You're the one I chose to love. di Hop_LBS (/viewuser.php?uid=190953)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** One. ***
Capitolo 2: *** Two. ***
Capitolo 1 *** One. ***
You're
the one I chose to love
Prologo,
mi presento.
Salve,
mi chiamo Emanuela ed ho
14 anni, per adesso.
Ho i capelli rossi (tinti) e gli
occhi castani.
Vesto in maniera da degno figlio
di satana, come amano etichettarmi le vecchiette sul bus che mi
guardano male
sussurrando “ah, i giovani di oggi!”.
Che poi, pensandoci, non vesto
poi così stranamente, perché me li passo tutti
gli stili, prima o poi. Ma non è
questa la cosa importante.
Vivo in una città del sud che
reputo praticamente come una prigione, ho avuto la fortuna di stare
economicamente bene, ho una bella casa, due genitori, due fratelli e
una
cognata che vive in casa.
Dicono di me: ho un’indole
abbastanza irascibile, liberatoria. Sono cinica e testarda, ma ho un
gran
cuore, sono allegra e intelligente ma sono terribilmente timida.
Le mie passioni: io vivo di esse,
amo la musica, difatti suono chitarra acustica ed elettrica, basso e
pianoforte
e, inoltre, canto ed è il sogno della mia vita. Insomma, non
vi è mai capitato
di mettere la musica a tutto volume senza prestar attenzione alla gente
del
condominio che viene a suonarti al campanello, attaccare la tua
chitarra
elettrica all’amplificatore, salire sul letto e cominciare a
cantare e suonare
all’impazzata facendo finta di essere su uno dei
più grandi palchi di New York
e sentirsi chiamati dal pubblico in estasi? No? Beh, provateci.
La mia forte passione per la
musica è nata circa in quinta elementare quando, dopo
essermi ripresa dalla mia
fissa per Hilary Duff, ho cominciato a seguire quella che, adesso,
è diventata
la ragione del mio sorriso: Avril Ramona Lavigne, una nana canadese con
due
occhi color del mare, un nasino a punta e una voce stupenda.
Ovviamente, in
quattordici anni, i miei orizzonti si son ampliati e non ascolto solo
lei (seppur
io continui ad amarla più di ogni altra cosa), difatti seguo
anche i miei tre,
pazzi, marziani, niente poco di meno che i Thirty Seconds To Mars! E,
dati la
mia cantante e la mia band preferita viene il turno di tutti gli altri:
Paramore, Sum 41, Green Day, The Pretty Reckless e, stranamente, One
Direction
e un ragazzo uscito da Amici, ovvero Pierdavide Carone.
Mettendo un attimo da parte la
mia pallosa presentazione tengo a motivare il perché dei due
ultimi nomi, no,
perché potrebbe sembrarvi strano letti tutti i precedenti,
beh: gli One
Direction mi piacciono perché hanno, tutti e cinque, delle
voci veramente
spettacolari e particolari, me ne sono subito innamorata, Pierdavide,
invece, è
un cantautore che stimo in una maniera assurda, ha una voce particolare
e i
suoi testi hanno un significato, nulla a che vedere con ciò
che si sente adesso
e, inoltre, è uno dei pochi che parla d’amore,
sì, ma non in maniera
sdolcinata, ma reale. Pierdavide è la ragione per cui non ho
un brutto
pregiudizio verso i giovani che cominciano dai talent,
perché il talento non è
morto.
Oh, sì. Devo continuare con le
mie passioni (?). Mi piace scrivere, leggere, guardare anime e leggere
manga,
recitare, ballare, collezionare e pattinare sul ghiaccio.
Finito di chiarire questo punto,
posso dirvi di avere due migliori amici, un maschio e una femmina,
entrambi con
la A come iniziale ed entrambi con gli occhi azzurri come il cielo:
Alessandro
e Alice.
Il primo è un amico d’infanzia,
lo conosco da sempre e con lui ho un rapporto meraviglioso, senza non
potrei
seriamente vivere, ormai è come se facesse parte di me.
Alice, invece, la
conobbi ad una scuola di danza moderna, siamo praticamente come
sorelle,
condividiamo tutto come, ad esempio, gli abiti Abbey Dawn (linea
d’abbigliamento
firmata da Avril Lavigne) che compriamo dividendoceli, così
da avere sempre
l’intera collezione.
Per finire, giusto per non farvi
chiedere “chi cazzo è?”, vi scrivo
alcuni nomi di amici che sentirete spesso:
Marco (che vive nel mio stesso condominio, la porta di fronte alla
mia), Luca e
Diego (fratelli, vicini di casa che sì, sono quei due
chiamati Sonohra alla
quale varie ragazzine vanno dietro e sì, sono nati a Verona
ma non viviamo lì e
quindi non ho sbagliato a dire di stare al sud), Martina ed Eliana
(compagne
delle medie con cui ho mantenuto i rapporti), Tania (compagna delle
elementari
con cui passo ancora tantissimo tempo), ed infine Giulia e Carlo, altri
due
compagni delle medie che mi accompagneranno durante il percorso
scolastico
delle superiori che comincerò esattamente domani.
Oh sì, dimenticavo di dirvi la
cosa più importante: manca poco al compimento del mio
più grande sogno, già,
mancano solo due giorni al 10 settembre, difatti mi trovo a Roma con la
mia
famiglia e la mia migliore amica, vi starete chiedendo
perché. Eh beh, il 10
settembre Avril Lavigne fa tappa a Roma, la seconda delle tre tappe
italiane
del Black Star Tour, nulla da dire: sarà il giorno migliore
della mia vita.
The
Black Star Tour.
Oggi
è il 10 settembre e io e
Alice portiamo leggeri abiti della linea d’abbigliamento di
Avril, zaino in
spalla pieno zeppo di acqua fredda e snack. Ci troviamo davanti ai
cancelli del
Pala Lottomatica e siamo in fila sotto il sole sciogliendo
letteralmente.
Ci sono urla e pianti ancor prima
di entrare, bancarelle provviste di ogni qualsivoglia tipo di gadget.
Scrutiamo un po’ tra la folla e
decidiamo di chiamare al cellulare una’altra delle nostre
amiche fan di Avril,
Miriam e dopo Assunta. Riusciamo a rintracciarle e ci raggruppiamo.
La prima l’abbiamo conosciuta
durante un’occasione che vi racconterò in seguito,
anche lei è della nostra
stessa città. La seconda, invece, l’ho conosciuta
su una chat online ed è di
Bari, Alice la incontrerà per la prima volta oggi. Ridiamo e
scattiamo foto mentre
il tempo passa e presto si comincia ad avvertire un’aria
più nervosa, si
comincia con il conto alla rovescia. Cominciamo ad ammassarci e le
guardie ci
incitano a calmarci, arrivato il nostro turno mostriamo il biglietto e
cominciamo a correre per le scale che porteranno all’entrata
del luogo che
avrebbe per sempre segnato la mia mente.
Correvo incredula cosciente di
star per accedere come ad un paradiso abitato da un solo angelo
terrestre.
Lei è il mio idolo e io non posso
reprimere queste emozioni.
Entriamo e l’attesa è straziante,
avanziamo per il parterre a forza di spintoni e riusciamo a raggiungere
un
posto abbastanza vicino al palco.
Miriam continuava a scattare foto
che certamente, in seguito, mi sarebbero state utili, ma non in quel
momento,
non riuscivo nemmeno a ragionare pensa a scattare foto.
Le urla erano schiaccianti e per
un attimo pensai di essere lasciata indietro, tuttavia partirono le
prime note
di Black Star e lei entrò, era magnifica dal vivo ed era
certamente più bassa
di quanto pensassi.
Però era favolosamente reale,
nulla in confronto a come la si vede nelle foto, era lì, sul
serio.
Cominciai a piangere, non riuscì
a trattenerlo.
Lo ammetto, avevo già incontrato
Avril Lavigne ma non ero mai stata ad un suo concerto, esso
è arrivato quando
ne avevo più bisogno, quando l’ansia per
l’arrivo di una nuova vita mi stava
schiacciando, lei è sempre stata puntuale.
La sua voce echeggiava nella
grande sala, le urla erano terribilmente fastidiose ma
riuscì a sentire solo
lei, camminare per il palco con il suo meraviglioso sorriso, mentre
cantava una
dolce canzone accompagnata da svariate luci e fumi colorati.
19
Settembre.
Oggi
ricomincia la dannatissima
scuola.
Preparo la cartella, chiamo mia
madre e mi faccio accompagnare a scuola.
Prima facciamo una sosta a casa
di Ale che sale in macchina, sì, frequentiamo la stessa
scuola ma siamo in due
indirizzi diversi, indi per cui è impossibile star nella
stessa classe.
Arriviamo a scuola e ci
dividiamo, trovo Carlo e Giulia e ci sediamo sulle sedie
nell’aula magna per
subirci, oltre al soffocante caldo, la noiosa storia del preside: non
si arriva
in ritardo, non si usano i cellulari, studiate! Ed ecco che comincia la
terribile
marcia verso l’inferno: lo smistamento in classi ed ecco che
inizio a pensare in
modo idiota “non serpe verde, non serpe verde”,
aspettandomi un cappello
parlante che mi risponda (?). Insomma, vi ricordate il primo giorno di
scuola
alle superiori? Quando stavi praticamente morendo dentro a causa
dell’ansia?
Perché eri piccolo, e andava bene?
Oh, ecco che mi viene in mente
Fifteen di Taylor Swift.
Si giunge alla sezione D molto
velocemente ed io, avendo il cognome cominciante per C, vengo chiamata
praticamente all’inizio. Okay, calma, devo solo non cadere,
posso farcela.
Andiamo, lo sappiamo tutti che il
primo giorno di scuola si fa sempre una figura di merda.
Però ce la faccio, riesco ad
arrivare al traguardo senza cadere, aspetto Carlo e Giulia e comincio a
guardarmi intorno. Alla prima occhiata, tra i miei compagni, non vedo
nulla di
particolare e, di conseguenza, non mi interesso a nessuno di loro.
Conclusosi l’appello arriva la
signora che sarebbe stata la nostra professoressa di lettere per i
prossimi
cinque anni. Cerchiamo una classe perché sì, la
mia scuola è immensa e non riusciamo
a trovarla, alla fine ci accomodiamo in una di esse (che non
è la nostra) e ci
presentiamo, la professoressa è la solita buona/pezzo di
pane ma bestia se si
arrabbia, che comincia a farci gli altrettanto soliti discorsi da mamma
tanto
quanto impicciona e poi ci chiede di presentarci. La mia presentazione
è stata:
“Mi
chiamo Emanuela, nome che odio perché è
decisamente troppo lungo.
E,
riassumendo, ho molte passioni”.
Eccola
la mia presentazione, corta e recitata con l’entusiasmo
di un bue.
Ovviamente, la prof della comprensione non può accettarlo,
difatti mi chiese che genere di passioni, okay, quella parte dovevo
evitarla:
“Tante
e varie, ma quella che coltivo da più tempo e che
amo
di
più è decisamente cantare, in inglese, per
puntualizzare”.
Dal
mio posticino all’ultimo banco cominciai a scrutare la
classe che, purtroppo, si presentava ai miei occhi sempre uguale:
l’eterno
ripetente, la trasgressiva, la fumatrice accanita, la grassona che si
crede
bellissima, la capoclasse, quella che tra un paio di giorni
comincerà a farsi
conoscere, l’asociale, l’alternativa, il metallaro,
il fighettino, la tamarra,
la chiacchierona, il finto secchione e l’idiota.
Ci sono tutti.
La professoressa, dopo, ci fece fare per iscritto la nostra
presentazione personale, nel più dettagliato possibile,
queste presentazione
sarebbero poi girate fra i banchi, insomma, in modo da far
‘conoscere’ la
classe, tuttavia non mi privai di scrivere nulla di ciò che
ritenni importante.
Al momento della circolazione stetti ben attenta ad osservare il
mio foglio, tanto per capire in quali mani sarebbe andato, tuttavia lo
persi di
vista, a me invece a capitato quello della trasgressiva, nulla di
interessante
in quanto ha praticamente detto soltanto che la sua unica passione
è dormire.
Suonò, finalmente, la campanella che segnò
l’inizio della
ricreazione, anche se, a dire il vero, la campanella sembrava
più un allarme
che una campanella vera e propria.
Mi recai fuori, alla ricerca di un bar che si sa per certo di
trovare nei pressi di una scuola superiore, per poi tornare a scuola
alla
ricerca di Ale, quando aspettavo le mie patatine fritte
–rigorosamente con
salsa rosa- notai un tizio che mi osservava, avete presente il
fighettino di
cui ho parlato prima? Ecco, lui.
Incontrai Ale e ci scambiammo i racconti delle prime due ore
scolastiche da liceali, una più sputtanata
dell’altra, ma andammo avanti.
Finì la ricreazione e tornai in classe, anche se, a dire la
verità, tornarci fu un’impresa.
La mia scuola è decisamente troppo dispersiva, infatti
arrivai
tardi al ritorno dalla ricreazione già il primo giorno,
maledizione.
Durante le ultime due ore abbiamo avuto
‘l’onore’ di fare la
conoscenza della nostra professoressa di scienze della terra e del
professore
di matematica, so che io e lui non saremmo andati molto
d’accordo.
La giornata scolastica finì e tornai a casa.
Il mio primo giorno da liceale è stato come un altro
qualsiasi
primo giorno di scuola, anzi, forse è stato il
più noioso, ah, quanto amavo le
medie.
Il fatto è che alla scuola media la mia classe era sul serio
unita, andavamo tutti d’amore e d’accordo, ed
è per questo che, per la prima
volta, ho potuto passare serenamente le mie giornate a scuola, senza
nessun
tipo di imbarazzo dovuto alla timidezza, adesso però
è diverso, ho praticamente
perso ogni qualsivoglia tipo di interesse nel socializzare con i miei
compagni
di classe, constatato che sono sicuramente persone con la quale non
avrei nulla
di cui parlare, io ho i miei amici e mi vanno bene quelli.
Tuttavia i miei compagni non capiranno questo e continueranno a
discutere sul fatto che la classe è divisa in due gruppi e
che è colpa nostra,
quando noi ce ne fottiamo altamente.
Dico io, ma che vi frega? Voi vivete, noi pure, pace e amore,
no?
Arrivai
a casa, corsi di fretta la mia meravigliosa camera,
entrai e la prima cosa che vidi ad attendermi era il bel faccione che
un
sorriso stampato, un bel poster di Avril appeso di fronte al mio letto
magnificamente da una piazza e mezza.
Oh sì, io amo la mia camera, un giorno di questi ve la
descrivo.
Prendo la luce dei miei occhi (?), il mio fottuto amato computer
portatile, metto su “Let Go” di Avril e chiamo la
vera luce dei miei occhi, la
mia migliore amica.
Ci scambiamo i racconti dei rispettivi primi giorni da liceali e
stabiliamo un giorno in cui fare una bella serata tutto film, musica e
cibo a
casa mia.
Una
(o forse due) settimana dopo.
Dato
che, a causa della corta memoria che mi ritrovo, non ho
idea di quante settimane siano passate dal giorno dell’inizio
della scuola, mi
limito a dire che sono passati parecchi giorni.
Durante questa settimana ho socializzato solo con due persone
che mosso ritenere amici e non compagni di classe, ovvero Martina detta
Mars,
l’unica stranamente
normale, che
condivide pressappoco i miei stessi interessi (manga e anime, lettura,
amore
per One Direction) e Rosario, l’eterno ripetente che,
nonostante rimanga un
bimbo minchia, è piuttosto simpatico, per lui è
come se ci conoscessimo ormai
da anni.
Oggi è un tanto normale quanto noioso giorno di scuola e le
mie
–pettegole- compagne di classe hanno vuotato il sacco:
è impossibile non notare
che sia all’arrivo a scuola, alla ricreazione che
all’uscita io stia con Ale e,
ovviamente, a loro rode, perché Ale è
meraviglioso (oh, sì che lo è) ed è a
dir
poco impossibile che si caghi una cacchetta timida come me, ragion per
cui non
hanno resistito e mi hanno chiesto qualcosa al riguardo, ottenendo da
me solo
un “non sono affari vostri”, con aria
apparentemente gentile.
Più tardi, durante la ricreazione, notai ancora il
fighettino
(Salvatore, detto Salvo) fissarmi, lo fa molto spesso ultimamente e,
inutile
dire, a me non fa affatto piacere.
Andiamo, cosa pensi quando un tuo quasi coetaneo ti fissa in
continuazione? O è uno stalker o ti vuole.
In entrambi i casi, la cosa non è per me.
Comunque sia, Rosario, il mio caro,
fottutissimo, amico ha capito questo mio disagio, io ho
capito che l’ha capito e Salvo ha sicuramente capito che
tutti abbiamo capito
(?).
Ma, adesso vi starete chiedendo, perché
quell’aggettivo poco carino
affiancato a caro?
Beh, presto lo scoprirete.
La ricreazione finì e feci per tornare in classe, ma Rosario
mi
tirò via con lui chiedendomi (o meglio, obbligandomi) ad
accompagnarlo un
attimo al bar della scuola per comprare un fottuto gelato che
certamente non
gli avrebbero lasciato mangiare, ottenendo così solo spreco
di soldi e di
gelato.
L’indomani
mattina mi recai, come al solito, a scuola ma in
classe trovai solo due o tre persone, mi sedetti sicura che sarebbero
arrivati
gli altri.
All’improvviso entrarono Rosario e Salvo a braccetto con fare
tanto gay (sul serio), Rosario mi guardò e mettendosi a
ridere mi disse:
“ Ah, hai presente ieri? Quando ti ho fatta rientrare tardi
dalla
ricreazione? Ecco, deve essere stato durante quel lasso di tempo che
hanno
deciso di non entrare! ”.
Stronzo,
bastardo,
coglione, fottuto figlio di tua madre.
La
prima ora prevedeva religione, tuttavia mancava, indi per cui
avevamo ora di buca.
Rosario e Salvo si sedettero al banco davanti al mio e, dopo,
girarono le sedie sulla quale tenevano le chiappe verso di me e
cominciarono a
ridere in modo sghembo.
Bene, non solo sono costretta ai giochetti di questi due
coglioni ma, dato che eravamo quattro gatti in padella findus, si
progettavano
sei ore di totale NULLA.
Rosario, da degno ereditario al titolo di bastardo, se ne
andò
in bagno lasciando che Salvo cominciasse la sua banale quanto stupida
sottospecie di dichiarazione bastarda:
-
<<
Andiamo, mettiti con me >>
-
<<
Questa è la prima frase che mi rivolgi, te ne rendi
conto? >>
-
<>
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Non immagini quanto, che vuoi? >>
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La risposta la trovi nella prima frase >>
-
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Ti odio già >>
-
<<
Si dice che dall’odio nasce l’amore >>
-
<<
L’unico caso in cui questo proverbio mi è sembrato
veritiero è stato per Rossana ed Heric >>
-
<<
Rossana ed Heric? >>
-
<<
Cazzo, non hai avuto un’infanzia! >>
-
<<
La tua risposta? >>
-
<<
E me lo chiedi pure? Mi stai simpatico quanto la
mozzarella, e io odio la mozzarella >>
-
<<
Ahah, okay. Non ci rimango mica male, non mi piaci sul
serio, solo che mi interessavi >>
Okay,
lo ammetto: è stato peggio dei dialoghi provocatori fra
Joey e Pacey.
La giornata è passata tra nomi-cose-città,
impiccato, salamino e
zero per, e siamo alle superiori.
Esco da quell’inferno, torno a casa e di pomeriggio Diego mi
porta in un negozio nella quale devo farmi fare una maglietta con su
scritto: “Prova a dire che Dragon
Ball è per bambini
che ti prendo a sprangate”, è stupenda,
lo so.
Parecchi
giorni dopo (ho ancora dimenticato le settimane) passò
una circolare che comunicò agli alunni di un concorso canoro
gestito da diversi
insegnati esperti, l’elezioni si sarebbero tenute il giorno
dopo al teatro
della mia città, tutti erano invitati a partecipare o anche
solo a guardare.
Pensate che io abbia scelto di partecipare? Pensate bene.
Ho alzato la mia mano affermando “partecipo!”
sconvolgendo
praticamente tutta la classe (eccetto i miei amici e Salvo), andiamo,
una
timida come me che canta in pubblico?
Lo so, è vero, sono timida ma se si tratta di cantare
è tutto un
altro discorso, per quello sono un’altra persona, cantando
sono me stessa, è
liberatorio.
L’indomani pomeriggio andai ai provini indossando la
maglietta
fattomi fare giorni prima (quella su Dragon Ball), facendomi
accompagnare dai
miei migliori amici.
Notai che tra quelli che sarebbero dovuti essere il pubblico
c’erano anche i miei compagni di classe e, ovviamente, Salvo,
che incrociò il
mio sguardo e, ancora una volta, mi sorrise sghembo.
Arrivò il mio turno, salì sul palco e fui ben
felice di notare
che tra gli insegnati a giudicarmi c’era anche la mia
professoressa d’inglese
che mi credeva una cacchetta solo per una dimenticanza in grammatica,
avrei
potuto dimostrarle che l’inglese invece lo sapevo, e anche
abbastanza bene.
La canzone che portai fu “Complicated”, il primo
singolo di
Avril Lavigne:
“Smetti di guardarti le spalle e fingere di
essere qualcun altro. Non siamo nati per recitare il ruolo di
un’altra persona,
così facendo finiremmo solo per sembrare goffi.
Cadrò, mi spezzerò, mi ferirò
ma non fingerò: non è fingendo che
imparerò a vivere nella mia pelle e poi, se
non riesco ad amarmi come posso pretendere d’insegnarlo ad
altri?”
Questo
è ciò di che, in breve, parla Complicated.
Gli insegnanti mi fecero davvero tanti complimenti e mi ammisero
immediatamente, fui felicissima di essere apprezzata. Corsi via dietro
le
quindi e di certo no, non trovai chi mi aspettavo di trovare.
Al posto degli occhioni azzurri della mia Alice mi ritrovai
Salvo che mi trascinò per un braccio lontano dagli altri e
cominciò a parlarmi,
dicendomi:
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Ci ho ripensato, mi interessi ancora >>
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Solo perché so cantare? >>
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Anche. Voglio dire, per tutto ciò che sei >>
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Che diavolo significa? Prima ti divertivi a prendermi
in giro e adesso vuoi venirmi a dire di esserti magicamente innamorato
di me? >>
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In breve… tipo colpo di fulmine! >>
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Tu hai problemi, seri >>
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Pensa quel che vuoi, ma io ormai ho deciso! >>
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Non puoi perseguitarmi! >>
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Si che posso! Ahah! >>
Aspettai
di lasciare Ale a casa per poi entrare in camera mia
con Alice per raccontarle tutto.
Lei mi rispose che uno del genere era da sposare, ma che ci vede
di bello?
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Capitolo 2 *** Two. ***
You're
the one I chose to love
Ti
farò innamorare di me.
L’indomani,
a scuola, la mia classe (che avrebbe anticipato di
un’ora l’uscita) si trovò costretta ad
ospitare dei ‘divisi’ di un’altra
classe.
Quale classe? Niente poco di meno che quella di Ale.
Qual è il problema? C’è un problema?
No, ma in realtà si.
Il fatto è che non voglio che Ale sappia che Salvo mi sta
dietro, e non so perché.
Oggi Mars è assente, indi per cui il posto accanto al mio
è
vuoto e, ovviamente, Ale si sarebbe seduto lì.
Un compagno del mio amico, che lo era anche alle medie (che io e
Ale, anche se in classi diverse, abbiamo frequentato insieme) vide la
sedia
accanto alla mia vuota e disse, con qualcosa che stento a chiamare
italiano
“Ah, Ale ce l’ha il posto”.
Difatti Ale si venne a sedere accanto a me e, mi dispiace per
lui (e anche per me), la mia professoressa (quella di lettere, quella
caritatevole e generosa quanto impicciona, ricordate?) gli chiese
perché lui
aveva tipo il posto assegnato.
Giulia, che conosceva entrambi da comunque molto tempo, non
riuscì a star zitta e rispose per Ale dicendo:
“Loro si conoscono da un sacco
di tempo”.
Allora, ovviamente, la prof ha cominciato la sua indagine:
-
<<
Da quanto vi conoscete? >> e che cazzo, stiamo
studiando epica, non la mia vita!
-
<<
Ah boh, Manu, da quanto ci conosciamo? >> Lo so
che lo sai, bastardo, se ci tieni rispondi tu!
-
<<
La bellezza di undici anni, Ale >>
-
<<
Ma allora siete amici d’infanzia! Che cosa rara!
>>
è così rara?
Poteva
anche passare, no?
Non per il mio fottutissimo,
bastardo, amico che, non potendo starsene zitto, disse:
“Aah! Salvo è
geloso!”. Ti odio, ti odio, ti
odio, ti
odio, ti odio, ti odio, ti odio, ti odio fottutamente.
La classe cominciò a sghignazzare, io a morire
dall’imbarazzo e
Salvo ed Ale si scambiarono tipo uno sguardo fulminante, cazzo.
È tipo stata
l’ora più pesante della mia vita.
È inutile dire che all’uscita distrussi Rosario
tanto quanto è
palese che quest’ultimo pareggi per Salvo.
Salvo aspettò che tutti i nostri compagni di classe
andassero
via per fermarmi e cominciare la sua terza sottospecie di dichiarazione:
-
<<
Quel tizio è solo un tuo amico, no? >>
-
<<
Si, lo è. Perché? >>
-
<<
Allora non c’è problema, posso provarci, no?
>>
-
<<
Andiamo, smettila. Cercati un’ochetta a cui andar
dietro >>
-
<<
Ma a me piaci tu! E non farmi dire perché, sono un
ragazzo, andiamo! >>
-
<<
Oh, almeno mi risparmi la roba sdolcinata! >>
-
<<
Ho scoperto chi è la Rossana di cui parlavi…
>>
-
<<
Non cambiare discorso, essere che non ha avuto
un’infanzia >>
-
<<
Facciamo una scommessa? >>
-
<<
Mi piacciono le scommesse, che tipo? >>
-
<<
Ti farò
innamorare di me, perché tu sei stupenda in tutto
ed io ti voglio con
me>>
Ammetto
di non essere riuscita a nascondere il mio imbarazzo e
la mia area sorpresa in quel momento, le sue parole mi fecero battere
il cuore
in maniera strana, infarto?
-
<<
Io non sono nessuno per fermare qualcuno che vuole fare
qualcosa a cui tiene, provai pure se vuoi ma, ti avverto, non
sarà facile >>.
Dopo
le mie parole, che segnarono l’inizio di una sottospecie di
dannatissima sfida, lui mi sorrise caldamente e andò a casa,
lasciandomi nella
confusione più totale, ma: “ammettiamolo, io non
potrei mai interessarmi ad un
tipo del genere!”.
“ Si, okay, e allora perché ne parli ancora?
”. Dannata Alice,
luce dei miei occhi, riflesso della mia anima.
Che
il gioco abbia inizio, bastardi!
Di
mattina, a scuola, arrivai in classe più presto del solito
e,
a seguirmi, ci fu Salvo.
Mi aspettavo da lui, dopo l’accaduto del giorno precedente,
non
so, un atteggiamento diverso, e invece nulla, tu vedi lui che, con
nonchalance,
mi si avvicina appiccicandosi a me mi da un dolce bacio sulla guancia
godendosi
il mio dannatissimo imbarazzo davanti alle risate dei miei compagni.
Dolce e stronzo, crepa.
Che poi, cazzo, aveva già cominciato? Perché ho
accettato?!
WHY?!
E beh, mentre il caro moretto continuava a spassarsela io
sprofondavo in una voragine di insulsa disperazione provocata da egli
stesso e
dal mio migliore amico, il quale, dopo aver saputo di Salvo, ha
cominciato a
non rivolgermi la parola e, credetemi, quando fa così
significa che qualcosa di
terribile (?) è alle porte.
Oltre questo c’è la fatidica domanda:
perché cazzo ce l’ha con
me?
Voglio dire, a lui che cacchio importa se c’è un
coglione che mi
sta dietro, anzi dovrebbe essere abbastanza felice nel constatare che
sto
lasciando il nido (?).
Okay, basta.
Ho bisogno di risposte e, quando ne sono in cerca, è solo
una la
persona che può darmele: Alice.
La mia migliore amica c’è sempre e mi conosce
meglio di chiunque
altro, anche più di me, a volte, ed ecco, questa
è una di quelle volte.
Abbiamo parlato tanto, mangiato come porci e riso fino alle
lacrime, giungendo alla conclusione che Ale è tipo geloso,
ma non una di quelle
gelosie tra innamorati, una di quelle che ha un fratello maggiore per
la
sorellina, o almeno così io penso, se lo chiediamo ad Alice,
invece, è il primo
tipo di gelosia, ma io non ci conterei molto, insomma, è
Ale!
Sfinite a causa del troppo pensare, io e la mia unica vera anima
gemella dagli occhi azzurri ci stendiamo nel mio bellissimo e
morbidissimo
letto piazzandoci il mio amato computer davanti, digitando ebay e
cercando
oggetti vari per completare al meglio i nostri cosplay di tutti i
personaggi
femminili dei giochi di Pokemon, porteremo due di loro al Lucca Comics,
anche
se, a dire la verità, sono un po’ indecisa tra
Touko (White) e Haruka
(Sapphire) ma, lo so, a voi non importa un fico secco.
Ad un certo punto Alice accede a face book con il mio account e,
pregandomi, mi chiede di farle vedere il ragazzo che sarebbe stata
costretta ad
uccidere con le sue mani per preservare il mio primo bacio (wtf?!).
No, non gliel’avrei fatto vedere e no, non so il
perché.
Come se avessi una sottospecie di paura del suo giudizio, magari
non le sarebbe piaciuto, boh.
Di
sera, verso le undici meno venti, andai a coricarmi, come mio
solito fare, tuttavia l’ansia riguardante la situazione tra
me ed Ale mi
tormentava, così decisi di mettermi al calduccio sotto le
coperte e stare un
po’ al PC, accessi a face book e, dopo non molto, Salvo mi
contattò:
-
<<
Hey, ancora sveglia? >>
-
<<
Oh sì, e la colpa è in parte tua >>
-
<<
Ne sono onorato allora! Sai, ho guardato i tuoi album
fotografici >>
-
<<
E allora? Ti sei divertito, stalker? >>
-
<<
Insomma, se li hai messi vuol dire che possono essere guardati!
>>
-
<<
Qual è il punto? >>
-
<<
Hai parecchie foto con quel tizio dagli occhi azzurri!
Dannazione, mi da fastidio >>
-
<<
Oh, non sai quanto mi dispiace… >>
Merda.
La
scuola continuava come al solito, il mio rapporto con Salvo
anche e quello con Ale sempre quello da post Salvo, l’unica
cosa che mi è
sembrata progredire in queste settimane è il mi cosplay di
Haruka.
Siamo già a novembre e anche se non è del tutto
normale, a casa
mia già comincia a sentirsi l’aria natalizia dato
che cominciano già da un mese
prima a organizzare il grande cenone di famiglia, che palle.
Il punto è che questa cena è davvero una palla al
piede, è di
una noiosità assurda, posso sinceramente dire che
l’unico momento degno di
essere vissuto e ricordato è quello in cui io, i miei
fratelli, i miei svariati
cugini e i miei migliori amici ci piazziamo davanti la televisione a
giocare
alla wii.
Tornando all’origine del problema voglio dire che esso
è Ale, se
continuiamo a star così dubito che anche
quest’anno accetterà di passare il
Natale da me e, data l’irregolarità, cominceranno
miriadi di domande
inopportune da parte di parenti invadenti, merda.
Nonostante questo Alice finge di non sapere quello che penso e
continua a dedicarsi ai preparativi natalizi, i motivi per cui fa
ciò sono due:
il primo è il fatto che fa parte della mia famiglia e in
quanto tale è più
presa dalle nostre tradizioni di quanto lo sia io, il secondo
è che mi sta
sempre dietro e mi sopporta, ma quando siamo a Natale non vuole
problemi, per
lei è l’unico periodo in cui si deve dimenticare
tutto, sorridere e basta,
anche davanti ad un problema apocalittico, solo perché ce lo
meritiamo, anche
solo per un corto fottutissimo periodo dell’anno e, devo
ammettere, la cosa mi
influenza.
Per il resto devo dire che l’aria natalizia scolastica
è
pressoché nulla: nessun disegno di natale, nessuna festa,
nessun regalo,
nessuna giocata a carte, nessun tema di natale.
Perché sì, tutto questo lo facevo anche alle
medie e, devo
ammetterlo, mi piaceva da matti.
Ricordo che il mio Natale scolastico di terza media,
l’ultimo,
l’ho vissuto giocando a tombola, vincendo penne in palio e
preparando dolci con
la mia amica Maria al laboratorio di cucina alla quale avevo preso
parte, giuro
che è stata una delle cose più divertenti che
feci.
Invece adesso nulla, mi chiedo perché poi dicano che il
liceo è
il sogno dei ragazzi, io non ci trovo nulla di bello, solo un ammasso
di
bambini che vogliono essere grandi privi di ogni qualsivoglia sostanza
della
vera giovinezza, ragazzi ingenui e incoscienti del fatto che la nostra
giovinezza non durerà per sempre e, anzi, volerà
via prima di essere in grado
di percepirlo e mai ritornerà, e allora, in futuro, ci
troveremo seduti su una
poltrona dinnanzi ad una televisione che trasmette programmi corrotti e
rimpiangeremo
la giovinezza che abbiamo sprecato.
E adesso mi chiedo perché io, in un periodo così
felice, stia
pensando a tutto ciò, ed ecco il perché del mio
titolo: merda.
E dico merda perché mi rendo conto di essere entrata in
quella
stramaledettissima fase adolescenziale in cui ci facciamo problemi
enormi,
seghe mentali assurde e continuiamo ad essere tristi, ed è
così che si diventa
noiosi e i tuoi genitori cominciano a prenotarti una visita dallo
psicologo, e
allora tu torneai in te stesso dimenticando tutto e cominciando a
vivere da
coglione.
Ma no, io no!
Non voglio passare da questa fase, voglio sostituirla con un
“Forever Young” intriso di nostalgia e ricordi,
ingozzate di nutella e film di
Pokemon a palla con la mia migliore amica.
Da questo passo direttamente al mio lato pigro e affermo con
assoluta sicurezza che non vedo ufficialmente l’ora che
comincino le vacanze!
Che
poi io lo sapevo, ma non volevo ammetterlo e adesso ne
paghiamo le conseguenze: I’m sorry.
Siamo
quasi agli sgoccioli di novembre e ciò significa che
dicembre è vicino, così come lo sono le vacanze,
così come lo è il cenone
familiare e così come lo sono le strazianti domande dei
parenti all’assenza del
mio migliore amico.
Ero stesa sul mio letto arrotolata nella coperta calda, ascoltavo
in riproduzione casuale il quarto album di Avril, avevo appena finito
di
ascoltare Remember When e cominciò I Love You, per poi
passare ad Everybody
Hurts, una trilogia che, in un certo qual modo, rappresentava al meglio
la mia
situazione attuale. Mi alzai all’improvviso, mi
vestì e uscì dalla mia camera
con l’intento di recarmi direttamente a casa di Ale (la quale
non era troppo
distante dalla mia) e chiarire tutto dato che non sopportavo
più la situazione.
Uscendo dalla camera sentii delle voci provenienti dalla cucina, mi
avvicinai
senza farmi vedere troppo e udì la voce di Ivan, il fratello
maggiore di Ale.
C’era lui, mio fratello e mia madre che parlavano, non
afferrai il discorso ma
udì chiaramente un’unica frase, che
bastò per distruggere tutto quello che per
anni avevo coltivato.
La verità mi venne spiattellata in faccia nel giro di
pochissimi
istanti con una severità e una freddezza così
inaspettata che feci fatica ad
apprenderla appieno, per un istante il mio tempo si è
fermato, non scherzo, non
ho udito ne’ visto più nulla per alcuni secondi.
Tornai nella mia camera e mi distesi sul letto prendendo il mio
libro di scienze della terra in attesa della lettura e cominciai a
pensare, a
collegare l’accaduto di appena due minuti fa e allora
capì: Ale non era mio, oh
no che non lo era. Lui era il mio migliore amico, solo
il mio migliore amico, lui era di qualcun’altra, io
non potevo
amarlo.
Già, è vero che le cose importanti si capiscono
sempre troppo
tardi e allora è impossibile ripararle.
Non piansi, non feci nulla. Non provai ne’ tristezza
ne’
rancore, solitudine o qualsiasi altro sentimento del genere, provai
solo un
terribile senso di vuoto e una grande pena per me.
Tutto
ciò che avevo creato insieme a lui per tutto questo tempo
è andato perduto, è tutto andato in mille pezzi
per una cosa dalla quale
continuavo a fuggire.
Sapete, Alice mi diceva spesso che il mio rapporto con lui
sarebbe cambiato, e me lo diceva perché saremmo cresciuti e
allora ne avremmo
viste delle belle, perché crescere significa separarsi e no,
io non volevo
crederci, continuavo a fuggire dandogli poco conto, continuavo a
ripetere tra
me che fosse impossibile e che tutto quello che gli altri dicevano era
superficiale e tragico, nella realtà non era così
difficile, e invece sì che lo
è, cazzo!
Mi sento così arrabbiata come me stessa! Per la prima volta
giuro di odiarmi!
All’improvviso mi viene una voglia matta di gridare
disperatamente, con tutta la voce che ho in gola!
Cazzo! Me l’hanno sempre detto in tutte le salse, io non ho
mai
voluto ascoltare, non ho mai voluto prevenire e adesso ne pago le
conseguenze!
Quando sono stata idiota.
L’indomani mattina andai a scuola,
benché la mia voglia di farlo
era pari a zero.
Arrivai in classe ben cosciente del fatto che ad attendermi ci
sarebbero state due ore di palloso francese, non è che io
odi il francese (non
mi va giù, ma non lo odio), piuttosto non sopporto la
professoressa che me lo
insegna e la cosa è reciproca. Ha un modo di fare irritante,
si sente superiore
e cerca di imporsi a noi con la paura, non è così
che si ci dovrebbe comportare
con degli adolescenti.
Cerca sempre di provocarci per farci sbagliare, così da
punirci,
ma con me non ci riesce perché io so cosa vuole e beh, la
cosa non le va giù
indi per cui continua a torturarmi.
E so bene che oggi non sarà un’eccezione, come si
dice spesso
nei manga quando si perde qualcosa di caro: “anche se io ho
perso tutto il
mondo continua ad andare avanti, come se nulla fosse
accaduto”.
La professoressa arrivò in ritardo il che mi mise
un’ansia
assurda dato che cominciai a sperare che fosse assente, tuttavia
varcò la
soglia della classe scusandosi e preparando la lezione di tutta fretta.
Mi vide distratta, pensierosa, non aveva mai avuto occasione di
trovarmi in quello stato quindi la colse al volo, facendomi una domanda
alla
quale di certo non potevo rispondere, visto che non avevo seguito
nulla. Glielo
dissi chiaro e tondo, ogni volta stavo al gioco seppur in modo educato
ma oggi
no, oggi non ero abbastanza per
farmi
valere e prender parte ad un ridicolo scambio di provocazioni velate.
Appuntò qualcosa sul suo registro personale ma non le diedi
peso, era la mia prima nota e neanche era sul registro di classe, non
mi
avrebbe certo rovinato la media.
Cominciammo a leggere un testo e, lievemente, cercai di seguire:
le parole erano aspre, amare e crudeli, erano forti e agghiaccianti,
trovavo in
essere tutto il mio stato d’animo, come se ogni fibra in
quell’aula volesse ricordarmi
di quando codarda ero stata, di quanto avevo perso.
Mi stancai e sentii il mio cuore andare in pezzi, cominciare a
battere forte e lo sentii, sentii le lacrime che si preparavano ad
uscire,
erano state forzate a star dentro, tuttavia cedetti.
Persi di corsa il mio mp4 con l’intento di intanarmi in bagno
prima di scoppiare a piangere e ascoltare qualsiasi canzone di Avril
all’infuori di Everybody Hurts per calmarmi,
perché quest’ultima diceva tutto
ciò che provavo e non me l’avrebbe certo fatto
dimenticare.
Tuttavia non sarebbe stato per nulla facile ottenere il permesso
di andare in bagno a seconda ora dalla professoressa che mi ha sul
naso, ma
stavo per scoppiare e corsi via.
Il dolore si faceva più forte, così tanto che
neanche la mia
amata musica sarebbe riuscita ad alleviarlo, era un dolore strano:
dolore per
la perdita della cosa più importante che avessi mai avuto, e
dolore per il
fatto di sapere di essere artefice di esso, era l’odio verso
me stessa che mi
terrorizzava ed era l’immensa tristezza procurata dal mio
migliore amico.
Grazie alla vicinanza del bagno femminile alla mia classe e al
silenzio tombale dei corridoi in ore di lezione fui in grado di udire
abbastanza
chiaramente le voci delle mie pettegole compagne fingersi preoccupate
per venir
a curiosare nella mia vita per poi sghignazzare superficialmente con le
amiche
ochette, tuttavia sentii anche la voce di Salvo che disse
“vado io” che, senza
aspettar consenso, andò fuori e si chiuse la porta alle
spalle, mentre io mi
accasciavo per terra distrutta da un dolore che certamente non avrei
dovuto
provare.
Salvo entrò con nonchalance dentro il bagno femminile
cercandomi con lo sguardo, mi avvistò e si
precipitò
verso di me avvolgendomi fra le sue calde braccia.
In bagno c’era davvero una temperatura fredda, più
di quanto lo
fosse in aula e, in quel momento, Salvo era la cosa più
calda che in tutta la
mia vita mi avesse mai sfiorata.
Per un momento, nonostante tutto il mio odio verso di me, mi
sono sentita voluta, ho capito che dovevo smetterla di essere egoista,
e
promisi che quella sarebbe stata l’ultima volta.
In quel momento avevo disperatamente bisogno di qualcuno come
Salvo, mi feci abbracciare calorosamente da lui e strinsi con forza le
mani
alla sua schiena, stropicciando la sua felpa grigia di topolino che
tanto
elogiavo, perdendomi in un mare di lacrime che presto avrei smesso di
versare.
Perché era raro vedermi piangere, perché ero, a
detta di tanti,
una ragazza forte, ma si sa che ogni tanto tutti posso esplodere, no?
Ed io di
certo non faccio eccezione.
Salvo aspettò qualche minuto, non disse una parola, come se
sapesse esattamente il motivo per la quale piangevo, come se sapesse
che
nessuna parola mi sarebbe stata d’aiuto, e dio se lo sapeva,
lui sapeva tutto.
Salvo è uno di quelli che me l’ha sempre fatto
capire ma che, nonostante tutto,
ha continuato a starmi dietro, sapendo che di certo non poteva ottenere
da me
quello che realmente voleva.
Ed è così che cominciai sinceramente a fidarmi di
lui.
Spezzai il silenzio cominciando una bizzarra discussione:
-
<<
Questo è il bagno delle ragazze, sai? >>
-
<<
L’importante è come si ci sente dentro!
>>
Suonò
la campanella della fine della lezione:
-
<<
Torniamo in classe? >>
-
<<
Oddio, Salvo! Io non voglio entrarci, sarei troppo in
imbarazzo! >>
-
<<
Ma che diavolo? … Vuoi stare tutto il giorno qui?
>>
-
<<
Voglio andare a casa! >>
-
<<
No, entri in classe con me, andiamo >>
-
<<
Ma cominceranno a farmi sgradevoli domande alla quale
non ho ne’ la voglia ne’ la forza di rispondere
>>
-
<<
Ah, non preoccuparti, ci penso io a quello >>
-
<<
Vuoi fare il figo? >>
-
<<
Mi hai raccontato che il primo giorno di scuola mi ha
etichettato come ‘fighettino’, allora lasciamelo
fare >>
-
<<
Era solo per l’abbigliamento! >>
Dopo
ciò tornammo in classe e basta, non dico altro
perché non
voglio nemmeno ricordare il resto che è caratterizzato
specialmente da mortale
imbarazzo.
Angolo
autrice:
A
partire da questo secondo capitolo ho deciso di inserire un piccolo
“angolo
autrice” per eventuali punti da chiarire o che altro.
Ringrazio chi ha letto
questi due capitoli della mia storia, recensori o meno. Spero
di poter comunicare, con questa bizzarra storia, ciò che la
mia protagonista
sente: le sue emozioni in primis, ma anche ciò che la lega
alle persone a lei
più vicine. Inutile dire che vorrei davvero tanto riuscire a
favi comprendere
che rapporto ha lei con i suoi due migliori amici: Alice e Alessandro.
Detto
questo mi dispiace per eventuali dimenticanze, errori di battitura o di
dimenticanza, alla prossima.
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