Aithusa [Our Egg, Our Mascot]

di elyxyz
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La Compagnia del Drago (Impossibile way, just way) ***
Capitolo 2: *** La Tomba di Askhanar (The rescue) ***
Capitolo 3: *** Aithusa (“Say my name”) ***
Capitolo 4: *** Presagio di Speranza (The stepfathers) ***
Capitolo 5: *** Capitolo V: Un Nuovo Inizio (The right thing to do) ***



Capitolo 1
*** La Compagnia del Drago (Impossibile way, just way) ***


Sono sette mesi che ‘covo’ questa fic nelle mie bozze

Sono sette mesi che ‘covo’ questa fic nelle mie bozze. E finalmente mi sono decisa a finirla! *_*

Oggi, invece, che sono a casa malata, trovo il tempo di postarla. U_U

 

Questo racconto contiene spoiler sulla puntata 4x04 “Aithusa”.

La storia prende spunto dagli eventi della puntata; tuttavia, essi sono stati rimaneggiati verso un’altra direzione dal minuto 25 circa in poi. Diciamo che nella mia fic non entreremo nella grotta e prenderemo un’altra strada. Ah! Ho anche usato le parole di Kilgharrah a mio uso e consumo. XD

 

Come ho spiegato ad alcune autrici a suo tempo, ho scelto di non leggere nessuna fic su Aithusa, per non venirne influenzata mentre scrivevo questa storia. Chiedo perdono se, in qualche modo, questa fic può assomigliare ad altre, la cosa non è affatto voluta ed è del tutto casuale.

In minima parte, è anche un omaggio a Saphira di Eragon, anche se è passato un secolo da quando l’ho letto.

 

La storia è composta da 5 capitoli ed è già finita, è in fase di betareading.

 

ATTENZIONE: Merlin & Arthur, friendship (o pre-slash SOLO AD INTERPRETAZIONE PERSONALE).

 

 

Grazie.

Ai vecchi e ai nuovi lettori.

A chiunque vorrà lasciare un parere.

Grazie.

 

Aithusa

 

[Our Egg, Our Mascot]

 

 

 

Capitolo I: La Compagnia del Drago (Impossibile way, just way)

 

 

“Dobbiamo dirigerci verso Est.”

 

Quando Merlin aveva espresso quell’indicazione precisa, tutti i cavalieri lo avevano guardato stupiti, ma solo Arthur aveva manifestato le loro perplessità, chiedendogli come facesse a saperlo.

 

Avrebbe mai potuto dirgli che gliel’avevano rivelato i Druidi, quella notte, mentre lui dormiva?

 

Il mago si era morso le labbra, arrabattando una risposta verosimile, o quantomeno decente.

“Sento che è andato in quella direzione.” Motivò frustrato, sapendo che il re avrebbe criticato la sua spiegazione; ma, per fortuna, Elyan aveva trovato giusto in quel frangente dello sterco di cavallo, segno che effettivamente il servo aveva visto giusto e l’uomo che li precedeva era diretto da quella parte.

 

Quindi, senza indugiare oltre, Merlin aveva ripreso per primo il cammino incitandoli a proseguire, senza aspettare che gli altri, concretamente, lo imitassero.

 

Ancora una volta, Arthur sollevò un regale sopracciglio, stupito dal comportamento del suo servitore, divenuto così impensabilmente zelante verso questa missione.

Pur avendo sulla punta della lingua un’osservazione pungente nei suoi confronti, egli preferì – all’ultimo momento – tenersela per sé e non chiedersi come mai il suo scudiero fosse diventato talmente volenteroso da fare da apripista.

 

Il semplice fatto che quell’idiota non si lamentasse ad ogni sospirar di vento di avere fame, sete o le ossa doloranti, era già di per sé una cosa eccezionale. Perciò se lo sarebbe tenuto più che volentieri silenzioso e ligio, anche se – da esperto cacciatore e guerriero qual era – il re avrebbe continuato a diffidare delle sue dubbie capacità di seguire una traccia. Probabilmente Merlin aveva scelto a caso uno dei punti cardinali e – sempre casualmente – aveva indovinato.

 

 

***

 

 

Dannazione!, avrebbe dovuto dare retta a Gaius!

Da che era partito, Merlin continuava ad imprecare contro se stesso.

Benché lui non condividesse appieno le convinzioni del suo mentore, riconosceva che questi aveva avuto ragione su Julius Borden e i suoi intenti illeciti. E lui si era fatto abbindolare come un allocco!

 

Ancora ricordava il senso di rabbia e impotenza che erano sopraggiunti dopo lo smarrimento iniziale, quando si era risvegliato, all’alba, fra la postierla semiaperta e le mura perimetrali.

Julius si era approfittato della sua buonafede! Lo aveva usato per i suoi scopi – appropriarsi della terza parte della Triscele – e poi si era disfatto di lui.

 

Quel che era peggio, secondo lui, era che quel mascalzone non aveva scrupoli e avrebbe potuto usare quell’uovo di drago per i suoi scopi malvagi.

 

Su questo, Gaius ci aveva visto giusto e poi aveva espresso una grande verità. Quell’uovo era rimasto nascosto al sicuro per quattrocento anni, e forse nessuno avrebbe dovuto appropriarsene.

 

Ma Merlin non era solo un mago, era anche un Signore dei Draghi, forse l’ultimo di essi, e – come gli aveva rammentato il drago, tra un ruggito e l’altro, neanche tanto velatamente – lui aveva un compito di fondamentale importanza da portare a termine.

Era suo dovere prendersi cura di quella creatura non ancora nata. Glielo imponeva il suo ruolo, quel ruolo che suo padre gli aveva tramandato, sacrificandosi per salvargli la vita.

 

Kilgharrah era stato perentorio, a riguardo. E anch’esso, riconobbe Merlin a malincuore, aveva le sue giuste ragioni. E ottime argomentazioni.

 

Alla fine, gli aveva promesso che avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per recuperare l’uovo, l’ultimo della sua specie, anche se sinceramente non sapeva come fare: avrebbe dovuto raggiungere Borden e impedirgli di fare qualche sciocchezza e, al contempo, avrebbe dovuto trattenere Arthur dal distruggere quella cosa tanto preziosa.

E, poiché preparare piani d’azione era impossibile – troppe erano le varianti impreviste – come sempre, avrebbe dovuto improvvisare.

 

 

***

 

 

Avevano cavalcato per buona parte del giorno, seguendo le tracce di quel furfante con intenti malvagi, scendendo di tanto in tanto dalle loro cavalcature per verificare le orme lasciate e studiare le tracce fuorvianti del terreno. E, ogni volta, il servo risaliva in groppa per primo e ripartiva senza indugi per non accumulare ulteriore ritardo.

Ma, essendo una corsa contro il tempo, a Merlin sembrava che la distanza tra loro e colui che inseguivano non diminuisse mai e che, da un momento all’altro, avrebbe percepito in qualche modo di essere arrivato troppo tardi.

Nel suo animo sensibile, i sensi di colpa per aver deluso Gaius, tradito Kilgharrah e soprattutto la memoria di suo padre, se ne stavano in un cantuccio inquieti, pronti ad essere sguinzagliati.

 

Quando Gwaine gli si era affiancato, trotterellando allo stesso passo per chiedergli come mai fosse così silenzioso, lo stregone si impose di stiracchiare le labbra in un tentativo di sorriso.

 

“Prima arriveremo e prima torneremo a casa!” aveva risposto, fingendo un’aria annoiata.

 

“Dubito che arriveremo a Camelot per cena!” aveva ironizzato l’altro, credendo che l’amico si fosse un po’ offeso per lo scherzo che gli avevano architettato lui e gli altri cavalieri la sera addietro.

“Ma stavolta non ti nasconderemo il piatto. Promesso!” gli garantì, per cercare di rimettere a posto le cose.

 

Merlin apprezzò la sua gentilezza, e anche se non poteva dirgli quali erano i suoi reali crucci, gli fu grato per l’amicizia che l’altro gli dimostrava.

 

“Sarà meglio, altrimenti metterò il doppio del pepe nei vostri piatti… oppure delle bacche di sambuco!” minacciò, per stare al gioco, mentre Arthur – che in quel momento li stava superando, per mettersi a capo della piccola carovana – gli diede uno scappellotto sulla nuca come ammonimento.

 

“Non puoi avvelenare il tuo re, Merlin.” Gli intimò, con l’inflessione arrogante di quando voleva sottolineare il suo potere.

 

“Ahi!” guaì il servo, rispondendo con un’occhiataccia, a cui il giovane Pendragon replicò con un ghigno.

 

Un istante dopo, anche Elyan imitò il sovrano, passando accanto al valletto reale e dandogli una lieve scoppola. “Non puoi avvelenare neppure il fratello della tua migliore amica!” gli rammentò, sorridendo e ammiccando.

 

“Ehi!, ma-” si lamentò lo stregone, voltandosi indietro per controllare che nessun altro cavaliere avesse intenzione di colpirlo, però – nel farlo – non si accorse che anche Leon si era avvicinato e aveva ripetuto il medesimo gesto dei due uomini che lo avevano preceduto.

 

“Sir Leon!” sbottò il mago, massaggiandosi, indignato. “Anche voi?!

 

“Io ti ho sempre trattato bene Merlin, non troverei giusto che tu mi avvelenassi…” gli spiegò, complice degli altri cavalieri.

 

Fu a quel punto che il servo ruotò il busto sulla sella, verificando la posizione di Percival, che era poco dietro di lui.

“No! Voi no! Non ci provate neppure!” esclamò, incassando il collo nelle spalle per sicurezza. “Potreste staccarmi la testa di netto, con la vostra forza!” strillò, fingendosi esageratamente preoccupato.

 

Gli altri risero di lui, e Percival si limitò a sbuffare, con condiscendenza.

“Se mi metterai le bacche nel piatto, potrei colpirti quando meno te lo aspetti. Stai in guardia!” lo ammonì, gonfiando i muscoli per sembrare ancor più intimorente di quanto già non fosse.

 

L’avvertimento fece scoppiare una seconda ondata di risa, mentre lo scudiero rinunciava a futuri propositi di ritorsione culinaria.

 

 

***

 

 

“Solo quando la via che ti si porrà davanti sembrerà impossibile, allora vorrà dire che è quella giusta.”

 

Le parole del capo dei Druidi echeggiavano dentro di lui, fintanto che Merlin osservava, desolato, il crepaccio di venti iarde che divideva il terreno fra loro e la presunta meta. Vi era una alta e stretta valle con un fiume, che serpeggiava una ventina di aste più in basso.

Assieme ai suoi compagni, anch’egli si sporse per guardare giù e nel farlo urtò una piccola pietra che cadde nel vuoto. Fu solo dopo un tempo terribilmente infinito che si udì il tonfo del sasso nell’acqua.

Lo sguardo che tutti si scambiarono fu alquanto eloquente.

 

“Eppure le sue tracce finiscono qui.” Aveva ripetuto Leon, per l’ennesima volta.

 

“Ehi, Perce! Niente di nuovo?” chiese Elyan al cavaliere silenzioso, che faceva ritorno da una breve perlustrazione. La sua espressione frustrata rispose per lui.

 

“Non può essersi buttato nel vuoto!” sbottò Gwaine, sbattendo le mani guantate contro le cosce per scaricare il nervosismo. “Oppure sì?”

 

“Nessuno riuscirebbe a sopravvivere a quel salto.” Aveva risposto Arthur, pensieroso. “E nessuno riuscirebbe a risalire una parete così scoscesa.” Specificò, per puntiglio.

 

“Eppure un modo c’è. Deve esserci.” Aveva bofonchiato Merlin, tra sé e sé, tastando il terreno attorno a dove comparivano le ultime impronte del fuggiasco.

 

“Solo quando la via che ti si porrà davanti sembrerà impossibile, allora vorrà dire che è quella giusta.”

 

“E se il ladro fosse un mago?” riprese Gwaine, dando voce ad un dubbio lecito. “Magari ha usato qualche stregoneria ed è volato di là!”

 

Mentre sussultava vedendo Arthur impallidire per l’idea del suo sottoposto, Merlin sentì stringere le viscere. E si sentì un po’ più colpevole. E traditore.

 

“La magia è il male.” Aveva risposto il re, incrociando le braccia, applicando i paterni insegnamenti. “E comunque ritengo improbabile che un uomo riesca a volare…” concluse infine, esprimendo stavolta il proprio pensiero.

 

In quell’esatto istante, fintanto che il suo signore terminava di parlare, lo stregone fu colpito da un’idea e sussurrò un incanto di disvelamento e, come dal nulla, comparve davanti a loro un ponte malandato, che tuttavia collegava inequivocabilmente le due sponde.

 

Tutti i presenti sgranarono gli occhi contemporaneamente, stupefatti da quell’apparizione.

 

Un attimo prima non c’era, e un attimo dopo era lì, sotto al loro naso.

 

Ma come diamine-!” imprecò Arthur, sondando ora i suoi uomini impalati ora il ponte. L’unico fuori posto era… “Merlin!” ruggì, rivolto al suo servo. “Cos’hai combinato?!”

 

“Io? Io niente!” si difese il valletto, con foga, mentre ancora a carponi si risollevava seduto sui talloni. “Ho solo sfiorato questa pietra!” spiegò, additando la piccola sporgenza.

 

“E’ senza dubbio stregoneria…” considerò Sir Leon, preoccupato.

 

“Non me ne importa.” S’intromise il mago, accostandosi alla passerella con l’intento di salirvi. “Non c’è tempo da perdere!”

 

“No, Merlin, aspetta!” lo fermò Sua Maestà, afferrandolo per il braccio con l’intenzione di trattenerlo.

 

“Che avete?” sbuffò lo scudiero, senza nascondere l’impazienza nella voce. Avevano perso fin troppo tempo, offrendo un involontario vantaggio a quel farabutto di Borden.

 

“Sei forse impazzito?!” lo sgridò Arthur, rafforzando la stretta. “Non è altro che un ammasso di tavole malridotte e corde marce!” considerò. “Non è sicuro!”

 

Merlin si liberò dalla sua presa con un piccolo strattone.

“Beh, finché non si tenta, non lo sapremo mai. Mi offro come volontario per attraversarlo per primo.” Dichiarò. “Sono il meno pesante fra noi.”

 

Il re strabuzzò gli occhi, riacciuffandolo per gli avambracci.

“Ma ti sei ammattito?!” domandò, scuotendolo quasi per svegliarlo da quello stato. “Merlin, che diavolo ti prende?! Ritorna in te!” gli ordinò. O forse lo pregò.

 

“Sire… non sono uscito di senno.” Lo rassicurò, sorridendo per corroborare la sua risposta. “Voglio solo concludere al più presto questa dannata missione, così potremo tornarcene a casa! Non è forse ciò che desiderate anche voi?

 

Arthur non parve del tutto persuaso della sua replica, ma lo lasciò andare.

“Comprendo. Tuttavia quel ponte-” non ebbe modo di finire la frase, che già il suo servo si era lanciato verso le assi sospese nel vuoto, arrivando dalla parte opposta, incespicando e barcollando un paio di volte sulla passatoia ciondolante, mentre egli – con tutti i suoi uomini – tratteneva il fiato per la paura di vederlo inghiottito nel vuoto da un momento all’altro.

 

“Tu! Stupido idiota!” ruggì il giovane Pendragon, esprimendo nell’ira il terrore che lo aveva paralizzato, incurante del sorriso del suo valletto personale. “Aspetta che ti raggiunga e vedrai!” minacciò.

 

“Sire, mi dispiace, ma non potevo fare altrimenti!” si scusò, senza darsi pena di sembrare realmente contrito. Poi ripuntò l’attenzione sulle vere priorità. “Per prudenza, è preferibile oltrepassarlo uno alla volta!” si raccomandò. “Sembra reggere bene il peso di una persona sola! Non fate caso agli scricchiolii!”

 

Purtroppo per lui, Merlin non poteva sapere che Julius aveva manomesso le corde del ponte, per eliminare possibili inseguitori e che lui, al primo passaggio, aveva involontariamente indebolito la struttura.

 

“D’accordo, ci vado io.” Si risolvette Arthur, per dare il buon esempio. Quindi si tolse parte dell’armatura per essere più leggero e si sistemò il mantello e la spada al fianco. “Lasciate i cavalli al pascolo e poi seguitemi.”

 

I suoi sottoposti eseguirono all’istante quanto suggerito, prendendo dalle rispettive cavalcature ciò che sarebbe potuto servire loro e togliendo le selle e le briglie dalle bestie.

 

Successivamente, col fiato sospeso, assistettero all’avanzata del monarca verso il centro del burrone, mentre Merlin, dall’altro lato, faceva altrettanto.

 

Mancava meno di una iarda per toccare il suolo al di là, quando il nobile udì un rumore improvviso, sordo, come di uno strappo, una lacerazione e – con un piccolo ansito di sorpresa – si sentì mancare il sostegno sotto ai piedi.

Fu per istinto che egli riuscì ad afferrare una delle corde, mentre andava a sbattere di peso contro la parete rocciosa dello strapiombo e soffocava un grido di dolore, rimanendo a penzoloni nel vuoto, intanto che le assi di legno cadevano inermi verso la loro distruzione.

 

“Maestà!” urlarono in coro tutti, spaventati dalla situazione di estremo pericolo, e Merlin si chinò verso di lui.

 

“Arthur, reggetevi!” gli comandò, cercando di issare la fune a cui era aggrappato, ma il suo peso robusto rendeva difficile l’operazione.

 

Il re guadagnò un pollice alla volta, strisciando verso l’altro, arrancando coi piedi contro le rocce appuntite, incurante delle abrasioni, ma scivolando a causa della parete sdrucciolevole.

 

Appena sopra di sé, sentiva il suo servo ansimare per l’immane fatica e tuttavia non lo vide cedere, fino a quando, con un ultimo sforzo, egli non raggiunse l’orlo del burrone.

 

“Arthur, afferrate la mia mano!” lo supplicò Merlin, con un tono quasi disperato e il viso contratto in una smorfia di tensione.

 

Il nobile gli si affidò, aggrappandosi a quelle dita così esili e così forti, nel momento esatto in cui la funicella a cui era attaccato si strappò, sotto al suo peso, cadendo anch’essa nel vuoto.

 

Sostenuti dagli incitamenti dei cavalieri, servo e padrone raggranellarono l’ultima oncia di energia e, finalmente, si ritrovarono entrambi in salvo, appena oltre il ciglio del baratro.

 

Adesso che la sua vita non era più in pericolo, Arthur si prese il tempo di rimanere lì, sdraiato riverso sulla terra umida, a respirare a pieni polmoni, mentre il cuore impazzito minacciava di scoppiare.

 

Sentiva Merlin accanto a sé fare altrettanto, il calore del suo corpo vicino al proprio.

 

“Grazie.” Ansimò, cercando un contatto con la mano che era fra loro.

 

Dovere.” Rispose il servo, stringendogliela come vera risposta.

 

Fu solo qualche istante dopo che il nobile si accorse di quanto era ruvida e scorticata a causa del salvataggio.

 

Del resto, egli non versava in condizioni migliori.

 

“Maestà! Va tutto bene?!” si sentì urlare, poiché gli uomini oltre il dirupo cercavano rassicurazione.

 

Arthur allora si rialzò a sedere, e successivamente si mise in piedi, mugugnando un po’ per il dolore e Merlin prontamente gli fu accanto.

 

“Siete ferito?” si preoccupò il servo, scrutando i tagli sulla sua tempia e sulla guancia, la tunica e le braghe strappate in più punti dagli spuntoni di roccia.

 

“E’ una sciocchezza, ho sbattuto contro la parete.” Garantì, gonfiando il petto e raddrizzando le spalle, benché avesse una fitta costante alla scapola destra. E forse una costola incrinata.

Gli faceva male respirare.

Gli faceva male un po’ dappertutto, ad essere sincero. Ma questo non poteva dirlo.

 

“Siete sicuro?” insistette lo scudiero, nient’affatto persuaso dalla sua bugia.

 

Ma perché diamine quell’idiota lo conosceva così bene?

“Sì, Merlin.” Ripeté, strascicando il nome per indispettirlo e distoglierlo dalla sua apprensione. E, senza attendere oltre, si rivolse ai suoi sottoposti in attesa: “Stiamo bene!”

Anche da lì, poteva chiaramente scorgere il loro sollievo.

 

“Vostra Altezza, cosa possiamo fare?!” chiese Sir Leon, riferendosi ora al passaggio distrutto.

 

“Maestà, noi dobbiamo proseguire… trovare l’uovo di drago… il ladro ha già troppo vantaggio…” gli rammentò lo stregone, intromettendosi fra loro.

 

Alla fine, scegliere il da farsi fu tutt’altro che complicato.

 

“Perlustrate la zona, andate verso valle per vedere se la spaccatura si restringe, forse sarà più semplice ricongiungersi. Se così non fosse, ritornate indietro e provate a legare tra loro saldamente le funi, ricostruiremo un transito di corde!” ordinò, sapendo che gli altri gli avrebbero obbedito ciecamente. “Nel frattempo, io e Merlin proseguiremo nella missione!”  

 

Appena ottenuto un: “Ai vostri ordini, Maestà!” il re e il mago ripresero il cammino.

 

 

Continua...

 

 

 

Disclaimer: I personaggi di Merlin, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.

 

Ringraziamenti: Un abbraccio a Tao, che sopporta i miei scleri. X3
E a Giuls, che mi coccola col suo entusiasmo!

 

Note: Pur preferendo abitualmente i nomi originali, ho scelto di utilizzare Triscele anziché la versione grecizzata Triskelion, usata nell’episodio in inglese. Ho adoperato un paio di frasi della puntata, avvalendomi delle traduzioni, ma modificandole un po’ a mio piacere.

 

Colore del titolo ‘dovrebbe’ richiamare le gradazioni dell’uovo, purtroppo non è possibile farlo in modo realistico. U_U

 

Le bacche di sambuco a cui Merlin accenna non sono mortali, bensì un potente purgante. X°D

 

Ho usato il termine ‘asta’ per tradurre ‘rod’, l’unità di misura inglese. 1 rod corrisponde a circa 5 metri.

 

Lo dico ora per sempre. Per me Aithusa è una femmina. E’ una convinzione che ho dal primo momento in cui l’ho vista. *_*
Da spoiler confermati della 5^ stagione, (evidenziate per leggere) sembra che la cosa sia confermata: è una dragonessa! ^^

 

 

Avviso di servizio: Linette arriverà tra qualche giorno; scusate il ritardo, ma se mi concentro solo su di lei, non riesco mai a postare nient’altro delle mille fic che ho in bozza. Ç_ç

 

 

 

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Grazie (_ _)

elyxyz

 

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Capitolo 2
*** La Tomba di Askhanar (The rescue) ***


Mi dispiace di questo immane ritardo

Mi dispiace di questo immane ritardo.

Mi ero ripromessa di aggiornare prima di partire per Pierrefonds, per assistere alle riprese di Merlin, ma il lavoro mi ha sequestrata prima e dopo il viaggio, e la mia beta era troppo impegnata e tecnicamente questo capitolo non ha ancora il suo nulla osta, ma pazienza. XD

 

Dubito che qualcuno si ricordi il primo capitolo, perciò vi consiglio di rileggerlo per rispolverarlo. XD

In ogni caso, valgono le stesse indicazioni:

 

Questo racconto contiene spoiler sulla puntata 4x04 “Aithusa”.

La storia prende spunto dagli eventi della puntata; tuttavia, essi sono stati rimaneggiati verso un’altra direzione dal minuto 25 circa in poi. Diciamo che nella mia fic non entreremo nella grotta e prenderemo un’altra strada. Ah! Ho anche usato le parole di Kilgharrah a mio uso e consumo. XD

 

Come ho spiegato ad alcune autrici a suo tempo, ho scelto di non leggere nessuna fic su Aithusa, per non venirne influenzata mentre scrivevo questa storia. Chiedo perdono se, in qualche modo, questa fic può assomigliare ad altre, la cosa non è affatto voluta ed è del tutto casuale.

In minima parte, è anche un omaggio a Saphira di Eragon, anche se è passato un secolo da quando l’ho letto.

 

La storia è composta da 5 capitoli ed è già finita, è in fase di betareading.

 

ATTENZIONE: Merlin & Arthur, friendship (o pre-slash SOLO AD INTERPRETAZIONE PERSONALE).

 

 

Grazie.

Ai vecchi e ai nuovi lettori.

A _Jaya, 9Pepe4, N a n n a, chibimayu, crownless, Blamblerose, elfin emrys e DevinCarnes, per aver commentato.

A chiunque vorrà lasciare un parere.

Grazie.

 

Aithusa

 

[Our Egg, Our Mascot]

 

 

 

Capitolo II: La Tomba di Askhanar (The rescue)

 

 

Anche se Arthur non voleva darlo a vedere, Merlin aveva capito che il suo signore si era fatto male cadendo.

Zoppicando appena, il re si era comunque ostinato a seguirlo, nella ricerca della tomba del leggendario Askhanar e al mago non era rimasto altro che rallentare il passo e fingere di avere bisogno di riprendere fiato, ad intervalli regolari, per farlo riposare un po’ e, al contempo, permettere all’orgoglio smisurato dell’Idiota coronato di uscirne illeso.

 

Oh, se solo l’Asino Reale si fosse fidato di lui! Lo avrebbe lasciato lì, a riprendersi, e avrebbe affrontato da solo quel traditore di Borden!

Purtroppo per lui, però, il re era più che persuaso che lui fosse un servo pavido e inetto, ed era fuor di questione che il nobile gli affidasse una missione così delicata.

 

Come sempre, per sbrogliare la matassa, avrebbe finito con l’essere costretto ad usare la propria magia sotto al suo naso, pregando tutti gli dèi dell’Antica Religione che il Babbeo non se ne accorgesse.

 

Impegnato in quelle riflessioni, con lo sguardo fisso al terreno alla ricerca delle orme di Julius che avevano ritrovato – quantomeno, erano certi di essere nella giusta direzione –, egli non si accorse subito della novità.

 

Fu il sospiro di meraviglia di Arthur a intromettersi nei suoi pensieri, facendogli sollevare di scatto la testa.

 

Poco lontano da loro, incendiata dalle luci del sole morente, una mastodontica torre si ergeva, maestosa, stagliandosi fin quasi a sfidare l’altezza del cielo.

 

“E’ quella, la tomba.” Soffiò il mago, impressionato dal colosso.

 

“Non si può certo dire che questo Askhanar non facesse le cose in grande stile!” ironizzò il re, a sua volta colpito dalla magnificenza della costruzione.

 

“Guardate, Sire!” lo richiamò Merlin, puntando il dito verso una figura che sembrava cercare una via d’accesso alla base della costruzione. “E quello è l’uomo che stiamo cercando!”

 

Così, mentre il tempo stringeva, ripresero l’inseguimento.

 

 

***

 

 

Probabilmente Borden aveva peccato di superbia.

Egli era stato così sicuro di averli seminati con il tranello del ponte, da concedersi una lunga pausa o un’andatura fin troppo comoda. Questa era l’unica spiegazione che il mago si era dato, allorché riuscirono miracolosamente a raggiungerlo proprio quando egli, appena entrato da un piccolo passaggio celato fra le alte rocce, stava per aprire l’accesso alla fortezza usando la Triscele come chiave.

 

Malgrado avesse la spalla destra ferita, il re aveva sguainato la propria arma chiedendo all’avversario di mettersi in guardia, poiché lo scontro sembrava inevitabile. E, benché Arthur fosse malconcio, Merlin era certo che un maestro di spada come lui non avrebbe avuto difficoltà a vincere contro quel manigoldo; in caso di bisogno, lui lo avrebbe aiutato con la sua magia, anche se era sicuro che il vecchio allievo del suo maestro non possedesse poteri magici – non aveva infatti percepito alcuna aura attorno a lui.

Con tutta probabilità, l’uomo era riuscito ad evocare e a rendere invisibile il ponte con qualche oggetto incantato che fungeva da catalizzatore.

 

Vedendosi messo alle strette, anche Borden aveva estratto la sua spada, deciso a vender cara la pelle e il tesoro per cui aveva speso vent’anni di vita.

 

“Stai dietro di me, Merlin!” gli aveva ingiunto il re, attaccando il nemico che, nondimeno, sapeva destreggiarsi bene nel combattimento, riuscendo persino a ferire di striscio il giovane Pendragon ad un braccio, approfittando di un istante in cui Arthur, zoppicando, aveva perso momentaneamente l’equilibrio.

Il sovrano di Camelot, ad ogni buon conto, l’aveva ripagato riprendendo il duello con rinnovata grinta, obbligandolo ad indietreggiare sempre più parando a stento i propri affondi, e sovrastandolo infine appena dopo poche stoccate. Fu per pietà che gli diede il colpo di grazia, senza infierire su di lui.

 

Tuttavia, nel momento in cui Julius comprese che la vita lo stava abbandonando, egli crollò all’indietro, contro il portone che stava cercando di aprire con la Triscele quando loro erano sopraggiunti.

 

Un istante dopo, un complicato meccanismo si era azionatola Triscele aveva vorticato su se stessa come impazzita – e la pesante porta di legno intarsiato si era spalancata sola, facendo cadere il corpo inerte a terra e rivelando un’enorme, ripida scalinata che conduceva in alto.

 

“Dobbiamo muoverci! Si sta facendo buio, e io non voglio restare un istante più del dovuto qui dentro! Andiamo a recuperare quel maledetto uovo!” esclamò il giovane Pendragon, senza però staccarsi dalla parete a cui si era appoggiato per riprendere le forze, poiché era esausto.

 

Merlin lanciò un’occhiata alla rampa di gradini e poi si rivolse al suo padrone. “Sire, lasciate che vada io! E’ un’inutile fatica, per voi!” e, ancor prima di attendere una replica – probabilmente un rifiuto – egli si era proiettato verso la gradinata salendo gli scalini a due a due, distanziandolo.

Forse avrebbe potuto salvare l’uovo ed assolvere alla sua promessa. Quello era il momento giusto. Perciò doveva sbrigarsi.

 

Eppure, allorché il mago giunse nell’enorme salone – al cui centro vi era un piedistallo con sopra l’uovo – egli rimase, suo malgrado, incantato ad ammirare quel piccolo, splendido miracolo.

Qualsiasi gioiello, qualsiasi tesoro, al suo confronto non valeva nulla.

 

Facendosi coraggio, lo stregone si avvicinò, sollevando le mani tremanti per l’emozione, posandole ai lati del guscio, che sembrò palpitare in risposta.

 

Tuttavia, quando egli tentò di rialzarlo dal suo sostegno, realizzò con sgomento che l’uovo sembrava pesantissimo, così tanto che era impossibile per lui staccarlo dal suo basamento, quasi che esso fosse fuso con il supporto che lo sosteneva.

Ad un secondo tentativo altrettanto infruttuoso, il mago fece ricorso al suo Dono, evocando un incantesimo che lo aiutasse nell’impresa.

Come unico risultato, l’anello d’oro che sosteneva il guscio brillò illuminandosi, per un infinito istante, in risposta al richiamo magico. Ed un secondo dopo l’intera struttura si mise a tremare, come scossa da un terremoto fin nelle fondamenta, mentre i primi calcinacci iniziavano a cadere e alcune pietre a crollare, l’urlo attutito del re rimbombò fin lì.

 

“Merlin! Muoviti, dannazione, scappiamo!”

 

Ma lui no, non poteva abbandonare lì quell’uovo. Non senza tentare il tutto e per tutto.

 

Ignorando i richiami della voce di Arthur, egli ritentò ancora e ancora, ma senza risultato, e l’uovo non si mosse neppure di un capello.

 

“Merlin!” gridò il sovrano, ansimando direttamente alle sue spalle, facendolo sussultare per lo spavento. “Diamine! Non ti sei accorto che ci sta crollando il soffitto sulla testa?!” sbraitò retorico, cercando al contempo di riprendere fiato.

 

“Non riesco a prenderlo! Pesa troppo!” confessò infine, deluso da se stesso, mentre il re lo affiancava con sguardo scettico.

 

“Oh, per la miseria! Non ho idea di come fare per distruggerlo, ma se è vero che può sopravvivere per mille anni, non correrò il rischio che si salvi lasciandolo qui. Forza, fammi provare!” esclamò, spintonando di lato il servo per farsi largo, mentre un nuovo pezzo di marmo cadeva a pochi passi da loro.

 

“Unhh!” gemette Arthur, per lo sforzo sovrumano.

 

Era vero. Sembra un uovo dal peso inaudito. Ed era come fuso col suo sostegno che brillava di luce propria.

 

Il giovane Pendragon sfiorò il basamento – sulla cui superficie erano incise antiche parole di una lingua ormai perduta – alla ricerca di un possibile congegno che lo sbloccasse dall’aggancio al guscio.

 

Ma è caldo!” realizzò, sorpreso, alzando poi le mani verso l’oggetto della loro ricerca per un altro, testardo tentativo.

 

“Sì, credo serva affinché l’uovo si conservi alla giusta temperatura.” Considerò il mago, con buonsenso. In fondo, non era forse un equilibrio incredibilmente delicato da mantenere?

“Lasciate che vi aiuti!” si offrì il servo, mettendosi di fronte a lui, mentre le loro dita si sfioravano, fin quasi ad intrecciarsi, in un’ultima prova.

 

D’improvviso l’uovo era divenuto leggerissimo, staccandosi dalla base come se quella fosse stata la cosa più naturale del mondo, lasciandoli esterrefatti. Per poco, a causa dello slancio della manovra, il loro prezioso oggetto non era finito fracassato al suolo, ma per fortuna Merlin lo aveva riagguantato, stringendoselo protettivo al petto.

 

I loro sguardi si incrociarono e si sorrisero, complici, per l’insperata fortuna, ma l’istante successivo, quando una colonna pericolante li mancò di un soffio nella sua caduta, i due corsero verso le scale e la salvezza. Appena giunti fuori all’aperto, l’intera struttura si era frantumata, collassando su se stessa in un terrificante boato.

 

 

***

 

 

“Gaius ti ha spiegato come distruggerlo?” gli chiese Arthur, una volta che avevano ripreso fiato e si erano accampati per la notte, al limitare della boscaglia, a distanza di sicurezza.

C’era un piccolo ruscello, lì vicino, ideale per togliersi la polvere delle rovine, dissetarsi, pulire le ferite del sovrano (che poi il servo aveva bendato con un pezzo della propria manica) e, finalmente, trovare ristoro.

 

Merlin lanciò una lunga occhiata penetrante alla sacca che gli era accanto, dove l’uovo era stato riposto in attesa della condanna. Poi, prendendo coraggio, decise di seguire il suo istinto.

“No, non l’ha fatto. Anzi…” replicò, impostando un tono ragionevole. “Egli mi ha parlato delle enormi potenzialità di questa scoperta!”

 

Il giovane Pendragon sbatté le palpebre, stranito dall’inusuale piega presa dalla discussione.

Cosa intendi dire?” domandò, sospettoso.

 

“Quello che sto cercando di spiegarvi è che, anziché ucciderlo, potremmo usare questa creatura a nostro vantaggio!”

 

“Oh, no! Non se ne parla neppure!” s’inalberò l’Asino Reale, ragliando la sua opposizione. “Questa missione serviva per distruggerlo! Dobbiamo disfarcene!”

 

Ma ha un potere enorme, che potremmo sfruttare!” insistette lo scudiero. “Lo sapevate che sono stati compiuti degli studi? Esistono dodici modi per utilizzare il sangue di drago, per le sue proprietà miracolose! Potreste guarire la vostra gente, usarlo per salvare Camelot dal prossimo attacco magico!”

 

Arthur fece una smorfia a metà tra il disgusto e l’incredulità.

“Tu devi essere impazzito, parola mia!” lo accusò. “E’ dall’inizio di questa missione che ti comporti in modo strano. Gaius dovrà visitarti appena faremo ritorno a casa…” gli ordinò.

 

“Non sono diventato matto!” protestò il mago. “Dovreste seriamente prendere in considerazione il mio suggerimento!”

 

“E sentiamo: ponendo assurdamente che io ti dia retta e salvassi quest’uovo… Chi pensi che se ne prenderà cura? Chi lo addestrerà, quando si sarà schiuso – ammesso e non concesso che un drago si possa addestrare, beninteso – chi si occuperà del suo cibo? Già mi immagino le lamentele dai pastori che si vedranno mangiare le loro greggi…”

 

“Me ne occuperò io!” si offrì, con slancio genuino.

 

“Merlin, tu non sai neppure farti rispettare dai miei cani da caccia, come pretendi di farti obbedire da un drago?!” lo pungolò, con scetticismo.

 

Lo scudiero mugugnò un verso strozzato di umiliazione, perché purtroppo era la cruda verità.

Ma non era colpa sua se quei cagnacci erano idioti e testardi come quell’Asino del loro padrone!

 

“Vedi?” infierì il monarca. “Come sempre, ho ragione io.”

 

“Beh, su questo avrei qualcosa da ridire. Sire.” Puntualizzò lo stregone, aggiungendo in un secondo tempo l’appellativo di riguardo solo per indorare la stoccata al suo signore.

 

“Impudente!” lo sgridò il nobile, imbronciandosi, ma ritornando poi al problema principale. “Seriamente, è una pessima idea…”

 

Merlin sentiva che da un momento all’altro il re avrebbe decretato la fine di quella creatura, perciò cercò disperatamente di temporeggiare, procrastinando l’inevitabile.

 

“Ho una proposta diversa da farvi!” esordì, sembrando convincente, ottenendo la regale attenzione. “Sebbene abbiate deciso di ucciderlo, possiamo comunque portarlo a Camelot. Anche solamente il guscio di drago è una fonte preziosissima per i medicamenti. E’ un ingrediente fenomenale e praticamente introvabile. Ma, per essere efficace, la bestia al suo interno deve restare viva… la scorza deve preservarsi integra, capite? Una volta che Gaius avrà preso ciò che gli serve, potrete farne ciò che vorrete. Vi sembra un buon compromesso?”

 

Il sovrano parve ponderare l’offerta e, non trovando la cosa particolarmente dannosa, acconsentì.

 

“Oh, perfetto!” gioì lo stregone, sorridendo a tuttotondo. Un istante dopo, si era già sporto verso la sacca, sfilando il suo prezioso contenuto che egli si posò in grembo, stringendoselo al petto come la migliore delle chiocce.

 

“Cosa diamine stai facendo?!” gli chiese il cavaliere, sconcertato.

 

“Lo sto covando! Mi sembra ovvio, no?” sbuffò l’altro, come se fosse una domanda sciocca. “Se dobbiamo tenerlo in vita fino al nostro ritorno a casa, è necessario garantirgli il calore costante di cui ha bisogno. Lo stesso tepore che il piedistallo gli offriva. E questo è l’unico modo che conosco per farlo.

 

Accantonando lo stupore, Arthur rise, divertito dalla buffa scena. Successivamente, egli si risollevò, allontanandosi dal bivacco, ancora claudicante.

 

“Ehi! Ma dove andate?!” si agitò il valletto, gridando alle sue spalle.

 

“La ferita allo zigomo mi brucia, Merlin.” Sbuffò il nobile, strascicando il suo nome per canzonare la sua apprensione. “E ho sete. Mi concederesti il tuo permesso di andare a bere, solerte balia?

 

Il mago sollevò gli occhi al cielo, imprecando mentalmente contro l’asineria congenita del suo padrone.

“Bastava dirlo!” sbottò arrossendo, sentendosi in dovere di giustificare la propria ansia.

 

Arthur rise nuovamente di lui, ma bonariamente stavolta, e quando fece ritorno, si vide offrire un tozzo di pane, l’unica, misera cena a loro disposizione. Il resto delle vivande era rimasto nelle bisacce attaccate alle selle dei cavalli, assieme agli stuoini e alle coperte che di solito usavano per ripararsi dalla frescura della notte.

Dovevano considerarsi fortunati se, nello zaino del servo, era stata dimenticata una delle pietre focaie con cui, provvidenzialmente, avevano acceso almeno il fuoco.

 

“La legna sta per finire.” Considerò il servitore, pensieroso, ingoiando le ultime briciole senza sprecarne alcuna, anche se aveva ancora fame e poteva giurare che Arthur versasse nella medesima condizione.

 

“Nh.” Concordò il re, massaggiandosi la spalla dolorante con una smorfia.

 

Merlin non seppe se quel mugugno era cagionato dall’idea del legno che scarseggiava o dall’arto indolenzito.

 

“Vado a raccoglierne. La notte sarà lunga e fredda.” Motivò, spostando con delicatezza e attenzione l’uovo che giaceva fra le sue ginocchia per posarlo sul mantello del suo signore, appallottolato a terra lì vicino. Egli lo avvolse tutto attorno al guscio, adagiando poi l’involto accanto al fuoco affinché le fiamme gli donassero calore, ma ad una giusta distanza di sicurezza, per impedire che accidentalmente prendesse fuoco.

 

“Con quello lì, mangeremmo frittata per una settimana!” dichiarò il sovrano, fingendosi serio, facendolo inorridire.

 

“Non oserete mangiarlo!” guaì l’ultimo Signore dei Draghi, boccheggiando indignato.

 

“Stavo solo scherzando, idiota.” Lo rabbonì, con un ghigno che esprimeva quanto lo stesse compatendo per non aver capito la burla.

 

A quelle parole, il servo rilasciò un grosso sospiro di sollievo, ignorando l’offesa. Successivamente, egli si addentrò nel bosco, raccogliendo qua e là rami secchi adatti a bruciare.

 

 

***

 

 

Probabilmente aveva perso la cognizione del tempo smarrendosi nell’intrico della pineta, poiché, quando fece ritorno, Arthur lo sgridò, sinceramente preoccupato per la sua incolumità, giacché – a suo dire – lui si era allontanato troppo e per un periodo indubbiamente esagerato.

 

Merlin si era sorpreso di quella ramanzina, perché francamente non riteneva che l’accusa fosse giusta, lui non aveva certo bighellonato per piacere personale! Si era limitato a curvare la schiena un numero imprecisato di volte e a impegnarsi, riempiendosi il più possibile le braccia di rami da ardere, incurante dei graffi che riceveva.

 

Eppure, come a supportare la teoria del suo signore, del fuoco del bivacco non era rimasto che un misero cumulo di cenere e braci ormai morenti.

 

Che nel bosco il tempo scorresse diversamente per opera di una magia?

 

“Non volevo farvi preoccupare, mi dispiace.” Si scusò, ad ogni buon conto, cercando poi con lo sguardo l’uovo dove l’aveva lasciato. “Dove- dov’è?” squittì, allarmandosi a sua volta, girando su se stesso per trovarlo.

 

“E’ qui, idiota. Cosa gridi?” lo ammonì nuovamente il re, abbassando le ginocchia che aveva stretto al petto e allargando le braccia, rivelando la presenza dell’uovo avvolto nel suo mantello.

 

“Voi…?” sussurrò il servo, incredulo.

 

“Hai detto tu che deve restare al caldo, no?” gli rinfacciò, arrossendo un po’ per l’imbarazzo. “Non dirmi che te lo sei inventato!” pretese di sapere, preferendo dimostrarsi inquisitore piuttosto che esposto e vulnerabile. Merlin l’avrebbe canzonato per ciò che aveva fatto?

 

Invece il servo gli sorrise, riconoscente, accucciandosi davanti a lui.

“Non mi aspettavo che lo faceste. Ma grazie.”

 

“Uhm. Bene.” Borbottò, non sentendosi preparato a quella reazione. “E ora riprenditelo!” sbottò, fingendosi scontroso. “Io non sono la sua balia!”

 

Lo scudiero ridacchiò, divertito.

“Non si direbbe… visto che fino ad un istante fa…”

 

Merlin?”

 

“Mh?”

 

Sta’ zitto.”

 

“D’accordo.” Concesse il mago, per non urtare la regale suscettibilità dell’Asino.

 

“E riattizza il fuoco, poi andiamo a dormire!” precisò il giovane Pendragon, per lo sfizio di avere l’ultima parola.

 

Prontamente, il valletto depose l’uovo e si chinò a ravvivare il falò, sussurrando un piccolo incanto affinché esso durasse fino al mattino, quantomeno per proteggerli dalle bestie selvatiche.

 

Poi, con cura, tolse il guscio ovale dall’involto, restituendo il mantello al suo padrone – l’unica coperta di cui disponevano per combattere la frescura della notte.

Ed, infine, Merlin sfilò la maglia dalla cintura e introdusse l’uovo sotto la stoffa, a contatto con la pelle dell’addome, rabbrividendo per il contrasto di temperatura con la sua superficie porosa. Come ultimo gesto, egli rimise la tunica dentro la cintura, per tenere fermo, e al sicuro da cadute, il piccolo ospite magico.

 

“Con quel pancione sembri incinto.” Lo prese in giro il nobile, dopo aver recuperato la voce, superato il trauma di vedere quell’escrescenza rotonda sporgere dal ventre del suo servo.

 

“Non siete divertente.” Si risentì lo stregone, stendendosi su un fianco, raggomitolato in posizione fetale, per non gravare sul delicato guscio e non disperdere vitale calore.

 

Visto che di solito hai il sonno agitato, sarai tu quello che finirà per farne una frittata!” profetizzò l’Idiota Reale, sogghignando.

 

“Non accadrà.” Replicò il servo, risoluto, dandogli le spalle e rabbrividendo, suo malgrado, per l’aderenza contro la terra nuda e umida.

 

Il re sbuffò, diffidente.

Alla fine, egli fece l’unica cosa sensata da fare: impedire a quell’idiota di ammazzare accidentalmente il suo decantato miracolo ovale e, possibilmente, impedire a suddetto idiota di morire, egli stesso, di freddo.

 

Brontolando mentalmente, Arthur si stese al suo fianco, coprendo entrambi col suo mantello che, pur essendo un misero conforto, era comunque meglio di niente.

 

Poi allungò il braccio sano, tirandosi contro il petto la schiena del servo, di modo che i loro corpi godessero del reciproco calore.

Infine, egli lasciò la mano a cingere il fianco di Merlin, convincendosi che così avrebbe evitato la prematura fine del fragile uovo.  

 

Per un qualche grazia divina, il suo servitore non aveva protestato, non aveva neppure blaterato una delle sue infinite sciocchezze, come invece si era aspettato che facesse. Il giovane Pendragon preferì non chiedersi il perché. E, affondando il naso infreddolito contro la nuca morbida di Merlin, anch’egli cedette al meritato riposo.

 

 

Continua...

 

 

 

Disclaimer: I personaggi di Merlin, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.

 

Ringraziamenti: Un abbraccio a Tao, che sopporta i miei scleri. X3
E a Giuls, che mi coccola col suo entusiasmo!

 

Note: Pur preferendo abitualmente i nomi originali, ho scelto di utilizzare Triscele anziché la versione grecizzata Triskelion, usata nell’episodio in inglese.

 

Colore del titolo ‘dovrebbe’ richiamare le gradazioni dell’uovo, purtroppo non è possibile farlo in modo realistico. U_U

 

I 12 modi per utilizzare il sangue di drago sono ovviamente un omaggio ad HP, al mitico Silente. ^^

 

Sinceramente no so se la fic abbia sottotesti slashosi.

Il mio cervello lavora verso lo slash in automatico. Non so cosa pensare. Per questo vi ho lasciato libera interpretazione, da qui in avanti.

 

 

Avvisi di servizio: oggi ho postato anche la mia prima fic sul fandom di Hyperversum e se non avete mai letto i libri di Cecilia, ve li consiglio!

Se vi va di darci un’occhiata e di lasciarmi un parere, ne sarò felice: “Memorando

 

Spero di trovare il tempo di aggiornare Linette 60 prima della mia partenza, fra qualche giorno. Altrimenti, di ritorno dalle vacanze, sarà la prima cosa che farò.

Nel frattempo, spero che il cap. 59 possa tenervi compagnia! ^_=
Come sempre, grazie per tutti i vostri pareri.

 

 

 

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Farai felici milioni di scrittori.

(Chiunque voglia aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio crede)


Come sempre, sono graditi commenti, consigli e critiche.


Grazie (_ _)

elyxyz

 

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Capitolo 3
*** Aithusa (“Say my name”) ***


Scusate il ritardo, ma ho avuto seri casini di real life

Scusate il ritardo, ma ho avuto seri casini di real life. Ç_ç

 

Anche qui valgono le stesse indicazioni dei precedenti capitoli.

 

Questo racconto contiene spoiler sulla puntata 4x04 “Aithusa”.

La storia prende spunto dagli eventi della puntata; tuttavia, essi sono stati rimaneggiati verso un’altra direzione dal minuto 25 circa in poi. Diciamo che nella mia fic non entreremo nella grotta e prenderemo un’altra strada. Ah! Ho anche usato le parole di Kilgharrah a mio uso e consumo. XD

 

Come ho spiegato ad alcune autrici a suo tempo, ho scelto di non leggere nessuna fic su Aithusa, per non venirne influenzata mentre scrivevo questa storia. Chiedo perdono se, in qualche modo, questa fic può assomigliare ad altre, la cosa non è affatto voluta ed è del tutto casuale.

In minima parte, è anche un omaggio a Saphira di Eragon, anche se è passato un secolo da quando l’ho letto.

 

La storia è composta da 5 capitoli ed è già finita, è in fase di betareading.

 

ATTENZIONE: Merlin & Arthur, friendship (o pre-slash SOLO AD INTERPRETAZIONE PERSONALE).

 

 

Grazie.

Ai vecchi e ai nuovi lettori.

A chibimayu, katia emrys, _Jaya, Orchidea Rosa, elfin emrys, Yuki Eiri Sensei e DevinCarnes, per aver commentato.

A chiunque vorrà lasciare un parere.

Grazie.

 

Aithusa

 

[Our Egg, Our Mascot]

 

 

 

Capitolo III: Aithusa (“Say my name)

 

 

Era quasi l’alba quando Merlin si destò, sentendo il tiepido uovo pulsare addosso a lui. Era una sensazione bellissima e commovente, tanto che sentì le labbra distendersi prima ancora di capire che stava sorridendo.

 

Allora egli, cullandolo istintivamente, tentò di girarsi supino, perché, malgrado tutto, i suoi muscoli indolenziti – per la postura forzata che aveva mantenuto tutta la notte – gridavano il loro malcontento.

Ma il mago non aveva fatto i conti con Sua Maestà che, sentendosi privato della sua primaria fonte di calore, aveva mugugnato nel sonno, cercando nuovamente di ristabilire il gradevole contatto fra loro.

Il servo sorrise nuovamente, intenerito per una ragione diversa da poco prima, e si lasciò catturare dal braccio del suo signore.

 

Non potendo fare altro che rimanere immobile in attesa dell’aristocratico risveglio, il mago rifletté su quali fossero le mosse più opportune da fare, da quel momento in poi, per salvare la vita del piccolo drago.

 

Se fosse riuscito a far schiudere l’uovo al più presto – prima di tornare a Camelot o addirittura prima di riunirsi agli altri cavalieri (contrariamente a quanto aveva detto ad Arthur) –, le probabilità che la bestia magica potesse sopravvivere erano maggiori.

 

Sì, era più saggio mettere il suo padrone di fronte al fatto compiuto, prima che egli potesse pentirsi di aver seguito il suo consiglio o potesse cambiare parere da un momento all’altro, scegliendo di disfarsi dello scomodo ostaggio.

 

Benché quell’idea crudele cozzasse col ricordo che aveva di lui quando, la sera precedente, lo aveva scoperto a covare l’uovo, lui non poteva rischiare.

Arthur vedeva quel piccolino come un mezzo sacrificabile per aiutare la sua gente e non come una creatura speciale, da salvare e preservare in quanto tale.

 

Ma Merlin, in qualità di Signore dei Draghi, aveva un compito ben preciso da assolvere e se questo dovere l’avesse costretto a scontrarsi con l’Altra Faccia della Sua Medaglia… beh, lui l’avrebbe fatto. A malincuore, ma non vi era altra soluzione.

 

Pur augurandosi che ciò non dovesse mai accadere, gestire l’ira dell’Asino Reale era una cosa con cui aveva familiarità e, a mali estremi, era anche disposto ad usare la magia per rendere inoffensivo il suo signore, mentre consentiva alla bestiola di fuggire; poi, evocando Kilgharrah ovunque esso fosse, l’avrebbe affidata alle sue cure.

 

 

***

 

 

“Non lo rimetti nella sacca?” chiese Arthur, sorpreso, quando i preparativi per la partenza furono ultimati.

 

“No. Credo che sia più al sicuro se lo tengo in mano...” rispose l’altro, stringendosi l’uovo al petto.

 

“Merlin, stupido idiota!” imprecò il sovrano, strabuzzando gli occhi. “Sei la persona più maldestra di tutti i Cinque Regni! E pretenderesti di tenere una cosa così fragile con i tuoi palmi di burro?!” sbraitò, retorico. “Tu sei abituato ad inciampare sui tuoi stessi piedi!” reiterò, incurante di sembrare eccessivo. “Dai qua.” Comandò infine, allungando le mani con un gesto di stizza.

 

“Cosa? Oh, no!” si rifiutò lo scudiero, mentre il re sovrapponeva le proprie dita alle sue. “L’uovo è mio e lo tengo io!” s’impuntò, rafforzando la stretta.

 

“Ma tu sei mio! Perciò quello che è tuo mi appartiene!” sbraitò Arthur, in una logica tutta sua.

 

Il mago sbatté le palpebre, certo di aver equivocato. Anche il giovane Pendragon realizzò che la frase detta era fraintendibile, perciò si premurò di correre ai ripari, ritrattando.

 

“Ehm... Io intendevo dire che tu sei un mio suddito e la tua inutile esistenza mi appartiene. Ho diritto di vita e di morte su di te, peccato che tu tenda a dimenticartelo troppo spesso – o forse non l’hai mai neppure ricordato…” considerò fra sé, meditabondo.

 

“Il fatto che io vi abbia giurato fedeltà non vi dà il diritto di fare il prepotente!” s’animò lo stregone.

 

Merlin!” strascicò Arthur, impaziente. “Non discutere!”

 

“Col cavolo!” rispose il servo, a tono, rifiutando di lasciare la presa mentre l’altro strattonava dalla sua parte.

 

Merlin!” ripeté il re, come se solo dicendo il suo nome dovesse incutergli timore. Speranza vana, quella.

 

Fu un inquietante scricchiolio, fra le loro mani, a tacitarli.

 

“Hai… hai sentito anche tu?” sussurrò Arthur, preoccupato, arrestandosi di botto.

 

“Temo di sì.” Ammise il servitore, mentre insieme sollevano il guscio per verificare una possibile crepa.

 

Solo dopo essersi accertati, con meticoloso scrupolo, che tutto fosse ancora intatto, entrambi rilasciarono un sospiro di sollievo.

 

“Toh.” Decise il re, lasciando la presa. “Non voglio rischiare di nuovo.”

 

“No, è più saggio che lo teniate voi…” ammise il valletto, contrito, offrendogli il frutto delle loro fatiche. “Sebbene poc’anzi siate stato alquanto indelicato, avevate ragione, quando dicevate che sono sbadato e maldestro, anche se non lo faccio di proposito.” 

 

Arthur accolse l’uovo, poi, distogliendo lo sguardo e fingendosi interessato allo strato poroso del guscio, bisbigliò un: “Mi dispiace, se ti ho ferito.” Confessò, sincero. “Ma è vero che sono più affidabile io, da azzoppato, che tu… nel pieno delle tue facoltà!”

 

Merlin si morse la lingua per tacere.

Sull’ultima affermazione di Sua Maestà aveva parecchio da ridire – con tutte le volte che gli aveva salvato il suo regale fondoschiena?! –, ma non lo fece per il rispetto che provava per lui.

Arthur aveva ammesso di zoppicare, benché fino a quel momento avesse cercato di dissimularlo, un po’ per orgoglio e un po’ per non farlo preoccupare eccessivamente e non gravare, col suo problema, sulla loro missione.

Quindi anche lui avrebbe accantonato quel litigio e sarebbero stati pari.

 

“Scuse accettate, ma ora è tempo di andare!” consigliò, incamminandosi per primo.

 

 

***

 

 

Quando giunsero nei pressi del ponte sul burrone, l’unica cosa che trovarono furono i resti delle corde sbrindellate. Degli altri cavalieri… nessuna traccia, e neppure le loro cavalcature c’erano più.

 

“Avranno seguito il mio consiglio e si saranno diretti verso valle per cercare guadi o restringimenti nella spaccatura.” Motivò re Pendragon, passando l’uovo in custodia al suo valletto e lasciandosi cadere al suolo per riposare le stanche membra.

Tutta quella camminata di ritorno, con la gamba dolorante, era stato un supplizio e anche la spalla e le costole gli dolevano. Peccato che la sacca dei medicinali fosse rimasta ancorata alla sella della giumenta di Merlin, e quindi inutilizzabile.

 

“Sarà senz’altro così.” Ne convenne il servo, imitandolo ma con più accortezza, visto ciò che reggeva. “Cosa contate di fare?” domandò svogliatamente, quando l’ozio lo costrinse a sbadigliare.

 

Arthur lo imitò, come contagiato dal suo languore.

“Non ha senso seguirli da questa sponda-”

 

“Anche perché marciare, per voi, è un problema.” L’interruppe il mago, guadagnandosi un’occhiataccia.

 

“Non è questo, il punto.” Lo rimbeccò il nobile, offeso che l’altro si fosse permesso di evidenziare il suo impedimento, mettendo il dito nella piaga. “Il punto è che loro faranno comunque ritorno qui… beh, .” Si corresse, indicando con una mano guantata il prato oltre il dirupo. “Se trovassero un modo per passare di qua, ci raggiungeranno. Se non lo troveranno, ci saremo risparmiati un’inutile scarpinata.” Spiegò, con ragionevolezza. “Quindi, Merlin, ce ne restiamo qua.” Ripeté, come a sottolineare l’ovvio. “Ad aspettare.”

 

“Oh, bene!” concordò lo scudiero, con eccessiva gioia, posando delicatamente a terra l’uovo fra i ciuffi di erba verde e mettendosi ad armeggiare con i propri stivali. Un istante dopo, sotto lo sguardo sbalordito del suo signore, egli rimase a piedi nudi, mugolando di sollievo.

 

“Ma che fai, idiota?!” lo ammonì il nobile, con i lineamenti contratti, il naso arricciato e un’espressione schifata.

 

“Perché?” chiese il mago, sorpreso. “Non avete forse detto che dovevamo solo attendere qua il loro ritorno? Beh, mi sto mettendo comodo!”

 

“Avevo detto ‘qua’, ma non intendevo proprio ‘qua’ qua!” sbraitò il re, adirandosi.

 

Ma Merlin, incurante della sua faccia torva, scoppiò a ridere.

“Sembrate un’anatra! Ma sempre un’anatra reale!” affermò, imitandolo: “Qua, qua qua…”

 

Merlin!” ruggì il nobile Babbeo oltraggiato e indignato, mentre il suo viso diventava come il colore del suo mantello. “Alla gogna! Ti giuro che finirai alla gogna, appena torneremo a casa, così ti passerà la voglia di essere impudente col tuo re!

 

Il sorriso sulle labbra del mago si spense, mentre sfoderava la sua espressione più contrita, quella che – assai raramente, a dire il vero – sapeva impietosire il suo signore.

Ma-

 

“Non ci provare neppure!” lo tacitò Arthur, puntandogli l’indice contro.

 

Ma ci siamo solo noi due!” sbottò comunque l’altro, ignorando l’ingiunzione. “Nessun altro ha sentito e potremo dimenticarlo!”

 

Nah.” Il re fece schioccare la lingua, con un po’ di sadica soddisfazione. “Io non dimentico. Mai.”

 

“Allora non dimenticherete neppure che ieri vi ho salvato la vita!” ritentò il servo, giocando l’ultima carta.

 

“Ieri era ieri, Merlin.” Filosofò il monarca, con una faccia di bronzo. “E oggi è un altro giorno.”

 

Dannato Asino Reale…” brontolò il mago, bofonchiando, strappando alcuni fili d’erba.

 

“Cosa?!” domandò Arthur, ghignando, pregustando l’aggravio della punizione che gli avrebbe inflitto. “Mi è parso di sentire che-”

 

“Niente! Non può esservi parso niente… perché io non ho parlato. Replicò lesto lo scudiero, facendo spallucce. “Forse il vostro udito fa cilecca, Sire.” Lo provocò, fingendosi comunque ossequioso.

 

Il giovane Pendragon incassò la stoccata con lo stesso buongrado di chi ingoia un limone acerbo.

“Alza il tuo culo ossuto da lì, ce ne andiamo!” eruppe, sollevandosi e incamminandosi per primo, zoppicando, senza neanche attenderlo.

 

“Ma, Mio Signore!” s’allarmò lo stregone, scalzo, scattando subito in piedi. “Sire, dove andate?!

 

“Dove saremmo da un pezzo, se la tua linguaccia non mi avesse infastidito con le sue sciocchezze!” lo rimbrottò il re, di spalle, senza darsi pena di controllare se l’altro lo seguisse o meno.

 

“Ma avevate detto che saremmo rimasti qui!” protestò il mago, mentre si rinfilava in fretta gli stivali, raccattava l’uovo e veniva ignorato.

 

Solo quando ebbe nuovamente Merlin accanto, Arthur concluse: “Troveremo un posto all’inizio del bosco, dove accamparci per aspettarli. Probabilmente non torneranno prima di domani. Conqua’, prima intendevo ‘questa zona’, idiota!”

 

“Uhm.” Sbuffò il servo, comprendendo.

 

“E il mio perfetto udito – che a tuo assurdo dire fa cilecca – mi sta informando che vi è dell’acqua che gorgoglia nei dintorni, perciò quello sarà il posto ideale, perché non ci allontaneremo di molto.”

 

 

***

 

 

Il fuoco scoppiettava allegro, spargendo tepore tutt’attorno.

Alla luce del tramonto, Merlin si perse ancora ad osservare l’uovo che aveva tra le braccia.

Era lucido, perfetto.

La prima volta che lo aveva visto, ne era rimasto incantato, ma in quel momento lo era ancor di più.

 

Aveva perso il conto delle volte aveva percorso con le dita le screziature azzurrognole – disegnando mille e mille ghirigori – sul rivestimento perlaceo. Gli pareva quasi che esse cambiassero gradazione di colore da sole, o forse era solo uno scherzo della luce… ma non si sarebbe mai stancato di guardarlo.

 

Tra un sospiro e l’altro, quell’opera d’arte magica l’aveva stregato.

 

Merlin aveva ripensato per tutto il giorno alle parole del drago, a ciò che l’essere millenario gli aveva spiegato – non che fosse stato poi molto chiaro, ma quando mai lo era? – e su quando e come avrebbe dovuto agire. Ma non era arrivato a capo di niente.

 

Al momento giusto saprai istintivamente cosa fare, Merlin.”

 

Certo. Come no?

 

Arthur aveva sonnecchiato per tutto il pomeriggio, lasciandolo ai suoi tormenti interiori, poi Sua Maestà aveva deciso che si sarebbe inoltrato un po’ nella boscaglia, per cacciare la loro cena, abbandonandolo – malgrado le sue proteste – da solo a fare la guardia e… a covare.

 

Ma il tempo incalzava e lui doveva capire come favorire la schiusa.

Avrebbe dovuto colpire il guscio con qualcosa? Senza troppa forza, ma con decisione?

Avrebbe dovuto usare la magia? Evocare un incantesimo? Sì, ma quale?

E se il draghetto non fosse stato ancora pronto?

Aveva riposato per quattrocento anni, come diamine lo avrebbe persuaso, lui, ad uscire da lì?!

 

“Me lo vuoi dire come devo fare?” bisbigliò, pensieroso e assorto, tracciando con l’indice il profilo poroso. “Ti prego, ti prego, ti prego…”

 

“Credi che ti risponderà?”

 

Merlin squittì di spavento, sollevando di scatto la testa, mentre Arthur ridacchiava poco lontano da lui.

 

“Saresti forse un’ottima balia, vista la devozione con lui gli parli; ma sei certamente una pessima sentinella.” Gli fece notare. “Avrei potuto pugnalarti alle spalle e tu saresti morto senza neppure accorgertene.”

 

Ad essere pignoli, sarei potuto morire anche di spavento…” puntualizzò il servo col batticuore, facendolo ridacchiare nuovamente e, nel fare ciò, Arthur si mise una mano sul costato.

 

“Vi duole ancora molto?” si preoccupò, pur non potendo fare niente, con la sua magia, senza insospettirlo.

L’unica cosa buona, era stata convincere (non senza fatica) quell’aristocratica Testa di Legno a ruminare un’erba medicinale che lui aveva riconosciuto essere un blando antidolorifico.

 

“Non mi vorrai avvelenare, vero?” aveva chiesto il nobile Somaro, diffidente, prima di masticare le piantine, sinceramente preoccupato per la propria salute e ancor più per la scarsa conoscenza che l’apprendista del guaritore reale dimostrava per certe varietà vegetali.

 

“Non vi ucciderà.” Gli aveva garantito il discepolo dell’archiatra reale, e così era stato; ma il risultato si era rivelato ugualmente insufficiente.

 

Arthur mugugnò, allontanandolo dai suoi ricordi recenti.

“Forse una o due costole sono davvero incrinate.” Ammise, perché negare ormai non serviva, lanciandogli il magro pasto che aveva cacciato affinché lo scuoiasse.

 

Il servitore accantonò l’uovo e ripulì una piccola lepre, tutta pelle e ossi.

Successivamente, la mise sul fuoco ad arrostire, infilzata in uno spiedino di fortuna.

 

 

***

 

 

Il silenzio fra loro non era fastidioso.

Cullati dal gorgoglio dell’acqua e dai rumori della notte, tra il chiurlare dell’assiolo e il bubbolare di una civetta, avevano succhiato il midollo di ogni ossicino, ma le loro pance brontolavano ancora. Per lo meno, rendendo onore al piccolo ruscello lì accanto, avevano bevuto a sazietà.

Arthur lo aveva persino schizzato con le dita grondanti, per fargli dispetto vedendolo tanto assorto.

 

“Non dovresti usare il cervello, Merlin, non è una cosa che ti riesce bene!” l’aveva canzonato, sorridendo del suo broncio, mentre il servo, anche di lontano, non perdeva occasione di tenere d’occhio l’uovo, come la più solerte e ansiosa delle madri.

 

Il mago aveva sbuffato, portando pazienza, e poi lo aveva lasciato a rinfrescarsi ed era tornato dall’oggetto della sua ossessione, mettendoselo in grembo con le ginocchia raccolte al petto.

 

Dimmi come fare…” lo implorò, disperato e impotente, ripetendo anche mentalmente la sua supplica. “Dimmi come aiutarti!

 

Per un lungo, interminabile istante, niente cambiò. Ma poi…

 

Di’ il mio nome.

 

Merlin sentì una piccola, fievole voce nascere dentro di sé.

Fu solo un sussurro così sottile, che credette di esserselo sognato.

 

Di’ il mio nome. Chiamami!’

 

Insistette la voce, facendolo rabbrividire per l’emozione.

Egli spalancò la bocca per lo stupore, realizzando che era stata davvero la creatura dentro l’uovo a comunicare con lui.

 

‘Dillo!’

 

Si sentì supplicare, in modo sempre più accorato, e dunque cedette.

Pur col cuore in gola per l’emozione, inspirò a fondo per trovare il coraggio e la concentrazione necessarie – Arthur, in quel momento, non era altro che una presenza lontana e marginale nel suo campo visivo e nella sua mente.

 

Aithusa…’ sussurrò il mago, prima nella sua testa, quando la parola si fu formata da sé, limpida e vivida come una luce nell’oscurità; poi, egli la ripeté sottovoce. “Aithusa!

 

In risposta al suo richiamo, l’uovo scricchiolò, dapprima piano, e in seguito sempre più rumorosamente.

 

“Mettilo giù, Merlin! Mettilo giù!” urlò il re, comparendogli di fianco nel momento esatto in cui il guscio si ruppe e un pezzo minuscolo cadde a terra.

 

Il servo ubbidì per non contrariarlo e depose cautamente l’uovo davanti ai suoi piedi, giusto in tempo perché il sovrano lo strattonasse via con un gesto concitato e ponesse mano alla spada.

 

“No, Arthur, no!” gridò lo stregone, frapponendosi fra il suo signore e la creatura che stava nascendo.

 

“Stai lontano, potrebbe essere pericoloso!” urlò il monarca, di rimando, senza tuttavia estrarre del tutto l’arma.

 

“E’ solo un cucciolo!” cercò di persuaderlo il mago, osservando ora lui ora la creaturina che spuntava appena dal guscio.

 

Arthur sembrò dargli retta, poiché rinfoderò la lama, lasciando tuttavia la mano sull’elsa.

 

Il resto fu solo un insieme di scricchiolii ruvidi e stupore.

 

La bestiola ruppe col naso un pezzo alla volta. Uno dopo l’altro, essi caddero a terra, fino a che la testolina non fece capolino, poi le zampette e infine, con un rauco verso di vittoria, non spuntarono anche le alucce. Con un salto un po’ goffo, il draghetto si liberò di ogni costrizione.

 

E allora puntò gli occhietti curiosi sul mondo.

 

 

Continua...

 

 

 

Disclaimer: I personaggi di Merlin, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.

 

Ringraziamenti: Un abbraccio a Tao, che sopporta i miei scleri. X3
E a Giuls, che mi coccola col suo entusiasmo!

 

Note: Il colore del titolo ‘dovrebbe’ richiamare le gradazioni dell’uovo, purtroppo non è possibile farlo in modo realistico. U_U

 

La frase: “Domani è un altro giorno!” credo sia una citazione che non necessita di spiegazioni, mh?

 

Premettendo che chi mi conosce lo sa bene, io sono una capra autodidatta in inglese.

Sembra assurdo, quindi, ma mentre mi preparavo mentalmente al pezzo in cui avrei scritto del guscio che si crepa, nella mia testa mi sono immaginata una voce che diceva: “Say my name.” (e non in italiano. XD)

In questo periodo sto decisamente vedendo troppe serie TV subbate e uso troppo google translator. U_U

 

Per pignoleria, faccio notare che durante la puntata l’uovo cambia colore un numero imprecisato di volte.

All’inizio è bianco, con l’apice e il pedice azzurrognoli, alla fine è tutto blu chiaro. XD

 

 

Visto che con Linette lo apprezzate, vi aggiungo un’anticipazione del prossimo capitolo:

 

Fu un cavernoso brontolio di pancia ad interrompere quella parentesi, col sovrano che sollevava sarcasticamente le sopracciglia bionde – nella miglior imitazione di Gaius – e un’espressione di commiserazione.

Merlin, abbi un minimo di dignità! Anch’io ho fame, eppure le mie budella non oserebbero mai svergognarmi a tal punto!

 

Ma non sono stato io!” s’indignò lo scudiero, arrossendo ugualmente, schiacciandosi lo stomaco come a tacitarlo.

 

“Non serve che tu menta, ti ho sentito!” insistette il giovane Pendragon, con un ghigno.

 

“Vi giuro: non sono stato io!” ripeté il mago, mettendosi persino una mano sul cuore, intanto che il suono imbarazzante si ripeteva con più intensità.

 

I due uomini si voltarono all’unisono verso l’inequivocabile fonte del brontolamento, con Aithusa che ricambiava il loro sguardo con la più innocente delle espressioni, piegando il musetto di lato.

Gre-e-e!” gracchiò, quasi offrendo loro una spiegazione o le sue scuse.

 

La protesta delle sue viscere echeggiò una terza volta, facendole schioccare la lingua e le fauci.

 

 

 

Avviso di servizio: Spero di trovare il tempo di aggiornare Linette 62 fra qualche giorno.

Come sempre, grazie per tutti i vostri pareri.

 

 

 

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Farai felici milioni di scrittori.

(Chiunque voglia aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio crede)


Come sempre, sono graditi commenti, consigli e critiche.


Grazie (_ _)

elyxyz

 

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Capitolo 4
*** Presagio di Speranza (The stepfathers) ***


Scusate il ritardo, ma ho avuto nuovamente casini di real life

Scusate il ritardo, ma ho avuto nuovamente casini di real life. Ç_ç

 

Anche qui valgono le stesse indicazioni dei precedenti capitoli. E dopo questo, ne manca solo uno.

 

Questo racconto contiene spoiler sulla puntata 4x04 “Aithusa”.

La storia prende spunto dagli eventi della puntata; tuttavia, essi sono stati rimaneggiati verso un’altra direzione dal minuto 25 circa in poi. Diciamo che nella mia fic non entreremo nella grotta e prenderemo un’altra strada. Ah! Ho anche usato le parole di Kilgharrah a mio uso e consumo. XD

 

Come ho spiegato ad alcune autrici a suo tempo, ho scelto di non leggere nessuna fic su Aithusa, per non venirne influenzata mentre scrivevo questa storia. Chiedo perdono se, in qualche modo, questa fic può assomigliare ad altre, la cosa non è affatto voluta ed è del tutto casuale.

In minima parte, è anche un omaggio a Saphira di Eragon, anche se è passato un secolo da quando l’ho letto.

 

La storia è composta da 5 capitoli ed è già finita, è in fase di betareading.

 

ATTENZIONE: Merlin & Arthur, friendship (o pre-slash SOLO AD INTERPRETAZIONE PERSONALE).

 

 

Grazie.

Ai vecchi e ai nuovi lettori.

A crownless, chibimayu, _Jaya, katia emrys, elfin emrys, DevinCarnes e Sheireen_Black22 per aver commentato.

A chiunque vorrà lasciare un parere.

Grazie.

 

Aithusa

 

[Our Egg, Our Mascot]

 

 

 

Capitolo IV: Presagio di Speranza (The stepfathers)

 

 

Persino il sovrano di Camelot era rimasto affascinato per quell’evento così straordinario, mentre il mago, abbandonando ogni remore, si era lasciato commuovere a tal punto da quel miracolo che le lacrime gli sgorgavano libere e si era ritrovato a piangere e singhiozzare in silenzio o almeno ci provava. 

 

“Non fare la ragazzina, Merlin!” lo sgridò Arthur, a metà strada tra l’ironia e il compatimento.

 

“Ma non è meravigliosa?” pigolò lui, asciugandosi i rivoli umidi e salati con l’orlo della manica.

 

Il re temette che si sarebbe anche soffiato il naso con quello, perciò lo anticipò offrendogli il proprio fazzoletto.

“Toh, nel caso che l’emozione ti sovrasti nuovamente…” lo canzonò il nobile, senza smettere di controllare la bestia che sembrava un po’ smarrita.

 

Merlin, che accettò di buon grado il sollecito pensiero, s’impensierì di nuovo, intercettando il suo sguardo diffidente.

 

“Ehi! Non potete ucciderla!”

 

“E’… una femmina?” si stupì il cavaliere – a tal punto che accantonò momentaneamente il problema principale: la nascita improvvisa e potenzialmente mortale di quella creatura magica – senza, tuttavia, neppure prendere in considerazione l’idea di verificare. “E tu come lo sai?” domandò, però, perplesso e scettico.

 

“Non… non lo so…” ammise lo stregone, tentennando. “Me lo sento!”

 

“Tu senti un po’ troppe cose in questi ultimi giorni, Merlin.” Gli appuntò, con sussiego. Prima la direzione a Est, poi il ponte magico e ora un drago, per la miseria!”

 

Ma non farete del male ad Aithusa, vero?” insistette lo scudiero, con evidente ansia.

 

Aithusa?!” gli fece eco Arthur, colpendosi con una manata in faccia. “Ha anche un nome, adesso?!

 

“Certo che ce l’ha!” s’indispettì il Signore dei Draghi. “Come pretendete che mi rivolga a lei, altrimenti?”

 

“Merlin…” sospirò il sovrano, come se tentasse di indorare una medicina amara. “Quell’uovo doveva restare un uovo! E noi dovevamo portarlo a Camelot per sezionarlo!”

 

A quelle parole, il servo sussultò, spalancando la bocca come se fosse stato ferito mortalmente.

Ma avete giurato che non le avreste fatto del male!”

 

“Ho acconsentito” rettificò Sua Maestà, con puntiglio “a portare un uovo a casa, non quella… quella bestiaccia…!” specificò, additandola. “E no, Merlin, non fare quella faccia! E’ la stessa che fai quando andiamo a caccia e vuoi impedirmi il divertimento,perché ammazzare innocenti creature è sbagliato’!” cantilenò, scimmiottando la voce querula del valletto.

 

“Vi prego, Sire, vi prego!” lo supplicò lo stregone, con le lacrime nella voce. “Lasciatela vivere almeno a fino a Camelot!”

 

Arthur scosse il capo, per diniego.

“Potrebbe essere troppo rischioso!” lo contestò, animoso.

 

“Ma l’avete vista?!” stridette il mago, allargando le braccia con un gesto impotente.

 

La piccola bestiola si era completamente rannicchiata su se stessa, spaventata dalle loro urla, tremava tutta e aveva nascosto il musetto sotto un’aluccia per proteggersi.

 

“Che male volete che vi faccia?!” lo sfidò, raggiungendo il cucciolo di drago prima che l’altro potesse impedirglielo.

 

“Merlin, no!” gridò infatti il monarca, avanzando, ma il servo fu più lesto e si chinò verso la creatura, allungando piano – per non spaventarla ancor di più – una mano verso il suo naso.

 

L’essere magico estese di riflesso il musetto incontro a lui, annusando le sue dita a penzoloni, poi, in un atto di fiducia, gliele leccò, facendo sorridere Merlin come un ebete.

 

“Visto?!” soffiò alle proprie spalle, dove il re sostava, pronto ad intervenire in caso di necessità.

 

Mpf!” sbuffò Arthur in risposta, come massima concessione ma, un istante dopo, egli trattenne il fiato, allorché il draghetto sembrò rianimarsi, sbatacchiando le ali e dimenando la coda con tutti i suoi piccoli spuntoni.

Prima che lui o il suo servitore potessero fare alcunché, la bestia aveva preso slancio, sollevandosi da terra in un balzo maldestro ed era planata fra le braccia di Merlin, sbilanciandolo e facendolo ruzzolare all’indietro.

Mentre gli leccava la faccia e gli faceva il solletico con le sue zampette in precario equilibrio sull’addome, il servitore rimaneva vittima di quello spassoso supplizio. 

 

“No, Aithusa, basta! Aithusa… dai, smettila!” la supplicava, senza troppa convinzione, tra una risata e l’altra.

 

“Eh, ehm…” tossicchiò il cavaliere, schiarendosi la gola per richiamare l’attenzione, e i giochi finirono. Merlin afferrò dolcemente la bestiola allontanandola da sé, e la appoggiò a terra, dove si accovacciò, anche se di malavoglia.

 

Gre!” gracchiò infatti, col preciso intento di riavvicinarsi al mago. “Greee!” ripeté infastidita, quando capì che ciò non era possibile. E si mise a sbatacchiare le alucce per protesta.

 

“Aithusa! Stai buona!” le ordinò Merlin, con tono pacato ma fermo. E subito ella ubbidì, accucciandosi al suolo come un cane addestrato, scodinzolando, ma fremendo per trattenersi.

 

“Uh!” si lasciò sfuggire il giovane Pendragon, impressionato. “Se tu perdessi il lavoro, Merlin, potresti sempre fare l’ammaestratore di draghi!” ironizzò. “Questa creatura sembra quasi capirti!”

 

“I draghi sono esseri estremamente intelligenti!” gli rispose lo stregone con orgoglio, soprassedendo sulla battutaccia dell’altro.

 

“Ah! Allora è per questo che riesce a comunicare persino con te, che sei un idiota!” sghignazzò il sovrano, complimentandosi da solo per la sua sagace osservazione.

 

“Il punto è che, come vedete, lei non è pericolosa.” Gli dimostrò. “Sire, se la portassimo con noi, potrebbe essere di buon auspicio per Camelot! Potrei trovarle un posto da vivere nel bosco accanto al-

 

“Non ti allargare troppo, idiota.” Lo frenò il sovrano. “Intanto ti concedo che rimanga con noi per stanotte – devo ragionare con calma su tutta la faccenda – e poi si vedrà…

 

Quindi… non le farete del male?” insistette, speranzoso.

 

Arthur fece scricchiolare la pelle dei guanti nella stretta dell’elsa e, per un eterno istante, tacque meditabondo.

“No, non lo farò.” Promise infine. “Non stasera, almeno.” Concesse, sentendosi assurdamente appagato nel vedere il sorriso di conforto che si allargava da un orecchio all’altro del suo servo.

 

“Vedrai, Aithusa… Camelot ti piacerà!” dichiarò il valletto, lusingando la bestiola con promesse e carezze dietro le orecchie, a cui il cucciolo rispondeva con brontolii di apprezzamento.

 

Merlin! Ma hai sentito cosa ti ho detto?!” brontolò il monarca, mentre lo scudiero sfoderava un impudente risolino di scuse.

 

“Anche ponendo che, per momentanea follia, io ti dessi retta… Come pensi che motiverò al Consiglio dei Nobili il tuo draghetto da compagnia?” ironizzò il giovane Pendragon, con finta leggerezza, immaginando lo scompiglio che avrebbe generato nel caso in cui si fosse portato dietro l’insolito ospite.

 

“Beh, voi siete il re! E ogni vostro desiderio è un ordine, no?” considerò il servo, con semplicità, facendolo però scoppiare a ridere, malgrado il dolore al costato.

 

“E’ stupefacente che tu riesca a rammentarlo solo quando è nel tuo interesse farlo!” gli rinfaccio, senza tuttavia perdere quello strano buonumore che Merlin gli aveva contagiato.

 

La sua risata attirò persino l’attenzione del cucciolo, che abbandonò le cure del mago per zampettare verso di lui, curioso di conoscere quell’umano da vicino.

 

Ma il sovrano si trasse indietro. “No!” le intimò, con tono ostile, fissandola. “Non abusare della mia generosità!”

 

L’essere magico si arrestò all’istante. Piegando il musetto di lato, come a studiarlo meglio.

Gre-e!” gracchiò, muovendo la codina con i piccoli spuntoni e mostrando la chiostra di dentini aguzzi, bianchissimi, e le piccole zanne perfette.

E quello sguardo nero pece che sembrava ingoiarti nella notte più buia.

 

Arthur ne rimase soggiogato, come se lì dentro vi albergasse una saggezza antica, ancestrale. La stessa che aveva guidato la stirpe di quel drago nelle ere passate fino a dare il nome alla sua dinastia, I Pendragon.

 

L’incanto fra loro si ruppe quando Aithusa sbatté le palpebre albine.

 

“Lascialo in pace, dai.” Intervenne lo stregone, convincendo l’animaletto a giocare con lui, abbandonando il re, da solo, a ragionare su quella strana sensazione.

 

 

***

 

 

Rimasero così per un po’, con Arthur che fissava il vuoto davanti a sé, meditando, mentre la sera diventava più buia, e Merlin che intratteneva il cucciolo giocandoci a nascondino, usando il mantello dei Pendragon come coperta con cui sottrarsi alla vista della bestiola, che gracchiava felice ogni volta che lui riappariva.

 

Fu un cavernoso brontolio di pancia ad interrompere quella parentesi, col sovrano che sollevava sarcasticamente le sopracciglia bionde – nella miglior imitazione di Gaius – e un’espressione di commiserazione.

Merlin, abbi un minimo di dignità! Anch’io ho fame, eppure le mie budella non oserebbero mai svergognarmi a tal punto!

 

Ma non sono stato io!” s’indignò lo scudiero, arrossendo ugualmente, schiacciandosi lo stomaco come a tacitarlo.

 

“Non serve che tu menta, ti ho sentito!” insistette il giovane Pendragon, con un ghigno.

 

“Vi giuro: non sono stato io!” ripeté il mago, mettendosi persino una mano sul cuore, intanto che il suono imbarazzante si ripeteva con più intensità.

 

I due uomini si voltarono all’unisono verso l’inequivocabile fonte del brontolamento, con Aithusa che ricambiava il loro sguardo con la più innocente delle espressioni, piegando il musetto di lato.

Gre-e-e!” gracchiò, quasi offrendo loro una spiegazione o le sue scuse.

 

La protesta delle sue viscere echeggiò una terza volta, facendole schioccare la lingua e le fauci.

 

“Secondo voi, potrebbe avere fame?”

 

“Spero che non consideri noi la sua cena!” rispose però il re, interrogando a sua volta il valletto. “Cosa diamine mangerà?”

 

“E che ne so?!” sbottò Merlin, facendo spallucce.

 

Merlin!” lo rimproverò il sovrano. “Sei tu che hai promesso di prendertene cura e sembravi così esperto in materia di draghi e-” egli si tacitò, vedendo l’oggetto della loro discussione girarsi, ignorandoli completamente, e zampettare incerta verso il fiumiciattolo.

 

Poi, di colpo, s’era tuffata nell’acqua facendoli sussultare e lanciare un grido spaventato. Ma, prima ancora che potessero raggiungere il punto in cui era sparita per soccorrerla, dopo qualche istante, la bestiola era riemersa sulla riva, tutta gocciolante, con due pesci tra le fauci.

 

Senza tante cerimonie, Aithusa ne sputò uno, e ingoiò l’altro, tutto intero, divorandolo con gusto.

Poi, con voracità e uno scatto di mascelle, aveva trangugiato anche l’altro.

 

“Quantomeno, non farà i capricci per il cibo.” Aveva scherzato Merlin, per alleggerire quella strana situazione, perché Arthur era rimasto meravigliato dall’abilità del cucciolo.

 

“E’ rimarchevole, bisogna riconoscerlo!” aveva infine ammesso, osservando il draghetto che nuovamente si tuffava per saziarsi. “E’ veloce, precisa e letale.” Annotò, come se stesse elogiando le doti militari di un valoroso soldato. “Non credevo che in quel rivolo ci fossero dei pesci, ma evidentemente lei sa come scovarli, anche se sono nascosti nel fondo…

 

Il mago si sentì compiaciuto che il suo padrone spendesse due parole buone sulla loro creatura, anche se non si illudeva che tutto sarebbe stato semplice.

 

Poi Aithusa fece un gesto che li spiazzò: tuffandosi e riemergendo per altre due volte di fila, aveva procurato del cibo anche per loro, ripetendo la sua pesca con l’ausilio degli artigli.

 

Ritrovandosi una manciata di pesci morenti davanti ai piedi, i due si scambiarono un’occhiata incerta.

“E’ una specie di offerta?!” si sconcertò Arthur, fintantoché le prede si contorcevano, boccheggianti, nei loro ultimi spasmi di vita.

 

“Così sembra!” concordò Merlin. “E’ un essere intelligente e capisce tutto, potrebbe persino parlare!” dichiarò, con slancio, anche per preparare spiritualmente il suo padrone all’inevitabile momento.

 

“Dovrebbe parlare?!” fece però eco il re, sbarrando gli occhi. “Cos’è, uno scherzo?!

 

“E perché mai? I draghi hanno il dono della parola… quindi…” tuttavia, preoccupato dall’espressione sconvolta dell’Asino Reale, ritrattò in parte, temporeggiando, osservando la dragonessa scrollarsi l’acqua di dosso come un cane dopo la pioggia. “Beh, i neonati non parlano, credo ci vorrà un po’ anche per lei, no?” buttò là, sperando che l’altro si calmasse.

 

Uhmmm…” concesse il giovane Pendragon, non del tutto persuaso, intanto che Merlin si toglieva la propria casacca per asciugare il cucciolo, che si lasciò coccolare di buongrado.

 

Ma ha il pancino caldissimo!” disse lo stregone, strofinandolo con cura.

“Idiota,” lo apostrofò Sua Maestà, senza reale cattiveria. “Non sai come vengono chiamati i draghi?”

 

“Dannate bestiacce?” buttò là, incerto, tirando a caso.

 

Sputafuoco!” lo corresse il sovrano di Camelot. “Hai forse scordato di quel mostro gigantesco, che ci ha quasi raso al suolo mezzo castello e che poi ho ucciso? Eravamo andati a cercare quel Balinor, l’ultimo Signore dei Draghi, che però è morto prima di completare la sua missione. Non te lo ricordi?”

 

Merlin si sentì un po’ in colpa, ma tacque sulla rettifica da fare sulla presunta morte di Kilgharrah.

“Sì, Sire.” Ammise, perché l’altro ponesse presto fine a quei ricordi dolorosi. Poi si finse impegnato, terminando di asciugare Aithusa che non perse tempo e subito si avvicinò ai pesci-dono, spingendoli col muso verso Arthur, come chiaro invito.

 

“Vi sta suggerendo di approfittarne!” gli rese noto lo stregone, dando voce al gesto della bestiola, che guardava il re con… perplessità? Poteva un drago esprimere perplessità?

 

Il cavaliere si mosse a disagio.

“Apprezzo il gesto, ma… sono crudi… e dovresti quantomeno ripulirli dalle interiora.” Spiegò, rivolgendosi al servo e all’animale in contemporanea.

 

“Se mi prestate il vostro pugnale, potre-” stava per suggerire lo scudiero, ma Aithusa lo precedette e, spalancata la piccola bocca e gonfiato il petto, sputò una breve ma potente vampata di fuoco che aveva arrostito i pesci, lische comprese.

 

Arthur era rimasto a boccheggiare per almeno mezzo minuto buono, mentre Merlin, superata la sorpresa, era scoppiato a ridere, tenendosi la pancia.

 

“Dovreste vedere la vostra faccia adesso!” disse, indicando il suo padrone. “Credo che Aithusa abbia colto la parte del discorso in cui vi lamentavate che fossero crudi, ma dev’essersi persa quella del ripulirli!” ridacchiò, chinandosi per fare una carezza sulla testolina della bestiola. “Sei stata bravissima!” la lodò. Quindi, ignorando il volto sdegnato di Sua Altezza e le sue regali proteste, aveva addentato il pescetto più vicino a lui.

 

“Ma ci sono ancora le interiora…” aveva provato ad obiettare il cavaliere, indeciso se dar retta ai morsi della fame, risvegliata dall’invitante profumino che aleggiava nell’aria tutt’intorno a loro, o rinunciare con stoico ritegno.

 

“Se voi volete astenervi, renderò io onore alla sua fatica!” lo avvisò il servitore. “Ma non sapete cosa vi perdete!” lo lusingò, addentando con gusto un secondo boccone. “Su! Non fate lo schizzinoso! Sono cotti arrostiti al punto giusto!”

 

E fu così che Sua Maestà cedette.

“Uhm! Niente male!” si complimentò, infatti, dopo un piccolo assaggio diffidente.

 

“Visto?!” concordò il mago, felice di aver dimostrato che aveva ragione ma, ancor più, che Aithusa si fosse rivelata utile per qualcosa di importante. “Dovreste ringraziarla...” gli rese noto, intanto che lui accarezzava il cucciolo fra le braccia, chiedendosi mentalmente se poteva o meno spingersi fino a tanto.

 

“Non ti allargare troppo, Merlin.” Lo freddò infatti il nobile, con modi spicci. Tuttavia, dopo un istante, egli riprese. “Mi dispiace di aver pensato di farti diventare una frittata.” Si scusò, rivolto direttamente al draghetto, che rispose con un conciliante “Gree.”

 

“Avevi comunque ragione su una cosa,” riprese Arthur, rivolgendosi stavolta al servo. “Questo drago vale sicuramente più da vivo che da-” – capìta l’antifona, lo stregone tappò celermente le orecchie del cucciolo, affinché non udisse il resto di quei discorsi raccapriccianti. – “-morto.” Terminò infatti il sovrano, senza farsi scrupoli, leccandosi le dita prima di afferrare un nuovo pescetto.

 

“Sire!” lo sgridò, quindi, ammiccando verso l’animale magico che aveva in grembo, con la speranza che il Babbeo Reale capisse il sottinteso. Speranza vana. “Non davanti a lei!” spiegò infine, sbuffando rassegnato. “Non dovreste usare certe parole!”

 

“Oh, non sapevo che fosse anche permalosa…” si difese il sovrano, fraintendendo. “E comunque stavo sottolineando che sarebbe utile studiarne le potenzialità, per poi sfruttarle… Conoscendo la sua pericolosità, potremmo avvantaggiarci e-”

 

Ma se è inoffensiva!” lo contraddisse lo scudiero, forte delle sue ragioni, indicando il cucciolo neonato che, nel frattempo, era sceso dalla sua pancia per giocare lì vicino.

 

Giusto in quel mentre, sbatacchiando qua e là un pezzo di mantello per intrattenersi da sola, Aithusa si colpì il naso e, starnutendo, sbuffò scintille strappando a Merlin un sorriso divertito; ma, un secondo dopo le scintille, le sfuggì una vampata che bruciò un lembo del mantello del re.

Se non fosse stato per la prontezza del servo, che calpestando la stoffa aveva spento il principio d’incendio, sarebbero rimasti senza coperta per ripararsi quella notte.

 

“Inoffensiva?!” gli aveva fatto il verso Arthur, con sussiego, più divertito che sconvolto dal fatto. 

 

“Beh… va controllata e… e educata…” si era corretto lo scudiero, sinceramente dispiaciuto per l’incidente, verificando la gravità della bruciatura.

 

Lascia perdere…” gli ordinò il sovrano, sventolando una mano a mezz’aria. “Piuttosto, pulisciti la faccia: dev’essere bava di drago quella che ti cola dalla guancia destra!” gli appuntò, arricciando il naso per il disgusto.

 

Il servo arrossì colpevolmente – come quando, da bambino, sua madre Hunith lo sgridava se tornava dallo stagno tutto inzaccherato di fango – e successivamente si ripulì sommariamente con una manica.

 

Fu lo strano comportamento di Aithusa ad interrompere le loro chiacchiere.

 

Ma che diamine…?” domandò il re, sorpreso, perché sembrava proprio che quella sera non avrebbero avuto pace.

 

A Merlin non rimase altro che concordare.

 

 

Continua...

 

 

 

Disclaimer: I personaggi di Merlin, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.

 

Ringraziamenti: Un abbraccio a Tao, che sopporta i miei scleri. X3
E a Giuls, che mi coccola col suo entusiasmo!

 

Note: Il colore del titolo ‘dovrebbe’ richiamare le gradazioni dell’uovo, purtroppo non è possibile farlo in modo realistico. U_U

 

Per pignoleria, faccio notare che durante la puntata l’uovo cambia colore un numero imprecisato di volte.

All’inizio è bianco, con l’apice e il pedice azzurrognoli, alla fine è tutto blu chiaro. XD

 

Il riferimento a Balinor e alla presunta morte di Killgarrah è un ovvio rimando alla puntata 2x13 “The Last Dragonlord”.

 

 

Visto che con Linette lo apprezzate, vi aggiungo un’anticipazione del prossimo capitolo:

 

Arthur…’

 

C’era una voce, nella sua testa. Una voce femminile, di bambina.
Una chiamata mentale, un’eco soffusa e confortante, una bolla accogliente che scivolava in ogni anfratto del suo essere sanandolo e guarendolo.

 

Arthur…’

 

Ripeté, vezzeggiandolo sinuosamente, per spingerlo ad uscire dal suo bozzolo onirico.

 

 

Avviso di servizio: Spero di trovare il tempo di aggiornare Linette 64 fra qualche giorno.

Come sempre, grazie per tutti i vostri pareri.

 

 

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Farai felici milioni di scrittori.

(Chiunque voglia aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio crede)


Come sempre, sono graditi commenti, consigli e critiche.


Grazie (_ _)

elyxyz

 

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Capitolo 5
*** Capitolo V: Un Nuovo Inizio (The right thing to do) ***


Aithusa 5

Eccoci giunti alla fine di questa mini-long.

Dovrei scusarmi del ritardo: mi sono lasciata trascinare da altre storie, dai casini di famiglia e dagli impegni lavorativi.

 

Anche qui valgono le stesse indicazioni dei precedenti capitoli.

La storia prende spunto dagli eventi della puntata 4x04 “Aithusa; tuttavia, essi sono stati rimaneggiati verso un’altra direzione dal minuto 25 circa in poi. Diciamo che nella mia fic non entreremo nella grotta e prenderemo un’altra strada. Ah! Ho anche usato le parole di Kilgharrah a mio uso e consumo. XD
Senza spoilerare nulla della quinta stagione, confermo che questa storia era ed è rimasta un “what if” degli eventi.

 

Come ho spiegato ad alcune autrici a suo tempo, ho scelto di non leggere nessuna fic su Aithusa, per non venirne influenzata mentre scrivevo questa storia. Chiedo perdono se, in qualche modo, questa fic può assomigliare ad altre, la cosa non è affatto voluta ed è del tutto casuale.

In minima parte, è anche un omaggio a Saphira di Eragon, anche se è passato un secolo da quando l’ho letto.

 

ATTENZIONE: Merlin & Arthur, friendship (o pre-slash SOLO AD INTERPRETAZIONE PERSONALE).

 

 

Anzitutto, grazie!
Ho visto che, nel corso di questi mesi, molte nuove persone hanno messo questa fic tra le preferite, seguite e da ricordare.

Mi piacerebbe davvero leggere un piccolo parere da parte loro… almeno adesso, visto che questo è l’ultimo capitolo.

 

Una dedica a crownless, chibimayu, DevinCarnes, Sheireen_Black22, Raven Cullen, Yuki Eiri Sensei, Sheireen_Black 22, elfin emrys, mindy e Orchidea Rosa.

Grazie per aver commentato.

 

Aithusa

 

[Our Egg, Our Mascot]

 

 

 

Capitolo V: Un Nuovo Inizio (The right thing to do)

 

 

Cosa sta facendo?” chiese il cavaliere allo scudiero, stupito quanto lui.

 

“Non ne ho idea.” Ammise il mago; e ad entrambi, seppur interdetti, non rimase altro che stare a guardare.

 

La bestiola aveva smesso di giocare tutto d’un tratto, sostando ferma e rigida per lunghi istanti, poi aveva preso ad annusare l’aria con interesse, allontanandosi un po’ da loro, calpestando l’erba come se stesse seguendo una traccia, un percorso noto solo a lei. Ad un certo punto, s’era fermata e aveva iniziato a girare su se stessa, compiendo una specie di danza in circolo.

 

“Che sia un rituale magico?” diede voce Arthur, incuriosito e preoccupato al contempo.

 

Merlin stava per dirgli che sì, poteva anche essere, ma Aithusa lo precedette accucciandosi e, dopo aver rilasciato un “Greeee” soddisfatto, si risollevò con l’intento di tornare da loro, lasciando in bella vista un puzzolente ricordino fumante.

 

“Uhm, no. Direi che non era un rituale magico, Sire. Considerò il servo, fingendosi serio, per non offendere il suscettibile amor proprio del suo padrone; eppure, appena il suo sguardo incrociò quello corrucciato dell’altro, scoppiò a ridere inevitabilmente.

 

“Merlin, non fiatare!” gli intimò, inutilmente.

 

“Oh, suvvia…” sdrammatizzò lo stregone. “E’ stata persino così gentile da allontanarsi per non ammorbarci con l’odore sgradevole! I vostri cani non hanno mai queste premure con me!” la difese.

 

Il drago, ignaro di tutto, fece ritorno, scodinzolando allegro.

 

“Ma guardala! Sta… sta sculettando!” denunciò il re, davanti all’ennesima assurdità della giornata.

 

“Eh! Sarà felice, no?” la giustificò. “Parola mia, Sire! Anche voi siete maggiormente di buonumore quando riuscite ad evacuare!”

 

“Merlin. Stai. Zitto.” Sibilò il sovrano, sollevando il busto con un gemito – le costole non gli davano tregua – lanciandogli contro un sasso, dispiaciuto di non aver null’altro a portata di mano per ritentare.

 

“D’accordo.” Concesse l’altro per accantonare la questione, conscio di aver esagerato un tantino, scansando la pietra per pura fortuna. “Vi fa ancora molto male?”

 

Nh.” Mugugnò il re, cercando invano una posizione confortevole contro l’albero a cui era appoggiato, e sdraiandosi quindi sull’erba, eppure la situazione non migliorò. “Mi costa ammetterlo ma, se non fosse già buio, ti manderei a cercare qualche altra radice con cui avvelenarmi. Sarebbe sempre meglio che stare così e…” egli s’interruppe, poiché il draghetto in avvicinamento era entrato nella sua visuale rasoterra.

Prima che Arthur potesse cacciarlo, il cucciolo finì quasi per cozzargli contro.

“Sciò!” sbraitò, infastidito da quell’invasione, alzando la mano e scoprendo, solo in quel momento, di non riuscire a farlo. Con orrore, Arthur ritentò, ma tutto il suo corpo sembrava paralizzato. “Merlin, tiralo via!” urlò quindi. “Non posso muovermi!” però il servo, credendo che scherzasse, non lo aiutò. “Mi mangerà!” guaì il sovrano sconvolto, incoerentemente, vedendo i dentini aguzzi ad un palmo dal suo naso.

 

“Macché!” lo smentì il servitore, mentre Aithusa lo annusava. “Riconosce il vostro odore, perché l’avete covata anche voi!”

 

“E se invece stesse cercando di capire se come pasto sarei di suo gradimento?” domandò il re, stridulo.

 

Merlin rise e intanto la bestiola si era chinata a leccare il petto di Arthur, nello squarcio della casacca dov’era stato ferito. Le sue zanne acuminate sfiorarono la pelle del torace, facendolo rabbrividire.

 

“Ecco, mi mangia!” profetizzò il nobile cavaliere, sull’orlo di una crisi di nervi. “Mi vuoi aiutare?!

 

“Ma… n-no…” fu il replicare più dubbioso del mago, che non capiva più le intenzioni del drago e se l’Idiota Reale stesse fingendo o meno.

 

“Il cuore! Mi mangia il cuore!!” strillò Arthur, spaventando a tal punto il cucciolo che Aithusa scappò via, per andare a rifugiarsi tra le braccia dello stregone, nascondendo il muso sotto la sua casacca.

 

Quella bestiaccia!, mi ha incantato!” strepitò il giovane Pendragon, risollevandosi di colpo in piedi e zoppicando, non appena sentì che era nuovamente padrone di sé e che le forze gli erano tornate. “Uh!” soffiò, tastandosi il costato e rimanendo con le dita appiccicose. “Ma… com’è possibile?”

 

Merlin, che davvero faticava a raccapezzarsi e a calmare l’inquietudine della dragonessa, chiese spiegazioni.

“Che avete, adesso?”

 

“Il dolore alle costole è… diminuito.” Rivelò il re, inspirando a pieni polmoni per verificare. Ed effettivamente sentiva meno male.

 

Aithusa vi ha guarito col suo potere!” gli spiegò il mago, arrivando alla soluzione dopo qualche istante di riflessione. “Voi, e la vostra malafede! Mi vuole mangiare’!” lo scimmiottò, guadagnandosi un’occhiataccia. “Vi ha immobilizzato solo perché ha capito che siete un Asino e non vi sareste mai lasciato toccare spontaneamente da lei!” gli appuntò, sapendo di avere ragione. “Dovreste ringraziarla, invece di urlarle contro!” lo rimproverò, cercando ancora di calmare il suo tremore.

 

Poiché l’unica risposta del sovrano di Camelot fu uno sguardo fugace alla maglia palpitante, che fungeva da nascondiglio, e un grugnito a metà strada tra un’ammissione coatta e una richiesta di perdono, Merlin accantonò la faccenda, anche perché la bestiola non smetteva di avere paura.

 

Per distrarla, dopo qualche coccola, egli si mise a giocare con un rametto secco, alla stessa maniera con cui avrebbe intrattenuto un gattino: muovendolo qua e là, faceva in modo che il drago lo seguisse, poi lo allontanava e lo avvicinava alle zampette, anticipando le mosse dell’essere magico di qualche istante, che pure pareva avvinto dal gioco, puntando il musetto ed emettendo un “Grrr-e” di concentrazione. Merlin ridacchiò, divertito; ma quando – dopo appena pochi minuti – Aithusa perse la pazienza e si fermò, anziché preparare l’ultimo assalto, spalancò le fauci e...

 

Il mago fissò incredulo il rametto carbonizzato che ancora teneva in mano.

“Ehi!” protestò. “Così non vale!” la sgridò, contrariato.

 

Arthur, invece, si mise a ridere. “E’ solo un cucciolo, Merlin.” Lo canzonò, per provocazione. “E ora smettila di giocare; è tempo di dormire…” gli ordinò, fintanto che il draghetto scodinzolava, e sbatacchiava le alucce tutto festoso, emettendo un vittorioso “Greeee!!

 

 

***

 

 

Accordarsi per come trascorrere la notte fu un po’ più complicato del previsto, ma Arthur era rassegnato all’idiozia del suo servitore.

 

Dopo averlo spedito a raccogliere legna da ardere, per alimentare il fuoco per le veglie successive – rammentandogli, stavolta, di sottrarsi a scampagnate infinite nel bosco, onde evitare che la sua regale persona si preoccupasse per l’inutile esistenza del suo servo –, Merlin aveva sbuffato con la solita irriverenza e si era incamminato. Tuttavia, impedire ad Aithusa di seguirlo si era rivelato un tantino più complesso. Alla fine, lo scudiero le aveva ordinato di restarsene vicino al fuoco e il cucciolo, mugugnando una serie di proteste strazianti, aveva infine ceduto a malincuore, sotto lo sguardo diffidente del re che si era rifiutato di intrattenerla facendole da balia e che, al massimo, aveva tollerato di doverla tenere d’occhio.

 

Quando lo stregone aveva fatto ritorno, carico come un mulo di rami secchi e sterpaglie, il draghetto gli era zampettato incontro tutto esuberante, divertendo il sovrano per l’eccessiva euforia.

 

“Sembra che tu sia mancato per delle lune intere!” ironizzò, compatendo il comportamento della bestiola che saltellava tutt’attorno al mago, gracchiando felice.

 

“E’ perché lei capisce il mio valore, Sire.” Lo rimbeccò Merlin, con lo stesso tono. “Siete forse invidioso?” lo pungolò, facendolo inalberare.

 

“Ma cosa diamine ti passa per la testa?!” s’indispettì, permaloso.

 

E il servo, facendo spallucce, decise di non replicare all’Asino Reale; quindi si rivolse alla dragonessa. “Ma quanto sei intelligente, tu!” la lodò, con una carezza sulla nuca squamata, venendo ricompensato da gorgoglii a profusione, che lo fecero sorridere come un ebete.

 

“Smettetela di amoreggiare, voi due!” li sgridò il sovrano di Camelot, burbero.

 

In risposta, il valletto sollevò gli occhi al cielo, ingoiando una rispostaccia. Quello che stupì Arthur fu che anche Aithusa sembrò esprimere la stessa insofferenza, ma certamente ciò era impossibile e lui doveva essersi sbagliato.

 

“Merlin, vai a dormire!” ordinò quindi, spiccio, imponendosi contegno e lanciandogli contro il proprio mantello.

 

“Ma Sire! E voi?” protestò il suo servo, come si era aspettato che facesse.

Arthur sorrise interiormente. Se quell’idiota si vantava di conoscerlo bene, anche lui poteva dire altrettanto.

 

“Io farò la guardia, ovvio.” Spiegò, con una punta di sussiego che evidenziava la scontatezza della questione.

 

“Farò io il primo turno!” propose lo stregone, osservando ora Sua Maestà ora il cucciolo che sembrava straordinariamente interessato alla discussione.

 

“Non se ne parla neppure!” lo tacitò il giovane Pendragon, incrociando le braccia.

 

Ma-

 

Arthur imprecò mentalmente contro la sua testardaggine.
“Punto primo, Merlin.” Elencò, con la consueta, regale presunzione. “Abbiamo già appurato che tu sei una pessima sentinella.”

 

Il mago arrossì, vergognandosi al cocente ricordo di qualche veglia addietro.

Però…” tentò ugualmente.

 

“Punto secondo, Merlin.” Enumerò nuovamente il monarca, con la medesima arroganza. “Io ho riposato tutto il pomeriggio, mentre tu hai giocato col tuo animaletto da compagnia.” Gli appuntò. “Perciò sono più riposato e vigile di te.”

 

Ma-

 

“Punto terzo, Merlin.” Espose ancora il re, contando sulle dita. “Non dormirei mai sonni tranquilli, sapendo che tu e questo drago scorrazzate in libertà, vegliando sulla mia incolumità.”

 

A quel punto, il mago si indignò.
“Non è corretto!” protestò. “Voi sapete che sorveglierei scrupolosamente la vostra-

 

“Punto quarto, Merlin.” Evidenziò Arthur, interrompendolo senza remore. “Il re sono io, comando io, e decido io. Giusto?” domandò retorico, con un ghigno di trionfo.

 

Il mago grugnì un “Asino Reale!” di lamentela, ma fu costretto ad assentire.

Subito dopo, però, egli lanciò uno sguardo ad Aithusa, e inevitabilmente si adombrò.

 

Il nobile, che parve cogliere le sue inquietudini, lo prevenne.

“Giuro, sul mio onore di cavaliere, che non le farò del male.”

 

L’incredibile sollievo, che vide fiorire sul volto del suo servo, lo fece quasi sentire in colpa, e poi ferito.

Davvero quell’idiota temeva che lui avrebbe approfittato del buio della notte per colpire il cucciolo?

Davvero credeva che si sarebbe abbassato ad un atto così meschino? Si fidava così poco di lui?

 

“Raccogli le tue inutili membra e quel sacco di pulci e vai a dormire. Ora.” Gli intimò, forse più duramente che nelle sue intenzioni.

 

Ma Aithusa non ha le pulci!” la difese il servo, senza soffermarsi sul tono del comando, eppure seguendo l’ordine, stendendosi vicino al fuoco, con il draghetto tra le braccia.

 

Quando Arthur gli prestò il proprio mantello, a nulla valsero le sue proteste.

“L’aria frizzante mi aiuterà a rimanere sveglio.” Aveva spiegato il nobile, appoggiando la schiena contro un tronco un po’ discosto dal falò, distendendo le gambe, e massaggiando la sinistra ancora dolorante.

 

In breve, ci fu solo il silenzio della notte a fargli compagnia, i richiami degli uccelli predatori e il gorgoglio dell’acqua che scorreva placida poco lontano.

 

Il giovane Pendragon si rilassò, concentrando l’udito sul respiro rassicurante di Merlin – che s’era addormentato all’istante, malgrado i buoni propositi – e che faceva da contraltare a quello più veloce del draghetto, anch’esso appisolatosi qualche momento dopo.

 

 

***

 

 

Arthur…’

 

C’era una voce, nella sua testa. Una voce femminile, di bambina.
Una chiamata mentale, un’eco soffusa e confortante, una bolla accogliente che scivolava in ogni anfratto del suo essere sanandolo e guarendolo.

 

Arthur…’

 

Ripeté, vezzeggiandolo sinuosamente, per spingerlo ad uscire dal suo bozzolo onirico.

 

La prima cosa che il giovane Pendragon vide, aprendo gli occhi, fu il cielo nero punteggiato di stelle sopra la sua testa.

Dannazione, si era addormentato anche se era di guardia.

 

La seconda cosa che percepì, subito dopo, per istinto, fu un peso estraneo che gli gravava sull’addome e sul torace, caldo e solido.

 

Allarmandosi, egli risollevò la testa di scatto, trovandosi a cozzare contro il muso del drago, che guaì di dolore.

 

L’istante successivo, trattenendo a stento un urlo, il re scattò in piedi, facendo ruzzolare sul terreno il cucciolo spaventato.

 

“Tu! Tu! Dannazione!” sibilò, frenando a fatica il tono, puntando un dito contro l’essere magico che tremava spaurito.

 

Aithusa sussultò ancor di più, sotto la sua ira, e Arthur intercettò lo sguardo della bestiola che fissava, ansiosa, Merlin addormentato e le sue braccia confortevoli e sicure. Un nido caldo dove rifugiarsi.

 

“No! Lascialo in pace!” stridé allora, ancora sottovoce, eppure perentorio nell’intonazione, tanto che il draghetto si paralizzò all’istante. “Quell’idiota si è già preoccupato anche troppo per te, oggi.” Lo sgridò.

 

Aithusa chinò il musetto in risposta, tanto da sembrare contrita. Eppure smise di puntare il servo, rinunciando ai propri propositi di salvezza.

Grrre” sussurrò, a sua volta, e ne uscì un lamento gutturale.

 

Il re sollevò un aristocratico sopracciglio, realizzando di essere stato sorprendentemente ascoltato.

In vita sua, non avrebbe mai creduto che si sarebbe trovato a parlare con un drago, facendosi – per giunta – obbedire. Ma, in fondo, quella non era neppure la stranezza più grossa che gli era capitata e, quasi sicuramente, in futuro gliene sarebbero sopraggiunte anche di più strambe.

 

Intanto la bestiola tremante, acquattata al suolo, continuava a fissarlo, in attesa.

 

Arthur si sentì quasi colpevole per averla terrorizzata tanto e, indeciso sul da farsi, si passò istintivamente una mano sulla faccia come per snebbiarsi la mente. Fu a quel punto che sentì la propria guancia e la tempia appiccicose.

 

Ripassando le dita una seconda volta, ma con più cautela e attenzione, realizzò che le abrasioni della caduta contro le rocce non c’erano più. Per questo, adesso non sentiva la pelle scorticata bruciare, perché era tornata liscia a integra.

 

Aithusa aveva leccato e guarito le sue sbucciature.

 

“Sei stata tu?” chiese, retorico. “Perché l’hai fatto?” si stupì, incredulo.

In fondo, a differenza del suo servo, lui non l’aveva mai trattata con particolare benevolenza o amicizia.

 

Greee” gracchiò la dragonessa, in risposta, scodinzolando.

 

“Perché lo hai fatto?” insistette il cavaliere, ammorbidendo il tono inquisitore. “Solo per far felice Merlin?” indagò.

 

Greee” ripeté il cucciolo.

 

Il nobile sbuffò. “Così non ti capisco.” Ammise, abbandonando ogni diffidenza.

 

Aithusa si prese il tempo di scrutarlo per un istante infinito, mentre lui, sotto osservazione, si risedeva a terra contro le radici dell’albero.

 

Arthur…’

 

Sentì echeggiare il sovrano, dentro di sé.

E di colpo sollevò la testa, incrociando lo sguardo d’onice della creatura magica, ancora in attesa.

 

Arthur…’

 

Ripeté il drago, come risposta al quesito del monarca. E tanto bastò.

 

“Vieni. Non ti farò del male.” Dichiarò infine il nobile, per acquietarla, e solo secondariamente per mantenere la promessa fatta a Merlin.

 

La bestiola non se lo fece ripetere due volte e, dimenando la coda e il musetto, lo raggiunse fermandosi ad un passo da lui.

Poi, prima che il re potesse fare alcunché per impedirlo, essa spalancò la bocca e ne uscì un folata calda, che andò a colpire direttamente la gamba ferita del sovrano di Camelot.

In quello stesso istante, il dolore all’arto contuso cessò. Le carni smisero di pulsare tormentosamente, gli spasmi dei muscoli cessarono.

 

“Merlin ha ragione a dire che il tuo è un potere miracoloso.” Riconobbe il cavaliere. “Grazie.” Dichiarò poi, come avrebbe fatto qualunque uomo d’onore, esprimendo la propria riconoscenza per quella provvidenziale guarigione.

 

Aithusa, tuttavia, si limitò a guardarlo con i suoi enormi occhioni neri. Poi, prendendo coraggio, allungò il muso verso la manica della tunica e, afferrandola con i dentini acuminati, la sollevò dalle cosce su cui era posata, per rivoltare il palmo della mano all’insù.

 

Arthur la lasciò fare, incuriosito e finalmente persuaso che il drago non gli avrebbe mai cagionato volontariamente alcun male.

 

“Cos’hai intenzione di fare?” le domandò, cercando di dare un senso a quel gesto.

 

Il cucciolo grugnì un soffuso “Gr-e” prima di leccare la palma scorticata che subito si sanò.

 

Capite le sue intenzioni, il giovane Pendragon allungò anche l’altra mano e il drago ripeté l’azione, completando la sua opera di guarigione.

 

Arthur ridacchiò sottovoce, un po’ per il solletico che la lingua rasposa gli procurava e un po’ per un pensiero che gli si era formulato in testa.

 

“Certo che sei proprio testarda, eh?!” considerò, con un sorriso e rinnovata ammirazione. “Avresti continuato a tampinarmi fino a che non avessi ceduto, facendomi riaggiustare del tutto?” scherzò.

 

Aithusa scodinzolò in risposta, lasciandosi sfuggire un acuto “Greeeee!”

 

Shh!” la tacitò il nobile, ponendosi un dito sulle labbra. E il draghetto, che comprese l’avvertimento, bloccò ulteriori slanci di allegria. Eppure il servitore, poco lontano da loro, mugugnò qualcosa nel sonno.

 

Sia Arthur che il cucciolo adocchiarono Merlin ma, poiché questi effettivamente non si destò, si scrutarono poi a vicenda, indecisi sul da farsi.

 

Dal momento che la notte era ancora lunga, prima di riprendere il suo turno di guardia, il cavaliere rimpinguò il fuoco morente, sotto il controllo vigile del draghetto, che non aspettava altro che un suo ordine.

 

“Vieni qui, dai.” Cedette infine il re e lei, dimenando la coda e sbatacchiando le alucce, corse ad accucciarsi sulle sue gambe con un piccolo balzo e un crocidare soddisfatto.

 

Il giovane Pendragon non si sarebbe mai aspettato di godere del tepore del suo pancino.

Era migliore di qualsiasi coperta, più caldo di qualunque scaldaletto avesse mai provato al castello. Persino le sue vesti di pelliccia sfiguravano al confronto.

 

Aithusa, dopo aver trovato una posizione confortevole, aveva strofinato il musetto contro il suo torace e poi aveva arrotolato la codina attorno al suo polso destro.

 

Arthur, restio a quel contatto, aveva sollevato un sopracciglio, sul punto di protestare, ma all’ultimo aveva rinunciato e, con uno sbuffo di condiscendenza, l’aveva lasciata fare.

 

In fondo, era solo un cucciolo neonato, e probabilmente quell’idiota di Merlin l’aveva già viziato all’inverosimile.

Per questo, il re si sentì in dovere di accarezzare la schiena della bestiola distrattamente, per conciliarle il sonno e, se non fosse stato un drago, Arthur avrebbe giurato di averla sentita fare le fusa.

 

Pur dandosi dello sciocco, il nobile non smise quelle coccole, per ripagarla almeno in parte dei suoi servigi.

 

Anche se non aveva ancora riflettuto – come avrebbe voluto – sul futuro del piccolo draghetto, era ormai certo che l’unica via fosse condurlo a Camelot.

 

Gli costava ammetterlo, ma Merlin aveva avuto ragione su molte cose, e i poteri di Aithusa e la sua indole buona avrebbero potuto salvare la sua gente.

Lei era un dono prezioso. Un buon auspicio per Albion, l’aveva definita il suo servo.

 

Non sarebbe stato semplice, questo no.

Avrebbe dovuto lottare, affinché Aithusa venisse accettata dai nobili del castello, affinché il Consiglio superasse vent’anni di diffidenza e odio contro i draghi e la magia.

Lui, per primo, non si credeva del tutto pronto. Eppure sentiva, nel suo cuore, che era la cosa giusta da fare.

 

Sì, non tutti gli esseri magici erano cattivi e pericolosi, e lui aveva quella certezza fra le sue braccia.

 

 

Fine

 

 

 

Disclaimer: I personaggi di Merlin, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.

 

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Note: Il colore del titolo ‘dovrebbe’ richiamare le gradazioni dell’uovo, purtroppo non è possibile farlo in modo realistico. U_U

 

Per pignoleria, faccio notare che durante la puntata l’uovo cambia colore un numero imprecisato di volte.

All’inizio è bianco, con l’apice e il pedice azzurrognoli, alla fine è tutto blu chiaro. XD

 

Il potere taumaturgico dei draghi è più volte utilizzato nel telefilm di Merlin.
Nel finale della quarta stagione, abbiamo visto che uno sputacchio di Aithusa rimette in vita anche una Morgana moribonda, no? XD

 

 

Avviso di servizio: A chi interessa, Linette 69 arriverà nel giorno del suo terzo compleanno.

E la raccolta comica spoiler The Once and Future… Prat. è stata aggiornata al 4° capitolo qualche giorno fa.

 

 

 

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