniziò a farle il
solletico sui fianchi, dove sapeva che l’amica soffriva
moltissimo.
“No! No, ferma, no! Ahahahahah, smettila, ti
prego!”
“Chiedimi scusa! Chiedimi subito
scusa!”
“Ok, ok, mi arrendo. Scusa!” disse l’altra tra le
lacrime.
“Mmh… forse posso perdonarti… ma ad una sola
condizione!” concesse Rea rimanendo a bloccare
Laura.
“Cioè?”
“Cosa stavi guardando prima?” domandò minacciosa
puntandole un dito contro. La ragazza sbiancò.
“Niente! Te l’ho già detto!” disse.
Rea
sospirò, già rassegnata alla catena di eventi che sapeva stavano per avvenire.
Non importava quanto si nascondesse dietro a stupidi “niente”, Laura era già
innamorata e questo significava solo una cosa: guai, grossi, grossissimi
guai.
Rea non
si era mai considerata una persona attraente: piccola, abbastanza in carne, con
la pelle piena di lentiggini anche in faccia e i capelli rossi, si riteneva una
ragazza mediocre. Non aveva mai attirato l’attenzione dei ragazzi, né ci aveva
mai provato. In realtà, a causa del suo carattere irriverente e sarcastico, di
solito tendeva a far scappare la gente. Aveva imparato a convivere con questa
cosa, ormai non se ne faceva nemmeno più un problema, però ogni tanto era
frustrante vedere come le altre ragazze erano capaci di fare amicizia
velocemente e lei no.
La sera
prima della prima lezione scolastica era nervosissima. Si era stesa sul letto a
fissare il soffitto per non pensare all’ansia che la stava tormentando, ma era
inutile.
“Come credi che sarà il primo giorno di scuola?”
chiese Laura.
“Sinceramente, non lo so. Non pensavo neanche che avrei mai
dovuto tornare a fare la studentessa dato che avevamo finito il liceo, però devo
dire che questo posto ha qualcosa di magico. Mi attira molto l’idea di passare i
prossimi tre anni qui” disse pensandoci. Era vero, aveva l’impressione
che dietro all’apparenza ci fosse un segreto enorme.
“Mi fa quasi paura questa nuova avventura, sai?”
disse Laura.
“Perché?” le chiese Rea,
incredula.
“Pensaci un secondo: dobbiamo ricominciare da capo, farci
nuove amicizie, creare un nuovo giro per uscire, non possiamo tornare a casa
quando vogliamo, siamo lontane dai nostri
genitori…”
“Laura, forse questo è un bene, no? Insomma, dobbiamo
riuscire a conquistare un po’ di sicurezza in noi stesse, di
indipendenza” le rispose Rea.
“E se non ce la faccio?”
“Perché non dovresti, scusa?” ribatté.
Sapeva
che l’amica era forte se ce la metteva tutta e sapeva che poteva fare ciò che
voleva. La costanza non era ciò che le mancava.
Quando
spensero la luce, i dubbi assalirono Rea. Se non fosse piaciuta ai suoi
compagni? Se per qualche motivo si fosse ritrovata sola? Non voleva tornare ad
avere paura del buio. Ogni volta che stava male emotivamente non riusciva a
spegnere la luce prima di dormire, temeva che sarebbe stata assalita da qualche
mostro creato dalla sua mente.
Sorridendo
nel pensare a quanto era infantile, chiuse gli occhi.
Quando
entrarono in classe il mattino seguente rimasero a bocca aperta: era un’enorme
stanza, lunghissima, molto più della loro vecchia aula. C’erano grandi finestre
da un lato, e una lavagna in fondo. I banchi erano disposti in file orizzontali,
in ognuno dei quali potevano sedersi due persone.
“Ma questa è una classe o sono due?” esclamò Rea
mettendosi a sedere. Laura prese posto vicino a lei.
“Credo sia una. Credo” rispose l’altra. Entrò un
insegnante dall’aspetto austero e intransigente, che iniziò subito la lezione,
senza troppi preamboli.
Facendo
finta di prendere appunti, la ragazza si mise a scrivere a caso, come solito.
Non capitava quasi mai che riuscisse a stare dietro ai professori quando
spiegavano, così aveva trovato il modo per non farsi riprendere quando non
ascoltava: si metteva a scrivere su un quaderno le prime cose che le passavano
per la testa e i pensieri se ne andavano da soli. Laura le dette una botta sul
braccio.
“Sì?”
“Rea, l’hai visto anche tu?”
“Che cosa?”
“C’era un cagnolino che correva in
cortile!”
“Può darsi. In fondo, non hai visto tutte le case che sono
qua intorno? Magari si era perso” la rassicurò.
Perdersi
dietro ad un animale era l’ultima cosa che aveva voglia di
fare.
La
campanella suonò poco dopo e, a causa della grandezza della scuola, dovettero
correre per arrivare in tempo alla lezione successiva, e così via fino all’ora
di pranzo. Rea si accasciò su una sedia e sbuffò.
“Mi sembra di fare la maratona invece di seguire dei corsi
scolastici” osservò.
“Questo posto è enorme, e non è semplice riuscire ad
arrivare da una parte all’altra dell’edificio in soli cinque minuti!” si
lamentò Laura.
“Cosa vuoi farci? C’est la vie” rispose.
Erano
sfinite, ma nel pomeriggio avevano ancora due corsi da dover
seguire.
“Voglio tornare in camera e dormire fino a domani!”
“Mi basterebbe un’ora per riposarmi come si
deve”
“No, troppo poco” la pausa pranzo durava un’ora e
loro ebbero il tempo di rifocillarsi e riposarsi. C’era una vista mozzafiato dal
cortile, che si apriva sulla baia. L’odore dell’acqua le raggiungeva fino a lì e
Rea si chiese quando avrebbe potuto andare di nuovo al
mare.
Sentì
la campanella suonare in lontananza e si girò.
“Andiamo, non voglio fare tardi il primo giorno” disse
a Laura. Si incamminò verso l’aula successiva, tenendo in mano il foglietto che
i professori le avevano dato. Si rese conto di aver preso per sbaglio anche
quello dell’amica e si girò per restituirglielo.
“Devo averlo da stamani, è tu… Laura?” chiamò,
rendendosi conto di essere sola. In mezzo a tutta quella gente non riusciva a
vedere bene e dato che l’amica era più bassa di lei il compito le era anche più
difficile. Perse mezz’ora a camminare in cerchio, tentando di vederla spuntare
tra gli studenti, ma invano. Dovette correre come una forsennata per arrivare in
classe.
“Professore… mi dispiace di aver fatto tardi… scusi…”
disse entrando come una furia. Stava cercando di riprendere fiato, rossa come un
peperone perché tutta la classe la stava guardando.
“Tu sei Arikushi o Shintuki?” le chiese
l’insegnante.
“Shintuki… Shintuki Rea” rispose la
ragazza.
“Siediti, dato che è il primo giorno ci passerò sopra, ma
non rifarlo più o sarò costretto a prendere provvedimenti” la
avvertì.
“Sì, mi dispiace” si scusò di nuovo. Si sedette in
fondo all’aula, attenta a tenere la testa bassa e a non fare rumore. Questa
volta Laura doveva avere una buona scusa.
Rientrò
in camera da sola. Non era riuscita a trovare l’amica, né a parlare con
qualcuno. Con la cartella in mano e lo sguardo basso, si avviò per il corridoio.
Non c’era niente da fare, in qualsiasi situazione si trovasse finiva sempre da
sola: a musica; a scuola; a casa. Non era capace di stare con le persone senza
rendersi ridicola in qualche modo. Il fatto di essere anche una testa calda non
l’aiutava: appena le si diceva qualcosa di vagamente offensivo scattava e
rispondeva a tono. Doveva commentare qualsiasi cosa succedesse e non era in
grado di stare zitta.
Quando
arrivò davanti alla porta della stanza si fermò. Non aveva compiti da svolgere
né appunti da studiare per il momento, perché non esplorare un po’ la scuola?
Entrò a posare la cartella e poi uscì per vedere com’era fatto
l’edificio.
Il suo
senso dell’orientamento non era in grado di farle capire dove si trovava, così
improvvisò: prima seguì un gruppo di ragazze che dicevano di dover andare in
cortile, poi le lasciò per andare dietro ad un professore. In un paio d’ore
riuscì a trovare la palestra, l’infermeria e l’aula insegnanti. Contenta di come
era riuscita a non perdersi, Rea non pensava che adesso doveva rientrare in
stanza.
“Oddio, e adesso?” si chiese. Da dove era venuta?
Dov’erano i dormitori femminili? In preda al panico, si mise a camminare senza
una meta.
“Calma, stai calma, non ti preoccupare, vedrai che adesso
riesci a trovare la camera” si disse. Vagò senza sapere dove stava
andando e vide dalle finestre che fuori si faceva buio. “Laura sarà già rientrata, se non torno verrà a
cercarmi” pensò.
Finalmente
riuscì a vedere una porta in fondo al corridoio.
“Io sono passata da una porta simile, magari è
quella!” esultò.
Quando
la aprì si rese conto che non aveva percorso quel corridoio quando era andata
lì: c’era una specie di scalinata senza fine che saliva sparendo nel buio.
“Non dovrei andare lassù, probabilmente ci sono i mostri o i
vampiri, e poi non c’è luce” consigliò a sé stessa. La cosa che
caratterizzava Rea era che i consigli che si dava erano saggi e giusti, ma lei
non ne seguiva nemmeno uno. Decise di salire.
Via,
via che lasciava dietro di sé la sicurezza della porta ed entrava in quel buio
fitto in cui spariva la scala, sentiva che non avrebbe dovuto essere lì.
Appoggiandosi con una mano alla parete per evitare di sbattere contro il muro,
continuò imperterrita a salire, nonostante la fifa. “Se sono arrivata qui, ormai, posso arrivare in cima,
giusto?” passò qualche minuto prima che la sua testa toccasse qualcosa.
Spaventata si abbassò, temendo che ci fosse un mostro sopra di lei, poi allungò
una mano.
“Questo è legno” disse. Seguendo il contorno con le
dita trovò una specie di anello che pendeva. Lo tirò verso di sé e una botola si
aprì davanti ai suoi occhi.
Uscì
fuori all’aria aperta e si ritrovò in cima ad una torre, da cui poteva osservare
la baia e parte della True Cross dall’alto.
“Oddio!” gridò. Soffriva di vertigini e quell’altezza
le dava la nausea. Camminando a ritroso con molta calma cercò di rientrare, poi
il suo sguardo fu attratto da qualcosa. Ci fu una specie di lampo blu, seguito
dal buio più completo, vicino al cancello d’ingresso.
“Ma che diavolo…?” si chiese.
Vide
qualcosa muoversi vicino a dove era esplosa la fiamma e poi scomparire.
Impaurita, tornò di corsa dentro.
Riuscì
a ritrovare la camera dopo poco; rispetto a dove aveva trovato la porta non era
molto lontana.
Poco
dopo tornò anche Laura e lei l’aggredì subito.
“Dove sei stata?” le chiese.
“Mi sono persa!” si scusò Laura riprendendo fiato.
“Sei completamente idiota? Mi hai lasciata
sola!”
“Mi dispiace ma dopo il pranzo ti ho persa di vista e poi
ho seguito il cane…”
“Quale cane?”
“Quello bianco di stamani!” spiegò lei,
angelicamente. Rea rimase basita.
“Tu… hai passato la giornata a inseguire un cane?”
chiese incredula.
“Più o meno” annuì Laura
“Non ho parole” esclamò lanciando le braccia in aria.
Poi la osservò meglio.
“Cosa hai fatto alla gonna? Sembra bruciata” le fece
notare. In effetti, il retro della gonna era nero in fondo. Laura lo guardò
stupita.
“Non lo so proprio” rispose.
“Sei un caso perso” sospirò
sconsolata.
“Dai, andiamo a dormire, sono stanca” le disse.
Non
riuscendo ad addormentarsi, Rea si chiese come mai aveva visto del fuoco blu.
Che lei sapesse non esisteva in natura una cosa simile.
Si
ripromise di parlarne con Laura la mattina dopo.
Rea
accompagnò l’amica a chiedere una nuova uniforme, ma senza risultati: le dissero
che sarebbe dovuta andare dal preside, Mephisto Pheles, e che lui avrebbe potuto
provvedere.
“Al preside? A quel clown vestito male,
intendi?”
“Non è un clown vestito male. È un uomo con gusti
particolari, ecco”
“Quelli non sono gusti particolari, quella è cecità unita a
idiozia e ad un po’ di sano masochismo, ecco cos’è” commentò Rea. Laura
sbuffò.
“Smettila! Se gli piace vestirsi in quel modo perché devi
giudicarlo?” chiese.
Nei
corridoi non c’era nessuno, anche perché l’orario di inizio lezione era passato
da un pezzo. Rea si bloccò in mezzo alla strada e fermò Laura, costringendola a
guardarla negli occhi.
“Lui ti piace!” esclamò.
L’amica
arrossì violentemente e abbassò lo sguardo.
“No di certo! Ma ti pare? E poi è il preside, chissà
quanti anni avrà!”
“Fase uno: negazione!”
“Ma smettila! Invece di vaneggiare corri, che siamo in
ritardo anche oggi ed è solo il secondo giorno!” le disse cambiando
discorso.
“Tu non mi piaci, biondina!”
“Non chiamarmi così! Lo sai che non lo sopporto
proprio” si lamentò Laura mentre Rea rideva.
“Non vi sembra inappropriato andare in giro per la scuola
quando dovreste essere in classe, giovani studentesse? Non si addice a fanciulle
come voi gridare così per i corridoi” disse una voce alle loro spalle.
Le
ragazze si voltarono lentamente.
“Ehm…” balbettò Rea. Il preside le stava guardando
sorridendo.
C’era
qualcosa di sinistro nel suo sorriso, come se ci fosse un mistero dietro a
quella faccia.
“Signor Pheles, ci scusi, noi…”
“No, no, no, niente scusa. Andate in classe, su!”
ordinò spingendole verso l’aula.
“Aspetti, io le devo chiedere una cosa!” protestò
Laura.
“Vieni nel mio ufficio più tardi, cara, adesso c’è la
lezione. Nel pomeriggio sarò nel mio studio a sbrigare delle noiose faccende
burocratiche, non farti scrupoli a venire. A dopo!” le salutò scomparendo
dietro l’angolo.
Rea
fissò il punto in cui era un attimo prima.
“Ma quello è tutto matto!” esclamò qualche secondo
dopo.
Non
riusciva a piacerle, era come se un campanellino d’allarme le suonasse in testa.
Quell’uomo portava solo problemi, se lo sentiva.
Passò
il pomeriggio a studiare, di nuovo sola perché Laura era in presidenza. Si
chiese se non stesse diventando un’abitudine, la sua. Dopo aver finito i compiti
guardò l’orologio. Era ancora presto, forse riusciva ad andare sulla torre. Uscì
dalla stanza e guardò in giro: dell’amica nessuna traccia. Si mise a cercare la
porta in fondo al corridoio e andò a sbattere per sbaglio contro un alunno,
cadendo in terra.
“Scusa, non ti avevo visto” disse. Alzò gli occhi e si
ritrovò davanti un ragazzo alto e slanciato, con i capelli neri e gli occhi
azzurri. Le tese una mano.
“Vieni, alzati” la aiutò. Lei afferrò il suo braccio e
si tirò su.
“Tutto a posto?” le chiese. La ragazza
annuì.
“Sì, grazie. Adesso scusami, devo andare” si congedò.
Riprese a camminare, ma non ricordava assolutamente dove fosse la porta per la
torre. Sconsolata, si appoggiò ad una finestra.
“Ma che sto facendo? Sarei dovuta rimanere in camera, con
l’orientamento che mi ritrovo rischio di perdermi ancora, e invece sto girando
intorno da un’ora a cercare una porta trovata per sbaglio ieri sera al buio.
Sono un’idiota” si riprese.
Decise
di tornare in stanza, tanto lì non ci faceva niente.
Sospirando
si voltò, e finalmente lo vide: il corridoio che aveva percorso la sera prima.
Esultò.
Corse
verso la porta e la spalancò, precipitandosi verso la cima.
Stavolta
voleva vedere per bene cosa c’era lassù, senza fuggire. Ci impiegò meno della
volta precedente, sapeva la strada e non aveva paura di ciò che poteva essere
lì. Arrivò all’anello e aprì la botola.
“Respira e vai, l’altezza non deve spaventarti” si
disse. Uscì e sentì il vento sulla pelle. Con la luce del tramonto quella vista
era più bella del giorno precedente: i raggi del sole brillavano sull’acqua e
mandavano riflessi arancioni ovunque.
“Cavolo” esclamò. Avrebbe voluto avere la bravura di
Laura nel disegnare, così avrebbe potuto fermare quel momento.
Si mise
a sedere lontana dal bordo in modo da non vedere direttamente sotto di sé e
chiuse gli occhi. Il vento le accarezzava la faccia, facendola rabbrividire
impercettibilmente. Quel posto era magnifico, non c’era altro da
dire.
Ammirò
il tramonto fin quando le stelle non comparvero in cielo. “Forse dovrei tornare a casa adesso” si disse.
Scese
le scale lentamente e sorrise.
“Buonasera! Com’è andata? Ti daranno la nuova
uniforme?” disse Rea a Laura quando la vide entrare in camera. Si era
stesa sul letto un minuto prima che lei arrivasse. La fissò incuriosita: aveva
un’aria spettrale.
“Sì, non ci sono stati problemi” disse l’altra.
Sembrava
che stesse per cadere da un secondo all’altro, aveva la faccia bianca e gli
occhi vacui.
“Ehi, stai bene?” le domandò
preoccupata.
“Sì, credo di sì… io mi sento solo un po’… stanca”
le rispose.
Fu
l’ultima cosa che riuscì a dire prima che la ragazza la vedesse cadere a terra,
svenuta.
“Laura! Laura!” gridò Rea, in preda al panico. Che
cosa doveva fare? Come doveva comportarsi? La scosse, cercando di farla
svegliare, ma era tutto inutile: non reagiva. Spalancò la porta in cerca di
aiuto, ma non c’era nessuno in giro.
“Vi prego, qualcuno venga a darmi una mano! La mia amica è a
terra svenuta!” gridò. Apparve qualcuno da dietro un angolo e lei si
precipitò verso di lui, col fiatone.
“Ti prego, per favore devi aiutarmi! La mia amica è svenuta
quando è tornata in stanza, non so che fare” lo implorò. Si rese conto
solo qualche minuto dopo che si trattava del ragazzo contro cui aveva sbattuto
nel pomeriggio.
“Tu?” chiese stupita, dimenticandosi per un momento il
motivo per cui era così disperata.
“Che succede? Ci sono problemi?” chiese lui, vedendola
preoccupata.
Lei,
ricordandosi il motivo della sua agitazione, gli spiegò velocemente cos’era
successo e il ragazzo la tranquillizzò.
“In che stanza dormite?”
“Siamo nella 121, nel corridoio dietro l’angolo”
rispose lei.
“Allora vado a chiamare l’infermiera. Tu vedi se riesci a
mettere la tua amica sul letto, io torno subito” le promise. Rea lo
guardò con gli occhi pieni di gratitudine.
“Grazie, grazie, grazie!” disse. Tornò in camera e
cercò di alzare Laura da terra. Doveva aver preso una bella botta in testa,
aveva un bernoccolo gigante sulla fronte.
Non
essendo molto forte le ci volle un po’ per sdraiarla sulle coperte, ma infine ci
riuscì. In quel momento qualcuno bussò.
“Arrivo!” gridò. Spalancò la porta e si trovò davanti
un’infermiera con il viso simpatico e due uomini dietro di
sé.
“E’ qui la ragazza svenuta?”
chiese.
“Sì, è lì, sul letto. Non so che cosa sia successo, è tornata
in camera e ha perso i sensi. È grave?” domandò in preda al panico.
“Fa’ che non sia nulla, fa’ che non sia
nulla…”.
La
dottoressa toccò il polso di Laura, poi le sentì la fronte e le ascoltò il
battito. Sorrise e si voltò verso Rea.
“Sta bene, forse è stata solo unpo’ di stanchezza. Che ne dici se la
portiamo in infermeria?” le propose. Sollevata, la ragazza
annuì.
“La terrò in osservazione fino a domattina, tu puoi
rimanere qui se vuoi. Tanto là non ci faresti niente” disse. Rea era un
po’ titubante nel lasciare sola Laura.
L’infermiera
vide che esitava e le mise una mano sulla spalla per farla
ragionare.
“Ascoltami, stanotte non ci faresti niente là, perderesti
solo ore di sonno preziose, invece se rimani qui e ti riposi domattina sarai più
utile alla tua amica. D’accordo?”
“Va bene, non vedo molte alternative” concesse la
ragazza.
Si
guardò intorno, notando solo in quel momento la mancanza di
qualcosa.
“Dov’è il ragazzo che è venuto a cercarvi?” domandò.
La donna ci pensò su un attimo.
“Stai parlando di Rin Okumura? Suo fratello è venuto a
cercarlo e sono andati via insieme” le rispose per poi uscire dalla
stanza chiudendosi dietro la porta.
La
mattina dopo Laura si svegliò. Rea la trovò che
vaneggiava nel sonno, ma, escluso quello, sembrava che stesse bene, così tornò
in classe sollevata.
Durante
tutta la settimana successiva rimase con lei per aiutarla a recuperare le
lezioni perse, e finalmente non si sentiva più sola. Iniziò a pensare che le sue
paure iniziali fossero nate solo a causa della nuova avventura che stava
affrontando e cominciò a godersi realmente ogni giornata senza preoccuparsi
troppo. Poi, un pomeriggio, Laura scomparve per ore. L’aveva salutata dicendo
che “Doveva riportare una cosa trovata in corridoio in presidenza” e non si era
vista per tutto il pomeriggio. Rea iniziò a collegare le misteriosi sparizioni dell’amica al preside: ogni volta
che se ne andava rientrava in camera sempre dopo aver visto quell’uomo. Un odio
profondo nei suoi confronti crebbe a dismisura quando, quella sera, se lo
ritrovò davanti accanto a Laura per accompagnarla in stanza.
Possibile
che lei avesse davvero una cotta per quel tipo? Se fosse stato così perché non
parlargliene? Non sarebbe stata d’accordo, certo, ma non l’avrebbe mai
ostacolata. Quando lui la salutò con un “Ci vediamo
domani” si sentì salire una rabbia cieca verso di loro, ma si contenne: aveva
promesso a sé stessa di arrabbiarsi il meno possibile.
Prese
un respiro profondo e si girò verso Laura.
“Domani?
Lo vedrai anche domani?” le
chiese, sperando di suonare meno acida possibile.
“Così pare” le rispose l’altra.
Aveva
il classico sguardo perso. Ahia.
“Allora?” disse Rea con le braccia incrociate
guardando Laura di traverso.
“Cosa?” domandò la ragazza, facendo la finta
tonta.
“Come cosa?
Cos’è successo? Dove sei stata? Perché eri col clown? Come mai sei tornata tanto
tardi? E poi… cos’hai fatto alla gamba?” la mitragliò di domande.
“Respira!”
“Rispondimi!” le disse minacciosa puntandole un dito
contro.
In quel
momento bussarono alla porta.
“Cosa c’è ancora?” sbuffò Rea aprendo.
Per la
seconda volta in dieci minuti si trovò davanti il preside sorridente. La ragazza
era incredula
“Chiedo scusa per l’ulteriore disturbo, ma mi sono
dimenticato di dire una cosa a Laura.
Se è un problema posso tornare domattina” spiegò.
“No, no, nessun disturbo.
Mi dica, signor Pheles” lo
accolse lei, sorridente. Troppo
sorridente. Aveva iniziato a diventare un cagnolino e questo significava una
sola cosa: ora Rea passava in secondo piano. Questo la fece quasi tremare di
rabbia.
Quando
l’amica ebbe finito di scodinzolare dietro all’uomo, inventò una scusa patetica
per giustificare la sua assenza, scusa alla quale Rea finse di credere.
“Solo… Laura sta’ attenta, va bene?” si raccomandò.
C’era
qualcosa di inquietante nel preside.
Fu
svegliata da un rumore di passi.
“Chi è che si muove a quest’ora del mattino quando non c’è
lezione?” si chiese aprendo un occhio.
Vide
Laura che stava per uscire di soppiatto dalla camera.
“NO!” pensò. Si alzò e le andò dietro, battendo un
piede in terra per farsi sentire.
“Dove diavolo stai andando?” le chiese, in preda a
furia omicida.
“Oh!
B-buongiorno! Come stai
stamani?” rispose l’altra, cercando di far finta
di niente. La
ragazza si avvicinò di un passo.
“Non ti azzardare a cambiare
discorso!
Rispondimi!” le
ordinò.
“Stavo andando a farmi cambiare le
fasciature.
Ricordi? Me lo ha detto ieri sera il signor Pheles” le
disse. Rea
odiava quell’uomo ogni minuto di più.
“Ascoltami bene, tu: da quando siamo arrivate qui non hai
fatto altro che scomparire regolarmente per poi ricomparire, sempre in qualche
modo legata a quel tipo!
Non è giusto!”
protestò. Si
sentiva ferita e abbandonata.
“Ehi, stai tranquilla, vado solo a cambiare
medicazione!” rise Laura.
“Torno subito, promesso” giurò uscendo dalla
stanza.
La vide
sparire dietro la porta e si accasciò sul letto. Ma che diavolo ci faceva in
quella scuola? Era andata lì per non rimanere da sola, per evitare di sentirsi
di nuovo esclusa da tutto e da tutti, eppure non faceva altro che vagare per
l’edificio come un fantasma, invisibile e senza uno scopo.
Non
ebbe la forza di alzarsi e vestirsi fino all’ora di pranzo, quando si rese conto
che il suo stomaco brontolava per la fame.
Si recò
a mensa per prendere un panino e tornare subito in stanza: si sentiva in
imbarazzo a pranzare sempre a un tavolo vuoto, era avvilente. Sentiva le lacrime
salirle agli occhi, ma le ricacciò indietro con forza e entrò in mensa a testa
alta. Nessuno la notò.
“Alla fine che me ne importa? Prima o poi qualcuno che mi sopporta lo
troverò, e anche se Laura mi lascia sola un giorno sì e uno no posso farmi una
mia vita da sola, giusto?” si disse mentre
tornava in stanza.
Sorrise
tristemente. “Ma chi prendo in
giro? Se continuo a nascondere ciò che
provo esplodo. Io odio il preside, sono arrabbiata con Laura, voglio urlare e
spaccare qualcosa! E adesso basta nascondersi” decise.
Mangiò
in silenzio e si mise a studiare. Nel primo pomeriggio l’amica tornò, poteva
sentirla attraverso la porta parlare allegramente. “Adesso è troppo” pensò.
Aprì la
porta, furente.
Il suo
sguardo era più eloquente di mille parole: rabbia,
delusione, dolore, tristezza… erano tutte concentrate nei suoi
occhi.
“R-rea…” balbettò Laura.
“Me lo avevi promesso!
Avevi giurato che almeno oggi non mi avresti lasciata da sola, e invece sei
scomparsa per tutta la mattinata! Sei una bugiarda e una
traditrice” la
attaccò.
“No, fammi spiegare.
Io ho dovuto fare delle cose, che…” Rea sbuffò.
“Risparmiami le tue idiozie, non voglio farmi prendere ancora
in giro.
Visto che tu sei stata in giro a fare
delle cose adesso me ne vado io. Divertiti con i tuoi
amici” le disse
sorpassandola.
Le
lacrime scesero dai suoi occhi senza che fosse in grado di fermarle, bollenti
sulla pelle. “Sono una
stupida! Io sono stata per ore ad
aspettarla, convinta che sarebbe tornata subito, e invece lei se ne sta a
divertirsi con i suoi amici. Se non mi voleva intorno bastava
dirlo, non doveva fare così!” pensò
arrabbiata.
Si mise
a correre, incapace di calmarsi, e si ritrovò senza accorgersene davanti al
corridoio con le scale. Spalancò la porta e salì i gradini con una furia
innaturale, come se ne andasse della sua stessa vita: aveva bisogno di piangere
finché gli occhi non si fossero asciugati, voleva urlare con quanto fiato aveva
in gola, disperarsi se fosse servito a stare meglio. Non era mai successo che
lei e Laura litigassero così, ma non riusciva a non pensare a quanto si sentisse
abbandonata. Tirò l’anello verso di sé e uscì fuori. Col fiato corto e ancora
singhiozzante si mise a fissare il paesaggio dall’alto della True Cross, sbalordita di come sembrasse diverso alla luce
del sole. Di giorno non era mai stata lassù.
Sfinita
e triste si sedette sul bordo della torre, incurante del fatto che sotto di lei
ci fossero almeno cento metri di vuoto, e si tirò le ginocchia al petto.
“Non dovevo reagire così, magari c’è una spiegazione dietro a
questo… ma quale spiegazione? Non posso illudermi” pensò.
Continuò
a piangere per ore, finché il sole non scomparve completamente dietro
all’orizzonte. Quando vide spuntare la luna si asciugò gli occhi con la manica e
fissò intorno a sé. “Che cosa devo
fare?”.
Sentì
un rumore dietro di sé e si girò spaventata. Il ragazzo che l’aveva aiutata con
Laura la settimana precedente la fissò con occhi sgranati.
“Mi dispiace, non sapevo… ehi, ma io ti conosco!”
esclamò ricordandosi di lei.
Rea
tirò su col naso e si stropicciò gli occhi, imbarazzata nel farsi trovare in
quelle condizioni.
“C-ciao… scusami, non credevo che ci fosse qualcun altro a venire
qui, adesso me ne vado” disse alzandosi.
“No, scusami tu!
Sono venuto a vedere la luna piena, mi piace osservarla nel
silenzio, ma se vuoi puoi rimanere, non mi dai fastidio” le assicurò.
Ringraziandolo
dato che aveva paura ad alzarsi per via dell’altezza, la ragazza tornò
seduta.
“E’ possibile che io ti abbia vista prima in camera di
Laura?” le chiese.
Rea si
sentì morire.
“Come la conosci?” disse dubbiosa. Il ragazzo
arrossì.
“Oh, per caso mentre tornava in
stanza.
Ieri si è ferita a causa mia e mi sentivo in colpa, così l’ho
riaccompagnata in camera” rispose
vago.
“Ah, quindi era con te che parlava” dedusse lei. Lui
la fissò, incuriosito.
“C’è qualcosa che non va?”
s’informò.
“Nonsono il tipo che parla
dei propri problemi con gli sconosciuti” rispose.
“Nessun problema! Io sono…”
“OkumuraRin” lo interruppe
lei.
“Mi conosci?”
“Ricordi l’infermiera che hai chiamato per farmi
aiutare?
Mi ha detto come ti chiami”
spiegò.
“Ah! E tu sei?”
“Shintuki Rea, piacere” si presentò dandogli la mano. Lui la
strinse.
“Adesso che ci conosciamo ti va di dirmi cos’è che ti fa
stare male?” tentò di nuovo lui. Rea rise.
“Perché ti preoccupi tanto?
Praticamente è la prima volta che parliamo!” Rin
arrossì.
“Non lo so, in verità, voglio solo essere utile”
rispose imbarazzato.
Rea
sorrise e fissò la luna.
“Spero
che tu abbia un po’ di tempo” disse prima di iniziare a
raccontare.
Mentre
parlava Rea si rese conto dell’assurdità della situazione: Rin era un perfetto estraneo, visto due volte sì e no, a cui
stava raccontando il motivo del suo malessere. Come se non bastasse, stava
tirando fuori per la prima volta ad alta voce anche tutto ciò di cui aveva
paura: solitudine, abbandono, delusione… non riusciva a fermarsi, era come un
fiume in piena che straripava. Avrebbe voluto riuscire
a stare zitta, ma ormai aveva iniziato e tanto valeva
finire.
Il
ragazzo la guardava fisso, sinceramente interessato. Nemmeno lui si spiegava
perché aveva voluto ascoltare i suoi problemi (non era in grado di risolvere i
propri, figuriamoci quelli di Rea!), però gli piaceva che qualcuno non lo
giudicasse prima ancora di conoscerlo e si fidasse di lui.
“Questo è l’unico posto che conosco dove non viene nessuno, o
almeno così credevo, e non sapendo dove andare mi sono rifugiata
qui.
Poi sei arrivato tu”
terminò.
Le
pareva di essersi tolta una tonnellata dal petto.
“Sei sulla torre da oggi pomeriggio alle
quattro?
Ma è mezzanotte!” si stupì
lui.
Rea
sorrise.
“Ho pianto tanto, a un certo punto ho anche perso la
cognizione del tempo”
“E adesso vuoi tornare in stanza?” chiese lui,
curioso.
La
ragazza ci pensò e poi scosse la testa.
“Ormai è talmente tardi da essere quasi presto, credo che
aspetterò l’alba.
In questo modo non vedrò Laura e, dato che domani non c’è
lezione, posso dormire fino a sera”
decise. Il
vento freddo le passò sopra la pelle scoperta delle braccia (si era dimenticata
il maglione dell’uniforme in camera e aveva addosso solo una camicetta a maniche
corte) e la fece rabbrividire.
“Forse è meglio se ti metti questo, mi sembri
infreddolita” le disse togliendosi la giacca. Gliela passò sopra le
spalle, appoggiandocela dolcemente.
Rea la
strinse e lo fissò.
“Non rischi di congelare senza questa?” gli chiese.
Il
ragazzo alzò le spalle indifferente.
“Non sono mai stato un tipo freddoloso, ho la pelle
dura” rispose ridendo.
“Allora grazie” disse.
Stettero
in silenzio a guardare la luna scendere verso l’orizzonte. Per una volta in vita
sua la ragazza non si sentiva in imbarazzo a star zitta con qualcuno: di solito
parlava, parlava e parlava fino allo sfinimento pur di non provare il disagio di
non saper cosa dire, eppure stavolta si sentiva a suo agio. Questa cosa la stupì
non poco.
“Posso farti compagnia?
Mi piace l’alba” le propose
Rin dopo un po’. Lei
ci pensò su un attimo e poi sorrise.
“Solo se facciamo un baratto” concesse. Lui la fissò
senza capire.
“Un baratto?” ripeté.
“Già.
Io ti ho detto qualcosa di me senza sapere niente di te, e questo non mi sembra
giusto, per cui adesso è il tuo turno di parlare. Ti va?” gli chiese.
“Che cosa vorresti sapere,
scusami?”
“Beh, non saprei… se vuoi faccio delle domande e tu mi
rispondi” ipotizzò la ragazza, dopo averci pensato un
secondo.
“O-ok…” disse lui, incerto.
Non gli
piaceva che qualcuno indagasse sul suo conto, ma tanto non aveva niente da
perdere. Rea batté le mani, felice.
“Allora, intanto una cosa semplice: hai fratelli o
sorelle?”
“Un gemello, in realtà.
È più piccolo di me di pochi minuti” spiegò.
“Anche lui frequenta la True
Cross?”
“Sì, è un secchione quattrocchi, e ha vinto una borsa di
studio con cui si paga la permanenza qui”
“Apetta… OkumuraRin… non mi dirai che tuo fratello è OkumuraYukio!” dedusse
lei.
“Sì, purtroppo questa piaga è toccata a me” rispose il
ragazzo sconsolato.
“Cavolo, sei il fratello di una celebrità!” si stupì
la ragazza.
“Possiamo evitare di parlare di Yukio?” chiese lui infastidito.
“Va bene, allora prossima domanda: sei innamorato di
qualcuno?” s’informò.
Dal
rossore che si sparse sulle guance di Rin lei dedusse
che la risposta fosse sì.
“Guarda che non c’è da
vergognarsi”
“Non… non sono cose che si chiedono così, senza
preavviso!” si lamentò lui.
“Scusa, cosa dovevo fare?
Dirti ehi, guarda, sto
per chiederti se hai la ragazza, preparati?”
ribatté lei. Il
ragazzo s’incupì senza rispondere.
“Oh, forza! Cosa c’è di male se c’è qualcuno che ti piace?
Sei proprio un ragazzo!”
“Non è che ne sono innamorato, o che mi piace, però… forse
perché è l’unica amica che sono riuscito a farmi appena arrivato
qui.
Prima di riuscire a legare con tutti gli altri ci ho messo un
po’, invece con Shiemi è stata una cosa naturale” spiegò.
Non la
stava guardando negli occhi, ma Rea poté leggere tranquillamente un po’ di
tristezza dietro a quelle parole.
“Secondo me è una bella cosa essere
innamorati.
Dato che al momento non lo sono, mi manca” ammise.
Davanti
a loro la luna era completamente sparita sotto l’orizzonte e il cielo si stava
tingendo di viola.
“Ci siamo quasi” le disse.
Rea
trepidava: non aveva mai assistito ad un’alba.
“Spero che lo spettacolo sia valso l’attesa”
confessò.
“Non hai mai visto l’alba?
Mai, mai?” le chiese lui,
stupito.
Lei
scosse la testa.
“No, non del tutto almeno.
Non so tu che abitudini abbia, ma io alle cinque del mattino
dormo di solito” rispose
acida.
“Io vengo qui solo quando non riesco a dormire, il che capita
spesso.
Ormai sono un abitudinario spettatore del sole che nasce” le spiegò.
“Soffri d’insonnia?”
“No, non proprio.
Dormo più di tutti quelli che io conosca, ma la notte per me è
un incubo: sto ore a rigirarmi nel letto quando ho dei problemi e alla fine mi
scoccio e mi alzo”
rispose. Ci fu
di nuovo silenzio tra di loro.
Quando
il sole apparve dal mare, Rea si sentì mozzare il fiato: la luce illuminava
tutto intorno a loro, e i riflessi sull’acqua rendevano l’aria rosa e
arancione.
“Cavolo…” sussurrò, incapace di trattenere
l’emozione.
“Ti piace, vero?” le chiese lui.
“A chi non piacerebbe?
È uno spettacolo che fa venire i brividi” rispose lei.
Aspettarono ancora un po’ che la stella si alzasse del tutto e apparisse
completamente dal mare, poi sospirarono.
“Forse dovrei tornare da mio
fratello.
Tra poco si alzerà e se non sono in camera mi uccide” disse Rin mettendosi in
piedi. Tese
una mano a Rea per aiutarla e lei la strinse.
“Forza, rientriamo” ordinò lui.
La
ragazza rimase ferma dov’era: si era appena resa conto del fatto che stava in
piedi sul bordo di una torre alta cento metri. Iniziava a girarle la testa.
“Fai solo un piccolo passo verso l’interno e andrà tutto
bene” si rassicurò.
Quando
stava per muovere una gamba, però, tutto il mondo intorno a lei parve muoversi:
sentì la terra mancarle sotto i piedi e vide sé stessa cadere all’indietro, come
se stesse osservando la scena da fuori.
“Rea!” gridò Rin,
lanciandosi verso di lei.
Riuscì
a prenderla per un polso un attimo prima che fosse fuori portata. Nonostante
fosse una cosa sconsiderata da fare, allungò la coda dietro di sé per tenersi
alla balaustra di pietra.
“Rea!
Dammi la mano!” le
ordinò.
La
ragazza era semisvenuta e non lo sentiva gridare. Le sembrava di
sognare.
“Svegliati!
Non ce la faccio a tirarti su da solo!” urlò.
Mentre
le parlava cercava di arrivare a lei con l’altro braccio, ma era inutile: il suo
corpo stava ciondolando in aria troppo più in basso rispetto a dove riusciva ad
arrivare e questo le impediva di raggiungerla.
“Dannazione, mi vuoi aiutare?” imprecò.
Una
folata di vento fece volare via la giacca dalle spalle di Rea, che rabbrividì:
aprì gli occhi. Quando vide sotto di sé il vuoto entrò nel panico e si mise a
gridare.
“Smettila di muoverti!
Se non stai ferma cadremo tutti e due!” la riprese Rin.
“Tirami su, ti prego, tirami su!” lo
implorò.
“Allunga la mano verso di me, poi spingi con i piedi contro
la torre, io, intanto, ti aiuterò da qui.
Sei pronta?” le
chiese.
Tremante, la ragazza annuì.
Quando
lui tese il braccio per farglielo prendere, Rea fece come avevano deciso, e lo
raggiunse col suo. Le sue dita le si strinsero intorno al polso con presa ferma
e sicura.
“Adesso fai pressione con i piedi e cerca di salire”
le spiegò.
“Bravissima, così” la incitò lui.
Quando
stava per credere di avercela fatta, la suola della scarpa scivolò sulla pietra
e lei andò a sbattere con il corpo contro ad essa. Rin, preso alla sprovvista, perse la presa sul suo braccio,
che scivolò sotto le sue dita. Sentì le unghie infilarsi nella sua pelle e
imprecò sottovoce.
“Aiuto!” gridò lei.
“Sta’ tranquilla, adesso ci riproviamo” la calmò.
Con le
lacrime agli occhi, Rea annuì.
Ripeterono
il procedimento e stavolta la ragazza riuscì ad afferrare la balaustra della
torre e a reggersi abbastanza fino a tirarsi su. Nel frattempo, Rin continuava a tirarla con un braccio e la strattonò senza
rendersene conto. Questo movimento la fece rotolare verso di lui e i due caddero
insieme a terra, ansimanti.
“Ce l’abbiamo fatta” disse sottovoce Rea. Era finita
sotto al ragazzo, schiacciata a terra. Si guardarono negli occhi per un
lunghissimo minuto, durante il quale lui cercava di nascondere la coda sotto la
camicia senza farsi notare.
“Forse… forse è meglio se ti sposti…” suggerì lei, col
fiato corto. Come se si fosse svegliato da una specie di trance, l’altro annuì,
alzandosi. Le tese una mano.
“Stai bene?” s’informò.
Aveva
un bernoccolo in testa, la camicetta sporca e un taglio sul polso. Era solo
l’ultimo a preoccupare Rin.
“Sì, senza di te sarei morta”
“Perché ti siedi sulla cima di una torre alta cento metri se
poi soffri di vertigini?” le chiese, aprendo la botola. S’incamminò per
le scale.
“Ero troppo triste, non ho pensato a quello che stavo facendo
quando mi sono messa giù!” si giustificò lei. Si sentiva un’idiota, bella
e buona.
“Mi dispiace per la tua giacca, è volata via” si
scusò. Lui fece spallucce.
“Conosco personalmente il preside e so che ne otterrò
un’altra, stai tranquilla” le disse.
“Se lo dici tu”
“Senti, forse è meglio se ti accompagno fino alla tua
camera.
Non vorrei che tu ti facessi di nuovo male” le propose. Rea
si trovò spiazzata.
“Non importa, so badare a me stessa” rispose. Rin rise.
“Sì, ho visto come sei brava a non farti male.
So dove stai e mi sei di strada, non sarà un problema” le assicurò.
“Guarda che non sono sempre così imbranata!” si
infuriò lei.
Lui la
liquidò con un gesto della mano.
“Io, comunque, ti porto fino là” disse risoluto.
Come se
fosse una bambina, Rea mise il broncio.
“Piuttosto, se ti dovessero fare male le ferite, vieni pure
da me: mio fratello è bravissimo a medicare le persone, sono sicuro che ti
aiuterà”
“Ma c’è l’infermeria, non è un problema…” tentò lei,
ma lui la bloccò, girandosi a guardarla negli occhi.
“No, devi venire da Yukio”
ordinò.
“Perché?”
“Perché sì.
Ti sei fatta male ed io ero con te, quindi mi sento… uhm.. responsabile. Va bene? Me lo
prometti?” la implorò.
Anche
se non ne capiva il motivo, lei annuì. Rin tirò un
sospiro di sollievo.
“Perfetto.
Questa è la tua camera, giusto? Quindi direi che ci vediamo in giro. Mi
raccomando, se hai bisogno vieni a cercarmi. Io sto nel dormitorio maschile, nel
vecchio edificio, ci siamo solo io e mio fratello. Ciao,
ciao” la salutò.
Stranita
dal comportamento del ragazzo, Rea lo guardò girare l’angolo ed entrò solo dopo
che lui fu sparito completamente dalla sua vista.
Laura
dormiva, e questo era un bene: se avesse dovuto parlarle ora sarebbe stata
cattiva e non voleva.
Attenta
a non fare rumore, si spogliò ed entrò in bagno, dove fece una lunga doccia
rilassante. Lo stress scivolò via, lasciando solo una leggera
stanchezza.
Quando
ebbe finito di lavarsi si mise in pigiama e guardò fuori dalla finestra:
dovevano essere almeno le sette del mattino, non aveva mai fatto così tardi. O
presto. Dipende dai punti di vista. Prima di addormentarsi le venne solo un
dubbio: Rin aveva usato entrambe le mani per tirarla
su, ma come aveva fatto a reggersi e non cadere? Si ripromise di
chiederglielo.
Aprì
gli occhi solo nel tardo pomeriggio. Le sembrava che un martello pneumatico
stesse lavorando nella sua testa.
“Cavolo, che dolore.
Ma che ore sono?” si
chiese. La
sveglia segnava le cinque e mezzo. “Ho dormito quasi
dieci ore, è un record” si mise a sedere sul letto e si guardò intorno:
il letto di Laura era rifatto, segno che lei non era in camera; la finestra era
chiusa, ma entrava un po’ di sole dalle fessure nelle persiane; sulla scrivania
c’erano due panini e un biglietto. Rea si avvicinò e lo prese in mano.
“Ho visto che dormivi e non ho voluto
svegliarti.
Ti ho lasciato qualcosa da mangiare in caso ti venga fame. Io sono andata a fare
un giro, spero che potremo parlare di quello che è successo ieri appena rientro.
Con affetto, Laura”.
La
ragazza sbuffò e gettò il foglio direttamente nel cestino della spazzatura.
“Non importa quanto tu ti scusi,
stavolta non la passi liscia” pensò.
Spalancò
le finestre e respirò una boccata d’aria primaverile, riempiendosi i polmoni con
l’odore dei fiori.
Si
stirò, si tolse il pigiama e si mise l’uniforme della scuola (camicetta bianca,
cravatta a strisce, gonna rosa corta e calze lunghe nere), poi prese i due
panini lasciati sul tavolo da Laura e uscì fuori.
Anche
se era solo aprile faceva già molto caldo e si stava bene anche a maniche corte.
Ripensò alla sera prima e alla giacca di Rin e le
vennero i sensi di colpa: forse poteva cercarla e riportargliela.
“Sarebbe un’idea splendida, ma dove pensi di trovarla se il
vento l’ha portata via?
Potrebbe essere ovunque” si
disse. Senza
perdersi d’animo, si mise a gironzolare nel cortile della scuola.
C’erano
gruppetti di ragazzi ovunque: sulle panchine, seduti sull’erba, che camminavano
lungo il sentiero ciottolato e, infine, che correvano giocando come bambini.
Intimamente, Rea li invidiava: lei non era riuscita, in dieci giorni, a legare
con nessuno. “Escluso Rin” si ricordò. Era stato gentile la sera precedente
e doveva ammettere che, senza di lui, adesso non sarebbe stata lì. Le venivano
ancora i brividi ripensando a quando penzolava sospesa in aria a cento metri da
terra.
Nonostante
la sua buona volontà di ritrovare la giacca, dopo mezz’ora si sentì sconfortata:
aveva controllato tutto il giardino senza esiti. Demoralizzata, si sedette sotto
un albero.
“Perché non sono stata più attenta, ieri sera, invece di fare
l’idiota e sedermi sul bordo di una torre alta in quel
modo?
Sono un caso perso” si
rimproverò ad alta voce. Ogni
tanto capitava che parlasse da sola ma di solito se ne rendeva conto solo dopo
che aveva finito il discorso. La gente che passava la guardava incredula e
tirava dritta, come spaventata dal fatto che quella stranezza potesse essere
contagiosa.
Rea
appoggiò la testa all’albero e si beò dei raggi del sole sul viso. “Che pace!” pensò. Non appena ebbe finito di formulare
quella frase, qualcosa si mosse sopra di lei. Vide qualche foglia caderle sulle
ginocchia e alzò lo sguardo.
“Di questi tempi alle piante non cadono le foglie”
disse. In quell’istante una macchia nera le cadde addosso,
spaventandola.
“Aiuto!” gridò sobbalzando. Un piccolo gatto nero e
bianco col pelo arruffato e pieno di rami spezzati le era finito sulla pancia.
Nel vederlo, Rea si
tranquillizzò.
“Ehi, mi hai fatto quasi prendere un
infarto!
Ma che ci facevi lassù, si può sapere?” gli chiese.
L’animale, tremante, la guardò di sbieco: aveva il viso per metà grigio e gli
occhi grossi. Metteva tenerezza.
La
ragazza allungò una mano per toccarlo, ma lui si ritrasse
spaventato.
“Sta’ buono, non voglio farti del male” lo
tranquillizzò. Aveva avuto un gatto, quando abitava con i suoi genitori, e
sapeva come fare in quei casi: mise il palmo rivolto verso l’alto davanti al suo
musetto e si fece annusare.
“Visto?
Non sono cattiva”
disse.
Un po’
più fiducioso, l’animale smise di tremare e Rea poté iniziare a togliere i rami
secchi e le foglie impigliate nel pelo, ma questi erano talmente aggrovigliati
che era difficile staccarli. Sbuffò e prese il gatto in
braccio.
“Vieni con me, ti porto in camera e ti pulisco per
bene” decise.
Capitolo 7 *** Primo contatto con i demoni pt 2 ***
Seduta
sul letto, la ragazza stava finendo di asciugare l’animale. Aveva capito che
l’unico modo per pulirlo era lavarlo e, contro ogni previsione, questo si era
fatto bagnare, insaponare e risciacquare senza muoversi. Adesso era accoccolato
su un asciugamano appoggiato sulle ginocchia di Rea che si beava delle coccole
che lei gli faceva.
“Ecco fatto, adesso sei tutto lindo e profumato”
annunciò.
Lui
alzò il muso e le leccò la faccia, facendole il solletico.
“Prego, prego, cosa vuoi che sia?
Sono un’amante degli animali”
disse.
Se lo
tolse dalle gambe e si alzò per andare a prendere i panini di Laura. Ne scartò
uno e lo mise davanti al gatto.
“Mangia, mi sembri affamato” osservò.
Dopo
aver annusato per bene che non ci fossero strani cibi dentro, lui dette un
morso. Miagolò felice, come per dire “Miao! Buono!
Miao!”.
“Buon appetito!” rise Rea. Lo guardò ingoiare alla
velocità della luce il primo sandwich e, dato che al momento non aveva fame, gli
dette anche il secondo.
“Sei piccino, ma mangi come un essere umano!” osservò stupita.
Quando ebbe finito, il gatto sbadigliò e si rannicchiò sul letto,
addormentandosi.
“Sarebbe bello se fosse così facile anche per me,
sai?” gli confessò. Poi notò che c’era qualcosa di strano in
quell’animale: tanto per cominciare aveva due piccoli corni grigisulla testa, e poi c’erano due
code in fondo al suo corpo. Non se n’era reso conto subito, ma adesso era
evidente che quel gatto non era normale. In quel momento bussarono alla
porta.
“Arrivo!” gridò lei.
Quando
aprì si trovò davanti Rin, sorridente e di buon
umore.
“Buongiorno, Rea!
Sono venuto a vedere come stai oggi” la salutò.
La
ragazza, ancora incredula, si riscosse.
“Ciao!
Non credevo che saresti venuto a trovarmi. Che ci fai
qui?” gli chiese. Lui
perse un po’ del suo sorriso.
“Beh, visto che ieri sei quasi caduta da una torre alta cento
metri volevo vedere se stavi bene” rispose. A quelle parole lei
rabbrividì.
“Non me lo far ricordare, ho avuto gli incubi tutta la
notte” disse.
“Oh, ma vieni, entra” lo invitò, ricordandosi
all’improvviso le buone maniere. Il ragazzo la seguì
all’interno.
“Come vanno le tue ferite?” s’informò fingendo
noncuranza.
In
realtà, dentro di sé si sentiva terribilmente in colpa per il graffio sul
polso.
“Bene, credo.
Sai, cado talmente spesso che sono abituata ad avere lividi e
contusioni in tutto il corpo, così non ci faccio nemmeno più caso” rispose lei alzando le
spalle. In
quel momento, Rin si bloccò, con lo sguardo fisso sul
micetto. Rea lo guardò.
“Che c’è?
Ti senti bene?” gli chiese
preoccupata. Il
ragazzo indicò l’animale.
“Cosa? Hai paura dei gatti? Mi è caduto sulle gambe ed era
tutto arruffato, così l’ho portato in camera e…”
“Kuro!
Che diavolo ci fai qui?” gridò
lui, interrompendola.
Quello aprì un occhio e lo fissò.
“Sei di nuovo andato in giro a cercare cibo?” chiese arrabbiato. Il micio miagolò.
“Non mi interessa se sei rimasto fermo su un albero, perché
cavolo ci sei salito se non sapevi scendere?” altro
miagolio.
“Invece di rubare cibo alle persone, perché non torni al
dormitorio?
Ne parliamo dopo di questa cosa” gli ordinò.
Soffiando, il gatto scese dal letto e uscì dalla finestra.
“Mi dispiace se ti ha dato noia, io non so come
scusarmi” disse Rin a Rea poco dopo. La ragazza
stava per esplodere.
“Non si trattano così gli animali!” lo riprese. Dopo
un attimo di stupore, lui la fissò.
“Cosa?”
“Ti sei comportato malissimo, sei un cafone!” gridò.
Le dava una noia bestiale quando un animale veniva maltrattato davanti a
lei.
“No, qui c’è un errore, non hai capito come stanno le
cose.
In verità lui è… è…” si
bloccò. Aveva
già fatto abbastanza danno la sera precedente graffiandola, rivelarle tutto era
da idioti.
“Sì, lo so” lo interruppe lei.
“L-lo sai?” balbettò Rin
sentendosi gelare il sangue nelle vene.
“Sì, ho notato i corni che ha sulla testa e la coda
biforcuta, ma anche se è diverso non sei giustificato!” spiegò. Il
ragazzo tirò un sospiro di sollievo, sollievo che durò solo un
secondo.
“Che cosa hai detto?”
“Che anche se è diverso va trattato come tutti”
“No, prima”
“Che ha le corna e due code?” ripeté lei, incerta.
Lui
imprecò sottovoce e le prese il polso: la ferita non si era rimarginata quasi
per niente ed era più rossa di quella
mattina.
“Devi venire con me” le ordinò.
“Che cosa?
Dove?” domandò lei
spaventata.
Lui la
prese per un braccio e la trascinò fuori dalla porta.
“Ehi!
Fermo, fermati subito!” gridò
Rea. Rin continuò a camminare.
“Dobbiamo andare da Yukio, deve
assolutamente disinfettarti la ferita” disse.
“No, andiamo da mio fratello” decise risoluto il
ragazzo. La stava letteralmente portando a peso morto, tirandole forte il
braccio.
“Mi fai male! Così me lo stacchi, il
polso!”
Il
vecchio edificio somigliava alla casa dei fantasmi che aveva visitato da piccola
al Luna Park. Era alto e con l’intonaco sporco. L’interno sembrava
deserto.
“Questo posto mette i brividi” osservò Rea. Ormai il
sole era tramontato e l’unica luce che c’era all’interno proveniva da una stanza
in fondo al corridoio del primo piano.
“Yukio!
Abbiamo un problema!” gridò
Rin.
Un
ragazzo alto, con gli occhiali quadrati e un’uniforme nera apparve dalla
porta.
“Che c’è Nii-chan?
Sono occupato” rispose
annoiato. quando vide che il fratello non era solo ma trascinava
un’altra persona s’immobilizzò.
“Oh no!” esclamò. Mortificato, Rin annuì.
“Non dirmi che…”
“Invece sì”
“E tu come…”
“Può vedere la vera forma di Kuro”
“E come è possibile?”
“Beh, come lo è stato con te da neonato, è stato per lei ieri
sera” disse.
Quello
scambio di battute aveva messo il mal di testa a Rea, che era rimasta in piedi
di fronte a Yukio.
“Dov’è la mashou?” le
chiese.
“La che?” disse lei senza
capire.
“Sul polso” rispose Rin al
posto suo. Il ragazzo le prese il braccio e lo voltò in modo che si vedesse il
taglio.
“Ah, quello.
Non è niente, solo un piccolo graffio” minimizzò lei.
“No, questa è proprio una mashou.
Vieni, è meglio se la disinfettiamo prima che si aggravi” le disse. La
portò in una specie di infermeria.
“Vieni anche tu, Nii-chan”
lo chiamò. Il ragazzo era rimasto fermo in corridoio. “Ti prego, non di nuovo” pensò. Era la seconda volta
che feriva qualcuno e si sentiva terribilmente male. Non era giusto che tutte le
volte che si avvicinava a qualcuno puntualmente la sua natura venisse fuori e lo
ferisse.
Rea,
intanto, stava studiando tutte le bottiglie che erano sulle mensole: decine di
vasetti pieni di scritte in quello che dedusse essere latino stavano ordinate e
pulite in fila, pronte per essere usate.
“Questo brucerà un po’, ma è l’unica cosa che ti fa guarire
in fretta.
È aloe” le spiegò Yukio, mettendole una pomata sul
graffio. La
ragazza ritrasse il braccio.
“Brucia!” si lamentò.
“Lo so, ma ti fa bene”
“Sì, ma brucia” ripeté. Lui sospirò,
sconsolato.
“Mi sembra di averla già sentita, questa” commentò.
Rin arrossì.
Quando
fu riuscito, finalmente, a bendarle il polso, ripose il materiale e la
fissò.
“Forse è bene spiegarti tutto dall’inizio, anche se ci vorrà
un po’.
Hai programmi per cena? Nii-chan cucina in modo
meraviglioso” disse Yukio.
Rea
stava seduta a tavola, rigida. Si sentiva sotto osservazione, ma non solo da
Yukio: le sembrava che ci fosse qualcun altro oltre ai due ragazzi in
quell’edificio.
“Allora, intanto direi che una lezione generale sui demoni
sia d’obbligo” iniziò lui.
“Demoni?” chiese lei, incredula.
“Sì, demoni. Questo mondo è popolato da essi, anche se non
dovrebbero entrare ad Assiah. Il fatto è che la loro terra, Gehenna, e la
nostra, Assiah, sono strettamente collegate e alcuni di loro riescono a venire
qui. Quando questo accade può capitare che degli esseri umani vengano feriti dai
demoni e questo permette loro di vederli. Ci sei fino a qui?” le chiese
prima di continuare. Rea mosse il capo in su e giù, in
trance.
“Bene. La ferita che vieni inferta si chiama
mashou”
“Come la mia sul polso?” dedusse lei. Yukio
annuì.
“Il fatto che tu veda Kuro nella sua forma originale ne è
una prova: quando un essere umano normale lo osserva riesce a vedere solo un
semplice gattino nero, invece tu sei riuscitaa notargli le corna e la coda
biforcuta” le disse.
La
ragazza era basita, terribilmente congestionata. “Demoni…” pensò.
“Non fraintendermi, non c’è da avere paura: la scuola è
protetta e il nostro preside fa di tutto perché agli allievi non accada
niente” la tranquillizzò.
“Demoni…” continuava a pensare. Aveva lo sguardo vacuo
e le tremavano le mani.
“Rea?” la chiamò Yukio.
Era
rimasta zitta praticamente tutto il tempo. Era preoccupante? Le scosse
lievemente un braccio.
“Ehi?” tentò di nuovo.
“Questo è uno scherzo, vero? Insomma, io sono ancora a
dormire nel mio letto e non mi sono ancora svegliata, giusto?” chiese.
Ecco la crisi isterica.
“Ehm, in realtà no, questo non è un sogno” le rispose
il ragazzo, incerto.
Aveva
visto in difficoltà sia il fratello che sé stesso quando la verità sul mondo dei
demoni era stata loro svelata. E dire che Rin era quello che avrebbe dovuto
abituarcisi più in fretta di tutti, vista la sua natura.
“La cena è pronta!” annunciò lui, come evocato dai
pensieri del fratello. Apparve con una pentola piena di riso al curry fumante.
Dietro di lui un piccolo essere alto sì e no cinquanta centimetri con piatti e
bevande lo seguiva sorridente. Non era solo il suo aspetto che la stupiva,
nonostante fosse piuttosto strano: la testa era tonda e viola, con due corna
ocra al centro; la faccia era rosa e paffuta; gli occhi erano gialli e grandi;
aveva la coda a forma di forcone e tutta viola; la parte inferiore del corpo era
simile a quella di un satiro; il tutto era coronato da un paio di guanti e un
grembiule da cucina. Quello era un demone.
Rea lo
indicò col dito tremante.
“C-cosa… cos’è… quello?” chiese balbettando. Yukio
capì subito a che si riferiva.
“Quello è Ukobach, il nostro cuoco personale. Come vedi, lui
non è cattivo, anzi ormai siamo amici” le spiegò. La ragazza si alzò e
batté le mani sul tavolo.
“Non posso credere a quello che mi dici, tutta questa storia
dev’essere una bugia inventata dalle vostre menti malate. Voi siete
pazzi” disse.
Rin,
che aveva perso la spiegazione del fratello, appoggiò la pentola sulla tovaglia
e la fissò senza capire.
“Che succede?” le chiese. Provò a toccarla ma lei lo
respinse.
“Che succede? Che succede?” ripeté con voce
isterica.
“Demoni? Ferite? Assiah e Gehenna? Che diavolo state
dicendo?”
“Ok, capisco il tuo stupore, ma adesso siediti e
calmati” le disse il ragazzo.
Lei si
girò con occhi infuriati.
“Calmarmi? Ho sempre pensato che esistessero fate e streghe,
non mostri e mondi paralleli!” esclamò.
“Qual è la differenza?” le chiese Rin.
Aveva
lo sguardo cupo. Rea si bloccò: già, qual è la differenza?
“Che i demoni sono pericolosi! Nei libri c’è scritto
così!” rispose. Yukio rise.
“Beh, questo è vero ma non tutto ciò che è scritto è realtà.
Ascoltami, pensaci un secondo: che differenza c’è tra Ukobach, che è un nostro
amico, ci prepara i pasti e si mette a nostro servizio, e, che so, una fata o
una maga?” le fece presente. Lei non seppe
rispondere.
“Esatto, non esiste. Certo, non ti sto dicendo che non ci
sono demoni cattivi, anzi sono più numerosi quelli pericolosi degli altri, però
non esserne spaventata a prescindere. Inoltre, nella nostra scuola, ci sono
barriere e controlli ovunque, quindi qui sei al sicuro” le
spiegò.
“E allora io come ho fatto a essere ferita se non c’è la
possibilità che i demoni entrino?” domandò Rea, un po’ più tranquilla. Si
mise di nuovo a sedere.
“Quante domande che fai! Perché non mangiamo, prima? Dopo le
risposte, vero Ukobach?” annunciò Rin. Mise il riso nei piatti della
ragazza e del fratello e poi servì sé stesso.
“Non… non l’ha cucinato lui, vero?” chiese lei,
incerta, indicando il demone.
“Dove sarebbe il problema, se così fosse?” rispose
Rin.
“Mi suona… beh, mi suona strano mangiare qualcosa cucinato da
un demone” ammise.
“Senza offesa, Ukobach” aggiunse ripensandoci. Yukio,
a quelle parole, rise rumorosamente.
“Hai sentito, Nii-chan? Come ribatti a questo?”
domandò. Il ragazzo arrossì.
“Tu da che parte stai, fratello?” lo
fulminò.
“Questa ragazza mi piace, credo che starò dalla sua”
decise.
“Che ho detto di male?” domandò
Rea.
“Lascia perdere e mangia” le ordinò. Appena ebbe
messo in bocca la prima forchettata di riso, la ragazza sgranò gli
occhi.
“Ma… ma è buonissimo!” esclamò.
“Cavolo! Chi è il genio che ha cucinato questo?”
chiese incredula. Sia Rin che Ukobach arrossirono.
“Devo ricredermi, è davvero delizioso. Le mie più sincere
scuse” disse ad alta voce, a nessuno in particolare, continuando a
mangiare. Il demone arrossì.
Dopo
cena era più tranquilla e aperta a comprendere ciò che i due fratelli le
dicevano.
“Quindi adesso rimane solo una cosa che dovete spiegarmi:
com’è che un demone mi ha ferita? E soprattutto, quando?” domandò di
nuovo. Yukio prese un respiro.
“Credo che sia successo sulla torre, ieri sera.
Probabilmente quando sei caduta e Nii-chan ti ha presa, c’era un Cohal Thar che
ti ha graffiata e lui non se n’è accorto” rispose, cercando gli occhi del
fratello.
“Sì, probabilmente sì” annuì. Si sentiva in colpa
sempre di più.
“Un Cohal Thar? Che roba è?”
“Uno dei demoni più innocui esistenti, tranquilla” la
rassicurò.
“Ma voi come fate a vedere i demoni?” s’incuriosì la
ragazza.
Ukobach
apparve con una torta in mano e la posò sul tavolo.
“Grazie” gli disse Rin. Lui sorrise e tornò in
cucina.
“Beh, io sono un insegnante della Scuola di Preparazione per
esorcisti, mentre Nii-chan… uhm…”
“Io sono un suo allievo” terminò il ragazzo. In due
faticavano a trovare tutte le volte delle scuse per spiegare la natura di
Rin.
“Esorcisti? Del tipo crocifissi, acqua santa e
santini?” domandò lei. I ragazzi risero.
“Non proprio, ma l’idea è quella. Ci sono dei corsi apposta
per esorcisti qui alla True Cross e chi ha una mashou può frequentarli. Anche
tu, in realtà, potresti iniziare” le spiegò Yukio.
“No, grazie. Sono un tipo codardo, mi dispiace”
declinò Rea.
“Laura li ha già iniziati” si fece scappare Rin. Si
morse la lingua un attimo dopo.
“Che cosa?” esclamò lei.
“Niente, niente…” disse il ragazzo.
Lei si
alzò e gli andò ad un centimetro di distanza dal viso.
“Niente un cavolo! Dimmi un po’ che storia è questa?”
gli ordinò. Aveva degli occhi terrificanti e lui si sentì messo alle
strette.
“Voglio vedere adesso come te la cavi” commentò
Yukio, mettendosi comodo.
“Beh, ecco… vediamo…” lei lo guardava fisso,
stringendo impercettibilmente le palpebre.
“Voglio la verità, Rin. Ti ho già detto ieri quanto le bugie
di Laura mi abbiano ferita nelle ultime due settimane, non mentirmi anche
tu” gli disse.
Non era
un ordine, era un supplica e questo il ragazzo lo capì benissimo.
Sospirò.
“Va bene, d’accordo. Hai presente la chiave che ha trovato
l’altra mattina? Quando poi è tornata in camera fasciata e tra le braccia di
Mephisto” le chiese. Rea annuì.
“Era mia. Quella è una chiave particolare: ovunque sei,
qualsiasi porta tu apra con essa, ti ritroverai sempre nell’ala di esorcismo.
Probabilmente deve averla usata per sbaglio ed è stata attaccata da un
demone”
“Ha una mashou anche lei?”
“Sì. Ieri è stata via per tutto quel tempo perché ha iniziato
i corsi da esorcista. Non penso che abbia fatto apposta di lasciarti sola.
Conoscendo quell’uomo, è probabile che l’abbia portata in classe senza quasi
chiederglielo” le spiegò. Rea sentì le gambe
tremare.
“Perché non me l’ha detto? Ci siamo sempre confessate anche
il più stupido segreto e questo, che è importante per la sua vita, non ha avuto
il coraggio di venirmelo a dire. Non ci credo” disse accasciandosi sulla
sedia. Yukio le si avvicinò un po’ da sopra il tavolo.
“Probabilmente perché le è stato chiesto di non farlo. Non è
molto consigliabile andare in giro per la scuola a dire che siamo esorcisti e
vediamo demoni e affini girare per le strade. Le reazioni possibili sarebbero
due: o vieni preso per matto o semini il panico” le fece presente. Rea
scosse la testa.
“Non ha importanza, sapeva che le avrei creduto, l’ho sempre
fatto!” ribatté.
“Comunque queste sono questioni che devi affrontare con lei.
Io ti chiedo solo di non parlare di tutta questa storia in giro, più che altro
per mantenere un profilo basso” le chiese Yukio. Lei annuì, incredula di
fronte a tanta freddezza.
“Beh, credo che non ci sia altro da aggiungere. Nii-chan, la
accompagni tu in stanza?”
Durante
metà del tragitto stettero entrambi zitti. Rin pensava a quanto si dovesse
essere sentita esclusa lei, ricordando la sensazione di delusione provata quando
aveva saputo che il fratello non solo conosceva il suo segreto ma era anche un
esorcista specializzato da due anni; Rea, invece, stava ragionando su tutta
quella storia. Alla fine scosse la testa, arrendendosi.
“Che succede?” le chiese il ragazzo
preoccupato.
“Niente, solo che piano, piano inizio a lasciar entrare
quest’assurda consapevolezza che i demoni esistono, che c’è un mondo parallelo e
tutte queste cavolate e più ci penso più mi sembra impossibile” rispose
lei.
“Beh, poso capirti. Stare a raccontarti come ho reagito io
quando ho saputo di questa realtà sarebbe inutile, dovrei scendere in
particolari che non voglio ricordare, però posso assicurarti che so di cosa
parli” la consolò. Ormai erano quasi arrivati davanti alla camera di
Rea.
“Mi dispiace” disse Rin, fermandosi di botto. Lei gli
si mise accanto e lo fissò senza capire.
“Per che cosa?”
“Per… per questo! Dovevo stare più attento, ieri, fare in
modo di non ferirti sul polso, che tu non avessi una mashou. È stato da
deficiente non accorgersene per uno che vuole diventare esorcista di prima
categoria” ammise. La ragazza sorrise.
“Intanto non sei stato tu a graffiarmi. È stato un
Cohalqualcosa”
“Cohal Thar”
“Quello che è. E poi non ti preoccupare, mi abituerò anche a
questo. Sono così imbranata che non faccio che cadere, sbattere contro i muri,
scivolare, tagliarmi, sbucciarmi… ormai ci ho fatto l’abitudine. E, in fondo, è
come hai detto tu: non c’è differenza sostanziale tra fate e demoni, almeno se
questi ultimi sono come Ukobach o come Kuro, giusto?” ragionò. Rin era
scioccato da tanta tranquillità, soprattutto visto che si era quasi rifiutata di
mangiare perché aveva paura che il pasto fosse stato preparato da un demone. Se
avesse saputo…
“Sei strana, Rea” annunciò dopo un istante. Riprese a
camminare.
“Che cosa?” chiese lei, correndogli
dietro.
“Sei una persona molto strana, non so capirti:
ventiquattr’ore fa piangevi disperata, poi ti sei messa a ridere dopo avermi
raccontato i tuoi problemi; sei quasi caduta da un’altezza spropositata e
comunque ti sei rialzata subito; hai scoperto che esistono i demoni e che
potresti essere attaccata non più di due ore fa e adesso sei tranquilla come se
tutto fosse normale. È… beh, è strano” osservò.
“Io non sono strana!” ribatté lei, arrabbiata.
Arricciò il naso come i bambini e mise il broncio.
“Sì che lo sei” rispose tranquillo Rin. Rea si zittì,
infuriata.
Quando
arrivarono davanti alla sua stanza, lei fece per entrare senza salutare, ma lui
la fermò.
“Che vuoi?” gli chiese
scorbutica.
“Io… io lo so che vuol dire essere tagliati fuori” le
confessò. La ragazza abbassò le spalle e lo guardò triste.
“Non credo che tu sappia che significa
quando…”
“Mio fratello e mio padre erano esorcisti e io non ne sapevo
niente, poi ho scoperto che tutti conoscevano il mio passato tranne me e infine,
come se non bastasse, ho passato quindici anni della mia vita vivendo con un
uomo che credevo essere mio padre ma non lo era, ed ero l’unico a non saperlo,
anche Yukio ne era al corrente” le disse tutto d’un fiato. Non aveva mai
parlato nemmeno a Shiemi di questa cosa. Rea era stupita.
Sorrise.
“Grazie” gli disse, si guardò intorno e, quando vide
che non c’era nessuno, si alzò sulle punte e lo baciò sulla
guancia.
“Buonanotte!” gli augurò correndo in camera.
Toccandosi il punto in cui le sue labbra l’avevano toccato, Rin sorrise. Mentre
tornava nel vecchio dormitorio gli venne in mente che, in fin dei conti, si
stava affezionando ad una perfetta sconosciuta.
“E’ andato tutto bene?” lo accolse Yukio. Senza
proferire parola, lui si mise in pigiama, liberando la coda (e tirando un
sospiro di sollievo quando poté muoverla in santa pace), e si
coricò.
“Nii-chan, tutto ok? Rea ha fatto
storie?”
“No, stai tranquillo
quattrocchi”
“Beh, meglio così. Certo che anche tu potevi stare più
attento, ieri, invece di graffiarla” lo riprese.
Quanto
gli dava noia quando faceva il saputello…
“Ma tu critichi sempre?”
“Solo quando ce n’è bisogno”
“Ecco, allora smetti!” lo freddò.
Si tirò
le coperte sulla testa e si addormentò all’istante.
Da
quando aveva saputo dei demoni era passata una settimana. Si era trovata spesso
con Rin ed era diventata molto amica sia sua che di
Kuro. Amava gli animali e quel gattino la faceva
letteralmente impazzire.
Nonostante
le nuove conoscenze, comunque, sentiva sempre molto la mancanza di Laura: ormai
erano dieci giorni che non le parlava, ma non aveva intenzione di cambiare idea,
soprattutto dopo aver saputo degli esorcisti. Le faceva male, ma doveva farsela
passare prima di poter risolvere con lei senza arrabbiarsi
troppo.
Il
lunedì mattina c’era il compito d’inglese. Il professore aveva appena consegnato
il testo quando la porta si spalancò: apparve un Rin
stravolto, con la giacca stropicciata e il fiatone.
“M-mi… mi scusi professore!
Non ho sentito la sveglia e mio fratello non mi ha chiamato
prima di uscire!” si
giustificò.
L’insegnante sospirò rassegnato.
“Okumura, è la terza volta da quando è iniziata la scuola che fai
tardi.
Inizio a pensare che non siano solo problemi occasionali i
tuoi” lo sgridò.
“Mi dispiace, giuro che non succederà più!” promise
sedendosi.
“Vieni a prendere un foglio per il compito invece di metterti
comodo.
Stamani c’è il compito in classe” gli fece presente. Anche
dall’altra parte della stanza, Rea vide visibilmente il colore scomparire dalle
guance dell’amico e sorrise: se n’era dimenticato. Trattenendo a stento le risa,
si concentrò sul testo.
“Maledizione, un’altra insufficienza!” si lamentava
Rin, dirigendosi verso il cortile. Aveva il bento che Ukobach gli aveva
gentilmente preparato la sera precedente in mano e stava andando a
pranzare.
“Ehi, aspettami!” gridò Rea, correndo verso di lui.
Lui attese pazientemente che lo raggiungesse.
“Buongiorno!” lo salutò. Aveva il
fiatone.
“Che succede?
Ci sono problemi?” le chiese incuriosito.
Respirando
a fondo lei riprese fiato.
“No, volevo solo chiederti se pranzi con
me.
Devo passare in mensa a comprare da mangiare, mi
accompagni?” gli propose dopo un attimo di
riposo.
“Certo, ma io ho il mio bento.
Ukobach me
lo ha preparato ieri sera” le
rispose.
“Non importa, vorrà dire che il pranzo lo prenderò solo
io” decise. N
on
pranzavano spesso insieme, anche perché Rea rimaneva nell’edificio durante l’ora
di pausa tra le lezioni mattutine e quelle pomeridiane.
Dopo
essere passati dalla mensa andarono in cortile e si sedettero sotto l’albero
dove si era nascosto Kuro la settimana
prima.
“Allora, che cosa volevi chiedermi?” le domandò Rin quando ebbe aperto il suo bento.
“Ho visto che ti trovi in difficoltà con l’inglese, mi
sbaglio?”
Il
ragazzo s’incupì.
“Lasciamo perdere”
“Ecco, io devo ancora sdebitarmi con te perché mi hai salvato
la vita sulla torre e pensavo… dato che io ho ottimi voti in inglese e che mi
piace parlarlo e scriverlo, ti va se ti do una mano?” gli propose. Lui
spalancò la bocca, sorpreso.
“Stai scherzando?”
“No di certo.
Ho tanto tempo libero e non mi dispiacerebbe aiutarti, in
fondo sei mio amico”
rispose.
“Cioè tu mi faresti ripetizione di inglese senza volere
niente in cambio? Soldi, protezione… niente?”
“Esatto.
Perché per te è tanto strano?”
“Beh, non saprei.
Forse perché ci conosciamo da una settimana” immaginò lui.
“E allora?
Siamo amici, giusto? Gli amici fanno così” gli spiegò. Rin non se ne capacitava.
“Allora?
Vuoi o no che ti aiuti?” gli chiese impaziente. Lui si riscosse.
“Sì!” accettò. Rea gli tese la mano, che prontamente
lui strinse.
Quel
pomeriggio, alle cinque, la ragazza era di fronte al vecchio dormitorio che
fissava la porta. Anche alla luce del sole le faceva venire i brividi. Prese un
grosso respiro e bussò.
“Ciao Rea! Vieni su, è aperto” le disse Rin
affacciandosi alla finestra. Mentre lei attraversava l’ingresso, lui tornò
velocemente in camera. Si era tolto la giacca e aveva lasciato libera la coda
dopo che era tornato in stanza, ma doveva rivestirsi alla svelta se non voleva
che lei lo vedesse. La arrotolò intorno al petto e si chiuse la camicia, poi
corse al piano di sotto, dove Rea lo stava aspettando.
“Eccomi, scusa per l’attesa. Vieni, ci mettiamo in mensa,
Ukobach ci ha preparato la merenda” le disse guidandola nella sala
pranzo. La ragazza lo fissò alzando un sopracciglio.
“Ehi, siamo qui!” gridò Rin al demone, che apparve con
un grosso vassoio in mano. Lo posò sul tavolo e guardò Rea
sorridente.
“Ciao Ukobach. Come stai?” lo salutò lei. Lui
arrossì.
“Prendi una fetta di torta e un po’ di tè, ti
va?”
“Non si rifiuta mai la torta con le fragole, è
sacrilegio” rispose lei ridendo. Quando si furono messi a sedere ed
ebbero preso entrambi il dolce, lo fissò.
“Hai intenzione di studiare scrivendo sul tavolo?” gli
chiese.
“Non credo di aver capito” disse lui,
confuso.
“Non hai i libri, i quaderni o altro materiale per fare
inglese” gli fece notare.
Rin si
accorse di essere corso da lei con così tanta fretta da essersi dimenticato
qualsiasi cosa in camera. Si alzò di scatto, tutto rosso in viso, e si precipitò
al piano di sopra.
“Torno subito!” le gridò. La ragazza guardò Ukobach
con sguardo divertito.
“Secondo te si ricorderà che deve prendere anche la penna o
gliela dovrò prestare io?” gli chiese. Il demone non
rispose.
“Ehi, questa torta è buonissima!” esclamò lei, dopo un
attimo, addentando il dolce.
Rin,
nel frattempo, stava cercando tutto il materiale. “Stupido, stupido, stupido!” si ripeteva. Perché tanta
emozione? “Siamo amici, giusto? Gli amici
fanno così” gli aveva detto. Nessuno era mai stato tanto gentile con lui,
nemmeno Shiemi o Bon.
Tornò
in mensa e riprese fiato.
“Ho portato tutto, sono pronto” annunciò. Si mise a
sedere e aprì i libri.
“Tieni” disse Rea. Aveva in mano un lapis e lo
fissava.
“Cos’è?” domandò lui, senza
capire.
“Una matita. Non so come funziona per te, ma io uso una di
queste per fare i compiti” rispose lei, divertita.
“E perché me ne stai dando una?”
“Volevi scrivere col sangue?” s’informò la ragazza.
Solo in quel momento lui si rese conto che non aveva portato
l’astuccio.
“Oh! Ehm, grazie!” le disse.
“Niente di che” minimizzò lei.
Si
misero a studiare senza interruzione, partendo dai fondamentali dell’inglese.
Rea si rese conto che Rin, se incoraggiato, era piuttosto bravo, bastava dargli
fiducia.
Dopo
un’ora circa sentirono bussare alla porta.
“Aspetta, controllo chi è. Probabilmente è solo Yukio che fa
sentire che è tornato” si scusò lui, alzandosi.
“Fai pure con calma, io intanto mi prendo un’altra fetta di
torta” rispose lei.
Affacciandosi
alla finestra il cuore del ragazzo perse un battito: Shiemi stava aspettando che
qualcuno le aprisse con una busta di medicinali e piante varie in
mano.
“Ciao Shiemi! Che ci fai qui?” la salutò
sbilanciandosi. La ragazza alzò gli occhi e lo vide.
“Rin! Ho portato le cose che Yuki-chan ha ordinato l’altra
settimana in negozio. È in casa?”
“No, ma sali pure, a breve dovrebbe rientrare” le
rispose. Lei aprì il portone e entrò.
Il
ragazzo si voltò e vide Rea che lo fissava sorridente.
“Provo ad indovinare: è la ragazza per cui hai preso una
cotta?” suppose. Lui arrossì e distolse lo sguardo.
“Ehm… f-forse” balbettò.
“Lo prendo per un sì” decise. Si alzò dal tavolo e
radunò le sue cose.
“Credo che sia meglio se vi lascio soli, non vorrei
disturbare il vostro idillio” gli disse.
“Che cosa? No, dobbiamo
studiare!”
“Oh, avanti! Hai la ragazza che ti viene a cercare a casa e
tu pensi all’inglese? Sei un uomo o un’ameba?” lo riprese
lei.
“Rin? Sei qui?” si sentì una voce chiamare dal
corridoio. La ragazza che apparve sembrava spaesata: i grandi occhi verdi erano
spalancati e parevano cercare qualcosa; era raggiante, sprizzava allegria da
tutti i pori; i capelli erano biondi e acconciati in un caschetto carino;
indossava un lungo kimono rosa e, per finire, aveva un piccolo esserino verde
sulla testa. Rea rimase un secondo ferma ad osservarla: così era quella la
ragazza per cui Rin aveva una cotta.
“Oh, ciao Shiemi. Vieni, accomodati. Lei è Rea, una mia
amica” la presentò. Come riscossa, questa le tese una mano
sorridente.
“Ciao, molto piacere!” le disse.
“Oh, piacere mio” rispose l’altra, stringendola.
Nel fare quel gesto si accorse della fasciatura che ancora era stretta intorno
al suo polso e la fissò.
“Che cos’è questa? Sei ferita?” le domandò
allarmata.
“Ehm, sì ho un piccolo taglio sotto la mano, ma non è niente
di importante, si rimarginerà in qualche giorno ancora”
minimizzò.
“No! Si deve mettere del sancho-san sui graffi. Ni-chan mi
puoi dare del sancho-san?” chiese al piccolo essere sulla sua testa.
Questo sorrise e fece apparire una pianta dalla pancia. Shiemi la passò a
Rea.
“Ecco, spalmaci questa e vedrai che guarirai in
fretta” le assicurò.
Un po’
in imbarazzo, la ragazza prese le foglie dalle sue mani.
“Grazie” rispose. L’altra sorrise
smagliante.
“E grazie anche a te, ehm… esserino verde” disse al
green man.
“Oh, tu vedi Ni-chan? Hai una mashou? Sei un
esorcista?” domandò a raffica.
“Che cosa? No! Mi sono fatta male non più di una settimana fa
e non ho intenzione di diventare esorcista. Combattere non è il mio mestiere,
fidati” le assicurò.
“Probabilmente si farebbe uccidere dai demoni in quattro
minuti, imbranata com’è” commentò Rin.
“Che cosa vorresti dire?” chiese minacciosa Rea,
fissandolo.
“Io? Niente!”
“Non sfidarmi! Ricordati che so cose che non vuoi che escano
dalla mia bocca. O forse dovrei parlare a Shiemi del tuo segreto?” lo
ricattò. Lui sbiancò.
“Non oseresti”
“Sfidami” lo provocò. La bionda era rimasta a fissare
quello scambio di battute in silenzio, poi tossì per attirare l’attenzione.
Ricordandosi della sua presenza, l’altra si riprese.
“Comunque devo andare. Cose da fare, gente da vedere, sapete
com’è. Divertitevi!” li salutò agitando una mano.
“Aspetta! Quando mi fai di nuovo lezione?” s’informò
Rin.
“Possiamo parlarne domani, tranquillo. Fai per bene, mi
raccomando” lo prese in giro, strizzando l’occhio.
Quando
fu scomparsa dalla loro vista, Shiemi si voltò verso il
ragazzo.
“Tutto ok?” gli chiese, vedendo che era rimasto a
fissare il vuoto. Riscuotendosi, lui annuì.
“Hai detto di avere della roba per
Yukio?”
Negare
che le aveva dato noia era inutile, eppure anche il contrario era insensato.
Cos’era quella sgradevole sensazione? Gelosia?
“Ma che vai pensando? Sei matta?” si sgridò.
Entrò
in camera e si mise sul letto. Laura, come sempre, non
c’era.
Aprì il
libro e tentò di studiare. Lo richiuse due minuti dopo.
“Io sono proprio una deficiente”
“Nii-chan, c’è qualche problema?” gli chiese il
fratello quella sera a cena. Preso alla sprovvista lui non seppe
rispondere.
“Come?”
“Ehi? Pronto? Ci sei? Ti vedo assente. È successo qualcosa
con Rea?” s’informò.
“No, non c’è niente che non va, tutto ok” rispose
vago. Yukio si avvicinò e lo fissò.
“Nooo! Non ci credo!” disse sorpreso. L’altro
ricambiò lo sguardo, senza capire.
“Cosa?”
“Ti stai innamorando di lei!” esclamò. Rin
s’infuriò.
“Non è vero! È solo una mia amica!” ribatté punto sul
vivo.
“Certo, un’amica. E quando si ha un amico ci si pensa
ininterrottamente per tutto il giorno?”
“Ma smettila, quattrocchi!” disse
infastidito.
“Io vado a dormire, ti lascio qui i piatti per punizione,
stasera pulisci te” decise. Yukio rise.
“Va bene, come vuoi Nii-chan. Buonanotte” gli
augurò.
Una
volta che si fu messo a letto, il ragazzo rimase sveglio a fissare il soffitto.
Non riusciva a dormire, aveva troppi pensieri in testa: quel pomeriggio,
nonostante fosse solo con Shiemi, non aveva fatto che pensare a Rea e questo lo
disturbava. Le si era affezionato, era una sua amica, ma perché tutto
quell’interesse proprio adesso? “Forse per quello che
ha detto stamani a pranzo. Nessuno mi era mai stato tanto vicino senza
motivo” pensò.
Due ore
dopo, sospirando, si alzò e si vestì. C’era un solo posto in cui poteva
andare.
“Rin? Che cosa ci fai tu qui?” chiese Rea, sorpresa.
Era
sulla torre ad aspettare l’alba da qualche minuto quando aveva sentito la botola
che si apriva.
Preso
alla sprovvista, il ragazzo si bloccò.
“Rea? Non riuscivo a dormire e sono salito qua, tu? Non ti è
bastato cadere l’altra volta?” la prese in giro. Uscì dalla botola e le
si avvicinò.
“Sto a distanza di sicurezza, vedi? A prova di
caduta!” rispose indicando i cinquanta centimetri tra sé e il bordo. Kuro
apparve da dietro il ragazzo.
“Ciao, piccolo!” lo salutò radiosa. Il gatto miagolò
felice.
“Vieni, siediti qui” lo invitò, toccandosi la pancia.
Senza
farselo ripetere, l’animale le saltò in grembo. Rin si
incupì.
“C’è qualche problema?” gli chiese
lei.
“No, lasciamo perdere. Come mai non riuscivi a
dormire?” s’informò.
“Non lo so, troppi pensieri, credo.
Tu?”
“Idem” le rispose.
“E con Shiemi com’è andata?”
“Normale, credo. Anche se nutro un particolare interesse per
lei, non significa che succederà qualcosa”
“Ma a te piacerebbe che ci fosse una qualche possibilità con
lei o no?”
“Non lo so più” ammise. Da quando l’aveva conosciuta
non sapeva più niente.
“Che significa?” domandò Rea, confusa. Rin
arrossì.
“Niente, non ha importanza” disse vago.
Kuro
miagolò.
“Che cosa? Tu te ne stai approfittando!” esclamò il
ragazzo di rimando. Lei lo fissò con gli occhi sgranati.
“Eh?” ma non fu considerata. Il gatto miagolò di
nuovo.
“Non puoi dire certe cose!” lo sgridò,
alzandosi.
“Mi dici con chi parli?” chiese
Rea.
“Con Kuro!”
“Stai discutendo col gatto? Okkeeeey… sei sicuro di stare
bene?” si preoccupò lei.
“Certo che sto bene!”
“Anche io sto bene, qui sul morbido” pensò il micio.
Rin gli dette un colpo sulla testa.
“Ehi, non si picchiano gli animali!” esclamò la
ragazza, contrariata. Lo strinse al petto per proteggerlo.
“Miaaaaao! Questo sì che è un bello spettacolo!”
commentò Kuro.
Lui non
ci vide più: si lanciò verso di lui con un balzo.
“Rin, nooo!” gridò Rea, ma era già tardi: il ragazzo
le finì dritto sopra, steso in orizzontale sulla sua pancia. Lei cadde con la
schiena all’indietro, battendo per terra.
“Vieni qui! Vieni subito qui!” ordinò al gatto, che,
elegantemente, era saltato sulla sua testa. Muovendo la coda balzò di nuovo e
scese sul tetto di sotto, scomparendo alla vista dei due.
“Io lo ammazzo!” disse lui. Senza fiato quasi del
tutto, la ragazza sbuffò.
“Mi rendo conto di essere morbida, lo ammetto, però se non ti
è di troppo disturbo potresti spostarti? Non riesco a respirare” lo
implorò.
Rin,
accorgendosi della posizione in cui era, sentì il cuore accelerare. Arrossì e si
alzò velocemente, tendendole una mano.
“Scusa” disse senza guardarla. Rea si alzò e si tolse
la polvere di dosso.
“Lascia perdere, sono abituata a sbattere a destra e
sinistra” lo tranquillizzò. Si voltò di spalle.
“Mi fa un po’ male la schiena, puoi controllare che non ci
sia niente?” gli chiese.
“C-come, scusa?” domandò lui, sperando di aver sentito
male.
“Capisco che non hai dormito, ma vedi di svegliarti.
Controlleresti che non mi sia fatta niente? Mi fa male la schiena”
ripeté.
Con le
mani tremanti, Rin le spostò leggermente la camicia dalla pelle e si bloccò: un
graffio lungo le circondava la vita, non molto profondo ma
rosso.
“Allora?”
“Ehm, hai da fare stamani?” s’informò abbassandole la
maglia. Lei lo fissò.
“No, perché?” rispose incerta.
“Perché mi sa che dobbiamo tornare da
Yukio”
“Com’è successo?” s’incuriosì il ragazzo mentre la
medicava. Erano andati al vecchio dormitorio (c’era stata di sera, di giorno e
adesso anche di mattina. Full) e avevano svegliato Yukio, che, dopo aver
maledetto il fratello, si era alzato.
Quando
aveva visto il taglio sulla schiena di Rea si era preoccupato credendo che fosse
una mashou, ma Rin lo aveva tranquillizzato.
“Sono stata travolta da un idiota” rispose la
ragazza.
“Nii-chan è un po’ irruento, delle volte, ma non credo che
l’abbia fatto apposta. Dico bene?” chiese conferma.
“No che non l’ho fatto apposta! È stata colpa di
Kuro!” si difese lui. Il fratello sorrise.
“Mi servono i cerotti, vado a prenderli nella mia borsa in
camera. Aspetta un attimo, e mi raccomando: non rimettere giù la camicia, non
deve toccare la ferita” la avvertì. Lei annuì.
Rimasti
soli, Rea guardò Rin.
“Certo che con te non ci si annoia mai, eh?”
osservò.
“Scusa, non volevo farti del male” si
scusò.
“Che vuoi che sia? Taglio più, taglio
meno…”
“No, sono serio. Ci conosciamo da meno di venti giorni e sei
finita in infermeria da Yukio già due volte”
“Non è mica colpa tua. O almeno, non lo era prima di
ora” rise. Vide che il ragazzo era cupo e si
preoccupò.
“Ma ti senti veramente responsabile per questa
cavolata?” gli chiese stupita. Lui distolse lo
sguardo.
“Un po’” ammise.
“Ma dai! Non sono mica due graffi che mi spaventano”
lo rassicurò. Rin non si calmò.
“Non farmi alzare, devo tenere su la camicia” lo
minacciò.
“Come?”
“Se non sorridi mi alzo e vengo da te, ma questo significa
lasciare la maglietta sulla ferita e tuo fratello mi ha detto di non farlo. Vuoi
che disubbidisca?” lo avvertì.
“Non lo fare, non ne vale la pena” le disse. A quelle
parole lei fece per scendere dalla sedia, ma il ragazzo le fu accanto per
fermarla.
“NO! Il tessuto non deve toccare la pelle” le
ricordò.
“Tu dici le cavolate e io vengo a picchiarti” lo
sfidò. Nel tenerla immobile l’aveva abbracciata involontariamente, finendo a
pochi centimetri dal suo viso.
“Non sono cavolate” ribatté. Sentiva il cuore
rimbombare nelle orecchie.
“Sì, invece! Non voglio che il mio migliore amico si senta in
colpa per così poco” rispose. Anche lei era imbarazzata, aveva le guance
in fiamme.
“Migliore amico?” chiese, avvicinandosi un po’. Rea
annuì. “E se volessi essere di più?” si chiese.
Era a pochi centimetri dalle sue labbra, sentiva il suo respiro
caldo.
“Ho trovato le bende, adesso ti posso fa… oh!”
esclamò Yukio, entrando in infermeria.Nel vedere quella scena si bloccò.
Rin si
spostò velocemente e la lasciò lì, imbarazzata e
impacciata.
“M-mi spiace, non volevo disturbare,
io…”
“Fasciala e sta’ zitto” disse il fratello, arrabbiato.
Quando Rea fu pronta le abbassò al camicetta.
“Grazie” sussurrò lei. Si sentiva
idiota.
“Di niente” rispose lui.
“Scusate, devo andare. Ciao” li salutò, fuggendo via.
Quando
passò vicino a Rin, lui poté sentire il suo profumo.
“Scusami, Nii-chan, non credevo che voi…” iniziò
Yukio, sorridendo.
Passò
una settimana prima che Rin fosse in grado di guardare
di nuovo Rea in faccia. Quando lo salutava sorridente, lui abbassava lo sguardo
e inventava una scusa per fuggire. Addirittura un pomeriggio, vedendo Mephisto in forma canina che passeggiava per i corridoi, si
era fatto coraggio e aveva deciso di chiedere a lui un consiglio. In fondo era
messo nelle stesse condizioni con Laura, no? Li aveva visti e aveva capito che
lui si stava affezionando alla ragazza in modo
particolare.
“Mephisto!
Ehi, aspettami!”
gridò.
Arrivò veloce al fianco del cane e sorrise.
“Non è molto usuale vedere il preside che si aggira per la
scuola.
Che stai facendo?” gli chiese
riprendendo fiato.
L’animale riprese a camminare.
“Sto tornando nel mio ufficio, come puoi vedere”
rispose altezzoso.
“Provo ad indovinare: eri con Laura?” insinuò il
ragazzo.
“Anche se fosse, perché tanto
interesse?”
“Credo che sia solo pura curiosità. È strano vedere come
uno come te si sta lentamente innamorando di una comune
mortale”
“Che cosa hai detto?
Io non mi sto innamorando! Rimangiatelo subito,
ragazzino!” si
arrabbiò il cane. Rin rise, divertito dal
comportamento dell’uomo.
“Calmati, calmati, stavo solo scherzando” lo
tranquillizzò.
“Spero per la tua incolumità che sia
vero.
Piuttosto, mi stavi cercando per un motivo particolare?” si ricordò. Il
ragazzo sembrò imbarazzato. Si tirò indietro all’ultimo
momento.
“No, cioè, sì… è una storia lunga in realtà, non voglio
rubarti tempo prezioso.
Scusa per il disturbo, ciao Mephisto!”rispose correndo
via.
“Ehi, fermati!” gli gridò dietro l’uomo, ma invano:
il ragazzo non poteva già più sentirlo.
Dandosi
dell’idiota, lui si mise a sbattere la testa al muro non appena ebbe girato
l’angolo.
“Sono un imbecille” si disse.
“Faremo un compito tra pochi giorni.
Consiglierei agli insufficienti di fare bene questo test,
altrimenti sarò costretto a far fare loro i corsi estivi” annunciò il professore in classe la mattina
successiva.
Quando
la campanella suonò, Rin guardò Rea dall’altra parte
della classe e sospirò: non poteva chiederle aiuto. Si alzò dalla sedia e fece
per andarsene, ma una botta sulla testa lo fece voltare.
“Ehi!” protestò. Vide la ragazza che lo guardava male
con in mano un quaderno.
“Hai intenzione di smettere di parlarmi per il resto della
vita?” gli chiese irritata.
“N-no… io…” balbettò. E adesso?
“Dai, prendi” gli ordinò, passandogli il quaderno con
cui lo aveva picchiato un momento prima.
“Cos’è?”
“Sono i miei appunti, trattali bene.
Quando hai bisogno di me?”
domandò. Rin non capiva.
“Ma di che stai parlando?”
“Delle ripetizioni!
O stavolta non ne hai bisogno?” spiegò.
“C-cioè nonostante non ti abbia parlato,
tu…”
“Ti darò una mano, sì.
Sei il mio migliore amico, anche se sei un idiota” gli disse.
Quelle
parole lo fecero ripensare al giorno del quasi-bacio e
arrossì.
“Tutto ok?” si preoccupò lei.
“Eh?
Ah, sì! Senti, ti riporto il quaderno oggi pomeriggio, ok? E domani studiamo!” le
propose con enfasi.
“Certo, per me non ci sono
problemi”
“A dopo allora!” la salutò,
felice.
Rin stava
per bussare alla camera di Rea, quella sera, quando Laura lo
salutò.
“Ciao!
Che ci fai tu qui?” gli chiese
agitando una mano.
Quando il ragazzo si accorse di lei impallidì.
“Oh!
Laura, come… come stai? È un po’ che non ci si vede” le rispose. La
ragazza senza capire.
“Rin, stai bene?
Eravamo a lezione insieme anche ieri!” gli fece presente. Lui
abbassò gli occhi.
“Che succede?
Avevi bisogno di me per qualcosa?” gli domandò.
“No, io in realtà… io, ecco…” stava annaspando,
letteralmente. Laura notò il quaderno che teneva in mano.
“Quello è di Rea” sussurrò. Il ragazzo sospirò e
annuì.
“Perché hai un suo libro? Che significa? Voi vi
conoscete?”
“Sì, più o meno.
Mi ha prestato il quaderno stamani in classe ed ero venuto a riportarglielo.
Di solito è in camera a quest’ora” spiegò, per poi mordersi la lingua un attimo
dopo.
“Di solito?
Cosa significa di solito? Quante volte sei stato nella mia
stanza?” gli chiese
allibita.
“Non saprei.
Sette o otto, credo” rispose
lui pensandoci un attimo.
“No, voglio capire una cosa.
Voi state insieme?” Rin avvampò e la guardò negli
occhi.
“No!
Siamo amici ma non c’è niente di più!” le assicurò.
“Siete amici?
Amici quanto? Tanto da dirle dell’esorcismo?” gli domandò incrociando le braccia al
petto.
“Ecco, in realtà…”
“In realtà non sono fatti tuoi se io mi faccio degli
amici” disse una voce alle sue spalle. Vide Rea arrivare dal corridoio,
con lo sguardo fisso su di lei. I suoi occhi erano
glaciali.
“Certo che sono affari miei!
Io e te siamo amiche, non dovresti nascondermi
niente!” si
lamentò Laura. L’altra rise tristemente.
“Sarei io quella che nasconde le
cose?
Ne sei sicura? Pensaci un attimo e dimmi quante storie hai
inventato perché non ti fidavi di me”
rispose.
“Io… io…” Laura si trovò messa con le spalle al
muro.
“Grazie per avermi riportato il quaderno, Rin, spero che ti sia stato utile” disse rivolta al
ragazzo. Lui guardò il piccolo libro e glielo porse.
“Sì, grazie a te.
Ci vediamo domani, mio fratello mi aspetta” la
salutò andandosene. Come se niente fosse, Rea entrò in camera.
Ancora
basita, Laura la seguì con Kuto tra le
mani.
“Da quanto tempo è che frequenti Rin?” la assalì una volta chiusa la
porta.
“Da quanto voglio.
Non sono affari tuoi” rispose
l’altra sedendosi alla scrivania.
Appoggiando il demone sul letto, Laura si voltò e fronteggiò
l’amica.
“Adesso basta!
Ormai è passato quasi un mese da quando abbiamo litigato, non ne posso più di
questa situazione! Sono stanca dei tuoi silenzi e dei tuoi segreti, sono sola
perché tu ti rifiuti di parlarmi! Voglio risolvere!” la implorò. Rea
si animò, punta sul vivo.
“Proprio tu me lo dici?
Ho passato i primi dieci giorni in questa scuola senza di te perché eri
impegnata a scomparire ogni dieci minuti e a riapparire con quella sottospecie
di pagliaccio e ogni volta inventavi una cavolo di
scusa pur di non dirmi la verità. Hai idea di come mi sentissi? Di quanto tu possa avermi ferita?”
rispose di rimando. Laura
abbassò lo sguardo.
“Scusa, mi dispiace veramente, ma mi era stato detto di
stare zitta e non potevo dirti niente”
“Se avessi voluto avresti potuto, lo sai
benissimo.
Adesso sono stanca, voglio dormire, scusami” le disse iniziando a mettersi in
pigiama.
“Dì al tuo amico lì sul letto di girarsi, devo
spogliarmi” le ordinò.
Stranita,
Laura prese Kuto e lo voltò.
“Ecco, e qui ci va il passato.
Tutto chiaro?” finì di
spiegare.
Dalla
faccia di Rin comprese che non era chiaro niente.
Sospirò e guardò l’ora.
“Facciamo dieci minuti di pausa, mi sembri piuttosto
provato” concesse. Il ragazzo si accasciò sulla
sedia.
“Questo non è inglese, è tortura!” si
lamentò.
“Eppure fino a un certo punto ci sei
arrivato.
Secondo me se t’impegni puoi farcela” lo spronò.
“Grazie per la fiducia, ma non sono un fan sfegatato di
questa lingua” ammise.
“L’avevo intuito, anche se non ne ero proprio sicura al cento
per cento” lo prese in giro. Era la prima volta che rimanevano soli dopo
che si erano quasi baciati e c’era un po’ di imbarazzo tra di loro. Rin si schiarì la gola e si alzò.
“Ti va se chiedo a Ukobach se c’è
qualcosa per merenda?
Direi che ce la siamo meritata” le propose.
“Perché no?
Vada per la merenda”
accettò.
“Torno subito, tu non toccare niente” si raccomandò.
Lei si fece una croce sul cuore e alzò la mano destra.
Quando
il ragazzo fu uscito dalla camera, Rea si guardò intorno: era tutto piuttosto in
ordine, l’unica cosa che sembrava fuori posto era una lunga sacca rossa messa in
verticale al muro. “Quella, se non ricordo male, è
quella che Rin si porta sempre dietro” pensò.
“Non dovrei curiosare, sta male” si rimproverò,
però si avvicinò comunque. Tolse la borsa e trovò una lunga spada con il fodero
e l’elsa blu.
“Bella!”
esclamò. La prese in mano, ma era pesante. “Come
cavolo fa a tenerla in spalla tutto il giorno?” si chiese, stupita. Si
sedette sul letto e si appoggiò la spada sulle ginocchia.
Rin stava
tornando dalla mensa quando sentì una brutta sensazione corrergli lungo la
schiena. “Dov’è la kurikara?” si domandò. Quando si rese conto di averla
lasciata in camera si mise a correre a più non posso.
Rea
stava aprendo il fodero quando il ragazzo entrò in camera.
“Ferma!
Non lo fare!” urlò, ma fu
inutile: lei tolse la protezione dalla lama.
Sgranò
gli occhi e gridò quando sia la spada che Rin presero
fuoco.
Capitolo 14 *** Il mio migliore amico è un demone! ***
Anche
nei suoi incubi più profondi non avrebbe mai immaginato di assistere ad una
scena simile: nell’esatto momento in cui aveva sfoderato la spada, la lama e Rin
avevano preso fuoco. Lasciò cadere l’oggetto a terra, gridando. Lui era rimasto
immobile a fissarla, incredulo. “Cazzo” si
permise di pensare. Le classiche fiamme blu, che ormai aveva imparato a
controllare, adesso sembravano terribilmente fuori posto, riflesse su di
lei.
Si
affrettò a chiudere la kurikara e tornò al suo normale aspetto, evitando di
guardarla negli occhi per l’imbarazzo. Si sentiva un
mostro.
“C-che cos’era?” chiese lei, immobile. Sentiva il
calore ancora addosso. Lui rimase zitto.
“Rin, che diavolo era?” gridò, in preda ad una crisi
isterica.
“Non dovevi scoprire questo” riuscì a dire lui,
faticando. Si sentiva mancare l’aria.
“Tu hai preso fuoco, io ti ho visto.
Cosa significano quelle fiamme blu?”
“Quelle… quelle sono il mio lato nascosto, il simbolo della
mia appartenenza al… al mondo di Gehenna”
confessò. “Gehenna… Gehenna…” quel nome
rimbombò nella sua testa, sottolineando ciò che era già
evidente.
“Sei un demone” sussurrò. Adesso le battute di Yukio
la prima sera acquistavano un senso. E la mashou…
“Tu mi hai ferita, tu mi hai graffiata sulla torre!”
lo accusò, improvvisamente lucida.
“Sì” ammise. Lei si alzò e fece per andarsene, ma lui
la bloccò per un polso.
“No, ferma lasciami spiegare!” la pregò. Lei lo spinse
via con violenza.
“Non voglio sentire niente!” gli urlò. Aveva le
lacrime agli occhi, era al limite.
“Ti prego!”
“NO!” gridò tappandosi le orecchie. Lui capì che era
inutile insistere e la lasciò andare. Quando fu scomparsa dalla sua vista tirò
un pugno al muro, lasciandoci la forma della mano. “Maledizione!”.
Rea
corse a perdifiato fino alla camera, dove si chiuse a doppia mandata. Si sentiva
svuotata. Si mise sotto le coperte e iniziò a piangere
disperata.
Rin si
maledì per tutta la notte.
Ogni
volta che qualcuno gli si avvicinava, per un motivo o per un altro, la sua
natura di demone veniva fuori: era successo così con Yukio, Shiro, Shiemi, Bon e
gli altri. Lui era un mostro e negarlo non serviva a
niente.
Cercò
Rea con gli occhi per tutto il giorno, ma non la trovò. Non la voleva perdere,
non poteva permetterselo.
Era
rimasta in camera, dandosi per malata, quasi tutta la mattina. Non era riuscita
nemmeno ad alzarsi. Aveva passato la notte in bianco, tremando ancora. “Un demone… un demone” si ripeteva. Eppure non
sembrava uno di loro: mentre quelli che aveva visto finora erano strani, Rin era
un semplice ragazzo.
“Però è sempre un demone!” si ricordò. Eppure non
vedeva la differenza tra lui e qualsiasi altra persona: aveva problemi
adolescenziali; si comportava come un normale studente; era suo amico. “Solo amico?” rise una vocina perfida nella sua testa.
Ripensò
alla mattina in cui si erano quasi baciati e arrossì.
“Ma rimane un demone!” esclamò tirandosi le coperte
fin sopra i capelli.
Nel
tardo pomeriggio il suo stomaco iniziò a brontolare.
“Non ho pranzato, che pretendevo?
Di vivere solo di acqua e aria?” si rimproverò.
Si fece
forza e si alzò dal letto.
Quando
fu davanti alla porta e stava per uscire, qualcuno bussò.
“Rea!
Sei qui?” domandò
Rin. Lei
perse un battito.
“Rea?
Ti prego, se ci sei rispondimi!” le disse. La
ragazza rimase immobile, incapace di respirare.
“Ascoltami, lo so che sei arrabbiata, hai ragione a esserlo,
però ti prego ti scongiuro, fammi spiegare!” la implorò. Che doveva
fare?
Sentì
un pugno abbattersi sulla porta, facendola tremare.
“Maledizione, perché hai aperto la kurikara?” le
chiese. Lei continuò a rimanere immobile.
“Va bene, allora facciamo così: stanotte io sarò sulla torre
ad aspettarti.
Se vuoi ancora essermi amica vieni lassù, altrimenti capirò il
messaggio” le disse.
Lo
sentì allontanarsi e si appoggiò al legno, scivolando a
terra.
Capitolo 15 *** Il mio migliore amico è un demone! pt 2 ***
“Sapevo che non serviva a niente rimanere qui ad
aspettarla” si rimproverò Rin, sorridendo
triste.
Era in
cima alla torre da quattro ore, ma Rea non si era presentata. Poteva biasimarla?
Anche i suoi amici, che comunque appartenevano a quel mondo più di lei, ci
avevano messo un po’ prima di fidarsi di nuovo, figuriamoci come poteva reagire
una semplice studentessa capitata in quella situazione per sbaglio. Anche Yukio lo aveva allontanato, all’inizio, credendo che fosse
pericoloso.
“Io sono un mostro, è inutile nasconderlo” ammise.
Tanto dirsi il contrario era una bugia bella e buona.
Quando
vide che albeggiava si alzò e sospirò. “Io ci tengo a lei, ci tengo più di quanto abbia mai tenuto a
qualcuno, Shiemi inclusa. Perché devo sempre rovinare tutto? A che
mi serve vivere a Assiah se poi rimango solo?”si chiese. Aprì la botola e
scese.
Camminando
per il corridoio che portava alla stanza di Rea gli venne una tale tristezza da
star male. Si sentì soffocare. Mise un orecchio alla porta per sentire se
c’erano rumori, ma non percepì niente. Si voltò e fece per
allontanarsi.
“Che fai, scappi?” gli domandò una voce alle sue
spalle. Con le mani sui fianchi e gli occhi puntati su di lui c’era
Rea.
“Che ci fai qui?”
“Mi hai detto di venire sulla torre,
giusto?
Che devi spiegarmi. Perfetto, sono qui” gli disse.
Mezz’ora
dopo, vecchio dormitorio. Davanti ad una tazza di latte caldo, i due si
fissavano incerti.
“Allora?
Sono disposta ad ascoltare tutto” lo incoraggiò.
Prendendo
un grosso respiro, Rin voltò lo
sguardo.
“Io sono un demone” iniziò.
“L’avevo capito, dimmi qualcosa che non so”
“Sono il figlio di un essere umano e di… di…” si
fermò, impaurito.
“Di?” lo
imboccò.
“Di Satana” sputò con forza. Lo faceva sempre stare
male quella confessione.
“Quel Satana?
Con corna, forcone e coda?”
chiese lei, incredula.
“Esatto, lui. Le fiamme blu che hai visto ieri sono il frutto
della mia discendenza da lui. Io sono stato cresciuto in un convento non lontano
da qui da Padre Fujimoto, un uomo che doveva uccidere
me e Yukio e invece ci ha accuditi”
“Aspetta, ti fermo subito. Anche tuo fratello prende fuco
come un fiammifero?”
“No, lui non ha poteri di alcun genere”
spiegò.
“Perché no?”
“Il suo fisico era troppo debole e le fiamme l’hanno
ripudiato. Comunque io mi sono risvegliato poco prima che Fujimoto fosse ucciso da Satana stesso e Mephisto mi ha preso qui a studiare come
esorcista”
“Perché un demone vuol diventare esorcista?” chiese
lei.
Arrivò
Ukobach con i pasticcini per la
colazione.
“Perché io non mi reputo figlio di
Satana.
Mio padre era Shiro e lui l’ha ucciso. Non voglio che succeda a qualcun altro che mi sta a cuore” le confessò. Rea
era basita.
“Per cui tu che cosa sei di
preciso?”
“Né un ragazzo né un demone, in
realtà.
Io mi sento un essere umano, ma mi rendo conto che non è quella la mia vera
natura, purtroppo. La spada che tu hai aperto, kurikara, contiene le mie fiamme. Quando viene sfoderata, io
mi trasformo fisicamente: i denti e le orecchie diventano appuntiti e mi esce la
coda. Oltre, ovviamente, a prendere fuoco” le disse.
Lei
addentò un dolcetto, sovrappensiero.
“Io so che non è normale e che ti sto per chiedere molto,
però ti prego, prima di giudicarmi per quello che sono, almeno conoscimi per ciò
che ho dentro” la implorò.
Si era
rifiutato di chiedere pietà a chiunque perché nella sua vita non l’aveva mai
avuta, ma qui rischiava il tutto e per tutto.
“Non avevo intenzione di smettere di essere tua amica, se è
questo che intendi” lo rassicurò. Rin rimase a
bocca aperta.
“Ah no?” chiese stupito.
Ecco, questo non se lo aspettava. Rea scosse la testa.
“No.
Ci ho riflettuto e mi sono resa conto che, nelle ultime settimane, tu sei stato
l’unico vero amico che avevo, l’unico che mi ha ascoltata da subito e che mi ha
aiutata. Non ti abbandono”
disse risoluta.
“E non ti spaventa che io sia un
demone?”
“Sì, logico che mi spaventa, sono un essere umano in
fondo.
Però sapere che potrei perderti mi spaventa di più. Non sono
mai stata un tipo che si ferma per così poco quando rischia di perdere
troppo” confessò.
“Ehm…” lui non sapeva più che dire. Era la reazione
più strana mai vista alla notizia che il tuo migliore amico è
un demone.
In quel
momento entrò Yukio in mensa e li vide fare colazione.
Si bloccò, sorpreso.
“Rea!
Buongiorno! Come mai qui così presto?” le chiese.
“Oh cavolo” esclamò Rin.
“Che succede?” s’insospettì subito il
fratello.
“Niente di che, stavo solo avendo chiarimenti su
Satana” rispose semplicemente Rea. Il ragazzo
sbiancò.
“Nii-chan, non dirmi che lei…”
“Sì, sa tutto”
“Anche di kurikara?”
“Anche di kurikara”
“E della coda?”
“Che coda?” s’intromise Rea. Quel particolare le era
sfuggito.
“Beh, come ogni demone che si rispetti io ho la coda” disse Rin.
Lei s’illuminò.
“Davvero?
Me la fai vedere? Ti preeego!” lo implorò.
Quando
il ragazzo la liberò dalla camicia, Yukio sospirò
esasperato.
“Tu sei affidabile come un bambino, Nii-chan” lo rimproverò.
Quando
Rea rincasò, quella sera, era felice come non lo era da tempo.
Felicità
che durò poco perché, quando aprì la porta, trovò una Laura in lacrime che si
gettò tra le sue braccia.
“Laura?
Di solito non sei in camera a quest’o… o santo cielo, che cosa
ti è successo?” esclamò quando la vide: aveva
bende su tutto il corpo e gli occhi rossi.
“Hai tempo? È una lunga
storia”
“E alla fine gli ho detto che voglio a tutti i costi
frequentare i corsi e che non è giusto che mi butti fuori per un semplice
errore, così abbiamo fatto un patto: lui mi preparerà e, se io riuscirò a
passare, rimarrò alla Scuola di Preparazione”
spiegò.
“Cosa succede se non superi l’esame?” chiese titubante l’altra.
“Me ne andrò dalla True
Cross” rispose. Rea sospirò.
“Non è stata una trovata molto intelligente, stai giocando
con uno che mi sembra sapere il fatto suo, ma se fare l’esorcista è ciò che vuoi
io non posso fermarti” le disse.
Laura
si era aspettata qualsiasi reazione da parte della ragazza: paura, rabbia,
incredulità, scetticismo, sorpresa, curiosità… tutto, tranne che rimanesse
impassibile alla scoperta che nell’accademia c’erano corsi nascosti per
esorcisti e che demoni e mostri esistevano.
“Tutto qui?” domandò
impressionata.
“Che cosa intendi?” rispose l’altra, confusa. No, non
poteva essere la prima volta che Rea sentiva parlare di quel
mondo.
“Niente, mi stupisce che tu non sia confusa o
stranita”
“Beh, perché dovrei?
E comunque spiegami una cosa: perché non hai usato il demone nascosto dietro di
te? Tu non dovresti essere una specie di arma?” domandò rivolgendosi a Kuto.
Questo arrossì e abbassò gli occhi.
“Che cosa hai detto?”
“Che lui doveva proteggerti! È il tuo
famiglio, è a questo che serve” ripeté
lei.
In quel
momento il tassello mancante andò al proprio posto.
“Come fai a
vederlo?” le chiese. Rea la guardò senza capire.
“Chi?”
“Kuto!
Lui è un demone, senza mashou non
puoi vederlo, quindi tu sei stata ferita!”
dedusse.
“Ah… già” balbettò l’amica in
risposta.
“Da quanto tempo è che sai tutto?” sospirando Rea
decise di vuotare il sacco.
“Da quando abbiamo litigato la prima volta, più o
meno” ammise.
Laura
cercò di ricordare quel pomeriggio.
“Cioè da…”
“Quando ho conosciuto Rin,
esatto” terminò.
“Com’è successo?”
“Beh, dopo che eri tornata in camera e io ti avevo urlato
dietro in quel modo sono scappata via e mi sono nascosta. Avevo trovato un
passaggio per il tetto nelle ore in cui tu non eri con me e mi sono rifugiata
lì. Dopo un po’ di tempo, non so quanto fosse passato, è arrivato anche Rin. Lì per lì non sapevo come comportarmi, e anche lui era
piuttosto imbarazzato, poi ci siamo messi a parlare del più e del meno e abbiamo
fatto tardi”
“E senza conoscerti ti ha detto di esorcismo e
demoni?” indagò. Lei titubò un attimo.
“No, quello è successo dopo che mi sono ferita, ma non posso
dirti come. Questo non è un segreto che coinvolge me, io non dovrei saperne
niente in realtà, quindi non me la sento di parlartene, ma sono sicura che,
quando diventerai esorcista, te lo diranno”
“Però non è giusto!” ribatté Laura. Rea le prese
una mano.
“Fidati di me, se potessi parlerei.
Non voglio più litigare con te, sono stata troppo male nelle ultime settimane.
Facciamo pace?” le chiese
sorridendo. La
ragazza l’abbracciò.
“Non ce n’è bisogno” rispose.
Passarono
la notte a parlare del più e del meno, raccontandosi ciò che era successo nei
giorni in cui non si erano rivolte la parola. Fece amicizia con Kuto, che si rivelò essere molto
simpatico.
Quando
si addormentò, a notte fonda, sorrise: forse ora la sua vita iniziava a girare
in modo giusto.
“Mi è tornata in mente una cosa, stamani” disse Rea.
Stava
facendo i compiti con Rin, come ormai era abitudine, al vecchio dormitorio.
Lui
alzò lo sguardo dai libri e la fissò.
“Cioè?”
“Il primo giorno di scuola, mentre ero sulla torre che
guardavo terrorizzata sotto di me, ho visto un lampo blu illuminare il
cortile.
Eri tu?” gli
chiese.
Dalla
scoperta di Satana era passato quasi un altro mese e l’estate era alle porte. Si
sentiva già il caldo afoso entrare dalle finestre.
“Non mi ricordo, ma direi che è
probabile.
Sono l’unico che esplode in fiamme celesti quando attacca” le rispose grattandosi una
tempia. Poi
buttò la penna sul tavolo e sbuffò.
“Senti, possiamo smettere?
Siamo qui da un’ora, non ce la faccio più! È troppo caldo per
studiare!” si lamentò. Rea
lo squadrò.
“Guarda che lo sto facendo per evitare di farti passare
l’estate studiando inglese!” ribatté.
“Lo so, ma non riesco a concentrarmi con quest’afa e non c’è
nemmeno un gelato per smorzare un po’ la calura.
Ho il cervello fuso” disse,
accasciandosi sulla sedia.
“Tu sei tutto fuso, mi pare, ma non per il caldo!” lo
sgridò.
Si
sentì aprire la porta al piano di sotto e sobbalzarono
entrambi.
“Nascondi la coda!” sussurrò Rea.
Rin
aveva iniziato a lasciarla libera quando lei era con lui, tanto sapeva che era
un demone, almeno così stava più comodo.
“Rin?
Yuki-chan? C’è nessuno?”
chiese una vocina. La
ragazza gemette, riconoscendo subito chi era appena arrivato: con tanto di
kimono rosa e Ni-chan in testa, apparve Shiemi dalla porta, tutta
sorridente.
“Oh, siete qui” esclamò.
C’erano
poche cose che non sopportava, ma la troppa zuccherosità di una persona era tra
quelle più in alto nella lista. Quella ragazza non era normale: non che fosse
antipatica o cattiva, no, però era talmente mielosa che le veniva il diabete
solo a vederla. E poi piaceva a
Rin!
“Ciao Shiemi!
Come stai?” la salutò,
infatti, il ragazzo alzandosi subito dalla sedia.
“E tanti cari saluti a inglese” pensò
lei.
“Sto bene, grazie.
Ciao Rea!” le disse rendendosi
conto della sua presenza.
“Ehilà” rispose senza enfasi.
“Oh, mi dispiace, stavate studiando?” domandò la
biondina, vedendo i libri aperti sul tavolo.
“No, avevamo finito e io stavo per andarmene” le
assicurò l’altra, radunando veloce le sue cose.
“Siete sicuri che non disturbi?” il suo tono di
voce era altamente irritante.
“Stai tranquilla!” le sorrise. Alzando una mano in
segno di saluto, Rea s’incamminò per il corridoio.
“Ah, fermati!” le gridò dietro Rin. Lei si
voltò.
“Sì?” chiese
speranzosa.
“Prima Ukobachmi ha detto di darti
questo.
È una torta al cioccolato” le
disse passandole un pacchettino. Lo
prese con la mano libera.
“Ringrazialo da parte mia.
Adesso è proprio tempo che scappi, o Laura mi darà per dispersa. Ci vediamo domani” lo
salutò.
Un po’
deluso, il ragazzo rientrò in mensa.
Mentre
andava via continuò a sorridere e sorridere, come se non ci fosse niente di
sbagliato nel lasciare soli Rin e Shiemi.
“Non è niente, nonè niente, non è niente” si ripeteva, ma sapeva di mentire: era
gelosa marcia di quella ragazza. Quando fu entrata nell’edificio principale e i
due non potevano più vederla, si appoggiò a un muro e
sospirò.
“Non devo fare così, lui è mio amico e se è felice sono
felice” si rimproverò. Eppure sentiva dentro di sé una
vocina che diceva “Amico? Ma se la notte sogni ancora quando ti ha
quasi baciata!”. Arrossì a quel ricordo. Perché non era più
successo niente? Eppure le era parso che lui lo volesse tanto quanto
lei.
Dandosi
della stupida, riprese a camminare verso la sua camera.
Una
volta davanti alla porta si stampò un sorriso felice sulle labbra e la
spalancò.
“Sono tornata! Ti ho portato un po’ di dolce, spero che… ehi, che è successo
stavolta?” domandò. Laura
era a terra con le gambe strette al petto e tremava fino alla punta dei
capelli.
“Mephisto…
io e lui… e lui è… sono una stupida!” balbettò la ragazza in risposta.
Rea si mise in ginocchio accanto a lei e la fissò.
“Non ho capito una sola parola di quello che hai detto, ma se
vuoi sono a tua disposizione per sfoghi e affini.
Vieni, sediamoci sul letto” la
confortò.
Le mise
una mano dietro la schiena e la aiutò ad alzarsi, dato che le pareva molto
instabile.
Quando
furono riuscite a mettersi comode sulle coperte Laura smise di singhiozzare e
provò a respirare normalmente.
“Calmati, ho tutto il tempo del mondo per te” le
assicurò Rea.
“Mephisto…” iniziò a dire.
“Sì, avevo intuito vagamente che c’entrasse il
pagliaccio” sospirò l’altra.
Chissà
perché sentiva che c’era qualcosa di strano collegato a quell’uomo. Laura
sembrava bloccata, come se ci fosse qualcosa che non le riusciva
sputare.
“Io e lui abbiamo fatto sesso” annunciò.
A Rea
si fermò la crescita.
Ciò che
aveva capito dal racconto dell’amica (molto frammentario e intramezzato da
singhiozzi e pause) era che avevano litigato e lei era scappata in camera;
quando lui era andato a cercarla per chiarire l’aveva sedotta, senza nominare un
piccolo particolare quale il fatto che fosse un demone; infine la ragazza aveva
visto la coda e aveva ricollegato il tutto, mandandolo via da camera e crollando
a terra, dove Rea l’aveva trovata. Benché sapere che il preside della propria
scuola è un mostro fosse scioccante, lei era
schifata.
“Tu… hai fatto… sesso… con Mephisto?” le domandò
incredula. Era solo quello il punto che non concepiva.
“Non ci voglio credere.
Sei più schifata per questo che per il fatto che lui sia un
demone?” esclamò l’altra
alzandosi.
Sembrò avere un’illuminazione.
“Tu sapevi già di Rin, vero?
È stato lui a ferirti, la mashou l’hai avuta da lui!” le disse. Rea
la fissò: da quando erano entrate all’accademia Laura si era fatta più
furba.
“Sì, in effetti è così”
ammise a denti stretti. Non voleva tradirlo, ma negare era
inutile.
“E questo non ti dà noia?
Non ne sei spaventata? Come fai a rimanere così impassibile ogni santissima
volta?” chiese spazientita. Era arrivata al limite massimo di
sopportazione.
“Beh, all’inizio non ci credevo nemmeno
io.
Rin mi ha ferita per sbaglio quando eravamo sul tetto: io ero stanca, avevo
pianto molto e non avevo mangiato niente e, quando mi sono alzata per tornare in
camera, la testa ha iniziato a girarmi. Rischiavo di cadere e lui mi ha
afferrata, graffiandomi leggermente a un polso. Quando, il pomeriggio dopo, è
venuto a controllare come stavo ha capito che potevo vedere i demoni grazie al
fatto che riuscivo a distinguere la vera forma di Kuro, il suo famiglio. Mi ha
portata da Yukio e mi hanno spiegato per bene come stavano le cose, senza
nominare il fatto che era stato lui a infliggermi la mashou. Tempo dopo, per sbaglio, ho fatto sì che la sua vera natura venisse
fuori e sì, lì per lì mi sono spaventata, poi mi sono resa conto che non mi
importava, lui per me è solo Rin” le
spiegò.
Rea
vide la confusione dipingersi sul volto della ragazza e
sbuffò.
“Senti, sinceramente se il mio migliore amico è un demone, un
mostro, un gatto o una gallina non mi interessa, quello che davvero importa è
come io sto con lui, giusto?” chiese innocentemente. Laura annuì, anche
se non ne era molto convinta.
Venti
minuti dopo erano sedute a terra con due piatti pieni di dolce
davanti.
“Ehi, è buonissimo!” esclamò. Rea
sorrise.
“L’ha preparata Ukobach, il
cuoco-demone amico di Rin” le disse. Mentre
mangiava vide l’amica che la squadrava.
“Che c’è?
Ho qualcosa sulla faccia?” chiese preoccupata.
“No, no, mi stavo solo chiedendo… ecco… ma tu che cosa
provi per questo ragazzo?” le domandò in risposta. Lei quasi si
strozzò.
“Ma che domanda del cavolo è?” s’infuriò. Laura
sorrise.
“Aaaah… ecco!
Lui ti piace!” comprese
vedendo la sua reazione.
“Che cosa?
No!”
negò.
“Ah no?
E perché sei rossa anche sotto le lentiggini?” le fece notare.
“P-perché ho caldo, ecco perché!” si giustificò.
Sentiva
il cuore in gola mentre cercava di negare ciò che, in fondo, aveva già accettato
inconsciamente.
“Ceeeerto, adesso lo chiamano così. E questo caldo ha un nome?”
“Ma mi dici che ti è preso?
A me non piace Rin!” le gridò in faccia.
“Aspetta, dovrei avere ancora una cosa che mi hai scritto
a inizio anno” le disse alzandosi. Frugò tra i suoi libri e ne tirò fuori
un pezzo di carta con scritte colorate e allegre. Rea lo riconobbe subito e
sbiancò.
“Perché ce l’hai ancora?
Credevo che l’avessi buttato!”
esclamò.
“No, stavo aspettando il giorno in cui mi sarebbe servito
con te.
Leggi un po’”le ordinò
passandole il foglio.
“Devo proprio?” chiese
triste. Laura annuì.
“Sì” rispose.
Prendendo
un bel respiro, la ragazza guardò la pagina come se fosse qualcosa di schifoso.
In bella calligrafia (la SUA calligrafia, per la precisione) c’era un
elenco:
I
CINQUE PUNTI DELL’INNAMORAMENTO SECONDO REA!
Ø1)
NEGAZIONE: NON LO AMMETTERESTI NEMMENO SOTTO TORTURA;
Ø2)
AUTOCONVINCIMENTO: “NO CHE NON MI PIACE, MA
FIGURATI!”;
Ø3)AMMISSIONE
PARZIALE: “VABBE’, FORSE UN PO’ MI PIACE, MA NIENTE
DI CHE”;
Ø4)
DEPRESSIONE POST-COMPRENSIONE: “NON PUO’ PIACERMI!
NON HA SENSO!”
Ø5)
ACCETTAZIONE DELLA COSA CON CONSEGUENTE RINCITRULLIMENTO: “MI PIACE! MI PIACE! MI PIACE!”
“Laura, ma tu tieni solo le cose che poi utilizzi contro di
me?” le chiese, inacidita.
“No, ma questa mi ha dato troppa soddisfazione!”
esclamò l’altra, ridendo.
“Comunque non mi piace, e posso dimostrartelo: lui è
innamorato di Shiemi, giusto?
Bene, allora io farò in modo che si mettano insieme!” annunciò.
“Che cosa?
Con quella zuccherosa ragazza bionda? Nooo!” la implorò.
“E invece sì, così ti convincerai che non mi piace”
decise.
“Ehi, Rin!” lo salutò
agitando una mano. Il ragazzo le si avvicinò.
“Buongiorno, Rea!” ricambiò lui, sorridendole. Con
un’espressione da agente segreto, lei abbassò la voce.
“Com’è andata ieri, con Shiemi?” gli chiese.
“Perché sussurri?” s’informò lui, parlando piano a sua
volta.
“Non voglio che qualcuno sappia il tuo segreto, magari
potrebbe sentire il mio ingegnoso piano per farvi rimanere da soli e me lo
boicottano” spiegò. Lui la fissò stralunato.
“Il tuo che?”
“Il mio ingegnoso piano per farti rimanere con
lei.
Non si sa mai che scoppi la scintilla, no?” gli spiegò.
“Ma tu sei matta!
Non ho bisogno di aiuto per Shiemi!”
esclamò.
“Perché no?” domandò Rea, con gli occhi grandi.
Rin si
bloccò: già, perché no? Se una ragazza si offre di aiutarti a metterti con
quella che ti piace dovresti accettare, giusto?
“Aaah!
Stai tranquillo, ho capito”
disse lei.
“Che cosa?”
“Tu sei orgoglioso!
Non vuoi che io ti dia una mano perché vuoi fare tutto da solo, ma per
conquistare una ragazza devi pensare come una ragazza! Non
preoccuparti, ci sono io qui con te!” lo
rassicurò.
Quelle parole lo fece più preoccupare che altro.
“Senti, davvero non voglio che
tu…”
“Ascolta quello che ho pensato: la prossima settimana
inizieranno le vacanze estive, giusto? Allora potremmo decidere di andare tutti
al mare insieme per un paio di giorni e poi io, che per caso mi ricordo che ho
da fare con Laura, boicotto l’invito all’ultimo momento, lasciandovi da soli. Si
sa che l’estate è la stagione migliore per l’amore”
“Credevo fosse la primavera” commentò
lui.
“Non importa.
Ti piace o no, l’idea? L’ho chiamata Operazione: aiutare Rin!”
disse.
“Rea, io credo che non ce ne sia bisogno, sul
serio”
“Oh, ma dai come se non ti avessi visto
ieri!
Quando è entrata ti sei illuminato come le lampadine. Altro
che fiammifero blu!” gli fece
notare.
“Che cosa?
Non è vero!” ribatté lui
arrossendo. Lei
lo indicò.
“Vedi? Hai le guance in fiamme solo parlandone”
“Perché tu mi fai arrabbiare!”
“Certo, come no?
Dai, prepariamo il tutto per andare in spiaggia. Basteranno
due giorni o forse è meglio prenotare per tre?”
iniziò a decidere.
Rin la
guardava stralunato: ma davvero non c’era ancora arrivata?
Rea
passò tutta l’ultima settimana scolastica a preparare il viaggio per due al
mare. Si era fatta trovare da Shiemi al vecchio dormitorio e l’aveva accolta con
un sorriso smagliante.
“Ciao!” l’aveva salutata con enfasi.
L’altra,
non abituata a tanto calore, era rimasta zitta.
“Come stai?” le aveva chiesto. Si sentiva una
deficiente a fare così.
“B-bene” balbettò.
“Ascolta, stavamo pensando di andare al mare tutti insieme:
io, tu, Rin, Yukio, la mia amica Laura… verresti con
noi?”
“Al mare? Intendi dire mare mare?” ma che razza di
risposta era?
“Certo, con l’acqua, la sabbia… i
pesci…”
“Bello! Non ci sono mai stata!” esclamò. Rea si
bloccò, stupita.
“Davvero?” domandò sinceramente
curiosa.
“Già. A causa della mia salute cagionevole potevo uscire
poco da piccola, e quando è morta mia nonna ho iniziato a prendermi cura del suo
giardino, così non sono mai andata da nessuna parte. Anche la scuola l’ho
iniziata da poco” le spiegò con una punta di tristezza.
Era
compassione quella nata nel suo cuore?
“Allora vieni! Staremo via solo un paio di giorni, ho già
trovato l’albergo, così ci divertiremo!” le disse. Shiemi sorrise
raggiante.
“Perché no? Accetto!” decise.
Compiuto
il suo lavoro, Rea tornò in camera. Nascose la tristezza dietro un ebete sorriso
finché non fu nel suo letto, da sola, poi iniziò a
piangere.
“Ma perché lo sto facendo?” si chiese.
Stava
aiutando il ragazzo di cui era innamorata a fidanzarsi con un’altra. Solo i
masochisti facevano così.
“Ho parlato con Yukio, che ci reggerà il gioco, e con Laura,
che non verrà. Così rimarremmo solo tu, io e Shiemi, ma, dato che io mi sentirò
male la sera prima, voi avrete tutta la vacanza per voi!” gli annunciò
Rea allegra il mattino dopo la fine delle lezioni. Due mesi di vacanza: un
sogno.
“Io non credo che sia una buona idea” provò a dire
lui.
“Ma sentilo! Non ci si tira indietro ora, sei in dirittura
d’arrivo!” lo sgridò con le mani sui fianchi. Rin ci rinunciò: per farle
capire ciò che intendeva avrebbe dovuto confessarle tutto e non era ancora
pronto.
“E va bene, hai vinto: facciamolo!” concesse. La
ragazza saltellò felice.
“Evviva!” esultò.
Vederla
così allegra e spensierata dopo quanto aveva pianto per Laura e dopo quanto lui
l’aveva fatta preoccupare con il suo comportamento era bello, così decise di
assecondarla. Tanto non sarebbe comunque successo niente, con
Shiemi.
“Allora ci vediamo domattina. Io farò finta di essere tutta
malata o di avere dei problemi o qualsiasi cosa e vi lascerò da soli, così tu
avrai tre giorni per conquistarla con il tuo
charme!”
“Con cosa?”
“Sì, vabbé lascia perdere” tagliò corto
Rea.
“Tu stasera lavorati l’amica dei fiori e fai in modo che
venga volentieri al mare, ok?” si raccomandò.
“Sissignora!” rispose lui, mettendosi
sull’attenti.
“Come sei scemo. In bocca al lupo” gli disse dandogli
un bacio di buona fortuna sulla guancia.
Scomparve
lungo il corridoio, correndo verso la sua stanza.
Rin si
chiese se lei facesse così perché era sua amica o se ci fosse un altro motivo.
Continuò a pensarci anche quando arrivò Shiemi da lui.
“Ciao, Rin. Come stai oggi?” lo salutò
allegra.
“Bene” rispose lui
sovrappensiero.
“C’è qualcosa che non va?” si preoccupò
lei.
“No, niente. Allora è tutto pronto per la partenza?”
le chiese sorridendo.
La
ragazza esitò.
“Ecco, in realtà sono venuta a dirti che non posso
partire”
“Che cosa? Come mai?”
“Perché mia madre ha bisogno di me in negozio e io non
posso lasciarla da sola in estate. Dopo che ho finito qui vado a dirlo a
Rea” gli spiegò.
“NO!” esclamò lui. Shiemi lo fissò
stupita.
“Cioè… facci parlare me con lei, vedrò che posso fare”
si corresse.
“Sei sicuro?”
“Fidati di me” le assicurò.
“Ma non è un problema, vero?” gli chiese sentendosi
in colpa. Rin sorrise raggiante.
“Nemmeno un po’!”
“Allora mi raccomando, fai per bene” stava dicendo Rea
per la decima volta in cinque minuti. Stavano aspettando Shiemi alla fermata
dell’autobus.
“Ho capito! Non devi ripetermelo così tanto e così
spesso!” s’infastidì lui.
“Volevo solo essere sicura” si scusò la ragazza.
Mancavano
pochi istanti all’arrivo del pullman, e Shiemi non si era ancora fatta
vedere.
“Ma dov’è? Aveva detto che sarebbe venuta!” esclamò
Rea.
“Forse ha avuto un contrattempo” ipotizzò
Rin.
“Vado a vedere a casa sua. Dov’è che abita?”
chiese.
“NO!” la bloccò lui. Si guadagnò uno sguardo
incuriosito.
“Se sua madre non l’ha lasciata partire sarà perché aveva
bisogno di aiuto in negozio” le spiegò.
“E non poteva dirlo subito? Ho passato dieci giorni a
organizzarvi questo viaggio e l’albergo è già stato pagato!” si lamentò
la ragazza.
“In effetti sarebbe uno spreco” ammise lui. Rea si
intristì.
“Non è giusto, però! Mi sono adoperata tanto per aiutarti e
lei mi manda tutto a monte” disse sull’orlo delle lacrime. Rin si sentì
vagamente in colpa.
“Ascolta, ormai è andata, il pullman sta arrivando. Vieni tu
con me, così ti consoli e ritrovi il sorriso” le propose. Gli istanti che
precedettero la sua decisione furono infiniti.
“Non posso” rispose scuotendo la testa. Il ragazzo si
sentì male.
“Perché?” le domandò cauto. Lei si
indicò.
“Non ho valigia, soldi, borsa o altro con me. Come potrei
seguirti al mare?” gli fece presente. Ecco, a quel particolare non aveva
pensato.
“Fammi pensare… beh, Laura è in camera, giusto? Se corre può
portarti la roba che ti serve. Ha ancora due minuti prima che arrivi
l’autobus” suggerì.
“Non penso che lo farebbe mai”
“Chiamala, no? Magari ti stupirà” provò lui. Se questa
andava a monte ci rinunciava.
“Tentar non nuoce” concesse la ragazza. Prese il
cellulare di tasca e compose il numero dell’amica.
“Pronto?”rispose
una voce assonnata.
“Laura, ho bisogno di un favore” disse senza tanti
preamboli. Le pareva di vederla mentre sbadigliava.
“Rea? Che cosa è successo? Non dovevi far partire Rin e
Shiemi stamani?”le
domandò preoccupata.
“Sì, lo so, ma abbiamo avuto buca dalla biondina e siamo qui
che aspettiamo il pullman”
“Non ho capito”
“Shiemi non è venuta e tra due minuti parte il nostro
autobus”
“Nostro?! Significa che vai da sola con Rin al mare per
tre giorni?” si
stupì lei. Messa in quel modo era effettivamente strano.
“Non farti strane idee, lo accompagno perché ho già pagato
tutta la vacanza” le spiegò.
“Ceeerto. Allora, di che hai bisogno?”
“Devi portarmi una borsa con dentro i soldi, il costume e un
paio di vestiti. Ce la fai in meno di un minuto?”
“No, ma tu cerca di ritardare la partenza, io vedrò che
riesco a fare” le
ordinò mettendo giù.
“Che ha detto?” domandò Rin,
trepidante.
“Di fare in modo che l’autobus parta qualche minuto dopo così
lei riesce a portarmi tutto” rispose. Il ragazzo tirò un sospiro di
sollievo.
“Ci penso io” le assicurò.
Quando,
trenta secondi dopo, il mezzo di trasporto arrivò, lui fece un solo, velocissimo
gesto: con le unghie forò la ruota davanti quando ci passò accanto per salire e
poi sorrise strizzando l’occhio a Rea. Lei scosse la testa e sorrise a sua
volta.
“Sei un caso perso” gli disse.
“E’ uno dei pochi lati positivi dell’essere demone: sei forte
e hai le unghie affilate” minimizzò alzando le spalle.
L’autista,
intanto, era sceso e stava guardando con occhi sgranati il bucò nella gomma,
incredulo. Si aggiustò il cappello e sospirò.
“Vi devo chiedere qualche minuto di pazienza, mi faccio
mandare qualcuno dall’ufficio per ripararla e ripartiremo” si
scusò.
“Ci vorrà molto?” domandò la ragazza, finta
delusa.
Capitolo 19 *** Piccolo sbaglio in albergo pt 2 ***
“Eccomi!” gridò Laura, correndo verso di loro.
Aveva in mano un borsone che sembrava scoppiare.
“Ma quanto ti ci è voluto?” la aggredì subito Rea.
Sfinita
e col fiatone, l’amica si fermò davanti a loro.
“Non sapevo.. puff… cosa metterci… uff… e così mi sono
fatta prendere la mano” si scusò passandole la sacca. Nel prenderla, la
ragazza si sbilanciò.
“Ma che c’è qui dentro? Un cadavere?” chiese tirandosi
su. Era pesantissimo.
“Hai bisogno di una mano?” le domandò Rin, scendendo
dal pullman. La vide in difficoltà e le prese di mano la borsa con facilità
sorprendente.
“La carico su” disse.
Quando
fu scomparso dentro all’abitacolo, Laura si avvicinò a Rea
sussurrando.
“Mi raccomando, fai per bene”
“Ma che vai a pensare? È solo una gita tra amici!”
minimizzò.
“Sì, amici innamorati” le fece presente.
Lei
arrossì.
“Non è vero!” gridò senza accorgersene.
Preoccupato,
il ragazzo si affacciò.
“Va tutto bene?” s’informò.
“Sì, non è niente” rispose a denti stretti. Guardò
l’altra in cagnesco.
“Ti ho detto che non c’è nulla, la smetti? Avevo preparato
questo viaggio per loro, non per noi, ricordatelo!”
“Eppure chissà perché state partendo soli voi due. Che
coincidenza da brivido, vero?”
“Ma smettila! Torna dal tuo pagliaccio, che forse è
meglio” le suggerì acida.
Laura
sorrise a trentadue denti.
“Com’è bello, l’amore” disse.
“Divertitevi al mare. Ciao Rin!” li salutò agitando
una mano.
Rea
salì sull’autobus e si mise zitta accanto al ragazzo, che la guardò
confuso.
“C’è qualche problema?” le chiese
preoccupato.
“Fatti gli affari tuoi”
Sole
caldo. Sabbia bianca. Mare cristallino. Brezza estiva che profuma di
sale.
Quando
scesero dal pullman, Rea si sentì pervadere dalla familiare sensazione di
attrazione verso l’acqua. Aveva gli occhi che brillavano.
“E’ splendido” riuscì a dire poco dopo. Rin la
fissava.
“Sembra che tu sia una bambina davanti all’albero di
natale” osservò.
“Non penso che tu possa capire quanto io e il mare siamo
simbiotici. Passavo nove mesi aspettando l’estate, e non solo per il mio
compleanno: erano i novanta giorni più belli della mia vita. Andavo in spiaggia
con i miei e poi passavo ore e ore sott’acqua a esplorare i fondali. Sono più di
due anni che non ci vengo” gli spiegò.
Poi lo
guardò imbarazzata.
“Scusa, non volevo stare ad
annoiarti”
“Figurati” rispose lui, agitando la
mano.
Si
avviarono verso l’albergo, che era a pochi passi dalla spiaggia.
Rea
sentiva il cuore batterle forte mentre camminavano vicini. Strinse la borsa con
forza per non lasciare la mano libera e rischiare che lui la
prendesse.
“Buongiorno, mi chiamo Shintuki Rea, ho una prenotazione per
due camere singole” disse quando furono alla reception.
L’impiegato
controllò nel computer.
“Mi dispiace, ma qui non ho alcuna prenotazione per due
singole” si scusò.
“Che cosa? Ma certo che c’è, ho chiamato la settimana
passata! Controlli meglio” lo spronò. Dopo un paio di minuti l’uomo alzò
gli occhi dallo schermo.
“Mi può ripetere il suo nome?” le chiese
gentilmente.
“Shintuki Rea. S-h-i-n-t-u-k-i”
compitò. Lui lo
inserì nel database.
“Ah” esclamò un istante più
tardi.
“Cosa?”
“Ho trovato la vostra prenotazione, macredo che ci sia un errore” disse
cauto.
Lei si
sentì morire.
“Che significa?”
“Che qui c’è scritto che avete chiesto una doppia, non due
singole” spiegò.
Quelle
parole rimasero sospese nell’aria per qualche momento prima che Rin
parlasse.
“Cioè abbiamo una sola stanza da
dividere?”
“Esatto. Mi dispiace, probabilmente chi ha segnato la
prenotazione ha capito male” si scusò.
“Non è possibile cambiare? Pago la differenza!”
implorò Rea.
“No, siamo pieni. L’unica cosa che posso fare è far
portare una branda in stanza, se volete dormire separati”
concesse.
“Ah, perché c’è il letto matrimoniale?” domandò
incredula.
“Sì. Le doppie hanno tutte il letto matrimoniale. Allora
volete la camera o no?”
“Va bene, ci dia la chiave” decise il ragazzo.
“Non ci credo, non ci credo, questo è un sogno” pensò
lei. Salirono al primo piano.
La
stanza era molto piccola, con un letto a due piazze appoggiato al muro e un
comodino a fianco.
C’era
solo un piccolo spazio libero tra i mobili e la parete di fronte.
Il
bagno era sulla destra appena entrati, dietro la porta.
“Come fanno a far entrare una branda in questo buco?”
si chiese Rea.
“Se è piccola dovrebbe star qui” le rispose indicando
il minuscolo spazio vuoto.
“Dev’essere a dimensione puffo” osservò lei. Appoggiò
la borsa sul letto e la aprì per vedere cosa c’era dentro. La richiuse subito, schifata.
“Senti, io vado a cambiarmi in bagno, tu
sistemati.
Se arriva il fattorino chiamami” le disse Rin, scomparendo nella
toilette.
Rimasta
sola, la ragazza aprì di nuovo la sacca: oltre al costume blu zebrato c’erano
vestiti da sera, gonne e magliette scollate di tutti i colori.
Rabbrividì.
“Laura, io ti ammazzo” disse a mezza voce. In fondo,
sotto a tutti gli abiti, c’era un biglietto.
“So che non è il tuo stile, ma per una vacanza romantica
mi sembravano le cose più adatte. Divertitevi e non fare la rompiscatole. Un bacio!”.
A Rea
salì una rabbia impossibile da descrivere. In quel momento bussarono alla porta.
Andò ad aprire e si trovò davanti una branda in verticale da cui spuntavano i
piedi.
“Questo è strano” commentò.
“Signorina, sono venuto a mettere questo in stanza”
disse un signore apparendo da dietro al materasso.
“Prego, entri” lo invitò.
L’uomo
ebbe qualche problema nel muoversi, un po’ per il piccolo spazio della stanza e
un po’ per l’oggetto ingombrante che aveva tra le mani.
“Rin!
È arrivato il tuo letto!”
gridò.
Il
ragazzo uscì dal bagno con indosso solo il costume nero.
“Aspetti, le do una mano” si offrì lui, andando verso
il fattorino. Prese da un lato il mobile e lo aiutò ad aggiustarlo.
La
ragazza era rimasta senza fiato nel vederlo mezzo nudo.
“Ecco fatto” esclamò. La branda era stata messa per
bene.
“Grazie per la sua pazienza, adesso siamo apposto”
disse salutando il fattorino.
“Arrivederci” si congedò lui.
Quando
ebbe chiuso la porta si voltò verso Rea, che sentiva un nodo in gola di
dimensioni gigantesche.
“Andiamo in spiaggia?” le propose. Lei rimase
immobile.
“Ehi?
Ci sei?” la chiamò, agitandole
una mano davanti agli occhi.
La
ragazza si riscosse, sobbalzando.
“Sì?!” esclamò. Rin era
basito.
“Mi ascolti?
Ti ho chiesto se vuoi venire al mare!” le ripeté.
“Oh, certo” decise.
“Bene, allora cambiati, dai”
“Cambiarmi?” domandò senza
capire.
“Rea, sei ancora con noi?
Devi metterti il costume per fare il bagno, se vuoi venire in
spiaggia” le ricordò.
La
ragazza si sentì morire: non ci aveva pensato! Andare al mare, com’è logico che
sia, significava rimanere solo col costume davanti a lui. Si vergognava troppo
per farlo.
“No, ci ho ripensato, non vengo più”
disse.
“Che cosa?
E mi fai andare da solo?” le
chiese lui triste.
“Divertiti” gli augurò, mettendosi ad aggiustare la
valigia.
“Eh, no!
Sei voluta venire qui e adesso vieni in spiaggia. Vai a cambiarti” le ordinò Rin,
prendendola per un braccio. Lei
si staccò senza nemmeno voltarsi verso di lui.
“No, non posso proprio” si
scusò.
“Sentiamo, come mai?” le domandò con le mani sui
fianchi.
“Perché mi sono ricordata che ho il mal di gola”
inventò.
Il
ragazzo vide il costume appoggiato sopra la borsa e capì.
“Non mi dirai che ti vergogni!” la prese in giro. Lei
si girò e puntò gli occhi nei suoi.
“Ma figurati!” rispose punta sul
vivo.
“Dimostramelo.
Mettiti quel costume blu e fammi vedere che non ti
vergogni” la sfidò. Lei
accettò la scommessa e prese l’indumento.
“Perfetto.
Ti rimangerai ciò che hai detto e poi mi lascerai in pace” decise.
Rin
trattenne a stento una risata mentre Rea scompariva in
bagno.
Nei
minuti in cui lei non c’era si sedette sulla branda e pensò. Tre giorni da soli,
al mare, in una camera doppia. Forse poteva farcela.
“Senti, devo proprio uscire di qui?” domandò la
ragazza affacciandosi alla porta. Era rossa fino alla punta dei
capelli.
“Se non vuoi fare il sub nella vasca da bagno, sì”
rispose.
La vide
combattere tra la vergogna e l’’orgoglio. Sbuffò e si
alzò.
“Ma che sarà mai?” le chiese andando verso di
lei.
“Fermo, non farmi venir fuori!” lo implorò.
Cercando
di strapparle la porta dalle mani, lui si avvicinò.
“Oh, avanti, siamo amici!
Perché tanta vergogna? Non devi fare sfilate di moda o simili,
dobbiamo andare a fare il bagno e divertirci!”
la riprese.
Nonostante
fosse molto più debole di lui, Rea ce la mise tutta per non farsi vedere,
provando a richiudere la porta.
“Ti prego, ti scongiuro, non ho un bel corpo, non posso venir
fuori di qui!” urlò. Spazientito, lui tirò la porta verso di sé,
aprendola con forza.
Sorpresa,
Rea non ebbe il tempo di nascondersi e rimase in piedi davanti a lui, abbassando
lo sguardo imbarazzata. Si torceva le mani dal
nervoso.
“Per favore, non mi prendere in giro” lo pregò con la
voce flebile.
Rin era
rimasto imbambolato a fissarla, con la bocca spalancata. Troppo imbarazzata, lei
prese un asciugamano e se lo strinse davanti al corpo.
“Io non ci vengo in spiaggia” decise.
Riscuotendosi,
lui chiuse la bocca e si schiarì la gola.
“Ascolta, non mi sembra così grave la
situazione.
Noi andiamo a divertirci, non dobbiamo fare chissà che cosa. Allora, mi accompagni?” le
chiese.
“Ma io sono bruttissima, ho la pancia e i fianchi grossi, non
sono il tipo da spiaggia!” ribatté lei.
“Hai detto stamani appena arrivati che vuoi andare al mare,
quindi adesso ci andiamo.
Muoviti” le ordinò,
prendendola per un polso.
“No, per favore!” cercò di difendersi, ma invano, era
troppo più forte.
Con
l’asciugamano stretto in vita e i sandali ai piedi, fu trascinata fino alla
riva.
“Perché con te finisce sempre che mi ritrovo in posti in cui
non voglio essere?” si lamentò Rea quando raggiunsero la spiaggia. Lui la
lasciò all’improvviso, facendola cadere.
“Direi che qui è perfetto” decise.
Non
c’era molta gente, solo sei o sette ombrelloni in tutto il
golfo.
“Sei stato molto gentile, grazie per la galanteria” gi
disse acida.
Continuava
a stringere a sé il panno con forza. Rin la guardò e
soffiò.
“Senti, ti vuoi togliere codesto asciugamano di
dosso?” le chiese.
“No che non lo faccio, è imbarazzante essere in costume
davanti a te” rispose.
“Ma perché? Cos’hai che non va?”
“Sono grassa e brutta!” disse, come se fosse la cosa
più naturale e logica del mondo.
“Non è vero, a me piaci!” esclamò lui senza
pensarci.
Ci fu
un lungo momento d’imbarazzo.
“Come?” domandò lei, incredula.
“Intendo dire che sei una ragazza carina, e non mi starei a
fare tanti problemi per il fisico.
Vuoi entrare in acqua o no?”
spiegò tentando di rimediare.
“No” decise.
Al
limite della sopportazione, Rin si abbassò e la prese
tra le braccia.
“Che stai facendo?” gli chiese impaurita. Si avvicinò
al mare e prese lo slancio.
“Che?
No, fermooo!” gridò, ma fu inutile: un attimo dopo stava volando
verso l’acqua. Andò
giù battendo il sedere sul fondale e perdendo l’asciugamano. Risalì velocemente
in superficie, rischiando di affogare.
“MA SEI DEFICIENTE?” urlò arrabbiata tossendo.
Lui
stava ridendo come un matto nel vederla così infuriata e non si accorse che
arrivava. Correndo, Rea fece in modo di schizzarlo da capo a piedi prima di
buttarlo sulla sabbia.
“Tu sei un idiota!” lo accusò, cadendogli sopra.
Ridendo
ancora, lui la fissò: era bellissima alla luce del sole.
“Oh, ma andiamo!
L’acqua è splendida, non dirmi il contrario” la sfidò.
Alzandosi, lei lo
fissò in cagnesco.
“Meno male che sono tua amica, altrimenti ti avrei già
ammazzato” disse. Seguendola, si mise in piedi anche
lui.
“Ma che gentile, mi risparmi la
vita.
Grazie!” la prese in
giro.
Si mise
a correre verso il mare aperto per sfuggire al pugno che si vide arrivare
contro, e Rea iniziò ad inseguirlo, senza più preoccuparsi del suo
aspetto.
“Vieni qui, brutto cafone, vieni subito qui!” gli
gridava.
“Prendimi, se ci riesci!” rispose lui, girandosi per
guardarla.
Inciampò
nei suoi stessi piedi e cadde di pancia in acqua, bevendo. La ragazza si fermò
nel punto in cui lui era andato giù, ormai divertita.
“Questa è tutta la tua cattiveria” gli disse
soddisfatta quando riapparve sputacchiando.
“Ma senti chi parla!” ribatté Rin. La tirò per un braccio verso di sé, facendola finire
sopra di lui tra gli spruzzi.
“Sei malvagio” lo accusò, guardandolo negli occhi. Lui
smise di ridere e la fissò. Entrambi rimasero zitti.
“Senti, Rea, io ti volevo dire una cosa” ammise lui,
avvicinando il volto al suo.
“Sì?” sussurrò lei, senza
muoversi.
“Ecco… io…” ormai mancava pochissimo, stavolta poteva
baciarla davvero.
“Aiuto!” gridò qualcuno dalla banchina.
I due
ragazzi, presi alla sprovvista, si allontanarono svelti.
“Secondo me parlavano di quello!” gli rispose lei,
girandogli la testa.
A
distanza di dieci metri un gigantesco polpo stava apparendo dalla superficie del
mare, creando grosse onde che si abbattevano sulla riva.
“E quello che diavolo ci fa qui?” esclamò
lui.
“Non mi importa, ma andiamocene” gridò Rea, impaurita.
Alzandosi
velocemente, si misero a correre verso il punto in cui avevano lasciato l’altro
asciugamano, quello che si era portato dietro il ragazzo. Il polpo si stava
avvicinando alla costa.
“Sbrigati!” la incitò.
Usando
tutta la sua forza, lei continuò ad andare verso la spiaggia,
sfinita.
“Ci siamo quasi!” esultò Rin.
Vedeva
la kurikara che aveva lasciato piantata nella sabbia.
Senza
che lui se ne accorgesse, Rea cadde e fu travolta da un’onda, scomparendo sotto
la superficie del mare.
“Forza, dobbiamo tornare in albergo…” stava dicendo il
ragazzo, ma poi si accorse che lei non c’era più.
“Rea?
REA!” gridò
disperato.
Ormai
era rimasto da solo sulla riva, gli altri bagnanti erano
fuggiti.
Il
polpo continuava ad avanzare, togliendo visibilità a causa dei piccoli tsunami
che creava.
“Rea!
Dove sei?” urlò ancora lui,
sull’orlo delle lacrime.
La vide
galleggiare vicino ad un tentacolo del demone, che fendeva l’acqua con i suoi
otto bracci.
“NO!” esclamò. Prese la spada e si fiondò verso il
mostro, correndo a perdifiato. In preda al panico, si accorse che la ragazza
stava per essere colpita.
“Non la devi toccare!” gli ordinò.
Saltando,
estrasse la kurikara dal fodero, infiammandosi. Usando
tutta la precisione che possedeva, colpì il tentacolo del polpo, che si staccò
dal resto del corpo.
Ruggendo
dal dolore, il mostro si mosse ancora di più, creando onde giganti che
travolsero la ragazza.
“Smettila!” gridò Rin, in
preda alla paura. Aveva perso del tutto il controllo di sé. Si lanciò contro il
demone con la spada in mano e fendette l’aria con un colpo, che lo divise in
due. Entrambi le parti caddero in acqua, causando altri
tsunami.
Rinfoderando
la kurikara, il ragazzo si mise a cercare Rea. Era
un’impresa difficile, vista la portata delle onde che lo facevano bere e andare
sotto la superficie.
Alla
fine riuscì a vedere una mano che scompariva piano, piano.
“REA!” esclamò. Si immerse, nuotando come un
forsennato per raggiungerla. Gli sembrava che i polmoni stessero per scoppiargli
nel petto da quanto facevano male. Alla fine, riuscì a prenderla per un braccio
e a risalire.
Respirò
una boccata d’aria che lo fece tentennare, poi iniziò a cercare un posto in cui
portarla per farla svegliare. “Non morire, non morire,
non morire” pregava. Dopo un paio di minuti, arrivò ad una
grotta.
Anche
se erano molto lontani dalla riva, decise di fermarsi lì per riposarsi. Era
sfinito.
Quando
uscì dall’acqua, stese Rea in posizione supina e iniziò a
schiaffeggiarla.
“Reagisci, per favore reagisci” disse.
La
ragazza era completamente inerme. Decise di farle il massaggio cardiaco, anche
se non era sicuro di esserne capace.
Sentiva
l’aria che l’accarezzava. Era piacevole. Stava forse
sognando?
Aprì
gli occhi, confusa. Vide il viso di Rin a pochi
centimetri dal suo e si spaventò.
“Aiuto!” esclamò.
Felice
che avesse ripreso conoscenza, il ragazzo si appoggiò a
un muro, sfinito.
“Ce l’ho fatta” esultò a bassa voce. Confusa, Rea si
guardò intorno.
“Ma dove diavolo siamo?” chiese. Aveva la testa che
faceva male.
“Non ne ho idea.
Ho nuotato fino al punto più vicino dove potersi riposare dopo
che ho sconfitto il polpo gigante, ma siamo parecchio lontani dalla riva” rispose lui.
Dopo
qualche minuto fu di nuovo in grado di alzarsi.
“Pro memoria per me: non lamentarsi mai più di essere un
demone.
Il fatto di guarire alla svelta è positivo” pensò. Si
guardò intorno.
“Forse è meglio se ce ne andiamo” suggerì
lei.
“Ehm… senti, forse abbiamo un problema” le disse
l’altro. Alzandosi con fatica, lo affiancò.
“Che succede?”
“Io non ho idea di dove sia la
spiaggia”
“E allora?”
“Guardati attorno: vedi niente che non sia
mare?”
“No, effettivamente no”
“Preciso.
Siamo bloccati in questa grotta” la informò. Lei
si sentì mancare.
“Che cosa?”
“Non possiamo andarcene finché non capiamo dove siamo.
Dovremo passare la notte qui”
“Non lo sto facendo!
Non c’è altra possibilità che rimanere qui! O preferisci
nuotare per chissà quanto tempo?” le
rispose. Lei
esitò un secondo.
“Ascolta, è ancora presto, magari riusciremo a farci vedere
da qualche barca” la rassicurò.
“C’era un polpo gigante un’ora fa che stava cercando di fare
spezzatino di bagnanti.
Non sono proprio sicura che qualcuno si avventurerà in mare
aperto per oggi” gli fece
presente. Si
misero entrambi a sedere all’interno della grotta.
“Forse hai ragione” ammise lui.
Il
posto era spazioso, circolare, non troppo caldo nonostante fosse un pomeriggio
estivo. Non c’erano altre uscite esclusa quella da cui
erano entrati, però c’era un piccolissimo specchio d’acqua in mezzo.
Sembrava
fatto apposta per pescare.
“Scusa, adesso che ci penso come hai fatto a portare dietro
kurikara?
Io non me ne sono accorta”
notò lei, vedendo la spada appoggiata a terra.
“Probabilmente perché eri occupata a lamentarti del tuo
corpo”
“E la coda?
Dov’è nascosta?”
s’incuriosì.
“Sotto al costume.
L’ho messa in modo che non si vedesse il rigonfiamento
incastrandola sotto l’elastico” le
spiegò. La
ragazza annuì.
Avevano
passato interi pomeriggi insieme, ore e ore a parlare anche di cose futili e a
prendere in giro Yukio, ma adesso, bloccati a forza lì in quel posto chissà
quanto lontano dalla spiaggia, erano entrambi silenziosi.
Stettero
zitti per metà giornata, imbarazzati. Il fatto di non poter fuggire appena le
cose iniziavano a complicarsi li faceva tremare di paura.
Rea era
intirizzita, un po’ per il freddo un po’ per la tensione. Sapere che Rin era a
pochi centimetri da lei e che erano soli era davvero strano, soprattutto visto
che non più di due ore prima si erano quasi baciati. Ancora.
Se
l’universo aveva fatto sì di dividerli due volte su due, forse non era giusto.
Qualsiasi cosa fosse successa, doveva stargli lontana.
Quattro
ore dopo.
“Senti, io ho fame” annunciò il ragazzo.
Non si
era fermato mai da quando erano lì, aveva camminato in
su e in giù per la caverna come un gatto in gabbia. Sembrava un’anima in
pena.
“Anche io, ma che cosa vuoi farci?
Hai intenzione di mangiarti la coda, per caso?” s’incuriosì lei.
“No di certo, non è commestibile”
rispose.
“Allora temo che dovrai aspettare che torniamo in albergo
prima di poter ingerire qualsiasi cosa”
“Oppure posso vedere se riesco a pescare qualcosa”
propose.
“Cioè? Intendi tornare in mare?”
“Perché no?
Io non riesco a rimanere vivo fino a domani se non mangio qualcosa!”
“Come sei esagerato” lo prese in
giro.
“Chiamami come ti pare, ma io vedo se trovo un po’ di
pesce” le disse immergendosi. Non aveva ancora potuto liberare la coda,
ma adesso, sotto l’acqua, la fece muovere liberamente.
“Come si sta bene” esclamò uscendo.
Si
guardò un po’ intorno per vedere se trovava qualche segno di spiaggia. “Non è possibile che sia andato tanto lontano, ho nuotato sì
e no venti minuti” rifletté. “Deve essere per
forza qua intorno” si disse. Fece qualche altra bracciata per
allontanarsi un altro po’ dalla grotta. Perché non l’aveva fatto prima? Come mai
aveva passato il pomeriggio a camminare su e giù per quel cavolo di posto? La
risposta era da brividi. “Perché speravo di avere un
modo per fare qualcosa con Rea” anche sotto l’acqua gli veniva la pelle
d’oca pensandola col costume in stanza.
E
quando l’aveva quasi baciata sulla spiaggia?
S’immerse
ancora di più per fermare il flusso di pensieri che lo aveva
travolto.
“Trovato niente?
Cibo? Acqua? Terraferma?” lo
accolse la ragazza. Aveva
messo i piedi a bagno nella pozza che c’era al centro della
grotta.
“Un paio di pesci li ho trovati, sì” le disse lui,
posando a terra quello che aveva preso. Non erano troppo grossi, ma nemmeno
troppo piccoli.
“E tu sai anche cucinarli?
Senza fuoco o condimento?” lo
sfidò Rea alzandosi.
“Stai parlando con un cuoco provetto” le fece
presente.
“E allora?
Non abbiamo legni, accendini, fiammiferi o affini per scaldare
qualsiasi cosa tu possa mai cucinare”
disse. Rin le sorrise.
“Scommettiamo?” la provocò. Prese i pesci e li
aggiustò davanti a sé, poi li aprì. Andò alla pozza, recuperò un po’ d’acqua
salata e bagnò l’interno degli animali.
“Questo per il sale” spiegò.
“Adesso guarda quali sono i vantaggi di essere un fuoco umano
portatile” le ricordò. Fece come gli aveva insegnato Shura: chiuse gli occhi e si concentrò.
“Devo scaldare i pesci, devo scaldare solo i pesci”
pensava. Quell’esercizio gli era sembrato stupido da
fare con le candele davanti, ma adesso, bloccato in quella grotta, ringraziava
la donna. Senza di lei non avrebbe potuto cucinare del cibo per
Rea.
“Cavolo.
Tu sì che hai sempre delle sorprese, fiammifero vivente” esclamò la ragazza. Si
iniziò a sentire profumo di arrosto e il suo stomaco
brontolò.
“Forse ho fame anche io” ammise.
“Dammi solo altri cinque minuti” le chiese. Non era
semplice fare in modo che il potere di Satana non gli sfuggisse di
mano.
“Fai pure” concesse. Mentre lo guardava cercare di
preparare quei pesci sorrise. Si sentiva stupida ad aver pensato di non riuscire
a stare con lui per una paura idiota. Era solo Rin, e
questo le bastava.
“Ehm, se non li vuoi fare lessi
credo che basti” gli disse. Sbuffando, il
ragazzo aprì gli occhi. La cena era perfetta.
“Aspetta, manca una cosa” le disse. Tornò alla pozza, prese un
po’ d’acqua tra le mani e si accese di nuovo.
“Se continui così finisce che ti prendo per una
torcia” lo avvertì Rea.
“Tanto ho finito” rispose. In mano aveva del
sale.
“Ehi, è vero: se fai evaporare l’acqua di mare ti
rimane…”
“Il sale” terminò. Lo sparse sul cibo e poi le
sorrise.
“Ecco a voi pesce arrosto!” lo presentò orgoglioso.
La
ragazza rise nel vederlo così fiero, e allungò una mano per servirsi. Lui la
fermò.
“Ah, ah, come si dice prima?” la
riprese.
“Grazie, Rin, per aver trovato
qualcosa da mangiare”
“Bravissima.
Adesso puoi anche prendere qualcosa” concesse.
Rimasero
in silenzio a fissare il tramonto mentre masticavano.
“Ho guardato più di un’alba, con te, ma il crepuscolo mi
mancava” ammise il ragazzo.
“Già, era un’esperienza che dovevamo provare insieme”
altro silenzio. Il rumore delle onde era una specie di dolce
melodia.
“Secondo te ce la faremo a tornare a riva, domani?”
domandò Rea.
“Credo di sì.
Non ho nuotato per molto, prima, anche perché ero stato colpito e stavo
trascinando anche te, quindi non siamo molto lontani dalla spiaggia. Dopo un po’ di riposo come si deve potremo nuotare e vedere se nei
dintorni c’è la terraferma” la
rassicurò.
“Speriamo”
“Non preoccuparti, un modo per tornare a casa lo
troviamo.
Fidati di me” le
promise.
“So che hai ragione, ho solo… tanta paura” ammise lei.
Finirono
di mangiare in silenzio.
Ormai
il sole era andato completamente sotto l’orizzonte e iniziava a fare
fresco.
“Dovremmo trovare il modo per scaldarci, stanotte”
disse Rin, alzandosi.
“Non penso che ce ne sia bisogno, in fondo è estate”
ribatté Rea.
Aveva
controllato la grotta in ogni angolo per trovare qualcosa da bruciare per fare
fuoco, ma non c’era assolutamente niente. Farsi caldo significava dover stare
vicini, e questo voleva evitarlo accuratamente.
“Hai intenzione di tremare tutta la notte?” le chiese
lui, incuriosito.
“Beh, no, ma tu sei un fuoco umano, puoi fare caldo a
entrambi” suggerì.
“Certo, perché no?
Sto sveglio fino all’alba per fungere da torcia. Era il mio
sogno di bambino” rispose
sarcastico. La
ragazza mise il broncio.
“E avevi qualche idea per non andare in
assideramento?” gli domandò.
“Un paio, ma non so quanto siano esprimibili” pensò
lui.
“Non saprei. Suggerimenti?”
“Ho la testa vuota” ammise.
“Anche io” sospirò l’altro.
Entrambi
avevano mentito, entrambi stavano pensando alla stessa cosa: per scaldarsi
dovevano starsi attaccati.
“Allora vediamo di dormire così” propose Rea. Era
sfinita sul serio e, per il momento, non aveva freddo. Si stese sulla
pietra.
“Che fai, t’addormenti di già?” le domandò Rin, deluso.
“Domattina verremo svegliati dal sole, il che significa che
alle sei saremo in piedi.
Dato che dovremo nuotare per chissà quanto tempo, credo che
sia meglio riposarsi il più possibile, no?” gli
fece presente.
Chiuse gli occhi, decisa a non dargli modo di avvicinarsi. L’universo aveva
parlato, giusto?
Il
ragazzo rimase un paio d’ore a fissare il mare illuminato dalla luna. Era così
tranquillo. Forse sarebbe stato meglio se avesse detto subito a Rea che aveva
trovato la spiaggia proprio dietro alla grotta, a cinque minuti di bracciate,
invece era stato zitto sperando che succedesse qualcosa. Lanciò un sasso in
acqua dal nervoso. Doveva dirle di Shiemi, della
costa, che voleva dormire con lei in stanza e non sulla branda e che la amava,
si sentiva peggio che mai a continuare così.
La
guardò dormire: si girava nel sonno come se avesse gli incubi. Alla fine, andò a
sbattere contro una pietra.
“Ahia!” gridò tenendosi la testa. Quello non doveva
essere il miglior modo per svegliarsi.
“Ma che ca… come ho fatto?”
chiese tenendosi la fronte. Trattenendo a stento una risata, Rin la raggiunse.
“Fammi vedere” le disse gentilmente. Lei tolse le
mani, scoprendo un piccolo taglio. Non sanguinava.
“Non è niente, stai tranquilla” le assicurò. La
ragazza si sfregò dove le faceva male.
“Però brucia” si lamentò.
“Certo che sei un disastro ambulante” osservò lui
dolcemente. Le sfiorò il graffio.
“Non l’ho mica fatto apposta” si scusò. Mise di nuovo
il broncio.
“Certo che no, non ti dico mica il contrario” la
assecondò.
Era
rimasto fermo con la mano sulla sua pelle. Era calda.
“F-forse è meglio se torno a dormire” disse lei, cercando di
sottrarsi a quel tocco. “No, no, no, no,
no…”
“Aspetta!” esclamò Rin,
incatenandola con gli occhi. Fu costretta a rimanere
ferma.
“Senti, devo… devo dirti una cosa” le
confessò.
“D-dimmi” sussurrò Rea. Si
sentiva prigioniera.
“Shiemi ieri è venuta da me, al dormitorio” iniziò. La
ragazza deglutì a vuoto.
“E?” lo spronò.
“Io lo sapevo già da prima di partire che non sarebbe
venuta” ammise.
“Ah” fu tutto ciò che riuscì a rispondere
l’altra.
“E poi quando sono andato a pescare io… ho trovato il modo
per arrivare alla spiaggia” perché stava dicendo tutte quelle cose? Se si
fosse arrabbiata?
“Che cosa?”
“Ti avevo detto che non ero andato molto lontano e, nuotando
un po’ più a largo, ho visto che siamo proprio dietro al litorale”
confessò. Erano ancora vicini con le facce e lui aveva ancora la mano sul suo
viso.
“Rin perché non mi hai detto che potevamo tornare in
albergo?” gli chiese, risvegliandosi. Lo allontanò
leggermente.
“Io… io…”
“Forza, parla” ordinò. Aveva un tono di voce normale,
adesso, quasi arrabbiato. Lui distolse lo sguardo.
“Non potevo” sputò infine.
“Che diavolo significa che non
potevi?”
“Che non potevo lasciare che tornassimo indietro senza aver
risolto niente!” esclamò.
“Che cosa c’è da risolvere tra di
noi?”
“Tutto!
Io non volevo fare questo viaggio con Shiemi, io volevo farlo con te!” riuscì ad ammettere. Rea
rimase paralizzata.
“Ma tu hai insistito per farmi venire qui con lei e non
potevo dirti di no, mi avresti fatto delle domande a cui non potevo
rispondere”
“Ma che vai blaterando? Lei ti piace! Perché saresti dovuto
partire con me?”
“Non è lei che mi piace, non voglio Shiemi!” le disse. La ragazza lo fissò
incredula.
“A me piaci tu” le confessò. Il suo cuore iniziò a
battere così forte da scoppiare.
“Che cosa hai detto?” sussurrò.
“Io sono innamorato di te” ripeté. Le posò una mano
sulla guancia, avvicinandosi.
“Rea…” disse a mezza voce. Erano sempre più
vicini.
Quello
fu il bacio più bello che lei avesse potuto desiderare in tutta una
vita.
Si
erano addormentati poco dopo essersi baciati, sfiniti ma felici. Non erano
nemmeno sicuri di non stare sognando.
La luce
che entrò dalla grotta svegliò Rea, che aprì un occhio, confusa. Non sapeva dove fosse, con chi o perché.
Si mise
a sedere e si stropicciò gli occhi.
“Che ore sono?” si chiese assonnata. Guardandosi
intorno si ricordò dov’era, con un certo dispiacere. Aveva
fame.
Si alzò
in piedi e si stirò, cercando di svegliarsi un po’. Rin non si era accorto di nulla. Lo fissò sorridente e si
sfiorò le labbra con un dito, ripensando alla sera prima.
Un
bacio così dolce non l’aveva mai avuto. Poi le venne in mente una cosa.
“Ma quindi adesso stiamo insieme?
Oppure no?” si
chiese.
Avrebbe dovuto domandarglielo? O era fuori luogo? Scacciò quei pensieri e si
concentrò solo sulla felicità che stava provando, non voleva e non doveva
distruggere quel momento.
Una
mezz’ora dopo, quando era finalmente cosciente, si mise su uno scoglio in riva
al mare. L’acqua era invitante.
Guardò
il ragazzo e fece spallucce. “Tanto questo dorme per
le prossime due ore come minimo” si disse. Prese un bel respiro e si
tuffò.
Le
sembrò di rinascere: il mare era sempre stato una seconda casa, sott’acqua quasi
riusciva a respirare. Vide i pesci nuotare sotto di sé, il blu tutto intorno e
si sentì bene. Tornò in superficie.
“Cavolo, è bellissimo!” esclamò.
Fece
qualche bracciata per allontanarsi ancora un po’ dalla grotta e cercò intorno a
sé la spiaggia che aveva detto Rin la sera prima. La
vide esattamente dietro alla caverna. “Ormai siamo
qui” pensò.
Il
ragazzo aprì gli occhi quando il caldo fu insopportabile. Sentiva la pelle
bruciare per colpa del sole.
“Yukio, chiudi la finestra” disse mezzo addormentato.
Si girò
e sentì la roccia dura sotto di sé.
“Che roba è?” si chiese. Aprì gli occhi e si mise a
sedere. Era solo nella grotta.
“Rea?” chiamò a voce alta. Non rispose nessuno.
Si
erano addormentati insieme e adesso si risvegliava da solo. Non era un buon
segno. Si affacciò sul mare e scrutò l’orizzonte. Vide qualcosa muoversi una
decina di metri più a largo e strinse gli occhi per distinguere la
figura.
“Rea!” gridò di nuovo. Il profilo si fermò e si voltò.
Qualcuno mosse il braccio in segno di saluto e poi scomparve sotto la
superficie.
Un
minuto dopo la ragazza tornò in superficie sorridente.
“Buongiorno!
Ho visto che dormivi tanto bene e ti ho lasciato stare, ma
avevo troppo caldo per rimanere dentro e mi sono tuffata” gli disse. Si
sedette sulla riva e strizzò i capelli.
“Quanto tempo è che sei
sveglia?” le domandò Rin, mettendosi di
fianco a lei.
“Non saprei.
Un paio d’ore, penso” rispose
lei, facendo spallucce.
“Ho fatto in tempo ad arrivare in spiaggia e tornare indietro
prima che tu ti accorgessi che me n’ero andata, quindi
è un po’ che nuoto. A proposito, abbiamo intenzione di
rientrare in albergo prima che ci diano per dispersi oppure facciamo casa
qui?” s’informò. Il ragazzo
si avvicinò un po’ di più e l’abbracciò.
“Hai così tanta fretta di tornare nel caos del mondo
civile?
A me qui piace” le
rispose.
“Hai ragione, però io ho fame, mi piacerebbe pranzare senza
doverti veder prendere fuoco.
È un po’ inquietante sapere che il tuo migliore amico può
incendiarsi ogni dieci minuti, sai com’è”
disse.
Quelle
parole lo lasciarono un attimo perplesso.
“Allora?
Forza, forse facciamo in tempo anche a cambiarci prima di
mangiare” lo
incoraggiò. Si
gettò di nuovo in acqua, rimanendo sotto per un minuto buono. Quando uscì,
vedendo che non si muoveva, gli si avvicinò e lo schizzò.
“Muoviti, lumaca!” lo prese in giro.
Lui fu
felice che lei sorridesse così e stette al gioco. Avevano ancora un intero
giorno per parlarne, no?
“Terraferma!” esclamò Rin
quando arrivarono in spiaggia. Nonostante tutto era felice di essere
tornato.
“Finalmente!
Ho bisogno di riposarmi in un letto vero!” disse Rea. Aveva
la schiena a pezzi anche se aveva dormito abbracciata a lui. Però ci era stata
proprio bene.
“Andiamo, l’albergo non è lontano” la spronò. Ormai
erano quasi arrivati.
Dato
che circa ventiquattr’ore prima un mostro enorme aveva
attaccato il litorale, non c’erano bagnanti in giro.
“E’ un po’ triste, qui, senza bambini che nuotato e
giocano” osservò la ragazza mentre camminavano.
Arrivarono
davanti alla porta dell’hotel ed entrarono. L’impiegato al bancone li salutò
senza nemmeno alzare gli occhi, così proseguirono per la loro
stanza.
“Secondo te se n’è accorto qualcuno che siamo mancati per un
giorno intero?” gli chiese. Rin fece
spallucce.
“Non credo che sia la prima volta che due ragazzi non tornano
la notte” rispose.
“Cioè?”
“Bé, sì insomma… ecco… due ragazzi da soli al mare…”
iniziò a balbettare imbarazzato. Quando Rea capì divenne rossa come un
pomodoro.
“Che cosa?
No! Non è questo che è successo!” ribatté.
A lui
parve che la cosa le desse molta noia e se ne chiese il motivo. Era così
strano?
“Sì, io lo so e tu lo sai, ma hai intenzione di spiegarlo a
tutti?” le chiese.
“Se serve, certamente!” rispose.
Iniziava
a chiedersi se la sera prima si fossero veramente baciati.
Entrarono
in camera e si guardarono intorno: era tutto esattamente come l’avevano
lasciato.
“Ascolta, ti va se ci cambiamo e poi andiamo a cercare un
posto per mangiare?
Facciamo tutto velocemente e poi torniamo a riposarci” propose Rea.
“Bello!” esclamò la ragazza guardandosi attorno. Era
molto piccolo, dipinto di blu come l’acqua. Sembrava di stare in un acquario
gigante.
“Speriamo che si mangi bene” rispose lui. Stavano
guardando il menù.
“Io voglio questo” decise Rea, indicando un piatto
misto di pesce. Sembrava buono.
“Anche io” le disse.
“Ehi, non copiarmi!
Prendi qualcosa di diverso!”
si arrabbiò l’altra.
“Che? Perché?”
“Perché così dividiamo!” rise la
ragazza.
“Cioè tu vuoi che noi prendiamo due piatti diversi per
dividerli?”
“Uhm, più o meno” rispose lei,
vaga.
“Mi sa che c’è la fregatura, ma va bene” concesse.
Ordinarono
un misto di pesce e uno di terra, così da smezzarlo e mangiare due cose invece
di una.
Mentre
aspettavano, si misero a parlare un po’ di tutto: Laura e Mephisto; Shiemi; Yukio; Satana. Evitarono accuratamente di discutere, però,
del bacio. Anche se non l’avrebbero mai ammesso, cercar di chiarire la
situazione adesso era spaventoso. Se non fosse andata come volevano, cosa
sarebbe successo alla loro amicizia?
“Cibo!” esclamò la ragazza, quando arrivarono i
piatti.
“Sembra che tu non mangi da due
giorni”
“Se fai due calcoli ti rendi conto che è praticamente
così” gli ricordò.
“Ah, già” disse lui. Addentò un pezzo di
carne.
“Cavolo. È proprio delizioso!”
“Davvero?
Fammi assaggiare” gli ordinò
lei. Rin spostò il piatto dal tavolo, allontanandolo dalla sua
forchetta.
“Eh, no!
Prima mi dai un pezzo del tuo e poi si
vedrà” le
propose.
“Che cosa?
Ma questo si chiama ricatto!”
protestò la ragazza.
“Mmmh, sì, direi di sì” ammise lui.
“Sei malvagio!” lo accusò.
“Sono un demone, cosa ti aspettavi?
Tè e pasticcini?” le fece
presente.
“Ci speravo” confessò lei, imbronciata.
“Possibile che tu tenga sempre il broncio?” chiese
Rin, ridendo.
“E’ colpa tua, sei tu che me lo fai venire” lo
accusò.
“Certo, è sempre colpa mia”
“Va bene, adesso posso morire in pace su questo bel lettuccio
caldo” annunciò Rea, stendendosi sul materasso non appena furono
rientrati in stanza. Si stava così bene.
“Vuoi dormire adesso?” si stupì il
ragazzo.
“Che male c’è? Sono dovuta stare tutta la notte sdraiata
sulla roccia, non è molto comodo”
“Guarda che lo so, ero con te” le ricordò.
Dopo
quella frase scese il silenzio. Entrambi stavano pensando al bacio.
Lei si
schiarì la gola.
“Non importa, adesso sono stanca, probabilmente mi riposerò
un po’.
Notte!” gli
augurò. Si
mise sotto le coperte e lo lasciò lì, a fissarla.
“Notte” sussurrò.
Si
stese sulla branda a fissare il soffitto e sospirò. Gli aveva dato noia il
comportamento della ragazza: non solo si era arrabbiata quando le aveva detto
che le persone potevano pensare che loro avessero passato la notte… in quel
modo… ma inoltre aveva evitato l’argomento “insieme”. Che diavolo stava
succedendo? Che se ne fosse pentita?
A
dirsela sinceramente, anche lui era infastidito nel pensare che le persone potevano credere che avessero fatto sesso, eppure non gli
sembrava un’idea così strana. Erano due ragazzi che erano rimasti soli tutta la
notte. Forse la cosa strana era proprio che non fosse successo
niente.
Fuori
era buio, ormai. Quando Rea aprì gli occhi il sole era tramontato da un
pezzo.
“Che ore sono?” si chiese. L’orologio segnava le dieci
di sera.
“Che cosa?
Ma io mi sono addormentata oggi pomeriggio alle due! Significa
che ho dormito… otto ore!” esclamò,
incredula.
“Rin, perché non mi hai svegliata?
Rin?” lo chiamò, alzandosi dal
letto.
Il
ragazzo era addormentato sulla branda, con i capelli bagnati e l’asciugamano
addosso. “Deve essersi lavato” pensò. Lo scosse
un po’, ma non reagì ai suoi richiami.
“Certo che anche tu sei un caso perso” disse
sottovoce.
Lo
sentì russare e trattenne a stento una risata.
“Devo trovare qualcosa da fare, adesso” decise.
In
camera non c’era niente che servisse da svago, né un televisore né, tantomeno,
libri o computer.
Si
guardò addosso: non aveva ancora fatto la doccia. “Speriamo che non si svegli” pensò. Si chiuse in bagno
e si spogliò.
“Fa’ che dorma finché non ho finito” pregò entrando
nella vasca da bagno. Aprì l’acqua e si beò della corrente sulla pelle. Le lavò
via il sale che era rimasto dal pomeriggio prima. Si insaponò e risciacquò con
molta calma, prendendosi tutto il tempo che le serviva.
“Questo è il paradiso” esclamò.
Rimase
sotto la doccia per almeno venti minuti prima di decidersi ad uscire. Prese
l’accappatoio dal portasciugamano e se lo mise addosso, stando attenta a evitare
che si aprisse.
Accostò
leggermente la porta del bagno e si affacciò. Rin
sembrava ancora addormentato. Fece un bel respiro ed entrò in camera, facendo
più piano possibile.
Frugò
in borsa alla ricerca di un pigiama. “Ma che diavolo!
Non è possibile che Laura non me ne abbia dato uno” pensò. In quel momento la
lettera che le aveva lasciato nella sacca cadde a terra, voltandosi. C’era un
post scriptum dietro.
“Mi ero dimenticata una cosa: per quello che spero succeda
non dovresti avere bisogno della camicia da notte, quindi non l’ho
messa.
Non ti arrabbiare troppo, ok?”
Rea
tremò leggermente con il foglio in mano.
“Io ti ammazzo!” esclamò, dimenticandosi di Rin per un istante. Le sue grida lo
svegliarono.
“Che succede?
Un demone?” chiese alzandosi,
subito pronto ad attaccare.
Fu un
attimo: nell’istante in cui fu in piedi, l’asciugamano cadde a
terra.
“C… c…” non riusciva nemmeno a parlare, tanto era
l’imbarazzo. Il cuore le batteva in modo scomposto e veloce. Lanciò un cuscino
al ragazzo.
“COPRITI!” gridò chiudendo gli occhi.
Rin, che
era rimasto intirizzito dalla sorpresa, recuperò alla svelta l’asciugamano e se
lo legò in vita.
“Perché mi hai svegliato in questo
modo?
È colpa tua!” le ringhiò,
rosso in viso.
“Colpa mia?
Sei tu che dormi solo con un panno addosso come gli
indigeni!” ribatté
lei.
“Avevo caldo, tu dormivi e sono rimasto in quel modo! E ti
faccio presente che anche tu hai solo l’accappatoio addosso!”
“Però non sono nuda!”
“Ah no?
E sotto che cosa indossi? Un vestito, per caso?” le domandò.
Rea si
zittì e strinse l’accappatoio.
“Posso almeno riaprire gli occhi?”
s’informò.
“A questo punto aspetta un attimo, mi vesto” le disse.
Recuperò dalla sua borsa una maglietta lunga e un paio di boxer e se li
mise.
“Tu, piuttosto, perché gridavi in quel modo?” chiese
curioso.
Vide la
ragazza diventare rossa e voltarsi.
“N-non importa” rispose.
“Che cosa?
Dimmelo!” si
arrabbiò.
“No, è troppo imbarazzante!” rifiutò lei.
Rin si
avvicinò e prese il foglietto che era appoggiato sul
letto.
“Cos’è questo?” s’incuriosì.
“Fermo, è mio!” urlò Rea, cercando di riprenderlo.
Troppo più alto di lei perché potesse arrivare a recuperarlo, lui alzò il pezzo
di carta e lo lesse.
“Ti prego, no!” lo implorò. Scese il
silenzio.
“Laura crede… che… noi… oddio” riuscì a dire alla
fine.
“Non dovevi guardarlo, è violazione della privacy!” lo
sgridò la ragazza, strappandogli di mano la lettera.
“Quindi tu non hai niente da metterti per
dormire?”
“Sì che ho qualcosa! Vestitini paillettosi e gonne corte!”
“Nient’altro? Sicura?”
“Tieni, la borsa è tutta tua” gli concesse. Lui se la
portò sulla branda e iniziò a controllare che ci fosse qualche maglietta più
larga perché lei potesse usarla come camicia da notte.
“Ma Laura è impazzita?” domandò.
“Sì, probabilmente è Mephisto che
l’ha fatta andare fuori di testa” rispose tra i denti. Questa gliela
pagava.
“Va bene, allora tieni” le disse, lanciandole la sua
maglia. Prendendola in mano, lei lo fissò stralunata.
“A che mi serve?”
“Vuoi dormire nuda?
Immagino che vorrai toglierti l’accappatoio, per cui usa pure
codesta” le spiegò. Era
rimasto solo con i boxer.
“E tu?”
“Posso fare anche senza.
Sono un ragazzo” le fece
presente.
“Dai, io mi volto, tu cambiati” ordinò girandosi verso
il muro. Rea strinse l’indumento e si chiese come fare per porre la prossima
domanda in modo che non sembrasse equivoca. Era
impossibile.
“Ehm… c’è… c’è solo un problema” disse. Rin sbuffò.
“Ovvero?”
“La mia borsa è lì da te e io… ecco… avrei bisogno di un paio
di slip e un reggiseno” gli ricordò. Il ragazzo si sentì male. Non gli
stava mica chiedendo di passarglieli, vero?
“E quindi?”
“O me li tiri tu o devo venire io a prenderli, ma dato che la
situazione mi sembra già abbastanza difficile credo che la prima opzione sia la
migliore” gli spiegò. Lui sentì il viso prendere
fuoco.
“Non so se è una buona idea”
deglutì.
“Preferisci che io venga costì a recuperare la borsa in
accappatoio?” lo sfidò.
“E va bene!” accettò. Aprì la sacca e cercò l’intimo.
Mentre le sue mani muovevano di lato i vari indumenti per trovare qualcosa, lui
trattenne il fiato.
“R-Rea… tu usi pizzo e affini?” le
domandò.
“Che cosa?
No!” esclamò lei,
schifata.
“Ah” riuscì a dire in rispostel’altro.
Sentendo
che Laura doveva essere ammazzata con profonde torture non appena fossero
tornati a casa, la ragazza allungò il collo per vedere.
“Perché?” s’informò, conoscendo già la risposta.
Alzando una mano senza guardare, Rin le fece vedere
una cosa terribile: tra le sue dita stringeva un paio di slip celesti di pizzo
coordinati ad un reggiseno della stessa fattura. Rea si sentì svenire dalla
vergogna.
“Oddio” sussurrò. Quella situazione era
paradossale.
“T-ti lancio questi?” le chiese lui, evidentemente in
difficoltà.
“Se non c’è altro sì”concesse. Glieli tirò sul letto e
lei se li mise velocemente, per poi infilarsi la
maglietta.
“Io la uccido, la strozzo con uno di quei vestiti che ci sono
nella borsa” borbottava mentre si vestiva.
“Puoi pianificare l’omicidio una volta che ti sei
cambiata?
Sono un ragazzo, demone per giunta, che sinceramente si sta
trovando in difficoltà” la
implorò.
“Tranquillo, ho fatto” lo rassicurò. Tirando un
sospiro di sollievo, Rin rilassò i
muscoli.
“Per sicureza mi metto sotto le
lenzuola.
Non ho sonno però almeno non dovrò rimanere in piedi mezza
nuda” lo informò.
Quando fu coperta fino in cima, riuscì a respirare
normalmente.
“Certo che questo è stato proprio un tiro mancino”
disse lui, sedendosi.
“Infatti.
Tu che sei un essere dell’inferno, puoi farle provare torture inimmaginabili da
parte mia, per favore? Per me c’è la galera, tu sei
coperto” gli chiese.
“Non credo che funzioni in questo
modo”
“Ci speravo” ammise lei.
Rimasero
in silenzio per un po’.
“Senti… posso… posso farti una
domanda?”
“Certo”
“Ecco, nonostante ieri sera ci fossimo baciati, tu stamani mi hai definito il tuo migliore amico. Perché?”
“Ah, codesto” disse la ragazza.
“insomma, credevo che fosse chiaro ciò che mi piacerebbe
avere dal nostro rapporto” concluse lui. Rea esitò un attimo. Ecco il
fatidico discorso.
“Non l’ho fatto apposta, in realtà non ci ho pensato quando
l’ho detto” si scusò.
“Sì, ma…”
“Fammi finire!
Siamo amici da mesi, semplicemente mi suonava strano dire… beh non lo so! Qualsiasi altra cosa!”
spiegò.
“E’ così difficile dire che sono il tuo ragazzo?”
s’infastidì lui.
“Non lo è ma non sapevo se lo eri o no!” si arrabbiò
Rea, mettendosi a sedere. Lui la fissò, arrabbiato a sua
volta.
“Volevi un fax di conferma?”
“Mi bastava una semplice domanda! Vuoi essere la mia ragazza? E io ti
avrei risposto!”
“Ma sei seria?” si stupì il ragazzo
alzandosi.
“Certo che lo sono!
Non ne avevamo parlato ed ero confusa, che cosa dovevo
fare?” si giustificò. Rin si mise davanti a lei e le
puntò lo sguardo negli occhi.
“Allora te lo domando chiaramente: vuoi metterti con
me?” le chiese. Avrebbe voluto gridare “Sì! Mille volte sì!” ma lo sguardo del
ragazzo le faceva quasi paura. Gli occhi blu si erano
incatenati ai suoi in modo irreversibile, anche volendo non avrebbe saputo
staccarsi.
Sentiva
il cuore battere a mille, aveva la bocca asciutta.
Mentre
lo tirava verso di sé sentiva il suo stupore. Invece di parlare lo aveva
semplicemente baciato, senza dire una parola, le pareva più giusto
così.
Si
appoggiò sui cuscini, sempre tenendolo stretto, senza volerlo
lasciare.
“Lo sai che se continui così rischi che io poi non mi
fermi?” le domandò, sospirando.
“Non ho mai detto che volevo il contrario”
rispose.
“Ah, ma se ti piace giocare col demone basta dirlo”
disse Rin, sorridendo. Iniziò a muovere le mani
scendendo verso i fianchi e attirandola verso di sé. Il fatto di avere addosso
solo i boxer, adesso, non gli dava più così noia.
Fece
scorrere le dita sotto la maglietta, arrivando al reggiseno di pizzo. Rea poteva
anche odiarlo, ma lui doveva ammettere che gli faceva un certo effetto, per non
parlare degli slip coordinati.
Giocò
un po’ col davanti, facendola sussultare.
“Posso?” le chiese, facendo passare le mani
sull’apertura.
“Sì” annuì l’altra. Lo sganciò, stando attendo a non
farle male. Le tolse la maglietta, lasciandola nuda dalla vita in su. Trattenne una risata.
“Che succede?” s’incuriosì la
ragazza.
“Niente, tranquilla” la
rassicurò.
“Ma…” provò a controbattere.
“Shh” la zittì lui,
baciandola.
Vedendo
che non riusciva a stare zitta, abbassò una mano sugli slip. Rea sobbalzò, presa
alla sprovvista.
“Te l’avevo detto” la prese in giro lui, scendendo a
baciarle il collo. Sentiva la pelle calda sotto le labbra e si accorse che la
voleva, la desiderava con tutto sé stesso.
Mentre
formulava quei pensieri si accorse che la ragazza aveva iniziato a toccargli il
petto. Era una sensazione indescrivibile. Allungò una mano per spengere la luce
sul comodino.
Intanto,
Rea si sentiva andare a fuoco, era come essere sotto il sole di mezzogiorno. Non
ci voleva credere.
Era
sotto un ragazzo (il SUO ragazzo, finalmente), praticamente nuda. Era
sbagliato?
“Rin, siamo sicuri… di voler…” non riusciva a formulare
una frase, la ragione era andata a dormire.
“Di voler?”
“Andare… fino in fondo” disse, tra un sussulto e un
altro.
La
lingua del ragazzo tracciò i contorni dei suoi seni, togliendole il
respiro.
“Io sì, più che certo.
Tu?” le
rispose. Fece
scorrere le mani sul suo petto, arrivando ai boxer.
“Non lo so” disse, insicura.
Lui sorrise.
“Allora mi stai mandando dei segnali contrastanti” le
fece presente. Razionalmente era sbagliato: lui era un demone! “Ma ti fai questi problemi dopo tre mesi di amicizia?”
sentì dire dalla sua vocina interiore.
“Lasciati andare” le suggerì. Non era una brutta
idea.
Chiuse
gli occhi e annullò completamente la sua forza di volontà.
Il
mattino dopo fu svegliata dal suono del cellulare.
“Ma chi diavolo è a quest’ora?” si chiese, mettendosi
a sedere. Era nuda. Ci mise un po’ a ricordarsi il perché. “Ah… già” pensò imbarazzata.
Rin
dormiva beatamente accanto a lei. Era il secondo giorno consecutivo che apriva
gli occhi e lui le era vicino, addormentato.
“Dove sarà il mio telefono?” disse ad alta voce,
alzandosi. Lo trovò buttato in malo modo in borsa.
“Pronto?”
“Pronto, Rea? Sono Yukio. Mio
fratello è con te, vero?”
“Più o meno” rispose lei, guardando il ragazzo nel
mondo dei sogni.
“Potresti dirgli che stasera, quando torna, dobbiamo andare
in campeggio con il gruppo di esorcismo?
Si parte alle sette, e che faccia in modo di esserci. Grazie” le
disse.
Attaccò senza aspettare risposta.
“Ma figurati” sussurrò lei, immobile. Sospirò:
quell’idillio era finito.
“Rin?
Rin!” lo chiamò dolcemente.
“Ancora cinque minuti” biascicò lui, in
risposta.
“Forza, svegliati!
Devo dirti una cosa importante!” lo avvertì.
“Che c’è?” disse, aprendo un
occhio.
“Ti ha cercato Yukio, vuole che tu
vada in campeggio o una cosa simile, stasera” lo informò. Quando lui
riuscì a metterla a fuoco e si accorse che era nuda, ci mise un secondo in più a
rispondere.
“Ehm… o-ok” balbettò.
Rea si
stese vicino a lui, circondandolo con le braccia.
“Buongiorno!” lo salutò. Si sporse a baciarlo con
trasporto.
“Tu mi vuoi male?” le chiese, guardandola
torvo.
“Perché?”
“Perché sapere che devo tornare a casa tra poco dove c’è mio
fratello a rompere le scatole mi mette di malumore.
Sapere che tu sei qui, davanti a me, nuda, e che non posso
approfittarne, invece, mi fa stare male” le
rispose. La
ragazza lo tirò a sé.
“Sei cattivo!” lo accusò. Si nascose sotto le coperte e fece
finta di piangere.
“Tu non mi ami” disse.
Rin
sospirò: quando faceva così era inutile, aveva già vinto.
“Lo sai che non è così e che ti
amo”
“Allora aiutami!
Devo portare via una marea di cose, senza di te non ci
riesco!” lo implorò.
Sbatté gli occhioni e fece il labbruccio.
“E va bene!
Ti aiuto a traslocare!”
concesse.
Lei gli
si buttò al collo, stringendolo forte.
“Lo sapevo che sei buono!
Sei un demone addomesticato, ormai!” disse.
“Addomesticato?” se la prese il ragazzo. Con un bacio,
Rea lo zittì.
“Sì, come un gatto, ma molto più sexy” confermò.
Lui
fece per ribattere ma un altro bacio lo tenne in silenzio.
“Io non… stai un po’ ferma!
Io non sono un micio”
protestò.
“Sì, sì, come ti pare”
“Mi stai dando il contentino?” domandò, sospettoso.
La
ragazza gli si mise sopra e lo baciò ancora.
“Ti dispiacerebbe così tanto?” rispose
maliziosa.
“No, se è sotto queste condizioni proprio no”
“Ciao Yukio!” lo
salutò.
“Oh, ciao Rea! Dove vai così di
fretta?”
“Sto andando a finire di prendere la roba per portarla giù in
paese.
Rin si è
offerto di darmi una mano”
rispose.
“Ah, è vero.
Ti sei diplomata, te ne vai! Mi mancheranno le cene con te e
mio fratello” sospirò.
“Vado via solo io, mica viene anche Rin” precisò lei.
Il
ragazzo esitò un secondo.
“Yukio?” lo chiamò, insospettendosi.
“Scusami, ma mi aveva cercato Shura e devo proprio andare.
Ci vediamo in giro, vienimi a trovare!” la salutò, scappando.
Basita,
Rea rimase ferma in corridoio per un po’ prima di ricordarsi che doveva
imballare le ultime cose. Corse via anche lei.
“Quindi è finita, vero?” domandò Rea. Le metteva
tristezza riporre i suoi oggetti e toglierli da quella
stanza.
“No che non lo è!
Non ci stiamo dicendo addio, ma solo arrivederci” le assicurò Laura. Dopo
tanti anni di amicizia e vita insieme erano tristi nel
separarsi.
Quando
ebbero finito si misero a guardare quella camera. Lì avevano pianto, litigato,
scherzato, riso. Lì avevano entrambe trovato l’amore.
“Mi mancherà così tanto questo posto” disse
Rea.
“Già, mette un po’ di tristezza vederla adesso, così
spoglia” annuì Laura.
All’altra
venne un nodo enorme alla gola: si era così abituata, negli anni, ad essere
sempre con l’amica che adesso non riusciva a concepire che potesse essere
davvero finita, la loro convivenza, il loro vedersi tutti i
giorni…
“Sai, quando siamo venute qui avevo una paura da
matti.
Mi mancava casa mia, i miei genitori, ma più di tutto temevo che non saremmo riuscite a rimanere insieme, stando tanto a
contatto, eppure, adesso, non faccio altro che chiedermi cosa sarebbe successo
se non fossimo entrate alla True Cross”
ammise la bionda.
Rea
cedette alle lacrime e iniziò a singhiozzare. Era sempre stata quella più
emotiva.
“Non voglio che ci separiamo” confessò. Laura
l’abbracciò forte.
“Io ci sarò sempre per te” le
promise.
“Lo so, ma non ci vedremo più ogni giorno, tu avrai i tuoi
corsi di esorcismo, io vivrò in città e sarò impegnata con il ristorante tutto
il tempo.
Come farò senza di te?”
chiese. Era
impossibile, non ci voleva credere. Cercò di calmarsi, ma le risultava
difficile.
“Forza, Rea, sapevi che doveva succedere prima o
poi.
Abbiamo ventuno anni, siamo entrambe fidanzate e felici, è il momento di
prendere le nostre strade. Ci saremo sempre l’una per l’altra, cadesse il mondo
sappiamo che se avremo bisogno ci potremo chiamare. Non ci
stiamo dicendo addio” le
assicurò.
Ci mise
altri venti minuti per smettere di piangere ed avere la forza per prendere gli
scatoloni.
“Lui ti sta aspettando?” chiese
Laura.
“Sì, è fuori all’entrata.
Porterà tutte le mie cose”
rispose.
Erano
rimaste d’accordo che si sarebbero salutate giù, al
cancello.
“Salutalo da parte mia” si raccomandò. Rea la fissò
senza capire. Chiuse la porta dietro di sé e poi si girò.
“Non mi accompagni?” domandò triste. L’altra scosse il
capo.
“Devo andare, Mephisto mi
aspetta” le spiegò. L’amica le sorrise e
l’abbracciò.
“Ti voglio bene, Laura” le
disse.
“Anche io” rispose lei.
Avevano
entrambe gli occhi lucidi quando si separarono, ma stavano
bene.
Mentre
andava in cortile ripensò agli ultimi tre anni: dopo che lei e Rin si erano messi insieme le cose avevano iniziato a girare
bene. Lei aveva preso ottimi voti in campo letterario, riuscendo a laurearsi con
largo anticipo, e lui aveva passato, un paio di mesi prima, l’esame da
esorcista. Aveva ancora parecchia strada da fare, però era un passo
avanti.
Inoltre,
nello stesso periodo, con i soldi risparmiati con tanta fatica negli ultimi tre
anni era riuscita a prendere in affitto un ristorante con appartamento annesso
in cui poter lavorare. Il ragazzo le aveva insegnato a cucinare e adesso ne
aveva fatto la sua passione.
“Rea!
Sono qui!” la
chiamò. Le
andò incontro prendendole gli scatoloni.
“Non avevi detto che non vuoi fare il mulo da soma?”
gli domandò, scimmiottandolo.
Lui
sbuffò.
“Sì, è vero, però mi sembravi in difficoltà e il camion dei
traslochi è qui già da un po’, per cui ho deciso di accelerare i
tempi.
Ricordati che io sono un demone e, in quanto tale, sono
fortissimo” le spiegò.
“Ceeeerto, grande demone.
Mi scusi” lo prese in
giro. Anche
con tutta quella roba in mano era più veloce di lei nel
camminare.
“Ehi, adesso che ci penso, a che mi
serve un camion dei traslochi? Metà delle cose le avevo già portate e il
resto è dentro a codeste due scatole. Ho bisogno di un intero camion per portare
i vestiti?” chiese incuriosita. Rin fece il vago.
“Non avevo voglia di dover tenere in braccio per troppo tempo
questo peso e quindi ho noleggiato un furgone. È un problema per
te?”
“No, no, figurati.
Se offri tu!” rispose, facendo
spallucce.
Arrivarono
al trasporto e lei fu fatta salire davanti.
“A tenerti ferma la roba ci sto io” le assicurò il
ragazzo.
Era
sempre più sospettosa: il suo comportamento le piaceva molto
poco.
“Casa!” esclamò quando entrò nel ristorante.
Lo
aveva fatto dipingere di celeste, come quello al mare, però avrebbe servito solo
piatti tipicamente giapponesi. Il sushi era la cosa che le veniva
meglio.
“Certo che è venuto su proprio bene, in così poco
tempo” notò Rin.
“Non c’era molto da sistemare: escludendo la tinteggiatura,
poi ho dovuto solo rinnovare la mobilia” spiegò Rea.
Era
vero: il posto era già bello senza doverlo ristrutturare.
“Ma tu ci sei stato nell’appartamento, al piano di
sopra?” gli chiese.
“Ehm… no, mai”
“Allora vieni, ti faccio fare un giro!” esclamò
entusiasta.
“Il momento della verità” pensò
lui.
Salirono
le scale a corsa ed arrivarono ad una porta.
“Ecco a voi… la mia nuova casa!” annunciò la ragazza
spalancando la porta. Si aprì davanti a loro un piccolo soggiorno con un tavolo
e una credenza.
“Questa è la sala da pranzo.
Lo sai cosa si fa in una sala da pranzo, quindi non sto a
spiegarti tutto” disse
brevemente.
“Ecco, qui c’è la cucina.
Era un po’ meno ingombra all’inizio, ma ho voluto aggiungere
una lavastoviglie per comodità”
spiegò.
Rin evitò
di fermarla per non farcela rimanere male, ma lo sapeva già: aveva seguito tutti
i lavori giorno per giorno senza farsi vedere con l’aiuto di Mephisto che, per una strana malattia chiamata amore, si era
addolcito parecchio con il tempo.
“Questo è il bagno con la vasca.
Te la devo far provare, prima o poi, è rilassante!” decise.
Alla
fine si mise davanti ad una porta chiusa, con l’aria di una presentatrice
televisiva.
“E adesso, signori e signore, ecco a voi… rullo di tamburi,
prego… la mia camera!” annunciò, spalancando la porta. Quella che rimase
a bocca spalancata, però, fu lei.
“Ma che diavolo…?” esclamò.
“Cos’è successo qui?” chiese, incredula.
Il
letto ad una piazza che aveva ordinato non c’era: al suo posto c’era un futon
matrimoniale bianco; il piccolo armadio era stato sostituito da un guardaroba
con cassettiera incorporata; infine, al posto del classico comodino c’era un
grosso canterano di legno che richiamava lo stile giapponese della
stanza.
“Ti piace?” le domandò Rin.
Ci aveva lavorato tutte le notti nell’ultima settimana: mentre Rea era occupata
a finire di imballare le sue cose e passava gli ultimi momenti con Laura, lui
faceva il cambio di arredamento alla camera.
“Ma cosa… perché… come?” disse,
confusa.
“Beh, dato che sono esorcista, adesso, ho la chiave speciale
che mi porta direttamente in accademia, e ho pensato: beh, dato che non ha
importanza dove sono, tanto vale che smetta di essere un abitante della True Cross.
Così mi sono organizzato per creare una specie di casa nostra, se così si può
definire. Per te va bene?”
chiese, incerto.
Il suo
silenzio lo preoccupava. Lei si girò verso di lui con occhi
impenetrabili.
“Rin?”
“Sì?” rispose lui, cauto. L’istante dopo lei gli si gettò al collo, emozionata.
“Grazie, grazie, grazie, grazie, grazie, grazie”
ripeteva. Aveva gli occhi lucidi per la felicità.
“Spero che significhi che non ti disturba il fatto che mi sia
intromesso”
“Stai scherzando?
Non potrei essere più felice di così!” esclamò.
Caddero insieme sul futon, ma Rea non si staccò mai da
lui.
“Sto soffocando” le disse, senza fiato. Lei allentò un
po’ la presa.
“Era a questo, allora, che alludeva Yukio stamani!” comprese
all’improvviso.
“Sì, mio fratello non è molto bravo a nascondere le
cose” ammise Rin. La ragazza si mise in
ginocchio e si asciugò gli occhi.
“Sei stato un pazzo a fare questo, però è una cosa
bellissima” ammise.
“Quindi se ti dicessi che mi piacerebbe anche aiutarti col
ristorante non te la prenderesti?”
“Certo che no!
Meglio un cuoco in più che uno in meno!” rise.
Lo
baciò appassionatamente, finendo di nuovo sdraiata sul
materasso.
“Potrebbe essere un bel modo di rinnovare casa”
suggerì il ragazzo. Rea sorrise.
“Frena i bollenti spiriti, ho una domanda” lo avvertì.
Rin sospirò, rassegnato.
“Spara”
“Con i corsi di esorcismo come
farai?”
“Non ci sono tutti i giorni e, comunque, dureranno solo la
mattina.
Ho tutto il tempo che voglio”
rispose tornando a baciarla. Lei
lo fermò ancora.
“E Kuro e Ukobach?”
“Kuro verrà a stare da noi (anche perché non mi si toglie di
torno) e Ukobach è il famiglio di Mephisto, è lui che deve decidere. Ti
mancherà?”
“Più che altro mi mancherà la sua torta alle fragole e
cioccolato!” esclamò. Poi sorrise maliziosa.
“Adesso possiamo anche riprendere da dove avevamo
interrotto.
Stavamo dicendo?” gli chiese,
baciandolo.
“Mi sa che dovremo ricominciare il discorso, me ne sono
dimenticato” le rispose Rin, sdraiandosi sopra
di lei.
“Stavamo per rinnovare il futon” gli
ricordò.
“Ah, già, è vero” disse, stando al gioco.
Tutto
quello che riuscirono a pensare prima che le loro menti si focalizzassero
altrove fu: si sta proprio comodi su questo materasso.