Come un HEADSHOT al cuore

di Medea00
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Kill 'em all ***
Capitolo 2: *** Una lezione spacca-cervella ***
Capitolo 3: *** Ritardo e cellulare ***
Capitolo 4: *** Tear ***
Capitolo 5: *** End of the beginning ***
Capitolo 6: *** Because my wall is fading ***
Capitolo 7: *** Let it roll ***
Capitolo 8: *** Awakening ***
Capitolo 9: *** Il lan party ***
Capitolo 10: *** New Friend ***
Capitolo 11: *** Expressway to your heart ***
Capitolo 12: *** Going Under ***
Capitolo 13: *** Read my mind ***
Capitolo 14: *** And I'm telling you... ***
Capitolo 15: *** Zig&Zag ***
Capitolo 16: *** If I tell you, will you stay? ***
Capitolo 17: *** Everything is about you ***
Capitolo 18: *** Page changer ***
Capitolo 19: *** Easy to be stunned ***
Capitolo 20: *** Remember, so sweet ***
Capitolo 21: *** I can't ***
Capitolo 22: *** Serendipity ***
Capitolo 23: *** One and only ***
Capitolo 24: *** Reach for my hand ***
Capitolo 25: *** Reveal ***
Capitolo 26: *** Immobile ***
Capitolo 27: *** Stay in my arms if you dare ***
Capitolo 28: *** I have nothing ***
Capitolo 29: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Kill 'em all ***


 

"Perchè, si sa, a volte l'amore è proprio..."


COME UN HEADSHOT AL CUORE




Capitolo 1

Kill 'em all






 
Non è per niente facile essere un tipo popolare.
Bisogna frequentare le persone giuste, atteggiarsi in un certo modo, avere la faccia tosta di rispondere ai professori e perfino di farti qualche sigaretta, anche quando non ti va; insomma, non è mica un ruolo che calza a pennello su chiunque.
Beh, per fortuna, non era mai stato un problema per Kurt Hummel.
Sin dal primo giorno di scuola aveva sempre saputo cosa avrebbe voluto fare: entrare a far parte delle Cheerio. Il capitano delle Cheerio, per la precisione. Non ci volle molto a farsi reclutare dalla coach Sylvester, a spodestare qualche ragazzina spocchiosa di turno, troppo bassa, troppo grassa o, semplicemente, troppo poco resistente: dopotutto, lui era un ragazzo. Un ragazzo gay, per giunta, e sebbene quello in apparenza potesse sembrare un fattore demotivante, in realtà si dimostrò proprio l’elemento che lo fece caratterizzare per la sua grazia, la sua eleganza, il suo portamento sempre composto e perfetto e quell’indole sarcastica e diabolicamente deliziosa che tanto piaceva alla professoressa.
E poi, dulcis in fundo, era bello. E molto. E no, non si preoccupava di fingere che quel dato non contasse, perché era un fattore essenziale: se eri bello, andavi avanti. Se eri un cesso, finivi in fondo alla piramide.
Non era un segreto che fosse gay: qualche ragazzo, all’inizio, aveva anche provato a minacciarlo, ma aveva dalla propria parte la professoressa più terrificante della scuola ed una dozzina di ragazze altamente sexy; bastò riferire qualche spintonata, con l’aggiunta di qualche lacrima di coccodrillo - appositamente preparata facendo uso di collirio - ed ecco che i diretti interessati avevano smesso immediatamente di dargli fastidio; Kurt non seppe mai quello che aveva detto loro la coach Sylvester e nemmeno gli importava. E poi, aveva capito col tempo che quei ragazzi, che all’apparenza sembravano dei veri tosti, e che cercavano in continuazione di darsi un’aria da gran figo, in realtà, erano i primi che correvano da lui, quando si trattava di rimediare un appuntamento con Quinn o qualcun’altra delle Cheerio. Perché era semplice: lui era il migliore amico di ognuna di loro. O almeno, così le piaceva far credere.
Era letteralmente venerato da tutte quelle ragazzine che sognavano di avere la sua capacità fisica, o almeno la metà del suo acume; adorava vedere come si straziassero l’anima per  un ragazzo che era riuscito a spezzare loro il cuore, si fingeva sempre buono e comprensivo e sfoggiava un sorriso di puro conforto, tanto perfetto e bello che nemmeno Patch Adams sarebbe stato in grado di batterlo, e con la sua incantevole dolce soave diceva: “tesoro, non piangere, tu non hai assolutamente nessuna colpa! Il fatto che tu sia andata con tre uomini nello stesso quarto d’ora non fa di te una troia, sei soltanto una ragazza altruista! Chi sei tu per negare loro un po’ di felicità?”
Tutte le volte che diceva quella frase veniva abbracciato come se fosse il nuovo Messia.
E poi, si ricordava di dire ogni Martedì ad ora più o meno variabile – perché aveva constatato che il cervello delle ragazze aveva durata di memoria settimanale - che la loro cellulite non era affatto cellulite, ma delle semplici voglie dovute a delle complicazioni da parto: loro adoravano sentire quell’espressione, metà nemmeno la capivano, ma suonava così tragica, così Grey’s Anatomy, e se qualcuno glielo chiedeva potevano inventarsi una storia a metà tra Dottor House e dottor Bollore e a quel punto sarebbe diventata la reginetta della scuola. Nonché la migliore amica di qualcuno, era chiaro.
Lui, di migliori amiche, ne aveva soltanto una: Mercedes Jones, una Cheerio che lo aveva sostenuto sin dagli arbori, e l’unica che non era mai cascata a tutta quella valanga di cavolate. L’aveva adorata sin da subito, perché in mezzo a quel gruppo di galline senza cervello lei era arrivata con un atteggiamento da pura regina, lo aveva squadrato da capo a piedi, gli aveva rivolto un’occhiata eloquente e gli aveva detto: “ti facevo più magro.”
“E io ti facevo più alta”, gli aveva detto lui, con lo stesso tono.
Era subito scattata la scintilla.
Era l’unica che poteva capirlo; era l’unica che, quando usciva un nuovo disco di Lady Gaga, faceva le nottate insieme a lui per essere i primi a prenderlo. Era l’unica con cui poteva veramente parlare, e non quelle conversazioni inconsistenti sui ragazzi e sulle fibre vegetali, ma di musica, di cinema, di Broadway, di tutte quelle cose che amava e che, però, non aveva intenzione di condividere con nessun altro; perché non permetteva a nessun altro di avvicinarsi a lui, e di conoscerlo meglio.
Del gruppo, comunque, provava una sorta di rispetto verso altre due persone: Quinn Fabray e Santana Lopez, una ragazza che riusciva a lanciare occhiate gelide almeno quanto le sue e un’altra che diceva sempre ciò che tutti quanti pensavano, ma che nessuno aveva mai il coraggio di ammettere ad alta voce.
Loro quattro erano un gradino sopra tutte le altre, ed era un fatto ufficialmente riconosciuto.
A Kurt piaceva quella vita. Diavolo, ma chi voleva prendere in giro? La amava. Le ragazze facevano la fila per diventare la sua nuova BFF –che carine, loro e i loro acronimi da Paris Hilton iperemotiva- e i ragazzi lo invidiavano da morire, perché vedeva più tette e culi di quanto avrebbero mai visto loro in tutta la vita. Era quasi un obbligo farsi vedere e tastare il proprio seno, prima di andare dal chirurgo per fare la chirurgia estetica. Perché Kurt, oltre ad essere bellissimo, intelligente, atletico ed incredibilmente affascinante, aveva anche un talento innato per la moda, e se lui indossava un cappellino, allora tutte dovevano indossare quel cappellino, se lui indossava una piccola coda di pelliccia finta alla cintura solo perché gli si era rotto l’attacco per il cellulare, e non sapeva da che altra parte metterla, ecco che in meno di un giorno sembrava di essere finiti in un reality di Nat-Geo Adventure. Era esilarante. Tutte quelle persone che pendevano letteralmente dalle sua labbra: era completamente gratificante.
E non c’era niente, assolutamente niente che avrebbe potuto danneggiare la sua perfetta immagine pubblica.
Nemmeno un’insufficienza in un compito di matematica.
“Che cosa?!” Esclamò con tutte le sue forze, quando la professoressa Va-da-sé gli riconsegnò il compito con la sua solita lentezza estenuante. Non si chiamava veramente va-da-sé, a dire il vero, ma tutti quanti avevano smesso di chiamarla col suo nome da quando si erano resi conto che diceva quelle tre paroline all’incirca ogni tre minuti a lezione.
E senza degnarlo nemmeno di uno sguardo – cosa che lo fece innervosire non poco – la professoressa continuò a parlare all’aria, come se qualcuno stesse veramente ascoltando le sue noiosissime parole.
“Dovete studiare di più, ragazzi: siete all’ultimo anno ormai, è il vostro ultimo tentativo per cercare di imparare qualcosa. So che la matematica può sembrarvi inutile, nonché fastidiosa… ma dovete studiarla. E va da sé che dovete anche applicarla, durante i compiti a sorpresa come questi.”
Kurt sbuffò sonoramente senza preoccuparsi del suo sguardo palesemente offeso ed appoggiò una mano sotto al mento, roteando gli occhi. Figurarsi se aveva tempo per imparare una cosa così inutile come la matematica. Piuttosto, doveva ancora decidersi a memorizzare i nomi di tutti i nuovi capi in voga quel mese.
“…e mi sto riferendo soprattutto a te, signorino Hummel!”
Oh. Come?
Si girò svogliato, inarcando il sopracciglio sinistro e fissandola in quel modo che la scuola ormai aveva decretato come la Kurt-occhiata: “Scusi, ma stava ancora parlando?”
Ci fu un fragore generale, provocato dalle risate, e a seguire, il tono stizzito della professoressa.
“Sì, mi stavo rivolgendo a te, Hummel. E già che ci sei, potresti essere così carino da raggiungermi dal preside, al termine delle lezioni?”
“Quanto chiasso per una semplice verità.”
“Quale verità?”
“Che lei è noiosa – dichiarò, e poi dopo un secondo di riflessione aggiunse- e che io sono fantastico, ovviamente.”
Tutta la classe non riuscì a fare a meno di annuire.
“Bene. Può continuare ad essere fantastico fuori dalla mia classe. A dopo le lezioni, Hummel.”
La guardò allibito: stava dicendo sul serio?
Si alzò in piedi senza nemmeno guardarla di traverso. “Bene. Andrò a prendermi un caffè.”
Perché era lui che se ne andava dalla classe, e non lei che lo buttava fuori. Diavolo, al mondo esistevano ancora delle gerarchie. Sperò per il bene di quella professoressa che prima o poi, tra un va-da-sé ed un altro, se lo ricordasse.
Ma a quanto pare quel giorno la signora aveva deciso di superare ogni limite.
“Hummel.” La coach Sylvester ora era di fronte a lui, le braccia incrociate, la sua immancabile tuta dell’Adidas che in quel giorno constatò fosse di color viola. Kurt pensava che quella donna avesse comprato una trentina di quelle divise ed immerse tutte insieme nella lavatrice assieme ad una sciarpa arcobaleno, giusto per averne sempre una di un diverso colore.
“Che sarebbe questa storia della Riley? Mi ha detto che è da Settembre che non prendi nemmeno una C.”
“Coach, ho avuto cose più importanti da fare.” Rispose, con il tono di chi volesse dire “lei sa di cosa parlo”, e anche, “la prego non mi venga a fare la ramanzina proprio ora, tra dieci minuti mi inizia Jersey Shore”.
“Lo capiamo, ma non è accettabile.” Stavolta fu il preside Figgins a parlare, quell’uomo fatto di sciattezza ed inutilità, incapace perfino di ricaricare una spillatrice senza bisogno dell’aiuto di un inserviente. Lo guardò, ma non lo guardò davvero, si limitò a dargli giusto un pochino di attenzione perché non si mettesse a piangere. Detestava quando qualcuno piangeva di fronte a lui.
“Kurt, per frequentare un’attività extra-scolastica non devi avere nemmeno un’insufficienza, lo sai, vero?”
“Certo. Risolverò tutto, non vi preoccupate. Devo soltanto applicarmi un po’ e-“
“La professoressa si è stancata di aspettare, Hummel.  Ha detto che vuole da te almeno una B, e la vuole entro la fine del mese.”
Oh, adesso la megera si era messa anche a fare le minacce?
“Altrimenti?” Sbottò, guardando tutti quanti con aria di sfida e superiorità.
“Altrimenti sei fuori dalle Cheerio. All’istante.”
A Kurt sembrò come se il mondo gli fosse crollato tutto addosso.
“C-COSA?! Non può farlo, coach! Io sono il migliore là dentro, senza di me le nazionali non le avrebbe mai vinte!”
“Questo lo so, Porcellana, credi che mi faccia piacere dire queste cose? Ma il regolamento è il regolamento, e il tuo rapporto con la matematica  è più inesistente di quello che aveva George Clooney con la Canalis. Devi darti una mossa: hai un mese di tempo, vedi di sfruttarlo bene.”
E, detto quello, la professoressa alzò i tacchi e se ne andò, con tutta la sua tuta viola, il suo atteggiamento da capo e l’ira funesta di Kurt che si manifestava silenziosa su di lei attraversando perfino le pareti di vetro.
 
“E’ un complotto! E’ una cospirazione! Qualcuno sta cercando di farmi fuori, qualcuno ha parlato con la megera e- oh, Dio, è stata Corny! Scommetto che è stata lei, solo perché quella volta le avevo detto che le sue extension sembravano la criniera di un cavallo, quella maledetta io-“
“Kurt, Kurt, calmati! Non è stato proprio nessuno a parlare con la prof, sei tu che non hai mai aperto libro di matematica.”
Kurt si voltò di scatto verso Mercedes, sgranando gli occhi, balbettando qualche parola sconnessa prima di dire: “M-ma da che parte stai?! Sarò espulso dai Cheerios!”
“Non è ancora detto! Tesoro, devi soltanto arrotolare un po’ le maniche e metterti per qualche ora sui libri. Sei intelligentissimo, non vedo perché non dovresti farcela!”
“Perché odio quella materia? Perché in questi quattro anni sono riuscito a passare soltanto grazie a delle ragazze che mi passavano i compiti? Oppure perché  semplicemente non ho voglia di perdere tempo prezioso della mia vita a fare qualcosa che è assolutamente INUTILE? Dico, non serve mica sapere gli integrali di secondo grado per saper calcolare il prezzo di un capo su cui viene fatto uno sconto!”
“No, ma ti serve se vuoi continuare a vivere questa vita. Devi trovare una soluzione, Kurt.”
Il ragazzo sospirò, appoggiando la schiena contro l’armadietto, socchiudendo gli occhi chiari e concedendosi un minuto di calma per riprendere fiato.
Bene, doveva fare un po’ di mente locale.
Aprì velocemente il libro ancora rinchiuso in cartella e cominciò a sfogliarlo; non si stupì di trovare le pagine fresche al tatto e difficili da girare, che profumavano di quell’odore di carta e nuovo tipiche di qualsiasi libro appena comprato. Peccato che quel tomo avesse più o meno tre anni.
“Kurt – esordì Mercedes, guardando allibita il prezzo intatto stampato sulla copertina – ma lo hai mai aperto, questo libro?”
“Certo. Per scarabocchiare qualche ghirigoro, quando sono al telefono.”
La ragazza, sentendo quelle parole, sbiancò di colpo. Ed era tutto dire, visto il colore della sua carnagione.
“Oddio Kurt, non pensavo che la situazione fosse così drastica. Questo è analisi avanzata, non economia domestica! Ma perché hai preso questo corso?”
Senza nemmeno troppo clamore, si strinse nelle spalle e sembrò quasi scavare nell’antro dei suoi ricordi: “il foglio del programma aveva una grafica molto carina.”
“Ok – sentenziò, afferrandolo per le spalle, e guardandolo dritto negli occhi – tu hai bisogno di aiuto. E di molto aiuto. Ci vorrebbe una sorta di miracolo, per farti imparare tutto il programma entro un mese.”
“Tieniti pure i miracoli, mia cara, io vado a farmi una corsa e a provare quel nuovo numero che-“
“Kurt! Ma stai prendendo le cose seriamente? Si tratta del tuo futuro, del tuo posto nei Cheerios!”
Si fermò in mezzo al corridoio, stringendo forte la sua borsa a tracolla, ed abbassando per un momento lo sguardo verso i lacci delle sue scarpette da tennis.
“Lo so – sussurrò allora, voltandosi piano, dicendo quelle cose senza nemmeno volerlo – ma come posso fare, Mercedes? Io non so niente di analisi, proprio niente. E nemmeno Einstein riuscirebbe ad insegnarmi tutta analisi in un mese!”
Fu in quel momento che la ragazza, con grande sorpresa di lui, che aveva appena visto il suo sorriso illuminarsi come se avesse appena avuto una rivelazione, batté le mani l’una contro l’altra ed esultò: “Ho trovato! Kurt, ho trovato la persona  perfetta per te!”
Ci rimase ancora più perplesso: “Mercedes, non ci sono molti ragazzi gay in questa scuola, lo sai, e poi, non vedo questo cosa c’entri.”
“No, no, non hai capito! L’Einstein, Kurt! Colui che ti darà ripetizioni! Qualche volta ha aiutato mia cugina, e ti assicuro che è un vero genio! Soltanto lui potrebbe riuscire a salvare una situazione simile. Fidati Kurt, è lui quello che cerchi!”
Si sentì un po’ incuriosito da quella descrizione.
Chi mai poteva essere quel ragazzo così geniale? Ma poi, si rese conto che non gli importava: andava bene chiunque, qualunque persona che sarebbe stata in grado di inculcargli derivate e grafici in così poco tempo.
Però, così, giusto per curiosità, lo chiese.
“E che tipo è, questo fantomatico genio incompreso?”
L’amica sviò un po’ lo sguardo, esitando giusto un poco prima di riassumere il suo precedente ottimismo.
 “E’…beh. E’ forte. E’ proprio un tipo.”
“Di che tipo?”
“Del tipo che…beh, è molto intelligente. E gentile. E’ incredibilmente gentile. E ha un bel sorriso, anche. Devi vederlo; sono sicura che ti piacerà, in fondo.”
Cosa voleva dire, in fondo?!
“Va bene.” Sospirò, esasperato, perché ne aveva veramente abbastanza per quel giorno, e se doveva fare questo miracolo matematico, allora sarebbe stato meglio cominciare sin da subito.
“Come si chiama?”
Mercedes deglutì un numero indefinito di volte.
“Blaine. Blaine Anderson.”
Kurt non batté ciglio: non lo aveva mai sentito nominare.
“Dove posso trovarlo?”
Di nuovo, un’altra esitazione. Era come se non sapesse cosa dire. O come dirlo.
No, doveva agire in un altro modo. Doveva giocare d’astuzia, altrimenti Kurt non avrebbe mai accettato.
“Vieni, ti porto direttamente da lui.”
“Oh – fece, un po’ sorpreso da quella proposta – va bene. Voglio dire, prima è, meglio è.”
“Già - bisbigliò lei, a denti stretti, cominciando a camminare assieme a lui con passo veloce – Caviamoci questo dente.”
“Come?”
Adesso si trovavano di fronte ad una porta di cui non sapeva nemmeno l’esistenza.
“Che aula è? Appartiene a qualche club?”
“S-sì. Lui si trova qui dentro. Spiegagli la situazione, e vedrai che capirà.”
Si voltò indietro solo quando si accorse che l’amica aveva già cominciato ad andarsene: “ ‘Cedes, non vieni con me?”
“Hem…ho un impegno!” E detto quello fuggì via, come se dovesse scappare da un uragano.
Non volle domandarsi troppo cosa le fosse preso, dal momento che aveva questioni più importanti da affrontare: abbassò velocemente la maniglia, entrando un piede alla volta in quella stanza improvvisamente buia, priva di qualsiasi illuminazione, fatta eccezione per una mezza dozzina di schermi del computer che si proiettavano su delle facce non ben riconoscibili.
“Scusate? – Chiamò, cercando di farsi strada in quel groviglio di fili, e quel mondo di confusione totale – Scusate? Blaine? Blaine Anderson?”
Un ragazzo si alzò. Grazie all’illuminazione soffusa riuscì ad identificare un paio di pantaloni a sigaretta, lunghi fino alle caviglie, una camicia a quadri rossa e con sopra delle ridicole bretelle verde bottiglia.
Una massa di riccioli sconclusionati gli copriva gran parte della fronte, accentuando, però, delle folte sopracciglia di una forma vagamente triangolare e degli occhi color nocciola che, in quel momento, lo stavano fissando attoniti.
E aspettò qualche secondo, prima di stancarsi del tutto e decidersi a parlare per primo: “Sei Blaine, vero?”
Il ragazzo rispose con il tono di chi avesse appena ingoiato il più enorme dei rospi: “S-sì. Sono io.”
“Bene. Io sono-“
“So chi sei. Sei Kurt Hummel, uno dei Cheerleader.”
Sorrise, un po’ beffardo. Oh, che stupido. Era ovvio che lo sapesse già. Ogni tanto si dimenticava di essere una star.
E approfittò un pochino del suo imbarazzo, avvicinandosi un poco e fissandolo intensamente con i suoi occhi azzurri, incredibilmente ammalianti.
“Ho una proposta per te."
Sapeva già di aver fatto centro. Sapeva già che nessuno era mai riuscito a resistere ai suoi occhi azzurri, al suo sorriso disarmante, alla sua pelle perfettamente curata e al suo atteggiamento da modello.
Insomma, perfino il più etero degli uomini, in quel momento, si sarebbe inginocchiato ai suoi piedi.
Ma poi, accadde una cosa che non aveva in nessun modo calcolato.
Il ragazzo sviò lo sguardo verso lo schermo, e si risedette in un lampo senza averlo degnato di un'ulteriore occhiata.
“Oh-ok, grandioso. Senti, puoi parlarmene dopo? Sono nel bel mezzo di un dungeon e ho il mio pally che è stato appena stunnato con un D-10 e non ho nemmeno una Soul-stone per reccare. Tutta colpa di quel maledetto delay.”




Ok.
 
 
No.
No, non era ok.
Che diavolo di lingua aveva appena parlato?
Sembrava inglese. Ma non era inglese. Diavolo, lui lo conosceva l’inglese. Lui parlava inglese. C’era qualcosa che non andava.
“P-potresti ripetere?”
Dio, quanto detestava averlo detto.
Esattamente allo stesso modo con cui detestò lo sguardo di Blaine, serio, come se gli avesse detto, “oh, giusto, tu non puoi capire”.
“E’ un gioco, ok? Dammi un minuto.”
Un gioco.
Un videogioco, dedusse lui.
Lui stava parlando con un ragazzo che stava giocando ad un videogioco.
Lui stava parlando con uno che gli aveva appena risposto in videogiochese.
Un nerd.
Lui stava parlando con un nerd.
 

 

***
 
 
 
Note di Fra:

Salve! Sono Fra! Probabilmente vi ricorderete di me da altre fanfiction, quali, “Blame it on Blaine”, e adesso voi state immaginando queste parole dette dalla voce di Troy McClure!
…ok. Io non so perché abbia scritto questa cosa. E’ stata tutta colpa di tumblr! Girano tutti quei gifset su Cheerio!Kurt e Nerd!Blaine, e io sono una Nerd di prima categoria, e insomma, mi sono venute in mente un sacco di idee…e non ho saputo resistere!
Mi dispiace. Vi chiedo scusa. So che non dovrei farlo, questa è scrittura compulsiva, ho partorito questo capitolo in praticamente un’ora, non so nemmeno bene come si svilupperà la cosa, non so nemmeno se avrà un minimo di SENSO, ma insomma, sono caduta nel tunnel. Eggià. Denunciatemi per questo?! E’ stato più forte di me. E’ come se si fosse scritto da solo!!!
 
E visto che questo è stato davvero un DELIRIO, nato così, A CASO, mi fareste davvero un immenso favore a dirmi il vostro parere. Ne vale la pena? Devo continuare? Fatemi sapere, sul serio. Non so nemmeno io come andrà questa storia, ma soprattutto SE andrà. Vi scongiuro, fatemi sapere se vi ispira, se vi piace, se vi piacerebbe leggere il seguito e qualche bella vicenda di un Cheerio e super fashion Kurt alle prese con un mondo di Nerd.
Ah, un’ultima cosa: la frase detta da Blaine ha un senso. Sul serio. Non sono parole messe lì a caso. E no, non siete malati. Sono soltanto io, ad essere particolarmente strana.

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Capitolo 2
*** Una lezione spacca-cervella ***



Capitolo 2

Una lezione spacca-cervella






Allo scoccare dell’ultima campanella Blaine aspettò il suo solito minuto accademico restando seduto al suo banco e finendo di trascrivere gli ultimi appunti di goniometria, il tempo di far sfollare tutta la mandria di ragazzi che sembravano scappare dall’aula come se non ci fosse un domani. Non sopportava la calca e poi non c’era alcuna fretta, anche se, in effetti, aveva una cosa da fare: Kurt Hummel gli aveva detto di aspettarlo fuori dalla palestra dopo la lezione, per poi iniziare finalmente le fatidiche “ripetizioni”.
All’inizio avesse pensato fosse uno scherzo; certo, aveva dato qualche lezione per farsi un modico gruzzoletto, ma restava comunque una cosa inaudita, insomma, lui stesso non ci avrebbe mai scommesso un soldo bucato: Blaine Anderson che dava ripetizioni di matematica al ragazzo più popolare della scuola. E per quanto sembrasse fuori dal mondo, da un lato, ebbene lo era ancora di più dall’altro, perché se lo dovette proprio chiedere: perché mai aveva accettato di aiutarlo? Quale strano moto convettivo del suo cervello lo aveva portato a dire “sì, ok, sicuro, ci vediamo dopo” con una tranquillità destabilizzante, come se avesse appena organizzato un incontro di Warhammer? (*) Come se non si fosse scavato un piede nella fossa da solo, pensò lui. No, proprio per niente. In pratica c’era già la bara pronta a prenderlo.
Cercò seriamente di dare risposta a quella che poteva sembrare una domanda retorica, e alla fine, dopo un breve momento di respiro e di riflessione personale, ottenne due ipotetiche risposte: la prima, quella più banale e, forse, più inutile, era che quel ragazzo gli aveva promesso dieci dollari a lezione e in quel modo sarebbe riuscito perfino a comprarsi Assassin’s Creed (*) senza dover ricorrere alla paga di compleanno; ma c’era un altro motivo? Blaine non sapeva dirlo, non allora. Era un motivo che non capiva nemmeno lui tanto bene, ma sapeva che era lì, nascosto, e che prima o poi sarebbe spuntato fuori.
Ordinò accuratamente gli appunti ricopiati, sistemò i libri di matematica nella tracolla, e poi lasciò finalmente l’aula, camminando a passi svelti, cercando di non incappare in nessun giocatore di football o hockey mentre raggiungeva la palestra; cosa che, doveva aspettarselo, fu praticamente impossibile: quel posto pullulava di gente. Ma, per fortuna, erano tutti troppo impegnati ad osservare i sederi delle cheerleader che in quel momento stavano finendo il loro ultimo numero, per badare a lui. Non gli andava di aspettare in piedi fuori dalla porta, così decise di entrare, sperando in cuor suo di non essere visto – era abbastanza bravo, nel diventare invisibile –, e si sedette in un angolino remoto della gradinata, attendendo con pazienza e lasciandosi cullare dal ritmo movimentato della musica che riecheggiava nell’aria.
Non gli erano mai dispiaciuti i Cheerios: erano bravi, ballavano bene, e più volte avevano eseguito coreografie sulle note di qualche canzone di Katy Perry – cosa che, in effetti, aveva fatto guadagnar loro miliardi di punti -; l’attività in sé era molto interessante, ma era il contesto che lo disturbava: ragazzine viziate che si credevano al centro del mondo e uomini in piena crisi ormonale che avrebbero venduto un braccio per passare una notte con loro. Il loro mondo sembrava essere tutto lì, tra una pillola e l’altra, fra un commento particolarmente cattivo su qualche loro compagna che osavano definire amica e qualche scenata isterica quando la diretta interessata lo veniva a sapere. Lo riteneva semplicemente scialbo, vuoto e noioso.
Si stava godendo lo spettacolo con poco interesse fino a quando i suoi occhi nocciola incrociarono sbadatamente la figura di Kurt. E solo allora si concesse di riflettere, di analizzare un po’ il ragazzo con cui avrebbe dovuto passare tutti i suoi pomeriggi da lì ad un mese.
Di lui sapeva poche cose, quelle note a tutti, ed alcune dicerie che si erano diffuse con il tempo, conseguenza inevitabile per chi avesse più di quattrocento amici su facebook: ovviamente, sapeva che era il capo-cheerleader, e sembrava che avesse sempre una risposta a tutto. Sapeva anche che era gay. E no, quel dettaglio non era assolutamente rilevante. Così come non lo era il fatto che lui stesso fosse gay.
Dicevano anche che fosse incredibilmente stronzo; eppure, guardandolo eseguire un movimento insieme a Mercedes, a Blaine sembrò tutt’altro: conosceva la ragazza solo di vista, ma era chiaro che quei due si volessero un bene dell’anima. E non appena si staccò da lei, notò che Kurt riassunse una sorta si sguardo imperscrutabile, come se il resto del mondo non contasse.
Era un atteggiamento sicuramente strano. Ma Blaine era troppo ingenuo per capire, e conosceva quel ragazzo ancora troppo poco. Si limitò ad osservarlo ballare, mentre la voce potente e calda di Mercedes animava l’atmosfera.
E, beh, Kurt non era proprio niente male.
No Blaine, evita di fare pensieri poco attinenti, si ammonì con una smorfia sul viso. Il fatto che fosse gay e che anche lui fosse gay e che insomma fossero tutti e due gay non implicava che-
Kurt aveva appena fatto un gesto secco ed eloquente col bacino, roteandolo appena, e facendo l’occhiolino alla sua amica con uno sguardo divertito ed ammiccante.
Ok, chi aveva acceso il riscaldamento in quella palestra? Si sentiva le guance andare letteralmente in fiamme.
E più andava avanti così, più Blaine diventava molto velocemente un fan di quelle divise. Perché, insomma, erano fatte bene. I fianchi di Kurt rotearono un’altra volta. Erano fatte proprio bene.
Ok, faceva davvero caldo.
Per fortuna, poco dopo, lo spettacolo finì, e Blaine ne fu incredibilmente felice, per amor della sua sanità fisiologica e mentale.
Non poteva fare quei pensieri: era un cheerleader, dopo tutto, ed era obiettivamente bello: avrà avuto una fila di spasimanti lunga chilometri e chilometri, tutti con il proprio numerino in mano per attendere il proprio turno.
E lui era soltanto l’ultimo della fila; l’ultimo e il più invisibile, sicuramente.
Dopo esseri ricomposto un minimo, aggiustando cravattino e occhiali da vista e scacciando imbarazzanti pensieri, scese velocemente le scale della gradinata, e si diresse con un sorriso incoraggiante verso Kurt. Anche se, in verità, voleva più incoraggiare se stesso.
Il cheerio intanto si stava lasciando cullare per un momento dagli abbracci di Mercedes, mentre commentava con fare orgoglioso il numero della loro parte fatta insieme. Era stato proprio bravo quella volta, e pensò quasi di andarsi a comprare un bel caffè come premio, quando sentì alle sue spalle una voce inconfondibile chiamarlo con tono allegro e confidenziale.
“Hey, Kurt?”
Si voltò di scatto, assieme a metà palestra. Blaine era lì, con i suoi Persol ammaccati e il suo cravattino scintillante. Immaginò che fosse venuto per complimentarsi per la sua performance; beh, come biasimarlo? Alzò il mento un po’ all’insù, posando con eleganza le mani sui fianchi e attendendo quelle magiche parole: erano sempre piacevoli le lodi di un nuovo ammiratore.
“Allora! Pronto per un po’ di calcolo spacca-cervella?”
Silenzio.
No. Non poteva averlo detto sul serio.
Non di fronte a tutta quella gente. Non con quel sorriso a trentadue denti che sembrava volesse sconfiggere il cancro.
“Oh mio Dio! Hummel, da quando in qua prendi lezioni private da Anderson?” Ammiccò Santana Lopez con un ghigno che valeva più di mille parole; ma prima che qualcun altro si azzardasse a fiatare Kurt aveva già spinto Blaine fuori dalla palestra, rifugiandosi dentro allo stanzino dei bidelli e fulminando quel ragazzo come se volesse trafiggerlo.
Blaine, in risposta, continuava a non capire e quella vicinanza improvvisa con Kurt non aiutava per niente i suoi neuroni a connettere per bene.
“Regola numero uno – Soffiò il ragazzo, ad un centimetro dal suo viso – non parlarmi quando siamo in presenza delle altre Cheerio. Non parlarmi nemmeno a mensa, nei corridoi, o in qualsiasi altro posto in cui tu possa essere udito. In effetti, è meglio che non parli affatto.”
Deglutì vistosamente di fronte a quegli occhi così intensi, e fece per balbettare un timido “ok”, ma si fermò di scatto notando la sua reazione allarmata, limitandosi ad annuire.
“Bene. –Commentò Kurt- Regola numero due: ti prego, cerca di non essere così happy sha-la-la. Potrebbero perfino pensare che siamo amici.”
L’altro ragazzo stava quasi per scoppiare a ridere – perché, in effetti, quella situazione era un po’ ridicola – ma qualcosa nella sua occhiata gelida gli consigliò di non provarci nemmeno con il pensiero. Di nuovo, restò in balìa dell’indecisione e totalmente schiavo dello sguardo dell’altro; blu, i suoi occhi erano blu. No, azzurri. Forse verdi? Erano indescrivibili.
Ci fu qualche secondo di pausa, nei quali si fissarono reciprocamente, i loro respiri quasi sincronizzati, i loro busti a distanza di una spanna, e tutto ciò che riusciva a percepire Blaine era il calore del suo corpo attraverso quella splendida divisa. E solo quando vide il suo palese imbarazzo Kurt si rese conto di quanto fossero realmente vicini. E si stupì anche del fatto che non gli dava fastidio. Anzi, era come se quella loro vicinanza fosse…confortante.
“Regola numero tre?” Balbettò allora Blaine, cercando di prendere aria. Troppo calore. Troppa tensione. No, tutto quello non faceva bene alla salute.
“Nessuna regola numero tre.” Rispose allora Kurt indietreggiando da lui di un passo, sbirciando poi dal buco della serratura. Dopo aver controllato che il campo fosse libero, si trascinò via Blaine e si diresse il più in fretta possibile verso la macchina.



“Allora – fece Blaine, una volta usciti dal parcheggio del McKinley – raccontami qualcosa.”
Kurt lo guardò con la coda dell’occhio e sbottò: “E perché?”
“Beh, perché dovremmo passare un sacco di tempo insieme, tanto vale cominciare a conoscerci.”
“Devi solo darmi ripetizioni. Non credo che ci sia bisogno di tante chiacchiere.”
Beh, ok, quello era vero. Ma gli aveva fatto un po’ male sentirlo dire; perché, alla fine, aveva ricevuto l’ennesima conferma che a Kurt Hummel non importasse proprio niente di lui. O, forse, non gli importava del resto del mondo in generale. Ma com’era possibile? Kurt era davvero così superficiale, credeva così tanto nelle caste che erano state prefissate dalla società del liceo? Blaine non riusciva a crederci. Kurt era gay, doveva per forza saperne qualcosa sui pregiudizi, e non poteva di certo approvarli. E, d’altro canto, non riusciva nemmeno a credere che fosse per colpa sua.
“Sai, magari, parlando un po’, potremmo anche scoprire di starci simpatici a vicenda.”
Il cheerio esitò, e alla fine, dopo aver provato a dire qualcosa, non disse altro e afferrò con una certa pressione il cambio, cercando di concentrarsi solo ed unicamente sulla strada.
Quello era un altro comportamento strano, che Blaine non riuscì a definire. Era come se Kurt fosse incerto su qualcosa, come se fosse stato colpito dalle sue parole. E poi, era ritornato di nuovo freddo. Perchè, in qualche modo, intuiva dentro di sé che quell’atteggiamento non fosse spontaneo, ma non ribadì niente, perché restava comunque una cosa che non lo riguardava.

Il resto del viaggio lo passarono in silenzio, Kurt intenzionato a non mollare gli occhi dalla strada, e Blaine che aveva preso ad osservare il paesaggio da oltre il finestrino; non c’era nemmeno una vera tensione, avevano chiarito il loro rapporto e nessuno dei due aveva voglia di parlare. Avrebbero fatto quella lezione, con tutta la professionalità possibile, e si sarebbero salutati senza poche cerimonie. Questo era quanto.

E mentre uno parcheggiava l’auto, aiutato dall’altro che era sceso per aiutarlo nella manovra, con i loro pensieri arrivarono simultaneamente alla stessa, pacifica, conclusione: erano e sarebbero stati soltanto dei conoscenti. Per tutta la durata del mese e, forse, per sempre.




Kurt girò velocemente le chiavi della toppa e con fierezza constatò la perfetta riuscita del suo piano; aveva calcolato tutto quanto: Burt era al lavoro e così Carole, che sarebbe ritornata la sera tardi. Finn era disperso chissà dove e lui non doveva spiegare a niente e a nessuno la presenza di Blaine in casa sua. Così aveva evitato situazioni imbarazzanti per entrambi.
Fece gli onori di casa mostrandogli le cose essenziali - sala, cucina, bagno e camera sua, da lontano e con la porta chiusa a chiave -, dopodiché preparò un succo di arancia mentre il moro si sistemava sul tavolo della cucina ed estraeva dalla borsa le sue cose.
“Grazie per l’invito.” Disse, con un sorriso caldo e gentile, e guardandosi un’altra volta intorno asserì: “questa casa è bellissima.”
“Sì, beh, non è niente di ché, ma si sopravvive.”
“Sicuro che non disturbo? Vuoi che andiamo in biblioteca?”
Il tono con cui lo aveva detto – dolce, sinceramente preoccupato – fece vacillare per un attimo Kurt, che si voltò verso di lui incrociando i suoi occhi chiari; quel ragazzo aveva un’innata capacità di essere adorabile. Dopo aver sviato velocemente lo sguardo posò sul tavolo due bicchieri riempiti di succo appena spremuto.
“Blaine, credo sia un po’ tardi per cambiare idea, non pensi anche tu? E poi, mio padre e Carole sono al lavoro, e di Finn chi se ne importa.”
Il ragazzo, un po’ rinfrancato, inarcò leggermente un sopracciglio e si incuriosì: “Finn è tuo fratello?”
Quando Kurt rivelò che fosse il quaterback della squadra di football non riuscì ad evitare un sorriso piuttosto amaro: un quaterback e un capo-cheerleader. Una famiglia di anonimi, insomma.
“E’ il mio fratellastro, in verità.” Si corresse nel frattempo Kurt, con tono vago, e dando ulteriori spiegazioni perché tanto sapeva già che sarebbero state necessarie: “Carole non è mia madre. Mia madre è morta quando avevo otto anni e sì, ti dispiace e non lo sapevi, lo so. Cambiamo argomento, ti va?”
Odiava affrontare quel tipo di conversazione; ma aveva imparato col tempo che fosse meglio dirla all’inizio, e di non sembrare particolarmente dispiaciuto. A giudicare dall’espressione di Blaine, doveva lavorare ancora un po’ nella sua recitazione; oppure, forse, quel ragazzo aveva una sensibilità al di sopra del normale. Perché Blaine era rimasto letteralmente paralizzato dallo stupore. Balbettò qualcosa, un “mi dispiace” –lo ripeté lo stesso, anche se Kurt roteò gli occhi e mormorò “te l’avevo detto io”- e un “non volevo essere ficcanaso”, e alla fine sviò lo sguardo sulla tavola sentendosi profondamente in colpa.
Non pensava che la prendesse così male.
“Hey, Blaine, non ti preoccupare. Sono abituato a parlare di mia madre, non sai quante volte ho spiegato la situazione a gente che mi scambiava per lei. E’ tutto a posto, sul serio.”
Si sentì un po’ strano a consolare lui, invece di essere consolato. Insomma, possibile che con quel ragazzo le cose non andassero mai nel verso giusto?
Ma, per fortuna, dopo qualche secondo sembrò sorridere, e riprendere il suo solito buon umore.
“Va bene, dedichiamoci alla matematica.”
Kurt si sentì immediatamente stanco e spossato. L’idea lo allettava così poco che preferiva quasi parlare di sua madre, piuttosto che affrontare quel triste destino. Ma sapeva bene che, qualunque cosa fosse, andava fatta.
“Rapido ed indolore.” Mormorò, sedendosi accanto a Blaine.
“Rapido ed indolore –scherzò Blaine, ridacchiando- non farà male, vedrai.”
Certo, come no. Assomigliava molto alla frase che gli diceva il medico quando doveva immettergli un ago in vena per qualche terribile vaccino. E non era mai stata confortante.
“Senti –esordì Blaine, leggermente impacciato- non so bene quale metodo utilizzare, quindi che ne dici di provare a fare qualche esercizio da solo e, se non ti riesce, di chiederlo a me? Così vedi quanto hai realmente da studiare. Beh, a meno che tu non debba proprio ricominciare da zero.”
Oh, cos’era quella vena di sarcasmo nella sua voce? Lo stava provocando? Lo credeva così incapace? Ma dai, non era messo così male! Certo, non faceva uno studio di funzione da anni, ma quanto poteva essere difficile? Insomma, se ce la faceva lui, con i suoi riccioli che sembravano una spugna colpita da una scarica elettrica, poteva farlo benissimo anche da solo!
“Vedrai! - Dichiarò, afferrando la penna con un entusiasmo che non credeva di avere. – Sarà passata questa ora e mezza senza che io ti chieda nessunissima cosa!”
Blaine si limitò a sorridere e gli rivolse un sorriso sghembo: “lo spero, sai, per te.”
Ok, era ufficiale, lo stava ufficialmente provocando. E quella era diventata una vera questione di principio.


Si sa, i principi sono soltanto teorie un po’ vaghe, parole gettate al vento. Niente di ufficiale. Insomma, non c’era nessun detto che dicesse “un uomo non può mai rimangiarsi il principio dato”. Perché esattamente un minuto e mezzo dopo aver trascritto con una bella ed elegante calligrafia il testo, i dati, e ciò che richiedeva la tesi, Kurt entrò nel panico e cominciò a tenersi il volto fra le mani.
Oddio, non sapeva nemmeno da dove cominciare. Non aveva capito nemmeno quello che dovesse fare. Gli sembrava tutto così assurdo, con quei coseni, e quelle radici, e quei numeri seguiti da quell’assurdo punto esclamativo! Insomma, che diavolo erano, dei numeri esclamativi?! Kurt si immaginò che il libro prendesse vita, e ci fossero quelle cifre che uscivano dalle pagine fiondandosi verso di lui, e che si auto-esclamavano “cinque!”, “otto!”, tutte ridenti e saltellanti mentre facevano il girotondo.
Oh, non era mica male come idea. Forse era davvero quello lo scopo di quel simbolo; forse, era una sottospecie di messaggio subliminale per infondere allegria nello studente!
O forse stava cominciando ad impazzire.
Sbuffando per la centesima volta si passò una mano trai capelli, tamburellando leggermente con le dita, mordicchiando nervosamente il tappo della penna multicolore. Certo che la matematica era davvero stancante. E chissà da quanto tempo stava fissando quel foglio a quadretti: magari, se era passata una buona mezz’oretta, poteva concedersi di fare una piccola pausa. Sì dai, ci voleva proprio una pausa; in fondo, pensò, mentre con un piccolo sorriso si accingeva a leggere l’ora sul display del cellulare, non poteva mica fare tutto in un giorno!
Ma poi sbiancò.
Erano passati solamente cinque minuti.
C’era un errore. Il suo cellulare doveva essere rotto. Non era possibile, a lui era sembrata un’eternità.
“Tutto bene?”
Blaine lo stava osservando a metà tra il divertito e il preoccupato, incerto se sbirciare il suo foglio oppure no. Kurt lo anticipò strappandolo via e sfoggiando un’espressione volutamente calma e serena.
“Benissimo. Nessun problema.”
“Oh – commentò, inarcando appena un sopracciglio e sforzandosi di restare serio – ti riescono gli esercizi?”
“Certo. A meraviglia.”
“Sul serio?”
“Sì. Non ci credi?”
Lo fissò per un altro secondo. Kurt era così cocciuto, da risultare perfino adorabile. E poi, con l’innocenza di un bambino, gli indicò un foglio con su scritto un esercizio, e glielo chiese.
Beh, giusto, era lì per quello, considerò Kurt.
Impugnò per bene la penna e cominciò ad osservarlo con aria pensierosa, mormorando qualcosa di tanto in tanto, e cercando per lo meno di far finta di sapere cosa diavolo fosse quella specie di S epilettica ed incastrata tra due righe.
“E’ un arcocoseno – Rispose meccanicamente Blaine – potrebbe chiederti la derivata dell’inversa del coseno, e quindi ti conviene usare gli assi cartesiani. Lo puoi dedurre tutto graficamente, facendo uso delle regole di derivazione algebrica, altrimenti se ti è più facile fai l’analisi di due coordinate variabili ed indipendenti e ottieni il risultato.”
Silenzio.
Prima il videogiochese, e ora la lingua dei Maya.
No, era troppo.
“Ma perché non ti capisco mai quando parli?!”
L’altro scoppiò a ridere incitato dal fatto che il suo tono di voce fosse stato veramente disperato.
La mascella di Kurt scese di due piani, con le sue orecchie che diventavano sempre più viola. Ok, sì, poteva anche ridere un po’ della sua finta sfacciataggine, glielo consentiva.
“Va bene – fece lui, alzando una mano in segno di resa e facendogli cenno con l’altra di continuare – mi arrendo, non mi riesce niente. Denunciami per questo? Non è una novità.”
Disse quelle cose, e con un fare stizzito, perché si aspettava che Blaine lo canzonasse, e lo prendesse in giro all’infinito su quanto fosse stupido. Ma poi successe una cosa che lo lasciò, paradossalmente, ancora più di stucco.
Con sua grande sorpresa vide il ragazzo spostarsi un po’ più accanto, sorridere, e rivolgergli il suo foglio indicandogli con il retro della penna tutti i procedimenti passo per passo.
“Questo è un arcocoseno. Ha dominio tra -1 e 1. E’ l’inversa del coseno, che ha questo grafico qui, e quindi tutti i valori sono invertiti. Devi soltanto sostituire questi valori sostituendo la derivata allo schema. Vedi? In questo modo.”
Oh.
Quella S un po’ epilettica adesso acquistava un po’ più di senso.
“Sei molto bravo.”
Non si era nemmeno accorto di aver detto quelle parole fino a quando non vide le guance di Blaine tingersi di un tenue rosa.
“Me la cavo, non sono poi questo granché. Ai tuoi occhi sembrerebbe bravo chiunque.”
“Hey, potrei anche offendermi, sai?” Mormorò scettico, ridendo sommessamente subito dopo assieme all’altro.
Forse, non sarebbe stato così male.
E Kurt, forse, senza nemmeno volerlo, si stava lasciando andare un po’.
Ma ecco che poi il cellulare sul tavolo cominciò a vibrare freneticamente, notificando un nuovo messaggio.
Uscita con le ragazze per il centro commerciale? Se arrivi tardi ti nascondo la sciarpa che hai lasciato nel mio armadietto! – ‘Cedes
A Blaine non servì leggere quel messaggio per capire immediatamente le sue intenzioni.
“Blaine, mi dispiace, ma per oggi dobbiamo finire prima.”
Voleva fargli notare che, in effetti, avevano appena iniziato, e che lui aveva davvero rischiato una crisi di panico per colpa di un semplice arcocoseno. Ma un’altra parte di sé, quella un po’ più dispiaciuta, quella un po’ più ferita dall’atteggiamento freddo e lascivo di Kurt, dichiarò che non fossero affari suoi, e che se quel ragazzo volesse bocciare in matematica poteva benissimo farlo.
“Come vuoi tu.” Disse allora, afferrando i libri e tracolla. Guardando per l’ultima volta il suo sorriso entusiasta, però, non riuscì a trattenersi dal chiedere: “Ci vediamo anche domani?”
“Mhm, sì, certo.” Annuì lui senza poca convinzione, e con dei semplici “ciao” e “alla prossima” i due si salutarono.

Blaine continuava a ripetersi che non gli importava assolutamente niente.
Ma anche nella sua mente quelle parole suonavano molto false.





***
Angolo di Fra:


(*) Ok, non sapete quanto mi gasi l’idea di farlo, ma mi sento in dovere di spiegarvi che questi sono tutti giochi più o meno famosi e tipici nel mondo dei nerd. Assassin’s Creed poi lo amo. Warhammer è basato su dei modellini che compri e dipingi per fare le guerre con altri. Non ci posso credere che vi sto introducendo un po’ di mondo dei nerd!!! XD

Allora…sono le quattro di notte quindi eviterei tanti commenti. Dico solo un paio di cose:
a) Questo cap è venuto esageratamente lungo e che spero dal più profondo del cuore che vi piaccia. Blaine ho voluto farlo così, perchè mi sembrava la versione più IC possibile (sì, nella mia testa quell'uomo si innamorerà sempre e solo di Kurt anche se non vuole) e Kurt...beh, per lui ci sarà una spiegazione adeguata. A tempo debito. Dico solo che non amo l'OOC gratuito e quindi darò un senso anche al suo carattere. Ho messo degli indizi qua e là, spero che si capiscano.
Onestamente, il numero di recensioni, seguiti e preferite mi ha spaventata perché mi fa vedere quante persone ci tengono a questa storia, e quanto io ci tenga a non deluderle. Quindi, spero di non avervi delusa. I primi capitoli sono sempre i più tragici, per quanto mi riguarda.
b) E vabè…58 seguite. 21 recensioni. Cioè, ma grazie. LET ME LOVE YOU. Siete stati voi a convincermi di continuare, sappiatelo. Spero che vi sia piaciuto tanto quanto il primo capitolo.
c) Ok, devo dirlo. Il fatto che nessuno abbia capito una mazza della frase di Blaine mi ha fatta morire. Mi sento così splendidamente Nerd incompresa XD Vi prometto che metterò un traduttore, per le prossime volte. Ma è troppo bello che vi faccia lezioni di nerdaggine, tra giochi e linguaggio! Ahahahahah!

Vabè, ho un po’ sonno, quindi vi saluto. Anzi, vi saluto alla nerd:

Vado AFK. BB. GL HF.

Bacioni!!
Fra

PS _
Traduzione:
Vado away-from-keyboard. Bye bye. Good luck (and) Have Fun.

Sì, mi diverto da morire.

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Capitolo 3
*** Ritardo e cellulare ***


Capitolo 3

Ritardo e cellulare







 
La mattina dopo ci fu lezione di letteratura. Blaine si sedette al suo solito posto, l’ultimo da sinistra accanto alla finestra, ed appoggiò la cartella sul banco accanto perché sapeva già che non ci si sarebbe seduto nessuno. I suoi amici non frequentavano quel corso e in ogni caso non aveva molta voglia di fare nuove amicizie ad anno inoltrato: in quella scuola era come se tutti fossero troppo impegnati a rimanere sulla propria scala sociale, cercando di non scendere di qualche gradino ma nemmeno di avanzare, perchè altrimenti avrebbero suscitato l’ira di quelli più popolari. A Blaine tutto quello non interessava: lui faceva parte di quel gruppo di ragazzi invisibili che avrebbe sopportato in silenzio i duri anni del liceo, godendo di quei brevi momenti di benessere trascorsi insieme agli altri suoi amici, in un posto nel quale non doveva stare attento a non parlare troppo, ma nemmeno troppo poco. Perché, a malincuore, aveva scoperto che i bulli si accorgevano di lui anche se faceva troppo poco rumore.
Immerso nei suoi pensieri per poco non si accorse nemmeno dell’entrata di Kurt Hummel, circondato da un gruppo di ragazze, intenti a commentare chissà cosa di chissà quale nuovo pettegolezzo. Era altezzoso, fiero, guardava tutti dall’alto verso il basso e rispondeva a malapena alle domande delle amiche; e sembrava così invincibile, in quella divisa da cheerio, così intoccabile, da suscitare perfino un piccolo moto di ammirazione in Blaine. Avrebbe voluto essere come lui: meno codardo, forse, e sicuramente più fiero di se stesso.
Quando vide il volto del ragazzo soffermarsi sul suo ci mancò poco che andasse in ebollizione, sentendosi improvvisamente una pressione addosso che non era abituato a sopportare: Kurt lo fissò, quasi incredulo di trovarlo in quella aula insieme a lui, e voltandosi di scatto bisbigliò velocemente ad un orecchio di Mercedes: “da quando in qua Blaine frequenta il nostro stesso corso di letteratura?”
La ragazza per poco non lo gelò con un’occhiata: “dall’inizio dell’anno, forse? Kurt, fa anche il nostro stesso corso di scienze.”
Un momento: lui faceva scienze?
“Ah, giusto, l’opuscolo fatto di carta riciclata…”
L’amica scoppiò a ridere: “non ci posso credere che tu sia davvero così menefreghista.”
“Non lo sono, infatti. Mi interesso di molte cose, ma solo quelle che contano.”
“Tipo Blaine?”
Rimase a fissarla impassibile: “questa domanda non merita una risposta.”
“Oh, andiamo, Kurt! Che cos’ha che non va? E’ intelligente-“
“E’ un secchione, vorrai dire”, ma Mercedes sbuffò: “E’ un bravo ragazzo, Kurt. E ha più lati nascosti di quanti tu possa immaginare.”
“Ossia? – Kurt sfoggiò un sorrisetto divertito – E’ uno di quei nerd che fa personaggi femmine solo per poterle guardare?”
E fu in quel momento che Mercedes restò completamente di stucco, inarcando vistosamente un sopracciglio, provocando in Kurt un’espressione alquanto confusa. Perché tutto ad un tratto capì di aver detto una grandissima cavolata.
“Kurt, Blaine è gay. Non dirmi che non lo sapevi.”
No, pensò, mentre lentamente si voltava verso il suo quaderno, gli occhi sgranati, la gola diventata improvvisamente secca e le guance arrossate.
No, non lo sapeva, e per quello si sentì improvvisamente molto stupido.
 
 
Quel pomeriggio, Blaine si armò di pazienza e decise di andare di nuovo da Kurt, sperando di riuscire a fare una sorta di lezione; paradossalmente, però, quella volta era lui a sgarrare di orario: le attività del club erano finite più tardi del previsto e così si era ritrovato a correre verso casa sua con la tracolla che rischiava di cadere da un momento all’altro, gli occhiali scomposti, la giacca pendente da un braccio non perfettamente infilato. Detestava essere in ritardo: in generale era una cosa che non sopportava mai, ma in quello specifico momento si sentiva come di aver appena fatto un torto a Kurt, lui, che giusto il giorno prima si era offeso per un motivo pressoché uguale. Si stava già preparando un discorso su quanto le attività extrascolastiche fossero un impegno tanto irremovibile quanto deleterio che, decelerando, si fermò davanti alla porta, e notò che Kurt era già davanti a lui, incolore, e lo fissava da chissà quanto tempo.
Avendo sentito il rumore della macchina che parcheggiava in fretta e furia, decise che sarebbe restato ad aspettarlo sulla soglia di casa, lo avrebbe guardato male per una manciata di secondi e per il resto del tempo lo avrebbe semplicemente ignorato, attività che gli riusciva molto bene e che praticava molto spesso. Tuttavia, qualcosa di simile alla curiosità lo portò ad osservare la sua espressione avvilita, un paio di occhi dorati rivolti a terra, il labbro leggermente contratto in una smorfia e un’espressione da cane bastonato che avrebbe fatto sciogliere il cuore di un orso polare. Sembrava seriamente turbato, come se avesse commesso un reato terribile, con quei suoi venti minuti di ritardo. Kurt pensò che se lui avesse dovuto sentirsi in colpa per tutti i suoi ritardi – dovuti, per lo più, al rituale lungo e minuzioso della scelta dei vestiti – avrebbe fatto prima a rinunciare del tutto ad uscire di casa.
“Ma dai – bisbigliò, a qualcuno di indefinito – se fai così mi fai passare anche la voglia di punzecchiarti.”
Non si era nemmeno reso conto di aver aperto la porta sfoggiandogli un sorriso e sussurrandogli di non preoccuparsi, che anche lui aveva avuto delle cose da fare, e che in effetti era stato proprio un bene arrivare un po’ più tardi. Non seppe nemmeno perché lo avesse giustificato, fatto sta che Blaine lo guardò, non sapendo se sentirsi più sorpreso o riconoscente, e quella frase lo fece sentire ancora più in colpa: il suo viso tornò ad assumere quell’espressione dispiaciuta, capace di eliminare completamente tutto il cinismo di Kurt.
“Vuoi…entrare?” Esitò, indicandogli l’interno della casa. Perché si sentiva così titubante? Era soltanto Blaine; dovevano fare quelle dannate ripetizioni, e loro due non erano in alcun modo amici. Non c’era bisogno di tutta quella fastidiosa tensione.
Tornando ad assumere un’espressione noncurante lo fece sedere al suo solito tavolo, spiegandogli per la seconda volta in due giorni che in casa non ci sarebbe stato nessuno fino ad ora di cena. Onestamente non sapeva dove fosse Finn, ma non appena lo nominò Blaine si schiarì la voce e mormorò qualcosa. Qualcosa che Kurt non afferrò al volo, e che lui, palesemente sbiancato, provò a non ripetere con tutte le sue forze, o, almeno, fino a quando Kurt non lo fulminò con la sua occhiata gelida.
“Riguarda mio fratello, direi che ho il diritto di sapere.”
“B-beh, in teoria sarebbe il tuo fratellastro e-“
“Blaine. Non ti preoccupare, puoi dirlo. Insomma, se non me lo dici tu lo verrò a sapere in ogni caso da qualche cheerleader domani mattina.”
Purtroppo non aveva tutti i torti, e lo sapeva perfino lui; decise di parlare, perché, in fondo, la sua versione era sicuramente più veritiera di qualsiasi fantasia di quelle ragazzine.
“Credo che Finn sia con Rachel Berry. Sono andati al cinema.”
Il cheerio rimase impassibile, le braccia ancora incrociate al petto. Rachel Berry? E chi era questa Rachel Berry? Non che fosse geloso, aveva smesso di vedere Finn come un potenziale ragazzo da quando aveva visto la sua inquietante collezione di calzini; eppure, fino a prova contraria lui stava con Quinn. O forse si erano lasciati? Doveva fare il rituale serale di latte caldo e biscotti più spesso, perché evidentemente si era perso qualche puntata.
“Beh – si limitò a dire, sedendosi accanto a lui, e stringendosi nelle spalle – non la conosco.”
“Non ne dubito.” Mormorò Blaine, pentendosi immediatamente di averlo detto. Kurt, infatti, si voltò verso di lui quasi offeso. Da quando in qua era diventato un difetto frequentare unicamente i più popolari?! Lo aveva detto proprio come se fosse maledettamente ovvio, come se fosse un problema.
Ma non era il problema. Anzi, se proprio voleva metterla in quei termini, essere un cheerleader era stata la sua unica soluzione.
“Scusami tanto – sentenziò, con tono particolarmente acido – se non conosco i tuoi amichetti secchioni.”
“Non è una secchiona. E’ una bravissima ragazza, ed è una mia cara amica.”
Di fronte a quell’affermazione detta in modo incredibilmente convinto, senza battere ciglio lo fissò e decise di ripagarlo con la stessa moneta: “non ne dubito.”
Per un’abbondante mezz’ora non si rivolsero la parola.
 
 
“Basta, ci rinuncio!”
L’esclamazione di Kurt arrivò dritta alle orecchie di Blaine, letali come non erano mai state. Il ragazzo sviò subito lo sguardo, perché non voleva vedere quello soddisfatto dell’altro dichiarare spudoratamente la sua vittoria; era ancora troppo arrabbiato con Blaine per le parole che gli aveva detto. Lui, d’altro canto, non poteva non sentirsi lievemente soddisfatto da quella sua incapacità matematica. Era come se, tra quelle quattro mura di quella stanza, le regole sociali non esistessero più: Kurt, per quanto tentasse di mettere dei paletti, si trasformava in un ragazzo in preda ad un divorzio con i numeri, e Blaine si rivelava essere esattamente il tipo di amico che aveva sempre voluto avere. Perché quando lo vide così arrabbiato e abbattuto, si lasciò sfuggire un sospiro – pesante, dolce, Kurt non seppe decifrarlo bene - , provando a prendere il foglio su cui stava studiando, per vedere di quale mostruoso problema si trattasse; non era tenuto a farlo. Poteva lasciarlo crogiolare nel suo dolore, annegare nella sua disperazione algebrica. E invece era lì, proprio accanto a lui, e dopo qualche tentativo di Kurt di nasconderglielo e bruciarlo con i fornelli, alla fine si era alzato in piedi ed era riuscito a strappargli il foglio tra le mani, sfoggiando un sorrisetto convinto.
Kurt rimase misteriosamente in silenzio. Era come attendere il commento della giuria, o le critiche della migliore della classe. Non voleva essere così negato come invece era, non voleva che Blaine lo prendesse per stupido od incapace.
Ma lui non fece niente di tutto questo. Di nuovo, si mostrò gentile, di nuovo, gli spiegò con calma la fonte della soluzione.
E Kurt si ritrovò ad ammirare per un momento quegli occhi nocciola. Di nuovo.
Blaine alla fine concluse un discorso che gli era sembrato interminabile: “devi soltanto fare l'inversa della derivata e poi aggiungere il differenziale per x.” Alle sue orecchie sembrò come se stesse parlando di un capo di Alviero Martini. Ma non era Alviero Martini. Alviero Martini lo capiva molto bene. Blaine, invece…
“Sul serio, io non ti capisco. Riesci a parlare un inglese normale o devo prendere il Google-traduttore per il nerdese?”
Per un momento il ragazzo ci pensò su, il volto pensieroso, l’espressione leggermente incupita.
Kurt quasi temette di averlo seriamente offeso, ma poi ripensò: lo temeva? Non doveva temere niente di niente, il suo carattere spinoso non doveva essere un problema; non poteva esserlo. Ma nonostante ciò non riuscì ad impedire a se stesso di sentirsi incredibilmente sollevato, non appena vide il volto di Blaine scoppiare a ridere, talmente tanto che fece sorridere anche lui, così, in un modo ingenuo e fugace.
E poi lui disse una cosa che lo fece riportare con i piedi per terra, una cosa proprio da Blaine: “dovresti castare una spell di uso del linguaggio comune. Chissà magari se fai sopra al 14 su un D-20 riesci anche a capirmi!”
Ecco, non sorrideva più.
 
 
Non seppe nemmeno lui in che modo, ma tra un delirio e l’altro riuscirono a finire la lezione. Kurt si sentiva incredibilmente spossato almeno quanto Blaine sembrava divertito: “l’ultimo studio di funzione era proprio carino, no?”
“No.” Mugugnò lui. Aveva in mente tante parole per descrivere quel mondo stregato, ma nessuna di quelle comprendeva il significato di “carino”. Forse, orribile. E mostruoso. E forse anche mostruosamente orribile, ma assolutamente non “carino”.
“Mi sento come se avessi corso la maratona.” Ammise.
“Corri le maratone?”
“No, ma partecipo ad aste su e-bay e praticamente è la stessa cosa.”
Sentì la voce calda di Blaine abbandonarsi ad un’altra risata. Quel giorno era già la terza; era strano il fatto che le contasse, ma era ancora più strano il fatto che se le ricordasse alla perfezione.
“Ci vediamo domani?” Domandò, con tono vago di chi stabilisce il tipico appuntamento di routine. Tuttavia, Blaine esitò un secondo, sviando lo sguardo a terra, e passandosi una mano trai suoi riccioli scuri, e parlò molto velocemente: “Domani…non posso. Ho un…devo fare una cosa.” 
Kurt non volle domandare cosa; non gli interessava veramente, o non voleva interessarsene.
“Va bene, nessun problema. Ci sentiamo su facebook per decidere la prossima data.”
L’altro ragazzo scosse la testa: “non ho facebook.”
“Come sarebbe a dire, non hai facebook?!”
“Significa che non mi sono iscritto, non lo uso. Direi che non mi piace.”
Ok, Kurt era sconvolto. Esisteva ancora qualcuno che si facesse i fatti propri? Perché alla fine quel sito si usava solo per quel motivo, no? Non riusciva a crederci che non avesse facebook, c’erano tutti su facebook, c’era anche il sedere di Justin Timberlake – di cui era ovviamente amico -.
E Blaine gli sembrò improvvisamente ancora più strano di quanto non pensasse. Perché forse era davvero un nerd senza speranza, nonché una sorta di esperimento uscito da qualche UFO, ma con quella sua innocenza sbadataggine da ragazzo che aveva visto troppi videogiochi… sembrava anche gentile. Sembrava un tipo apposto, in effetti.
“Dammi il tuo numero di cellulare.”
Blaine sgranò gli occhi, convinto di non aver capito bene.
“Dammi il tuo numero di cellulare.” Ripeté allora Kurt, un po’ più calmo, afferrando il suo Iphone e cominciando a digitare velocemente la sezione per l’aggiunta di un nuovo contatto.
“Non mi dire che non hai nemmeno un cellulare.” Mormorò, provocando istintivamente la reazione intimidita dell’altro: “N-no, cioè, sì, ce l’ho un cellulare.”
“Bene allora.”
Ma ci fu un altro lungo silenzio. Fu a quel punto che rialzò lo sguardo, fissandolo con i suoi occhi cristallini. Si chiese che cosa stesse aspettando, lui sembrava incerto sul da farsi, oppure, totalmente allibito.
“…Oh.” Giusto, come aveva fatto a non pensarci prima?
“Che stupido. Voglio dire, è chiaro che tu non voglia darmi il tuo numero. Non ci conosciamo nemmeno. Ho agito senza pensare, dovevo immaginarmelo e-“
“N-no, Kurt, aspetta.” Si ritrovò a dire Blaine, con un tono un po’ più forte, un sorriso completamente luminoso. “Sarei onorato di avere il tuo numero. E di darti il mio, per quanto vale.”
Per quanto vale. Kurt restò confuso per qualche secondo senza avere nemmeno la forza di ribattere. Era quello che pensava Blaine, si riteneva quasi indegno di entrare a far parte della sua intimità. Ma era ridicolo, insomma, era solo un numero. O forse era il gesto in sé, il fatto che lui si fidasse così tanto da affidargli un modo per contattarlo sempre, senza preoccuparsi di essere infastidito.
Ma realizzò che Blaine non lo infastidiva. Non tutte le volte, per lo meno.
Si scambiarono velocemente le informazioni necessarie ed entrambi, nel momento in cui dovettero siglare il proprio nome, si sentirono particolarmente tesi. Kurt si aspettò che Blaine lo firmasse Hummel, oppure, “il cheerleader dall’occhiataccia facile”, o meglio ancora, “quel ragazzino insopportabile che è negato con i numeri” - anche se forse superava di un tantino il limite di caratteri, avrebbe usato degli acronimi? -.
Niente di tutto questo. Allungando lo sguardo, poté leggere una semplice scritta in corsivo: Kurt.
Niente Hummel, niente capo-cheerleader. Solo Kurt.
Dopo averlo salutato, stavolta, con più calma, e aver scherzato senza troppe risate sul prossimo orario – prima o poi sarebbero riusciti a fare una lezione completa, se lo sentivano -, rimase a fissare quel ragazzo camminare con tranquillità verso la macchina e allontanarsi velocemente, con quel caldo sorriso che gli illuminava gli occhi.
Osservò di nuovo lo spazio vuoto nel suo cellulare, con un numero a sette cifre impresso e, sopra di esso, la stanghetta del carattere che lampeggiava in attesa di un suo segnale.
Scrisse il nome Blaine, senza nemmeno pensarci troppo.
 
 
“Kurt.”
Un’altra volta udì il suo nome, e un’altra volta fece finta di non averlo fatto.
“Kurt, Kurt eddai, svegliati!”
Contro ogni sua volontà Mercedes lo tirò mettendolo a sedere, i suoi occhiali da sole che pendevano malamente da un lato mostrando uno sprazzo di occhiaie. La lezione di scienze stava per cominciare, e per quanto in quella classe regnasse il puro caos, lui per la stanchezza aveva una sottospecie di cappa alle orecchie che gli attutiva tutti i rumori. Quindi si accasciò di nuovo, sperando di recuperare almeno due minuti di sonno prima di essere costretto a fingere di seguire la spiegazione.
“Ma quanto hai dormito la scorsa notte?!”
“Due ore. C’era la sfilata di moda a Milano e ho voluto seguirla in diretta.”
Mercedes si limitò a rivolgergli un’occhiata piuttosto eloquente, e Kurt in risposta assunse un’espressione indispettita e le fece una linguaccia. Le sorrise subito dopo, e alla fine si scambiarono un tenero abbraccio.
“Ma guardatevi, siete adorabili.”
I due ragazzi trasalirono di scatto sentendo quella voce bassa e arrogante. Era Azimio, uno dei giocatori della squadra di football, assieme alla sua banda di amici. I più stupidi della scuola, mugugnò mentalmente Kurt, e questi quasi sembrarono intuire i suoi pensieri.
“Che c’è, fatina? Questo corpo è troppo caldo per i tuoi gusti da frocetto?”
“Piantatela!” Esclamò Mercedes, ma Kurt si stava già mordendo un labbro e sviando velocemente lo sguardo.
Tutte le volte era la stessa storia. Tutte le volte si sentiva morire dentro.
Ma tutte le volte rialzava lo sguardo, e li fissava con l’aria di chi fosse nettamente superiore.
Azimio scoccò una risata acida e spostò il peso da un piede all’altro: “Guardalo, come si atteggia la cheerlead-.”  
Fu bruscamente interrotto da uno starnuto. E, dopo di quello, Kurt lo fissò impassibile, e parlò con tono vago. “Scusami Azimio, sono allergico alle cazzate che dici.”
Ci furono delle risate da parte di Mercedes e qualche Cheerio presente in classe, e con quell’ultima vittoria i ragazzi sparirono dalla circolazione, ancora più seccati di prima, perché non sarebbero mai riusciti a trovare una risposta pungente quanto quella di Kurt, e lo sapevano benissimo tutti quanti. Ma Azimio, colpito nell’orgoglio, e visibilmente incavolato, decise di sporsi un poco verso di lui prima di andarsene.
“Quella divisa non ti potrà salvare per sempre, Hummel. Prima o poi te la strapperò.”
La lezione era ormai cominciata. Tutti prendevano posto ai loro banchi e Mercedes fece voltare Kurt verso di lui cominciando a dirgli quanto fossero dei cretini, e quanto non dovesse dargli retta.
“Ignorali. Sono solo invidiosi perché tu sei più popolare.”
Non era così. Loro erano soltanto furiosi, perché lui era popolare, ma era anche gay. Ed erano frustrati perché non potevano gettargli la testa nel cesso tutte le volte che volevano. Sfiorò impercettibilmente la stoffa della divisa, passandosela tra le dita, osservando quella sorta di corazza che lo proteggeva.
Mai più di allora sperò che durasse per sempre.
“Kurt? Ti è arrivato un messaggio.”
Controvoglia sbloccò la tastiera del cellulare, rimanendo completamente basito dal messaggio che comparve direttamente sul display.


Tekken. E’ un toccasana per far passare la tensione. Immaginati che il nemico sia quell’idiota di Azimio e riempilo di botte. Buona lezione -Blaine


Quando Mercedes lesse il messaggio senza bisogno di avere il permesso si voltò immediatamente indietro, cercando con lo sguardo il mittente, ma non lo vide da nessuna parte; stava già per chiedere a Kurt che diavolo fosse quel Tekken, e perché mai avesse il numero di Blaine, quando qualcosa nella sua espressione le consigliò di non fiatare.  
Perché Kurt stava sorridendo. Ed era un sorriso talmente disarmante, che sembrava bisbigliare di non voler essere disturbato.
 

 
***
 
Angolo di Fra
 
In verità non ho molto da dire questa volta (ed è una sorta di miracolo perché io straparlo). Ci tenevo solo a dire che le recensioni che mi state lasciando mi lasciano sopraffatta. Non è normale che io le abbia rilette così tante volte da mettermi quasi paura, ma non riesco a non essere felice. Infatti in teoria volevo pubblicare domani, ma prendetelo come una sorta di regalo. Siete gentilissimi, la fiducia e l’entusiasmo che state regalando alla mia ff e a me mi lascia senza fiato. You take my breath away, ecco. Sono in costante fisima mentale di non essere in grado di rispondere alle vostre aspettative, ma vi assicuro che sto facendo del mio meglio.
Il prossimo aggiornamento arriverà mercoledì o giovedì. Grazie mille a tutti!
Fra

PS _ Che scema!!! Quasi me ne dimenticavo!! Non ho mai lasciato il link della mia pagina facebook, dove potete vedere lo stato degli aggiornamenti e in generale farmi domande di ogni tipo. Visto che sono famosa per la mia incostanza nella pubblicazione, vi consiglio di controllare ogni tanto quello che scrivo: questo è il link.

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Capitolo 4
*** Tear ***


Capitolo 4

Tear







Blaine quella mattina non aveva nessuna voglia di seguire la lezione. Aveva passato la notte a far salire di livello il suo paladino-tank su World of Warcraft, cercando nel frattempo di ottenere soldi per la mount, che senza accorgersene si era già fatta l’alba. E ora aveva delle occhiaie che gli scavavano profondamente il viso olivastro e una postura che assomigliava molto a quella di un australopiteco, per la schiena curva, le braccia abbandonate inermi davanti a sè e il passo pesante di chi volesse fare tutto, tranne che dirigersi in classe. E se era a malapena in grado di tenere gli occhi aperti, come diavolo avrebbe fatto a contare i millilitri dei beker nella lezione di scienze?
Stava seriamente considerando l’idea di saltarla. Lo aveva già fatto altre volte, e non se ne era mai veramente pentito, anche perchè, tutto ciò che sperimentavano in classe lui lo aveva già verificato per conto suo a casa, una o due volte ogni tanto; si era ritrovato spesso a chiedersi quale fosse l’utilità di alzarsi presto la mattina e ri-fare le stesse cose. Che poi, non era un affare così impossibile far eruttare un vulcano di cartapesta. Bastava una reazione giusta di biossido di carbonio, azoto e poi-
Una voce grottesca e baritonale piombò alle sue orecchie. L’avrebbe riconosciuta tra mille.
Era quasi arrivato in classe, ma non era ancora entrato; giusto in tempo per vedere un gruppetto di giocatori di football  - Azimio, Samuelson e Smeath, conosceva a memoria i loro nomi, ormai – gracchiare con le loro voci roche e provocare Kurt e Mercedes, seduti l’uno vicino all’altra.
Osservò incuriosito il modo con cui il ragazzo fulminò gli altri tre, specialmente quello più grosso, e come li prese in giro tirando fuori quella battuta acida che lui non avrebbe mai avuto il coraggio di fare: ma era Kurt, lui non aveva paura di un gruppetto di energumeni con qualche chilo in più, lui non si lasciava terrorizzare da minacce a vuoto e risate gutturali.
Eppure, non riuscì a fare a meno di notare il suo viso incupirsi di colpo dopo aver ascoltato chissà quale frase di Azimio, sussurratagli ad un orecchio; non pensava che anche Kurt subisse quel genere di cose. Certo, non veniva spintonato, nè, tantomeno, buttato nei cassonetti: era protetto dalla Sylvester e la coach non avrebbe mai permesso che venisse infortunata la sua gallina dalle uova d’oro. Ma Blaine pensò che quello fosse ancora peggio. Non riusciva ad immaginare cosa gli avesse detto, ma con una sorta di amarezza ipotizzò che fosse qualcosa di molto pesante, oppure, di affilato, specifico, qualcosa su di lui e che lo aveva scosso nel profondo: perchè Kurt adesso si stava accarezzando il petto come se gli mancasse il respiro, e le sue mani tremavano al solo pensiero di qualcosa.
Ma fu solo un momento: nell’attimo successivo il suo viso era tornato ad essere di pietra, la schiena eretta, le labbra serrate e fredde. Eppure, quello sguardo rimaneva. Era come se il suo corpo mostrasse una cosa, ma i suoi occhi un’altra. E Blaine conosceva bene quell’espressione, perchè la vedeva riflessa nello specchio ogni mattina. Solo, non avrebbe mai pensato di vederla in Kurt.
Continuava ad osservarlo, mentre qualcosa dentro di sè premeva per andare dritto da lui e confortarlo. Ma come poteva? Lui non aveva di certo bisogno del suo aiuto; sembrava non aver bisogno di nessuno, in realtà.
Si chiese se fosse veramente possibile; e alla fine, mosso dalla sua folle impulsività, dalla solidarietà nel vivere la stessa cosa oppure, semplicemente, da un istinto, più radicato nel profondo, fece l’unica cosa che era in grado di fare: non poteva parlargli, non di fronte a tutta quella gente, così gli scrisse un messaggio, sperando di fargli scappare almeno un timido sorriso. Voleva solo dire qualcosa di divertente e che, allo stesso tempo, che lo facesse star meglio; probablimente non avrebbe mai capito l’allusione a Tekken. Probabilmente, appena letto il messaggio, avrebbe ottenuto l’effetto contrario ricevendo una smorfia orripilata oppure uno sbuffo altamente annoiato: avrebbe cominciato a sbottare: “che cavolo vuole adesso questo Blaine da me?!”, o peggio, “perchè mai ho deciso di dargli il mio numero?!”
E poi si rese conto dei suoi stessi pensieri: oh Dio, che aveva fatto? Aveva agito senza riflettere, dando per scontato che fosse veramente nella posizione di poter mandare sms abusivi degni del peggiore stalker. Kurt non lo avrebbe gradito, l’avrebbe soltanto trovato impertinente. Ci mancava solo che avesse scritto “so dove vanno a fare piscina i tuoi figli”, e sarebbe stato degno di un carcere.
Si voltò di scatto, con la schiena appoggiata al muro, la porta della classe ad una spanna da lui eppure incredibilmente lontana. Se prima non aveva nessuna voglia di andare a lezione, adesso aveva anche un valido motivo per saltarla: con che faccia si sarebbe presentato davanti a Kurt? Non poteva certo dirgli “hey, sì, prego per quel messaggio, sai, ti ho spiato dalla porta”. Altro che carcere: Kurt avrebbe chiamato direttamente l’igiene mentale.
Ma, soprattutto, non aveva il coraggio di scoprire la sua reazione; non aveva il coraggio di sentirsi dire “stai al tuo posto”, oppure, come quella volta nello sgabuzzino, “io e te non siamo amici”.
Perchè non lo erano: il suo carattere gentile e affettuoso glielo faceva costantemente dimenticare.
Cominciò a correre via, ignorando il suono della campanella, il professore che si stava avvicinando dall’altra parte del corridoio, le voci dei bidelli che gli urlavano di non correre.
In quello stesso momento, Mercedes si soffermava ad osservare il sorriso raggiante di Kurt, chiedendosi cosa avesse fatto Blaine Anderson per far scaturire una cosa tanto bella.
 
 
Per tutto il resto della lezione, e anche per quella successiva, Kurt continuò ad alternare stati di ansia profonda a colpi di sonno mortali. Si appisolava sul banco quando i suoi occhi non ce la facevano più, e si svegliava di soprassalto ogni qual volta qualcuno urlava il suo nome, oppure, semplicemente, ad ogni rumore particolarmente brusco. La frase di Azimio lo aveva colpito più di quanto non volesse ammettere, e lo notò anche Mercedes. Durante il cambio d’ora lo afferrò delicatamente per un braccio, guardandolo dritto nei suoi occhi stanchi: “Kurt, va tutto bene?”
Esitò soltanto qualche secondo, avvertendo il calore emanato dell’amica, ma, allo stesso tempo, gli sguardi di sottecchi dei ragazzi che camminavano lungo il corridoio.
“Certo. Sono solo un po’ stanco”, rispose, perchè era la verità. Almeno in parte.
“Perchè non ti vai a riposare un po’ in infermieria? Ti copro io con la Sylvester. Gli dico che ti sei sentito poco bene.”
Non era una cattiva idea. Saltare i durissimi ed estenuanti allenamenti, in cambio di un caldo e morbido lettino, nella pace più assoluta e, soprattutto, senza giocatori di football ed occhi indiscreti. Avrebbe avuto un momento per se stesso, come se fosse stato nell’intimità della sua camera, libero di immergersi in un mondo che non gli apparteneva ma che ogni volta illuminava i suoi sogni. E voleva farlo con tutto il cuore: in quel momento, era tutto ciò di cui aveva bisogno.
Sorrise sommessamente e le strinse velocemente una mano, come per salutarla, come per dirle, “grazie mille, Mercedes”, e l’amica parve capire. Ricambiò il gesto e prima di dirigersi verso parti opposte della scuola si promisero una chiamata infinita da effettuare dopo cena.
 
 
La sala dell’infermieria non era mai tanto affollata, anzi, vista la fobia americana di prendersi assurde malattie era un posto che veniva preferibilmente evitato. Kurt tuttavia non credeva in febbri gialle o influenze dei polli (*), quindi entrò senza farsi tanti scrupoli e spiegò alla dottoressa i motivi del suo malessere. Ovviamente, non le disse che aveva dormito due ore per passare la notte davanti al computer: piuttosto avrebbe finto qualche malattia sconosciuta, sperando che l’infermiera se la bevesse. Ma quella donna lo guardò storto ancora prima che cominciasse ad aprire bocca, ne conosceva a bizzeffe di ragazzini che si sentivano male solo per saltare qualche test, e quei cheerios non godevano certo di una buona reputazione.
“Ragazzino, che sintomi hai?”
Kurt sviò lo sguardo da un’altra parte, tentando con tutte le forze di atteggiarsi da malato e biascicare un’efficiente diagnosi:
“Ho...ho un forte mal di testa... stanchezza incrontrollabile... e anche qualche capogiro. E’ come se potessi svenire da un momento all’altro, ecco.”
A malapena trattenne un sorrisetto compiaciuto, mentre l’infermiera rimaneva ad osservarlo immobile: era un attore nato, non c’era niente da fare, nemmeno Cal Lightman di Lie to Me sarebbe riuscito a smascherarlo.
“Ragazzino, ti sei reso conto di aver descritto i sintomi del ciclo mestruale?”
Okay, forse non era così tanto bravo.
“L-l’ho fatto?!” Domandò, con un tono di voce inquietantemente alto e spaurito, e la donna gli rivolse un’ultima smorfia prima di sbuffare, fare un gesto convesso con il polso ed indicargli una brandina nascosta dalle tendine.
“Ti do mezz’ora. Non un minuto di più. Al cambio dell’ora fili fuori.”
Ci furono una serie interminabile di “grazie”, e, “non puoi avere il ciclo, lo sai”, ai quali susseguirono anche dei “sì, lo so, sono un cheerio, non un giocatore di football: abbiamo cervello, noi”, ma alla fine Kurt ottenne il suo tanto amato lettino, e perfino l’infermiera che se ne andava a prendere un caffè per lasciarlo dormire più tranquillamente.
“Ah – lo richiamò, giusto un secondo prima di chiudersi la porta alle spalle – c’è un altro ragazzo che riposa nel lettino accanto, vedi di non disturbarlo.”
Le rivolse un’occhiata assolutamente gelida, e per pocò non le rispose male: ma per chi lo aveva preso?! Solo perchè qualche volta rispondeva male a un paio di persone non voleva dire che era un maleducato! Insomma, non si sarebbe mai sognato di importunare qualcuno che stava veramente male. Ma questo fu bene attento a non dirlo ad alta voce.
Si sedette sul letto, sfoderando cuffie e lettore mp3 e sdraiandosi un po’ seccato: adesso aveva solo voglia di mettere su Barbra Streisand, isolarsi dal resto del mondo e viaggiare di fantasia. Preferì non pensare al volto furibondo di Sue Sylvester che lo rimproverava per aver disertato le prove, e nemmeno a quello saccente di Quinn Fabray che gli diceva “te l’avevo detto”, solo per farsi bella davanti alla coach e ottenere il ruolo da capo-cheerleader.
Che se lo prendesse quel maledetto ruolo. Ne aveva fin sopra le tasche di ginnastica, frullati ipocalorici e stress; ma poi, come tutte le altre volte, scosse leggermente la testa, e sospirò. Non era vero: non era affatto stufo, anzi, era soddisfatto di quella vita, ne era grato. Era faticoso, certo; ma bastava ricordare il motivo per cui lo stava facendo per fargli dimenticare ogni lamentela.
Nonostante la rinnovata convinzione, quelle riflessioni miste alla simpaticissima conversazione di poco prima gli avevano fatto passare anche quel briciolo di buon umore che aveva; quello che era riuscito a recuperare grazie al messaggio di Blaine, così inaspettato, eppure, così gentile.
E chissà, disse tra sè e sè, pensieroso, vagamente sorridente: prima o poi avrebbe avuto anche l’accortezza di ringraziarlo.
Solo, pensava che lo avrebbe fatto più poi, che prima.
Un secondo dopo la tendina del lettino di fronte a sè si separò, mossa da un gesto secco di un paio di mani, rivelando così il volto stanco e ancora assonnato di un ragazzo che emise un piccolo sbadiglio, le guance arrossate, gli occhi –privati da ingombranti occhiali- che si aprivano e richiudevano svegliandosi pian piano.
E Kurt non riuscì davvero a trattenere il modo sorpreso, felice ed imbarazzato con cui disse quella parola:
“Blaine?!”
Il sottoscritto trasalì, sussultando sul posto, rivolgendo a Kurt un’occhiata allibita e, allo stesso tempo, confusa: “K-Kurt! Che-che ci fai tu qui!? Stai male?”
“N-no, io no! E tu? Tu stai bene?”
“S-sì, ora sto bene, ma non riesco a capire, voglio dire, io sono qui, e tu sei lì, ed è...”
“Strano.”
“Sì, strano! Quante possibilità avevamo?”
“Poche.”
“Nulle!”
“Un momento, cosa vuol dire ora sto bene? Che avevi prima?”
Quando Blaine esitò per rispondere, quando si morse appena il labbro inferiore rimanendo in silenzio, Kurt si rese conto di aver agito e parlato in un modo che non poteva fare. E poi, perchè lo aveva chiesto?Perchè sì, rispose immediatamente una voce dentro di sè. E poi aggiunse anche di essere stata molto eloquente.
Ma no, non aveva nessun diritto di parlare in quel modo a Blaine, non erano fatti suoi se fosse male o meno; ma nemmeno lo aveva realizzato. Blaine sembrava davvero combattuto contro qualcosa, tanto da attirare completamente la sua attenzione.
Il ragazzo, però, non spiegò niente. In risposta, si morse appena il labbro inferiore e mormorò: “Stavo solo schiacciando un pisolino. Ho dormito poco questa notte.”
Aveva l’aria di uno che non fosse abituato a mentire; questo pensò Kurt, mentre lentamente cercava di incrociare i suoi occhi nocciola.
“E tu?”
Il cheerio inarcò le sopracciglia, rispondendo senza troppo interesse: “Oh, stesso motivo. Anche io ho dormito poco.”
Lo guardò per un secondo, di sottecchi, prima di sorridere: “Ok dai, confessa. Film o discoteca?”
“Come scusa?”
“Non credo che tu abbia passato la notte a levellare a WoW come me, quindi, le opzioni sono due: o hai fatto serata, come dite voi altri – sottolineò, con un certo cinismo- oppure ti sei sparato qualche film.”
Kurt stava seriamente considerando l’idea di strabuzzare gli occhi e dirgli di aver cannato in pieno tutte le sue supposizioni, soprattutto la prima. Purtroppo per lui, però, era rimasto ancora all’inizio della frase.
“Tu hai fatto...cosa? E dove? Hai livellato un...un cosa? ...Sei un operaio?”
Ok, la risata che seguì subito dopo fece intuire che, forse, anche lui aveva appena cannato in pieno.
Blaine restò per diversi secondi in quella situazione, ridendo talmente tanto da posare una mano sulla pancia e l’altra a strofinarsi gli occhi con la punta delle dita. I suoi occhi adesso erano limpidi, per il sonno, o per il divertimento, a Kurt non importava: erano così interessanti, nella loro luminosità, con quel bagliore di dolcezza. Ed erano così particolari. E poi, doveva ammetterlo: senza quei grossi e larghi occhiali, Blaine...
“Stai bene.”
Oh Dio, non lo aveva appena detto ad alta voce.
Lo aveva fatto?
Blaine adesso lo fissava incuriosito, aveva appena smesso di ridere.
Prese diversi profondi respiri perchè sì, lo aveva appena detto, e accidenti alla sua bocca che parlava senza pensare, e accidenti al suo cervello che pensava senza riflettere. Adesso doveva dare una spiegazione logica a qualcosa che non aveva senso. E stavolta non stava parlando con Brittany o qualche altra cheerio, stavolta non se la sarebbe cavata con una risatina e via. Ma più aumentava quel silenzio, più il suo cuore andava in iperventilazione, con le guance che si coloravano da un rosa pallido ad un rosso acceso.
Andiamo Kurt, inventati qualche frase di circostanza, qualsiasi cosa, la prima che ti passa in mente e poi svignatela via!
“Occhiali. Voglio dire, gli occhiali, non ci sono.”
Il sottotesto perfetto sarebbe stato: qui parla capitan Ovvio. Va bene: il suo cervello lo stava palesemente prendendo in giro.
Eppure, Blaine sembrò essere preso contropiede, perchè deglutì un paio di volte, prendendo un lungo respiro, e mormorando: “Sì, li ho lasciati a casa.” Perchè non poteva dire che, in realtà, glieli avevano rotti i bulli giusto qualche ora prima.
Kurt, fortunatamente, sembrava troppo agitato per accorgersi della sua piccola bugia. Sembrava cercare con tutte le sue forze di creare qualche frase degna di logica, e a Blaine tutto quello sembrò semplicemente adorabile. Ma anche molto strano: perchè il rossore, i balbettii, le mani che stavano torturando i lembi della maglietta, sembravano tutti dei chiari segni di imbarazzo. Ma Kurt non poteva essere imbarazzato. E per cosa, poi? Non riusciva a capire il filo del suo pensiero. Sempre se ci fosse qualche pensiero dedicato a lui, dentro quella testa così riservata.
Alla fine, con grande sorpresa di entrambi, Kurt si ritrovò a dire: “Dovresti curarti di più, sai? No, non volevo dire questo. Insomma, non volevo offenderti; è solo che gli occhi, hem, gli occhiali. Voglio dire, i tuoi occhi. Spiccano di più senza gli occhiali.”
Non avrebbe saputo ripetere quel discorso nemmeno con la moviola. Ed era un vero idiota, perchè Blaine sicuramente l’avrebbe preso per scemo, e lui era veramente pessimo quando veniva messo sotto pressione.
Era talmente preso a gestire il suo, di imbarazzo, che non si accorse di quello dell’altro quando, timidamente, si limitò a dire: “Grazie.”
“Grazie a te. – Fece subito lui - Sì, insomma, per il messaggio.”
“Oh. Lo hai letto.”
“Sì.”
Un’altra, flebile, pausa.
“N-non ti stavo stalkerando.”
“Come?”
“Non c’è di chè.”
“A-ah. Anche io. Voglio dire, per quella sottospecie di complimento di prima: non c’è di che.”
E tra di loro piombò il silenzio. Immersi nei propri pensieri e persi in quelli dell’altro.
Era tutto molto strano. Il loro comportamento, i loro pensieri. Erano tutti e due diversi da come si mostravano nella realtà. Però, nessuno dei due sapeva dire se diverso volesse dire “bello” oppure “brutto”.  Nessuno dei due, in quel momento, realizzò che diverso poteva significare speciale.
Uno perchè, semplicemente, non ne era ancora in grado. L’altro, perchè non poteva.
 
 
“Kurt!? Kurt, sei qui?”
La voce squillante di Mercedes la precedette nella sua entrata in stanza, e aveva tutta l’aria di aver passato un pessimo quarto d’ora. Non appena varcò la soglia l’atmosfera trai due ragazzi cambiò: perfino a livello fisico, Blaine si voltò istintivamente da un’altra parte e Kurt tirò indietro le spalle, alzandosi in piedi di scatto, allontandosi di qualche passo da lui e rivolgendo alle ragazze un’occhiata imperscrutabile.
Erano tornati ad essere il cheerio e il ragazzo delle ripetizioni.
“La Sylvester è su di giri, dice che di questo passo non vinceremo mai le nazionali e ha detto che vuole vederti nel suo ufficio seduta stante. Muoviti, cosa aspetti!? Ti sta aspettando da dieci minuti!”
Non ebbe nemmeno il tempo di replicare: la ragazza lo afferrò immediatamente per un braccio e lo trascinò in un batter d’occhio nel bel mezzo del corridoio.
Non aveva nemmeno fatto caso allo sguardo che gli aveva rivolto Blaine.
 
“Mercedes, calmati! Che sta succedendo!?”
“E’ assurdo, Kurt, la coach ha cominciato ad arrabbiarsi perchè tu salti una prova sì e l’altra pure, e-“
“Aspetta. Non mi avevi detto che mi avresti coperto?”
“L’ho fatto! Ma quegli idioti di Azimio e Samuelson le hanno detto di averti visto stamattina, e che stavi un fiore. Non sapevo più cosa dire!”
Nemmeno lui. Adesso aveva un’espressione indecifrabile in volto, le gambe che presero a correre più veloce, il respiro che si era fatto improvvisamente più affannato. Stava sudando freddo.
Perchè proprio quando una piccola luce aveva cominciato a risplendere, ecco che il mondo si era fatto buio, freddo.
Era tornato tutto come sempre.
Azimio e Samuelson avevano ideato un nuovo modo per fargliela pagare. Ma purtroppo, avevano trovato quello giusto.
 
“Io ne ho abbastanza, Hummel.”
La coach era seduta davanti a lui, gli occhi pieni di rabbia, le mani intrecciate fermamente sulla scrivania.
“Prendi voti schifosi in matematica, non ti presenti alle prove. E ora vengo a sapere che fingi pure un malore?”
“Coach Sylvester, posso spiegare, io-“
“Non dire una parola. Sei molto bravo a girare la frittata in tuo favore, quando ti fa comodo. Ma adesso tocca a me parlare. Non fai altro che ripetere quanto i cheerios siano importanti per te...ma non me lo hai mai dimostrato.”
“M-ma coach, mi alleno duramente quasi tutti i giorni, sto perfino prendendo ripetizioni per-“
“Quinn Fabray salta molto più in alto di te. Mi spieghi perchè dovrei tenerti capo-cheerleader, quando ho una come lei? Mi spieghi perchè dovrei tenerti nei cheerios?”
Era arrabbiata. Era proprio incavolata nera.
Ma non poteva permetterglielo, non avrebbe potuto. Perchè più sentiva scivolare via la sua divisa, come un manto di cera appena incendiato, più sentiva le risate orripilanti di quei tre bulli farsi più vicine.
E Kurt ebbe paura. Paura di perdere tutto, di tornare all'inferno di prima. Ma non avrebbe resistito di nuovo, non un’altra volta.
“Mi impegnerò.”
Perfino la coach si stupì di quanto il suo tono risultò glaciale.
“Farò tutto, coach. Tutto. Preparerò alla perfezione il numero. Prenderò quella B in matematica. E non salterò mai più le prove, nemmeno una.”
La professoressa aveva appena sentitò esattamente ciò che voleva sentire.
“E’ la tua ultima possibilità, Hummel. Altrimenti, mi riporti indietro la divisa.”
 
I corridoi della scuola sembravano improvvisamente vuoti.
Forse, perchè lui si sentiva così. Come un involucro senz'anima, un burattino retto unicamente dalle fila di quel gioco che era la scala sociale. Triste, deforme. Necessario.
Aveva bisogno di quel ruolo. Perchè non era coraggioso come credeva. Perchè, con quella addosso, anche se per poco, era al sicuro.
Perchè senza di quella sarebbe tornato ad essere nessuno. Per Azimio, per Samuelson.
E anche per Blaine.
Perchè in quel momento pensò che Blaine fosse esattamente come tutti gli altri. Un ragazzo qualunque, a cui non importava veramente chi fosse. E sì, per un momento, aveva anche creduto che potessero diventare amici. Ma fu un inganno: era ovvio, Blaine voleva essere suo amico solo per la popolarità. Perchè non c’era altra spiegazione, no? Per quale altro motivo era stato così gentile, sennò?
Era ovvio, sarebbe stato l’ennesimo che lo avrebbe buttato via, una volta concluso il suo momento di gloria, una volta passata quell’avventura, da poter raccontare agli amici.
Che stupido. Era proprio uno stupido.
Perchè, alla fine, ci era quasi cascato, no?
Quel Blaine, lui, per poco non aveva fatto crollare tutto il suo perfetto castello di carte. Tanto perfetto, quanto fragile.
Ci era mancato davvero poco. Si era quasi dimenticato di dove fosse, di chi fosse: Kurt Hummel, capo-cheerleader. Il ragazzo più popolare della scuola. Il ragazzo che sopravviveva, nonostante tutto.
Giusto, lui era quella persona.
 
 
Si immaginava già il volto di Blaine, mentre con tono beffardo incontrava qualcuno e diceva: “Hey, sentite un po’ questa, ho dato ripetizioni a Kurt Hummel.”
Delle lacrime salate bagnarono le sue labbra serrate, incurvate all'insù.
Sembrava una bella storia.
E poi Kurt rise, di una risata amara.
Perchè era una barzelletta.









***


(*) Sto parlando dell'aviaria. Dai, non ditemi che non sono l'unica a cui è stata fatta una testa quadra per quell'influenza. Ho fatto scorte di amuchina che mi dureranno fino al 2070.


Piccolo edit: mi sono resa conto che l'ultimo pezzo non era molto chiaro. Quella frase a beffa detta ipoteticamente da Blaine è una fantasia di Kurt, era come se si vedesse di fronte a sè come sarebbero andate le cose. Questa notte non avevo notato che fosse poco chiara e facilmente fraintendibile, vi chiedo umilmente perdono. Sono una pessima scrittrice con la pessima abitudine di scrivere ad orari improbabili.
Angolo di Fra:

Allora...io spero proprio che non mi fuciliate dopo questo capitolo.
C'è stato un po' di movimento nella parte finale, non è vero? Dopo tre capitoli piuttosto "leggeri" toccava scrivelo.Voglio dire, con la faccenda di Kurt, il castello di carte e tutto il resto...uhm...forse...è quello che si può chiamare ANGST!? Woh-oh! Ho scritto dell'angst! So che voi mi state prendendo per scema e state pensando "ma questa all'una e mezza di notte si fuma i funghetti di super-Mario?" ma è la prima volta che scrivo del vero e proprio angst! Mi piace scrivere cose nuove, quindi, benvenuto angst!
Basta, lasciamo da parte gli scleri. Spero VERAMENTE di non aver deluso nessuno con questa svolta. Non so cosa vi aspettavate da questa ff, onestamente, all'inizio me lo chiedevo anche io (AHAH! XD ma questo non dovrei dirlo.), ma dopotutto lo avevate capito da un po', no? Kurt ha questo peso che non riesce più a sopportare. Da un po', in realtà, e che è aumentato quando ha conosciuto Blaine, quando si era illuso che potesse finalmente essre se stesso, almeno con qualcuno. Ma non può. E' molto triste, in effetti. Ahah, è proprio dell'ANGST! Incredibile.
Ma non temete, miei cari. Sappiamo tutti che Blaine non è un tipo che molla facilmente. E poi insomma, se si mandassero a quel paese a vicenda sarebbe finita la storia! "Blaine, io e te non possiamo essere amici." "Ok, vado a farmi una Dota su BNet. Ciao." E fu così che questa ff finì col capitolo 4. Ahahahah! No, scusate, sono una frana. Voi probabilmente mi state odiando e io qui me la spasso come il vecchio Rafiki del Re Leone. Asantesana-coco-banana!

Dlin Dlon!
Momento dei ringraziamenti.


Oddio, ho un sacco di gente da ringraziare... allora, innanzitutto ringrazio Lievebrezza, che beta i capitoli e sopporta tutte le mie paranoie...e poi tutti quelli che mi scrivono sul profilo del faccialibro, PARTECIPANDO alle mie paranoie, che è ancora meglio. Ahah!!!
Ringrazio TUTTI  ma dico TUTTI quelli che hanno perso un minuto o due per recensire il terzo capitolo. Siete stati tanti, tantissimi e io sono rimasta davvero senza parole. Grazie. Grazie dal più profondo del cuore. Non so cosa abbia fatto questa ff, o io, per meritare tutto questo, ma ricevere così tante recensioni e così tante preferite, e 92 SEGUITE in soli tre capitoli mi ha fatta tipo caracollare. Che bella parola, caracollare. Dà proprio l'idea di una che non sa che farsene con il suo corpo, e si butta in mare. Sono in balìa del vostro affetto, dico sul serio.
(Ma forse dopo questo cap le sguite e le recensioni diminuiranno di colpo AHAH xD)
Ringrazio tutti quelli che hanno suggerito consigliato e pubblicato la ff in vari siti (che se mi linkate provvederò a scrivere tra le note nel prossimo capitolo) e quelli che, semplicemente hanno sopportato tutto questo mio delirio fino a questo punto. Vi stimo! Ahah!

Il prossimo aggiornamento non so quando avverrà. Perchè, insoma, IN TEORIA dovrei studiare. Ma dettagli.
Un bacione a tutti, alla prossima!!Fra


PS _ Se avete bisogno di una traduzione di qualche frase nerdese non esitate a chiedere! Io non le metto per non appesantire le note. Chi è incuriosito mi mandi un mp, oppure, chieda :)





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Capitolo 5
*** End of the beginning ***


Capitolo 5

End of the beginning







 

 
Blaine non riusciva a capire.
Era appena tornato da casa di Kurt, dopo quelle che erano state le ripetizioni più silenziose della sua vita. Kurt aveva continuato per tutto il tempo a fissare il foglio con aria stanca, come se non avesse alcuna voglia di studiare, parlare, pensare, vivere. Forse non era stata una buona idea quella di incontrarsi quel pomeriggio per fare lezione, ma quando Blaine gli aveva scritto per chiedere conferma l’unica risposta ricevuta era stata un chiaro e telegrafico “ok.”
Dopotutto il tempo passava, e la sua conoscenza della matematica non era migliorata di molto: non poteva permettersi di rinunciare a quelle lezioni, lo sapeva molto bene. Inoltre, quel giorno si sentiva particolarmente nervoso e stanco per via dei durissimi allenamenti dei Cheerios, e così non gli era risultato molto difficile ignorare Blaine e dedicarsi alla matematica.
Una volta giunto davanti alla casa, Kurt gli aveva aperto la porta e si erano salutati, lui con un sorriso, l’altro con un cenno del capo; Blaine notò con una sorta di groppo alla gola che Kurt, senza la divisa, era ancora più bello: la quale cosa raggiungeva i limiti del paradossale, perché se aveva pensato che Kurt fosse incredibilmente attraente, adesso, come avrebbe dovuto descriverlo, vedendolo in quello stato?
Dei semplici pantaloni neri gli fasciavano perfettamente le gambe e una maglietta neutra evidenziava il suo busto, esile ed allenato. Un foulard leggero gli contornava il collo caldo, attraente, e i capelli emanavano un dolcissimo profumo di lavanda. Blaine si sentiva ridicolo ad avvampare per quelle piccole cose, tuttavia, non riuscì a biasimarsi del tutto, perché quello che aveva davanti era Kurt Hummel, in abiti casual, splendido come non mai.
Si immaginò quanto ridicola potesse sembrare la sua espressione in quel momento; i suoi occhi, probabilmente, erano a forma di cuoricino. Eppure, Kurt non sembrò notare niente di tutto quello. Forse, perché lo aveva degnato a malapena di un’occhiata.
Erano entrati in cucina, si erano seduti al solito tavolo afferrando i soliti libri e da quel momento in poi era regnato il silenzio. L’unico brusio di sottofondo era dovuto al picchiettare della penna sul tavolo e allo scribacchiare della matita sul foglio. Aveva fatto qualcosa di male? Per tutto il tempo tentò inutilmente di decifrare l’espressione sul suo viso, incollato sull’esercizio: non sembrava arrabbiato, ma non sembrava nemmeno felice di stare con lui. Era come se fosse apatico, era come se avesse perso la voglia di fare qualsiasi cosa, perfino di tener conto della sua presenza.
Il tempo era passato così, tra un pensiero perplesso di Blaine ed uno crucciato di Kurt, tra occhiate di sottecchi, smorfie appena accennate e calcoli di matematica. Le uniche volte in Kurt aveva parlato era stato per chiedergli di un esercizio e alla fine, quando lo salutò accompagnandolo freddamente alla porta: si erano guardati, avevano deciso la data del prossimo incontro e si erano salutati, senza aggiungere altro.
Appena chiusa la porta Kurt si accasciò contro di essa, sospirando pesantemente, portandosi una mano sugli occhi stanchi.
 
 
 
Blaine si buttò immediatamente sul letto della sua camera, abbandonando a terra tracolla e giubbotto, ignorando prontamente il computer acceso e la playstation 3 che reclamava la sua attenzione, e lasciò che la sua testa lo martellasse di pensieri e sospiri: non riusciva davvero a capire. Eppure, fino a prova contraria, l’ultima volta che si erano visti era stato in infermeria, e anche allora il loro incontro non era stato male, no?
E poi, tutto ad un tratto, un lampo di genio perforò la sua mente. Si ricordò della conversazione avuta con Kurt – e non gli fu difficile, perché scoprì di conoscerla praticamente a memoria – e divenne tutto più chiaro.
Si lanciò sulla cartella accasciata sul pavimento ed estrasse dalla tasca esterna il suo cellulare, cercando frettolosamente un numero che aveva da tempo, ma fino ad allora mai usato. Eppure, in fondo, si conoscevano da un paio di anni ormai. Beh, non che avessero parlato spesso. A pensarci bene, avevano parlato più durante la scorsa settimana che in tutto il resto del tempo.
Aspettò pazientemente che rispondesse al telefono mentre un moto di nervosismo cominciava a salirgli dalle viscere.
“Pronto?” Fece una voce squillante, dall’altro capo del telefono.
“Mercedes?”
“Blaine, ciao! Che sorpresa sentirti, non mi chiami quasi mai!”
“Forse perché tu non mi parli quasi mai.”
Emise uno sbuffo piuttosto sonoro, e con disinvoltura disse: “Beh, sei il migliore amico di Rachel, non posso mica familiarizzare con la concorrenza.”
Blaine non riuscì a trattenere un sorriso: tutta quella competizione li avrebbe distrutti, prima o poi, ma non poteva negare che rendeva le lezioni del club di gran lunga più avvincenti.
“Allora? – Domandò la ragazza - Che ti serve?”
Oh, andiamo, c’era un solo motivo al mondo per cui avrebbe potuto chiamarla, e lo sapeva bene anche lei. Prese un bel respiro profondo, prima di assumere un volto serio e dire: “Sii sincera: sei stata tu, non è vero?”
Finse di non capire: “Non so di cosa parli.”
“Lo sai di cosa parlo.”
“Ma certo che lo so di cosa parli.”
“Oh. – Commentò, preso in contropiede- Bene.”
Almeno non doveva dirlo ad alta voce: avrebbe reso le cose infinitamente più difficili.
“Perché stiamo parlando di quel bocconcino in divisa bianca e rossa, non è vero? ”
“Mercedes!”
“Che c’è? E’ la verità!”
“Sì, ma- cioè, n-no, no che non è la verità!”
“Blaine?”
“Stiamo parlando di Kurt.” Protestò lui, ma il solo pronunciare quel nome gli provocò le farfalle nello stomaco. Aveva visto Kurt da molto tempo. Lui era un anno più piccolo, così quando conobbe il suo nome era già capitano dei Cheerios nonché altamente popolare. Lo aveva intravisto spesso nei corridoi, e a qualche partita di football, ma non si era mai permesso di osservarlo a lungo, né ovviamente di pensare a lui. Era un bel ragazzo, certo, perché negare la verità? Ma a quanto pare non era molto bravo a nascondere i suoi sentimenti, perché un giorno Mercedes gli aveva chiesto della sua prima giornata di ripetizioni con Kurt, e senza nemmeno lasciarlo finire di raccontare lo aveva guardato come illuminatasi sfoderando un sorriso compiaciuto: “tesoro, non ti preoccupare, vedrai che le cose miglioreranno velocemente.”
Non pensava che avrebbe scatenato una serie di reazioni a catena e piani machiavellici.
“Ce l'hai mandato tu infermeria ieri mattina, vero? Lo sapevo che non dovevo dirti dove stessi andando. Lo sapevo che stavi macchinando qualcosa, mi sembrava troppo strano che tu mi parlassi, soprattutto visto che mi hai chiesto come ho livellato il mio tank di WoW!”
“Blaine, ehi, calmati! Gli ho soltanto suggerito di andarsi a riposare. Come avevo fatto con te, giusto un'ora prima. Se non fosse stato per la scenata della coach vi avrei anche chiuso dentro la stanza e-“
“Mercedes!!” Esclamò Blaine, stritolando un cuscino con la mano libera.
“Che c’è!? Blaine, ascolta. Io ti conosco, e conosco anche lui. E fidati: dovete soltanto conoscervi a vicenda.”
Il ragazzo non riuscì a trattenere una smorfia, di disapprovazione, frustrazione, e molti altri sentimenti contrastanti tra di loro.
“Non credo che sarà mai possibile.” Mormorò affondando trai cuscini, fissando un punto invisibile sul soffitto.
“Perché?”
“Perché sì, Mercedes. Oggi ci siamo visti, e lui è stato…strano, freddo.”
Anche la ragazza, per un momento, parve confusa: “ma pensavo che dopo l’infermeria…”
“Lo pensavo anche io. Ma è evidente che lui…beh, immagino che non voglia conoscermi.”
Ci fu qualche secondo di pausa; Blaine adesso cominciava a sentire l’autocommiserazione prendere il sopravvento su di lui e sperò con tutto il cuore che la cheerio non scoppiasse a ridere prendendolo in giro sulle sue cotte infantili. Non l’aveva ancora inquadrata bene, quindi, non sapeva quale reazione aspettarsi.
“Blaine. - Esordì alla fine, con tono serio, comprensivo - Non vuole conoscerti…o non può?”
 

 
“Kurt, ti riescono gli esercizi?”
“Mhm.” Mormorò, stringendosi appena nelle spalle, con sufficienza. Blaine sospirò e voltò lo sguardo davanti a sé, perplesso, dispiaciuto. Erano passati due giorni dalla loro scorsa lezione e Kurt sembrava ancora più cupo dell’altra volta. Se prima era stato apatico e freddo, adesso era visibilmente scocciato, esausto, sicuramente a causa degli allenamenti. A giudicare da come si massaggiava stancamente le braccia e le spalle e dal suo portamento stanco, doveva essersi impegnato molto più del solito.
Visto che non sembrava intenzionato a chiedergli aiuto e lui aveva un compito di arte il giorno dopo, su storia del costume, decise di approfittare di quel momento per studiare un po’. Osservò le domande prova che la professoressa aveva dato loro in preparazione al test – palesemente ricopiate da un libro di esercizi, notò con scetticismo – e per un attimo si pentì di non aver seguito quel corso nemmeno con la forza del pensiero: all’inizio aveva pensato che fosse una materia interessante, ma poi con ribrezzo aveva scoperto che l’unico costume che conoscesse quella professoressa fosse il nuovo outfit di Oprah durante la sua ultima serata, e che quella cattedra le serviva soltanto per arrotondare il suo primo stipendio di architetto. Aveva approfittato della nullafacenza di quell’ora per portarsi il computer in classe e progettare il modo migliore per skillare il suo paladino, preparandosi alla perfezione per il raid che avrebbe fatto dopocena. Una mossa irresponsabile, in effetti, ma lui aveva diciassette anni e quel gioco si pagava a mesi: non gli era passato nemmeno per l’anticamera del cervello l’idea di avvantaggiarsi sul programma e rinunciare ad una sana ruolata.
Kurt intravide con la coda dell’occhio uno sprazzo di colore – forse, di un vestito – che sicuramente non era inerente alla matematica. Si chiese di che materia si trattasse, ma subito dopo si ricordò che non doveva interessargli; non era per quello che si trovavano lì: avrebbe finito quell’ora di ripetizioni ed entrambi sarebbero stati molto più contenti, Blaine con dieci dollari in più, e lui con la convinzione che non sarebbe stato cacciato dai Cheerios. Si trattava soltanto di affari e matematica. Doveva farla finita di essere così ingenuo, di illudersi; sebbene la curiosità, l’interesse e lo istinto lo spingessero verso altre direzioni, era dalla scorsa lezione che si era imposto con ogni fibra del suo cervello due uniche regole: non osservarlo più del dovuto e, soprattutto, non parlargli di cose che non fossero numeri e calcoli. Insomma, avrebbe fatto come faceva sempre con tutti quanti; perché, dopotutto, non aveva nessun motivo di comportarsi diversamente con Blaine.
Giusto?
L’altra volta ci era riuscito con grande soddisfazione: niente battute sul nerdese, niente complimenti involontari sui suoi occhi; ma quel giorno, purtroppo, era tutto più difficile. Perché Blaine aveva deciso per chissà quale motivo di mettersi le lenti a contatto, e aveva le ciglia lunghe e scure, che circondavano i suoi occhi grandi e assorti. E Kurt pensò che evidentemente ci fosse un problema di comunicazione tra lui ed i suoi neuroni, dato che nemmeno un secondo dopo avevano mandato a quel paese la prima delle due regole e lui si era ritrovato a fissare le sue mani posate sommessamente sul libro di storia dell’arte, per poi risalire sui suoi polsi coperti dalle maniche di un maglione a righe grigio e bianco che risaltava le sue spalle, scendeva morbido lungo il collo, evidenziava il pomo d’Adamo, e poi arrivò finalmente ad osservare il mento, le labbra, e…
“Che c’è?”
Oh. Blaine lo aveva appena notato.
“Niente.” Sentenziò lui, voltandosi di scatto e mordendosi il labbro inferiore. Maledizione, aveva appena infranto anche la seconda regola.
“Da come mi guardavi non sembrava niente.”
“Perché, sentiamo, come ti stavo guardando?”
“Non lo so - ammise lui - è molto difficile capirti.”
“Non ho mai detto che devi capirmi.”
“No, infatti.” Perché non hai mai voluto che ti capissi.
Si guardarono dritto negli occhi per qualche silenzioso secondo.
“Avevi problemi con la matematica?” Ipotizzò allora Blaine, dato che non riusciva ad immaginare un altro modo per il quale lo avesse guardato.
Kurt colse la palla al balzo e disse: “Sì. Non mi riesce questo.”
Blaine rimase un po’ sorpreso, spalancando i suoi grandi occhi castani, e subito dopo sfoggiò un sorriso luminoso, annuendo con un piccolo cenno della testa e cominciando a lavorare sul problema.
Ecco, quell’espressione fece esultare un poco il cuore di Kurt contro la sua stessa volontà. Ma Blaine, fortunatamente, era troppo concentrato sull’esercizio per accorgersene.
“E’…complicato.” Ammise dopo qualche minuto. “E’ molto complicato, in effetti. Credo che per risolvere questo limite ci serva la formula di Taylor.”
E chi diavolo era questo Taylor? Ma, soprattutto, nella sua vita non aveva avuto nient’altro di meglio da fare che inventare modi per rompere le scatole ai poveri ragazzini!?
“Va bene – commentò Kurt – non importa, lascia stare.” Non aveva voglia di perdere tempo e, soprattutto, passarne più del dovuto con lui solo per risolvere quel limite. Sembrò piuttosto interdetto, tanto che lo fissò perplesso e balbettò: “M-ma…”
“Lascia-stare.” Scandì, e poi ritornarono entrambi a svolgere altri compiti. Blaine ritornò alla sua arte dopo qualche incertezza e Kurt al suo dolce far nulla, visto che si rifiutava categoricamente di cominciare un nuovo problema. Passò diversi minuti ad appuntare tutte le sue matite e a disegnare piccole e deliziose decorazioni nei suoi quaderni di esercizi, perché, quanto meno, avrebbero donato un pizzico di allegria. Quei numeri erano davvero sin troppo deprimenti.
Eppure, alla fine, si ritrovò con ben poco da fare. Tamburellò le dita sul tavolo e si sistemò i capelli, guardandosi in torno con una postura composta. E in tutto quello Blaine sembrava davvero angosciato con i suoi compiti: così, perché era curioso - e, dopotutto, cosa sarebbe potuto succedere di tanto tremendo? - si sporse appena per leggere la prima domanda del suo foglio di esercizi: In quali anni l’optical art è entrata a far parte della moda del costume?
“Anni ’20, ’25” Sul suo viso si dipinse un sorriso placido, quasi malinconico: era proprio bella quella materia. Ma lui non l’aveva frequentata, per non attirare ancora di più l’attenzione dei giocatori di football. Uno dei suoi tanti rammarichi.
Non si sarebbe nemmeno reso conto di aver risposto ad alta voce se non fosse stato per l’occhiata fulminea e scandalizzata di Blaine: adesso era lui quello che lo stava fissando in modo strano.
“Che c’è!?” Sbottò, leggermente allarmato.
“Ripeti.”
Inarcò vistosamente un sopracciglio, tentando di non arrossire fino alla punta delle orecchie: “Anni ’20, ’25? Dai, è una domanda facilissima. La saprebbe chiunque!”
“Io non la so.” Si avvicinò a lui con uno scatto repentino, gli indicò la seconda domanda sul foglio attendendo con un moto di impazienza misto ad euforia, sollievo e, sì, anche un po’ di ammirazione.
Kurt, però, gli rivolse un’occhiata gelida allontanandosi immediatamente da lui.
“Andiamo, soltanto quest’altra domanda!”
“Ti sembro Sapientino?”
“Ma io ho un compito domani e non ho la più pallida idea di come fare…” Abbassò impercettibilmente la testa, mostrando così i suoi enormi occhi nocciola tramite un’espressione supplichevole e convinta. Kurt fu costretto a deglutire più volte, perché stava provando vampate di calore lungo tutto il corpo, e quel ragazzo senza occhiali era davvero pericoloso, quell’occhiata era paragonabile ad un’arma di distruzione di massa.
Si era promesso di non degnarlo di uno sguardo; si era promesso di non parlargli. Non poteva lasciarsi andare, non lo conosceva per niente, non sapeva ancora se poteva fidarsi di lui, anche se una parte di sé lo voleva, e lo voleva così tanto.
E poi, con le sue ciglia folte, i suoi occhi dolci, la sua voce calda, Blaine sussurrò: “Ti prego?”
Oh, al diavolo.
“Va bene, ti aiuterò. Ma solo perché sembri un caso disperato.”
Blaine si trattenne dall’esultare davanti a lui, e così roteò gli occhi, sfoggiando un mezzo sorriso: “Disse quello che deve prendere assolutamente una B in matematica…”
“Ok come non detto. Peccato per quella F domani.”
“Eddai scherzavo!”
Un attimo dopo Kurt si era lasciato contagiare dalla sua piacevole risata, avvicinandosi a lui e guardandolo divertito.
“Una domanda soltanto.”
Blaine afferrò energicamente il foglio, schiarendosi la voce e parlando con il tono di chi vuol essere millionario: “Dunque dunque: qual era il materiale più usato per fabbricare una cloche?”
La sua espressione mutò subito: rimase per diversi secondi a rileggere la frase sbigottito, perché lui, leggendo cloche, riusciva a figurarsi unicamente il manubrio dell’elicottero di Sky Wolf.
“Feltro.” Rispose Kurt, con convinzione e assumendo un’aria vagamente svagata, non appena l’espressione allibita ed estasiata di Blaine si posò su di lui. Scrisse velocemente il materiale ed ignorando completamente l’avviso precedente continuò a fargli domande su domande, dalle più semplici a quelle che non erano presenti nemmeno sul libro di testo, rimanendo sempre più incantato, sempre più emozionato nel vedere Kurt perdere completamente ogni freddezza.
Continuarono a fare il test in quel modo, tra una risata e l’altra, Blaine che conosceva a malapena la metà dei termini presenti su quel foglio e l’altra metà gli ricordavano sempre e solo videogiochi, e Kurt che ripeteva i nomi citati dal ragazzo scandendo ogni sillaba come se si trattasse di ugrofinnico; e poi si sorrisero, in modo spontaneo, disinteressato. Rimase a fissarlo per un altro secondo prima di commentare: “ti piace proprio tanto la moda.”
Kurt sospirò estasiato, senza riflettere.
“Mi piace molto, sì.”
Blaine non disse niente, non voleva rovinare l’espressione sognante che in quel momento illuminava il suo volto, non voleva interrompere quel momento che li aveva resi pericolosamente vicini l’uno con l’altro.
“Ho immaginato tantissime volte di camminare per i corridoi della scuola indossando stivali, jeans, cardigan, cappelli vistosi ed eleganti. Ho un armadio pieno di abiti!” Esclamò, provocando in Blaine un sorriso caldo, indescrivibile. Non lo avrebbe mai detto: lo aveva visto sempre e solo in divisa, non poteva immaginare che potesse avere una passione simile; eppure, proprio per quel motivo, si chiese come facesse a sopportare di indossare la stessa per tutti i giorni.
Kurt era così trasportato dall’euforia del momento che continuò a descrivere i suoi stilisti preferiti, i colori che donavano alla sua carnagione e quelli che, invece, portava solo perché gli piacevano troppo; aveva appena finito di la sua povera felpa di Marc Jacobs rovinata da una lavatrice di Finn,  “E poi ce ne sono altri..”
Non finì la frase: perché stava per dire che non sarebbe mai stato in grado di indossarli, per via la divisa e perché, in parte, non era coraggioso abbastanza. Però, quando si sentiva particolarmente triste, gli piaceva indossarli e sfilare davanti allo specchio della sua camera; era l’unico modo per ricordarsi chi fosse davvero, nascosto sotto a tutti quegli strati della divisa.
Non voleva dire tutte quelle cose a Blaine; ma, purtroppo, ci pensarono i suoi occhi a rivelarlo, in un modo perfino troppo eloquente.
Perché lui notò l’espressione di Blaine, intensa, piena di calore, interamente dedicata a lui; fu come una scarica elettrica: emozionante, ma dolorosa. Si sentì felice, ma si sentì anche incredibilmente stupido. Si era dimenticato della sua maschera, di nuovo. Con quel ragazzo succedeva sin troppo spesso. E quello era un problema, ma ce n’era uno ancora peggiore, il motivo per cui era sbiancato di colpo, non appena capita tutta la situazione: Blaine lo aveva visto. Il suo cambiamento, le sue espressioni mutare in un battito di ciglia, la sua maschera incrinata; e ciò che era riuscito a cogliere in quel momento non era camuffabile da nessun tipo di parole, gesti, azioni distratte e disinteressate. Aveva conosciuto un bagliore del vero Kurt, e sapeva anche che lo avrebbe considerato un terribile errore.
“Non mi guardare così.”
Blaine si stupì con quanta freddezza Kurt aveva pronunciato quelle parole.
“Non mi fissare come se ci conoscessimo, non mi fissare come se tenessi a me.”
L’uno fissò il volto dell’altro, e per diversi secondi non si dissero nulla.
Non capiva perché fosse tanto arrabbiato, non voleva che si richiudesse di nuovo nella sua cupola impenetrabile. Blaine cercò di apparire il più comprensivo possibile mentre commentava: “se tu non fossi sempre così distaccato, probabilmente-“
“Tu non sai proprio niente di me.”
Esitò, preso in contropiede.
“Credo…credo che sia tu a non conoscere veramente te stesso.”
Il ragazzo non riuscì a credere a quelle parole. Emise una risata molto amara e gli rivolse un tono glaciale: “Andiamo, non stare a farmi il professore.”
“Non voglio fare il professore, voglio solo farti capire che non sono tutti degli stronzi e che…devi fidarti di qualcuno. E’ terribile non avere nessuno a cui appoggiarsi, Kurt.” Lo disse come se sapesse di cosa stava parlando, come se conoscesse davvero quello che provava Kurt, e che volesse aiutarlo. Lui, tuttavia, si era sentito offeso, lo aveva colpito in un tasto dolente e che non aveva il permesso di toccare.
“E chi me lo dice?”
Non si stupì di non ricevere alcuna risposta. Sviò lo sguardo via da Blaine e criticò: “Vedi? Non sai nemmeno tu cosa dire.”
Ma c’era qualcosa, dentro di sé, e riflesso nei suoi occhi scuri, che lo stava facendo sentire sempre più un bastardo. Dio, quanto era difficile.
“Adesso chi sei?”
Kurt non si era nemmeno accorto di aver smesso di respirare.
“Sei il Kurt con cui ho parlato in infermeria, oppure sei il capitano dei cheerios?”
No.
No, non poteva succedere. Blaine non poteva dire quelle cose.
“Sono il ragazzo a cui devi spiegare matematica. E nient’altro.”
L’altro rimase impassibile, le spalle tese, il viso oscurato ed imperscrutabile. Con la sua voce, divenuta improvvisamente più ferma, disse: “Sei tu che mi hai voluto per questo incarico.”
“Non ti ho obbligato ad accettare.”
“No, infatti, posso andarmene quando voglio.”
Kurt lo guardò: “Vuoi andartene?”
Si fissarono per dei lunghi secondi, senza proferire parola; il silenzio che regnava su di loro ad aumentare la tensione.
“Mi stai chiedendo di andare via?”
Una domanda, una sorta di provocazione. Kurt roteò gli occhi ed emise un breve sospiro. Non sopportava quel tono, non sopportava l’intera situazione.
“Oh, piantala, Blaine.”
Non servì altro.
“Perfetto.”
Non fece nemmeno in tempo a guardarlo un’ultima volta negli occhi: il ragazzo afferrò le sue cose ed andò via, lasciando soltanto l’eco di una porta chiusa. E non c’era più tutta quella tensione, non c’era più il silenzio dei loro sguardi, restò soltanto il vuoto, il volto immobile di Kurt che continuava a fissare la sedia sulla quale, giusto qualche secondo prima, stava Blaine.
E non poteva sentirsi in colpa. Era la cosa migliore, per tutti e due.
No, non poteva.

Affondò la testa tra le braccia, chinandosi verso il tavolo, lasciando sfogare tutti i suoi sentimenti. Avrebbe pianto, giusto un pochino. E poi sarebbe andato avanti, come sempre.



***

Angolo di Fra:

Signori e signore, il Klangst.


La cloche nella visuale di Kurt: http://www.miragesrl.com/immagini/CF0081.JPG

La cloche nella visuale di Blaine: http://imageshack.us/photo/my-images/9/737800golyoke.jpg/


Ringrazio la mia cara amica chiappysò che mi ha introdotto nel mondo di "storia della moda" che è assolutamente affascinante. Ero cieca, ma ora vedo.
E poi ringrazio la mitica moglie/beta e tutte le 20 PERSONE che hanno recensito lo scorso capitolo. Siete così tanti che questa ff ha raggiunto le 90 recensioni in appena 4 capitoli e io non so davvero come ringraziarvi. Per ora l'unico modo in mio possesso è di lasciarvi delle risposte lunghe e scritte con il cuore in mano. E rispondo a tutti, nessuno escluso. So che c'è la moda di non rispondere a tutte le recensioni ma io non lo farò MAI. Anzi, sono felicissima di commentare la storia insieme a voi e di sentire le vostre aspettative. Si accettano anche domande spoiler!



Prossimo aggiornamento?
La risposta degli studiosi è unanime e concorde:
BOH.
Visto che ho tre esami penso che sarà un bel casino...
(Comunque vi consiglio di controllare le news che metto sul faccialibro) -->QUI


Grazie mille a chi mi recensirà, dico sul serio!
Un bacione

Fra

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Capitolo 6
*** Because my wall is fading ***


Capitolo 6

Because my wall is fading







Kurt non poteva sentirsi in colpa; non poteva pensare al modo con cui aveva trattato Blaine quel pomeriggio, non poteva provare delle dolorosissime fitte al cuore ogni volta che si immaginava il suo viso dispiaciuto e demoralizzato. Che diavolo, il discorso della coach non aveva sortito nessun effetto? Doveva rimanere concentrato; doveva prendere quella B il più in fretta possibile.
Purtroppo, però, “concentrazione” non sembrava essere la parola chiave di quel giorno: non riusciva a seguire nemmeno metà della lezione e per l’altra metà smanettò con l’Iphone controllando le ultime notizie di Vogue-online. Era sempre più stanco, e per un momento pensò che non fosse soltanto per via dei durissimi allenamenti: era come se si stesse logorando pian piano, come se una parte di lui stesse scivolando via. Non voleva stare a scuola, non voleva parlare con nessuno e, soprattutto, non voleva seguire quella maledettissima lezione di matematica.
“Hummel?”
La professoressa va-da-sé lo fissò imperterrita, puntellando il riflesso della lavagna con la cima del gesso.
“Dico a te, Hummel. Perché non vieni su e provi a fare quest’esercizio?”
L’intera classe si voltò verso di lui, chi senza un vero pretesto, chi in attesa di una delle sue tipiche risposte fulminanti. E Kurt capì che non poteva deluderli, anche se era l’ultima cosa che volesse dire: “ringrazio il notaio, ma rifiuto l’offerta e vado avanti.” (*)
Come sempre, dei fischi e delle risate accompagnarono quella frase, così come il volto inviperito della signora; ed era perfetto, aveva messo in scena l’ennesimo spettacolino, solo per far felice il suo pubblico.
Perché, in fondo, cos’altro era, se non un attore senza ruolo?
“Non fa ridere, Hummel.”
Kurt la ignorò, continuando a lanciare occhiate di intesa a Mercedes, Santana e Brittany, le uniche cheerio presenti nella classe.
“Allora? –Incalzò la professoressa, e questa volta fu più dura nel suo tono di voce – Ti devo trascinare qui con la forza, o metto direttamente la voce bocciato accanto al tuo nome, sul registro?”
Ci fu un attimo di silenzio. Attimo nel quale Kurt, contro qualsiasi desiderio, si alzò in piedi e si diresse davanti alla lavagna, afferrando un piccolo gesso contenuto nell’apposito ripiano.
Con una smorfia amara pensò che ci mancava soltanto una figuraccia per coronare quella giornata magnifica; ma poi, giusto quando credeva di dover alzare le mani al cielo come un segno di resa, beccarsi la sua nota di demerito e i commentini acidi dei compagni, si rese conto che, invece, quei numeri non sembravano poi così astratti, quel problema non così difficile, e subito dopo la sua mente cominciò ad elaborare calcoli per risolvere il problema, grafici da disegnare, teoremi da menzionare.
“Oh – commentò, assolutamente incredulo – lo so fare.”
Perfino la professoressa restò alquanto allibita, tanto che nella sua voce non ci fu nemmeno l’ombra del suo tipico sarcasmo mentre diceva “davvero?”
“Sì. Basta semplificare questa funzione… applicare questo…”
Non sapeva come facessero le sue dita a destreggiarsi tra la lavagna, tracciando cerchi ed equazioni: Kurt non pensò tanto al come, o ai perché, lo fece e basta. E poi si abbandonò ad una tacita soddisfazione non appena vide la professoressa spalancare gli occhi e balbettare, attonita, che andava bene, e che poteva tornare al suo posto.
Quei due metri di mattonelle e polvere che lo separavano dal banco gli sembrarono una passerella.
“Sei stato grande, Kurt!” Esclamò Mercedes, afferrandolo per un braccio, sorridendogli estasiata.
La professoressa, intanto, era ancora persa nel suo stupore: “Hummel… io non so che tipo di integratore ti ha dato la Sylvester in questi giorni, ma qualunque cosa sia continua a prenderlo. Fanne una scorta industriale, perché va-da-sé che funziona alla grande.”
E fu in quel momento che il sorriso di Kurt svanì quasi del tutto, nella stessa proporzione con il quale aumentò quello di Mercedes, guardandolo improvvisamente di sottecchi.
Perché sapevano entrambi che il merito di quella sottospecie di miracolo non era dovuto alla Sylvester e, dopotutto, nemmeno a lui.
Era tutto grazie a…
“Quel Blaine Anderson ci sa fare con i numeri eh?”
Si voltò di scatto, non tanto per il nome udito, quanto per la bocca che lo aveva appena pronunciato.
“Santana – mormorò – che hai detto?”
“Ho detto la verità: ho sempre pensato che fosse un buono a nulla, ma evidentemente con te è stato molto bravo. E dimmi, Kurt, quanti numeri hai imparato? L’uno a due? Il sessantanove?”
“Non voglio nemmeno stare a sentirti” sibilò, ma le sue orecchie erano già diventate violacee all’inverosimile.
Un secondo dopo la campanella sancì la fine dell’ora e un enorme sospiro di sollievo da parte del ragazzo; in un battito di ciglia tutti gli alunni sfrecciarono fuori, chi diretti a mensa, chi ad afferrare i libri per l’ora successiva, chi desideroso di fumarsi una sigaretta nei bagni meno affollati, e in tutto quello Kurt salutò velocemente Mercedes e si diresse fuori dall’aula, contando di rimanere vivo almeno fino all’ora dell’allenamento. Poi sarebbe potuto morire nel suo imbarazzo in tutta libertà.
Tuttavia, Santana ci aveva preso completamente gusto, ormai, nel far impazzire il povero cheerio, e quindi lo seguì a passo spedito continuando a commentare a voce nemmeno troppo bassa tutte le sue teorie.
“Kurt, dai, non vorrai veramente dirmi che in quella camera da letto avete fatto sempre e solo matematica.”
Non avrebbe risposto a quell’inutilissima frase. Non avrebbe ceduto ai suoi maledetti sotterfugi.
Inarcando un sopracciglio, la ragazza sibilò ad una spanna dal suo orecchio già abbastanza arrossato: “Nemmeno un po’ di ginnastica, magari?”
“No, Santana!”
Oh, diavolo, ci era cascato, e il suo sguardo compiaciuto ne era la prova; riprese a camminare verso il suo armadietto, sperando soltanto che quel supplizio finisse in fretta.
“Giusto per la cronaca – esordì, qualche secondo dopo - non ti devi preoccupare per le mie attività fisiche: io e Blaine non ci vedremo più, dato che si è licenziato qualche giorno fa.”
E poi, colto da un sussulto, si dovette fermare: perché ammetterlo ad alta voce lo rese vero,  ufficiale, e più doloroso di quanto non fosse già. Ma fu ben attento a mascherare il tutto con la sua tipica espressione incolore. Santana, in risposta, non batté ciglio: la cosa non la tangeva più di tanto. Per lei era soltanto divertente che uno sfigato come Anderson se la facesse con uno come Kurt. Erano come lo ying e lo yang della scala sociale, un Big Bang Theory in versione liceale. Si limitò, con la sua solita espressione cinica, a dire che avrebbe potuto perlomeno goderselo un po’, prima di buttarlo via, perché dopotutto sotto a quella massa di riccioli assurdi e bretelle Anderson nascondeva proprio un bel culetto.
Kurt voleva sotterrarsi da qualche parte; ma, a quanto pareva, il karma quel giorno aveva deciso di essere molto meschino con lui.
“Parlando del diavolo…?” Il ragazzo lanciò un’occhiata torva a Santana assumendo un’espressione ancora più scettica: “Cosa, ti autociti, adesso?”
“No, mio capitano, mi stavo riferendo a Blaine Anderson a ore dodici.”
Per un secondo, un breve, minuscolo, fatale secondo, Kurt desiderò soltanto che si trattasse dell’ennesimo scherzo di cattivo gusto. Ma era difficile non riconoscere quei riccioli, quella camicia neutra con sopra un papillon colorato, quegli occhi brillanti che adesso erano intenti a ridere per chissà quale cosa detta dalla ragazza accanto a lui.
Per Kurt era difficile non notare Blaine Anderson, ora che era piombato nella sua vita.
 
“Rachel, è stato solo un attimo di debolezza.” Stava dicendo lui; era la centesima volta che tiravano fuori quell’argomento, ed era la millesima volta che Blaine si sentiva profondamente in imbarazzo. Rivendicare il primo anno di liceo durante il quale, ad una festa, si erano incontrati e decisamente conosciuti non era molto il suo argomento di conversazione preferito. Soprattutto perché parte della conversazione riguardava un gioco della bottiglia piuttosto degenerato ed una pomiciata selvaggia di lui con la ragazza che, in quello stesso istante, lo stava tenendo a braccetto sfoggiando uno sguardo pieno di ammirazione.
“Sai, è sempre bello ricordare di quando, grazie ad un mio magico bacio, ti ho reso temporaneamente etero.”
“Non etero: ubriaco. Ero ubriaco, Rachel, e anche confuso, a dire la verità. E devo dire che anche tu, mia cara amica, non eri messa molto bene: oppure devo ricordarti del cocktail all’arancia che sapeva di fucsia?”
“Era un’interpretazione artistica.”
“Oh, certo, molto artistica. Una licenza poetica?”
“Esattamente.”
“Lo sai – commentò lui, sorridente – l’importante è essere convinti.”
“Così come eri convinto di essere etero?”
“Cinque minuti. Ho vacillato solo per cinque minuti. E tu hai detto che la mia faccia sa di buono, Rachel, come se fossi un marsh-mallow.”
La ragazza roteò gli occhi al cielo, posando teatralmente una mano sotto al mento: “…no, sapeva più di muffin.”
Non riuscendo più a trattenersi scoppiarono a ridere l’uno contro l’altro, abbracciandosi più stretti, sorridendo di quel piccolo incidente che, in fondo, aveva permesso loro quell’amicizia splendida quanto bizzarra. Si direbbe che la versione vocalmente femminile di Narciso e un appassionato di videogiochi gay non avessero niente in comune; beh, col tempo avevano scoperto che era vero. Ma era anche vero che, nella loro diversità, si assomigliavano più di quanto non osassero ammettere.
Tra una risata e l’altra non si erano nemmeno accorti del paio di occhi che li stavano fissando, freddi, provenienti dall’altra parte del corridoio; la prima a farlo fu Rachel, voltando la testa verso Santana, rivolgendole un’occhiata che era tutto fuorché amichevole.
Blaine stava quasi per chiedere quale fosse la vittima di quel giorno – perché era quasi sicuro che riservasse quell’attenzione per ogni potenziale competitore per le sue corde vocali – quando si ritrovò con sua grande sorpresa ad osservare Kurt, la schiena eretta, il volto leggermente arrossato, ma privo di ogni altra espressione.
Si guardarono. Rachel blaterava qualcosa circa il nuovo compito del Glee Club e di come Santana e le altre ragazze dovessero rinunciare in partenza; Santana, invece, sussurrava qualcosa di poco definito all’orecchio di Kurt rivolgendo loro uno sguardo decisamente poco innocente. Ma nessuno dei due ragazzi prestava attenzione alle loro parole. Il blu e l’oro si incontravano a metà corridoio, mescolandosi a vicenda, per poi ritornare con una vampata di calore nel corpo dei rispettivi destinatari.
Si erano detti tutto; ma, allo stesso tempo, non si erano detti assolutamente niente.
E infine, accompagnati dal suono della seconda campanella, i due ragazzi si separarono.
 


“Che hai?”
Rachel stava fissando il proprio migliore amico senza riuscire ad indovinare perché mai avesse quella faccia sconsolata, quel volto pietrificato, quell’aria triste e seria mentre si impegnava con uno dei suoi videogiochi preferiti. Per di più, era tutto il giorno che si comportava in quel modo e Rachel per capire il problema si era perfino decisa di andare a casa sua e sopportare lunghe e noiosissime ore di Crash Bash.
Detestava quel gioco. Sarebbe stato in grado di far saltare i nervi anche al Papa. Ma se giocavano insieme come una squadra le probabilità di arrabbiarsi calavano notevolmente, sia perché Blaine, in fondo, era sempre stato un tipo molto paziente, sia perché Rachel bastava ad incavolarsi per tutti e due.
In tutto quello, stavano cercando di sconfiggere il dottore pazzo e il suo braccio destro tutto muscoli e senza cervello, e Blaine non aveva ancora proferito parola.
“Terra chiama Blaine?” Incalzò, un po’ più preoccupata; gli passò una mano davanti agli occhi e per poco non fu perforata tramite una sola occhiata.
“Scusa!” Squittì, coprendosi la bocca con entrambe le mani. MAI fare un gesto simile ad uno che stava giocando. Era, probabilmente, la regola numero uno del mondo dei nerd. Ma Blaine era troppo buono, e voleva troppo bene a quella ragazza per prendersela sul serio. Con un sorriso le fece cenno di continuare a giocare e adesso dovevano affrontare una gara di velocità in groppa a dei delfini volanti sparando barriere energetiche a chi li volesse ostacolare.
“Scusa, Rach – disse infine – va tutto bene, non ti preoccupare. E tu, invece?”
Se c’era un motivo per cui adorava quella ragazza era, di certo, la sua innata capacità di cambiare immediatamente argomento spostandolo interamente su di lei.
“Oh Blaine, è la settimana più bella della mia vita! Sono uscita di nuovo con Finn, mi ha aiutata a scegliere qualche spartito per le prove del Glee Club che-“
“Rachel, il mostro di lava verde!”
Un po’ spazientita per essere stata interrotta, schivò l’attacco del nemico e poi si voltò di nuovo verso di lui ricominciando a parlare con aria sognante.
“Penso che mi piaccia davvero. E so che è assurdo, voglio dire, lui è Finn Hudson, no? Però è così dolce…e così bello… quando alla fine del nostro appuntamento – lui non l’aveva messa proprio così, ma so che era troppo timido per ammetterlo – gli ho detto che poteva baciarmi non ha neanche corso più di tanto mentre scappava via! Sembrava camminare, capisci? Come se non volesse farlo, e magari aveva davvero da mangiare lo yoghurt prima che scadesse a mezzanotte!”
Ok, troppe cavolate tutte in una volta. Blaine mise il gioco in pausa e guardò Rachel dritto negli occhi.
“Sei sicura di tutto questo?”
Si morse leggermente il labbro, sviando lo sguardo a terra: “n-no, sinceramente… ma non posso farci niente, quando sto con lui mi sento così bene, e vorrei che il nostro tempo insieme non finisse mai.”
E, ancora una volta, si stupì di come quelle parole assomigliassero esattamente alle sue.
“E tu? –Domandò lei, prima che potesse impedirglielo – Voglio dire, in quel senso, come va? Esci ancora con quel ragazzo con cui giochi a Dangers and Demons?”
Dungeons and Dragons, Rachel. E no, direi proprio di no.”
Non che si fossero mai degnati di fare un appuntamento decente. Eppure, intuì che Rachel avesse qualcos’altro da chiedergli, a giudicare dalla sua espressione colpevole, come se sapesse già che stava per dire qualcosa di completamente inadeguato.
“E…con Kurt?”
Per una manciata di secondi non disse niente. Perché, dopotutto, cosa avrebbe dovuto dirle? Che stare con lui lo faceva stare bene? Che gli piaceva, forse? E poi pensò, che non era una cosa spiegabile a parole. Era troppo strano, troppo confusionario e sì, troppo intenso, da non riuscire nemmeno a decifrarlo.
Così, disse l’unica cosa certa che aveva in mano, calmo, senza troppa delusione: “mi ha licenziato.”
Rachel gli posò una mano sulla spalla, strofinandogliela leggermente.
“Avete litigato?”
“Sì.” Forse? Si poteva dire, anche se non c’era mai stato un vero rapporto? O forse c’era stato, e né lui né Kurt erano stati in grado di impedirlo; Blaine ormai aveva capito che Kurt non era come si comportava a scuola, e l’incontro di quella mattina non fece altro che confermarglielo: ripensò alla sua aria imbarazzata, in netto contrasto con il suo viso fermo; ripensò a quanto fosse adorabile quando sorrideva in modo sincero.
Chissà se era riuscito a svolgere quel problema di matematica. Chissà se si sentiva in colpa quanto lui, per essersene andato in quel modo senza aggiungere una parola, per averlo abbandonato proprio quando doveva rimanere e dimostrargli che non era come pensava. Che, in un certo senso  - e gli si stringeva il cuore ogni volta che lo realizzava – ci teneva a lui.
Rachel, immersa in pensieri piuttosto simili, esordì di nuovo parlando a bassa voce: “Ci siamo impelagati con i due ragazzi più irraggiungibili della scuola.”
“Già.”
E’ tutto finito, pensò Blaine. Qualunque cosa fosse stata, era terminata con la discussione di quel pomeriggio. Eppure, c’era qualcosa di più. Sapeva che c’era di più; se lo sentiva dentro, era una voce, forte e penetrante.
“E ora – commentò lei - che possiamo fare?”
“Beh, come prima cosa, battiamo il mostro verde gigante.”
 

 
Le cose erano due: o gli allenamenti erano diventati incredibilmente più estenuanti, oppure Kurt aveva un serio problema di spossatezza fisica. Sentiva tutti i muscoli indolenziti e la testa pesante, il corpo distrutto e il morale sotto ai piedi perché più si sforzava e più non riusciva ad eseguire alla perfezione quel maledetto numero. Una volta tornato a casa, gli sembrò che quella giornata fosse durata una vita; da quanto era stanco non aveva nemmeno la forza di sistemare cartella e cappotto, che lasciò ammassati ad un angolo del divano; senza troppi indugi si fece una doccia veloce, si infilò il suo pigiama più comodo, quello di pile che gli aveva regalato Carole per Natale, e non ebbe nemmeno la forza di adoperare le sue amate creme idratanti. Voleva soltanto buttarsi a peso morto sul divano, ingozzarsi di gelato e riempirsi la testa di sfilate e musical fino ad addormentarsi con ancora il telecomando stretto tra le dita.
E per un breve lasso di tempo pensò davvero di riuscirci, a svuotare la mente, a passare una nottata senza rimorsi; ma anche se poteva darla a bere a se stesso, non era mai riuscito ad ingannare suo padre.
“Kurt, va tutto bene?”
La voce di Burt Hummel gli apparve soffice e morbida, esattamente come doveva essere quella di una persona importante e familiare. Sorrise, anche se lui continuava a guardarlo preoccupato dalla porta della cucina; cercò di resistere, giusto un pochino. Gli piaceva sempre avere un margine di speranza, prima di ammettere stancamente che non sarebbe mai riuscito a farla franca a suo padre; dopo qualche secondo si alzò in piedi per andare ad aiutarlo con i fornelli, prendendogli il libro di ricette dalle mani e rivolgendogli un’occhiata colma di affetto.
“Tutto bene pà. Non ti preoccupare.”
Il genitore, però, non sembrò affatto convinto: Kurt era sempre stato un tipo riservato, ma mai silenzioso; era da qualche giorno che se ne stava tutto il giorno seduto sul divano a pensare a chissà cosa, ed ogni volta il suo volto appariva un’espressione combattuta e triste. Faceva male sapere che c’erano dei problemi che lo affliggevano, e Burt sperava soltanto che non fossero troppo gravi, ma sapeva anche che, in tal caso, glieli avrebbe detti senza alcuna esitazione.
Sempre più preoccupato, cercò una qualche spiegazione in Carole che, in risposta, si limitò a scrollare la testa, e cercò di buttare giù qualche ipotesi con un tono davvero genitoriale.
“E’ per colpa di qualche ragazzo?”
Finn per poco non si affogò con l’acqua mentre posava velocemente il bicchiere sopra al tavolo e cercava in tutti i modi di evitare quella conversazione; ma Kurt, semplicemente, rispose: “no. Nessun ragazzo. Nessun problema.”
Chissà, pensò, magari, ripetendolo più volte ad alta voce, riesco a convincere anche me stesso.
“Forse hai litigato con un amico?”
Fece di no con la testa, continuando a cucinare. Eppure, il padre lo conosceva troppo bene per non accorgersi della sua mascella serrata e degli occhi divenuti leggermente più spenti. Era un libro aperto, anche se, agli occhi di molti, per capirlo sembrava necessario disporre dell’apposita traduzione.
“Lo sai… non c’è niente che delle belle scuse non possano risolvere. Perché non parli con questo tuo amico? Chissà, potrebbe rivelarsi più comprensivo di quanto non sembri.”
Oh, se solo fosse vero.
“No! – Sbottò il figlio, più che altro, contro di sé – Non ho litigato con nessuno, sto benissimo, va tutto bene e per favore possiamo cominciare a mangiare e dedicarci alle vite di altri!?”
Non sopportava quella conversazione; non sopportava vedere gli occhi strabiliati della sua famiglia adesso completamente puntati su di lui, e non sopportava nemmeno che dovesse giustificarsi per qualcosa di cui non volesse parlare. Non resistendo un secondo di più mormorò di non avere fame e scappò via, lasciando completamente attoniti i presenti.
Erano ormai quaranta minuti che si era chiuso in camera, la schiena affondata contro il materasso, le braccia conserte, con la musica in riproduzione casuale sparata al massimo: sperava che, grazie a qualche timpano rotto, riuscisse ad evitare di sentire tutti quei martellanti pensieri. Eppure, più andava avanti, e più doveva sforzarsi con tutte le sue forze di darsi un contegno; perché stava male, era fuori di sé, completamente furioso, e tutto quello era ridicolo! Non aveva nessun motivo per essere arrabbiato, non c’era nessuno con cui dovesse essere arrabbiato.
Oppure, semplicemente, ce l’aveva con se stesso.
Stava quasi per affondare in una crisi di nervi e chiamare Mercedes in preda alla disperazione, ma quando afferrò il cellulare lasciato in carica sul comodino, inevitabilmente, trovò ad aspettarlo un sms nuovo, semplice, disarmante. Era tutto ciò che non voleva leggere, ma che, una volta fatto, gli spezzò completamente il cuore:

Mi dispiace per non essere riuscito a risolvere il problema dell’altra volta. Non sono stato in grado di aiutarti. Comunque, adesso mi torna. Se hai bisogno, sai come trovarmi. Ciao - Blaine

 
Non sono stato in grado di aiutarti.
E Kurt sapeva che non si riferiva soltanto al problema, ma a qualcosa di più grande.
Blaine voleva soltanto aiutarlo.
E lui si lasciò scivolare contro il fianco del letto, affondando la testa tra le ginocchia, cominciando ad imprecare contro se stesso. Perché era un vero stronzo. Perché si chiese se Blaine fosse quel tipo di persona descritta da suo padre. Perché era stufo di recitare, di fingere di essere qualcun altro; e non si era mai sentito così falso in vita sua.
Prima che potesse impedirselo, la sua mente cominciò a vagare, a sputare tutte quelle cose che aveva cercato inutilmente di reprimere: voleva vederlo. Dio, lo voleva così tanto. Voleva che gli desse uno schiaffo e chiedergli profondamente scusa; voleva spiegargli tutto quanto, il suo vero carattere, i motivi che lo avevano spinto a rifugiarsi nella divisa dei cheerios. E voleva dirgli che non era assolutamente colpa sua, perché lui era gentile, era meravigliosamente dolce; e lo era così tanto, da fargli venire voglia di cambiare. Da fargli venire voglia di tornare ad essere se stesso, almeno con lui, almeno per una volta.
Sognò di rivedere il suo sorriso caldo, quello che gli faceva illuminare gli occhi, quando non se lo aspettava; quello che gli faceva battere il cuore, ricordandogli di essere vivo, urlandogli “ehi, guardami, sono qui”, come se lo ignorasse, o lo avesse dimenticato.
Ma se fosse stato vero, allora, come spiegava tutto il dolore che stava provando in quel momento?
Come spiegava il calore che provava ogni qual volta che pensava a Blaine?



  ***

(*) La versione americana di affari tuoi, insomma. Ahah


Allora... a quelle venti persone che ieri notte sono riuscite a leggere il capitolo: mi dispiace tantissimo. In verità la scena tra Rachel e Blaine doveva essere dopo, ma rileggendolo mi sono resa conto che era meglio qui. Quindi, ho tolto la seconda metà del capitolo e aggiunto questa.
Spero che vada bene. Questo capitolo mi ha dato non pochi problemi. Per ora è il più difficile che abbia scritto.

Visto che, per via di cose (sono un'idiota e una pessima scrittrice -.- ) metà del capitolo 7 ormai è pronta, pensiamo al lato positivo: più aggiornamenti per tutti!

Grazie ancora a chi vorrà ancora seguirmi dopo questa mia enorme ca**ata.  Scusate ancora.

Fra

 

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Capitolo 7
*** Let it roll ***


Nota: si consiglia l'ascolto di questa canzone durante la lettura.



Capitolo 7

Let it roll







Una volta, due volte, tre volte.
Kurt continuava a ripetere lo stesso otto, con viso concentrato, le cuffie dell’Ipod che gli trasmettevano dritto nelle orecchie la musica di sottofondo; a suo malgrado, constatò di essere scoordinato, e nemmeno troppo preciso nei movimenti. Era un semplice numero fatto di salti e qualche capriola, una giravolta finale ed un bel sorriso mentre finiva inginocchiato a terra con i pugni ben alzati in aria, che avrebbe decretato la fine della coreografia dopo la quale, come se non fosse stato già abbastanza, gli aspettava una canzone lunga ed infinita basata su un medley di Celine Dion. Ma non era il canto a spaventarlo, e nemmeno quei passi a suon di musica, visto che aveva imparato coreografie peggiori e canzoni molto più complicate. Il problema era che si sentiva incredibilmente pesante, ed era tutto più difficile.
Si concesse un momento di sollievo per prendere fiato e tamponarsi la fronte con un asciugamano di spugna; doveva allenarsi duramente per lo spettacolo di venerdì pomeriggio, così da fare bella figura davanti alla Sylvester; aveva paura perfion ad ammetterlo a se stesso, ma da quando gli aveva fatto quel discorso nel suo ufficio aveva un bruttissimo presentimento. Doveva fare un’ottima impressione, per riconfermare il suo ruolo già vacillante, e restare al sicuro.
Certo, sicuro, ripetè tra sè e sè, assaporando quella parola che, inaspettatamente, gli sembrò molto amara.
Sicuro, e isolato?
Un altro lungo respiro, e poi ricominciò.
 
 

 
Blaine cominciò ad avere dei dubbi all’incirca durante la metà della settimana: non aveva saltato nemmeno una lezione di letteratura e scienze e durante i cambi d’ora passava per quel corridoio all’incirca una trentina di volte. E non era possibile che le coincidenze lo avessero abbandonato, così come non si spiegava l’improvvisa scomparsa di metà componenti delle cheerios.
Era tutto molto strano.
 


 
“Un’altra volta allenamenti?”
Mercedes guardò Kurt con un’espressione sin troppo eloquente, mentre l’altro ricambiava lo sguardo, però, privato di tutta quella convinzione.
“Sono occupato, Mercedes.”
“Certo, certo, l’esibizione dei cheerios. E putacaso devi provare precisamente nelle ore di scienze e lettere?”
Si morse un labbro: a volte amava la sua migliore amica, ma altre volte quella loro sintonia si rivelava essere una vera e propria arma a doppio taglio.
Era inutile desistere: sapevano entrambi le ragioni del suo comportamento e sapevano entrambi che fosse la cosa più sensata da fare.
“Non hai più risposto al suo messaggio?”
Velocemente, fece di no con la testa.
“Ma almeno gli hai parlato?”
Di nuovo, la ragazza con disappunto ottenne la stessa risposta.
“Ma perchè? Kurt, Blaine è il migliore amico di Rachel, e per quanto non sopporti quella saputella che si crede la figlia di Barbra Streisand so di per certo che è un bravissimo ragazzo.”
“Lo so.” Si ritrovò a dire, contro la sua stessa volontà, e subito dopo si dileguò dirigendosi per l’ennesima volta verso i campi da football. Non seppe ammettere che era proprio quello che lo spaventava.
Però, nonostante tutti gli sforzi, non riuscì ad evitare di pensare a Blaine: non riuscì a chiedersi cosa stesse facendo in quello stesso momento.
 


 
“Allora, io mi blinko nella mischia e tu usi la ulty contro la Banshee e Tiny.”
“No, no, IO mi teleporto col town portal e tu cacci fuori i missili.”
“Ma sei scemo, Nick!? Pensi davvero che il Tinker possa fare qualcosa se arriva il Void a rompere le scatole?”
L’altro stava seriamente considerando l’idea di buttare a terra cuffie e microfono e andar via; come poteva un game essere così snervante, perfino quando non si trovavano faccia a faccia!? Non faceva bene tutto quello stress, sarebbero invecchiati prima del previsto.
“Jeff, senti, ascoltami bene: chi ha più kill?”
“Non c’entra niente! - Sbottò il biondo, che si trovava praticamente dall’altra parte della città – E poi, se vuoi metterla sotto questi termini, allora quello più pro è sicuramente Blaine!”
Ecco, sapeva che prima o poi sarebbe stato chiamato in causa; l’interpellato, anche lui presente nella conversazione vocale online, sospirò, abbandonandosi contro lo schienale della sedia e socchiudendo pesantemente gli occhi. La chiamata su ventrilo raggiunse i 40 minuti e loro erano ancora allo stesso punto di partenza. Per un momento sperò di trovarsi nell’aula computer soltanto per guardarli male e supplicar loro di farla finita; mai più Warcraft online, mai più giocate con l’umore sotto terra e due amici che sembravano essere in andropausa.
“Ok, va bene, mi hai costretto tu –sentenziò Nick-: io ho più kill, tu sei più noob e quindi si fa come dico io. Blaine, cavolo, bella mossa amico!” aggiunse subito dopo aver ammirato un'ottima schivata del ragazzo evitando il cerchio infuocato di Lina.
Intanto Jeff stava urlando: “COSA!? IO sarei NOOB!? Ripetilo se hai il coraggio!”
“Noob -dichiarò Nick - vatti a guardare il mondo di Patty.”
Un secondo dopo il computer di entrambi i giocatori emisero delle urla lancinanti, e i loro due eroi erano morti sotto ad un'autodistruzione del robottino di Jeff e con sessanta secondi di attesa per la resurrezione.
“Ti sei ucciso!”
“Era il giusto prezzo da pagare.”
“Mi hai ucciso!”
“Amata, dolce vendetta...”
“Ma sei un idiota, adesso ci entrano in base!”
Non fece nemmeno in tempo a dirlo che Blaine senza dire niente ed anticipato dal pesantissimo suono dei tasti sulla tastiera, ottenne un Godlike uccidendo tutti i nemici grazie alla ulty del suo Zeus. Da quella mossa i due intuirono due cose: primo, che Blaine era palesemente incazzato; secondo, che da incazzato era ancora più forte.
“Blaine? Amico? Qualcosa non va?”
“Tutto bene.” Sibilò lui.
“...Forse, se dirignassi meno i denti e cercassi di non accoltellare la tua tastiera, sembreresti perfino credibile.”
“Sto bene, d’accordo!? Va tutto a meraviglia. Non c’è esattamente nessun motivo per cui debba essere arrabbiato.”
Se avessero potuto, i suoi amici gli avrebbero rivolto un’occhiata preoccupata e comprensiva; e, magari, sarebbero anche riusciti ad evitare che chiudesse la chiamata, dopo averli salutati sin troppo velocemente.
Era nervoso; non gli capitava da diverso tempo, in realtà, ma adesso era ufficialmente nervoso. Perchè quella mattina, dopo aver intravisto uno sprazzo di colore rosso e bianco camminare verso l’uscita, non era riuscito a fare a meno di inseguirlo e confermare ogni supposizione. Una volta fatto, aveva abbandonato le braccia lungo il corpo, con lo sguardo fisso nel vuoto.
Era chiaro, dunque: Kurt non stava male come aveva ipotizzato, e nemmeno era stato assente tutta la settimana per qualche motivo personale, come, sotto sotto, una parte di sè aveva voluto sperare; Kurt, semplicemente, lo stava evitando.
 


 
Una volta, due volte, tre volte.
Le ginocchia tremavano, il fiato si faceva sempre più corto.
Continuando a serrare i pugni maledì il suo corpo, perchè non era in grado di sorreggerlo; e, nello stesso tempo, biasimò la sua mente per essere completamente da un’altra parte, esattamente dove non doveva rivolgersi.
Era giusto; stava salvaguardando la sua sicurezza, la sua incolumità.
Non si sentiva in colpa. Non gli mancava Blaine.
Non si sentiva affatto solo.
 
 
 
 
Blaine non sapeva perché era finito nei campi da football. La riunione con il club era finita in anticipo – come sempre, per via di un litigio – e lui doveva aspettare un’altra mezz’ora per l’arrivo dell’autobus. Quella era soltanto una comunissima passeggiata, no?
Perché, dopotutto, non c’era nessuna ragione al mondo per la quale lui avesse veramente voglia di rivedere Kurt, non esisteva proprio, non dopo come lo aveva trattato; non dopo che lo aveva licenziato in quel modo, non dopo l’occhiata che si erano scambiati quella mattina in corridoio.
E poi il suo cuore sussultò: perchè, ogni tanto, immaginare gli occhi cristallini di Kurt Hummel gli faceva ancora perdere qualche battito.
Va bene, che senso aveva mentire?
Voleva vederlo.
Voleva guardarlo in faccia e sentirsi dire che non gli importava assolutamente niente di lui, e allora, solo allora, lo avrebbe ufficialmente lasciato stare; gli avrebbe detto “bene, buona fortuna con la tua vita, o con quella mascherata che hai costruito intorno a te”, perché c’era dell’altro, lo sapeva bene, ne aveva avuta conferma tante volte, almeno quante lo aveva trattato senza riguardi; ma perché, dopo tutto quello, non riusciva ad essere arrabbiato con lui? Perché non era possibile: tutto ciò che provava erano soltanto  compassione e profonda dolcezza. Forse era sbagliato. E, magari, lui era masochista, ma solo un po’.
Perchè il motivo per il quale stava camminado da un quarto d’ora per quei campi disabitati, adesso, era a pochi metri da lui, separato da una recinzione di ferro e plastica, intento a provare chissà cosa sulla base di una canzone che era soltanto nella sua testa. Aveva il viso concentrato, la fronte aggrottata ed imperlata di sudore.
Una volta, due volte, tre volte.
Blaine pensò che fosse bellissimo.
Una volta, due volt-
Vide Kurt accasciarsi a terra aggrappandosi con entrambe le mani ad una caviglia che aveva preso ad arrossarsi e a gonfiarsi terribilmente; con le guance arrossate emise un leggero mugolio di dolore, e strizzò gli occhi.
A volte capita che, con il troppo esercizio, si affatichino troppo i muscoli e che derivino degli infortuni. L’unica pena imputabile agli atleti potrebbe essere, forse, il troppo impegno per l’allenamento; ma Kurt, se possibile, si sentì ancora più frustrato: il mondo intero si era rivoltato contro di lui, forse!? Era troppo chiedere di poter fare un numero, senza farsi male?
Un momento di calma, proprio quando sembrava tutto crollargli addosso; un po’ di pace, quando perfino l’erba sotto di lui sembrava volergli fare male, pungendolo meschinamente.
Era troppo chiedere che Blaine non fosse lì, di fronte a lui? E lo stava guardando con un’espressione strana ed indecifrabile, il volto serio, il corpo trattenuto a metà da un respiro.
Non aveva la più pallida idea di cosa dirgli.
Prima di tutto, si chiese cosa diavolo ci facesse lì; e tentò anche a formulare qualche ipotesi plausibile, ma il dolore alla caviglia era diventato quasi insopportabile e gli impedì qualsiasi tipo di ragionamento.
E Blaine era ancora di fronte a lui, non accennava a muoversi di un passo.
“Cosa vuoi!? – Sbottò, con la voce più straziata di quanto non volesse mostrare - Sei venuto a deridermi? Vuoi deridermi!? Coraggio, fallo! Dì a tutti quanti che Kurt Hummel è una femminuccia! Dì a tutti che sono debole!”
“Non sei debole.”
E dopo averlo detto Blaine fece qualcosa che stupì Kurt ancora di più: fu solo quando lo vide voltarsi di schiena ed accovacciarsi, con le ginocchia ben piantate al terreno e le braccia piegate verso di lui, che capì  fosse arrivato il momento di arrossire.
“Coraggio – mormorò – monta su.”
“No – balbettò immediatamente – no, oh no, non esiste, non permetterò che tu mi prenda in braccio.”
“Non riuscirai mai a camminare con quella caviglia.”
“Beh allora resterò qui per il resto della giornata!”
Il ragazzo si scostò quel poco che gli permettesse di incrociare i suoi occhi allarmati; lo ripetè di nuovo, incalzando con voce ferma e rilassata, di chi sapeva di avere la vittoria in pugno e che, alla fine, fosse soltanto questione di secondi prima che lo realizzasse anche Kurt. E quest’ultimo pensò che quella, quella sarebbe stata una cosa di cui pentirsi per il resto della propria vita; ma non allora: in quel momento, pensò soltanto a quanto le sue braccia lo stessero tenendo con fermezza, e quando percepì il calore del suo corpo attraverso il sottile strato della camicia si rese conto di un’altra cosa: era la prima volta che era così stretto ad un ragazzo, ed era la seconda volta che era così vicino a Blaine; di nuovo, si rese conto che nessuna delle due cose lo infastidiva.
 “Sono pesante.” Sussurrò, avvinghiando ancora di più le braccia intorno al suo collo, posando la guancia accaldata contro la spalla; la risata che percepì fece vibrare tutta la sua schiena, immergendosi completamente dentro al suo petto. Era una bella sensazione.
“Sei una piuma – ribattè Blaine – e io non ti farò cadere.”
No. Chissà perché, Kurt credeva alle sue parole: lo stava tenendo con troppa forza; era convinto che i loro corpi non potessero essere separati da nulla.
 
 

“Va meglio?”
Blaine aveva appena finito di fasciarlo e gli stava porgendo un sacchetto contenente del ghiaccio. L’altro non era riuscito a parlare da quando erano entrati in infermeria: completamente schiavo dell’imbrazzo, gli era mancata l’aria, aveva sentito la gola secca, i polmoni sembravano essergli arrivati al cervello e lo stomaco continuava a fare le capriole su se stesso. Tornò in sé per un attimo, quando notò che Blaine disponeva dello stesso kit di pronto soccorso che usava lui, e quando sentì il freddo del ghiaccio a contatto con la sua pelle. Trasalì, riprendendosi dai brividi e dall’improvvisa pelle d’oca, e alla fine annuì con fare timido. Il moro gli rivolse un sorriso dolce, mentre abbassava lo sguardo verso il livido e con delicatezza continuava a tenere il sacchetto. E sembrò che non ci fosse nient’altro da dire: sembrava un momento troppo bello, per essere rovinato con delle semplici parole.
Ma, dopo un tempo indefinito, Kurt non potè indugiare oltre e diede sfogo a tutti i suoi dubbi: “Perché sei venuto in infermeria?”
Blaine lo guardò perplesso: credeva di aver capito male, tanto che gli chiese di ripetere.
“Perchè non mi hai lasciato lì, sul campo, oppure sei andato in un posto più affollato? Tutti quanti avrebbero potuto vederti nel tuo momento di gloria, mentre soccorrevi il famoso e vanitoso Kurt Hummel.”
Nonostante la spiegazione, quella domanda continuava a sembrargli completamente assurda; continuando a tenere gli occhi puntati sulla caviglia, emise una leggera smorfia e mormorò: “non mi importa, Kurt, e francamente non dovrebbe importare nemmeno a te.”
Non lo aveva nemmeno immaginato; non lo aveva proprio tenuto in considerazione. A Kurt sembrava impossibile aver incontrato un ragazzo così, eppure, non riusciva a darsi nessun’altra spiegazione.
“Perchè fai tutto questo?”
La mano di Blaine si fermò immediatamente, i suoi occhi che adesso erano incatenati ai suoi.
“Non ho fatto altro che trattarti male – spiegò, timido, la voce fatta un sussurro - potresti ignorarmi; potresti mandarmi a quel paese, come fanno tutti quanti.”
Vide lo sguardo del ragazzo di fronte a sé assottigliarsi, farsi un po’ più pensieroso. Ed era così bello, in quella sua espressione concentrata, che Kurt credette quasi di avere le allucinazioni. Invece, era tutto vero. Il calore che stava percorrendo i muscoli del suo corpo, quello della mano di Blaine su di lui. Una sua fantasia non sarebbe mai stata così dolce.
Restò in attesa di una sua risposta senza nemmeno essersi conto di aver trattenuto il fiato.
“Potrei.” Rispose alla fine, con tono vago, e Kurt sentì distintamente il suo cuore farsi sempre più piccolo. Era giusto, che cosa si aspettava? Era del tutto lecito.
Non aveva mai provato qualcosa di più amaro.
“Ma…”
Una piccola parola, nata assieme ad un accenno di sorriso.
"Ma?" Incalzò, perchè voleva sentire la voce di Blaine, voleva vedere il suo viso arrossire timidamente, rivolgere a terra uno sguardo particolarmente luminoso.
“Ma non voglio.”
Oh.
Fu come se uno spiraglio di luce pura ed incantevole fosse filtrato attraverso una porta blindata. Ce l’aveva fatta: era riuscito ad illuminare il suo cuore di ghiaccio.
Un secondo dopo lo vide alzarsi in piedi ed indietreggiare indietro, sviando lo sguardo, e posando una mano dietro al collo.
“Beh, direi che puoi continuare a fare da solo. Buona fortuna. Sai, per il numero, e tutto il resto.”
Non poteva andarsene. Non voleva che se ne andasse. E, infatti, non fece nemmeno in tempo a raggiungere la porta che la sua voce uscì senza nessun pensiero: “Verrai a vedermi?”
Una piccola pausa, durante la quale le parole riecheggiarono nell’aria, con tutta l’impellenza con la quale erano state emesse.
“In palestra. Verrai?”
C’era emozione, nell’aria; era dentro il cuore di Kurt e davanti agli occhi di Blaine. Stava influenzando l’intera atmosfera, rendendola incredibilmente carica di ansia ed emozione.
E poi, semplicemente, scivolò tutto via, nel momento in cui l’uno disse “sì, mi farebbe piacere” e quando l’altro sussurrò: “grazie Blaine, grazie.”
Si erano salutati in un modo decisamente migliore rispetto a tutte le altre volte.
 


L’esibizione dei cheerios andò molto bene. Kurt, per via del suo infortunio, entrò soltanto a metà numero cercando di apparire il più coordinato possibile; grazie al trattamento ricevuto la caviglia andava piuttosto bene, riusciva a posarla a terra, e se non effettuava ampi balzi o assurde giravolte non gli dava troppi problemi.
Blaine era seduto sugli spalti, non sapendo bene come comportarsi: si sentiva quasi a disagio, non era fatto per stare in mezzo a tutta quella folla, e se soltanto ripensava a tutta quella scena dell’infermeria cominciava a sentirsi male.
Decise di godersi lo spettacolo, o meglio, quel che rimaneva, e di non abbandonarsi a fantasticherie prima di aver ricevuto uno straccio di certezza. Perché, in effetti, se avesse dovuto spiegare cos’era successo tra lui e Kurt, non avrebbe saputo da che parte farsi.
Eppure lui era lì, immerso nella sua coreografia, e quella grinta sembrava essere tutto ciò di cui avesse bisogno.
Infine, tutto ad un tratto, sotto agli occhi dei riflettori e quelli del pubblico, fece un passo avanti, con un sorriso orgoglioso e fermo, e poi cominciò ad intonare la prima strofa della canzone.
Fu in quel momento che Blaine si rese veramente conto della bellezza di Kurt Hummel. E non risiedeva nella divisa, o negli occhi cristallini, o in quel sorriso raggiante: era la voce. Ciò che fece tremare il giovane ragazzo, fu quel suono soave ed indescrivibile che scivolava via dalla sua voce e finiva direttamente tra le sue mani. Era…oh, come descrivere la perfezione, una volta che si è incontrata? Unica. Perfetta. Alta nel suo genere, tuttavia, delle volte raggiungeva delle corde con un tono basso che gli faceva venire i brividi. Lo elettrizzava. Si sentì un idiota solo a pensarla, una cosa del genere, eppure era così. E non capiva come avesse fatto a non sentirla fino ad allora, ma poi non si stupì, vista la sua inesistente presenza ad eventi sportivi e manifestazioni scolastiche delle cheerios; ma Blaine avrebbe voluto sentirlo cantare per sempre.
E ci fu anche una voce piccola, dentro di sè, tremante e fremente per l’emozione, che sperò di sentirlo cantare per lui.
Quando quella sorta di incantesimo finì, assieme al loro numero, si alzò di scatto per cercare di scappare il prima possibile, andare via, rifugiarsi in un’aula di informatica e sfogare tutto se stesso uccidendo qualche Murlog molesto su World of Warcraft e cercare di rielaborare tutte quelle sensazioni che aveva provato, quando una mano dal tatto delicato lo afferrò improvvisamente per un braccio.
“Ehi, dove vai?”
Kurt era davanti a lui, lo stava guardando con curiosità mista a dolcezza. Erano praticamente isolati dal resto dei ragazzi e ad un passo dalla porta d’uscita; Blaine lo fissò per un altro, lungo, secondo: voleva dirgli tantissime cose: “sei bellissimo”, e, “penso che tu sia una sorta di angelo, o non so cos’altro, perché canti in modo incredibile”.
Ma non poteva. No, davvero, era una pessima idea.
“Stavo andando via”, ammise, con un dispiacere che non voleva veramente far trapelare, e che provocò nell’altro una reazione ancora più perplessa.
“…Perché?” Domandò, con voce bassa, eppure, leggermente incrinata: non sembrava avesse intuito i pensieri che gli stavano affollando la mente.
Allora lo guardò, esitante, balbettando qualche parola incerta per evitare di dire quelle pericolose: perché, in verità, tutto ciò che voleva dirgli era che moriva dalla voglia di passare del tempo con lui; invitarlo ad un caffè, osservare la sua adorabile espressione mentre si perdeva tra qualche calcolo di matematica; parlare di tutte le cose che gli piacevano, e di quei termini di moda che non avrebbe imparato mai.
Alla fine, inerme, restò in silenzio, sviando la testa verso un punto indefinito.
Kurt, per diversi secondi, non parlò, ma nemmeno allentò la presa sull’altro. Ci era rimasto male: aveva fatto qualcosa di sbagliato? Lo aveva offeso in qualche modo? Perché, tutto ad un tratto, quel ragazzo lo stava fissando in quel modo tanto disarmante?
“Va…va tutto bene?”
Oh, ecco. Quello era stato un colpo basso, Blaine non se lo aspettava: si immaginava qualche commentino acido ed una risposta schietta, così da potersene andare in grande stile e non rivolgergli mai più la parola. Ma non fu così. Gli occhi di Kurt, in effetti, sembrarono di nuovo aver perso quel velo che impediva ogni comunicazione.
E Kurt se ne accorse. Ma, quella volta, non indietreggiò affatto, non si spaventò, rimase fisso davanti a lui; soltanto la sua espressione si fece leggermente più tesa, ma non il suo tono di voce, vellutato, timido: sapeva che non dovesse insistere; sapeva anche che tutto quello avrebbe portato loro un’enorme montagna di guai.
Ma il cuore fu più forte.
“Stavo pensando... sono ancora in alto mare con la matematica.”
Non ci fu bisogno di aggiungere altro: Blaine capì, e le sue sopracciglia si inarcarono preso completamente contro piede.
“Si tratta solo di qualche lezione, no? – Aggiunse svelto - Guarda, ti prometto che starò zitto. E ti prometto anche che farò finta di impegnarmi, quando ce ne sarà bisogno.”
Il suo cuore perse qualche battito quando vide il ragazzo esitare qualche secondo, e poi scoppiare una risata leggera; quella sua espressione così adorabile contagiò anche quella di Kurt, che sorrise, in modo sincero, tanto da allentare istantaneamente la tensione trai due ragazzi. E poi, fecero per stringersi la mano.
“Ad una sola condizione - precisò Blaine – dobbiamo aggiungere una regola numero tre.”
“Ossia?”
“Devi promettermi che non mi licenzierai di nuovo.”
“Oh – commentò, allentando il sorriso – ma in verità sei stato tu a-“
“Kurt.”
“Sì. Sì, te lo prometto.”
I loro sguardi non erano mai stati più luminosi; e il cuore del giovane cheerio sembrava scoppiare da quanto batteva forte, emozionato, felice; come non faceva da tantissimi anni.




***


Angolo di Fra:

No, scusate, ma stavolta posso iniziare questo angolo in un solo modo: bene, chi ha capito qualcosa della parte in nerdese riceverà una statua in suo onore. Ahahahahah! E' tutto inerente a DOTA, un gioco particolare di Battle Net, che è la sezione online di Warcraft III. Ci ho passato gli anni in quel mondo e sinceramente ho avuto una sorta di tuffo al cuore scrivendo situazioni che, non mi vergogno a dirlo, ho vissuto in prima persona. Ventrilo è un server online dove entri e puoi parlare con altri utenti, un po' come skype. Poi tutti gli altri nomi li lascio alla vostra immaginazione ( o, semmai, chiedetemi una spiegazione più approfondita in recensione o via mp) e mi limito a dire che NOOB è l'offesa peggiore che si possa fare. Davvero, dare del noob a qualcuno è come offendere sua mamma. Si incavolerà da morire e non porterà mai a niente di buono, garantito.
Ahahahah!
Poi, se vi siete andati a cercare le lyrics di quella canzone, capirete che è P E R F E T T A.
E chi mi conosce sa anche che ho un debole per quel gruppo di cantanti un po' stonati ma che fanno delle canzoni dolcissime.
Questa è una parte del testo:

your hazel eyes paralyze my senses
cut me down to size defenseless
im defensless


Adoro trovare canzoni Klaine. Molti titoli di questa ff, in realtà, sono collegate a canzoni che mi fanno ricordare quei due e che mi accompagnano durante la scrittura.

Per quanto riguarda il capitolo... beh, è venuto piuttosto lungo, ma non mi preoccupo perchè dovrà farvi compagnia per molti giorni. Mercoledì ho un esame e così il Mercoledì succesivo, e stavolta non avrò mezzo capitolo pronto ad aiutarmi...quindi non so quando potrò riaggiornare, mi dispiace.
Spero che vi sia piaciuto. E' molto importante e ci tenevo a scriverlo bene. Poi la scena nel campo da football francamente è la mia preferita! E' quella che ho disegnato ancora prima di scrivere, per intenderci. (Ma il disegno non ve lo farò vedere)

Ringrazio tutte le persone che leggono questa storia e quelle che mi hanno consigliata su questo capitolo, facendomi stare un po' più serena :)
e poi ringrazio tutti coloro che sono riusciti a trovare un minuto di tempo per recensire il capitolo. So che questo è un periodo infernale tra esami e fine di quadrimestre scolastico, quindi significa davvero tanto per me ricevere una recensione in questo momento. Grazie, grazie mille. Spero di farvi capire quanto vi sia riconoscente attraverso le mie nenie su facebook e questi aggiornamenti abbastanza rapidi.

E adesso mi zitto, ho parlato anche troppo. Un bacione!!!
Fra

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Capitolo 8
*** Awakening ***


Capitolo 8

Awakening







“Te la sei cavata bene, Porcellana.”
Sue Sylvester stava squadrando dall’alto verso il basso il suo capitano dei Cheerios mentre quest’ultimo sembrava più interessato all’orribile colore delle tendine di quell’ufficio piuttosto che a quel discorso.
“Sono ancora dell’idea che la tua sottospecie di canto assomigli al richiamo di una sirena arenata, ma a quanto pare è piaciuto alla gente e quel giornalista da quattro soldi ti ha dedicato dieci righe nel suo articolo per la rivista locale.”
Il cheerio afferrò il giornale con nonchalance, leggendo il trafiletto con poca convinzione, occupandosi unicamente di controllare che il suo nome fosse stato ben messo in evidenza e che non ci fosse nessun riferimento a peso inopportuno, divise orripilanti, o altri inserti che si era ritrovato spesso e volentieri a commentare con ripicca. Gli piaceva pensare che fossero delle situazioni isolate dettate unicamente dalla loro immensa invidia, oppure da una grave miopia non diagnosticata. Perchè, insomma, era impossibile.
“Va bene, evita quel tuo sorrisetto. Per il momento non ti caccio fuori dai Cheerios.”
“Non lo farà – puntualizzò Kurt- perchè faccio notizia e perchè posso ancora esserle utile per la sua notorietà da insegnante buona e perfetta.”
“Esattamente.”, proferì la professoressa, ed il secondo dopo Kurt roteò gli occhi chiedendosi chi dei due presenti in quella stanza fosse il più falso.
“Ad ogni modo, non mi piace il tuo atteggiamento da ragazzina in crisi ormonale, a volte mi sembri la versione nemmeno tanto mascolina di Hannah Montana.”
“Coach – scandì lui, con sufficienza - lei porta la parrucca, io ho dei capelli fantastici. Non ci sono proprio paragoni.”
La Sylvester esitò, decidendosi se far affogare una volta per tutte quel ragazzino impertinente nella sua lacca biologica oppure ammirarlo per la sua risposta pronta.
“Vedi di darti una regolata, Hummel. Non voglio salvare le tue chiappe sode da qualche giocatore di football.”
In risposta a quelle parole, Kurt non disse niente. Sapeva benissimo che ultimamente aveva alzato il tono, sia nei suoi modi di fare che nelle frecciatine durante le lezioni; non credeva, però, che agendo in quel modo rischiasse qualche pericolo, anzi: era assolutamente certo che più riusciva nell’essere stronzo, più evitava attenzioni particolari.
Quando la coach gli ordinò di andare fuori dai piedi obbedì senza troppe cerimonie, dirigendosi velocemente verso la sua prossima lezione. Delle Cheerios lo affiancarono subito, facendogli per la millesima volta i complimenti, chiedendogli quale fosse la sua marca di shampoo e se potevano riunirsi per un pigiama-party a casa di Addison. Lui prima dovette riflettere su chi fosse realmente Addison – gli sembravano tutti uguali, quelle ragazze in divisa, con la coda e l’aria da stupida, era difficilissimo distinguerle – e poi impiegò ancora più tempo nel trovare una scusa efficiente per rifiutare l’offerta. Forse usare come scusa “mi scade lo yogurt a mezzanotte e quindi non posso proprio uscire” non era il massimo dell’efficacia, ma era a corto di munizioni pungenti per quella giornata, e poi era sicuro che non lo stessero ascoltando sul serio; infatti, non appena disse quella frase, tutte sembrarono capire profondamente rivolgendogli sguardi comprensivi.
La mente di Kurt rielaborò il tutto con un semplice commento: C.V.D, ossia, Come Volevasi Dimostrare – la tipica formula presente alla fine di ogni teorema di matematica -.
E poi, non appena lo fece, si bloccò di colpo.
Una parte di sé volle istintivamente sbattere la testa contro un armadietto vicino e, magari, chiudercisi dentro;  perché, andiamo, non lo aveva fatto. Lo aveva fatto davvero?! Aveva pensato come un nerd, si era espresso nella lingua dei Maya?!
Aveva bisogno di un lavaggio del cervello, di una lavanda gastrica a base di riviste di moda. Era tutta colpa di quella maledetta matematica, che ormai riempiva le sue lunghe giornate da due intere settimane; era sempre lì: la mattina, il pomeriggio, perfino di notte si era ritrovato a sognare gli esercizi del futuro compito, con tanto di trauma interiore e conseguente F finale. In effetti, a pensarci bene, assomigliava di più ad un incubo.
E tutto quello gli fece ricordare anche un’altra cosa, che lo rese immediatamente nervoso.
Adagiando svogliatamente la tracolla lungo il fianco diede un’ultima occhiata ai suoi capelli, dopodiché richiuse l’armadietto e si incamminò verso la prossima lezione, mentre con una mano estrasse il cellulare cominciando a digitare velocemente i tasti sul touch-screen.
 
“Allora. Oggi lezione? Finisco gli allenamenti verso le 4, possiamo andare a casa mia con la macchina. -Kurt”
 
La risposta, sorprendentemente, arrivò dopo nemmeno un minuto, e lui rimase a fissare per qualche secondo il nome apparso sullo schermo; lo stesso che si rifiutava di nominare, ma che aveva un suono molto dolce perfino nella sua immaginazione.
 
“Va bene, ti aspetterò all’entrata del parcheggio. -Blaine”
 
Si vietò tassativamente di sentirsi risollevato, ma anche se poteva negarlo a parole, di fatto continuò ad osservare il messaggio con un sorriso lampante: era qualcosa di più forte di lui; dopo quella situazione nei campi da football e quel discorso in infermeria non aveva più senso chiedersi perché non riuscisse ad essere cinico e freddo nei suoi confronti, né, tantomeno, perché trovasse così piacevole la sua compagnia. Si limitò a constatare che le cose stavano in quel modo, che quel ragazzo aveva ottenuto più fiducia di quanto fosse lecito concedergli, e, forse, anche qualcosa di più.
Il tono del suo messaggio fu in netto contrasto con la serietà dei suoi pensieri, giusto per allentare un po’ la tensione – virtuale, ma comunque presente -: “Portati del Prozac, ho la netta sensazione che sarà una lunga lezione.”
 
Sorrise tra sé e sé per la battuta – più veritiera che altro – e allo stesso tempo si sentì quasi avvilito: la data del compito si avvicinava terribilmente e ogni giorno che passava si sentiva sempre più vulnerabile; era ormai arrivato in classe, e sfoggiando una falsa convinzione andò a sedersi al suo solito posto accanto alla finestra attendendo impaziente l’arrivo di Mercedes, la schiena un po’ incurvata, la mano posata sotto al mento serrato in una smorfia.
Era ancora immerso in oscuri presentimenti quando gettò rapidamente un’occhiata alla risposta appena ricevuta, e per un attimo aggrottò le sopracciglia: erano tre lettere.
 
“Asd.“
 
Una volta che Mercedes fu arrivata osservò confusa il suo migliore amico intento a girare e fissare il cellulare tra le mani, il volto perplesso che cercava una soluzione a chissà quale enigma complesso; l’ora passò con lui che continuava a chiedersi se fosse una sottospecie di faccina, un nome in codice, oppure un acronimo per qualche agenzia di servizi segreti. Forse, aveva davvero bisogno di un traduttore.
 
 
 
La prima lezione non andò molto bene.
All'inizio Kurt si soffermò a commentare ogni singolo numero scritto da Blaine perchè non riusciva a leggere la sua calligrafia: era strana, spigolosa e un po' confusionaria, anche se in realtà trapelava un moto di eleganza. Completamente diversa da quella di Kurt, grande, tonda e minuziosa, precisa perfino nei punti esclamativi.
Kurt notò anche che Blaine era un tipo introverso; non era silenzioso, ma di certo non affrontava mai argomenti che parlassero di sé. Sembrava più disposto a conoscere ogni sfaccettatura del carattere di Kurt, osservandolo con attenzione mentre si mordeva un labbro per la concentrazione, socchiudeva i suoi occhi limpidi, gesticolava nervosamente con le mani mentre spiegava a Blaine il tipo di problema.
Discussero per mezz'ora su come risolvere la derivata di una funzione composta con radice quadrata e Kurt aveva anche la pretesa di saperla fare meglio di Blaine; quando quest'ultimo gli fece notare attraverso una dimostrazione lunga e tortuosa che la radice di x al quadrato era VALORE ASSOLUTO di x, e non soltanto x, e che non era un "dettaglio da niente" ma piuttosto il fattore che avrebbe segnato la sua fantomatica B al compito in classe, il cheerio alzò il mento all'insù ed incrociò le braccia, e si limitò a sentenziare una sola frase: "comunque io la scrivo meglio."
 
 
La seconda volta fu il giorno successivo; Blaine aveva finito in anticipo la riunione con il club e Kurt non volle domandargli del perché mai le sue mani fossero piene di vernice e la sua maglietta imbrattata leggermente di colla, ma cominciò a chiedersi che razza di club frequentasse: forse, una versione nerd di Art Attack.
Quella riflessione non fece altro che peggiorare le cose: passò più tempo a guardare Blaine piuttosto che a risolvere gli esercizi del libro; non si stancava a memorizzare ogni sfaccettatura del colore dei suoi occhi, e ad osservare il suo volto serio mentre si focalizzava su chissà quale problema. Constatò che Blaine quando era particolarmente concentrato aggrottava leggermente le sopracciglia e socchiudeva appena la bocca, come per respirare meglio; i muscoli si irrigidivano e la sua schiena si incurvava leggermente in avanti, facendo aderire completamente la sua camicia alle sue spalle. Quando l’esercizio era particolarmente complicato si concedeva un sospiro e passava una mano tra quei riccioli scuri, che avevano sempre un bell’aspetto, e sembravano incredibilmente morbidi.
Kurt si domandò quale fosse il profumo di Blaine. Ma poi quest’ultimo si era voltato verso di lui con tutto l’entusiasmo possibile, mentre dichiarava di aver trovato la soluzione tanto agognata.
Pensò che un simile cambio di espressione dovesse risultare nient’altro che disarmante; lo era, ma sotto un altro punto di vista. Se possibile, gli occhi di Blaine, una volta che incrociavano i suoi, si illuminarono ancora di più e il cuore di Kurt perse qualche battito per la strada.
Man mano che passavano le ore Kurt si trovava sempre più a suo agio con quel ragazzo che era intelligente, simpatico e che aveva appena ammesso che, anche se non la praticava direttamente, apprezzava la moda in tutte le sue forme. Evitò di specificare che aveva cominciato ad apprezzarla notando tutti i vari outfit di Kurt, di volta in volta volta sempre più sorprendenti;  l’altro ragazzo, inevitabilmente, si ritrovò a squadrare i suoi pantaloni arrotolati e le sue caviglie prive di calzini, assieme alla camicia a quadri e gli occhiali enormi, e non riuscì a trattenersi dal dire che, senza offesa, lui rappresentava l’emblema del paradosso. Ma non si era reso conto del danno che aveva causato quell’affermazione, fino a quando non lo sentì esclamare entusiasticamente: “il paradosso di Russel!”
Interdetto, lo guardò confuso, restando in attesa di spiegazioni; Blaine si gonfiò come una rana e con un sorriso sornione formulò: “se tutti coloro che non si fanno la barba da soli se la fanno fare dal barbiere, allora chi fa la barba al barbiere?”
Kurt non parlò per un'ora.
 
 
La terza volta, sotto a quel punto di vista, non andò molto meglio: tutto era cominciato da Kurt che aveva provato a fare dei panini, ma Finn prima di uscire di casa aveva smanettato con il tostapane e senza dire niente a nessuno lo aveva praticamente reso fuori uso; al posto di un paio di fette di pane croccanti, i due ragazzi ottennero una nuvola di fumo nero e il rumore sordo di un corto circuito. Non si rese conto che il solo fatto di accettare l’aiuto di Blaine senza fare alcuna obiezione e senza alcun imbarazzo per il disastro appena combinato fossero sintomi di quanto inevitabilmente si era abituato a lui ed alla sua presenza.
“E' destino che capitasse proprio a me – borbottò, mentre apriva tutte le finestre di casa aiutato da Blaine – sono sfortunato nel DNA. E’ la legge di Murphy.”
“La cosa?” Ribatté Blaine.
“La legge di Murphy. Governa le leggi della natura.”
Era troppo impegnato a cercare un ventilatore per far circolare meglio l’aria per notare il tono scettico del ragazzo mentre diceva: “Io ero abbastanza sicuro che quella fosse la scienza.”
“Ma è una scienza. Ad esempio: hai mai sentito del modo di dire che, se cade una fetta di pane e burro di arachidi, cadrà sempre dalla parte del burro? E’ matematico.”
Silenziosamente, rifletté su quelle parole per una manciata di secondi, il tempo necessario a Kurt per far tornare la cucina ad uno stato pressoché normale. Fu solo quando si voltò verso di lui per complimentarsi del suo ben riuscito intervento da vigile del fuoco che si accorse del suo sguardo serio e concentrato, intento ad analizzare minuziosamente qualcosa.
“In verità, credo che ci sia una spiegazione fisica a quello. Il burro di arachidi è più pesante e quindi rallenta l'accelerazione centripeta del toast che, presumendo che cada dall'altezza media di 1.70 mt, non fa in tempo a compiere un giro completo e quindi cade dalla parte del burro, con un mezzo giro. Se proprio vogliamo essere precisi, è soltanto una questione di altezza.”
I due ragazzi si fissarono in silenzio.
“Sono comunque sfigato.”
L’altro ridacchiò, stringendosi nelle spalle e mormorando “Ok, d'accordo”. Dentro di sé pensò che fosse il ragazzo più cocciuto che avesse mai incontrato; pensò anche che fosse molto, molto adorabile.
 
 
 
Era la quarta lezione, capitata esattamente di Venerdì pomeriggio – rendendo il tutto ancora più deprimente di quanto non fosse già -, e Kurt e Blaine avevano passato le precedenti tre ore e mezza tra funzioni matrici ed integrali. Dopo l’ennesimo sbuffo del primo, ed un leggero sbadiglio del secondo, entrambi capirono di essere arrivati al limite e che quella tangente poteva anche concedersi un minuto di pausa.
“Basta –decretò Kurt, chiudendo il libro con un tonfo secco e rivolgendosi deciso al suo compagno di studi -usciamo.”
Blaine lo guardò di rimando, inarcando un sopracciglio: “usciamo?”
“Sì, usciamo, prendiamoci una pausa, respiriamo un po’. Non ne posso più di stare seduto davanti a questo libro.”
Allora era proprio come aveva pensato lui: Kurt gli stava davvero proponendo di andare fuori, farsi vedere dal mondo intero, loro due, insieme. E la cosa non sembrava preoccuparlo per niente. Forse non ci aveva riflettuto bene, oppure, forse, era troppo stanco perfino per riflettere. Ad ogni modo, non si preoccupò di sottolineare quei dettagli a Kurt, si limitò a sorridere annuendo con un cenno della testa.
“Dove vuoi andare?”
Soddisfatto della domanda, si alzò velocemente in piedi e andò a prendere i cappotti di entrambi: “nell’unico posto decente di questa città: il Lima Bean.”
“E’ il mio posto preferito.”
Kurt si voltò verso di lui, con le chiavi della macchina in una mano e la sciarpa nell’altra.
“Sul serio?”
“Sul serio.”
“Anche per me.”
“Cosa?”
“E’ anche il mio posto preferito.”
Si fissarono, uno più stupito dell’altro. Beh, quello era interessante.
 
 
 
Il bar, come sospettato da Kurt, era praticamente vuoto; l’unica eccezione consisteva in qualche studente universitario che spulciava il proprio computer e una coppia di vecchietti che si godeva un sano e caldo caffè. Non c’era mai nessuno di Venerdì sera, o almeno, nessuno che potesse riconoscerlo e cominciare a fare fastidiose domande. Non che si vergognasse di stare con Blaine; era solo che, sarebbe stato troppo complicato da spiegare. Era solo che si trovava tanto bene con Blaine, fuori dalle mura di quella scuola in cui era costretto a fingere per andare avanti, e non voleva che finisse tutto quanto; anzi, voleva continuare. Era bello sedersi assieme a Blaine ad un tavolino appartato nel retro della caffetteria, osservandolo riferire la propria ordinazione alla cameriera senza bisogno di controllare il menù: era proprio vero, allora, era davvero il suo posto preferito. Lo intuì anche da come sembrava conoscere ogni centimetro di quel posto e dal sorriso gentile che gli aveva appena rivolto la ragazza del bar. Aspettarono le loro ordinazioni rilassandosi nei loro divanetti, uno di fronte all’altro, e lasciandosi cullare da una piacevole musica di sottofondo. C’era silenzio, tra di loro, ma non del vero imbarazzo: non c’era bisogno di dire qualcosa, o risultare di compagni; in quei quattro giorni avevano passato così tanto tempo insieme, tra polemiche, smentite su assurde teorie e risate sommesse, che ormai la presenza dell’altro era diventata quasi scontata; Kurt si sentiva a suo agio. Perché Blaine era sempre gentile ed interessante, in qualsiasi situazione si trovasse, ed era una bella sensazione: rilassarsi, bere un caldo caffè in compagnia di Blaine. Pensò che dovessero farlo più spesso; pensò che non sarebbe stato male uscire di nuovo, senza matematica o scuola, soltanto lui e il suo… conoscente. Amico? Compagno di studi.
Alla fine il primo a rompere il silenzio dopo qualche sorso di caffè ed un sonoro sbuffo fu Kurt: “Non ce la farò mai a prendere quella B in matematica.”
Blaine appoggiò delicatamente il suo caffè medio, intrecciando le mani sulle ginocchia: “abbiamo ancora una settimana e mezzo, e poi non stai andando male. Non guardarmi così, dico sul serio: sei migliorato.”
“Certo. Adesso so distinguere una x da una y. Bel progresso.”
Il moro ridacchiò, ma subito dopo la sua espressione mutò velocemente in un sorriso: “Non ti sottovalutare, sei in gamba. Ce la farai.”
Lo diceva come se ne fosse assolutamente convinto, e Kurt si sentì profondamente riconoscente. Quel ragazzo credeva in lui, nonostante tutto; era bello sentirselo dire.
“Ti avrò rovinato chissà quale fantastica serata – mormorò, sviando lo sguardo verso il latte macchiato -, mi dispiace.”
“Non ti preoccupare. Tanto, per stasera non avevo niente in programma.”
Sentendo ciò, non riuscì a trattenersi dal rialzare gli occhi e puntarli sui suoi: “ti mancava la voglia, oppure la compagnia?”
Si rese conto troppo tardi che quella frase, detta in quel modo, potesse sembrare piuttosto ambigua: non intendeva una compagnia strettamente maschile, ma quello non era un tentativo implicito di scoprire se avesse un ragazzo, e si sentì un idiota perché sicuramente Blaine aveva frainteso, e adesso infatti sembrava cercare una risposta plausibile per allentare tutto il loro crescente imbarazzo.
“Non-non volevo intendere quello che ho detto, voglio dire, quella frase mi è uscita male, non volevo dire che tu- cioè, non ci sarebbe nulla di male, ma non sei obbligato a rispondermi, anzi, non devi farlo, io sono un idiota e tu-“
“Kurt, Kurt, frena, rilassati.”
Per un millisecondo gli venne la malsana idea di afferrarlo per le braccia e stringerlo finché non si fosse del tutto calmato, perché sembrava così imbarazzato per una cosa così piccola, ed era completamente diverso dal Kurt che si aggirava ogni mattina con aria fiera lungo i polverosi corridoi del McKinley. Il Kurt che Blaine aveva di fronte era introverso, timido e gentile, con dei brillanti occhi blu – o grigi, o forse anche un po’ verdi – e un sorriso che desiderava soltanto di uscire allo scoperto.
“Non avevo programmi perché alcuni miei amici escono con le loro ragazze e altri se ne stavano chiusi in casa a giocare ad Halo 3. Niente di imperdibile, insomma.”
Oh, ok.
Quindi, Blaine non aveva un ragazzo. Perché, insomma, se lo avesse avuto, di certo non avrebbe potuto bere un caffè di Venerdì sera con un ragazzo con cui passava la stragrande maggioranza del giorno e che, oltretutto, era gay. E quindi Blaine era gay ed era single; ma Kurt pensò immediatamente che se fosse stato etero ed impegnato non sarebbe cambiato nulla; erano dei dettagli di lui che non gli interessavano. Per niente.
“Quindi… giochi spesso ad Hello 3 di Venerdì sera?”
Blaine si domandò se avesse storpiato quel nome intenzionalmente oppure non se ne fosse nemmeno reso conto; per educazione, sorvolò e si limitò a rispondere: “diciamo di sì. Mi piace passare serate tranquille con gli amici, e poi, non è che ci sia molto altro da fare nei paraggi.”
“Già –commentò, con una smorfia - che strazio, vero?”
“Il popolarissimo Kurt Hummel…annoiato?”
In risposta, gli rivolse un’occhiata scettica, allontanando con nonchalance la tazza di caffè.
“Diciamo solo che anche io mi sono ritrovato con tanti Venerdì liberi, perché tutti quanti puntualmente vanno a ballare in qualche discoteca chissà dove.”
“Non ti piace la discoteca?”
Kurt si stupì del tono con cui Blaine aveva pronunciato quella domanda, come se fosse una cosa assurda e fuori dal normale.
“No.” Disse, con tranquillità. “Beh, mi piace, ma preferisco altri tipi di serate.”
“Del tipo?”
Di nuovo, gli sembrò allibito ed estremamente incuriosito allo stesso tempo. Kurt non era sicuro di voler condividere quelle informazioni con lui, ma, d’altro canto, voleva farlo.
“La mia serata perfetta è una cosa privata e top secret. Non vorrei che tutti quanti mi fregassero l’idea.”
Blaine gli rivolse un’occhiata complice, sorridendo.
“Penso la stessa cosa della mia.”
“Frena frena frena: mi stai dicendo che ritieni la tua serata perfetta meglio della mia?”
“Non so. Può darsi. Probabilmente.”
Da un lato voleva spiattellargli in faccia tutta la verità e rivendicare la superiorità della sua serata; dall’altro, però, si sentiva incredibilmente allettato dall’idea di conoscere che tipo di idea avesse in mente, vivere una giornata come farebbe Blaine.
Perché quel ragazzo adesso assomigliava sempre di più a ciò che aveva sempre desiderato chiamare amico, e tutto quello stava diventando sempre più appassionante.
“Facciamo una scommessa?”
Blaine restò in ascolto, osservandolo intensamente da dietro la sua tazza di caffè.
“Tu provi la mia serata e io provo la tua, e vediamo qual è la migliore delle due.”
Sembrò valutare attentamente quella frase, concedendosi qualche secondo di pausa per incrementare la suspense. Kurt intanto si stava quasi crogiolando nella curiosità e per poco non sobbalzò quando sentì Blaine affermare: “Va bene. Ma non ti dirò il mio tipo di serata, devi venire con me e viverla direttamente.”
Lo aveva preso in contropiede; ma per quanto volesse mostrarsi indispettito si sentiva soltanto felice ed entusiasta. Preferì ignorare una vocina dentro la sua testa che si stava domandando il perché di quel sorriso ampio e raggiante.
“Allora non ti dirò nemmeno la mia”, dichiarò.
“Va bene, non importa. Mi piacciono le sorprese.”
Continuarono a guardarsi, le loro espressioni sempre più divertite.
“Chi vince paga all’altro il caffè per una settimana?”
“Ti concedo il vantaggio di iniziare per primo.”
“Sei così sicuro di vincere, Kurt?”
“Il caffè lo prendo macchiato, con molto zucchero.”
Il sorriso di Blaine si allungò e si adagiò allo schienale della poltrona, non distogliendo lo sguardo dall’altro ragazzo nemmeno per un secondo.
“Va bene.”
Pagarono i rispettivi caffè, si salutarono con un cenno e qualche parola e alla fine ognuno si diresse a casa propria, Kurt con la sua macchina e Blaine incamminandosi in una lunga e rilassante passeggiata. (*)
 
 
 
Kurt aveva appena finito di mangiare quando sentì la tasca dei suoi jeans vibrare freneticamente, avvisandolo di un nuovo messaggio in arrivo:
“Se sei libero domani, ti passo a prendere verso le sei e mezza. Fammi sapere – Blaine”
 Aveva un impegno con le Cheerios: c’era la classica festa alcolica a casa di chissà quale ragazza, e in quel momento l’idea di quella serata non poteva sembrargli meno allettante. Avrebbe detto a Mercedes di sentirsi poco bene, e lei avrebbe riferito la stessa cosa a tutte le altre.
 
“Mi devo vestire bene? –Kurt”
Blaine non riuscì ad evitare di sorridere e appoggiò il joystick della playstation 3 per concentrarsi unicamente sul suo cellulare. Una parte di sé voleva rispondergli sì anche solo per vedere che cosa intendesse Kurt con vestirsi bene. Riusciva solo ad immaginarlo, e quello che immaginava era abbastanza sensazionale. Ad ogni modo gli disse di vestirsi in modo tranquillo, perché il posto in cui sarebbero andati non era frequentato da gente molto elegante.
Kurt, leggendo il messaggio, scartò automaticamente una dozzina di idee che aveva stilato prima di cena e gli rimasero ben poche opzioni da valutare: il cinema, il centro commerciale oppure una sagra di campagna.
Sorrise: era ovvio, sicuramente lo avrebbe portato al cinema a vedere un thriller, oppure, uno di quei adattamenti dei fumetti americani con quei supereroi che indossavano tute al limite del ridicolo. Qualcuno avrebbe dovuto dire all’inventore di Superman che le mutande sopra ai pantaloni sono l’apice dell’orrido. Scrisse velocemente il testo di risposta prima che Burt lo chiamasse per la centesima volta chiedendogli perché diavolo si fosse rotto il tostapane.
 
“Va bene. Ci vediamo domani allora, adesso vado. Buonanotte.”
 
“Ok – scrisse Blaine -BB. GL e HF.”
 
Sospirò, scrivendo velocemente un altro messaggio.
 
“Blaine?”
 
“Sì?”
 
“Inglese, per favore.”
 
“Asd, ok. Voglio dire, ‘ahah’. Buonanotte. “
 
 
Si ritrovò a sogghignare contro il cellulare, rileggendo più e più volte quell’ultimo messaggio. Voleva ignorare quella voglia irrefrenabile di andare a prendere i suoi quaderni di matematica solo per osservare la calligrafia di Blaine ed immaginarsi quei messaggi scritti dalla sua mano, mentre stringeva la penna in modo gentile e rilassato; si immaginò quelle dita affusolate sfiorare le sue accarezzandogli dolcemente la pelle fredda, e poi, scrollò la testa e scacciò via tutte le fantasie: aveva intenzione di andare a letto senza nessun tipo di pensieri. Però, prima di riuscire ad addormentarsi, continuò a domandarsi come diavolo potesse significare ‘ahah’  quello stranissimo ‘asd’.


***

Angolo di Fra

(*) Nella mia testa Blaine abita a Lima. Altrimenti non frequenterebbe il McKinley se abitasse a Westerville con una comodissima Dalton Accademy, no?

Voglio soltanto scusarmi per aver aggiornato esattamente dopo una settimana. Sono imperdonabile.
Ad ogni modo se sono riuscita a pubblicare ora e non mercoledì è solo merito della mia coinquilina, che è riuscita a prendere il capitolo dal portatile ed inviarmelo per posta. E' stato imbarazzante quando mi ha chiesto "ma cos'è una storia? Posso leggere?" e io immediatamente "NO! E' un saggio...cioè...una cosa di una ragazza che non conosci e...boh, cioè, lascia stare." Ahahah! Grazie conqui!
Grazie ancora a chi mi legge e mi recensisce!
Un bacione

Fra

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Capitolo 9
*** Il lan party ***


Capitolo 9
Il lan party





 
Forse gli indumenti non andavano bene. Kurt continuava a pensare la stessa cosa da più di un’ora ormai, e sebbene fosse più forte di lui, in parte si sentiva anche un po’ stupido; Blaine gli aveva detto di vestirsi comodo, ma “comodo” era un aggettivo sin troppo vago: doveva mettere cardigan, o camicia? Pantaloni o jeans? Era una tragedia. Avrebbe fatto una figuraccia, già lo sapeva. Ma poi, si convinse che non importava: stava uscendo con Blaine, non con qualche Cheerio o ragazzo popolarissimo della scuola; non doveva fingere di divertirsi, ridere o atteggiarsi da qualcuno che non era, non era costretto nemmeno a rimanere per tutto il tempo. Stava uscendo soltanto con Blaine, per una futile scommessa, e quel pensiero lo confortava.
Il diretto interessato gli aveva appena fatto uno squillo al cellulare, informandogli di essere arrivato; Kurt inarcò il sopracciglio rimanendo quasi incredulo, dal momento che era arrivato in netto anticipo: per avere un’ulteriore conferma della cosa si affacciò lentamente dalla finestra scorgendo una massa di riccioli neri che sembrava fissare la porta con aria rilassata.
Constatando a suo malgrado che da quella posizione non riusciva a vedere l’abbigliamento del ragazzo e, quindi, non potendo vestirsi di conseguenza, alla fine agì d’impulso, perché non aveva tempo, e perché era anche abbastanza stufo di quella sua indecisione –neanche fosse un appuntamento, continuava a ripetere tra sé e sé con crescente convinzione-: afferrò il cappotto a metà lunghezza ed uscì in quel modo, con corti stivaletti neri, pantaloni scuri ed una camicia azzurra, neutra. Mentre saltava le scale a due a due salutando con un solo colpo di fiato padre e famiglia continuò a ripetersi che fosse tutto strano: lui che non sapeva quale fosse l’outfit più adatto per l’occasione, lui che si sentiva così tranquillo quando richiuse la porta alle spalle e corse verso dentro la macchina di uno sconosciuto; ma no, non era uno sconosciuto: era Blaine.
“Kurt, stai benissimo!” Non esitò ad esclamare quest’ultimo, sfoggiando anche un sorriso incantato, giusto per peggiorare ancora di più le cose, pensò Kurt. Oltretutto, Blaine era vestito come sempre, con papillon, camicia colorata e scarpe di dubbia marca, e nonostante quello continuava comunque a sembrare carino; più che carino, in effetti, ma Kurt preferì sorvolare. Salì velocemente scambiandosi i soliti convenevoli, e mentre si allacciava la cintura domandò se si potesse sapere la loro destinazione.
“Nient’affatto – negò lui – è una sorpresa.”
Per il resto del viaggio parlarono delle lezioni di matematica, con Kurt che si lamentò senza fine e Blaine che cercava inutilmente di consolarlo; ad un certo punto accennarono anche ad un piccolissimo dibattito sulla musica, quando alla radio partì l’ultima canzone di Rihanna, ed entrambi scoprirono di avere qualche gusto musicale in comune ma, a parte quello, non toccarono nessun altro argomento. Entrambi non volevano invadere territori fragili ed insicuri, perché già solo il fatto di essere lì, di Sabato sera, nella stessa macchina, era stato sin troppo azzardato; perché, in fondo, era molto semplice: non avevano tutta quella confidenza.
A giudicare dalla direzione, non stavano andando al cinema; e nemmeno al centro commerciale, visto che era dall’altra parte della città; in quel quartiere di Lima, francamente, Kurt ci era stato al massimo due volte, e nessuna di queste era presente nella sua memoria. Ricordava una lavanderia a gettoni, proprio dietro l’angolo, e poco altro: non aveva la più pallida idea di dove stessero andando, né del perché Blaine sembrava così tranquillo ed elettrizzato allo stesso tempo.
Fu solo quando gli apparve davanti una grande insegna non illuminata, dall’aria cadente e contornata da fiamme disegnate che Kurt lanciò un’occhiata omicida a Blaine e sperò con tutto se stesso di aver frainteso: perché non poteva, no, sul serio. Lui ci aveva messo tre ore per scegliere cosa mettersi, si era disperato, si era sentito un completo idiota…per una serata al Lan Party. Per una serata nerd, giusto per rimarcare bene il concetto. Per un attimo si domandò perfino perché fosse così tanto stupito: dove altro sarebbe andato Blaine Anderson di sabato sera?
“Fidati –fece Blaine, avendo notato il suo sguardo allibito – ti divertirai.”
“Oh, sicuro.”
Sarebbe stata proprio una lunga serata.
 


Greg Dolton era il classico uomo sulla trentina con il faccione pieno e l’aria allegra: sembrava conoscere perfino il nome dei termosifoni e intorno a lui c’era una folla di ragazzini  e giovani intenti a discutere di chissà cosa. Portava i capelli neri e raccolti in una coda, che metteva in evidenza la sua catena-collana cadente svogliatamente sopra una maglia dei Black Sabbath. Nonostante l’aspetto massiccio, e decisamente poco colorato, aveva qualcosa che lo faceva sembrare subito simpatico. Per quel motivo Kurt non si stupì nel vederlo abbracciare di scatto Blaine, quasi affogandolo, vista la loro differenza di corporatura ed altezza. Blaine, però, ricambiò la stretta e gli diede qualche affettuosa pacca sulla schiena prima di voltarsi dietro di sé: “Greg, questo è Kurt.”
“Carino.” Commentò lui, e per poco il viso del povero ragazzo non andò in fiamme.
“S-sì, cioè, i-io, voglio dire…”
Il Cheerio decretò che fosse giunto il momento di intervenire: “Sono un amico di Blaine.”
Non poté vedere il volto sorpreso del ragazzo, non appena udite quelle parole; Greg alzò le mani esclamando: “Certo, siamo tutti amici qui! Benvenuto Kurt, è la tua prima volta al lan party?”
Annuì con poca convinzione, perché sapeva già che si sarebbe pentito del braccio di Greg finito subito attorno alle sue spalle e di come gli stava indicando tutte le varie aree della sala: “quella è la zona lettura, ed è dove regnano gli otaku. Non ti garantisco la loro sanità mentale.”
“Otaku?”
“Fissati di anime, manga, e Giappone in generale. Non ti scandalizzare se ci trovi qualcuno che gira in Katana, ultimamente va molto di moda Bleach.”
“Bleach?” Balbettò, confuso: parlava forse del correttore?
Greg, però, sembrava troppo preso a descrivergli la seconda zona: “quella caro mio, è la zona carte. Gente apposto, perlopiù ragazzini, è il luogo delle battaglie, dei duelli all’ultimo sangue. Lì dentro ci vive l’odio, ma quello vero. Non ti consiglio di metterci piede quando c’è in corso un duello: non vuoi sapere cosa sono capaci di fare dei giocatori di Magic nel momento in cui ricevono uno schiacciante counter per il loro mazzo.”
No, in effetti, a giudicare dai loro visi tirati e dalle espressioni cupe, Kurt decretò quell’area come ufficialmente off-limits.
“Mentre quella – seguitò Greg facendogli un cenno con l’indice – è la zona online. WoW, BNet, Diablo, perfino Robot Unicorn Attack. Sei completamente libero, lì. E la cosa bella è che siete tutti collegati in una rete lan, così puoi fare partite con i tuoi amici. E’ per questo che questo posto si chiama lan party.”
“Ma che senso ha giocare in computer diversi, se i tuoi amici sono a due metri di distanza?”
La risata gutturale che provenne dalla bocca di Greg gli fece immediatamente rimangiare la domanda.
“E’ l’online, amico mio. Usi il tuo personaggio, però giochi assieme a quello di altri. Si fanno missioni, si combatte contro altre squadre...in pratica, levelli e oneshotti.”
Che bello, altri termini intraducibili da aggiungere alla lista.
“Non è fantastico?”
“Assolutamente.” Assolutamente NO, voleva precisare, ma non gli sembrò molto carino; sfoggiò un sorriso alquanto tirato, inarcando le sopracciglia come se fosse sinceramente colpito da tutte quelle splendide descrizioni. Greg si gonfiò d’orgoglio come un palloncino e, infine, mostrò al ragazzo la parte più bella di quel posto.
“Dulcis in fundo, i Giochi di Ruolo.”
“Giochi di Ruolo?”
“Dungeons and Dragons, Overlord, Vampirism… c’è tutto. E’ un mondo magico, ragazzino, un mondo dove non esiste il resto del mondo.”
“E’ un bel gioco di parole.”
“E’ la verità.”
Kurt si voltò di scatto, giusto in tempo per scorgere un bagliore svanire dagli occhi di Blaine: era stato lì per tutto il tempo? Lo aveva fissato in quel modo, per tutto quel tempo?
“Coraggio – esordì, prendendolo delicatamente per un braccio – ti faccio fare un giro.”
Si lasciò guidare di zona in zona osservando Blaine salutare tutti con serenità e scambiare qualche parola con qualche giocatore, che sembravano essere molto felici di vederlo, e gli rispondevano sempre con gentilezza, in netto contrasto con qualche precedente urlo strozzato verso il proprio avversario; e più passavano i minuti più Kurt se ne rendeva conto: Blaine era benvoluto da tutti. E lo aveva portato nel suo posto preferito, gli stava facendo conoscere i suoi amici, cercando sempre di spiegargli ogni argomento nel dettaglio. Con i suoi modi, con i suoi toni, a quei frequentatori del lan party era impossibile non volergli bene; così come a Kurt sembrò impossibile non fidarsi di lui, nel momento esatto in cui incrociò i suoi occhi dorati, diventati improvvisamente un po’ più sorridenti.
 

 
Erano seduti ad un tavolo di Warhammer, con Kurt che si divertiva a dipingere le figure appena comprate; Blaine gli aveva detto che la parte più bella di quel gioco fosse la preparazione e la minuziosità con cui venivano decorate, e che lui adorava sperimentare nuove tempere e stili di pittura; Kurt adesso capì molti degli interrogativi che si era posto con il passare dei giorni, a partire dalle magliette sporche di vernice e a terminare con le mani imbrattate di colla. Capì anche perché quel gioco gli piacesse tanto: tra set di dadi tutti colorati e di forme diverse e statuette da decorare, perfino lui cominciava a trovarlo un po’ piacevole.
Dopo qualche secondo alzò lo sguardo verso Blaine, continuando a impastare una tintura ad olio: “vieni spesso qui?”
Ci pensò un attimo, prima di rispondere: “Quasi sempre. Di solito ci sono anche i ragazzi del mio clan.”
Kurt non fece nemmeno in tempo a chiederlo, che subito ottenne un sorriso ed una spiegazione: “in molti giochi online capita che tu debba fare parte di una gilda. E’ una sorta di gruppo, di famiglia virtuale nella quale ci si aiuta a vicenda e si gioca insieme. Io e gli altri ne abbiamo fondata una, da qualche anno, ormai. Giochiamo sempre insieme, a qualunque cosa.”
Kurt non era convinto di aver capito bene: com’era possibile che da dei giochi fosse nato un gruppo, una solida amicizia?
“Ci chiamiamo Warblers.” Sottolineò alla fine, con un moto di affetto ed orgoglio, e Kurt fu indeciso se essere confuso o allietato. L’unica motivazione ricevuta a riguardo fu una scrollata di spalle, ed un semplice “ci piace molto cantare e fare musica. Non sapevamo deciderci, e così…Warblers.”
“Warblers.” Ripeté l’altro, quasi memorizzando quella parola, che gli sembrava incredibilmente adorabile e giusta: un clan, un posto dove stare; degli amici, con cui condividere tutto e poter essere sempre se stessi. Tutto ad un tratto, Blaine gli sembrò molto fortunato.
“Ehi, fringuello! - Urlò un ragazzo poco distante, appoggiato allo schermo piatto di un pc – Niente partita oggi?”
Blaine esitò per un momento guardando Kurt con la coda dell’occhio: “no, scusa Phill, stasera passo.”
“No. – Lo fermò Kurt – Voglio dire, no, gioca. Giochiamo.”
Non poteva aver sentito bene: “tu vuoi…vuoi fare un game?”
Beh, detto con quel tono incredulo suonava ancora più strano di quanto già non fosse; ma sì, Kurt lo confermò con convinzione, perché aveva voglia di provare a fare quello che faceva sempre Blaine; aveva voglia di conoscere il suo mondo, attraverso piccoli passi.
E in fondo, quanto poteva essere difficile un semplice videogame?
 

“Va bene –esordì, dopo qualche minuto speso a spiegare il tutto a Kurt- adesso devo soltanto registrarti al dominio e abbiamo finito: dammi la tua mail.”
La voce di Kurt, a mezzo metro da lui, uscì calma, impassibile, mentre dichiarava con convinzione "ildiavolosivestebene@hotmail.com"
Silenzio. Qualche giocatore intorno a loro si voltò, i volti un po’ più allibiti di quello di Blaine che fece lo stesso molto, molto lentamente: “...come hai detto scusa?”
“L’ho creata dopo aver visto il diavolo veste Prada al cinema; tutto minuscolo, senza trattini.”
Continuarono a fissarsi per secondi che sembrarono ore; Blaine cercò di capire se stesse scherzando, analizzando la curvatura delle sue labbra e la profondità dei suoi occhi; ma Kurt, notando la sua espressione indecifrabile e concentrata, inclinò leggermente il capo assottigliando lo sguardo. Non gli piaceva quell’espressione.
“Stai ridendo.”
Lui non si mosse di un millimetro: “No, non è affatto vero.”
“Stai sogghignando Blaine, ti si legge in faccia.”
Lo sapeva di non essere mai stato un grande attore, ma c’erano momenti –come quello, per esempio- in cui odiava seriamente il suo viso che assomigliava molto ad una sorta di libro aperto.
­“...E’ solo che...”
“Cosa?” Incalzò, atono, volendo apparire meno stizzito di quanto in realtà fosse.
“La tua e-mail.” Riuscì finalmente a dire, facendo accigliare ancora di più Kurt che ribattè: “la mia e-mail cosa?”
Era già sul punto di alzarsi e andarsene via, mandarlo a quel paese ed uscire a chiedere l’autostop per ottenere un passaggio verso casa, quando tutto ad un tratto vide il volto di Blaine rilassarsi in un timido sorriso; aveva un tono sorpreso e felice mentre affermava con sincerità: “è geniale.”
 


Ci volle mezz’ora per spiegargli come funzionava; e poi, quando finalmente credettero che quel supplizio fosse finito, ci volle un’altra mezz’ora a Kurt per scegliere il proprio personaggio.
“Kuuurt…”
“Un secondo, Blaine! Questo è più carino!”
Gli piaceva quel gioco: doveva soltanto scegliere i vestiti, la razza e il ruolo che avrebbe dovuto fare; era come giocare a The Sims, solo che lì i vestiti non erano delle caricature pixellate dei capi di Alexander McQueen.
“Kurt, non devi basarti su quanto sia carino, ma sulla sua forza: non ti servirà un bel faccino quando ti stunnerà l’eroe avversario.”
Emise un lungo sospiro, gli occhi fatti due fessure. Ok, forse era un po’ diverso da The Sims. Almeno che stunnare non volesse dire un modo per far suicidare i propri personaggi dentro la piscina.
“Visto che so già che morirò miseramente, almeno permettimi di scegliere un viso che posso ammirare per tutte le ore in cui starò steso in terra. Questo me lo devi.”
“Ok, ok –ridacchiò- comunque, non ti devi preoccupare.”
“Tu dici? Ti assicuro che non sono un vero e proprio talento, nei videogiochi. Diciamo che è già un miracolo se riesco ad installarli senza far bloccare qualcosa.”
Blaine allora si voltò verso di lui, guardandolo negli occhi e facendosi improvvisamente serio; parlò come se stesse dicendo la cosa più ovvia di tutte.
“Perché ci sono io: non ti farò morire, Kurt.”
E, forse, il giovane Hummel per qualche secondo provò un’incontenibile scarica di adrenalina lungo tutto il corpo; fino a quando si ricordò che stavano parlando di un gioco online, e di due stupidissimi personaggi in 2D, così si rassettò composto sulla propria sedia e si riprese.
Bene, il gioco, di per sé, non era complicato. Era tutto il resto ad esserlo: nomi, magie e oggetti; perfino la chat era impronunciabile in quanto piena di messaggi come “MAPHACKER” e “AFK” e “gogo gank Roshan”. Eppure, Blaine era sempre pronto nell’esatto momento in cui individuava il suo sguardo confuso, o la sua bocca inclinata con una smorfia: gli spiegò tutto con calma e pazienza e il suo personaggio era sempre a fianco a lui, nella stessa linea, pronto a difenderlo. Non poteva sapere che, in realtà, aveva scelto il proprio eroe basandosi sulle statistiche del suo, con il solo scopo di supportarlo al meglio; non poteva sapere che, in quella stessa chat, tutti quanti si stavano chiedendo come diavolo facesse quel giocatore ad essere sempre ovunque, sempre pronto; Blaine stava dando il meglio di sé, quella sera, e tutto perché si era promesso di non far morire Kurt nemmeno per una volta.
Certo fu abbastanza difficile reagire alla gank spietata di tutti gli avversari, e sia Kurt che Blaine si trovarono esattamente al centro del mirino. Kurt non avrebbe mai pensato di saper giocare, o meglio, di riuscire a sopravvivere; ma, soprattutto, non si sarebbe mai aspettato di agitarsi così tanto alla vista di cinque puntini colorati puntare velocemente verso di loro. Stavano arrivando. E lo scopo era una double kill.
“Blaine!”
“Ok –fece lui- niente panico. Kurt, tu occupati del viola, io penso agli altri.”
“Ma come faccio a-“
I nemici ormai erano lì, pronti a scagliare i loro attacchi.
“Blaine?”
“Stunna.”
“Che sarebbe?”
“Il secondo bottone!”
“Dici questo?”
“No quella è la pozione rinvigorente! Kurt, in fretta, premi –“
E lui lo fece. O meglio, fece qualcosa; non seppe esattamente cosa, ma l’importante fu che funzionò. Il suo eroe scagliò una nave gigante sbucata dal nulla che paralizzò tutti i presenti, e il resto fece Blaine, con qualche mossa particolare, guadagnandosi un meritato e urlante GODLIKE dal computer.
L’ultimo commento degli avversari, prima che lasciassero in tronco la partita, fu un messaggio in chat aperto a tutti: “nice combo. GG.”
La schermata si oscurò e, dopo qualche secondo, uscirono fuori tutti i risultati con i rispettivi punteggi. Kurt volle cercare conferma nel sorriso entusiasta di Blaine e domandò con fare timido ed impacciato: “Ce l’abbiamo fatta?”
In risposta, l’altro si sporse completamente su di lui avvolgendolo in un abbraccio; ok, decisamente, quello era un sì.
“Sei stato GRANDE Kurt! La tua ulty è stata…e tu sei… è stato un vero e proprio headshot!”
Evitò di chiedere l’ennesima spiegazione dell’ennesimo termine nerdiano; non lo fece, perché in quel momento Blaine lo stava stringendo e il calore del petto premuto contro il suo gli donava una sensazione calda e confortante. Stava quasi per ricambiarlo, avvolgere le braccia contro il suo collo, intrecciarle tra di loro ed inspirare il suo profumo, quando una voce squillante a pochi metri di loro lo fece completamente ridestare.
“AH! Siete troppo KAWAI!”
Si staccarono all’unisono, in un modo tanto brusco quanto imbarazzante. Kurt cominciò a guardare insistentemente i lacci delle proprie scarpe sperando che il colore delle sue guance fosse ancora di una tonalità naturale, ma Blaine, invece, si limitò a salutare cordialmente la ragazza, che si rivelò chiamarsi Emily. Rivolse un’ultima occhiata a Kurt e sfoggiando un ampio sorriso se ne andò, saltellando verso la zona lettura con il suo vestito nero. e i suoi capelli piastrati come una bambola di porcellan; Kurt si morse un labbro, palesemente imbarazzato.
“Non esserlo.”
Ancora una volta, Blaine aveva colto esattamente i suoi pensieri; e Kurt non riuscì ad evitare di guardarlo, mentre con un soffio di voce chiedeva: “Come posso non esserlo? Ho visto il modo con cui mi fissava.”
“Come ti fissava?”
“Come se...come se fossi strano.”
Un'altra volta, quella tristezza. Si era esposto troppo. Un'altra volta, si sentì esattamente come quando riceveva le prime occhiate nei corridoi della scuola. Stupido, inutile. Stropicciò un lembo della sua camicia, perché non era la divisa dei Cheerios; perché, in quel luogo, e in quell’esatto momento, lui era esattamente Kurt Hummel. E non sembrava essere passato un giorno; forse, perché erano sempre lì, rintanati in angoli oscuri della sua memoria; pronti a ferirlo, in ogni occasione.
Ma Blaine, per lungo tempo, lo guardò; gli prese con delicatezza una mano, e gli fece cenno di guardare quella stessa ragazza di poco prima.
"Vedi il suo vestito, il suo look che sembra uscito da un film di Tim Burton?”
Kurt annuì.
“E’ detto goghic lolita. Veste sempre così."
"Sul serio?"
"Sì, sempre, anche a scuola. E, lo vedi quel ragazzo? –Indicò un ragazzino tutto rannicchiato sul suo computer-  E' convinto di aver visto gli alieni. Passa giornate intere a gestire un sito sul paranormale e a cercare segnali dal futuro."
Non riuscì a trattenere un sorriso, mentre Blaine continuava a parlare: "E loro – disse infine, verso un gruppo seduto ad un tavolo pieno di fogli - loro ogni settimana si ritrovano in un posto di Lima e si travestono come i loro personaggi. Fanno il gioco di ruolo dal vivo, è come se recitassero, con tanto di vestiti, atteggiamenti, oggetti, tutto quanto."
E Kurt li osservò: sembravano completamente presi dai loro ragionamenti; sembravano felici, senza nessuna ombra di preoccupazione. Lentamente, si voltò di nuovo per guardare Blaine. Si sentiva così piccolo, come se dovesse scomparire da un momento all’altro, e Blaine sembrò così sicuro di se stesso, nel momento in cui pronunciò quelle parole, che Kurt desiderò soltanto affondarcisi dentro e incatenarle dentro al suo cuore.
"Quello che voglio dirti, Kurt, è che in questo posto siamo tutti strani. Ma è per questo che funziona. In questo posto, la tua stranezza non fa altro che renderti ancora più speciale."
Speciale. Nessuno l’aveva mai vista così; nessuno aveva mai pensato che Kurt fosse speciale, nella sua particolarità.
"...e tu? –mormorò, guardandolo di sottecchi e con fare timido- ...voglio dire, tu quale...?"
Emise un sorriso. Perché era ovvio: “sono gay."
Oh. Giusto.
Provò di nuovo quella strana sensazione; si sentì di nuovo felice per Blaine, ma allo stesso tempo, invidioso. Perché era come lui, ma, allo stesso tempo, incredibilmente diverso; perché Kurt voleva sentirsi sicuro di sé, esattamente come lo era Blaine.
E sperò che quella serata fosse durata di più, dal momento che era già arrivato il momento di andar via; sperò di poter parlare ancora con lui, chiedergli altro, conoscerlo più a fondo.
Per una volta soltanto sperò che potesse vederlo, così com’era veramente. Almeno uno; almeno lui.
 


 
***

Angolo di Fra

LEGENDA

Otaku = fissati di anime, manga e giappone in generale
Bleach = nome di un manga (fumetto giapponese)
Magic = gioco di carte
WoW, BNet, Diablo ( e ROBOT UNICORN ATTACK XD) = Giochi online
Dungeons and Dragons, Overlord, Vampirism = giochi di ruolo, da tavolo o live (dal vivo)
MAPHACKER = Letteralmente, truccatore di mappe. Quindi uno che usa i codici, i trucchi, per giocare.
AFK = Away From Keyboard (si va via dal pc per un po' di tempo)
Stunnare (stun) = è un attacco particolare che immobilizza l'avversario per qualche secondo.
Nice combo, GG = Letteralmente, bell'attacco di COPPIA, Good Game (tra le righe, arrivederci)
Gank = tutti contro uno.
Gogo Gank Roshan = Roshan è un mostro di quel particolare gioco, che se battuto ti dà tantissimi punti esperienza e oggetti.
Double kill = Uccidere due avversari in una mossa sola.
GODLIKE = Uccidere cinque avversari in una mossa sola (quindi fare piazza pulita ahah)
Ulty = mossa finale, potente e speciale
KAWAI = carino in giapponese
Gothic Lolita = http://1.bp.blogspot.com/-I0WcwPmc3lc/TpSOkNyYCNI/AAAAAAAAAsc/WnlvnWqCpR4/s1600/gothic2.jpg

se ho dimenticato qualche termine chiedete pure.

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Capitolo 10
*** New Friend ***


Capitolo 10
New Friend

 
 
 
 


“E insomma, ero rogue full-vestito, stavo raidando con altri nabbi che abbiamo gildato e stavo arando tutti con un botto di dps. E poi arriva quel lamer di pally che mi ninja il drop ed ecco che si ritrova ad essere full-viola e settantato solo perché durante il week-end ha camperato come un suino. Ma vi rendete conto?!”
“Che noob.”
“E’ terribile, sul serio.”
“Ehi, cos’hai contro i pally?!”
“Blaine, silenziati. Va bene che tu hai l’anima del paladino infusa dentro al tuo corpo, ma stavolta lascia parlare i caotici neutrali.”  
“Ma-“
“Sto sentendo una lamentela da legale buono?”
Ci fu un secondo di pausa, durante il quale Blaine sbuffò ed incrociò le braccia al petto, ricevendo un applauso denigratorio ed un sospiro di sollievo da parte di Nick, che poté finalmente continuare la sua polemica.
E Kurt, seduto assieme a loro, intento a dipingere con pittura ad olio una piccola pedina di Warhammer, alzò la testa di scatto, guardando tutti e quattro gli Warblers, uno ad uno. E infine, perché non riuscì davvero ad evitarlo, con una sola mandata di fiato, lo disse: “non ci ho capito niente.”

Era già passata una settimana, e per Kurt era la terza volta che si ritrovava al lan party; la seconda fu, perché Blaine aveva passato giorni a tartassarlo di domande sulla sua serata ideale, senza ottenere mai uno straccio di risposta. Kurt non dava nessun indizio e, se possibile, lo faceva impazzire ancora di più nascondendogli come e quando sarebbe avvenuta; per far smettere la sua irrefrenabile curiosità fu costretto a fuorviarlo con la proposta di un game, al quale dovette necessariamente partecipare; stava guadagnando una bizzarra cultura sui videogiochi, ma anche tante, tantissime risate e chiacchierate assieme a Blaine; la terza, invece, fu contro la sua volontà, dal momento che il ragazzo aveva dichiarato la sua assenza per le lezioni di quel pomeriggio costringendolo ad un giorno intero di studio autonomo; “in fondo – gli aveva detto lui – si tratta solo di una giornata. Facciamo lezione tutti i giorni!”. Kurt provò a spiegargli che, in effetti, tutti i giorni non era abbastanza; provò a spiegargli che avevano a malapena una settimana per prepararsi a quel compito in classe; avevano litigato per circa mezz’ora ribadendo le loro posizioni, Blaine che non smetteva più di parlare di una nuova versione di uno dei suoi tantissimi giochi, Kurt che rivendicava l’importanza delle ripetizioni e della sua partecipazione ad esse affermando che un pomeriggio di studio autonomo, così come lo chiamava lui, equivaleva in verità ad un suicidio totale in stile The Day After Tomorrow. Dopo aver discusso a suon di occhiate, sospiri e risposte acide, Kurt riuscì finalmente a convincerlo tirando fuori un paragone incredibile quanto geniale, che fece stupire tanto lui quanto ancora di più Blaine: “io e la matematica siamo come due rette parallele, non ci incontreremo mai”; gli aveva detto proprio così, al Lima Bean subito dopo scuola, con una tazza di caffè in mano e l’altra sospesa a mezz’aria, l’aria afflitta ed il tono tormentato.
 
Di fronte a quella metafora matematica Blaine per poco non esultò entusiasta, cosa che fu assolutamente vietata da Kurt, non allora, non per quell’argomento.  
 
Così, alla fine, erano giunti ad un patto: lo avrebbe accompagnato a quel lan party, avrebbero trascorso un paio di ore, e poi sarebbero filati dritti a casa a studiare.
E così, Kurt si ritrovò a dipingere nani e troll mentre Blaine faceva la sua riunione di Gilda come se si trattasse di un meeting tra capi di Stato. Quella volta si era sentito imbarazzato solo una volta, ossia, quando era stato presentato ai migliori amici di Blaine come “Kurt, il ragazzo con cui praticamente convivo” e gli altri non avevano risparmiato fischietti maliziosi ed eloquenti pacche sulle spalle. Avrebbe potuto dire “il ragazzo a cui faceva ripetizioni ogni santo giorno”, oppure, “il capitano dei Cheerios”, dal momento che indossava ancora l’uniforme visto che non aveva fatto in tempo a tornare a casa per cambiarsi; e invece no. Si limitò ad arrossire vistosamente e a sussurrare “ce n’era proprio bisogno?”, mentre Blaine, con tutta la sua innocenza, gli rivolse un sorriso rispondendo di aver detto la pura e semplice verità.
Ma loro due non convivevano affatto: il fatto che avessero passato insieme le precedenti tre settimane e mezzo, comprese di passaggi a casa, caffè al Lima Bean e uscita di Sabato sera non significava un bel niente. A tal proposito, Kurt preferiva chiamare quella serata ideale di Blaine “una lezione in trasferta”: la raccontava così, a Mercedes e a suo padre, e nessuno dei due aveva mai capito cosa volesse dire. Forse, non voleva ammettere nemmeno a se stesso di essersi trovato bene; così come non voleva ammettere di non riuscire più a tenere in piedi la sua maschera di fronte a Blaine, dopo tutto quello che avevano passato.
La sua presenza, ormai, era diventata tanto ovvia quanto rassicurante.
“Kurt? Ci sei?”
I quattro ragazzi lo stavano fissando attoniti, dal momento che si era incantato nei suoi pensieri da un abbondante quarto d’ora. Non appena se ne fu reso conto trasalì, scrollando leggermente le spalle e mormorando qualcosa circa “lo stress causato dalla matematica”, che provocò a tutti una sonora risata. Blaine lo guardò divertito, facendosi più vicino a lui e chiedendo, quasi supplicante: “ti va di giocare a D&D? Non durerà molto, promesso. Fidati, è davvero divertente!”
Ecco, quello non era giusto; Kurt aveva una sorta di incapacità a dire di no di fronte a quegli occhi color miele, specie se si rivolgevano a lui in quel modo. Emise un lungo sospiro, inarcando le sopracciglia, e senza nemmeno aver avuto il tempo di dirlo a parole Blaine lo aveva ringraziato e stretto in un velocissimo, ma caldo, abbraccio.
Se ne approfittava; questo pensò Kurt, nel momento stesso in cui lo vide estrarre dei dadi da un sacchetto di cotone. Se ne approfittava palesemente, e lui non era assolutamente in grado di fermarlo.
“Allora – esordì Blaine – la regola numero uno è la scelta dei dadi. Sono la parte più importante di questo gioco, sono fondamentali, la tua vita dipende da loro. Sceglili con cura.”
Stava quasi per scoppiare a ridere, ma poi capì che Blaine non stava scherzando: gli mostrò tutti i suoi set completi, lasciandogli piena decisione su quale scegliere. Erano dadi da cinque, sei, nove, dodici e venti facce, molti dei quali sconosciuti alla vista di Kurt, ma incredibilmente interessanti con le loro combinazioni di forme e colori. Blaine ne possedeva un set blu, uno rosso, uno verde e un altro viola. L’idea, in principio, era di scegliere un gruppo dello stesso colore; Kurt, invece, mescolò tutti i vari stili, attirando così la curiosità del ragazzo e degli altri presenti.
“Perché non li hai presi tutti uguali?”
Lui li osservò amorevole: “perché sono i colori dell’arcobaleno. Certo, ne mancano due o tre, ma mi danno comunque allegria. E poi, il viola quest’anno va molto di moda.”
E Blaine, semplicemente, lo fissò.
Perché forse Kurt non si era accorto di quanto, in appena una settimana, fosse cambiato; perché forse non si rendeva nemmeno conto di aver fatto una cosa tanto adorabile, da provocare un sorriso affascinato sul volto di tutti i ragazzi.
Impiegarono gran parte del tempo a progettare la sua scheda: fu un processo lungo e alquanto articolato, visto che Kurt volle analizzare nel dettaglio tutte le modalità di personaggi disponibili. Come prima cosa, senza ombra di dubbio, Blaine scelse per lui la razza dell’elfo dei boschi, senza possibilità di contrattaccare. A giudicare da una piccola foto sul libro di Wes, colui che veniva chiamato “master” – perché, apprese Kurt, svolgeva il ruolo di narratore e conduttore del gioco –, erano delle creature snelle e molto eleganti, con delle lunghe orecchie appuntite e la carnagione chiara; notò una certa somiglianza.
Fu più difficile, invece, scegliere la classe, le armi e tutti i dettagli tecnici; ci volle del tempo, però, alla fine, i due si ritenevano ampiamente soddisfatti.
Dopo poco rialzò lo sguardo, sorridente. Dopotutto, non gli dispiaceva il suo mago-elfo dei boschi.
“E adesso?”
A quel punto, con fare saggio, e anche un po’ strafottente, intervenne Jeff.
“Vedi, Kurt. Devi sapere che ci sono diversi tipi di giocatori. Ci sono i bacchettoni che conoscono tutte le regole a memoria, come Wes; da notare il separé rompiscatole oppure quel martelletto che sembra lo scettro del potere. E poi, ci sono quelli che se ne fregano di tutto e tutti e giocano solo per spaccare ossa, come Nick. E poi, ci sono io, che sono quello che fa sempre 20 su 20 e vince su tutto.”
Buffo, non avrebbe mai pensato di trovare degli stereotipi, lì. Però, alla fine, non seppe resistere e chiese a quale tipo di categoria appartenesse Blaine.
Sorrise: “lui appartiene di sicuro alla classe peggiore di tutti. E’ un legale buono.”
“E che vuol dire legale buono?”
“Vuol dire che, probabilmente, non potremmo mai fare niente perché il suo cuore nobile non ce lo permetterebbe.”
Con la coda dell’occhio vide Blaine arrossire, ma Kurt non disse niente: era convinto che, in un certo senso, assomigliasse davvero molto al suo personaggio.
“Bene – dichiarò alla fine, battendo le mani con fare entusiasta – adesso possiamo giocare.”
Cosa? Come? Per poco non gli caddero tutti i dadi per terra.
“Ma, non è finita qui? Non è questo il gioco?”
“Quella era solo la scheda. – Spiegò Wes, autoritario - Coraggio giocatori, sarà una sessione molto lunga e faticosa, ma vediamo se stavolta riuscirete a sconfiggere il drago.”
Blaine riuscì a trattenere una risata soltanto perché Kurt lo aveva praticamente minacciato di morte con un solo sguardo.



Non riusciva a credere di stare studiando dopocena; era una cosa inaudita, fuori dal comune. Kurt Hummel aveva toccato ufficialmente il fondo, ma dall’altra parte aveva ottenuto una tazza di latte caldo da Carole e delle confortevoli pacche sulle spalle da suo padre; con quanto si era lamentato, ormai, tutta la famiglia empatizzava con lui per quel compito e non vedevano l’ora di farla finita.
Era solo in cucina quando vide Finn scendere velocemente le scale e passargli davanti, con delle scarpe di camoscio in una mano e una giacca nera ed elegante nell’altra. Kurt credette di avere le allucinazioni, perché non aveva mai visto quel ragazzo vestirsi tanto bene; quei logaritmi gli facevano veramente male.
“Frena frena frena, dove stai andando... –lo squadrò da capo a piedi, osservando la sua camicia bianca, i suoi pantaloni scuri, i suoi capelli perfettamente sistemati –… si sta per sposare qualcuno?”
Confidò almeno in una risata; invece, il fratello, se possibile, sembrò imbarazzarsi ancora di più, accovacciandosi lentamente a terra per sistemare scarpe e lacci.
“Sto per uscire.”
Oh, quello sì che era un commento inaspettato.
“E dove vai?”
“Vado…sì, insomma, mi faccio un giro.”
Sollevò ancora di più la testa dal tavolo, inclinandola da un lato e scrutandolo con i suoi occhi chiari: “tu stai uscendo.”
“Sì, è quello che ho detto.”
“No, intendo dire, per un appuntamento.”
A giudicare dalla sua reazione – esagerata, paonazza e completamente interdetta – intuì di avere colto nel segno. Solo, non capiva il perché di tutta quella tensione.
“Salutami Quinn”, disse semplicemente.
“Non…non esco con Quinn.”
Oh, ecco. Adesso si spiegava. Rimasero a guardarsi per un’altra manciata di secondi, periodo nel quale Kurt cominciò a passare in rassegna tutte le cheerleader per capire quale fosse la fortunata, o sfortunata, a seconda delle prospettive – Finn a volte sapeva essere davvero stressante – e il fratellastro cercava con tutto se stesso di trovare un valido modo per sviare quella conversazione.
“Ho visto che stai leggendo Harry Potter. Ci sono i libri sul tuo comodino.”
Stavolta fu Kurt ad essere stato preso in contropiede; inarcò un sopracciglio e assunse un’espressione perplessa: “sì, è così. Me li ha prestati Blaine.”
“Chi?”
Oh. Maledizione.
“N-nessuno.”
No, non poteva dirlo. Finn non avrebbe capito; Finn lo avrebbe detto a tutti. Non poteva assolutamente permetterlo.
“Non è nessuno, sul serio. Ma non eri in ritardo per un appuntamento?” Aggiunse un secondo dopo, facendo allarmare di nuovo suo fratello, che in fretta e furia finì di prepararsi, afferrò le chiavi della macchina e lanciò un urlante “ciao” a tutta la famiglia.
Il silenzio che piombò su quella stanza fu pesante come una cappa d’aria compressa. Kurt si sentiva senza fiato, senza forze, e per un brevissimo momento aveva visto la sua incolumità andare in frantumi. Ed era preoccupante; aveva abbassato la guardia, anche senza la presenza di Blaine. Era bastato pensare a Blaine, per gettare completamente all’aria tutte le sue difese. Non andava bene, e l’idea di essere di nuovo così vulnerabile lo terrorizzava.



Il giorno dopo seguì gli allenamenti come se niente fosse; rispose alle provocazioni della coach, conversò amabilmente con Mercedes, rivolse qualche commento sprezzante a qualche altra ragazza. Evitò categoricamente Santana, con le sue battute snervanti, così come preferì non incontrare Azimio e i giocatori di Hockey per tutto il resto della giornata. Mentre riponeva trionfante gli ultimi libri nell’armadietto si complimentò segretamente con se stesso per la sua abilità di mostrarsi fiero e superiore in ogni tipo di situazione, per essere riuscito a cavarsela un’altra volta, in quella scuola piena di bulli, di omofobia e discriminazioni pronte ad assalirlo da ogni angolo.
Non vide Blaine nemmeno di sfuggita: non avevano lezioni in comune, e ancora non sapeva dove fosse il suo armadietto; e, anche se lo avesse saputo, difficilmente sarebbe andato da lui per parlargli. Difficilmente sarebbe riuscito a tenere la sua maschera da capitano, in sua presenza.
Tuttavia, si chiese dove fosse per gran parte della mattinata, visto che ogni volta sembrava non trovarsi da nessuna parte.


Quando, quel pomeriggio, la porta si aprì con uno scatto leggero, Kurt si immaginò che ad attenderlo ci fosse il solito, raggiante sorriso ed un libro di algebra pronto a salutarlo.
Non avrebbe mai pensato di trovarsi di fronte ad un Blaine devastato con i vestiti rovinati e un piccolo taglio all’altezza della fronte, non troppo profondo, ma visibile e lancinante. Non avrebbe mai pensato di sentirsi così pietrificato, attonito, mentre lasciava che il mondo intorno a sé svanisse per racchiudersi unicamente dentro di lui. Non comprese nemmeno il motivo per il quale era rimasto lì, immobile, come se non riuscisse a trovare le parole, oppure, il modo con cui dirle.
La situazione si sbloccò soltanto molti secondi dopo.
“E’ già piuttosto tardi, dovremmo cominciare a studiare.”
Questo disse Blaine, con voce roca, spezzata. E Kurt per poco non si abbandonò del tutto all’idea di afferrarlo per le spalle, scuoterlo ripetutamente, chiedergli che fosse successo, di che diavolo stesse parlando, e urlargli contro che non poteva presentarsi in casa delle persone conciato in quel modo e pretendere di far finta di niente, non era un comportamento accettabile, lui sapeva molto bene come fingere in certe occasioni ma quella, di certo, non era una di quelle.
Ma, invece di tutto questo, lo fece entrare in casa. Lo portò su in camera, anche se non lo aveva mai fatto prima, lo fece sedere sul letto e si diresse velocemente a prendere un asciugamano pulito e il kit medico in bagno. Blaine aveva qualche ricciolo appiccicato alla fronte per il sudore freddo, la testa bassa, le mani che tremavano cercando di fermarsi a vicenda. Non alzò lo sguardo quando Kurt si inginocchiò delicatamente di fronte a lui, né reagì minimamente al contatto dell’acqua ossigenata contro la sua pelle. Non faceva male.
Tuttavia, apprezzò il silenzio che gli concesse Kurt. Apprezzò il fatto che lo stesse aiutando, con tutta la gentilezza possibile, senza chiedere nessuna spiegazione in cambio; ma forse, un poco, lo sapeva. Forse conosceva i motivi che lo avevano ridotto in quello stato, e nessuno dei due aveva il coraggio di tirarli fuori.
“Dillo – lo incitò Kurt – è accaduto a scuola?”
Perché, in fondo, era ovvio. Tutto, in quel corpo scosso, urlava armadietti e cassonetti della scuola. Tutto suonava amaro. Ma Blaine disse di no. Anzi, gli assicurò di no; fu come se volesse convincerlo con tutte le sue forze. Disse che era successo fuori; disse che era caduto. E Kurt voleva veramente credere alle sue parole, perché era sempre stato sincero con lui; perché Blaine era buono. Non si meritava tutto quello. Perché Kurt si fidava di lui, completamente. Per quel motivo, non si arrese, domandandogli un’ulteriore conferma. Blaine annuì piano. Non si sentì nemmeno in colpa per aver detto una bugia tanto grossa, lo faceva per il bene di Kurt: la verità lo avrebbe distrutto, e lui non era pronto a perderlo così in fretta.
“Non è niente”, disse infine. “Sto bene, sul serio, non è la prima volta che avviene. Non è niente. Sto bene”
Lo aveva ripetuto troppe volte; perfino la sua voce suonò insicura, nel momento che pronunciò quelle parole. La presa sulla garza ovattata si fece più stretta, cupa: come poteva essere così?! Come poteva fare il vago, dire quelle cose, con le sue mani che non accennavano a fermarsi?
Senza ulteriori indugi, le afferrò.
“Blaine, Blaine ti prego, guardami.”
Lo fece. I suoi occhi gli ricordarono l’oceano.
“Tu non stai bene.”
E no, non era una domanda. Era una constatazione. Era la prova che Blaine aveva bisogno di lui, così come lui aveva trovato il suo piccolo angolo di sicurezza in Blaine.
Perché, adesso, si stavano abbracciando, ed era bisogno, conforto, compassione; non era caldo e rassicurante come le altre volte, ma non era nemmeno sbagliato; semplicemente, era amaro, così come amari erano i loro cuori mentre si stringevano nelle loro consapevolezze. Non sarebbero mai stati accettati; non c’era posto, per loro, in quella piccola e fredda Lima. E Kurt, per un momento, avrebbe giurato di aver sentito Blaine piangere; ma quando si scostò quel tanto per tamponare di nuovo il taglio sulla fronte –che, da quella distanza, ipotizzò fosse stato causato da qualche sassolino a contatto con la pelle- , il suo volto era scuro, freddo, inespressivo. Era come il suo, ogni qual volta si trovava a scuola.
“Hai un’aria terribile.”
Quel commento diretto scatenò una vena di ilarità nel moro, che trascinò un piccolo sorriso, le sue ciglia che si abbassarono morbidamente sulle guance mentre si godeva il tocco delicato e fresco della mano di Kurt.
“Non è-“
“Niente, lo so, me l’hai già detto.”
Si chiese se potesse capirlo; si chiese se fosse quello il motivo della sua maschera, di tutto quel suo contorto comportamento. Forse, in passato, era stato esattamente come lui. Forse, aveva soltanto trovato il modo migliore per non soffrire.
Poteva biasimarlo, per aver celato il suo cuore?
E mentre Blaine pensava a quelle cose, Kurt non riusciva a distogliere l’attenzione da quella piccola ferita torbida, opacizzata dall’ovatta e dall’acqua ossigenata. Ed era lì,a pochi centimetri da lui,accarezzata da una sua mano e sofferente per via dell’acqua ossigenata; e tutto ciò che voleva fare, in quel preciso istante, era posare le sue labbra su di quella e baciarla, piano, con estrema delicatezza. Si immaginò che sapore avesse la pelle di Blaine; si domandò se fosse altrettanto dolce; ma non poteva. Kurt sapeva di non poterlo fare.
“Vieni – sussurrò dopo, a pochi centimetri dalla sua pelle – ti scelgo qualche vestito pulito mentre ti fai una bella doccia.”
“No Kurt, non ti preoccupare, sto bene così e-“
“Prendilo come una parte del risarcimento che ti devo per tutte le ripetizioni.”
Il suo viso, a quel punto, si fece ancora più attonito e serio.
“No Kurt, io…non voglio che tu ti senta in debito con me per qualcosa. Non mi devi niente di niente.”
“Che cosa?”
“Ti prego. Non voglio risarcimenti; non voglio che…” non voglio che pensi di me in modo così distaccato e professionale, sarebbe stato giusto dire, e invece l’unica frase che fuoriuscì dalla sua bocca fu: “prendilo come un favore di un amico. I favori si accettano senza pretese, giusto?”
Stavolta, fu Kurt a restare in completo silenzio. Poteva percepire il suo respiro controllato in netto contrasto con i battiti del suo cuore.
“Senza pretese.” Confermò lui. Il viso di Blaine si illuminò con un meraviglioso sorriso; ma Kurt era in balìa dei suoi pensieri, e non riuscì a trattenersi.
“Così come, senza pretese, tu accetti il mio aiuto, ti fai una doccia e ti cambi, ordiniamo cinese e ci guardiamo Casablanca in dvd. Non accetto risposte negative. Ah, e poi, ricordati che domani devi venirmi a prendere alle cinque in punto.”
Blaine strabuzzò gli occhi. Era ancora sconvolto per la prima parte del discorso.
“Devo?”
“Certo che devi. Oppure non vuoi iniziare la prima parte della mia serata perfetta?"
 





**
Angolo di Fra
La parte in nerd non ve la traduco, tanto non serveai fini della storia. Prendetelo comearamaicoantico eandrà bene lo stesso. So che moltitutti, in veritàsiaspettavano la Kurt-serata… beh, spero di nonavervi deluso con questo piccolo (e importantissimo) intermezzo! Molti di voi hanno fatto le speculazioni piùassurde sulla serata di Kurt…alcuni ci sonoandati vicini,altri un po’ meno. Siaccettano scommesse!
E voglio ringraziare di cuore TUTTE le personea partire dalla magica beta nonché moglie nonché compagna di merende Lievebrezza - che, tra neve, freddo, esami e cioccolate calde riesconoa trovare il tempo di leggere e recensire. Sono le vostre recensioni e tutto il vostro entusiasmoa spronarvi, non riescoa credere che questa storia possa piacere così tanto.
Eadesso vi saluto. Grazieancora di cuore, DUDE.
Sì, DUDE. Chi vuol intendere intenda. *My CrissColfer feelings*
 
Fra


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Capitolo 11
*** Expressway to your heart ***


Capitolo 11
Expressway to your heart




 

La parte più semplice fu prendere accappatoio, asciugamano e occorrente per il bagno, per poi darli a Blaine e lasciare che si facesse la doccia; quella molto più difficile, invece, fu scegliere i vestiti. Per Kurt era come una sfida: voleva trovare qualcosa di carino e, allo stesso tempo, adeguato per la sua personalità. Alla fine optò per dei jeans scuri, una maglietta a maniche corte e una felpa rossa, di cui, francamente, non ricordava nemmeno l’esistenza; ma che, forse, per Blaine sarebbe andata bene. Continuava a fissare il completo con fare pensieroso e concentrato quando qualcuno, lentamente, bussò un paio di volte alla porta, attendendo il permesso per entrare.

“Kurt, sbrigati a fare la doccia, devo farmela anche io e possibilmente prima che faccia notte!”

Il fratello stava quasi per urlargli contro: innanzitutto per chiedergli che fine avesse fatto la sua serata “solo uomini” al pub; seconda cosa per sottolineare, di nuovo, che lui non era lento, ma minuzioso e che non era affatto inutile farsi lo scrub sotto all’acqua calda, ma un’attività di vitale importanza per la sua pelle – anche se, magari, un po’ lunga e dispendiosa -, ma tutto ad un tratto qualcosa lo fermò.

Perchè lui non si stava facendo la doccia. E Kurt aveva calcolato che quella sera Carole e Burt erano andati al cinema, ma non aveva assolutamente tenuto in considerazione la presenza di Finn.

Sentì un sonoro sbuffo da dietro la porta e poi vide la maniglia roteare su se stessa, lasciando intravedere una figura robusta e un viso alquanto contrariato.
Accadde in un attimo: osservò il bagno, il rumore della doccia accesa udibile a metri di distanza, poi i vestiti sul letto, stesi accanto ad un maglione arrotolato e a dei batuffoli di ovatta impregnati di disinfettante e sangue. E poi, con uno scatto da vero capo-cheerleader dei Cheerios, balzò contro la porta e la richiuse con un tonfo sordo, con l’eco di quel suono che riecheggiò nel silenzio per diversi secondi.

Finn rifletté per un discreto lasso di tempo prima di parlare di nuovo, stavolta, più allarmato: “...Kurt? Tutto...tutto bene?”

“S-Sì. Benissimo. Una-una meraviglia.”

“Ma allora non ti stai facendo la doccia?”

“N-no. Cioè, sì. Sono appena uscito.”

Ma lo scroscio dell’acqua era ancora nitido e presente, come fece giustamente notare lui. L’avrebbe ucciso. Anzi, avrebbe giocato d’iniziativa e si sarebbe sparato da solo. Stava già per entrare nel panico e supplicare a Finn di non farne parola con nessuno, perché lui era amico di Blaine Anderson, ma non era proprio un suo amico, o meglio, lo era fuori dalla scuola, ma dentro la scuola non poteva esserlo, e il suo cervello stava macchinando frasi alla velocità della luce, si sentiva quasi senza fiato, quando ad un tratto, da dietro la porta, sentì un suono ovattato e digitale riconducibile a una suoneria del cellulare.

“Ciao! – Esclamò Finn, raggiante – Sei…sei già qui? Sei sotto casa mia? – Aggiunse, stavolta, leggermente più allarmato – Ah, bene. Voglio dire, perfetto! Vengo subito ad aprirti.”

Kurt aprì la porta quanto bastava per poter sbirciare il corridoio e dichiarare il via libera; dopodiché, si voltò di scatto, e per poco non fu colto da un infarto quando vide una figura confusa davanti a lui, i capelli scarmigliati, il corpo avvolto da un accappatoio scuro.

Kurt non si volle domandare se il colpo al cuore fosse stato per lo spavento o, piuttosto, per lo sguardo di Blaine direttamente rivolto verso di lui, il volto ancora leggermente arrossato dal calore, qualche goccia d’acqua che scivolava dai riccioli e arrivava dritto fino alla mandibola, calda, profumata, così come il resto della sua pelle. Blaine profumava di miele: Kurt sapeva benissimo che era merito del suo bagno schiuma, ma doveva ammettere che quella fragranza si addiceva perfettamente alla tonalità dei suoi occhi, che continuavano a fissarlo, con un sopracciglio leggermente inarcato; e non riusciva più a pensare con lucidità. Fu costretto a prendere dei piccoli e silenziosi respiri, perché il suo corpo non accennava a muoversi, sembrava completamente paralizzato di fronte a quel ragazzo che, in quel momento, non gli ricordava affatto quel bizzarro ragazzo delle ripetizioni.

“Tutto bene?”

Anche se si trattava della stessa domanda rivoltagli meno di cinque minuti prima, la reazione fu completamente diversa: annuì velocemente e sfoggiò un timido sorriso, indietreggiando giusto di qualche passo. Gli mostrò i vestiti e senza aggiungere molto altro e si sedette sul letto mentre tornava in bagno per cambiarsi; Finn non era ancora tornato, segno evidente del fatto che, come intuito, era stato raggiunto da chissà quale ospite, e aveva da fare. In cuor suo sapeva che si trattava di Puck, Mike, o qualcun altro del club di football, e sarebbe stato davvero difficile spiegar loro la presenza di Blaine; avrebbe detto che studiavano. Nessuno avrebbe fatto obiezioni, e anche se fosse, confidava di essere abbastanza perspicace da cavarsela. Afferrò qualche libro sparso per la camera e lo posizionò accuratamente sopra le ginocchia, intrecciando le mani, dondolandosi sul posto e rimuginando sulle frasi – frecciatine da dire a Finn e i suoi amici. Blaine uscì dal bagno poco dopo, con i capelli umidi e vestito in modo perfetto, esattamente come Kurt aveva previsto. Certo, non aveva previsto quanto il suo fisico risaltasse in quei jeans scuri, ma sorvolò velocemente su quel dettaglio.

“C’è un problema.” Dichiarò, secco.

“Ossia?”

“Ossia, Finn mi aveva detto che sarebbe stato fuori casa, e invece è giù in salotto con un’altra persona.”

“Oh.” Per un momento Blaine non capì le sue parole; poi, riflettendo con più attenzione, si rese conto che Finn era il quarterback della scuola, e frequentava praticamente le stesse persone di Kurt: se qualcuno lo avesse visto in sua compagnia avrebbe sicuramente pensato male. E no, non aveva alcuna voglia di cadere di nuovo in qualche presa in giro, non dopo quel pomeriggio, e la sola idea che il suo amico potesse ricevere lo stesso trattamento lo faceva tremare dalla rabbia. Kurt non avrebbe corso rischi, non quel giorno, non per causa sua.

“Possiamo…possiamo dire che dobbiamo studiare.” Propose quindi, stringendosi nelle spalle.

E Kurt, semplicemente, sorrise: non si stupì della scaltrezza di Blaine, sapeva già che fosse un ragazzo incredibilmente intelligente e, soprattutto, attento. E sapeva già che, in un modo o nell’altro, avesse già capito senza bisogno di alcuna spiegazione; sentì quasi il dovere di ringraziarlo, perché non era tenuto ad assecondarlo, tuttavia lo faceva. Si sentì ancora più felice e fortunato di aver incontrato una persona come lui, che non lo giudicava mai; che voleva essergli amico, nonostante tutto.

Quando scesero le scale, entrambi si rivolsero una rapida occhiata, prima di dirigersi finalmente nella stanza dalla quale proveniva una tenue luce artificiale ed un chiacchiericcio di sottofondo.
Ma più avanzavano, e più constatavano che la voce in compagnia di Finn fosse un po’ troppo alta, un po’ troppo squillante, un po’ troppo femminile per appartenere a un uomo, così come Blaine, lentamente, spalancò gli occhi, accelerando il passo fino a trovarsi esattamente sulla soglia della cucina.

“Che ci fai tu qui?!”

Kurt gli rivolse uno sguardo confuso, imitato immediatamente dal fratellastro. L’altra persona aveva un’espressione ancora più strabiliata mentre i suoi occhi si aprivano e chiudevano un infinità di volte.

“Che ci fai TU qui!”

Ecco, giusta domanda. Si schiarirono entrambi la gola, prima di dire, quasi in coro: “Dobbiamo studiare.”

“La conosci?” Aggiunse Kurt un attimo dopo, cercando una sorta di spiegazione anche nel viso di Finn; ma, a quanto pareva, era rimasto allibito quanto lui, tanto che sussurrò a quella ragazza “Scusa, ma tu sai chi è quello?”

I due apparenti estranei si scambiarono una lunga occhiata.

“Lei è Rachel.”

“Quello è Blaine.”

“Da qualche settimana esce con Finn, e...”

“Insegna matematica a Kurt, nelle ore libere.”

“Quindi sì, ci conosciamo.”

“Siamo amici.”

“Migliori amici, in realtà.”

 

Ci fu una lunga, forte, pausa. Dopodiché, Rachel mormorò qualcosa a Finn, Blaine si scusò con Kurt, che si trovò subito d’accordo, e lo salutò con un’intesa dei loro sguardi; in un battito di ciglia i due migliori amici erano già fuori dalla porta, lasciando i due fratelli da soli, finalmente liberi di poter esternare tutti i loro sconcertati pensieri. E per tutta la serata non fecero altro.

 

“Non ci posso credere che tu stia uscendo con Rachel Berry.”

“E tu, invece, che da un mese a questa parte ti vedi tutti i giorni con quel nerd?”

“Mi aiuta con la matematica, Blaine non-“

“Blaine? Adesso lo chiami anche per nome?”

Deglutì un paio di volte. Era anche peggio di quanto si immaginava; appoggiò stancamente i gomiti sopra al tavolo, sprofondando contro la sedia, e tra un sospiro e l’altro riuscì a dire: “Non posso credere che tra tutte le serate possibili-“

 

 

“-Dovevi per forza scegliere questa, per fare la sorpresa a Finn?”

Rachel, finalmente libera dalla cintura di sicurezza della macchina, sbuffò, incrociando le braccia in maniera molto teatrale, e rivolse lo sguardò verso un punto sconosciuto del parabrezza.

Stupiscilo, Rachel, fagli capire che per te conta davvero. Sono le tue parole, Blaine! E poi, mi spieghi che ci facevi ancora a casa di Kurt? E che cosa sono questi vestiti?”

“Oggi pomeriggio ho fatto tardi, e così Kurt mi ha chiesto di rimanere a mangiare per poi riprendere lo studio.”

“Bene.” Scandì; sembrava sicuramente più convinta di quanto lo fosse Blaine. “E per quanto riguarda il tuo look? Perché non credo proprio che tu abbia avuto il tempo di andare a fare shopping, e questa maglietta non l’ho mai vista in vita mia.”

Perché Rachel aveva una memoria fotografica, ricordò lui, ed era davvero grandioso. Sarcasmo a parte, alla fine non riuscì a trattenersi dal passare nervosamente una mano suoi capelli ed abbassare velocemente lo sguardo, cercando insistentemente qualche buona scusa da dire; Rachel lo guardò come se avesse appena scoperto una cosa impossibile, la sua mascella sembrò scendere di due piani mentre con un filo di voce balbettava: “Quei vestiti sono…e i tuoi sono…tu e Kurt siete…?”

Il viso di Blaine divenne improvvisamente color porpora. Si passò una mano sugli occhi, inspirando profondamente, perché Rachel ovviamente aveva frainteso, ed era così imbarazzante, e lui doveva farle capire a tutti i costi che-

 

“Non è come pensi!”

Kurt aveva appoggiato una mano sul piano della cucina e rivolto l’altra verso il fratello paonazzo.

“Io e Rachel...lei…”

“Finn, non mi devi spiegare niente. Non mi interessa con chi esci, purché lo fai fuori dalla scuola. Perché, lo sai, le notizie al McKinley volano, basta una notifica su facebook ed è fatto. La tua reputazione, il tuo ruolo da Quarterback…sarai finito.”

Finito. Era una parola terribile; il ragazzo esitò di fronte alle sue stesse parole. Perché una parte erano rivolte a se stesso, ma non era lui quello che stava mettendo a repentaglio tutto per una semplice cotta adolescenziale; vedendo ciò che suo fratello rischiava di fare, Kurt si sentì quasi superiore dal momento che la sua sicurezza non era affatto danneggiata.

 

 

“Stai molto attento Blaine. Kurt Hummel è bello quanto geniale. Non puoi mai sapere quali siano le sue intenzioni, non puoi fidarti di lui.”

“Rachel, tu non lo conosci. Kurt non è come si mostra a scuola.”

“Ma è questo il punto: lui, a scuola, è il capo-cheerleader, è popolare. Lo sarà sempre, Blaine, e non potrai mai cambiare questa cosa.”

Aveva ragione. Diavolo, Blaine lo sapeva benissimo, ma sentirselo dire in modo così palese era davvero estenuante.

Che cosa avrebbe potuto fare? Proprio adesso che sembrava essersi avvicinato a Kurt, ecco che la realtà gli piombava davanti, pesante come non mai. Eppure, continuava a dirsi che non importava; continuava a ripetersi che non gli interessava se Kurt non lo avrebbe salutato durante le lezioni, o non lo avesse guardato lungo i corridoi. Avrebbe preso la loro amicizia esattamente per com’era: strana, particolare; e sconosciuta, agli occhi del resto del mondo.

 

 

Il giorno dopo, paradossalmente, arrivò troppo in fretta. Né Kurt né Blaine erano veramente preparati a quello che dovevano fare: il primo perché all’improvviso non sapeva più se Blaine si sarebbe presentato o meno; il secondo perché, dopo come si erano salutati, temeva che il ragazzo avesse cambiato idea. Invece, con loro grande sorpresa, si trovarono: alle cinque in punto, sotto casa di Kurt. Blaine tenne lo sguardo fisso sul cambio fino a quando non sentì la portiera aprirsi e richiudersi poco dopo, accompagnata dal suono di una cintura e dalla voce soave del ragazzo: “Sei pronto?”

Fu allora che si decise a guardarlo: era felice, forse, perfino più di quanto desse a vedere. Il suo sorriso non accennava ad incrinarsi e le sue mani tamburellarono energicamente sul cruscotto, per poi adagiarsi dolcemente sulle gambe accavallate e fasciate perfettamente da dei pantaloni aderenti, accompagnati da una giacca semplice e sbottonata; Blaine ringraziò mentalmente il suo buon senso che aveva deciso di fargli indossare un cardigan; dopo essersi ricordato di prendere fiato, lo salutò e cercò di rilassarsi appoggiandosi completamente al sedile, con le mani che sembravano voler stritolare manubrio e sterzo.

Kurt rivolse un’occhiata sulla strada deserta e con fare autoritario dichiarò: “Prima tappa, Lima Bean.”

Oh, quello non se l’aspettava. O meglio, era una delle prime cose che Blaine aveva scartato; insomma, sembrava davvero troppo banale, per essere inserita veramente nella sua “serata perfetta”. L’unica cosa che Kurt disse a sua discolpa fu: “Te l’avevo detto, che è il mio posto preferito.”

Passarono diverso tempo dentro a quel bar. L’imbarazzo iniziale sparì quasi del tutto man mano che Blaine si accorgeva della tranquillità di Kurt, dei suoi sorrisi spontanei, e di come meccanicamente stava ripetendo a memoria tutte le recensioni dell’ultima sfilata di Giorgio Armani. Erano sempre loro, dopotutto: quella buffa situazione avvenuta la sera prima non poteva cambiare il loro rapporto, non dopo tutto quello che avevano passato.

Alla fine, Kurt iniziò a parlare anche di Harry Potter.

“Sai, penso che quel Piton non la racconti giusta.”

Per poco l’altro ragazzo non affogò nel suo caffè doppio.

“C-come dici?”

“Sì, insomma, hai capito. Continua a dire di odiare Harry Potter, e poi invece si scomoda a dargli lezioni di occlumanzia. Chi sarebbe così buono? C’è qualcosa sotto, ha un piano in mente. Non è vero?”

Come prima cosa Blaine constatò che Kurt godeva di una perspicacia notevole e decisamente fuori dal comune; come seconda cosa, sentirlo parlare in quel modo di magie ed incantesimi era…emozionante. Forse anche qualcosa di più; ma per il momento si limitò a definirlo emozionante. Così, tra un sorso e l’altro, si morse leggermente il labbro inferiore, parlando con tono vago.

“Può essere. Hai mai pensato in che casata saresti?”

La risposta arrivò senza nessuna esitazione: “Serpeverde, ovviamente.”

Ci avrebbe scommesso.

“Io ti vedo più come un grifondoro.”

“Che cosa?!”

“Sì, sei intelligente, coraggioso, e alla fine non fai mai niente che possa ferire i tuoi amici. Sei una bella persona.”

L’ultima parte, però, era uscita con un sussurro. Kurt si limitò ad arrossire, perché non voleva discutere in quel momento su quanto si fosse sbagliato, perché lui non era altro che un incredibile falso e opportunista. Non sarebbe mai stato coraggioso; in quel caso, non si sarebbe nascosto costantemente dietro ad una divisa.

“E tu dove ti vedi?”

Nemmeno Blaine ci mise molto a rispondere, forse, perché si era già posto da tempo quella domanda: “Probabilmente sarei un tassorosso.”

“Ma i tassorosso sono inutili! – sbottò lui – Tu non sei un tassorosso!”

“E dove mi metteresti?”

Non lo sapeva dire. Blaine era gentile, dolce, ma anche introverso e misterioso. Aveva dei lati estroversi ed altri lati che rimanevano all’oscuro, così come era successo il pomeriggio precedente.

“Non lo so – ammise infine – però so qual è la mia casata preferita: senza dubbio corvonero. I corvonero sono i più affascinanti.”

Corvonero.” Replicò lui, trattenendo a stento un sorriso, che non sfuggì alla sua attenzione. Quando gli chiese ulteriori spiegazioni Blaine cominciò a palargli di un sito chiamato Pottermore, creato dalla stessa autrice di Harry Potter.

“Su questo sito c’è anche lo smistamento del cappello parlante. Sai in che casata sono capitato?”

No, tutto a un tratto, non lo voleva sapere; ma Blaine lo disse comunque.

Corvonero.”

Arrossì con la stessa velocità con la quale Blaine scoppiò in una calda, piacevole, risata.

 

Dopo quello che sembrò pochissimo tempo era calata la sera; entrambi si erano raccontati aneddoti della loro vita, passando dal parlare del più e del meno fino a scoprire alcuni lati in comune. Kurt non avrebbe mai pensato che Blaine ascoltasse i suoi stessi tipi di musica, così come Blaine non avrebbe mai pensato che a Kurt piacesse così tanto il cinema. E una volta messo da parte il resto del mondo, si resero conto che stavano veramente bene, insieme.

Verso le sette e mezza i due ragazzi ritornarono alla macchina, scherzando riguardo l’ultimo film di Twilight e cercando di capire come Cedric Diggory potesse essere diventato un simile Edward Cullen. Alla fine, senza pensarci troppo Blaine mise in moto dirigendosi verso casa dell’amico, ma fu presto fermato dalla voce di Kurt, che lo avvertì di tornare indietro.

“Come scusa?”

“Devi tornare indietro, non è da quella parte.”

Si fermò lentamente, accostando ad uno spiazzo accanto alla strada. L’espressione dipinta sul volto di Kurt poteva ricollegarsi soltanto a pura soddisfazione, visto che lo aveva stupito; eccome se lo aveva stupito: Blaine sembrava non capirci più nulla ed attendeva impaziente una sua spiegazione.

“La seconda tappa. Fai inversione e continua su questa strada, dobbiamo andare dritto.”

La sua mente si riempì di domande che si affollarono tutte insieme amalgamandosi in un vortice di frasi disconnesse: “c’è una seconda tappa, è vero.” “Dove porta, questa strada?” “Kurt è contento.” “Adesso non riparto finché non me lo dice.” “Pensavo che la serata si concludesse al Lima Bean!”

“Adoro il suo sorriso.”

Agguantò il cambio, e ricominciò a guidare. Il viaggio proseguì lento, silenzioso, e l’atmosfera intorno ai due era cambiata del tutto.

 

A volte è incredibile come delle semplici cose possano farti rimanere completamente destabilizzato. Un sorriso, una parola. Altre volte, è la consapevolezza che qualcuno riesce sempre a sorprenderti, anche quando credevi di essere preparato a tutto.

Perché Blaine, nelle sue mille ipotesi, aveva certamente considerato quella del teatro. Magari, sarebbero andati a vedere uno spettacolo moderno, oppure, qualche rappresentazione classica ed immortale; contando il suo talento nel canto, era quasi sicuro che si trattasse di un musical. Per questo restò un po’ interdetto, quando il ragazzo aveva estratto un mazzo di chiavi dalla tracolla facendogli cenno di seguirlo; per questo, quando notò il posto completamente vuoto e buio, dovette fermarsi qualche secondo per focalizzare.

Kurt non disse nulla: semplicemente, si diresse verso il pannello di controllo ed azionò le luci, ma soltanto quelle di un palco di modeste dimensioni, rialzato grazie a delle scalette traballanti; poi si rivolse verso Blaine, lo prese delicatamente per un braccio e lo portò esattamente al centro, sotto ai riflettori, con nient’altro che delle quinte vuote e un indistinto buio di fronte a sé. Il sipario era calante da un lato e la botola non era perfettamente chiusa, le corde dei tagli sembravano ammuffite dal tempo e dall’usura; l’unico rumore proveniva dal pavimento – di legno, macchiato in più punti e segnato con vari scotch –, che scricchiolava ad ogni loro passo, rivelando anche qualche asse piuttosto incrinata.

Kurt diede una rapida occhiata intorno e poi si sedette a ginocchia conserte, prendendo un profondo respiro.

“Cosa dobbiamo fare?” Domandò l’altro, perché non riusciva ad avere quella sicurezza, si sentiva un pesce fuor d’acqua. Alzò lo sguardo verso di lui e gli rivolse il sorriso più semplice di sempre.

“Ascoltare.”

E lo fece. Si posizionò accanto a lui e chiuse gli occhi, lasciando che quel piccolo mondo lo invadesse; e successe veramente: fu pervaso da una tranquillità che non avrebbe mai potuto immaginare. Le spalle si rilassarono, il viso divenne più sereno, il respiro si regolò a quello del ragazzo accanto a lui e senza nemmeno farci caso si avvicinarono, spalla contro spalla.

Blaine adorava il teatro: era una dimensione magica e speciale, dove tutto diveniva realtà, anche se limitato a delle mura di cartapesta e degli oggetti finti. Visto da fuori era perfetto, divertente, come qualcosa di superiore e riservato a pochi; mascherava la sua vera natura con chili di luci, applausi, coreografie e trucco. Ma quella volta, lui stava ammirando la vera essenza del teatro: era quello. Il silenzio prima della scena, la polvere che si posava sui vestiti senza disturbare. Con quelle corde ammuffite, con quelle scenografie danneggiate, pensò che non fosse affatto perfetto come sembrava, se visto dalla superficie, ma era comunque bello, anche con quelle piccole incertezze. Lo rendevano unico.

Tutto quello gli ricordava Kurt.

Quello era il posto che aveva scelto quando voleva allontanarsi dal mondo; lo stava condividendo con lui.

Lo guardò: non si stupì di incontrare immediatamente i suoi occhi, perché, in un certo senso, se lo sentiva; in quel luogo tutto diventava prevedibile ed imprevedibile allo stesso tempo. Kurt, però, teneva lo sguardo fisso sulla piccola cicatrice situata sulla sua fronte, e si chiese da quanto tempo la stesse osservando.

“Fa male?”

Era una domanda molto più profonda. Era un "riesci a farcela?", "come riesci a sopportare tutto questo?". Era una domanda che nascondeva la supplica di rassicurarlo; aveva bisogno di sentirselo dire.

"Sì. - Rispose Blaine, perché voleva essere sincero - Ma dura solo un momento. Un giorno, al massimo, poi passa. Quando hai degli amici pronti a tirarti su di morale è molto meglio. E poi.."

"E poi?" Incalzò l’altro, ingenuamente, arrossendo appena quando lo vide sorridere ed inclinare la testa da un lato: "E poi, tu mi hai aiutato."

Blaine sentì la sua pelle sfiorata dal tocco fresco e gentile della mano di Kurt, proprio all’altezza della ferita; e non parlarono, rimasero a bearsi di quella piccola connessione fintanto che potevano. Perché si sentivano così strani? Perché erano così felici e, allo stesso tempo, pietrificati? Era colpa del teatro: il teatro amplifica le emozioni, Kurt lo sapeva bene.

"Ma figurati –disse allora - tra amici ci si intende, no?"

Amici, ripeté meccanicamente una parte della sua mente. Era una bella parola, confortante; eppure, nel momento in cui la pronunciarono lasciò ad entrambi un retrogusto amaro. Loro erano amici. Cari amici, forse, ma niente di più. Blaine non lo guardava in modo diverso; Blaine era gentile con tutti, e Kurt non poteva provare qualcosa per lui. Era il suo compagno di studi, l’unico amico che poteva chiamare come tale; al massimo, poteva essere il suo migliore amico e… e basta. Non potevano compromettere quel sottilissimo equilibrio che si era creato, era ancora troppo fragile.

E poi, all’improvviso, Blaine spezzò qualcosa nel momento in cui gli fece una proposta. “Canta qualcosa.”

No, quello, decisamente, era inaspettato; Kurt balbettò qualche parola sconnessa prima di arrossire del tutto, colto completamente alla sprovvista. Eppure, lui sembrava veramente intenzionato a sentirlo cantare, anche se fosse stata la sigla di una pubblicità di lemon soda. Forse, voleva soltanto sentire il suono della sua voce, e come esso venisse riprodotto in quel miscuglio di quinte e poltrone di platea, perché, dopotutto Kurt cantava di fronte a centinaia di persone quasi tutti i giorni, quindi non aveva motivo di sentirsi imbarazzato in mezzo ad un teatro vuoto. No?

Ma non era vuoto: c’era Blaine; c’era solo Blaine, ed era quello che lo terrorizzava.

“Che cosa dovrei cantare?”

“Qualunque cosa. Una canzone che conosci bene.”

Una canzone che ti va di fare, pensò automaticamente Kurt, e ce n’era solo una. Si alzò in piedi, rassettandosi al meglio che poté giacca e pantaloni, e dopo di quello camminò su e giù per il palco, sfiorando il legno massiccio delle travi, assaporando lentamente quel silenzio che fungeva da richiamo.

Blaine non credeva che potesse provare qualcosa di più forte di quando lo aveva sentito cantare in palestra, qualche settimana prima; eppure, dovette ricredersi. Perché la voce di Kurt adesso era amplificata e svincolata da qualsiasi altro suono, ed attraversava i muri, gli spalti, s’insinuava tra le tende del sipario giungendo fino al suo cuore, e lo riscaldava.

E quella era una canzone del Moulin Rouge: la canzone di Satine, che parlava di sogni, speranze, di come un giorno sarebbe volata via da quel posto, così sbagliato, per una persona piena di talento e vita. E, per un momento, Kurt si commosse: perché i musical esprimevano con musica ciò che non riusciva a dire a parole; perché in quel momento più che mai desiderò poter essere se stesso per sempre, senza paure e timori; infine, perché Blaine lo stava guardando intensamente, come incantato. Si ritrovò contro la sua volontà ad accompagnarlo nella canzone, eseguendo con trasporto la frase di Christian.

How wonderful life is now you’re in the world.

"Non mi avevi detto che cantavi."

Si fermò di scatto; adesso il suo amico era a pochi passi da lui; non sembrava offeso.

"Non me l'hai mai chiesto."

"Ci voleva un invito ufficiale per saperlo?"

Poté intuire una sorta di euforia nella sua voce, uno sprazzo di gioia, leggerezza, come se avesse appena toccato un tasto molto delicato quanto importante.

"N-no...è solo che...ti interessa davvero?"

"Fammi sentire."

"Come?"

"Voglio sentirti cantare. Per favore."

Riprese di nuovo quella frase, stavolta, con più timidezza, mentre la sua voce scivolò da un posto all’altro; faceva venire i brividi. Era imperfetta, forse, perché Blaine non aveva mai preso serie lezioni di canto, oppure, per via dell’agitazione, eppure, a Kurt sembrò tutto ciò di cui aveva bisogno: sembrò l’ennesima prova di quanto fossero inspiegabilmente legati, così come le loro voci, nel momento in cui si fusero insieme, in un’unica semplice armonia. Fecero il primo duetto di tutta la loro vita. Non seppero come, ma cantarono. E una volta terminato quella sorta di improvvisazione si ritrovarono l’uno di fronte all’altro, i loro sguardi emozionati ed intrecciati. Era piombato di nuovo il silenzio, in quel piccolo teatro di Lima, ma nell’aria echeggiava comunque un’orchestra formata dai respiri spezzati e dai battiti dei loro cuori. Sarebbe potuto crollare il mondo e non si sarebbero accorti di nulla.

“Non lo avevo mai fatto prima d’ora.”

“Nemmeno io”, ammise Kurt, ed entrambi si sentirono un po’ più risollevati per quella confessione. Sorridevano, perché sembrava impossibile assumere qualsiasi altra espressione; per quanto ci provassero, i loro corpi non accennavano a muoversi.

“La canzone… -mormorò Blaine - voglio dire, lo pensi sul serio?”

Era inutile mentire: “Sì. Non sopporto di stare qui; non sopporto di essere costretto a trattare in modo freddo tutti quanti ed indossare la stessa cosa per ogni giorno della settimana. Non sopporto di fare diete a stecchetto e di blaterare su gossip e fidanzatini, vorrei soltanto… non so, uscire allo scoperto, credo. Essere me stesso. Ma non posso.”

“Perché?”

“Perché ho paura, Blaine. Paura di soffrire come all’inizio. Paura di essere di nuovo chiuso in un bagno chimico, o in un armadietto, o dentro al cassonetto della spazzatura; paura di ricevere spintoni, occhiate e prese in giro da persone a cui non ho fatto assolutamente niente. Mi sono bastati i primi mesi di liceo, per quello, non voglio più ripetere quell’orribile esperienza.”

Incredibilmente, lo stava fissando in modo serio. Come se fosse stato colpito da quelle parole; come se le conoscesse bene, fino in fondo.

“Per questo sei entrato nei Cheerios?”

Annuì: “la coach Sylvester, la mia popolarità e sì, anche il mio atteggiamento, sono la mia protezione.”

“Lo so.” Commentò con dolcezza Blaine, e lui non disse niente; lo vide toccarsi la cicatrice sul volto – non ancora rimarginata del tutto – e abbozzare una smorfia.

“Non sono caduto, sono stato spinto contro la ghiaia dai giocatori di Hockey.”

Stavolta, fu Kurt, con voce tenue, a sussurrare “lo so. Mi dispiace.”

“Non fa niente. Ci sono abituato.”

“Come puoi essere abituato a tutto questo, Blaine? Com’è possibile che tu lo accetti?”

“Non lo accetto, ma da quando ho fatto coming out ho deciso di non nascondermi più, nel bene o nel male. E’ quello che sono.”

“Non è giusto.” Bisbigliò Kurt; sentì i suoi occhi pungere terribilmente, bruciare dal desiderio di sfogarsi e piangere. E Blaine lo notò: si avvicinò a lui, e lo avvolse teneramente tra le sue braccia; il ragazzo esitò soltanto per un secondo a quel contatto, intorpidito, ma subito dopo sentì il suo corpo cedere completamente ed avvinghiarsi a lui come se fosse l’unica ancora di salvezza. Pianse. Finalmente, pianse di fronte ad un’altra persona; si mostrò vulnerabile e, allo stesso tempo, profondamente sollevato, non appena sentì il soffice tocco di Blaine accarezzargli i capelli e la schiena, sussurrandogli parole troppo basse per essere udite. Ma non importava: il suono della sua voce era tutto ciò che serviva per farlo sentire al sicuro.

 

 

***
Angolo di Fra:

la canzone che canta Kurt è questa, spero che si capisca dal testo ( non mi andava di mettere le lyrics) : http://www.youtube.com/watch?v=4N7VK7vHwnw&feature=fvwrel
C'è anche la frase di Blaine/Christien. Il duetto ho immaginato che cantassero la stessa cosa, solo in armonia a due voci. Come nel musical , insomma.

E per il resto...scusate se ho pubblicato così tardi. Non ho avuto una bella settimana. Spero di non aver deluso nessuno con la Kurt-serata. Mi piacerebbe sapere cosa vi aspettavate e cosa non!

Grazie mille a tutti.


PS: adesso posso ufficialmente consigliarvi di ossservare con attenzione i titoli di tutti i singoli capitoli...per chi non avesse afferrato, vi rimando alla mia pagina di facebook, dove metterò uno screen.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 12
*** Going Under ***


Capitolo 12
Going under




 

 
Una delle parti più emozionanti e stressanti della vita di un adolescente con poche altre emozioni sono, di sicuro, i countdown.
Per questo Kurt aveva segnato nella sua agenda ogni singolo giorno che lo separava dal compito in classe, cerchiando la data fatidica, e barrando in rosso i giorni antecedenti ad essa: mancavano tre giorni. A Kurt non era passata nemmeno una settimana da quando aveva ricevuto quell’assurda minaccia della Sylvester, eppure, eccolo lì, a un mese di distanza, con l’integratore dei Cheerios in mano e il libro di analisi nell’altra; la sua vita ormai era divisa tra studio e sport, sport e studio, intervallata ogni tanto da qualche intervento di Blaine o Mercedes; proprio quest’ultima, in quei giorni, continuava a portargli cibo sottratto dalla mensa, nella speranza che si riprendesse; eppure, ad ogni ora che avanzava lui sembrava sempre più spossato. All’alba della prima ora del terzultimo giorno delle profonde occhiaie violacee gli scavavano il viso pallido e il suo corpo allenato completamente sfinito si accasciò inerme contro il banco di informatica, felice di potersi coprire con lo schermo del pc e godersi qualche ora di sano riposo.
“Kurt – esordì l’amica – da quanto tempo è che non ti fai una dormita decente?”
Rialzò appena la testa, assumendo un’espressione pensierosa: “non lo so. Giorni. Mesi. Che importanza ha. Tanto tra tre giorni sarà tutto finito.”
“Tu di sicuro. Non hai un bell’aspetto, sai?”
“Non uso le mie creme da settantasei ore, sono quasi sicuro che si siano fossilizzate.”
Mercedes, dopo un sonoro sospiro, tentò di svegliare l’amico e convincerlo che sarebbe andato tutto bene, ma alla seconda frase si era già appisolato. Da brava amica, si limitò a coprirlo con la professoressa svolgendo l’esercizio anche dalla sua postazione, così da non destare sospetti; in cuor suo, quando lo vide sobbalzare svegliato dall’improvviso suono della campanella, rimase indecisa se scoppiare a ridere oppure preoccuparsi seriamente per la sua salute, soprattutto perché, nel primo pomeriggio, ci sarebbero stati gli allenamenti. Non c’erano niente di meglio di due ore intensive di Sue Sylvester, per distruggerlo completamente; continuava a saltare, ballare e cantare, con i muscoli che facevano una cosa ed il cervello che valutava se i materassini usati dagli stunt-men fossero abbastanza soffici da poterci dormire sopra. Per la prima volta in tutta la sua vita ringraziò di non essere il protagonista di quel numero e fu ben felice di lasciare le redini a Santana e Brittany, che sembravano più affiatate che mai mentre eseguivano un passo a due e qualche armonia di una nuova cover; la coach non lo importunò più del solito e perfino le altre cheerleader, sotto saggio consiglio di Mercedes, gli stettero alla larga, permettendogli così di arrivare alla fine della giornata completamente stanco e stravolto, ma non distrutto: con uno strano ronzio nella testa dovuto alla stanchezza si trascinò verso le docce, e una parte di sé desiderò rimanere sotto al getto dell’acqua calda per sempre, cullato dal vapore e dal profumo di menta del suo bagnoschiuma; ma poi, si ricordò che presto lo avrebbero raggiunto anche gli altri ragazzi del gruppo, oltre che a giocatori di hockey e football, e bastò soltanto quel pensiero a destarlo quasi del tutto e farlo vestire in fretta: indossò un paio di jeans ed una maglietta preparati la mattina stessa in previsione dell’allenamento, si asciugò i capelli meglio che poté e poi, finalmente, fu libero di dirigersi fuori dalla scuola, ignorando la pioggia scrosciante che gli bagnava i capelli ancora umidi e con la felicità di avere la sua adorata macchina monovolume pronta ad attenderlo.
Non era un amante dei motori come suo padre, ma doveva ammettere che la comodità e l’intimità provata dentro a quell’automobile erano delle sensazioni alquanto confortanti: era un posto sicuro, un posto in cui si sbizzarriva nelle più difficili esibizioni canore, anche quelle che non avrebbe mai potuto fare con i Cheerios - sia perché non erano nel loro repertorio, sia perché, probabilmente, la Sylvester lo avrebbe denunciato prima di riuscire nell’intento-. Perfino con la resistenza a pezzi, non appena appoggiatosi allo schienale di pelle, si sentì subito meglio e si soffermò ad osservare le goccioline che lambivano il parabrezza. In mezzo a tutta quella calma, cullato unicamente dalla pioggia, senza nemmeno rendersene conto scivolò lentamente sul sedile cadendo in un sonno piuttosto profondo, mentre il tempo, lentamente, scorreva, e i minuti del pomeriggio passavano.
Quando la pioggia era diventata soltanto un disturbo leggero e gli ultimi club avevano terminato le lezioni, Blaine rimase un po’ interdetto nel trovare l’auto di Kurt parcheggiata ancora lì, in mezzo ad una piazzola semi deserta, accanto a lui, soltanto qualche auto di professori ritardatari o studenti che si erano fermati in biblioteca. Incredibile come, tutto ad un tratto, si ritrovò a ringraziare quel computer rotto che lo aveva inchiodato alla sedia dell’aula di informatica per più di un’ora. Si avvicinò piano, individuando una figura appoggiata contro lo schienale con la testa leggermente inclinata da un lato, la bocca socchiusa, il petto che ondeggiava mosso da profondi respiri ed un’aria stanca dipinta sul volto. Blaine pensò che fosse bellissimo, perfino con occhiaie e spossatezza, e per un attimo non si stupì di trovarlo crollato dentro all’automobile, dal momento che facevano le due di notte da giorni, ormai, tra incontri, caffè dello studente, chiamate al telefono, ripetizioni e mms con esercizi svolti, in più, probabilmente, lui aveva continuato a studiare fino ad alba inoltrata; fu solo dopo aver passato una decina di minuti a memorizzare ogni dettaglio del suo viso, imprigionandolo nella sua mente, senza farne parola a nessuno, che si decise a fare qualcosa per svegliarlo: cominciò a digitare dei tasti sul suo cellulare, e qualche secondo dopo vide il ragazzo ridestarsi e la tasca della sua tracolla illuminarsi nella parte inferiore. Si sfregò gli occhi un paio di volte, poi controllò l’orologio, fece una faccia orripilata e si apprestò immediatamente a rispondere alla telefonata, ipotizzando che fosse Finn, Carole, o peggio, suo padre, che gli chiedeva dove diavolo fosse finito –anche se, probabilmente, non era ancora tornato a casa, ma quel pensiero non gli passò per la mente -. Non fece nemmeno in tempo a rispondere che cominciò a dire: “sì lo so mi dispiace sono le cinque e io sono ancora a scuola e sono pessimo non dovevo addormentarmi so che faccio sempre troppo e-“
“Kurt?”
E, a quel punto, si fermò, di colpo. Perché la buona notizia era che non si trattava di suo padre, cosa che, in effetti, era alquanto ovvia; la cattiva, invece, era comparsa dritta davanti ai suoi occhi non appena si era girato notando una testa piena di riccioli intenta a salutarlo sorridendogli con simpatia. A parte l’essere stato colto in flagrante e il suo aspetto pessimo – dopotutto, lo vedeva quotidianamente alle prese con la matematica, quindi, in condizioni decisamente peggiori – si sentì leggermente in imbarazzo perché era da qualche giorno, ormai, che non riusciva a togliersi dalla mente l’immagine di lui che si gettava tra le braccia di Blaine inondandolo di lacrime; al solo pensiero, una scossa elettrica lo attraversò interamente facendolo rabbrividire e Blaine, notando l’assenza di qualsiasi risposta, verso, o frase, assottigliò lo sguardo e chiese: “tutto bene? Scusa se ti ho svegliato, ma credo che-”
“Non stavo dormendo. Mi…mi stavo soltanto riposando gli occhi.”
“Ah – commentò lui – beh, dovresti, invece. Hai un’aria terribile.”
“Molto, molto gentile. Ti prego non farmi tutti questi complimenti o potrei arrossire.”
Scoppiò in una risata, e Kurt, in risposta, alzò il mento verso l’alto guardando da un’altra parte. Qualche secondo più tardi, Blaine picchiettò contro il vetro della portiera per attirare nuovamente la sua attenzione: “Allora, togli la sicura alla macchina oppure devo scassinare la portiera per entrare?”
Il Cheerio esitò soltanto un secondo prima di avvicinarsi al finestrino appannato e domandare il motivo di quel tentativo di atto vandalico; Blaine lo imitò, e adesso i loro visi erano ad una spanna di distanza l’uno dall’altro, entrambi che stringevano i rispettivi telefoni in mano, separati soltanto da quel vetro che Kurt, tutto ad un tratto, cominciò ad odiare profondamente. Alla fine, con tono dolce, scontato, semplicemente disarmante, si sentì sussurrare: “perché ti devo portare al Lima Bean, ricordi? Un caffè al giorno per una settimana. Dopo l’altra sera hai stra-vinto la scommessa.”
E, per quanto si sentisse orgoglioso di sé e un pochino, non riuscì ad evitare il rossore delle guance che inondarono il suo sorriso, così come lo scatto repentino della sua mano che afferrò le chiavi della macchina per togliere l’allarme.
 


Di nuovo, il Lima Bean. Era diventato una sorta di rituale: sedersi ad un tavolino appartato, ordinare i loro caffè e conversare di tutto quello che volevano senza timore alcuno; inoltre, da quando si erano confidati reciprocamente le loro verità, era come se la loro amicizia avesse fatto un altro, gigantesco, passo in avanti, perché adesso non conversavano soltanto, ma ridevano, scherzavano, si prendevano in giro e Blaine non si offendeva quando Kurt cominciava a commentare tutti i suoi giochi assurdi, così come quest’ultimo cercò inutilmente di proteggersi dal suo tentativo malsano di misurare con la goniometria l’ampiezza delle sue occhiaie; perché, in fin dei conti, non c’era proprio niente che non si erano detti. Perché Kurt osservò colui che poteva definire il suo migliore amico, e si sentì incredibilmente fortunato.
E poi, interrompendo il suo momento di gloria relativo ad un’impresa epica – a detta sua – fatta giocando a Metal Gear Solid 4, abbassò la tazza del suo caffè, e guardò Blaine dritto negli occhi.
"Sai, credo che ti porterò a fare shopping."
E no, non era una domanda, ma lui sperò comunque che lo fosse: deglutì rumorosamente evitando di sputare tutto il suo caffè macchiato, mentre il ricordo di Solid Snake si allontanava da lui puntando il dito e ridendogli contro. Non diceva sul serio.
“Dici sul serio?”
“Certo, –puntualizzò l’altro, con calma e fermezza - devi valorizzarti di più, Blaine.”
“Ma io sto benissimo così…”
“I cravattini sono adorabili, ma sai, esistono altri capi oltre che alle camicie e ai pantaloni lunghi fino alla caviglia.”
“Mi piacciono i cravattini!”
“Si può sapere qual è il tuo problema con lo shopping? Hai un’allergia agli sconti del cinquanta per cento oppure sei sulla lista nera di qualche buttafuori perché gli hai dato del golem?”
Deglutì più volte, sviando lo sguardo verso il tavolino divenuto molto interessante.
“…Per quanto apprezzi la citazione nerd… no, non è niente di tutto questo. E’ solo che non mi piace fare shopping.”
Blaine giurò di non aver mai visto degli occhi così azzurri spalancarsi così rapidamente.
“Stai scherzando.” Sibilò, con un sopracciglio inarcato e la mascella serrata.
“No, io-“
“Prendi le tue cose.”
“Dove andiamo?” Vide Kurt alzarsi in piedi ed indossare il trench con professionalità e cinismo, poi, rivolergli un’ultima occhiata gelida e si avvicinò, prendendogli il caffè dalle mani, e dichiarando: “andiamo da GAP.”
 
Il problema non era proprio lo shopping: Blaine aveva sempre apprezzato vestiti fatti bene, specialmente se addosso a bei ragazzi come tutti quei modelli delle riviste; eppure, non aveva mai pensato che fosse qualcosa che potesse riguardare lui. Semplicemente, lo considerava un mondo a sé, distaccato, dove potevi entrarci soltanto tramite raccomandata oppure un corso di preparazione; non sapeva granché di moda, e la metà delle marche le aveva conosciute per merito di Kurt. Fu proprio quest’ultimo a spingerlo dentro al negozio, conducendolo nella zona uomo, cominciando con velocità e meccanicità da operaio di una catena di montaggio a selezionare sciarpe, felpe, maglioni e magliette tutte da rifilare a Blaine. Era sempre stato curioso di vedere Kurt alle prese con gli abiti, gli Warblers si erano chiesti più volte dove ottenesse gran parte del suo guardaroba; ecco, adesso che aveva avuto occasione di saperlo, si domandò se sarebbe mai sopravvissuto per poterlo raccontare.
“Va bene – fece lui, qualche minuto dopo – tu provati questi, io intanto ti cerco gli altri.”
Tra un mucchio e l’altro che teneva in mano, riuscì a scorgere la fronte di Kurt, così si lasciò guidare per l’ennesima volta – sembrava un burattino rassegnato – e finì dentro ad uno dei camerini, con i commessi che fissavano la sua montagna di capi con un misto di pietà ed adorazione, e Kurt si sedette su un divanetto poco distante, a gambe incrociate, le mani congiunte sopra le ginocchia e l’espressione paziente e attenta. Perché per lui era impossibile: Blaine era gay, era intelligente, non era assolutamente concepibile che non amasse lo shopping. Forse, non aveva mai trovato la compagnia giusta con cui farlo: lo shopping andava fatto con gli amici proprio per criticare le taglie minuscole quando dei pantaloni stavano troppo stretti oppure riempire di complimenti se qualcosa risultava perfetto ed affascinante. Era una sorta di arte, con dei riti e delle certezze, e lui doveva soltanto prenderne atto, perché non gli mancava niente.
In effetti, non gli mancava nemmeno un fisico da schianto, visto che immobilizzò tutti non appena uscito dalla stanzina con i suoi pantaloni aderenti e la giacca in tessuto di cotone; lo scollo a v della maglietta esaltava la sua pelle olivastra e i pettorali appena accennati, mentre i suoi fianchi, fasciati in dei jeans scuri, rivelarono che, insomma, Blaine aveva un fondoschiena eccezionale. Kurt lo aveva sempre saputo – anche se, forse, mai con quella certezza -, ma fino ad allora si era sempre rifiutato di ammetterlo. Adesso, non si sentiva davvero in grado di negare l’evidenza. Non riuscì nemmeno a sentire l’inizio della sua frase, troppo concentrato a chiedersi chi fosse e sì, anche a fissarlo completamente incantato, tanto che fu costretto a chiedergli di ripetere.
“Non credi che sia troppo…?”
“Troppo?” Incalzò, dopo qualche colpo di tosse per via della gola secca. Perché lui aveva tantissime idee per quel troppo, e nessuna di quelle conteneva un’accezione puramente negativa.
“Non so – riprese lui, stringendosi nelle spalle – troppo e basta, credo. Mi sento come se dovessi andare al ballo della scuola.”
“Blaine, hai dei jeans ed una giacca di cotone, questo non è un outfit da ballo della scuola. E comunque, stai molto bene.”
“Davvero?”
“Sì.” Affermò, ma con sua grande sorpresa scoprì di essere stato imitato da qualcun altro: il commesso che lo aveva aiutato con la scelta e la disposizione dei vestiti si era fatto avanti, con un sorriso a trentadue denti, i suoi capelli biondi lunghi e fluenti e quelle mechès che a Kurt sembrarono più false di una pessima imitazione di Prada svenduta da qualche venditore abusivo.
Beh, non avevano bisogno del suo parere.
Blaine ringraziò sottovoce, arrossendo appena e rivolgendogli uno sguardo lusingato e intimidito, uno di quelli che Kurt adorava, perché erano semplici e sinceri, e che in quel momento si ritrovò ad odiare profondamente perché quel ragazzo impertinente pensò che fosse rivolti a lui.
“Non c’è problema.”
Sì che c’era un problema. Quella era la sua giornata shopping con Blaine. Che diavolo voleva quel tizio?! E poi, subito dopo, si stupì delle sue stesse affermazioni: perchè, insomma, sembrava che fosse geloso. Ma non era geloso. Dopotutto, non poteva esserlo. Era geloso?
“Avete bisogno di altro?” Aggiunse poco dopo, e fu allora che Kurt si alzò in piedi avvicinandosi istintivamente a Blaine, assumendo l’espressione più deliziosa del suo repertorio e ringraziandolo serafico prima di afferrare Blaine per un braccio e portarlo via da lui. L’amico, onestamente, non capì; ma si era abituato alle mosse imprevedibili alla Hummel, così rientrò nel camerino mezzo divertito e non disse niente.
Il capo dopo, se possibile, era ancora più mozzafiato; e Kurt cominciò seriamente a pensare che non erano gli abiti a essere stupefacenti, ma, forse, il ragazzo che li aveva addosso; pensò la stessa cosa anche quel commesso carino: si avvicinò a Blaine, rassettandogli la cravatta, sfoggiando un sorriso assolutamente ambiguo, e il ragazzo in risposta continuava a guardarsi chiedendosi se stesse bene. Cominciava a divertirgli, quella cosa dello shopping; non gli piaceva essere al centro dell’attenzione, ma gli piaceva ricevere quelle di Kurt. Di certo non dubitò di quelle del commesso, dal momento in cui stava soltanto facendo il suo lavoro, anche se con più perizia, anche se stava tralasciando decine di clienti soltanto per elencargli la differenza che assumevano i suoi fianchi con dei jeans a sigaretta rispetto a dei pantaloni a cinque tasche. E poi, tutto ad un tratto, Blaine cercò con lo sguardo Kurt, ma non lo vide da nessuna parte.
 
“Dov’eri finito?”
Kurt si ritrovò il proprio migliore amico a una decina di centimetri di distanza, con quattro o cinque cravatte allentate intorno al suo collo e cartellini che fuoriuscivano da tutte le parti; borbottò qualcosa di vago e poi riprese a scorrere la fila di foulard della nuova collezione primaverile, appoggiandone qualcuno sul braccio già pieno. Blaine, allora, spostò il peso da una scarpa nuova all’altra allargando leggermente le braccia con fare confuso: “Non dovevi illuminarmi sulla bellezza del fare shopping?”
“Non mi sembrava che avessi bisogno del mio aiuto.”
“Ma che stai dicendo?”
Di nuovo, non ottenne nessuna risposta chiara. Era arrabbiato; no, forse, era deluso. Blaine continuava a non capire e Kurt non faceva niente per rendergli tutto più chiaro. Lui voleva soltanto passare del tempo insieme, scherzare come facevano sempre, comprare un paio di cose e poi tornare a casa con il ricordo di quella bellissima giornata e la consapevolezza di un sorriso radioso stampato sulle labbra, pressoché indelebile.
Così, prendendolo delicatamente per un polso, lo guardò un’altra volta prima di dire: “ti ricordo che ho scambiato un cappellino per un volante. (*) Non è saggio lasciarmi da solo.”
E Kurt, lui, non riuscì a trattenersi dal ridere. Perché desiderava passare il resto della giornata con lui più di ogni altra cosa; così, con rinnovata convinzione ricominciarono a selezionare capi e a scartarne altri, e perfino Blaine si mise d’impegno esprimendo le proprie opinioni personali – opinioni che, prontamente, venivano affettuosamente declinate da Kurt, perché mai e poi mai avrebbe ascoltato i consigli di un ragazzo che non usava i calzini-.
 


“E’ il tuo fidanzato?”
Quel commesso odioso ma tanto carino gli aveva fatto esattamente quella domanda. Aveva scelto anche il momento migliore, dal momento che Blaine era alle prese con il suo outfit finale, e c’era un gruppo di abiti già provati appoggiati alla cassa e pronti per il pagamento; quindi, oltre ad essere melenso, era anche un affarista. E Kurt volle così tanto dirgli che sì, stavano insieme, e che lui poteva anche mettersi l’anima in pace, e che quei capelli non andavano di moda dagli anni ottanta, eppure, dopo secondi di pausa e tensione crescente, disse soltanto una parola: l’unica che fosse vera e, tuttavia, piuttosto amara.
“No.”
Non si stupì di vedere quel biondino sorridere, stavolta, con fare più minaccioso.
“Perfetto allora. Grazie dell’info.”
Non si sprecò a dirgli “prego”. Non evitò di guardarlo arrivare da Blaine e parlargli di chissà che cosa, mentre il volto del ragazzo, lentamente, passava da sereno ad imbarazzato. Perchè lui non stava con Blaine, non erano altro che ottimi amici. Perché Blaine era bellissimo, dolce ed intelligente, e non si stupiva del fatto che ricevesse attenzioni da parte di qualcuno. Perché lui aveva scelto i Cheerios, ed era giusto così: era giusto che sentisse quella fitta allo stomaco, amara e dolorosa.
 


Kurt non voleva farlo. Non aveva assolutamente nessun di ritto di farlo; il viaggio silenzioso e vago poteva renderlo chiaro a sufficienza, eppure, quando la macchina arrivò davanti casa di Blaine, e lui fece per allacciarsi la cintura ed uscire, le parole fuoriuscirono prima che potesse impedirlo, e il suo corpo lo cercò stringendo una sua mano.
“Ti ha chiesto di uscire, non è vero?”
Blaine rimase di nuovo in silenzio, intervallato soltanto dal picchiettio delle gocce di pioggia tutte intorno a loro.
“Il commesso – incalzò allora lui – quel ragazzo, ci ha provato con te, non è così?”
Dopo qualche secondo di attesa, finalmente, il suo sguardo si abbassò e con un cenno della testa disse di sì. Ed era ovvio, quel ragazzo era stato abbastanza esplicito e palese, perfino per lui. Tuttavia, il suo cuore aveva perso lo stesso qualche battito per la strada, perché adesso non erano più soltanto dei timori nella sua testa. No, non timori: dubbi. Supposizioni. Semplici pensieri. Niente di negativo: quel ragazzo era carino, sembrava disponibile. Le stesse cose le ripeté a Blaine, con voce un po’ più alta di quel sussurro presente nella sua testa. Blaine, sospirando, si mise di nuovo composto sul sedile della macchina. Kurt lo vedeva combattuto per qualcosa, ma ipotizzò che si trattasse soltanto di accettare il suo invito oppure no. Non poteva esserci qualche altro testo nascosto, loro erano solo amici.
“Secondo te devo uscirci?”
Non era giusto. Non poteva fargli quella domanda. Non poteva chiedere un parere a lui, tra tutte le persone esistenti sulla faccia della terra. Kurt si sentì mancare il fiato mentre i muscoli delle mani si irrigidivano contro il cambio ed il volante.
“Perché lo chiedi a me?” proferì, vago. Era sempre stato un ottimo attore. Ma Blaine lo conosceva, sapeva benissimo come evitare raggiri alla sua domanda, e infatti dopo nemmeno un secondo rispose: “dimmelo tu, Kurt. Ci esco oppure no?”
Infine, con le sue lunghe ciglia nere, si sporse di più verso di lui, lo fissò. I loro occhi non erano mai stati incatenati come allora. Era come quel mattino a scuola, quando si erano visti ai lati opposti del corridoio, con il resto del mondo che lentamente si fermava. Non c’erano spiegazioni a quelle parole, soltanto lunghi ed intensi sguardi dentro ai quali erano tutti lì, i loro ricordi; come dipinti in quel quadro di verde, blu, azzurro, dorato; come un libro scritto senza le parole, ma che sapevano recitare a memoria. Nessuno dei due aveva più la voglia di lasciare andare l’altro, tuttavia, non sapevano come fare ad impedirlo. Ed ecco che il sottilissimo equilibrio sul quale situavano i loro cuori si inclinò pericolosamente, un’altra volta: quello di Kurt, alla domanda di Blaine, urlava no. Ma la mente, la paura, la divisa appallottolata nella sua borsa, gli fecero dire di sì.
Non pensò nemmeno di aver parlato ad alta voce fino a quando non vide il viso di Blaine rabbuiarsi ed abbozzare una minuscola ed impassibile smorfia. Non era mai stato bravo a camuffare i sentimenti, non quanto lui.
“Va bene, allora.”
Ti prego, non lo dire.
“Uscirò con quel ragazzo.”
“…Ok.”

Non si concesse altro. Un semplice commento, un respiro spezzato a metà. Perché era giusto così; Kurt continuava a ripeterselo più e più volte. Perché non era forte, coraggioso, intelligente e unico come Blaine. Perché una minuscola parte del suo essere, in quel preciso istante, pensò di meritarsi quel dolore, che continuava a ricordargli la strada che aveva scelto.
Blaine cercò qualche traccia nel suo volto immacolato, ma aveva già indossato la sua maschera invisibile, e con quella, gli era impossibile incontrarlo, nonostante fisicamente fossero a meno di un metro di distanza.
Quindi, semplicemente, lo salutò, e si coprì con le buste di GAP, cercando di evitare la pioggia che lo accolse mentre si affrettava ad entrare in casa. E non era scrosciante o fitta, ma silenziosa e sottile: non era fastidiosa, ma dolce e melodiosa. E quando la portiera si richiuse con un tonfo leggero, il corpo di Kurt fu scosso da un tremito, e le lacrime finalmente cominciarono a perforare i suoi occhi grigi.
Sembrava pioggia, perché il suo viso era diventato pietra.
 
 
 ***

Angolo di Fra

(*) Capitolo 5, alla voce "cloche".

Allora, questo capitolo non è betato e so che è una grande svolta per la storia, spero che 11 capitoli di sguardi, amicizia e intesa servano a rendere coerente ciò che ho fatto in questo. Non vi preoccupate! Il commesso mechato andrà via molto, MOLTO presto (qualcuno ha detto Jeremiah)? Sappiamo tutti che Blaine è impulsivo e se innervosito dice cose che non pensa. O che non farà.
In caso contrario, siete liberissimi di dirmelo, anche perchè io sono la prima ad avere dei dubbi. Aggiungiamoci il fatto che non è betato e non stupitevi se domani non vi ritrovate più il capitolo pubblicato, sarei capace di cancellarlo stanotte presa da un atto di sconforto.
Ad ogni modo GRAZIE per essere stati in così tanti a recensire lo scorso capitolo. Avete battuto ogni record, e quando dico ogni, intendo, di qualsiasi storia da me mai pubblicata.

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Capitolo 13
*** Read my mind ***


Capitolo 13

 

 Read my mind






 

Mentre Kurt osservava la cattedra immobile tutto ciò a cui riusciva a pensare era “ecco, ci siamo”, perché quello era il momento in cui tutte le risposte avrebbero avuto un fine; probabilmente sarebbe stato meglio fare qualche ora di sonno in più la scorsa notte, ma ormai, il momento era giunto, la campanella suonata, i ragazzi che si affollavano controvoglia nel ritirare i propri fogli e lui era pronto. Sì, dai, era pronto. Un mese di lezioni no-stop sarebbero pur servite a qualcosa, no? Una volta giunto –non seppe nemmeno come – di fronte alla professoressa, con il suo volto aquilino lo squadrò da capo a piedi, abbozzando a malapena un ghigno.
“Oh, Hummel.” Sputò quel nome come se fosse veleno. “Ti aspettavo.”
Chissà come mai, Kurt si immaginò una parentesi con: “ti aspettavo al varco.”
“Questo compito segnerà la tua presenza nei Cheerios, non è vero?”
Tutto d’un tratto, si fece più fiero e sicuro di sé. “Oh, è solo una formalità. In verità la coach non può resistere senza di me.”
Non era vero, ma lei che ne poteva sapere? Giusto il giorno prima la Sylvester gli aveva raccomandato di non fare casini per quel compito. E giusto per rincalzare la dose Santana aveva aggiunto “ti vedo fiacco, Hummel; da quando hai preso a studiare con quel nerd sembri un rammollito”, e lui per un secondo pensò anche di doversi scusare perché sì, era vero che dormiva quattro ore a notte e sì, non aveva mai studiato così tanto in vita sua per un compito che avrebbe completamente segnato la sua salvezza in quella scuola; ma mai, mai e poi mai si sarebbe scusato per il tempo passato con Blaine. Tuttavia, non disse nessuna di quelle cose. Si limitò al silenzio, cosa sicuramente inaspettata per uno come lui; forse, almeno in parte, era vero che il suo atteggiamento acido si fosse indebolito, ma preferì non farne un problema.
Perché adesso, esattamente davanti ai suoi occhi, aveva di fronte a sé un problema molto, ma molto più grande, formato da numeri e formule, parentesi graffe e matrici scoordinate, e sopra, tutto trionfante e pomposo nel suo maldetto grassetto, una semplice data: “21 Marzo 2012”. Altro che 21 Dicembre.
Ognuno, lentamente, come se fosse una piccola processione, cominciò a prendere le proprie posizioni di guerra: gli studenti erano alle trincee con i loro banchi logorati, e l’insegnante al suo carrarmato-cattedra, con gli occhiali allentati sul naso e lo sguardo superbo.
“Questo compito è un po’ più difficile, va da sé che abbia deciso di vedere le vostre qualità.”
Ovviamente, sottolineò Kurt nella sua mente, non appena gli venne rivolta un’occhiata furtiva; di sicuro lui aveva visto la sua, di qualità: quella di essere una grande stronza. Talmente stronza che ad una gara di stronzi sarebbe arrivata per seconda. Sbattè la fronte contro il foglio in preda ad una crisi di nervi.
“Avete tutti il compito?”
Forse era ancora in tempo per fingere un attacco alieno e fuggire dalla classe.
“Bene, potete cominciare.”
O forse no.
Bene, magari, poteva contare sull’aiuto di qualche compagno di classe?
“Hei, hei, Cindy.” La Cheerio alla sua sinistra si girò, con il suo lucidalabbra di Rebecca Black, il diario di Twilight nelle sue mani dalle unghie lunghissime e glitterate e l’aria, molto, molto sveglia; ma lui era il fantastico Kurt Hummel, e da un po’ di tempo a quella parte era raro che rivolgesse parola a qualche altra ragazza che non fosse Mercedes, così si mise subito all’erta, squittendo per l’emozione. E Kurt si rese conto di aver toccato il fondo, ma la speranza era l’ultima a morire, così glielo chiese comunque: “ti riesce la matematica?”
In tutta risposta, la ragazza lo fissò, spalancando le sue folte ciglia finte: “matematica? - il tono di voce gli ricordò vagamente un bradipo in letargo - ah, ma… non è il corso di educazione felina?”
Appunto.
“Ricordami perché ti sto ancora rivolgendo la parola...?” La biondina si strinse nelle spalle e roteò appena le sue codine da cheerleader: “non so, perché ho le tette grandi?”
Kurt sentì seriamente il bisogno di esitare e prendere una piccola pausa, prima di dirle che sì, era sicuramente per quel motivo.
“Avete cinquanta minuti!”
Quante cose si potevano fare in cinquanta minuti? Poteva guardarsi una puntata di American Idol, o impararsi la nuova coreografia del videoclip di Beyoncè; poteva appiccare un incendio in classe e dire a tutti che era stata colpa dell’acetone di Cindy. Insomma, tantissime cose.
Quella stessa ragazza, qualche minuto dopo, si alzò in piedi non appena la classe udì la suoneria di Friday in modo forte e lampante, strillando qualche scusa alla professoressa che la minacciò immediatamente di spegnere quell’aggeggio; un secondo dopo tutti e trenta i ragazzi cominciarono ad armeggiare con i propri cellulari e perfino Kurt fece lo stesso, visto che con tutti i pensieri che gli ingombravano la mente se ne era completamente dimenticato; tuttavia, quando lo tirò fuori dalla tracolla notò immediatamente uno sprazzo di colori accompagnato da delle poche parole in sovraimpressione. Era un messaggio di Blaine, ricevuto senza accorgersene poco prima: “Good Luck, Have Fun.”
E Kurt sorrise, sospirando appena. Ma qualche secondo dopo udì la professoressa urlare contro qualche altro povero malcapitato che aveva scritto il nome al posto del cognome e viceversa, così Kurt spense il cellulare e con rinnovata convinzione cominciò a risolvere il primo esercizio del compito.
 


Forse era da stupidi essere così in pena per un compito in classe; forse erano ridicoli il suo sudore freddo e la sua gamba tremolante, come se avesse un tic nervoso. Soprattutto, tutto quello prendeva una consistenza ancora più assurda, se Blaine si soffermava a pensare che il compito non fosse il suo.
Ma, dopotutto, era come se lo fosse: appoggiato al proprio armadietto, in mezzo ad un corridoio deserto, continuava ad stringere il suo cellulare in attesa di qualsiasi minuscolo segnale di vita da parte di Kurt: aveva lavorato sodo per quel compito, meritava di passare, meritava di togliersi quell’enorme peso di dosso così come di acquisire, finalmente, un po’ di sana sicurezza e felicità; ma per un breve momento si domandò se la felicità risiedesse veramente in una divisa da Cheerio, e ripensò al discorso fatto in quel piccolo palco del teatro: Kurt l’aveva chiamata protezione. Per Blaine, invece, sembrava una deviazione per vivere facile; ma facile voleva forse dire sbagliato? Dopotutto, Kurt cercava soltanto di evitare spintoni, prese in giro, tutto ciò che lui stesso provava costantemente sulla sua pelle ed odiava. Poteva biasimarlo, allora? Poteva biasimare la sua scelta, che lo aveva reso in salvo?
No. Tutto ad un tratto, Blaine si accorse di odiare i Cheerios, ma allo stesso tempo si sentì profondamente grato che Kurt non ricevesse le stesse cose che toccavano a lui. Perché rendevano Kurt un’altra persona, ma non davanti a lui, perché con lui era sincero, lo aveva ammesso lui stesso. E allora non poté più negarlo: Blaine aveva paura di perdere quell’amicizia, di qualunque tipo si trattasse; aveva paura di perdere lui.
Se Kurt avesse passato quel test, sarebbe tornato tutto come prima? Kurt capo-cheerleader e amato da tutti, e Blaine l’anonimo ragazzo sconosciuto al resto del mondo?
Ma quei pensieri furono bruscamente interrotti da uno strillo di Rachel proveniente dall’aula di canto, seguito a ruota da un altro che riconobbe essere di Mercedes.
“Non scherzare, questa canzone è nelle mie corde!”
“Rachel, rinunciaci. La canto meglio io.”
Quello era quasi sicuramente il centesimo litigio a cui assisteva indirettamente mentre aspettava la propria migliore amica dalla sua lezione con il Glee Club. Ogni volta sembrava litigare con qualcuno di diverso, ed ogni volta se la ritrovava con la porta sbattuta e passo pesante per poi essere trascinato maldestramente da qualche altra parte della scuola, in attesa di uno sfogo liberatorio. Cominciò a calcolare i secondi che lo separavano da quella scena, perché, a giudicare dal tono di voce, era giunta quasi alla fine; con grande rammarico per averne scommessi dieci, esattamente venti secondi dopo la vide uscire, stavolta, però, accompagnata da Mercedes.
“Basta, Rachel, dobbiamo chiarire.”
Blaine non aveva alcuna voglia di assistere ad un incontro degno di Jersey Shore; stava quasi per sgattaiolare via sperando di non essere stato visto, quando tutto ad un tratto la voce di Mercedes lo paralizzò: “e già che ci siamo, mister sono-troppo-figo-per-uscire-con-il-mio-migliore-amico.
Voltandosi di scatto, la guardò, quasi attonito: “Hai parlato con Kurt.”
“Certo che ho parlato con Kurt. O meglio, ieri pomeriggio mi ha chiesto di uscire visto che non aveva nessuna lezione con te, e che non vi eravate visti nemmeno il giorno prima. E quindi mi sono detta: cosa diavolo avevi da fare per abbandonarlo a due giorni dal test?
Non è andata così – replicò, con tono leggermente concitato – dopo che ci siamo visti, lui…mi ha scritto un sms dicendo che avrebbe studiato da solo per il tempo che rimaneva, così ho preferito non disturbarlo.”
“Ah sì? Perché quando gli ho fatto quella domanda lui mi ha detto che probabilmente stavi uscendo con un aitante piega-maglioni più colorato di un girasole. E questa adesso me la spieghi.”
Rachel posava lo sguardo da l’uno all’altra, sempre più interdetta e anche un po’ offesa che il suo dibattito sulla canzone fosse stato messo in secondo piano, perfino da lei stessa: infatti, in quel momento le premeva molto di più la questione di Blaine, visto che era la sua migliore amica e non le aveva detto niente di niente.
“Un momento, stai uscendo con qualcuno da BEN due giorni e non me l’hai detto?!”
“Non sto uscendo con nessuno!”
“A me Kurt ha detto un’altra cosa.” Blaine emise un profondo sospiro, cercando in tutti i modi di non agitarsi troppo e di rispondere in modo chiaro a Mercedes: “Kurt non sa che-voglio dire, sì, gli avevo detto che sarei uscito con questo ragazzo, ma l’ho detto così per dire.”
“E perché mai lo avresti fatto?!” Era sul punto di perdere completamente la pazienza, insieme al suo tono calmo e buon umore; ma così era il ragazzo che esclamò: “perché non ci ho pensato! Perché volevo capire una cosa, e…”
Oh, ecco. Quello forse non doveva dirlo. Infatti, vedendo la sua esitazione, entrambe le ragazze chiesero: “che cosa?” non stupendosi nemmeno più di tanto del loro sincronismo. Blaine balbettò qualche parola, tentando di prendere aria, perché quella conversazione stava prendendo davvero una brutta, terribile piega. Le sue guance s’infiammarono all’istante non appena disse: “sa benissimo che non mi piace quel ragazzo, per me era solo un commesso gentile.”
E fu a quel punto che, intuendo qualcosa, Mercedes si avvicinò, diventando improvvisamente più calma e, allo stesso tempo, estasiata: “perché ti piace Kurt, non è così?”
L’assenza di qualsiasi tipo di parola costituì l’unica, vera, risposta.
Rachel spalancò la bocca non riuscendo a credere a quello che aveva, o meglio, non aveva sentito, mentre Mercedes si rilassò in un sorriso tenero, perché lo sapeva, insomma, aveva puntato a quello sin dall’inizio.
“Ma tanto non ha importanza - sussurrò Blaine, stringendosi nelle spalle – le ripetizioni sono terminate, e sono convinto che Kurt passerà il test.”
“Questo non vuol dire che non lo vedrai più.”
“E tu come fai a saperlo?”
“Perché gli piaci.”
E no, non era possibile. Blaine sentì distintamente il cuore scoppiargli nel petto e finire direttamente in gola. Kurt era splendido, non poteva essere interessato ad uno come lui. Non stava sognando, vero?
“Come…te l’ha detto lui?” Si ritrovò senza fiato nel dire quella frase, ma doveva sapere. E Mercedes scosse la testa, ma non allentò di un millimetro il suo sorriso compiaciuto.
“Offrigli della cioccolata bianca.”
Per un secondo credette di non aver capito bene: “puoi ripetere?”
“Della cioccolata bianca, di qualsiasi tipo. Lui la detesta, ma non potrebbe mai rifiutare qualcosa regalata da te.”
Una parte di sé pensò che quel ragionamento fosse assolutamente stupido; eppure, non riuscì ad impedire al suo cuore di battere così forte, così come alle sue mani di fermarsi mentre si apprestarono a comporre un numero che cominciava a conoscere a memoria.
 
 
 
“Quindi… come ti è andato il compito in classe?”
Kurt sospirò contro la sua tazza di caffè, non riuscendo a guardare Blaine nemmeno con la coda dell’occhio: già si sentiva in colpa perché, per colpa sua e di quel messaggio evasivo, avevano saltato due pomeriggi di Lima Bean, mentre Blaine evidentemente era rimasto lo stesso di sempre, con la sua tranquillità e gentilezza impareggiabili; lo aveva dimostrato con il suo sms di buona fortuna e lo aveva confermato con quello ricevuto all’ora di pranzo, in cui gli chiedeva se fosse libero per ricominciare con i caffè della scommessa. Era chiaro, dunque: il fatto che uscisse con un ragazzo non intaccava la loro amicizia. Quindi, lui doveva smetterla di sentirsi così ansioso, agitato, frustrato e chissà cos’altro, e ricominciare a comportarsi da amico. E invece era lì, seduto al solito tavolino, con la sua ordinazione preferita e si sentiva teso come una corda di violino; in effetti, osservandolo, all’inizio credette che Blaine fosse nelle sue stesse condizioni, ma poi si convinse che era tutto frutto della sua immaginazione. Iniziò un approccio di dialogo cercando, come prima cosa, di rispondere in modo cortese alla sua domanda, senza crisi di panico impreviste: “Non è stato un vero e proprio disastro. Ho soltanto sbagliato qualche cosa qua e là. E poi un esercizio non mi riusciva.”
“Beh, sembra positivo – commentò sarcastico lui – cos’è che non ti tornava?”
Cominciarono a discutere di ogni singolo quesito del compito in classe, domandando, facendo calcoli a mente, ipotizzando soluzioni e cercando di limitare i danni non appena Kurt gli domandò: “quanto viene il limite di questo coso qui?”
Blaine afferrò il foglio di brutta copia, analizzandolo con attenzione ed aggrottando le sopracciglia mentre la sua mente si concentrava con velocità; Kurt per un momento si sentì quasi sicuro del suo risultato di x elevato alla centosei moltiplicato per logaritmo di x al quadrato, dal momento che un dato era la radice quadrata di centosei. Ma ogni sua speranza illusoria si frantumò nello stesso istante in cui Blaine dichiarò: “torna zero.”
Beh, insomma, ci era andato vicino.
Dopo qualche altro distruttivo confronto affondò il viso tra le braccia, posate svogliatamente sul tavolino di vetro di fronte a loro, e cominciò a mugolare qualche verso di disperazione tra una lamentela ed un’altra; Blaine era seduto di fronte a lui che lo fissava interdetto non sapendo se consolarlo, dicendogli che non poteva essere sicuro fin quando non sarebbero usciti i risultati, oppure, lasciarlo sfogare, perché era incredibilmente adorabile e avrebbe potuto osservarlo per ore. Alla fine, con sua grande sorpresa, tra un mormorio ed un altro percepì uno “scusa”. Si chinò in avanti stringendo con più forza il caffè ormai freddo.
“Scusa – ripeté Kurt, stavolta, ad alta voce – hai perso così tanto tempo con la matematica, e io ti ripago bocciando il test. Sono pessimo.”
Non seppe nemmeno quale forza superiore riuscì a trattenerlo dall’alzarsi di scatto, correre verso di lui e stringerlo a sé fino a quando i suoi muscoli non lo avrebbero abbandonato. Forse, doveva ringraziare il volto di Kurt perché era coperto dalle braccia: era sicuro che avrebbe ceduto vergognosamente di fronte ai suoi occhi blu. Perché, quel giorno, erano blu: era diventata un po’ la sua cosa, quella di osservare come cambiassero di giorno in giorno. Era un dettaglio di Kurt che, semplicemente, adorava.
Ma tutti quei pensieri lo avevano deviato dalla realtà, e se ne accorse soltanto quando vide l’amico muovere un po’ la testa in attesa di qualche risposta: si affrettò a dire che non c’era nessun problema, e che non era affatto un tempo perso, come poteva essergli venuta un’idea simile?  
“Vedrai che è andato bene.”
Kurt sbuffò, visto che era molto improbabile che fosse andato bene, ma sperò comunque che avesse ragione: non riusciva nemmeno ad immaginare un’eventuale piano di riserva per rimanere nelle Cheerios, perché non riusciva a concepire l’idea di perdere la divisa; no, avrebbe pensato a quelle cose una volta visto il voto.
“Stasera usciamo?”
Blaine lo guardò sorpreso, con i suoi grandi occhi nocciola divenuti improvvisamente più luminosi di fronte ai suoi, adesso, finalmente visibili.
“Non ce la faccio a stare chiuso in casa – spiegò Kurt – ti prego, andiamo al Lan Party o a qualcosa del genere, devo evitare di pensare il più possibile.”
“Possiamo…posso sentire i ragazzi.” Propose Blaine, incerto. A Kurt sembrò una buona idea. Soltanto quando si accorse del suo atteggiamento esitante e del colorito roseo della sua pelle si rese conto che, forse, aveva detto qualcosa di sconveniente.
“Scusami - mormorò – non ti ho nemmeno chiesto se stasera fossi libero.”
Dal tono della sua voce, però, trapelò un velo di amarezza che non fu ignorato.
“Sono libero – affermò infatti Blaine, facendosi un poco perplesso – cosa vuoi che faccia di Mercoledì sera? O meglio, qualunque cosa faccia, la posso fare dovunque ci sia un computer ed una connessione wi-fi.”
In altre occasioni Kurt sarebbe scoppiato a ridere. In quel momento invece rimase in silenzio, sviando lentamente gli occhi verso terra e cominciando a torturarsi le mani.
“N-non so, magari…avevi da fare…voglio dire, con quel ragazzo.”
Magari avevi un appuntamento, concluse un angolo remoto della sua mente. E s’imbarazzò talmente tanto per la sfacciataggine mostrata che non permise nemmeno a Blaine di dire qualsiasi tipo di frase, lo interruppe nel bel mezzo di un respiro ponendo una mano avanti ed esclamando: “Non c’è problema, voglio dire, sono fatti tuoi, non c’è bisogno che mi spieghi niente.”
Ma Blaine, invece, sembrava proprio sul punto di dire qualcosa. Tutto ad un tratto si bloccò, come a metà di un pensiero, una frase costruita nella sua testa, un’azione: Kurt, sempre più confuso, lo guardò cerare qualcosa nella sua borsa, e subito dopo la sua mano gli stava porgendo una tavoletta di cioccolato bianco, rivestita da un sottile strato di carta e contornata con un fiocchetto blu.
La sua unica spiegazione a riguardo fu: “magari ti tira su di morale.”
Stava quasi per rispondergli che il cioccolato era un falso amico, perché era dolce e squisito all’inizio, e poi ti tradiva con le sue ottomila calorie, ma poi ogni suo singolo pensiero, sarcastico o non, svanì completamente spazzato via da un sorriso disarmante di Blaine: perché lo aveva comprato per lui, con tanto di fiocchettino e pacchetto fatto a mano. Kurt lo prese in silenzio, facendo sfiorare delicatamente le loro mani.
Ed era tutto più bello, dentro a quel piccolo mondo fatto da loro due, caffè e cioccolata.
“Grazie.”
Continuando a sorridere, strinse la barretta di cioccolato come se fosse un vero e proprio regalo, piuttosto che del cibo. Non si rese conto dell’espressione assorta di Blaine e dei suoi occhi caldi, né di quanto intensamente lo stessero fissando.


***

Angolo di Fra

Sono diventata una maestra nello scegliere titoli al volo ma che calzano perfettamente su tutto.
E comunque, le cose son due. O questo capitolo vi piace da impazzire oppure vi farà profondamente schifo. Io rimango a mangiarmi le unghie per l'ansia in attesa di qualche vostra recensione. Siate clementi....all'inizio mi era sembrata un'idea molto carina e zuccherosa. Poi scrivendola boh.
Grazie ancora a tutte le SPLENDIDE persone che recensiscono e leggono, sul serio. Un bacione!

Fra

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Capitolo 14
*** And I'm telling you... ***


Nota: preparare dosi di insulina, oppure, fare scorta di cioccolata.



Capitolo 14
And I’m telling you...


 

 
Headshot.
Letteralmente, stendere qualcuno tramite un solo colpo. E non è facile: devi essere allenato, conoscere l’avversario, studiare una mossa e subito dopo prepararne un’altra; è una combinazione di maestria, saggezza ma, soprattutto, tempistica. E’ questione di un minuto, durante il quale tu non vedi nient’altro che lui, e tutto il resto del mondo si ferma; è un secondo, dove tu dici “impossibile”, e lui, invece, dice “forse”. E’ l’attimo in cui Kurt sorrise di fronte alla cioccolata regalatagli da Blaine. Fatale. Perchè è opera del destino, quella. Non si scherza con un headshot, non è un colpo che si riceve per caso. Non è uno sguardo, un sorriso, un’emozione: è la fusione di tutte le cose messe insieme. E’ la sensazione di sapere esattamente cosa ne è rimasto del tuo cuore, sparso in mille pezzi un po’ dappertutto, sulle mani tremanti, sul respiro irregolare, sugli occhi raggianti e sulla bocca semichiusa. Perchè, contrariamente a tutto quello che si era concesso di immaginare, Kurt l’aveva presa. E Blaine quel pomeriggio non aveva pensato molto a come incartarla, di che tipo comprarla o quando gliel’avrebbe offerta; l’aveva vista lì, sopra ad una mensola del negozio di dolci sulla strada di casa sua, e aveva pensato che sarebbe stata una cosa carina, così, senza troppe fantasie o aspettative. Mercedes gli aveva detto che odiava la cioccolata bianca; gli aveva detto “perchè gli piaci”.
E poi, incastonato tra un’espressione timida e degli occhi cangianti, ci fu un suono dolce, come una nota pura e cristallina.
“Grazie.”
Credeva che sarebbe morto lì, in quel secondo, nel bel mezzo del Lima Bean. E invece con grande stupore, Blaine si accorse di essere vivo nel momento in cui sentì il suo cuore pulsare freneticamente. Headshot. Dritto in mezzo al petto. Un colpo di fulmine, a confronto, aveva l’intensità di una minuscola scossa elettrica.

Il resto del tempo passò in fretta, si accordarono su come e quando vedersi per poi andare insieme al Lan Party; Kurt era felice, non passava una serata tranquilla da giorni, e sentiva proprio il bisogno di staccare la spina. Quando si salutarono, fuori dalla caffetteria, fu con un sorriso: quello di Kurt leggero e calmo, quello di Blaine vivo ed emozionato. Non fecero altro; non c’era molto altro da fare, di fronte a centinaia di persone e in mezzo ad una strada. Tuttavia, Blaine s’incamminò con passo calcolato e veloce, quasi muovendosi per volontà di qualcun altro piuttosto che per la sua. Kurt lo osservò un’altra volta, inclinando leggermente il viso, prima di ricordarsi che gli toccava tornare a scuola a riprendere la macchina. Sfruttando un autobus di passaggio – sperò vivamente che il controllore non lo beccasse nell’unico giorno in cui non disponeva di biglietto – arrivò al McKinley in poco tempo, trovandolo praticamente vuoto e spogliato dei sue millecinquecento studenti. Arrivando vicino alla macchina si accorse di un gran vociare proveniente dalla palestra poco distante, annessa ai campi di football, unito a delle grandi e profonde risate.
“Avreste dovuto vederlo!” Stava dicendo un ragazzo, che Kurt identificò immediatamente come Azimio. Abbassò lentamente le chiavi della macchina e si sporse quel poco che bastava per ascoltare meglio, il perchè, non lo sapeva nemmeno lui.
“Era tutto felice e sognante e poi...BAM! Una granita dritta in mezzo alla faccia! Che colpo ragazzi!”
“Hai fatto bene –intervenne un altro – stavo quasi pensando che quell’Hudson fosse diventato una checca come il suo fratellino superstar, ma vederlo con Rachel Berry è anche peggio!”
Di nuovo, ci furono risate che tagliarono l’aria. E Kurt esitò soltanto un secondo prima di infilare con forza le chiavi nella tasca dell’impermeabile e correre verso i bagni della scuola.
Non fu difficile trovare Finn: dei gridolini e delle risate grottesche si spargevano lungo i corridoi, direzionandolo verso il bagno del secondo piano. Correva talmente forte da non badare agli sguardi lampanti dei compagni, così come ai commenti di qualche cheerleader che bisbigliava “Ma ti rendi conto?! Da Fabray alla Berry”, “Oh mio Dio non ci posso credere che abbia lasciato Quinn per mettersi con quella racchia!”, “Mi fa quasi pena...”, “Secondo me quella ragazza lo ha stregato”.
Era il quaterback. Era un bravo ragazzo, ed era appena stato freddato, per colpa della sua nuova fidanzata non popolare. Giunto in prossimità del bagno sentì il commento da lontano del giocatore di hockey, che calciava divertito il bicchiere sporco di granita: "Sfigato!"
E faceva male. Suo fratello non meritava tutto quello, nessuno lo meritava; faceva male pensare che, in un modo o nell’altro, chiamavano in quel modo anche lui.
 
Kurt prese un profondo respiro, prima di aprire la porta. La trovò chiusa; era ovvio, nella sua situazione l’avrebbe chiusa anche lui. E poi socchiuse gli occhi: perchè mai e poi mai avrebbe voluto essere nella sua situazione, non un’altra volta.
“Finn sono io, apri.”
Più che una richiesta, sembrò quasi un ordine. Ci fu un lungo silenzio prima di udire il chiavistello scattare permettendogli così di entrare nella stanza: suo fratello, Finn, si stava sciacquando la faccia cercando di riacquistare un minimo la vista annebbiata. La sua maglietta era appallottolata sotto al lavandino, completamente sporca e non più utilizzabile. Finn, semplicemente, lo guardò, con la sua espressione dolce adesso rigata dai rimasugli di granita: “Mi hanno colto di sorpresa.”
Non c’era ombra di rimorso, nella sua voce. Kurt si chiese perchè.
“Vado a prendere degli asciugamani e una maglietta, aspettami qui.”
Finn annuì riconoscente, per poi tornare con il viso sul lavandino e gli occhi brucianti al contatto dell’acqua fredda. Pochi minuti dopo sentì la porta aprirsi e Kurt avvicinarsi con qualche asciugamano dei cheerios ed una maglietta del McKinley che sicuramente apparteneva a qualche coreografo.
Di fronte allo sguardo perplesso di Finn, Kurt si discolpò mormorando: “Non ho trovato altro. Non è che tengo magliette di ricambio e asciugamani nell’armadietto. Non più, insomma.”
“Beh, grazie.” Cominciò a tamponarsi con cura, aiutato da Kurt che, nel frattempo, aveva bagnato delle salviette con il sapone tentando di lavar via quell’odore dolceamaro di fragola.
Finn ridacchiò: “Almeno la fragola mi piace.”
E no, non poteva continuare a essere allegro in quel modo. Si allontanò da lui, abbandonando le braccia lungo i fianchi, e gli rivolse un’occhiata lunga e scettica.
“Ti hanno ricoperto di fragola ghiacciata e tu dici che è buona?”
Finn si guardò intorno, quasi non capendo le sue parole: “...no?”
“Sì invece! Si può sapere che problema hai?”
“A parte il fatto che sono troppo alto per questi lavandini?”
“Finn! Ti hanno gettato questa granita perchè esci con Rachel Berry?”
Abbassò lo sguardo, stringendosi un poco nelle spalle.
“In parte è per quello. In parte è perchè sono entrato nel Glee Club.”
“Che cosa?”
Era incredulo. Finn era come lui, il ruolo di quarterback era tutto il suo mondo; sapeva benissimo che cose come il Glee Club, o frequentare persone non prettamente popolari, avrebbero intaccato pericolosamente la sua immagine pubblica. Ed eccolo lì: tremante per i brividi di freddo, ma con un timido sorriso stampato sul volto.
“Come fai?”
“Che cosa?”
“Come fai a sorridere così. Quello che ti hanno fatto è orribile, Finn.”
“Lo so che è orribile, Kurt. Pensi che non abbia dato pugni contro la parete prima che tu venissi qui? Pensi che non fossi arrabbiato?”
Adesso era rimasto in silenzio, non sapendo esattamente cosa dire. Appena provò a sussurrare uno “Scusa” il fratello parlò di nuovo, stavolta, più ammorbidito: “Questa granita...era per Rachel. Mi sono messo in mezzo io. Voglio dire, meglio a me che a lei.”
Non ebbe il coraggio di controbattere. Non ebbe il coraggio di dirgli che non avrebbe dovuto farlo, oppure, che non doveva stare con Rachel se quelli erano i risultati. Non ne ebbe il coraggio, perchè in quel preciso istante una voce dentro alla sua testa si domandò che cosa avesse fatto se al posto di Rachel ci fosse stato Blaine, e la risposta arrivò con talmente tanta rapidità che per qualche momento rimase senza fiato.
E rabbrividì. Perchè le parole sentite da quando aveva messo piede a scuola adesso stavano prendendo sempre più consistenza, assumendo la forma di una lama tagliente in grado di ferirlo.
“Non... –dovette deglutire più volte, prima di riuscire a formulare una frase - non ti secca essere trattato così, per via di Rachel?”
Una domanda silenziosa si levò gridando: non hai paura? E Finn annuì.
“Beh...sì. Forse. Ma, insomma, è Rachel.”
E’ Blaine.
“Ha continuato a scusarsi per ore, e poi mi ha baciato, e insomma, con lei è come se mi sentissi...”
“Giusto.”
“Sì.”
“Perfetto.”
“Esatto!”
“Intoccabile.”
“Nonostante le granite, e tutto il resto.”
Era così, allora. Dopotutto, Finn sembrava felice. Ma se trattavano in quel modo Finn, cosa avrebbero fatto a lui? Sarebbe riuscito a sopportarlo, adesso che per lungo tempo ne era stato immune?
Ancora assorto nei suoi pensieri, non si accorse della voce di suo fratello, intenta a chiedergli chissà cosa.
“Kurt?” Lo chiamò, e solo allora il suo corpo trasalì guardandolo con occhi ancora scossi dal terrore: non aveva ancora dimenticato le immagini di armadietti freddi e cassonetti bui. Il fratellastro lo stava guardando come un bambino a cui manca un pezzo del puzzle.
“Ma tu come fai a sapere come mi sento io?”
E la risposta era chiara: perchè provava le stesse cose.
Non disse niente, però. Non seppe dire se per codardia, o perchè il suo intero corpo era rimasto paralizzato di fronte a quella rivelazione.
 
 

Una volta tornati a casa Finn impiegò più tempo a spiegare a Burt e Carole l’accaduto che a farsi una doccia e togliersi il resto della granita appiccicata sul corpo. Kurt era seduto sul divano, senza alcuna voglia di fare altro a parte il fissare un punto inesistente sul soffitto. Non aveva nemmeno voglia di pensare: pensare implicava ragionare, e ragionare gli provocava un enorme mal di testa. Burt Hummel attese lo scoccare del quattordicesimo minuto per chiedergli che diavolo avesse e perchè se ne era stato in quella posizione per un abbondante quarto d’ora.
“E’ successo qualcosa anche a te?” Chiese alla fine, con aria allarmata e il tono da padre protettivo; Kurt lo guardò, rassicurandolo e garantendogli che stava bene; per il momento. Ecco, di nuovo tanti pensieri. Emise un lungo sospiro e si abbandonò di nuovo alle comodità del divano, fino a quando la suoneria robotizzata del cellulare attirò la sua attenzione: non appena lesse il nome trasalì. Perchè era Blaine, perchè gli aveva detto che sarebbero andati al Lan Party insieme, e perchè con tutte le cose successe lui se n’era completamente dimenticato. Lanciò il telefono il più lontano possibile, come se in quel modo riuscisse ad allontanarsi da lui, ma subito dopo si immaginò il suo volto triste attendere invano una risposta e in un battito di ciglia era dall’altra parte del divano, con il fiato corto e il telefono fra le mani.
“S-sì?”
Doveva stare calmo. Doveva riflettere su tutto quello che era successo quel pomeriggio; no, voleva vedere Blaine. Lo capì nell’istante in cui la sua voce calda e gentile dichiarò: “Sono sotto casa tua.”
“Dammi un secondo”, e l’amico, prima di riattaccare, disse “va bene” senza troppi problemi. Ormai sapeva che nel mondo di Kurt “un secondo” equivaleva ad un abbondante quarto d’ora, così si sistemò meglio contro il sedile della macchina ed ascoltò della musica alla radio, attendendo con un piccolo sorriso.
All’interno della casa Burt fece appena in tempo a fermare suo figlio prima che salisse le scale due gradini alla volta: “Hei, hei, dove stai andando?”
“Esco.” Tagliò corto lui cercando di divincolarsi, ma senza fare troppa pressione. Burt lo lasciò andare e lo seguì fino in camera sua, guardandolo setacciare il suo armadio ingolfato dai vestiti e disperarsi perchè, secondo lui, “aveva sempre le stesse cose”.
“Con chi esci?” Lo chiese con tono calmo, così, come se fosse curiosità. Kurt si fermò appena in tempo dal dire “con Blaine”, perchè l’ultima cosa che voleva quel giorno era un padre isterico e pieno di domande inquisitorie su chi fosse Blaine, cosa facesse, quale fosse il suo indirizzo e codice fiscale, quindi, si limitò a borbottare “con amici” rimanendo nel vago. Ma no, il suo atteggiamento era sin troppo eccentrico perfino per uno come lui, e finì per non risultare affatto convincente.
“Sai... –si azzardò a dire il padre, con occhi bassi e fare impacciato- voglio dire, ultimamente sei un po’ strano, e mi chiedevo se...insomma, sappi che, ecco, non ci sarebbe niente di male. A patto che non esageriate, ovvio.”
Riepilogò il discorso appena sentito nella sua mente e beh, era ancora più strano. Si fermò con le mani a mezz’aria che squadravano un maglione ed inarcando un sopracciglio borbottò: “Che vuoi dire?”
Prese un grande respiro, perchè non era mai stato uomo dalle grandi parole. Approfittando della concentrazione di Kurt rivolta interamente verso i vestiti si voltò appena, e alle sue spalle, fuori dalla porta semichiusa, c’era Carole che gli faceva cenno di andare avanti. E insomma, lui era uno che parlava chiaro e tondo; se doveva chiedere una cosa a suo figlio, allora, la chiedeva e basta.
“Esci con qualcuno?”
Non c’era modo di fraintendere quella domanda. Non con quello sguardo da “papà dell’anno” e la mascella serrata a metà tra l’imbarazzato e l’ansioso.
“Non esco con nessuno, pà, non ti preoccupare.” Non si sentì in colpa a rispondere in quel modo, dal momento che era la verità. Certo, una verità piena di spigoli, ma pur sempre verità.
“Non mi preoccupo –intervenne lui – o meglio, basta che sia un bravo ragazzo ed educato, e che non esageriate.”
Il figlio gli fece notare che aveva già detto quell’ultima parte e in tutta risposta Burt alzò la testa con fare autoritario, sostenendo che non c’era niente di male nel ripeterla, doveva essere un concetto impresso nella sua mente.
“Perfetto allora”, ma non appena fece per voltarsi Carole lo fulminò con lo sguardo obbligandolo a rimanere. Tornò indietro con uno scatto e per poco non spaventò a morte Kurt.
“E quindi –seguitò il padre, come se riprendesse un discorso iniziato da ore- non ti piace nessuno?”
Ecco, Kurt non aveva esattamente detto quello. E ci provò con tutto il cuore a dirgli di no, che poteva stare tranquillo, e quella conversazione era diventata altamente imbarazzante; tuttavia, qualcosa dentro di sè si bloccò a metà tra la gola ed il cuore, provocando una serie di balbettii sconnessi e agitati, con le guance che si coloravano velocemente di un rosa scuro.
Il padre non ebbe una reazione molto diversa. Soltanto che, in aggiunta, riuscì a pronunciare un “ok”.
“Ok?”
“Ok -ripeté, sconvolto quanto il figlio – voglio dire, non c’è niente di male. Se non esagerate. Sono felice per te.”
Non si aspettava che sarebbe stato tutto così facile. Non si aspettava nemmeno di rimanere così profondamente toccato da quelle parole, nè, tantomeno, di desiderarle con tutto il cuore. Perchè voleva sentirsi dire che non c’era niente di male; voleva sentirsi dire che era libero di innamorarsi di chi volesse.
Da dietro la porta Carole sprofondò in un sospiro romantico, e Burt si sentì un poco più tranquillo: perchè, chiunque fosse il ragazzo che faceva battere il cuore a Kurt, doveva essere assolutamente una brava persona, se faceva sorridere suo figlio in quel modo. Lo lasciò andare, a patto che venisse a riprenderlo per le dieci in punto.
 
 
Esattamente cinque canzoni dopo, Blaine vide arrivare Kurt correndo trafilato ed infilandosi il cappotto nel tragitto, con un completo nuovo e decisamente ben fatto, a giudicare dalla maglietta aderente e dal pantalone scuro ed attillato. E pensò che non fosse giusto, che Kurt dovesse smettere di indossare quelle cose, visto che lui si sentiva ad un passo dal fare una grandissima cazzata. Lo guardò entrare in macchina e si sforzò di assumere un atteggiamento vago e sereno mentre lo salutava con un cenno della mano. Mentre si allacciava la cintura, chiudeva la portiera, si sistemava il cappotto e appoggiava la tracolla contro il cruscotto Kurt cominciò a dire un’infinità di scuse intavolando un monologo che sembrava non aver fine, almeno, fino a quando si voltò e i suoi occhi caddero inconsciamente su di Blaine.
“Ti sei messo i vestiti che abbiamo comprato insieme.”
L’altro, felice che se ne fosse accorto, annuì, aggiustandosi per finta le maniche già perfettamente sistemate. Durante il viaggio era troppo concentrato sulla guida per badare ad ogni gesto nascosto di Kurt, così quest’ultimo poté fissarlo a lungo analizzando centimetro per centimetro: i suoi capelli non erano riccioli, ma fermati con del gel e allisciati, risaltando i lineamenti mascolini e gli occhi color d’ambra. E Kurt non avrebbe mai pensato di amare quel gel, se non fosse che il viso di Blaine, nella sua interezza, gli sembrò assolutamente stupendo. Perfino la fronte era attraente. No, parola sbagliata: Blaine non era attraente. O meglio, lo era, diavolo se lo era, specialmente in quei jeans, ma Kurt non poteva permettersi di pensare quelle cose. Pensieri, di nuovo troppi pensieri.
E, di nuovo, qualcun altro fu costretto a portarlo nel mondo della realtà.
“Kurt? Guarda che siamo arrivati.” Gli fece notare l’amico, passandogli una mano davanti agli occhi persi chissà dove; si destò immediatamente uscendo dall’automobile e ignorando la risata cristallina di Blaine, che alle orecchie del ragazzo sembrò miele caldo; scrollò con forza la testa come per scacciare quelle fantasie e trattenne a stento un sospiro di sollievo quando vide che Wes, Nick e Jeff li stavano aspettando all’entrata; dopo aver salutato tutti con i loro modi strani –parole in codice, lingue elfiche e qualcos’altro che Kurt non riuscì a tradurre- entrarono dentro al locale cominciando a scegliere i giochi da provare quella sera. Greg li salutò uno ad uno, soffermandosi su Kurt con soddisfazione, perché, secondo lui, ormai era fino al collo in quello strano mondo dei nerd e la prova era che non si spaventava nemmeno vedendo ragazzi perdere il senno lanciando joystick a terra o ragazze strillare leggendo il loro manga preferito. Blaine, quella sera, sembrava più felice del solito: era sempre contento quando si trovava al Lan Party, ma se prima sorrideva, adesso scoppiava in adorabili risate; se prima rispondeva gentilmente alle domande di qualche ragazzo che osservava il suo modo di giocare, adesso gli spiegava per filo e per segno ogni dettaglio, rivelandogli anche trucchi che aveva sperimentato lui stesso. E in tutto quello non si allontanò mai da Kurt, così come Kurt non voleva staccarsi da Blaine: erano come calamitati l’uno all’altro, vicini, ma rispettando sempre quei limiti fisici dettati dalle loro coscienze, eppure, incapaci di allontanarsi o di rivolgere attenzione altrove. Quella sera Kurt aveva preferito guardare, piuttosto che cimentarsi in nuove avventure virtuali, e così si era seduto accanto a Blaine mentre lui iniziava una partita a Call of Duty, e parlò di qualsiasi cosa, ma di niente in particolare; l’altro, semplicemente, lo ascoltava, intervenendo di tanto in tanto e voltandosi verso di lui tra un caricamento e l’altro, scambiandosi sorrisi complici ed intimiditi. Perchè quando Blaine osservava Kurt, tutto ciò che vedeva era il rossore delle sue guance ogni qual volta riceveva un complimento velato, il sorriso raggiante che esultava per una partita vinta, gli occhi limpidi che si incatenavano ai suoi mentre il suo respiro si fermava. Ogni singola espressione assumeva una sfumatura diversa, ora che sapeva. L’immagine di quel pomeriggio era ancora fissa nella sua mente, come un bel sogno dal quale non si era ancora svegliato; non riusciva ancora a capacitarsene, per quello per tutta la sera aveva cercato qualche segno che smentisse tutte le sue speranze, ma non ne trovò. Al contrario, adesso, gli sembrava quasi ridicolo che non se ne fosse accorto prima.
Ma se i sentimenti di Kurt, che era sempre stato bravo a camuffare le sue espressioni, adesso risultavano così evidenti, Blaine aveva quasi paura a chiedersi quanto fossero palesi i suoi; perché lo erano: ogni parte di sé sembrava dimostrare il suo affetto per Kurt.
Nick e gli altri ragazzi, a pochi metri da loro, continuavano ad osservarli indecisi se essere più inteneriti o frustrati. Alla fine fu Wes a prendere una decisione battendo nervosamente il martelletto contro il tavolo, commentando: “Decisamente frustrante.”
“Sprizzano arcobaleni da tutti i pori – aggiunse Nick, roteando un D-20 senza convinzione - e stanno parlando di Mufasa. Mi spiegate come hanno fatto ad arrivare a Mufasa?”
Jeff si sporse da oltre il suo computer, senza preoccuparsi di essere notato dai diretti interessati: “Penso che abbiano iniziato parlando di film, per poi arrivare alla Disney, per poi arrivare al Re Leone e alla fine decantare le lodi del re...ma sì, è frustrante. La cosa più bella è che tutto il Lan Party sta attendendo il momento in cui si decideranno ad usare quella bocca per fare altro, e nemmeno se ne accorgono.”
Era vero: le ragazze Otaku stavano applicando dei fori ai loro manga per poterli guardare, i giocatori di magic si nascondevano dietro alle carte, i ragazzi dei giochi da tavolo parlavano a bassa voce per non perdersi nemmeno un secondo della loro conversazione; perfino Greg continuava a far finta di registrare qualche conto al computer per non essere disturbato da clienti, aveva messo il cartello “Away-From-Keyboard” davanti al bancone ricevendo sguardi perplessi da tutti i presenti.
E loro due parlavano, sorridevano e ridacchiavano, come se nulla fosse; come se non ci fossero miliardi di questioni in sospeso, che scalpitavano per uscire; come se non ci fosse nessuna tensione, nella quale il minimo gesto sarebbe stato decisivo.
“Master, ti prego. Fai qualcosa; mi sento come Marcus e Blank di fronte a Bellatrix e Steirner di Final Fantasy IX.” (*)
Wes si voltò verso Jeff e Nick, rivolgendo loro un’occhiata acida. I due ragazzi sfoggiarono un ghigno ed esclamarono all’unisono: “Meglio del teatren!”
“Ragazzi, Kurt e Blaine sono nostri amici, dobbiamo lasciare loro il tempo di metabolizzare i loro sentimenti, dichiararsi amore eterno e poi forse potranno…”
“Al diavolo – sbottò Jeff – io gli invio uno screen.”
 

“Ammettilo Kurt: non c’è posto più bello del Lan Party.”
Kurt scrollò la testa, divertito da tutto quel tentativo disperato di Greg di convincerlo a mettere le tende lì e passarci il resto della propria vita. Blaine li stava ascoltando chiacchierare amabilmente fino a quando non un messaggio da parte di un altro computer non gli apparve in mezzo allo schermo, interrompendo tutto il gioco. Il testo: ricordati la regola numero uno della gilda.
La regola numero uno era: mai arrabbiarsi con un compagno di gilda, qualsiasi cazzata egli facesse.
Non aveva mai considerato così tanto l’idea di infrangerla completamente fino a quando non aprì il link riportato nel messaggio e gli comparve un fermo immagine di DotA, con in mezzo una scritta fatta di oggetti e armi:
KISS HIM. (*)
Li avrebbe uccisi tutti. Sarebbero morti, defunti, sepolti e spappolati. Fece appena in tempo a spegnere lo schermo del pc che Kurt lo guardò stranito, non riuscendo a capire il perché del suo volto paonazzo e della sua gola improvvisamente secca.
“Perché hai spento il pc?”
Si sporse in avanti per accenderlo, ma Blaine lo fermò di colpo bloccandogli un braccio e urlando “NO!” così forte che mezzo Lan Party si voltò a guardarlo. Doveva distrarlo, in qualsiasi modo. Doveva distruggere quel computer il prima possibile.
“Sono quasi le dieci. Non dovremmo uscire ad aspettare tuo padre?” Bofonchiò tra un colpo di tosse e l’altro, lanciando un’occhiata ai suoi adorati amici che facevano il verso del lucidalabbra, dello spray per l’alito e del cuore con le mani.  Regola numero uno un bel cavolo. Kurt controllò l’orologio e, in effetti, erano le dieci meno un quarto, così afferrarono il cappotto salutando tutti i presenti e si diressero fuori dal locale.
 

Faceva piuttosto freddo per essere in primavera, così Kurt fu costretto a coprirsi con il suo cardigan e Blaine a mettere le mani in tasca, con aria apparentemente tranquilla.
“Fa…fa freddo eh?”
Kurt gli rivolse un sorriso timido, facendo di sì con un cenno impercettibile della testa.
“Speriamo che arrivi il caldo al più presto.”
“Già.”
Di nuovo, un lungo silenzio. Da dentro il locale si udiva qualche urlo di Jeff, intento a discutere su chissà che cosa con gli altri compagni; quella situazione stava diventando assurda: Blaine voleva parlare a tutti i costi con Kurt, ma non aveva il coraggio di iniziare un discorso troppo importante, troppo serio e sì, anche troppo pericoloso.
Tutto quanto divenne più facile quando Kurt alzò gli occhi verso il parcheggio di fronte a sé e mormorò: “oggi Finn ha ricevuto una granita in pieno viso. Ha protetto Rachel.”
Rimase qualche secondo fermo, immobile, gli occhi nocciola che diventavano sempre più increduli e pietrificati man mano che Kurt raccontava l’accaduto, descrivendo soltanto la situazione e ciò che avevano detto i giocatori di football. Non fece menzione della conversazione avuta trai due, era troppo concentrato a non soffrire ripetendo le parole che erano state indirizzate a suo fratello e, in parte, anche a lui.
Blaine fece un passo verso di lui, finalmente, infrangendo quella piccola barriera che si era formata in quelle ore: lo afferrò delicatamente per un polso, e poi lo abbracciò. Kurt si beò di quel calore a contatto con la sua pelle come se fosse ossigeno puro, prese dei profondi respiri cercando di memorizzare il profumo di Blaine, che era delicato, fresco e buono. E poi, contro l’incavo del suo collo, Blaine sussurrò qualcosa che lo spiazzò completamente: “spero davvero che tu passi quel compito di matematica.”
Attese qualche secondo, in profondo silenzio; dopodiché si staccò da lui guardandolo dritto negli occhi, perché se da un lato era felice e riconoscente nei suoi confronti, dall’altro era arrabbiato; furioso.
“Se rimango nei Cheerios continuerò ad essere lo stronzo cinico di sempre.” Sentenziò, come se stesse evidenziando l’ovvio. Blaine si strinse nelle spalle parlando con tono del tutto diverso: “non devi per forza mentire. Puoi ricevere l’appoggio dalla Sylvester anche essendo te stesso.”
“Io sono me stesso.” Replicò, stizzito. Blaine socchiuse gli occhi, facendo una piccola smorfia: “lo sei fuori dalla scuola; lo sei con me. Dentro quelle mura sei soltanto il capitano dei Cheerios.”
“Ma-“
“E lo capisco.” E Kurt inarcò un sopracciglio: come faceva a capirlo? Come faceva ad accettare quella cosa?! Non capiva. Blaine continuava a fissarlo con quello sguardo pieno di affetto e comprensione.
“Kurt, non vorrei mai che una cosa del genere capitasse a te.”
Perché Kurt era così forte, ma ancora non lo sapeva, e subire di nuovo cose del genere lo avrebbe spezzato. Perché quella divisa era il suo scudo e la sua forza. Perché Blaine preferiva rimanere un ottimo amico, piuttosto che vederlo soffrire. E poi Kurt, tutto ad un tratto, ricordò. Ma certo, Blaine era soltanto un amico, dal momento che adesso usciva con quel ragazzo del GAP. Improvvisamente tutta la tensione, il nervosismo, l’ansia e l’agitazione accumulate durante la giornata arrivarono ad un punto di non ritorno, e Kurt strinse i pugni, voltando lo sguardo da un’altra parte.
“Non ti preoccupare – commentò – non lascerò mai i Cheerios.”
E Blaine per un momento non capì il perché di quel tono risentito, così come di quella vena di delusione che percepì nella sua smorfia, ma tutto divenne più chiaro quando gli domandò con indifferenza come stava il commesso del negozio.
E ci mancò poco che lo afferrasse per le spalle, lo scuotesse più e più volte e ammettesse al mondo intero che era pazzo di lui, e lui soltanto, perfino in momenti come quelli dove faceva il cocciuto e non sembrava volesse sentire ragioni. Tuttavia, con tono convinto, gli rivelò che non lo sapeva.
“Ma come – fece allora Kurt – credevo che usciste insieme. Mi avevi detto che ci saresti uscito.”
“Kurt, io-“
"Bacia bene?"
Oh no. Non lo aveva detto sul serio. Ma le parole erano uscite di bocca prima che potesse fermarle: la sola idea che ci fosse qualcun altro a contemplare quelle morbide e splendide labbra gli provocava una fitta lancinante al petto, che gli impediva di respirare. Blaine lo fissò immobile, gli occhi che non accennavano a staccarsi dai suoi: "...Non lo so, Kurt. Io non ho mai baciato nessuno. Non sono mai uscito con quel ragazzo."
Oh. Ad un tratto si sentì molto, molto stupido. Per un secondo percepirono distintamente la voce di Nick urlare “Jeff, sei un idiota, lascia stare!”, seguita a ruota da molte altre; probabilmente dentro al Lan Party si stava scatenando l’ennesimo litigio, ma a loro non importava.
“Sono uscito con un mio amico, una volta – seguitò Blaine, avvicinandosi un poco - ma abbiamo finito per giocare al pc per tutto il tempo. Come ho già detto, era un amico.”
Kurt continuava a chiedersi perché gli stesse dando tutte quelle informazioni. Greg si unì al coro di urla e la situazione stava decisamente degenerando, visto il gran vociare e il rumore di sedie spostate. Ma loro continuavano a fissarsi, l’uno di fronte all’altro, e non volevano essere da nessun altra parte in tutto il mondo.
"E poi –disse infine Blaine, serio, i suoi occhi nocciola non erano mai stati così profondi – sono uscito con un altro ragazzo. Un ragazzo che è cocciuto, orgoglioso, impertinente e a volte anche irritante. E mi ha fatto passare il mese più bello della mia vita.”
Kurt sentì il suo cuore farsi sempre più piccolo. Non riusciva a capire che cosa stesse succedendo: la ruota aveva cominciato a girare, ormai, non essendo più in grado di fermarsi. Con una fortuita mandata di fiato riuscì a dire: “dovresti uscire con qualcuno che non ti dia tutti questi problemi.”
E si odiò profondamente, perché lo aveva fatto di nuovo. Possibile che non riuscisse mai a dire quello che voleva, né, tantomeno, a evitare di ferirsi più del necessario? Ma gli stava bene: era soltanto un idiota. Gli stava proprio bene. Ma proprio in quello stesso istante vide il volto di Blaine cambiare espressione, avvicinandosi con lentezza, riuscendo a sentire il respiro affannato sulla pelle fresca e le sue ciglia scure sfioragli le guance rosee.
“Kurt.”
Non aveva mai pronunciato il suo nome in modo così intenso e disarmante.
“Voglio uscire con te. Voglio stare con te.”
Le urla del Lan Party continuavano, i suoni dei giochi sparatutto e dei level-up si alternavano con frenesia e confusione.
“Ma devi sceglierlo tu.”
Percepirono chiaramente il suono di una macchina nelle vicinanze, così Blaine guardò un’ultima volta le sue labbra, per poi allontanarsi lentamente. Burt Hummel arrivò qualche secondo dopo con la sua auto, lampeggiando il figlio con i fari abbaglianti.
Prima di rientrare dentro al locale e lasciarlo a suo padre, gli rivolse un sorriso molto dolce, e gli augurò la buonanotte.
 

 ***

Angolo di Fra

(*) Final Fantasy IX è uno dei miei giochi preferiti, e quella è una delle mie scene preferite.
Ma soprattutto sono fiera di annunciarvi che la cosa della scritta esiste davvero. Nel senso, che l'ho fatta con il mio Warcraft per farvi avere un'idea (l'avevo detto io, che lo avrei fatto xD) L'immagine con tanto di siparietto Wes/Jeff/Nick la trovate qui.

Mi sono divertita come una matta. Da notare il mio nick "Warbler-Jeff" ahahah!

E che altro dire? Il cap è venuto un po' lungo, chiedo scusa. Ma onestamente non ho altro da dire: attendo con pazienza le vostre bellissime recensioni. A proposito, non so davvero come ringraziarvi per tutte le recensioni che mi lasciate. Vi dedico questo capitolo, sperando che vi piaccia.

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Capitolo 15
*** Zig&Zag ***


Capitolo 15

Zig&Zag

 

 

Wesley Montgomery era un ragazzo dalla grande pazienza. Perché, insomma, bisogna avere pazienza, se si vuole essere amici di gente come Nick, Jeff o Blaine. Da Master quale era spettava a lui ascoltare ogni intervento e risolvere ogni diatriba, trovando sempre delle parole sagge per tutti, senza mai essere troppo di parte. Insomma, era il capo perfetto, e nel momento in cui fondi una gilda ci vuole un buon capo, altrimenti va tutto a rotoli; ma c’era qualcosa, in Wes, che non lo rendeva esattamente il tipo di giocatore modello. Né il tipo di amico con cui sia il caso di litigare, quando ti senti particolarmente sotto pressione: Wes era permaloso; molto permaloso. L’ultima volta che Blaine aveva osato contestare una sua decisione – perché, insomma, mandarlo contro ad un drago con soltanto uno spadino e un’armatura di cuoio non era proprio il massimo, per una sessione di D&D- era finito morto. Letteralmente. Del tipo che il suo personaggio era misteriosamente saltato in aria colpito da una mina anti-uomo; una mina anti-uomo nel Medioevo? Sì. Wes aveva detto che era un congegno magico di un inventore pazzo, perchè era quello il bello di fare il master: il master può far piovere e nevicare, e se diceva che Nick e Jeff non dovevano andare a origliare la conversazione di Blaine e Kurt, allora non dovevano farlo, per nessuna ragione al mondo. Altrimenti Nick per ripicca avrebbe cominciato a strisciare sotto al tavolo imitando una missione di spionaggio industriale, e Jeff avrebbe detto “ma Wes, io faccio quello che mi pare”, e Greg avrebbe notato la carnagione del diretto interessato diventare velocemente viola, perché, insomma, anche Nick quando ci si metteva sapeva essere davvero snervante; così, il proprietario del Lan Party provò ad intromettersi nel battibecco, e come conseguenza avvenne esattamente ciò che aveva previsto: adesso c’era un gran vociare dei tre ragazzi seguito a ruota da commenti ed esclamazioni degli altri presenti, chi indispettito perché non riusciva a giocare, chi incuriosito perché le litigate degli Warbler erano sempre qualcosa di storico. Greg fece un grande respiro passando una mano trai suoi capelli folti e provò a dire che non era il caso di scaldarsi tanto, visto che Kurt e Blaine sicuramente avrebbero sentito tutto il trambusto e si sarebbero preoccupati. Non poteva sapere che, nel frattempo, i due ragazzi erano ad una spanna l’uno dall’altro completamente ignari del resto del mondo.

Wes aveva fatto l’ennesima lamentela sul comportamento infantile di Jeff e quest’ultimo, seccato, gli aveva sottratto il martelletto dalle mani facendo cenno di spezzarlo.

“Jeff, sei un idiota, lascia stare!” Urlò Nick correndogli contro e saltandogli addosso per fermarlo, il tutto di fronte a Wes che assomigliava ad un vulcano in eruzione e Greg che stava già immaginando l’ammontare dei danni: l’ultima volta avevano perso la maggior parte delle carte di un mazzo artefatto di magic, sparse e distrutte per tutta la stanza, sporcato il tavolo di marmo di vernice ad olio di Warhammer, rotto la gamba di una sedia e, non soddisfatti, si erano pure cancellati a vicenda gli account di WoW. Che, per un nerd, era roba da denuncia.

“Fai sempre così Wes – urlò Jeff – devi sempre rovinare la situazione, come quando volevo uccidere quella ragazza a D&D e tu non me l’hai permesso!”

“Perché era una vittima sacrificale, Jeff, e dovevi salvarla. Non ucciderla!” Provò a spiegare il master, sfiancato.

“Beh, io faccio quello che mi pare, mio caro Wes-I’m-the-best, e tu non puoi fare niente per impedirmelo!”

“Certo, infatti, quando l’hai uccisa hai evocato un demone e siete rimasti bloccati per tre sessioni. Davvero una mossa geniale.”

“Ragazzi vi prego basta!”

E in quello stesso momento la porta del Lan Party si aprì, mostrando in tutta la sua interezza un Blaine abbastanza serio che teneva lo sguardo assorto e puntato verso terra. Il locale, all’improvviso, si era zittito di colpo: le ragazze avevano abbassato i fumetti e i giocatori avevano tolto audio e cuffie. Blaine si guardò intorno, rimanendo un po’ perplesso nel trovare i suoi tre amici in mezzo alla stanza, Jeff sopra ad un mobile con il martelletto in mano, Wes sotto di lui e placcato da Greg, mentre Nick se ne stava in disparte, con il poster gigante di Ezio Auditore a fargli da scudo.

Il suo piccolo ed innocente “che è successo?” fu subito scavalcato da un miliardo di domande impellenti e confuse, tutte rivolte verso di lui, assieme a qualche centinaio di occhi spalancati ed ansiosi.

Alla fine, con grande autorità, Greg fece cenno di fare silenzio, andò alle spalle di Blaine controllando dalla finestra che Kurt se ne fosse realmente andato e soltanto dopo si voltò verso il ragazzo, prendendolo per le spalle, fissandolo con un’intensità degna di un re nel momento in cui investiva il suo cavaliere.

“Blaine Anderson –esordì, con voce profonda e solenne- tu, poco prima, di fronte alla dimora del Lan Party, hai finalmente congiunto le tue labbra con quelle del nobile Kurt Hummel?”

Blaine per poco non scoppiò a ridere, ma si limitò a mostrare un sorriso divertito e sincero, prima di dire “no”; così, con semplicità. Come se non avesse infranto i cuori di mezzo Lan Party, dicendolo. Cominciò seriamente a chiedersi che razza di gente frequentasse, perché in quel momento le facce della maggior parte dei presenti erano a metà tra l’avvilito e il seccato.

E no, non avrebbe mai pensato di vedere Greg scuoterlo come un frullatore ed urlare: “MA LO BACI O TE LO BUTTO IO SULLA BOCCA?!”

“Non…non dovevo – mormorò, una volta fermo e in grado di parlare – Kurt è confuso e…deve essere libero di scegliere con la calma più assoluta.”

Nick si scostò dal poster di Assassin’s Creed quanto bastava per dichiarare: “Se c’è una cosa che Star Wars ci ha insegnato è: Soltanto un Sith vive di assoluti. Ergo, hai perso la tua occasione”, detto quello ritornò nel suo cantuccio di carta e plastica.

E forse era vero. Forse, Blaine aveva davvero commesso un errore, nel dichiararsi in quel momento, prima che Kurt avesse ricevuto i risultati del compito; oppure, forse, avrebbe dovuto agire, proprio perché era ancora in tempo. Non lo sapeva: sapeva soltanto quello che gli era sembrato giusto fare, perché non aveva nessun’altra certezza al di fuori dei suoi sentimenti.

 

 

Kurt non si ricordava una notte più terribile. Suo padre gli aveva rifilato le solite domande di commissione per poi lasciarlo ai suoi pensieri fitti, una volta resosi conto che quei monosillabi erano le risposte più eloquenti che potesse ottenere, visto che sì, stava bene e che no, non era traumatizzato per qualcosa di grave. O almeno, non grave come la intendeva lui. Perché Blaine gli aveva appena fatto la dichiarazione più bella di tutta la sua vita e beh, il suo cervello era un po’ in black out. E il suo cuore stava per scoppiare, ma insomma, niente di grave.

Tornato a casa salutò con voce fredda e meccanica Finn e Carole, augurò la buona notte a tutti e si diresse come un automa in camera sua, eseguendo tutti quei rituali che in quel momento faceva per inerzia, e non perché il cervello glielo imponesse davvero: si infilò pigiama e calzini per la notte, applicò le creme idratanti e si infilò sotto alle coperte non rabbrividendo nemmeno a contatto con le lenzuola fredde e rigide. E per un tempo incalcolabile rimase così, immobile, con gli occhi aperti a fissare il soffitto. Ogni tanto, non si sa per quale miracolo, riusciva a prendere sonno e otteneva qualche ora di relax, ma quando si rese conto di non aver pace nemmeno nei suoi sogni, optò per fare la notte in bianco, afferrare il pc portatile e trovare qualsiasi cosa che lo distraesse. Perché se la dichiarazione di Blaine era stata tanto inaspettata quanto emozionante, sognarlo nel bel mezzo di un teatro vuoto che lo teneva stretto a sé e lo riempiva di morbidi baci non lo aiutava proprio per niente. Annientava la sua mente e faceva impazzire il suo cuore, e gli servivano entrambi, se voleva arrivare vivo al giorno successivo.

La mattina dopo la sveglia suonò alle sette in punto, ma lui era già in piedi da tre ore. Scese in cucina con cappotto e cartella, ignorando lo sguardo sconvolto di Burt che beveva il suo caffè quotidiano prima di andare al lavoro; non rispose quando gli venne chiesto “ragazzo, ti sei svegliato con una molla sotto ai piedi?”. Si limitò a mugugnare qualcosa e ad aspettare Finn in salotto assieme ad un muffin caldo. Almeno il correttore aveva funzionato bene, visto che suo padre non aveva notato le profonde occhiaie e i suoi occhi arrossati dalla stanchezza. Il viaggio verso scuola fu silenzioso, fatta eccezione per il fratellastro che continuava a blaterare di compiti in classe, football e Rachel; l’immagine di lui coperto di granita riaffiorò nella sua mente, fredda ed affilata, e dovette impiegare tutte quelle poche forze che aveva per mandarla via.

La classe era ancora semi vuota, essendo arrivato in largo anticipo rispetto ai suoi standard; con sua grande sfortuna non trovò Mercedes, ma Santana. E no, sentire qualche suo commento piccante su eventuali amanti superdotati non era davvero confortante. Passò qualche minuto ignorando bonariamente le Cheerios esaltate che gli chiedevano quale tipo di marca indossasse oggi, così da poterlo emulare meglio, e tentò anche di non dare ascolto alle battute infelici di qualche giocatore di hockey che lo stava osservando.

Hei, Hummel – lo avevano chiamato, già ridendo sotto ai baffi – ti facevo gay, ma non ti facevo un tipo da incesti.”

E no, quello era troppo. Si voltò di scatto verso quei ragazzi facendo appello a tutto il suo buon senso per non mandarli a quel paese seduta stante. Invece, si limitò a fissarli, con quegli occhi color ghiaccio che li fecero zittire per qualche secondo, prima che uno dei due dicesse: “Sappiamo che ieri ti sei chiuso in bagno con il tuo fratellone adorato. Avevate qualche conto in sospeso da saldare?” Proferì, con voce melliflua e diabolica, e subito dopo diede un cinque ad un altro ragazzo divertito. A Kurt non faceva ridere per niente. Perché quegli idioti sapevano benissimo che Finn si era preso una granita in pieno viso, e non si dovevano permettere nemmeno con il cervello di prendere in giro lui, sé stesso o chiunque altro lo riguardasse. Avrebbe potuto rispondere in tanti modi: avrebbe potuto dire ad alta voce di come non fosse riuscito a fare sesso con Cindy per ansia da prestazione, oppure, più meschinamente, perché magari quella donna, la donna in generale, non era il suo tipo, e avrebbe potuto aggiungere qualche commento poco veritiero su come lo avesse fissato durante gli allenamenti delle cheerleader. Ma non era quel tipo di persona. No, con sua grande sorpresa si trovò a correggersi da solo pensando che non era più quel tipo di persona. Poco tempo fa non si sarebbe fatto problemi nel rispondere a tono a quei tizi; poco tempo fa era fiero e superiore al resto del mondo, si sentiva intoccabile. Adesso, invece, mentre provava in tutti i modi a trovare una frase altrettanto tagliente, ma non offensiva, si rese conto di essere cambiato, di aver perso gran parte della sua maschera; non si sentiva più fiero e superiore, ma vulnerabile. Si rese conto di assomigliare tremendamente al Kurt che era solito mostrarsi con Blaine, quando non c’era nessun altro a interferire.

I giocatori di hockey lo guardarono, come guardavano qualche ragazzo che avrebbero gettato nel cassonetto dopo le lezioni. E poi, uno dei due diede una gomitata all’altro e sussurrò “lascia stare”.

Perché era il capitano dei Cheerios; perché la Sylvester gli avrebbe fatto passare un brutto, bruttissimo quarto d’ora se avrebbero osato toccare la sua punta di diamante, e loro non potevano permettersi di venire espulsi a tre mesi dal diploma.

Quando finalmente vide la sua migliore amica non le fece nemmeno varcare la soglia: scattò dalla sedia, corse verso di lei e la trascinò nell’angolo più isolato possibile mentre lei continuava a chiedergli che gli fosse preso e perché assomigliava ad un vampiro che non si cibava da giorni.

“Sul serio, hai dormito?” Esclamò tra un respiro e l’altro, cercando di star dietro al suo passo lungo ed agile. Lui tagliò corto e disse “no, forse ho dormito tre ore in totale”, e Mercedes in tutta risposta stava per cominciare un lungo monologo su quanto il sonno fosse importante e su come non dovesse sciuparsi, quando tutto ad un tratto lo vide finalmente arrestarsi in mezzo al corridoio vuoto. Le lezioni erano cominciate da qualche minuto, ma nessuno avrebbe criticato un paio di Cheerios fuori, visto che spesso venivano chiamati in ufficio dalla Sylvester. Kurt si voltò di scatto e guardandola con serietà prima di parlare. In verità, non ci fu bisogno di dire niente: la ragazza cominciò a tartassarlo di domande sul compito e su quanto avesse preso, ma non era quello il punto in questione.

“ ’Cedes... –balbettò Kurt, dopo qualche vano tentativo - prima due ragazzi mi hanno sfottuto, e io non sono riuscito a dire niente.”

Lo disse come se fosse la cosa più incredibile del mondo; lo pensò anche Mercedes, dal momento che fece una faccia alquanto sconvolta.

“Niente di niente? – Domandò – Nessuna frecciatina, nessuna risposta acida?”

“Non ci sono riuscito.”

E la frase aveva un continuo, situata nella sua mente, celata tra le pareti del suo cuore. Era un nome. Era la certezza di essere completamente, incondizionatamente, legato a quella persona.

“E’ per via di Blaine.”

Non ci fu nemmeno il bisogno di porre quella frase come domanda: Mercedes aveva capito, capiva sempre.

“Vi siete baciati?”

Cercò di contenere la sua delusione non appena vide l’amico scuotere la testa.

“E allora…che è successo?”

“Mi ha detto che spetta a me scegliere. Che dipende da me.”

E Mercedes comprese. Perché il volto di Kurt si rabbuiò, e lei lo avvolse subito in un abbraccio confortante. Perché sentì il suo cuore battere all’impazzata, e sapeva benissimo che era una fusione di molte emozioni tutte insieme. Troppe, forse, da addossare ad un ragazzino con tante sicurezze, ma altrettante paure.

“Non so cosa fare.”

Quella piccola ammissione avvenne tramite un sussurro, che percepì come un brivido.

“Mi piace così tanto Mercedes, non so cosa fare.”

Avvolse ancora di più le braccia intorno a lei, e inspirò forte il suo profumo: Mercedes era l’unica ragazza che lo conosceva per come era davvero, e sarebbe stata la sua migliore amica, qualunque fosse stata la sua decisione. Per questo il suo profumo era molto buono. Ma non quanto quello di Blaine.

 

 

Incredibile come una giornata possa trascorrere così velocemente, quando a riempirla ci sono tanti e complicati pensieri.

Kurt si chiuse la porta di casa alle spalle, e fu come aver chiuso un po’ del resto del mondo dalla sua vita: non c’erano più campanelle e fischi assordanti della coach, ma un silenzio confortante e la certezza di essere finalmente da solo; così, per la prima volta dopo tanto tempo, concesse ai suoi pensieri di scorrere liberi e numerosi, di attraversarlo completamente, di riempirlo di emozioni mai provate disorientandolo talmente tanto che fu costretto a sedersi da qualche parte, cercando di riacquistare l’equilibro.

Suo padre gli aveva sempre insegnato una cosa, che non andava dimenticata mai: analizzare tutte le opzioni e non farsi prendere dal panico.

Quindi, l’opzione numero uno era: aver passato il compito, rimanere nei Cheerios e continuare quegli ultimi tre mesi di scuola con la consapevolezza che non gli sarebbe successo niente.

Era una bella visione; tuttavia, assaporandola gli sembrò molto amara. Sapeva di inconsistenza, di solitudine, di codardia e di rassegnazione.

E poi, con un grande respiro, si trovò a contemplare l’opzione numero due: non aver passato il compito e, di conseguenza, essere sbattuto fuori dai Cheerios.

Sarebbe stato un inferno. Sarebbe stato tutto ciò che aveva sempre temuto; ma sarebbe stato con Blaine.

Quando Finn entrò in casa, con il borsone degli allenamenti e l’aria soddisfatta, salutò velocemente suo fratello e non appena lo vide meglio tornò indietro: teneva le gambe strette al petto e il viso posato sulle ginocchia, con la schiena che ondeggiava piano mossa da dei respiri lunghi e calcolati. Gli chiese se stesse bene, e a quella domanda lo vide annuire con un breve cenno della testa, senza fare altro.

Si strinse nelle spalle: sapeva che c’erano dei momenti in cui Kurt non voleva essere disturbato, e a quanto pareva era in uno di quelli. Burt e Carole sarebbero tornati per cena, così andò a farsi una doccia e ad infilare i vestiti dell’allenamento nella lavatrice lasciandolo alle sue riflessioni; troppe. Gli faceva male la testa, era stanco e spossato, non ne poteva più di tutta quella situazione e si ritrovò a maledire il suo cuore, che lo aveva portato ad una situazione simile. Se non ci fosse stato lui sarebbe stato tutto più semplice, pensò; ma poi, si ritrovò a ringraziarlo. Perché era proprio merito suo se adesso il solo pensare a due paia di occhi nocciola gli fece scaturire un minuscolo sorriso, tenero, pieno di adorazione.

Ed era troppo triste pensare di dover ritornare a fare le cose che faceva prima di conoscerlo, perché, semplicemente, non poteva: dopo un mese intenso, strano, emozionante, bellissimo, passato insieme a Blaine, Kurt si rese conto di volerne di più.

Finn attraversò il salotto con il suo accappatoio blu e le sue pantofole giganti a forma di elefante – regalo di Natale della zia - canticchiando una qualche canzone dei Journey; con la coda dell’occhio lo seguì, all’inizio, perché spinto dalla curiosità di sentirlo cantare. Cambiò totalmente espressione non appena lo vide aprire il frigo della cucina tirando fuori una barretta di cioccolato bianco ancora incartato ed immacolato.

“Non la mangiare!”

Il fratello si voltò di scatto, stravolto: dal tono di Kurt sembrava dovesse evitare di compiere un omicidio.

“Non la mangiare”, ripeté lui, come una supplica, abbassando lo sguardo a terra e completamente imbarazzato.

Finn, con ancora la mano a mezz’aria, osservò quel cibo così misterioso continuando a rimanere incredulo: “Eddai Kurt! Ho fatto tre ore di allenamenti, posso permettermi un po’ di cioccolata!”

“Non è per quello.” Dio, a volte odiava la non-perspicacia di suo fratello. “E’…è mia.”

Ovviamente, la reazione allibita di Finn, se possibile, esagerò ancora di più.

“Ma che dici? Hai sempre odiato la cioccolata bianca. Hai sempre detto che è la versione albina del fondente, che è inutile, che non la puoi sopportare, che-“

“Ho cambiato idea.”

Sperò almeno che le sue guance non fossero rosso ciliegia, ma quanto meno un rosso porpora un po’ sbiadito. Il commento eloquente del fratello fu un semplice “ah”, ma dopo aver riflettuto per qualche secondo aggiunse: “E perché non la mangi?”

“Perché non mi piace.”

“Ma scusa –replicò Finn, sventolando la cioccolata in aria - allora perché la conservi?”

“Perché… mi piace.”

Ci fu una piccola pausa; il fratello abbassò le braccia, sconfitto. Distante com’era, non riuscì a udire la voce di Kurt sussurrare: “Mi piace lui.” Si limitò a mettere la barretta al suo posto, in un cassetto piccolo situato su un lato e riservato a tutti i tipi di merendine e dolci. Dopotutto, per lui quello era solo un pezzo di cioccolata.

 

 

“Blaine lo sai che oggi sei particolarmente sexy e splendido e quello che ti pare?”

L’interpellato sollevò lo sguardo dal vassoio della mensa soltanto per lanciarne uno scettico a Brandon, il capo del club di informatica del McKinley. Lo aveva riconosciuto non appena udita la sua voce alta e raschiata, senza bisogno di soffermarsi sui suoi capelli color carota e le lentiggini sparse un po’ per tutto il viso: era il classico ragazzo che non aveva bisogno di presentazioni, non si faceva scrupoli ad essere indiscreto, soprattutto se il soggetto era Blaine; forse era anche vero che quei jeans nuovi, assieme al viso libero dagli occhiali ed una polo scura gli donassero un’aria alquanto affascinante, ma il suo esordio con tanto di sorriso a trentadue denti poteva significare solo una cosa: “Formattazione o riparazione?”

A giudicare dal suo silenzio, intuì la seconda. Posò il vassoio con un grande sospiro e si diresse nell’aula del club di informatica, dove in pratica era diventato un membro onorario: ogni qual volta uno di quei computer vecchi e arrugginiti si bloccavano, sapevano benissimo che potevano contare sull’aiuto di Blaine Anderson, che in quel campo era semplicemente il migliore; lui, dal canto suo, era troppo buono per dire di no: anche perché gli regalavano sempre delle armature buonissime a WoW e si sentiva più che ripagato.

Si sedette alla sua postazione, strofinandosi un paio di volte gli occhi chiari perché la luce dello schermo lo infastidiva, essendo in contrapposizione con la penombra della stanza: non avrebbe mai capito perché quei ragazzi si rifiutavano di accendere le luci, o aprire le finestre; con tutti quei fili invisibili sparsi per terra si chiese anche come diavolo facessero a non inciampare.

Brandon con l’ennesimo complimento nemmeno tanto velato lo esortò a cominciare, e così Blaine si sfregò le mani e prese ad armeggiare con la tastiera, conscio che sarebbe rimasto in quel posto per minimo mezz’ora.

 

Kurt camminava per i corridoi spinto da chissà quale forza misteriosa; di sicuro non erano le sue gambe, in quanto gli allenamenti dei Cheerios lo avevano sfiancato fisicamente e psicologicamente. La sera prima era riuscito a dormire grazie a mezzo litro di camomilla, ma rimaneva comunque quella sensazione di spossatezza e nervosismo che non lo faceva calmare. Mercedes si avvicinò al suo armadietto mentre era impegnato ad aggiustarsi i capelli in modo da non sembrare un cadavere ambulante.

Stava per dire qualcosa, ma poi Santana l’anticipò dando una leggera gomitata sul fianco di Kurt e facendolo voltare: “Sei stato dalla va-da-sé?”

Quella domanda era più rischiosa di quanto non sembrasse. Perché se gliel’aveva fatta, voleva dire che…

“Esatto Hummel – affermò la ragazza – ha corretto i compiti.”

In meno di un minuto, Kurt si trovava davanti alla porta della professoressa, con il fiato corto e tremante. La donna gli rivolse soltanto un piccolo sguardo d’intesa, prima di estrarre un foglio da un plico fermato con dell’elastico e offrendoglielo con un’espressione indecifrabile.

Kurt prese quell’insieme di numeri e formule con il cuore che non accennava a smettere di agitarsi, la gola secca e disidratata mentre gli occhi limpidi e grandi trovarono finalmente il risultato del voto cerchiato in rosso.

 
 

Blaine stava quasi per perdere la pazienza e abbandonare completamente quel computer, specie ora che non c’era più nessuno a “sorvegliarlo”: gli altri erano andati a mangiare, oppure, in classe, e lui era rimasto solo con i suoi cd e programmi. Prima o poi avrebbe buttato quei computer dalla finestra, così almeno la scuola aveva una buona scusa per comprarne di nuovi.

Ancora immerso nei suoi pensieri omicida sentì la tasca dei pantaloni vibrare in modo frenetico. Ma no, non era Rachel come aveva sospettato, era Kurt: “Dove sei?”

Gli rispose velocemente, incuriosito e anche un po’ emozionato. Si alzò in piedi e per poco non cadde a terra intrecciandosi con i fili che stavano sul pavimento: perde l’equilibrio, si aggrappò allo schermo del computer e ci impiegò diversi minuti a districarsi tra tutti quei fili e in mezzo a quella sottospecie di buio.

Nel frattempo, si sentiva un rumore di passi farsi sempre più vicino e, subito dopo, la porta della stanza fu aperta e richiusa. E Kurt era lì, ad un metro da lui, con un foglio in mano e un’espressione indecifrabile in volto.

Un sussurro: “Ce l’ho fatta.”

Il momento dopo, aveva scavalcato computer e fili per finire esattamente tra le sue braccia.

“Ho preso B- Blaine.” Continuava a ripetere in modo sconnesso ed incoerente, con il ragazzo che lo stringeva a sé e scoppiava in una tenera risata.

“Beh – appurò Kurt – c’è quel meno un po’ fastidioso, ma è pur sempre una B, no?”

“Certo che è una B – rispose lui, entusiasta – è una perfetta B! Oh Kurt, sono così felice per te.”

E lo era sul serio; per questo rimase un po’ confuso nel sentire il corpo dell’altro irrigidirsi di colpo, per poi sciogliere l’abbraccio ed allontanarsi di un passo. Riusciva a malapena a vederlo nella penombra di quella stanza, ma i suoi occhi erano chiari, limpidi, sembravano godere di luce propria mentre si incatenavano ai suoi.
Era stato troppo preso dall’euforia del momento per rendersi conto delle conseguenze di quel voto: “Resti nei Cheerios.”

Provò a dirlo in modo sereno. Provò ad essere soddisfatto per lui, ma non lo era. Il punto era che Kurt lo stava fissando e sembrava supplicargli di fare qualcosa; perché non ce la faceva a scegliere da solo, non ce la faceva ad abbracciarlo senza sentirsi bene e completo.

Blaine abbozzò un piccolo sorriso.

“Ci sono ancora i caffè della scommessa.”

Kurt non disse niente, così continuò: “ci saranno miliardi di compiti in classe da qui alla fine dell’anno, e noi due potremmo…beh, potremmo fare ancora qualche altra ripetizione.”

Non è giusto. Era ciò che gli stava comunicando Kurt con i suoi occhi. Sembrava urlarlo, in verità. Non è giusto, non è giusto, non è giusto.

Perché Kurt voleva Blaine; perché chiamò il suo nome, e lo disse in modo quasi disperato, come bisognoso di qualcosa che non sapeva se fosse in grado di fare. Blaine si ammutolì di colpo. Provò a dire qualcosa, ma non ci riuscì; emise qualche sussurrò, tra un fremito e l'altro, ma la voce sembrava essere completamente sparita dal suo corpo. Voleva sentirglielo dire. Voleva avere la conferma che non fosse un sogno, no, e che quella espressione era completamente dedicata a lui. E Kurt voleva farlo, così tanto, che non riusciva a muoversi dall'emozione.

Entrambi, in quel preciso istante, capirono di volere una cosa sola.

E sapevano benissimo che non potevano, perché avrebbe solamente peggiorato le cose; perchè era inutile, doloroso, da veri e propri masochisti. Perché Kurt sorrise, e quando le sue labbra morbide si incurvarono dolcemente all’insù, il cuore di Blaine perse qualche battito. Perché lo vide avvicinarsi e con mani tremanti sfiorare ed intrecciarsi alle sue; perché pensò di non aver mai visto qualcosa di più bello, e con quella consapevolezza impressa nella mente sentì le sue labbra morbide e fresche adagiarsi sulle sue, e poi tutto il resto del mondo perse di atmosfera.

Perché anche nel buio di quella piccola stanza di informatica, i loro cuori brillavano, di una luce che non può essere descritta con semplici parole.

E le loro bocche si trovavano con lentezza, si assaporavano dolcemente: era strano, era nuovo per entrambi, eppure, completamente familiare. Era Kurt a baciare Blaine, ed era buono, dolce e carico di emozione; ma quando quest’ultimo ricambiò le loro lingue si intrecciarono con passione e le loro mani si strinsero con più decisione, mentre i loro corpi eliminavano qualsiasi distanza aggrappandosi l’uno all’altro.

Si staccarono. Che cosa crudele dover respirare, fu come tornare alla realtà fatta di aria e sospiri.

E Blaine, ancora incredulo, euforico, dolce e perfetto, posando la fronte sulla sua commentò: “quando penso che tu faccia zig, ecco che fai zag.”

Risero, erano completamente a loro agio l’uno con l’altro: erano sempre loro due.

“Grazie, –disse Kurt, esitando un poco - per…tutto.”

Il sorriso di Blaine si fece più luminoso mentre si avvicinava al suo rispondendo: “prego, è stato un piacere.”

Un altro bacio.

“Un immenso piacere” sussurrò, prima di baciarlo ancora, e subito dopo le mani di Kurt erano sulle spalle di Blaine, quelle di Blaine sulla sua schiena, e decisero che qualsiasi altro discorso potesse aspettare.

 

**

Angolo di Fra

 

Fatemi le congratulazioni per questo bellissimo parto! Il travaglio è stato lungo e complicato…ma ce l’ho fatta. Sono fiera di me. Per chi non avesse afferrato il titolo e la frase del zig e dello zag, è quella che dice Blaine a Kurt nella 3x03: "you always zig when I think you're about to zag". Non sapevo come tradurla in altri modi, purtroppo, so che in inglese rende molto meglio.
Bene, ora mi siedo, tranquilla tranquilla, vi passo un po' di cioccolata bianca e di tè verde così parliamo un po' di questo capitolo. Vi va? E' il più importante di questa storia, quindi sono davvero ansiosa di sapere i vostri pareri. Per precauzione vado a fare compagnia a Nick nascondendomi dietro al cartonato di Assassin’s Creed.
Un bacione immenso a tutti!.

 

 

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Capitolo 16
*** If I tell you, will you stay? ***


Capitolo 16
If I tell you, will you stay?

 
 


 
Il telefono continuava a squillare a vuoto, e Blaine cominciò a pensare che ci fosse qualche problema: Rachel di solito rispondeva dopo la terza, quarta chiamata effettuata,  e arrivati al decimo tentativo il ragazzo si sedette sul letto, incrociò le gambe e aspettò pazientemente che scattasse la segreteria; le avrebbe parlato, in un modo o nell’altro. Anche perché se non lo avesse fatto probabilmente avrebbe sentito le sue lamentele per tutta la vita.
“Rachel, sono io” esordì, dopo essersi schiarito la voce e aver trovato il coraggio di dire quelle parole. “Sono…sì, insomma, sono Blaine.” Perché, in fondo, non stava cercando di perdere tempo sperando che il messaggio vocale finisse prima, no, affatto: già la sola idea di quello che era successo quella mattina gli faceva girare la testa costringendolo a prendere un profondo respiro, cosa sarebbe successo una volta ammesso ad alta voce?
Ad ogni modo sapeva che sarebbe stato tutto più difficile con Rachel in linea, così decise di approfittare del momento; dopo qualche secondo di imbarazzante silenzio riprese finalmente a parlare.
“E quindi…niente.” No, non niente. Tutto. Era davvero tutto. “Volevo solo dirti ch-“
“Pomodorini.”
Ed ecco che il suo viso, da sereno e sognante, diventò completamente scandalizzato. No, di certo non si aspettava di sentire la sua voce né, tantomeno, quella frase. Forse aveva capito male, così provò di nuovo dicendo: “…come scusa?”
Rachel sbuffò, portando una mano sul fianco: Blaine era snervante quando le rivolgeva quel tono lì, quello da “sei pazza-e-sai-di-esserlo”. Anche a chilometri di distanza poteva immaginarsi i suoi occhi nocciola assottigliarsi in modo cinico, e le sue sopracciglia alzarsi lentamente. Non era così ridicolo, e non era colpa sua. Quella centrifuga aveva fatto tutto da sola, era sicura che fosse stata posseduta dopo qualche televendita di elettrodomestici alla tv. Lei era assolutamente convinta di tutte quelle cose; il tutto, però, stava nel spiegarlo anche a Blaine.
“Sono dovunque –sentenziò- sul tavolo sul letto sui mobili arrampicati alle pareti di casa-“
“Rachel, calmati, respira.” Era indeciso se scoppiare a ridere o chiederle seriamente se fosse sana di mente. Alla fine fece un po’ entrambe le cose, dal momento che chiese “sicura di non aver bevuto?”
“Ma non lo so Blaine – fece lei, con tono stizzito ma teatrale, rispondendogli come se le avesse appena chiesto come stava e come le sembrava il tempo di quel pomeriggio – ho la casa completamente invasa da pomodorini e io non ho la più pallida idea di come pulirla e lo sapevo che questo dannato attrezzo era spiritato!”
Sorvolò elegantemente sull’ultima frase, perché doveva affrontare una stranezza per volta, altrimenti non sarebbe sopravvissuto: “Ma mi spieghi come hai fatto?”
“I miei sono andati a cena fuori, mi era sembrato un buon momento per provare un nuovo piatto con la ricetta della cuoca personale di Patty Lupone, e alla fine con tutto quel paté e consommé e m’importa-a-mé ho finito per scatenare la terza guerra mondiale. Vegana. In casa mia!”
Blaine si concesse il tempo per fissare la parete di camera sua in silenzio.
“Pomodorini.”
“SI’ BLAINE, POMODORINI! Perché ti riesce tanto difficile credere che un chilo di pomodorini-“
“Ho baciato Kurt.”
“-che sembrano fissarmi con dei sorrisetti inquietanti e aspetta un momento, che cosa hai detto?”
“Ho baciato Kurt, Rachel.”
Silenzio.
“Tu avevi questa notizia da darmi e mi hai fatto continuare per tre ore con la cosa dei pomodorini?”
“Era una storia interessante.”
“OH MIO DIO BLAINE!”
Ed eccola lì, la reazione che si aspettava: perché sì, cavoli, era una cosa che aveva dell’incredibile, e lui poteva ancora sentire il sapore di Kurt sulle sue labbra, e nonostante si fossero salutati soltanto qualche ora prima gli mancava già, terribilmente. Fu costretto, ovviamente, a raccontare tutto, nei minimi dettagli, e così facendo si ritrovò a riepilogare la scena insieme a Rachel, perdendosi in sorrisi, sospiri, sguardi languidi e immagini sin troppo dolci, per il suo povero cuore. Alla fine di un racconto che suonò quasi come una favola Blaine attese qualche secondo e chiese: “Allora?”
Per un attimo l’unico commento della sua migliore amica fu: “…Forse potrei dare ripetizioni di canto a Finn.”
“Rachel!”
“Scherzavo!”
“No che non scherzavi!”
La ragazza ridacchiò: Blaine sapeva mettere il broncio perfino attraverso il tono di voce.
“Scusa, va bene? Parliamo di te, solo ed unicamente di te. E’ fantastico Blaine!”
“Lo so…” mormorò, incantato. Altro che fantastico: era sublime. Era perfetto. Era tutto ciò che aveva sognato e, forse, anche di più.
“Ma…adesso? - Incalzò Rachel, riportandolo alla realtà – Come farete con, insomma, con gli altri?”
Blaine si distese sul letto, affondando tra cuscini e riviste di videogiochi.
“Non ne abbiamo ancora parlato.”
Ripensò a come quel momento fosse stato magico, e a come entrambi, tacitamente, avevano evitato di rovinarlo: la campanella era suonata dopo un tempo che sembrò troppo breve, e così facendo furono stati costretti a separarsi: dei sorrisi, degli sguardi brillanti e vivaci, e poi si erano augurati buona lezione, senza però privarsi di un ultimo piccolo bacio. Ci sarebbe stato tempo per affrontare le conseguenze di quell’azione. Oppure, per capirne le cause: perché, lo sapeva, Kurt aveva un piano. Lo aveva capito quella mattina, quando aveva abbandonato ogni resistenza e lo aveva baciato per primo: non avrebbe mai fatto un gesto simile senza una decisione precedente. Quindi, doveva soltanto capire che razza di piano fosse, e sperò con tutto se stesso che fosse buono.
 


Burt Hummel non si domandò perché Kurt fosse tornato così presto, saltellando per la stanza e salutando Carole con uno schioccante bacio sulla guancia; non si domandò nemmeno sul suo sorriso, raggiante, talmente intenso da poter illuminare una stanza intera; non lo fece, perché lo sapeva. Insomma, bastò guardarlo negli occhi cristallini, parlarci per un secondo ed osservare la sua espressione imbambolata ed ascoltando la sua voce melliflua. Tutto di lui sembrava urlare “sono felicemente felice, felicissimo”. L’istinto paterno lo portò immediatamente a proteggerlo, a chiedergli cosa diavolo fosse successo di così eclatante e, magari, se poteva anche dargli codice fiscale e indirizzo di questo fantomatico amico misterioso. Qualche giorno prima ne aveva avuto il dubbio, adesso aveva ricevuto la conferma ufficiale, e non era nemmeno sicuro di volerla. Kurt era giovane, era ancora molto insicuro su se stesso. Aveva un brutto presentimento e non era sicuro di poterne parlare con suo figlio. Lui, dal canto suo, fu sovraeccitato per tutta la cena, era sempre tra le nuvole e ogni volta che riceveva un messaggio sul telefono sobbalzava come se prendesse la scossa elettrica; la cosa peggiore era che, sicuramente, non si rendeva nemmeno conto della sua palese euforia, perché non riusciva a contenerla. Kurt sprizzava di gioia. Sembrava sereno come non lo era da tempo, forse, da tutta la vita; Carole guardò il marito mossa da tenerezza e compassione, dopodiché gli diede un leggero bacio sulla guancia, sussurrandogli che “è solo un ragazzo alle prese con la sua cotta adolescenziale, non ti preoccupare”. Ma era proprio quello il problema: era troppo emozionato per considerare tutte le possibili opzioni della faccenda, e anche se detestava pensarlo Kurt doveva essere molto cauto; non era solo del suo cuore che si stava parlando. Sperò che lo sapesse.


 
Quella sera, di fronte ad un film piuttosto noioso e a dei compiti ancora più strazianti, Kurt ricevette l’ennesimo sms di Blaine e in tutto quello constatò di non essere affatto stanco di ricevere tutte quelle attenzioni: “Che stai facendo?” gli aveva chiesto, in tono vago, senza faccine o altri indizi particolari.
Rispose dicendo la verità e pochi secondi dopo lesse: “Queste ripetizioni ti hanno fatto male, signorino Hummel. Stai prendendo la brutta abitudine di studiare troppo. Sei troppo impegnato perfino per passare un paio d'ore insieme a me dopocena?”
No, ovvio che no: Kurt avrebbe fatto di tutto per rivedere di nuovo il suo viso, per assaporare di nuovo le sue labbra che…Dio, le sue labbra. L’immagine di loro due avvinghiati nel buio di quella stanza di informatica gli piombò esattamente davanti agli occhi, e le sue guance si tinsero di un rosso acceso non riuscendo a trattenere un sospiro di piacere. E adesso, l’idea di poter assaporare di nuovo quella sensazione di bellezza e perfezione lo mandava su di giri: “Blaine Anderson – scrisse, leggermente agitato – mi stai forse chiedendo di uscire per un appuntamento?”
La risposta fu abbastanza chiara: “Solo se dirai di sì.”
Non ci provò nemmeno a calmare il suo cuore che batteva all’impazzata, perché era soltanto una minuscola parte di tutto ciò che stava provando in quel momento e che non riusciva più a contenere, in nessun modo: non riusciva più a non pensare a Blaine; non riusciva più a non pensare a quanto sarebbe stato bello stare con lui, ogni giorno e ad ogni ora. Adesso che aveva avuto la percezione di quello che sarebbe potuto essere, si era già trasformato in quello che sarebbe diventato.
Dopo aver annunciato a suo padre che usciva per farsi una passeggiata – con Mercedes, sottolineò, nel secondo in cui il suo viso si era rabbuiato di colpo – salì in camera sua per afferrare cappotto e chiavi della macchina, ma in mezzo al corridoio finì per imbattersi in Finn, letteralmente: urtò contro il suo corpo di un metro e novanta e fu costretto a fare un passo indietro per non cadere. Alzò la testa seccato, ma l’espressione titubante del ragazzo lo fece esitare.
“Tutto bene?” Lo squadrò dall’alto verso il basso, pensando che gli dispiaceva per il suo apparente stato di ansia, ma lui aveva un impegno piuttosto importante e non voleva assolutamente far tardi.
A quanto pareva, però, suo fratello era di un altro parere: “Senti…posso parlarti un attimo?”
Era strano; suo fratello non gli aveva mai parlato con quel tono serio, come intenzionato a fare un discorso molto importante.
“C’è qualche problema?” Gli domandò, un po’ confuso e, sì, anche preoccupato. Finn sembrò indeciso su cosa dire, come se stesse per violare qualche strano giuramento.
“Io…hem…Rachel mi ha detto che…”
“Rachel?” Si ricordava di lei: era la migliore amica di Blaine; si ricordava di qualunque cosa riguardasse Blaine.
“Beh, sì dai, di tu e Blaine!”
Oh.
“Non dirle che te l’ho detto!” E fu in quel preciso istante che le sue labbra si serrarono in una smorfia, le sue braccia si incrociarono all’altezza del petto e Finn tutto ad un tratto si sentì molto, molto stupido.
“Oh.” Commentò Kurt, atono. Perché, insomma, era giusto, Rachel era la confidente di Blaine; era un po’ meno giusto che fosse andata a spifferare i fatti loro al suo bel fidanzatino, e così un piccolo moto di nervosismo prese istintivamente il sopravvento; tuttavia, ogni sua frase acida fu brutalmente annientata dalla sua reazione.
“Volevo solo dire - mormorò Finn, guardandosi la punta dei piedi e sembrando anche un po’ tenero, in tutta quella timidezza – che, ecco, sono contento per voi due. E’ strano: io sto con Rachel, tu stai con Blaine… però è forte.”
Lui stava con Blaine.
Era questo quello che aveva detto lui a Rachel? Gli aveva detto che stavano insieme?
E Finn, lui, sembrava sinceramente contento; e allora, perché Kurt continuava a sentirsi come se fosse stato appena calpestato, come se quello che stava facendo fosse sbagliato?
“Grazie”, sussurrò. Si sentì in colpa per i suoi stessi pensieri; salutò velocemente suo fratello, dopodiché afferrò chiavi e cappotto e si diresse velocemente alla macchina.
 

 
Sembrava che non si vedessero da una vita; probabilmente qualcuno li avrebbe scambiati per una coppia che si era ritrovata dopo mesi, perché i baci che si stavano scambiando, dentro a quella macchina, completamente isolati dal resto del mondo in quel piccolo parcheggio anonimo, erano tutto fuorché casti: erano intensi e passionali, pieni di parole non dette e di respiri rubati. Le loro mani erano completamente intrecciate e non sembravano intenzionate a staccarsi molto presto; entrambi sapevano che, forse, viste le circostanze, era meglio smetterla e piuttosto impegnare le proprie bocche per parlare, ma nessuno dei due aveva voglia di allontanarsi dalle labbra dell’altro e sembrava quasi una sfida silenziosa a chi avesse il coraggio di cedere per primo. Le cose cominciarono seriamente a degenerare quando Blaine, con respiro affannoso e pesante, portò Kurt a cavalcioni sopra di lui rischiando perfino di farlo sbattere contro il tettuccio dell’auto, e senza dargli nemmeno il tempo di lamentarsene prese di nuovo a riempirlo di baci impetuosi stringendo saldamente i suoi fianchi e mordicchiando il labbro inferiore adesso evidentemente gonfio e arrossato.
Kurt si odiò profondamente per quello che stava per fare, ma alla fine, mosso da chissà quale minuscolo neurone rimasto ancora vivo nel suo cervello, si staccò da lui e mise entrambi le mani sopra al suo torace. Il calore emanato dal suo corpo, coperto soltanto da una maglietta sottile, fu abbastanza per farlo deglutire a vuoto sentendosi senz’aria.
“Aspetta” sospirò, e Blaine fu costretto a fermarsi, abbozzando un sorriso luminoso e fissandolo con quei suoi grandi occhi chiari. Il solo modo con cui lo stava guardando gli fece venire voglia di ricominciare tutto daccapo.
“Noi due – biascicò, e l’altro fece un impercettibile cenno con la testa incitandolo a continuare – voglio dire…ci stiamo mettendo insieme, non è così?”
“Così pare” rispose allora, ridacchiando appena, per poi avvicinarsi lentamente al suo viso e socchiudendo gli occhi; perfino le sue ciglia sembravano eccitanti, e no, diavolo, così non sarebbero mai riusciti a parlare.
“No, Blaine – tentò di dire, con scarsissima decisione – io… devo dirti una cosa.”
“Anche io devo dirti una cosa – ribatté lui, baciandolo in un punto indefinito sul collo – temo di aver ottenuto una forte dipendenza dalle tue labbra e non sono sicuro che sia curabile.”
Kurt sorrise, perché era tutto ciò che voleva sentirsi dire, perché Blaine era splendido e ogni sua mossa, ogni sua parola, non facevano altro che convincerlo ancora di più.
“Io…so che questa cosa, tra di noi, sarà abbastanza problematica.” Non fu un discorso molto eloquente, ma Blaine continuava a baciarlo con veemenza, quindi si complimentò anche solo per essere riuscito a finire la frase. Tra un brivido e l’altro riuscì a sentire la sua voce provocante commentare: “non mi offendo se non mi saluti per i corridoi…” prima di incrociare di nuovo il suo sguardo ed ecco, quello era stato un colpo basso e Blaine lo sapeva bene. Soltanto diversi baci dopo Kurt ritrovò la forza per parlare, chiudendo gli occhi di scatto: una parte di sé si domandò se fossero scuri e carichi di emozioni quanto quelli di Blaine.
“Ma io ti voglio salutare, Blaine.” Lo disse tutto d’un fiato, con una sicurezza che non pensava di avere; non in quella situazione, per lo meno. Fu felice nel constatare di aver ottenuto l’effetto desiderato perché Blaine, adesso, era rimasto immobile ad un centimetro da lui e lo stava osservando in modo strano.
“Tu... vuoi lasciare i Cheerios.”
Non era una domanda. Lo aveva letto chiaramente negli occhi di Kurt. Se quello era il piano che aveva in mente, pensò che fosse tutt’altro che buono.
“Non voglio far finta di non conoscerti –spiegò lui, acquisendo più entusiasmo man mano che il discorso prendeva forma- non voglio continuare a fingermi un ragazzo cinico e superiore al resto del mondo. Voglio essere libero di tenerti per mano, di parlare con Mercedes, senza che nessuno mi osservi o abbia qualcosa da ridire.”
“Avranno sempre qualcosa da ridire, Kurt.”
Quella frase lo lasciò completamente basito.
“Sì, ma…io voglio te. Io ho scelto te, Blaine.”
Non capiva il perché di quel suo tono serio e preoccupato: cosa c’era di male nel voler stare con il proprio ragazzo ventiquattr’ore al giorno? Lui, tra tutti, avrebbe dovuto capirlo: si era immaginato una reazione di pura felicità, con lui che lo abbracciava ed esclamava che era fantastico. Invece Blaine sembrava incerto e turbato; sapeva benissimo che le cose non sarebbero state facili. Ma insomma, si sentiva pronto, poteva affrontarle.
Blaine gli disse per l’ennesima volta quanto fosse preoccupato, perché non voleva che Kurt lasciasse i Cheerios per lui, non voleva che rischiasse per causa sua. I bulli del McKinley non erano affatto gentili con le loro maniere, e lui forse non si rendeva conto quanto potessero essere pericolosi con un istinto represso per dei lunghissimi anni.
“Non è così – protestò Kurt – loro…sono bravi, a parole, ma non mi hanno mai fatto niente.”
Blaine voleva credergli, sul serio. Ma sapevano entrambi che la verità era molto diversa.
“Ti prego – lo supplicò lui – non lasciare i Cheerios. Lo so che detesti quella divisa per ciò che rappresenta, la odio anche io. E so benissimo che non puoi essere te stesso se vesti i panni di un capo-cheerleader, ma ti sto solo dicendo: non potresti chiudere un occhio per qualche mese? Kurt, che ti importa di quello che pensano gli altri di te? Fregatene se pensano che sei uno stronzo. Fregatene dei loro pareri e delle loro supposizioni.”
“Tu non capisci: ormai sono il simbolo della scuola. E poi, la coach non mi lascerà mai stare con te, nemmeno se la imploro.”
“Questo non puoi saperlo.”
“Ha minacciato di espellermi perché non avevo una C in matematica, secondo te sarebbe più clemente se sapesse che trascurerei gli allenamenti per passare del tempo con te?”
Blaine non disse niente; sapevano entrambi che sarebbe successo, in un modo o nell’altro. Quella sera era stata una prova lampante di quanto avessero bisogno di stare insieme, e nessuno dei due era abbastanza responsabile, maturo o interessato ai Cheerios per lasciare che si intromettessero in qualche bellissima giornata.
E di fronte a tutta quella esitazione, Kurt cominciava davvero a essere seccato.
“Perché non puoi sostenermi? – Sbottò, dandogli un piccolo colpetto sulla spalla, come disperata esortazione – Non mi interessa di beccarmi qualche spintone ogni tanto, posso sopportarlo. Ma adesso ho bisogno che ti fidi di me. Perché io ho bisogno di te, Blaine.”
Quell’ultima frase così piccola, così fragile, uscì senza che lui potesse impedirlo; non sapeva nemmeno perché i suoi occhi avevano cominciato a bruciare, sapeva soltanto che Blaine lo aveva avvolto in un abbraccio pronunciando il suo nome con un sussurro, come se fosse qualcosa di unico e prezioso. Fu in quel modo che ogni tensione, dubbio, difesa, furono completamente cancellate. Perché non si era mai sentito così in contatto con un’altra persona; perché il calore emanato dal suo corpo sembrava un prolungamento della sua anima; gli accarezzò con delicatezza la schiena, e nel momento in cui le loro labbra si incontrarono di nuovo pensò che sì, ne valeva la pena; qualunque cosa sarebbe successa da quel momento in avanti, ne sarebbe valsa assolutamente la pena.


Ma poi tu mi svegli la mattina
E mi fai pensare che
Forse c’è una scorciatoia
Per tenerti ancora qui con me
Mi capisci?
Ho bisogno che ti fidi
E se sbaglio, quando sbaglio stai con me
È così che stanno insieme due amici...(*)


***

Angolo di Fra:


(*)Permettetemi di fare una cosa un po' egoista: con questa parte di "Puoi sentirmi?" ho voluto ricordare il cantante Lucio Dalla. Perchè voglio ringraziarlo. Perchè grazie a lui ho conosciuto mio nonno, anche se non l'ho mai incontrato.

E ovviamente ringrazio anche voi, per tutte le recensioni e i complimenti che mi fate. Non mi stancherò mai di dirvi grazie!
Fra


PS_ Un'ultima cosa: per il prossimo aggiornamento (che al 98% non sarà di Domenica) vi consiglio di guardare su facebook o twitter. Sì, ho creato anche twitter. Mi sento molto trendy.  
                                                

 
 
 

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Capitolo 17
*** Everything is about you ***


Capitolo 17
Everything is about you   







 
Avevano deciso di non parlarne più; di nuovo, avevano deciso di rimandare quel discorso per quando si sarebbero sentiti più pronti. Kurt in realtà sembrava essere convinto della sua decisione, ma Blaine gli fece promettere che ci avrebbe pensato a lungo, che ne avrebbe parlato con qualcuno e che, prima di consegnare la divisa, lo avrebbe avvisato. Forse, sperava di fermarlo in tempo; Kurt assecondò tutte le sue richieste, semplicemente perchè quella sera non aveva nessuna voglia di discutere.
Dopo aver passato un buon quarto d’ora abbracciati in quella piccola macchina, con nient’altro che loro ed il loro silenzio rilassato, erano stati brutalmente interrotti dalla suoneria a tutto volume di Blaine che riecheggiò per l’abitacolo della macchina. Kurt non riconobbe la sigla, ma non era facile immaginare che si trattasse di qualche colonna sonora di uno dei suoi giochi preferiti; nè, tantomeno, gli fu tanto difficile capire l’interlocutore: osservando l’espressione basita di Blaine, i suoi occhi che rotearono divertiti ed un mezzo sorriso che si incontrò con il suo, poteva trattarsi di Nick o di Jeff.
Blaine deglutì a fatica mormorando: “No. Non ci avete disturbato, e ti prego evita quel tono ambiguo.”
Ok, era sicuramente Jeff.
Dopo qualche altro secondo di attesa Blaine provò a balbettare qualcosa, ma veniva sempre interrotto da chissà quale discorso dell’altro, compreso di urli, risate e schiamazzi di gente intenta ad intercettare la conversazione; sconfitto, alla fine si voltò verso Kurt posando una mano per coprire il cellulare: “Ti scoccia se passiamo per un momento dal Lan Party? Jeff sembra su di giri e non credo che mollerà facilmente.”
Si strinse nelle spalle, abbozzando un sorriso e dicendo che non c’era nessun problema: gli piacevano gli amici di Blaine. Certo, a volte erano bizzarri, per non dire strani, ma in fondo sapeva che erano dei ragazzi simpatici e gentili; molto in fondo. Del tipo che per trovare la gentilezza doveva usare un sonar.

Tra un semaforo e l’altro ne approfittavano per scambiarsi qualche piccolo bacio o carezza, con Blaine che voleva a tutti i costi stringere la mano di Kurt anche se gli serviva per cambiare marcia; alla fine risero come matti quando Kurt cambiava le marce per lui sotto le sue direttive: avevano spento la macchina un paio di volte e fatto sbandare la macchina per cinque o sei, ma avevano inventato la penalità che ad ogni errore di uno o dell’altro si dovevano scambiare un bacio: forse era per quel motivo che Blaine ogni tanto rallentava i comandi, o Kurt faceva finta di non aver sentito il rumore del motore. Il viaggio verso il Lan Party non era mai stato così piacevole e quasi sperarono che fosse durato di più; ma poi, non appena slacciate le cinture di sicurezza e finalmente liberi di muoversi, non ci misero molto a realizzare che potevano darsi un bacio più intenso e profondo di quelli fugaci di prima, e che potevano avvicinarsi l’uno all’altro ed intrecciare anche l’altra mano. Passò di nuovo un po’ di tempo, ricevettero l’ennesimo squillo di Jeff e a malincuore si staccarono e s’incamminarono verso il locale. Erano euforici: avrebbero potuto continuare a baciarsi e ridere per l’eternità.
Erano troppo felici e immersi l’uno nel calore dell’altro per badare alle loro mani ancora intrecciate; forse sarebbe stato meglio allontanarsi, almeno per entrare nel Lan Party. Ma non lo fecero. Si resero conto della fatalità di quel gesto non appena ricevettero gli occhi di cinquanta persone puntati su di loro, ammaliati ed increduli, sbalorditi ed esaltati.
Blaine e Kurt ebbero il tempo soltanto per lanciarsi una minuscola occhiata: magari non avrebbero esagerato; magari si sarebbero comportati da persone mature e civili facendo solo piccoli apprezzamenti e, al massimo, espondendo la propria felicità per loro due.
Non avrebbero cominciato ad urlare ed applaudire come dei tifosi da stadio di fronte al gol della nazionale; non avrebbero fatto scenate al limite del ridicolo con Greg che li abbracciava stritolandoli, e i Warblers che intonavano cori di festa; i giocatori non avrebbero cominciato una riot online facendo impallare tutti i computer.
Blaine rimase fermo soltanto qualche secondo prima di dire: “beh, sì, insomma, scusate se non vi avevamo avvertiti.”
Kurt lo guardò con un sorriso luminoso, e fu come leggersi nel pensiero: loro potevano sapere. Loro sarebbero stati felici.
“Credo che...credo che ci siamo messi insieme.”
“Già.” Confermò Blaine, risoluto; la stretta sulle loro mani si fece più salda.
Kurt arrossì appena ed aggiunse: “Pochi minuti fa, a dire il vero.”
“Beh – sussurrò Blaine, come se volesse essere sentito solo da lui - per me era stato chiaro sin dal nostro primo bacio...”
Tutto ad un tratto, sentirono come una specie di tensione nell’aria; non ebbero il coraggio di voltarsi verso i presenti per osservare le loro espressioni; non ebbero il coraggio di allentare la presa sulle loro mani, che adesso si stringevano quasi timorosamente.

Sì: avevano decisamente giudicato il livello di pazzia di quel locale; quel giorno passò alla storia come il delirio collettivo del Lan Party, dal titolo: hip-hip-Kurt-e-Blaine-sono-felici-e-noi-si-va-in-game.”
All’inizio gli Warblers erano stati benevoli: gli avevano solo chiesto ogni minimo dettaglio sulla dichiarazione. Poi cominciarono a degenerare una volta pretesi i dettagli sul bacio, sulla reazione di uno e dell’altro, sui vestiti che aveva Kurt e –Blaine, i vestiti a te manco li chiediamo perchè tanto non ci capisci niente-. Kurt rise, un po’ imbarazzato, ma aveva imparato da tempo a gestire quei ragazzi e se ne uscì dicendo: “tutto il resto è top secret.”
E sì, quello li fece impazzire; ma dopo un’occhiata acida di Blaine che suggeriva loro di non infierire, decisero di metterci una pietra sopra e limitarsi a festeggiare la loro “lieta unione”...con una partita a D&D. E no, Kurt non ne capì veramente il nesso: cosa c’entrava la loro relazione con D&D? Non capì nemmeno perchè tutto ad un tratto Emily era piombata davanti a loro due, con il suo look impeccabile e due occhi azzurri circondati da una linea pesantissima di eye-liner che li guardavano estasiati: “Omedetoo gozaimasu!”
“No –mormorò Blaine, di fronte alla perplessità di Kurt- questo non l’ho capito nemmeno io: non è il mio campo, quello degli Otaku.”
“Erano le mie congratulazioni – spiegò lei – e ditemi ditemi! Chi di voi è il seme?”
Blaine avvampò. Non era un esperto, ma c’erano delle cose che aveva conosciuto contro la sua volontà, a forza di conversare con Emily e gente come lei. Per un attimo si ritrovò a ringraziare il cielo che Kurt non fosse venuto a conoscenza di quelle cose; sarebbe stato davvero imbarazzante spiegarglielo. Davvero, davvero imbarazzante. Emily lo aveva chiesto come se fosse la cosa più scontata del mondo; quella ragazzina aveva letto troppi yaoi, poco ma sicuro. Ma poi, lui, queste fissazioni che avevano le ragazze verso lo yaoi, non le avrebbe mai capite. (*)
Per fortuna ci pensò Wes a salvarlo da quella situazione, chiamando i due ragazzi per iniziare la loro sessione di Dungeons And Dragons; Kurt usò la scheda che aveva preparato insieme a Blaine tempo prima. Non si ricordava niente di tutti quei mille parametri, ma non aveva il coraggio di dirlo: Blaine sembrava così contento per il fatto che giocassero insieme, che non voleva deluderlo. Così, si armò di pazienza ed ingegno ed osservò: si ricordava abbastanza bene i dadi, così come i tratti del suo personaggio e la storia che aveva preparato per lui. Per un po’ di tempo rimase in silenzio ad ascoltare i vari litigi tra Jeff e Wes, che discutevano su un parametro errato secondo il manuale ma giusto per il master – o viceversa, ma dopotutto, che importanza aveva?- e si sentì anche un po’ stupido ad interagire con gli altri ragazzi fingendosi un elfo dei boschi. Però, in fondo, si rese conto che era come recitare; solo che per fare qualsiasi azione dovevi tirare un dado.
Quando Blaine gli rivolse la parola si sentì perfino emozionato: erano un umano ed un elfo, un paladino ed un mago, eppure, il modo con cui lo stava guardando non era assolutamente da Gioco di Ruolo, anzi. Era elettrizzante fingersi di conoscersi per la prima volta nelle vesti di qualcun altro, e quando Blaine gli regalò una cavigliera di mithril si illuminò come se fosse stato un oggetto vero: a detta sua, serviva per aumentare la sua potenza magica. A Kurt sembra soltanto uno splendido gioiello regalatogli dal suo ragazzo. Ragazzo; contemplò quel pensiero come se fosse il suo stesso nome. Blaine sembrava a suo agio, eppure, lo conosceva abbastanza per capire che i suoi sorrisi nascondevano un velo di euforia, e le sue risate apparivano più cristalline del solito.
Tutta quella sensazione di benessere ed armonia si interruppe quando Wes, con un gesto meschino, fece fare un tiro di riflessi a tutti quanti, nel bel mezzo di un corridoio; si erano disposti secondo un ordine preciso, deciso di comune accordo: in cima c’era Jeff, e poi, a seguire, Nick, Blaine e Kurt.
“Master! –Protestò Nick- Siamo nel bel mezzo di un corridoio strettissimo. Mi spieghi come facciamo ad essere oggetti di un attacco a sorpresa?”
“Riflessi.” Sentenziò lui, non battendo ciglio; eseguirono, controvoglia, e quattro dadi da venti facce rotearono freneticamente, fino ad arrestarsi su dei numeri casuali. Kurt non aveva capito molto bene, si limitò ad imitare quello che faceva Blaine.
“Bene –fece Wes, sollevando il capo dal suo divisorio fatto di carta e mappe- Jeff, Kurt e Nick, non venite colpiti. Blaine? Classe armatura?”
Conosceva quel termine: si ricordava che Blaine gliene aveva parlato per i combattimenti. Il master tirava un dado, e se quel numero, sommato a dei parametri che aveva attribuito al nemico, superava la classe armatura, allora lo colpiva. Faceva dei danni fisici; poteva uccidere Blaine.
La sua mente riepilogò quelle deduzioni con così tanta velocità che si stupì di sè stesso quando con un voce un po’ troppo alta esclamò: “No! Aspetta!”
Bene, a giudicare dai volti sorpresi aveva ottenuto la loro attenzione. Adesso doveva soltanto riuscire a mettere due frasi in fila fingendo di sapere quello che stesse dicendo.
“Potrei...posso fare scambio posto con Blaine, nella fila? Così la trappola colpisce prima me di lui. Lui ha...lui ha pochi punti vita per via di quel, mostro, di prima, quello brutto laggiù... e quindi, insomma, mi chiedevo se fosse possibile tirare il dado al posto suo. Beccarmi la pallottola, la freccia, il dardo, quello che è. Ecco.”
Abbassò lo sguardo e si morse con imbarazzo il labbro inferiore; oh, che cavolo, gli era sembrato un gesto carino. Insomma, non voleva che Blaine morisse, anche se si trattava di uno stupidissimo gioco con i dadi. E allora, perchè cavolo tutti quanti lo stavano fissando come se fosse stato una sorta di apparizione miracolosa? Perfino Wes sembrava incredulo, aprendo e chiudendo la bocca più volte senza emettere alcun suono. Un momento: gli era caduto il martelletto di mano?
“Vabè – ribattè lui, svelto – fate finta che non abbia detto nulla.”
Ma non appena guardò Blaine, in modo impercettibile, con la coda dell’occhio, sussultò: sembrava... lusingato. Lusingato? E poi, tutto ad un tratto capì la scia dei suoi pensieri e la sua espressione mutò di colpo.
“Kurt.”
“No Blaine, ti prego, non lo dire.”
“Questa è la nerdata più romantica che abbia mai visto in vita mia.”
E mentre Nick e Jeff lo abbracciavano tutto, strusciandosi contro le sue guance e cantilenando “teeeenero lui, teeeenero lui!” mentalmente cominciò a maledire quel cavolo di gioco. E anche quei due fringuelli esaltati, li odiava tutti, ecco. Perchè, insomma, lui non voleva fare una sorta di dichiarazione pubblica d’affetto. Che poi, che aveva fatto di così colossale?! Non era come creare delle versioni sims di Blaine e Kurt per poi farli innamorare, sposare e avere due bellissimi bambini, magari, con un sessanta metri quadri di casa ed un giardinetto per gli hobby. O meglio, lo aveva fatto, ma loro quello non lo sapevano. I suoi sims erano molto più romantici di quel maledetto dado!
Una volta libero dalla morsa letale di quei due bisbigliò: “non ho più voglia di giocare”. E Blaine, non riuscendo a resistere oltre, lo strinse a sè in un abbraccio scoppiando in una risata liberatoria.
“Ti adoro - sussurrò, baciandogli dolcemente la fronte - assolutamente, ti adoro.”
E beh, se quello era il prezzo per le sue figuracce, avrebbe giocato sempre a D&D. Si lasciò cullare per quelle parole e con fare incerto domandò: “anche se non capisco niente dei tuoi giochi?”
Blaine, a quel punto, lo esortò gentilmente a guardarlo negli occhi, e con voce soffusa a pochi centimetri da lui pronunciò: “specialmente perchè  non capisci niente dei miei giochi.”
 


 
La mattina dopo sembrò essere arrivata in un lampo: tra il Lan Party, gli scleri dei giocatori e il bacio, o meglio, i baci della buonanotte a Blaine, si era addomentato come non succedeva da tempo e aveva passato una notte senza sogni. Aveva mangiato le sue fette biscottate integrali con marmellata – aggiungendoci anche un pizzico di burro, perchè si sentiva particolarmente di buon umore – e aveva indossato la divisa delle Cheerios senza nemmeno pensarci. Ormai la sua routine era: sveglia alle sette, trattamento idratante, preparazione del caffè, svegliare suo padre, altra preparazione del caffè, svegliare Finn, fare colazione, vestirsi e dirigersi a scuola. Gli ultimi punti, spesso, slittavano in modo tremendo per via di Finn, che si svegliava troppo tardi, o ci metteva anni a trovare due paia di calzini uguali. Tutte le volte che succedeva ringraziava suo padre che, nel trasferimento, aveva donato loro una stanza ciascuno: se avesse potuto tornare indietro, sarebbe andato dal Kurt di prima liceo e gli avrebbe detto di lasciar perdere l’idea di convivere con Finn e dedicarsi a qualcun altro che fosse stato più pulito, più ordinato, più perspicace e meno snervante. Qualcuno come Blaine, insomma. Sì, avrebbe detto al Kurt di prima liceo di aspettare soltanto qualche anno in più.
E poi, tutto ad un tratto, la freddezza della realtà lo trafisse come una lama, non appena mise piede in quella scuola, non appena si rese conto di essere in divisa, accanto a centinaia di persone, che lo osservavano o lo salutavano quasi intimorite.
Giusto. Lui era Kurt Hummel, il più popolare della scuola; la sera prima era stato un frammento della sua vita che adesso non compariva più. Afferrò i libri nel suo armadietto, non degnando di uno sguardo i giocatori di hockey che lo osservavano da lontano; fece finta di non accorgersene, tutto qui. Come si era già detto tra sè e sè, era di buon umore, era una bella giornata, e lui si sentiva sereno e tranquillo.
Forse era stata una cattiva idea lasciare in sospeso il discorso con Blaine, la sera prima; forse, almeno in parte, avrebbe dovuto seguire i suoi consigli: come prima cosa, nel bel mezzo di un allenamento delle Cheerleader che sembrava non dar tregua a dei poveri stuntman, afferrò Mercedes per un braccio e la fece sedere su una delle panchine. L’amica rimase in attesa di qualche sua spiegazione, perchè sapeva che c’era qualcosa di importante in ballo, lo aveva capito dai suoi occhi determinati e dalla sua bocca serrata in una smorfia. In fondo, era la sua migliore amica. Semplicemente, sapeva tutto di lui, anche ciò che lui stesso non voleva rivelare.
Certo, questo non le evitò di rimanere completamente allibita di fronte alla dichiarazione: “Mercedes, ci ho pensato a lungo e penso che dovrei lasciare i Cheerios.”
Inarcò vistosamente un sopracciglio: “Kurt, Kurt. Dimmi: hai di nuovo bevuto come quella volta che hai dato della Bambi alla professoressa Pillsbury?”
“Sono sobrio.”
“Sei sicuro che non ci fosse niente di strano nel caffè? Magari nel bibitone della Sylvester? Lei dice che ci sono spinaci tritati, ma quel verde mi ricorda un altro tipo di pianta non molto rassicurante...”
“Mercedes, davvero, sono serissimo. Ed è proprio la Sylvester il problema: non mi permetterebbe mai di stare con Blaine, o tenterebbe in tutti i modi di distruggermi a suon di allenamenti oppure comincerebbe a rincorrermi tirandomi dietro ponpon rotti per tutta la scuola.”
Entrambi posarono lo sguardo sulla coach: adesso stava urlando all’altoparlante contro un ragazzino; peccato che il ragazzino fosse a mezzo metro da lei e rischiava di perdere un orecchio.
“Con le nazionali che si avvicinano vorrà il capo-cheerleader tutto per sè, ventiquattro ore su ventiquattro.”
Sotto quel punto di vista, la ragazza pensò che non avesse tutti i torti.
“Ma...non ti piacciono i Cheerios?”
“No, non è quello. – fece lui, quasi, riflettendo sulle sue stesse parole- I Cheerios sono importanti, mi piacciono... sono il mio scudo.”

Sorrise: perfino in un momento simile si era ritrovato a fare una metafora un po’ da Blaine. Con quel pensiero nella testa non gli fu difficile aggiungere: “ma non sono la mia felicità. Io non amo fare diete a base di integratori e allenamenti distruttivi. Amo cantare, guardare film, concedermi una serata per stare con gli amici. Amo-“
S’interruppe. Che cosa stava per dire? Chi stava per nominare? Comunque, il discorso fatto fino ad allora sembrò abbastanza per l’amica.
“Quindi, in pratica, mi stai dicendo che stai lasciando i Cheerios per Blaine.”
Cavolo. Come aveva fatto a capirlo per l’ennesima volta? Non sapeva se spaventarsi, o sentirsi profondamente fortunato: era raro avere un’amicizia così.
Le immagini di loro due, della sera precedente, dei loro baci e dei loro sorrisi gli illuminò la memoria. Strinse le mani l’una contro l’altra, come se fossero quelle di Blaine. Era diventato così importante, per lui, che stentava a crederci.  "Se per stare con Blaine dovrò lasciare i Cheerios, allora lo farò.”
Era stato il momento in cui lo aveva visto lì, in quella piccola aula di informatica; era stato il suo sguardo dolce e triste, che gli riscaldò il cuore avvolgendolo come una morbida coperta; e quest’ultimo aveva già deciso per lui, nel momento in cui aveva abbandonato ogni pensiero per abbandonarsi ad un tenero bacio.
“E con i bulli, Kurt? –Il tono esitante di Mercedes lo riportò alla realtà- Come farai con loro?”
Sviò lo sguardo. Non voleva sembrare preoccupato; non voleva mostrarsi spaventato. “Non lo so.”
E lo credeva sul serio: sarebbe stato ben attento a non lanciare risposte acide e a non disturbare nessuno. E se ogni tanto avrebbe ricevuto qualche spintone contro gli armadietti...beh, lo avrebbe sopportato. In verità, odiava quella parte di sè che lo aveva reso così schivo e codardo: voleva mettersi alla prova, vedere se in quei tre anni fosse cresciuto, mostrarsi coraggioso. Perchè lui non era debole, non lo era mai stato. Ma era stato costretto a fare una scelta; si era ritrovato catapultato in questo vortice di sensazioni, emozioni, felicità, e perfino in quel preciso istante non avrebbe saputo dire se stava facendo la cosa giusta oppure no. Sapeva quello che doveva fare; e poi sapeva anche quello che non poteva fare: lo spaventava un mondo senza Cheerios. Ma lo spaventava molto di più un mondo senza Blaine.

 





***

Angolo di Fra

Dunque...
Salve. Non so con che faccia scrivere le NdA. Beh, comincio chiedendovi scusa per il ritardo e per il LEGGERO sclero che mi ha colpito in questi giorni. Ho avuto davvero una crisi, e non proprio di scrittura, quanto di trama. Ero arrivata ad un punto che non mi tornava più un cavolo con i capitoli precedenti e le stesse idee dentro alla mia testa facevano a cazzotti tra di loro. E' stato terribile, fidatevi. Dopo giorni di pausa ed un cupidolcetto diviso a metà con Lievebrezza sono finalmente riuscita a trovare la fine di questo tunnel. A proposito...grazie Liè. So che ormai è una sorta di routine, del tipo che a turno indossiamo i panni di "salva-storie" delle rispettive ff..ma sei speciale. Non avrei mai pensato di trovare una beta, un'amica, una moglie virtuale tutte in una volta. TI VOGLIO BBENE MOGLIETTì!

E...pensate che fosse finita qui? NO! Ce n'è anche per voi, ovviamente. Non sto scherzando quando vi dico che il primo fattore che mi ha spinta a cercare di risolvere al più presto questa crisi siete state voi. Non mi avete abbandonata nemmeno per un attimo, tra commenti, tweet, messaggi e frasi di incoraggiamento. Io mi sentivo davvero scema a essere caduta in crisi dopo 16 capitoli e con 108 preferite (a proposito, GRAZIE) ma invece voi avete la pazienza di un Santo e riuscite sempre a supportarmi. Non so davvero come ringraziarvi. Non penso che sia una così comune avere dei lettori così entusiasti e gentili. Anzi, sinceramente, sviaggiando anche un po' tra gli altri fandom, è la prima volta che trovo una cosa del genere. Quindi sì, siete speciali. L'intero fandom di Glee è speciale. E siete speciali voi.

Un'ultima cosa: con l'inizio del nuovo semestre e tre materie pesantissime da affrontare non so se riuscirò a pubblicare due volte a settimana. Di sicuro quei giorni "indicativi" di giovedì e domenica non saranno più validi, visto i nuovi orari (ho lezione di sabato, gente, DI SABATO). Ad ogni modo salvo imprevisti dovrei aggiornare ogni 4-5 giorni. Per tutto il resto, c'è facebook. (o era mastercard?)
Grazie ancora e...scusate. Sul serio. Un bacione

Fra
Ps: per quanto riguarda il (*)...perchè non cercate di googlare "yaoi" e "seme"? ;)

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Capitolo 18
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Capitolo 18
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Blaine non aveva mai capito tutta l’euforia che coglieva i ragazzi al suono della campanella, fino a quando non ci si trovò catapultato lui stesso: allo scoccare del minuto saettò fuori come una gazzella, si diresse verso l’aula di storia, trascinando a stento la tracolla che strabordava di libri e fogli pieni di calcoli e attraverso un ultimo slancio arrivò esattamente davanti all’aula in cui stava Kurt, giusto un secondo prima che uscisse: fingendosi rilassato e perfettamente calmo, appoggiò una mano sul muro accanto alla porta sussurrando “buon giorno signor Hummel”, sotto allo sguardo sorpreso ed ammaliato di lui. Mercedes apparve qualche secondo dopo, rivolgendo a Kurt un sorriso timido, e facendo l’occhiolino a Blaine. Gli altri ragazzi, semplicemente, sembravano ignorare quella piccola interazione che, in realtà, stava mandando entrambi su di giri.
“Passata una buona lezione?”
“Sì –rispose Kurt – e tu?”
“Analisi avanzata? Una pacchia.”
“Ti prego”, ridacchiò, scuotendo appena la testa. Dopo qualche secondo si morse un labbro e fu costretto a malincuore a distogliere lo sguardo, perchè non poteva pensare di baciare quella bocca perfetta magari appoggiandosi al muro su cui teneva la mano e, magari, posizionando quella stessa mano sul suo collo, sui suoi fianchi, su qualsiasi altra cosa. Si sentì quasi ridicolo a pensare a tutte quelle cose mentre il resto del mondo passava di fronte a sè, ma poi, scorse lo sguardo scuro di Blaine ed intuì che, probabilmente, stavano immaginando la stessa cosa.
“Blaine, hai fatto bene a venire. –Riuscì ad esclamare Kurt – perchè devo dirti una cosa.”
Il ragazzo, in risposta, lo guardò incuriosito e adesso si scostò un poco da lui, permettendo così di lasciarlo passare. Ma Kurt allungò il suo sorriso, e gli fece cenno di seguirlo mentre si dirigevano agli armadietti. Una volta posato il libro di storia moderna ed afferrato quello di filosofia, Kurt si appoggiò e con voce che diventava quasi un sussurro provò a dire: “Oggi c’è un’esibizione dei Cheerios, in palestra. E quindi volevo chiederti se...”
“Se voglio venire?”
Non era sua intenzione quella di interromperlo; semplicemente, non era riuscito a contenere il suo entusiasmo: era passato un mese da quella esibizione in cui lo aveva notato seriamente, per la prima volta, e adesso erano lì, l’uno di fronte all’altro, che facevano a gara a chi sorrideva per primo.
Kurt nel frattempo aveva annuito, arrossendo appena immerso in chissà quali pensieri: “volevo...voglio farti una sorpresa. Ci vediamo lì, d’accordo? Quattro in punto.”
Adorava le sorprese; commentando con voce ferma “ci sarò” si rivolsero un’ultima occhiata eloquente, e poi la campanella suonò per l’ennesima volta, lasciandoli alle loro lezioni.
 
 
 
Sue Sylvester. Il suo nome era conosciuto in mezzo Ohio, anche se lei preferiva pensare che l’altra metà la conoscesse sotto il denominativo “sua maestà imperiale”. Non aveva mai avuto dubbi nella sua vita, soltanto certezze: avrebbe fatto l’insegnante. Avrebbe ottenuto titoli a livello nazionale. Avrebbe vinto, sempre e comunque, a qualunque costo. Non le era mai importato dei mezzi, o dei motivi che lo spingevano a farlo: questi ultimi erano troppo nascosti perfino per essere ponderati, così con il passare degli anni si era limitata soltanto a pianificare, eseguire, contemplare: il suo genio, ovvio. Non c’era nient’altro che fosse degno di qualche sua attenzione; non più, ormai.
Adesso camminava per i corridoi del McKinley, i suoi corridoi, e qualche ragazzino un po’ spaventato si faceva da parte per farla passare; non aveva tempo da perdere, a minuti ci sarebbe stata un’esibizione dei Cheerios e lei voleva controllare che le ragazzine strillassero come delle fangirl e i ragazzi sbavassero in piena crisi ormonale: il numero sarebbe stato un assaggio di ciò che avrebbe portato alle nazionali, e avere un po’ di feedback da quei sputabrufoli non era poi così male.
Era quasi arrivata in palestra quando udì qualche risata sin troppo meschina e qualche suono sordo e netto, metallico, che le ricordò molto quello di un corpo sbattuto contro gli armadietti. Appena svoltato l’angolo trovò un ragazzo accasciato a terra, il volto dolorante, le labbra serrate in una smorfia; ma con gli occhi resisteva: davanti a lui, un gruppetto di ragazzi alti almeno il doppio e grossi il triplo, che sembravano aver intenzione di continuare.
“Non ti sei ancora stancato frocetto?” Gracchiò uno dei tre, afferrandolo per il colletto della polo bianca e accennando a spingerlo di nuovo contro la lastra di metallo.
Il ragazzo non parlò: era come concentrato ad assimilare il dolore passato, o quello che doveva venire. Sembrava tranquillo ed indifeso, e la professoressa poteva giurare di averlo visto qualche volta alle prese con chissà cosa, ma senza mai rimanergli impresso nella mente: c’erano altri pensieri, adesso, che albergavano i suoi ricordi; immagini crude, che non aveva voglia di rispolverare.
Con un tonfo sugli armadietti per richiamare l’attenzione fece sobbalzare i tre energumeni che, alla sua vista, si fermarono di colpo; il primo lasciò andare il ragazzino, che si limitò a rassettarsi la maglietta e raccogliere gli occhiali frammentati tra una mattonella e l’altra.
“Coach – balbettò uno, incerto, quasi intimorito – non stavamo facendo niente, solo chiacchierando, ecco.”
“Ma guardatevi.”
Si avvicinò a loro, squadrandoli dall’alto verso il basso ed emettendo una smorfia. Era quasi incerta se sprecare quella battuta geniale per tre idioti simili, ma poi, alla fine, pensò che un poco ne valesse la pena. Perchè era vero: “Sembrate talmente mocciosi che se quel Justin Bieber volesse imitarvi non ci riuscirebbe.”
Si voltò verso i tre soltanto per ordinar loro di filare via. E così fecero: sgattaiolarono come il gatto a cui era stato appena sottratto il cibo. Ma non appena notò che anche il quarto stava facendo cenno di andarsene, lo richiamò con un fischio e per poco non lo mise sull’attenti.
“Come ti chiami.”
“Blaine – fece lui, calmo – Blaine Anderson.”
E lei lo fissò: aveva già sentito quel nome. Ma dove lo aveva sentito?
Oh. Giusto. Tutto ad un tratto, sfoggiò un sorriso che il ragazzo non capì molto bene.
“Non importa – disse subito dopo, aggiungendo un gesto convesso della mano – fila via anche tu, dovunque tu debba andare.”
 


La palestra brulicava di gente, come accadeva spesso in quegli eventi popolari. La coach era seduta al suo solito posto come se fosse una tribuna, intenta a dare le ultime indicazioni a Brittany e qualche altra cheerleader.
Blaine era arrivato poco prima, posizionandosi in una delle prime file nel modo più anonimo possibile: gli dispiaceva non avere gli occhiali, perchè adesso il mondo gli sembrava una chiazza informe e non sarebbe mai riuscito a vedere Kurt.
Invece, lui lo aveva visto sin dal primo momento che aveva varcato la soglia. Aveva sorriso: sapeva che sarebbe venuto, ma adesso trovarlo lì gli donava una sensazione ancora più intensa. Per un attimo si domandò che fine avessero fatto i suoi occhiali, ma subito dopo la musica partì riecheggiando in tutta la sala e lui fu costretto a prendere posizione nella coreografia, in modo perfettamente simmetrico rispetto a Mercedes che lo fissava emozionata quasi quanto lui.
Perchè, dopo qualche minuto di ballo, le luci si abbassarono, la musica si spense, e adesso Kurt era perfettamente al centro della palestra, con gli occhi tremanti che vagavano da una meta e l’altra: non riusciva più a vedere Blaine; ma lui era lì, davanti a lui, e così, con voce chiara e decisa cominciò a cantare. Nessuna base, nessun coro. Soltanto lui, e la sua unica voce.
E Blaine, in quel momento, non sapeva dire con esattezza come facesse il suo cuore a battere così forte, nè come facevano i suoi occhi a pungere terribilmente protestando per sfogarsi, esprimersi, mostrare tutto ciò che stava provando in quel momento: sapeva soltanto che Kurt stava cantando per lui. Il testo, la voce. I suoi occhi così splendidi che sapevano di averlo trovato. Ogni fibra del suo corpo sembrava urlare il suo nome così come Blaine voleva chiamare il suo.
Era fortunato. Non avrebbe mai pensato di trovare qualcuno così, qualcuno come lui; non in quella scuola. Non in quella vita, perlomeno.
Quando le luci si riaccesero, uno scroscio di applausi accolse quella toccante esibizione, e lui li accompagnò con qualche secondo di ritardo, perchè la musica era ancora lì, impressa nel suo cuore. Kurt lo trovò immediatamente con lo sguardo e gli rivolse un sorriso che, se possibile, lo aveva ucciso per la seconda volta.
Mentre la folla acclamava il talento indiscusso del ragazzo più popolare del McKinley la Sylvester si era soffermata ad ascoltare i commenti di qualche giocatore di Hockey poco distanti da lei, che avevano fissato la scena in silenzio, senza plauso nè gioia.
Alla fine, dissero soltanto questo: “che checca.”
E nella memoria della professoressa riecheggiò un’altra frase: “che mongola.”
Sua sorella non era mongola. Sua sorella era brava e buona, non aveva mai fatto niente di male. E allora, perchè la riempivano di insulti? Perchè non potevano lasciarla stare, perchè, diavolo, aveva già tante cose da affrontare, potevano risparmiarle almeno quello?
Era l’umiliazione di sentirsi dire: “sei la sorella della scema.” Era la rabbia di urlare che gli unici scemi erano loro.
“Sorellona” la chiamava lei, con quel sorriso dolce e gentile, che le faceva sempre tanto piacere. A volte sembrava che fosse ancora lì, insieme a lei.
A volte Jean le mancava così tanto da star male.
 


Era strano. Occhi che lo fissavano, quasi scrutandolo, sorrisetti spezzati a metà; il tepore dei jeans e quello del cardigan blu scuro, che si intonavano perfettamente a tutto il resto. Kurt non avrebbe mai pensato di sentirsi diverso senza quella divisa, eppure, le sue mani stringevano quella scatola rossa e bianca con sin troppa esitazione, come se tutto il resto del suo corpo temesse di fare qualcosa di sbagliato, ma non avesse il coraggio di ammetterlo.
Passi vuoti, lungo il corridoio, che si dirigevano lentamente verso qualcosa: l’ufficio della Sylvester, arredato con i suoi mille trofei, era sempre lo stesso. Si domandò quante volte era stato in quel posto, per ramanzine, complimenti, piani diabolici architettati dall’insegnante; si domandò se ci sarebbe tornato mai. Con quel pensiero impresso nella mente bussò un paio di volte, e qualche secondo dopo la voce roca e bassa della coach lo invitò ad entrare; sembrava seccata, come sempre del resto: Kurt ricordava di averla vista sorridere soltanto una volta, ad una gara delle nazionali; ma anche allora, si rese conto che assomigliava di più ad un ghigno.
“Porcellana.” Commentò lei, come se fosse del tutto scontata la sua presenza. Sembrava intenta a scrivere qualche nota su una sorta di quaderno. La sua calligrafia era piccola, ben marcata, e le parole distanziavano l’una dall’altra con sufficienza: gli avevano sempre detto che si poteva capire tutto di una persona, soltanto osservando la sua scrittura. Kurt, però, non era esperto nelle calligrafie, e quindi non potè cogliere la vena malinconica che circondava alcune lettere, e nemmeno quella sorta di indecisione nascosta tra uno spazio e l’altro. Notò solo quello che era essenziale agli occhi: la sua professoressa, la sua mentore, la donna che, senza nemmeno saperlo, lo aveva aiutato tantissime volte.
Per questo gli fu un po’ difficile spiegare il perchè stava consegnando la sua divisa, perfettamente stirata e ripiegata nella scatola, con annesse le sue evidenti dimissioni.
La coach abbassò di un poco i suoi sottili occhiali da vista; non sembrava sorpresa; non sembrava nemmeno turbata, in realtà. Era sempre stata una donna dal volto indecifrabile, probabilmente, con pensieri ancora più oscuri di quelli detti.
“La motivazione?”
Era una domanda piuttosto ovvia da fare, a colui che era stato il capo-cheerleader per anni. Era una domanda lecita, questo Kurt lo sapeva bene. Tuttavia, trattenendo a stento il respiro rimase in silenzio, non distogliendo lo sguardo da quei due occhi. Buffo: erano così simili, nel loro colore chiaro e trasparente, ma in quel momento stavano rivelando emozioni talmente differenti, che Kurt cominciò a sentirsi molto vulnerabile e le sue mani si intrecciarono in modo impacciato.
“Kurt – incalzò lei; si stupì un poco sentendo il suo nome pronunciato per la prima volta in modo corretto- se vuoi dimetterti, devi darmi un motivo. E sappi che se si tratta di quel maledetto numero delle prove ti ordino immediatamente di andare a Quel Paese, e già che ci sei di inviarmi anche una cartolina.”
“Non è per il numero.” Rispose lui. Ma certo che non era per il numero: ogni microespressione del suo viso sembrava chiarire che ci fosse qualcos’altro.
Osservò la scatola della divisa, diventando lentamente più calmo e serio: adesso che la vedeva lì, piegata, quasi anonima, nel suo taglio e nel suo stemma inciso sul petto, gli sembrò nient’altro che un oggetto. Tuttavia, non riuscì a definirlo come senza valore: c’era ancora quel piccolo taglio all’altezza del fianco che si era provocato durante le esercitazioni alla trave, per provare un numero piuttosto rischioso abbinato ad una canzone di Funny Girl; c’era ancora quella parte della caviglia un po’ sbiadita dal tempo, dalle scarpette e dal caffè che Finn gli aveva accidentalmente rovesciato un giorno. C’era rinchiuso tutto il calore che gli abbracci di Mercedes gli avevano donato; e sì, tutto sommato, quella era proprio una bella divisa. Ma niente di più. Non era uno scudo; non era una protezione. Non era l’abbraccio che gli aveva regalato Blaine quando aveva terminato l’esibizione, sorridendo in modo radioso e sussurrandogli con fare tenero: “Mi hai fatto emozionare.”
E le emozioni non sono tessuto: sono colore. Fuochi d’artificio che ti partono da dentro, che non riesci proprio a trattenere. Kurt aveva cominciato da poco a capire tutte quelle cose, e adesso che ne aveva avuto una vaga idea, desiderava di poter chiedere di più. Tuttavia, sapeva anche che doveva dare una spiegazione alla coach, e senza interpellare Blaine. Non voleva che sapesse; così, dopo qualche altro secondo di meditazione, trovò le parole da dire.
“Vorrei...” si fermò: aveva la gola secca. Con un altro tentativo mormorò: “Vorrei provare a finire i miei anni di liceo come Kurt Hummel.”
Come un ragazzo che aveva trovato qualcosa di troppo prezioso e reale per lasciarlo andare via. Sue Sylvester lo osservò, perchè aveva capito tutto, aveva capito benissimo.
“Mio caro, non sai quanto mi piacerebbe farti svenire con dei calzini usati del tuo fratellastro, portarti di peso dall’anagrafe e farti cambiare quel nome in qualcosa di più opportuno come Porcellana, Mrs Brick o Faccia da Pizzichi, ma per quanto tu possa fingere il contrario, è molto difficile essere un’altra persona. E ti è sempre venuto male.”
Inarcò un sopracciglio: non era sicuro di aver afferrato, tra una battuta acida e l’altra, il filo del discorso.
“Andiamo –seguitò lei, cominciando a giocare con un trofeo al suo fianco - pensi davvero di poter nascondere qualcosa a me? So tutto della tua tresca con il ragazzino dei conti. Per favore, mi sembra di vedere una radice quadrata sbucare da quella tua sottospecie di coda a forma di peluche che tieni attaccata alla cintura.”
Ecco. Kurt sentì l’aria evaporare completamente dal suo corpo.
“P-può ripetere?”
La coach sfoggiò un ghigno, sistemandosi meglio su quel trono che si ritrovava al posto della sedia. Fece cenno a Kurt di sedersi, come per dire che sarebbe stata una cosa lunga, e il ragazzo era talmente stremato che acconsentì senza troppe storie, fissando ancora in stato di confusione letale un punto non ben definito davanti a sè, a metà tra lo spremi-agrumi e la cyclette “spremi-polmoni”.
“Avevo cominciato a nutrire qualche dubbio – esordì la coach – più o meno da quando ho saputo della tua misteriosa B-. Ma poi ho pensato che, magari, ti eri fatto di pon-pon, o qualcos’altro. Così ho chiesto un po’ in giro, e a parte qualche strano commento di Brittany sui delfini e sugli squali bianchi Santana mi ha parlato di questa calcolatrice umana che frequenti da più di un mese.”
Santana. Oh cavolo, Santana. Come aveva fatto a dimenticarsi di lei?! Quella volta, nel corridoio: sicuramente aveva notato l’occhiata che si erano lanciati lui e Blaine. Sicuramente aveva afferrato qualcosa, perchè, lo sapeva da tempo, aveva questa innata abilità di cogliere messaggi nascosti e subliminali. Ed era ovvio che aveva detto chissà che cosa alla Sylvester, con tanto di aggettivi fantasiosi e coloriti. Poi, magari, aveva intuito qualcosa ascoltando la canzone... e così era fregato.
“Puoi negarlo?”
La coach gli aveva fatto un’altra domanda. Sembrava a metà tra il seccato e il calmo, e lui non aveva la più pallida idea di che cosa fare. Però, ormai che era in ballo, si sentì quasi più leggero nel momento in cui dichiarò: “No, non voglio negarlo.”
“Non avevo dubbi.”
E allora che me lo hai chiesto a fare, voleva dire. Invece, con grande apprezzamento da parte della prof, rimase in silenzio.
“Mi chiedevo quando sarebbe venuto il momento in cui ti avrei visto sgattaiolare in qualche sgabuzzino assieme a qualche giocatore di football. Mi hai stupito: un matematico? Fissato con i videogiochi, per di più. Non ci avrei scommesso un soldo bucato.”
Le guance di Kurt si stavano velocemente accendendo di rosa.
“Comunque dovevo capirlo da quella specie di furetto morto che usi come accessorio per la cintura che hai dei gusti alquanto discutibili; ma non è affar mio.”
E stava già per risponderle a tono e dirle che i suoi gusti non erano affatto discutibili, che lei non poteva etichettare in quel modo Blaine, nè lui, quando, improvvisamente, strabuzzò gli occhi e dovette riepilogare nella sua mente l’ultima frase appena sentita, per almeno una trentina di volte.
“Come sarebbe a dire: non è affar suo?”
“Esattamente questo. Non mi interessa con chi ti sposi, Hummel, basta che vieni puntuale agli allenamenti. E ti sarei grata se evitassi di indossare imitazioni afro dei capelli di Shuester come cinture, se proprio non vuoi mettere la divisa nell’orario di lezione.”
Allenamenti, divisa. Tutte quelle parole presero a scorrere in modo frenetico davanti a sè, in un vortice di sensazioni strane, dolci, belle, rincuoranti, gioiose, festive. Lui poteva essere Kurt Hummel. Lui poteva essere chi voleva, poteva stare con Blaine, poteva continuare gli allenamenti.
“Davvero?”
Si sentì un po’ stupido per aver sussurrato quella domanda così, con tono piccolo ed incredulo: perchè era un sogno. Perchè, diavolo, come aveva fatto a non considerare quella terza opzione? Non erano mai state destra o sinistra, cheerios o non cheerios. Forse aveva semplicemente sottovalutato la professoressa. O forse, non si era reso conto di quanto, un’altra volta, lo avesse protetto più di quanto desse a vedere.
Sul suo volto c’erano tutte le emozioni in un’espressione sola: così la coach si concesse un minuscolo sorriso, prima di annuire e buttarlo fuori dal suo ufficio. Non un ghigno, non una smorfia: era la seconda volta che Kurt aveva visto quel sorriso, e non poteva sapere che la prima era stato per via della sua sorellina presente sugli spalti, in quel giorno alle nazionali.
La Sylvester lo guardò chiudere la porta, immaginandosi la sua corsa alla ricerca di Blaine per lanciarsi in un abbraccio e raccontargli tutto il loro dialogo: sicuramente, aveva dato loro un motivo in meno per essere tristi; ma ripensando alla scena di quella mattina, a quegli spintoni contro di Blaine, ai commenti sentiti su Kurt, sapeva bene che loro avevano un motivo in più per essere preoccupati.



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Capitolo 19
*** Easy to be stunned ***


Capitolo 19
Easy to be stunned




 

 
 
“E quindi? Che cosa è successo?”
Il sorriso di Blaine si fece più ampio e i suoi amici più vicini, con il tavolo di D&D che ormai assomigliava ad un campo di battaglia di cibo, tra pacchetti vuoti di patatine, M&Ms sparse tra un dado e l’altro e bicchieri di coca-cola posati sopra le proprie schede; un’altra regola degli Warblers era di non iniziare mai una sessione senza vivande. Era anche vero, però, che questo implicava automaticamente il trasgredire la terza regola, ossia: quando si gioca a D&D si gioca a D&D e, a giudicare dall’espressione assorta di Blaine e quella concentrata di Jeff e Nick, l’unico che sembrava ricordarsene era solo Wes. In effetti era quello il compito del master: richiamare all’ordine i giocatori, rimproverarli quando era necessario. Tuttavia, una piccola parte di sè – quella che comprendeva l’essere migliore amico di Blaine nonchè fan della coppia che faceva con Kurt – moriva dalla curiosità di sapere il resto del racconto, che si era interrotto proprio sul più bello: Blaine se ne stava seduto al suo solito posto durante l’ora di letteratura e Kurt gli era piombato davanti, vestito di tutto punto, non con la divisa, e più bello che mai; al solo pensiero il ragazzo era arrossito e aveva assunto un’aria piuttosto sognante, così ai tre amici non fu difficile immaginarsi la sua vera reazione di fronte a quella vista che, in effetti, doveva essere stata abbastanza sorprendente.
“Perchè era senza divisa insomma?” Esortò Wes mettendo da parte il martelletto e facendo finta di cercare qualcosa nei suoi manuali, giusto per prendere un altro po’ di tempo. Blaine sospirò, appoggiando una mano sotto al mento, e con ancora la testa fra le nuvole spiegò ai ragazzi quello che Kurt gli aveva detto del suo dialogo con la Sylvester. Era davvero tutto perfetto; forse troppo perfetto per essere vero, ma nessuno in quel momento osò pensarci. Blaine riusciva a vedere solo ciò che gli si presentava davanti agli occhi, ed era esattamente un Kurt radioso che faceva una piroetta su se stesso in quei pantaloni aderenti e sembrava il ragazzo più felice del mondo, e lo era anche Blaine, perchè non avrebbe mai pensato che le cose potessero risolversi in quel modo, nè che il suo affetto verso Kurt aumentasse in modo esponenziale di giorno in giorno, ma era così: non passava un minuto senza che la sua mente si proiettasse verso di lui, e la cosa più incredibile di tutte era che Kurt, evidentemente, provava le stesse cose.
“E’ magnifico” commentò allora Wes, sincero ma anche sbrigativo, una volta che la sua curiosità fu sazia e la sua pazienza diminuita. Riordinò i fogli mettendoli al loro posto e buttò in terra qualche carta per fare spazio alla pedana di gioco, mentre tutti gli altri sbuffavano poco convinti e prendevano in mano le rispettive pedine: dopo quel discorso nessuno aveva voglia di giocare, ma era anche vero che Wes aveva perso molto tempo per costruire quella campagna, quindi dovevano fare almeno un’ora di sessione per rispettarlo.
Certo la presenza di Greg non aiutava nella concentrazione: avevano sempre saputo che quell’uomo nascondesse uno spirito da vero fanboy; quello che non sapevano era che aveva assolutamente preso a cuore la storia di Kurt e Blaine, così tanto che, volente o nolente, piombava da loro esattamente ogni tre minuti e mezzo per sapere aneddoti o novità: il tempo di fare una commissione, far provare qualche nuova espansione ai ragazzi di magic, consigliare nuovi manga alle otaku; ordinaria routine, insomma.
Blaine era a metà tra lo spaventato e l’ammaliato perchè Greg, in un certo senso, era come un fratello maggiore, o un secondo padre, o la fusione dei due: osservarlo sorridere compiaciuto dandogli delle affettuose pacche sulla spalla lo faceva star bene. I suoi amici erano felici per lui, aveva un ragazzo meraviglioso e la sua vita poteva definirirsi completa a tutti gli effetti.
“Blaine, non mi prendere per cinico – protestò Wes lanciandogli contro un pop-corn per svegliarlo dal sogno ad occhi aperti – ma sarebbe il tuo turno. E per favore, rispettate almeno una semplice regola: se avete bisogno di dirvi qualcosa fuori dal gioco dite off game, altrimenti ci confondiamo con i dialoghi dei nostri personaggi. Chiaro?”
I quattro annuirono: sì, si era unito anche Greg al gruppo. Con la sua maestria ed esperienza si era preparato una scheda in otto minuti e venti secondi – Jeff lo aveva cronometrato perchè era davvero disumano – e si era seduto accanto a Blaine, calmo e pacato, come se fosse lì solo perchè non avesse nient’altro da fare: la fila di persone alla cassa che reclamava la sua attenzione era frutto di un incantesimo di illusione livello tre, aveva detto lui.
“Allora – Esordì Nick per voltarsi verso Jeff e lanciarsi uno sguardo d’intesa, che non era affatto rassicurante. - Io, Mael’khor faccio una prova di cercare per vedere se riesco a trovare un furetto selvatico.”
“Nick sei un genio!” Esclamò Jeff, che un secondo dopo ricevette un’occhiata torva da parte del master e fu costretto ad aggiungere: “Off game: Nick sei un genio.”
Blaine e Greg si guardarono e cominciarono già a sospirare in previsione di quello che, senza ombra di dubbio, sarebbe stato l’ennesimo e confuso litigio.
Wes, intanto, era ancora alle prese con Nick, tanto che con tono scettico commentò: “Off game: a che cavolo ti serve un furetto?”
“Mi aumenta di +2 la forza e poi voglio addestrare un animale!”
“Ma è inutile, sei nel bel mezzo di un’isola!”
“Beh non c’è scritto da nessuna parte che io non possa cercare un furetto, giusto Greg?”
“Il ragazzo non ha tutti i torti – mormorò lui, e anche lui si corresse subito – ah, Off Game, naturalmente.”
“Possiamo proseguire?!” Domandò Wes che si stava massaggiando stancamente le tempie, tentando con tutte le forze di non perdere le staffe, giusto per restare in tema; notando quella reazione il proprietario si sporse con la testa verso Blaine borbottandogli all’orecchio: “Ai miei tempi non c’erano tutte queste fiscalità con il gioco.” Meno male che non era stato sentito dal master, altrimenti sarebbe stato cacciato fuori dal suo stesso locale. Blaine in risposta sfoggiò un sorriso divertito e gli fece notare che si era appena dato del vecchio, e vide Greg rimettersi composto, sbuffare ed afferrare una manciata di patatine. Stava già per consolarlo dicendogli che lui non era vecchio, era un essere immortale, come il Lan Party che gestiva, quando la tasca della sua felpa si illuminò prendendo a vibrare freneticamente. In un battito di ciglia tutta l’attenzione dei giocatori era rivolta su di lui, come se attendessero il responso di una sentenza della corte suprema.
Quasi con timore di dirlo apertamente e ad alta voce, Blaine sollevò timidamente lo sguardò e lo disse: “E’ Kurt.”
“Oh, è Kurt!” Cinguettò Jeff.
“Jeff, off game!”
“Va bene Wes, off game, Kurt è più dolce di una caramella mou, in game.”
“Mi piace quel ragazzino. Ah, off game, comunque.”
“Vi odio. Vi odio tutti.”
“Wes, sii preciso – puntualizzò Jeff con un tono da maestrino dispettoso – devi specificare se ci odi off game o in game, perchè altrimenti ci confondiamo con i dialoghi dei personaggi...”
“Io voglio il furetto!”
Wes abbassò lo sguardo. No, non ce la poteva fare, non ce l’avrebbe mai fatta.
“Che ti dice Kurt -off game?” Jeff sputò le ultime due parole come se fossero veleno. Ignorando le vibrazioni negative che stava ricevendo da Wes, si appoggiò sul tavolo per avvicinarsi di più a lui nel tentativo di leggere il messaggio: Blaine, istintivamente, ritrasse la mano e nascose il telefono in tasca, rivolgendogli un’occhiata titubante in netta contrapposizione con il suo enorme sorriso. Per nessuna ragione al mondo avrebbe fatto leggere quel messaggio ai ragazzi.
“Andiamo Blaine, non fare il tirchio, condividi la tua felicità con tutti noi!”
“Jeff, OFF GAME!” Sbraitò Wes e Blaine ne approfittò per schiarirsi la voce e dire: “Non dovremmo continuare a giocare?”
“Esattamente –rispose il master, in veloce ripresa da un crollo di nervi -  Grazie Blaine, esattamente. Dunque, siamo nella palude di Cant’hur e-“
“Io devo ancora cercare il furetto!” Nick sembrava un bambino che si era impuntato perchè voleva salire a tutti i costi sul bruco mela gigante; fu in quel momento che calò il silenzio. Greg guardò Jeff, Jeff guardò Blaine, Blaine stava ammirando il suo cellulare e Wes aveva un’espressione talmente omicida che Hannibal Lecter, vedendolo, sarebbe fuggito a gambe levate.
Poi, con un tono quasi serafico, che trasmetteva serenità e pace dei sensi, rivolse un tenero sorriso al suo amico e con la mano gli fece cenno di continuare. Oppure, a seconda delle prospettive, assomigliava ad una mamma di fronte al suo irrecuperabile figlio.
“Dai Nick, coraggio, prova a tirare il dado per cercare questo cavallo e vedere se lo trovi.”
L’altro fu quasi scandalizzato da tutta quella bontà improvvisa. Non si era mai visto che Wes assecondasse le sue pazzie, non in quel modo, per lo meno. Iniziando già ad assaporare il dolce gusto della vittoria sfregò il dado da venti facce tra le proprie mani e dopo aver emesso un soffio lungo e scaramantico lo tirò.
“Non lo trovi.” Sentenziò il master, ancora prima che il dado si fermasse.
E quello, semplicemente, fu il segnale che fece scattare il pandemonio.
“Io vado da Kurt.” Disse Blaine a Greg, mentre Wes e Nick si stavano rotolando in terra in quella che, secondo loro, doveva essere una lotta cruenta, e Jeff era tutto intento a filmarli con l’iPhone facendo perfino la telecronaca da commentatore di Wrestling. Il proprietario annuì, comprendendolo alla perfezione: dubitavano che sarebbero riusciti a fare altro, quella sera. Altro che non fosse offendersi e distruggere il locale, ovviamente.
“Salutamelo.” fece Greg, e quando vide il ragazzo afferrare lo zaino e andare via lo trattenne per la manica non resistendo alla propria curiosità: “Che ti ha scritto Kurt?”
Greg era un fratello, come un secondo padre: fu per questo che gli mostrò il testo del messaggio, tuttavia, ostentando un po’ di imbarazzo. Greg strinse il telefono fra le mani e ci mancò poco che scivolasse dalla sedia in quel preciso istante, perchè lesse: “Immagino che tu sia troppo preso da un gioco o dai tuoi amici per leggere questo messaggio, ma... beh, non so. Avevo voglia di scriverti...e dirti che mi manchi. Se hai tempo o voglia, ti va di passare da me dopo? Possiamo guardarci un film, chiacchierare... ma se puoi non importa. Ok lascia stare, sarai impegnato. Ci vediamo domani.”
Greg gli passò il cellulare come se si trattasse di una cosa delicata, come se fosse proprio l’affetto di Kurt ad essere trasmesso da lui al rispettivo proprietario. Tornando al suo solito umore allegro e anche un po’ burbero esclamò: “Che diavolo ci fai ancora qui?!” e subito dopo gli diede una spinta concitata, esortandolo a svignarsela il più presto possibile prima che la ventunesima guerra mondiale si scatenasse anche su di lui. Ventunesima: aveva contato tutte le volte che i ragazzi erano scoppiati in un litigio, decretando tra sè e sè che per la cinquantesima avrebbe stampato una bottiglia di champagne.

 
 
Blaine prese due lunghi respiri prima di suonare il campanello: si rassettò il colletto della camicia, si lisciò i pantaloni, controllò il suo aspetto dal riflesso della finestra accanto alla porta e, forse, poteva anche evitare di sfoggiare quel sorriso che partiva da un orecchio e finiva anche dall’altro, ma era più forte di lui: dopo un messaggio del genere, era davvero più forte di lui.
Tuttavia quel sorriso si rivelò essere un potenziale nemico nel momento in cui, ad aprire la porta, non fu Kurt, ma un uomo alto, robusto, con un cappellino blu che richiamava l’azzurro degli occhi che, a guardarli bene, risultavano davvero familiari. Perchè in effetti quell’uomo aveva qualcosa di Kurt, ma non era affatto Kurt.
Burt Hummel squadrò il ragazzo dall’alto verso il basso prima di domandare: “Salve?”
La voce di quell’uomo era bassa, tuonante. Ma era anche calda; gli donava una sensazione di sicurezza, sebbene quella piccola parola uscita quasi come un richiamo suonasse piuttosto formale e anche un po’ perplessa. E più Blaine lo fissava, quasi incredulo, quasi incantato, più il suo viso si rabbuiava facendo quasi per istinto un passo verso di lui, lasciandosi la dimora di casa sua alle spalle come se volesse fungere da protezione.
Fu quando Blaine si accorse di quel gesto che si convinse a parlare, cercando di sembrare rilassato e non euforico nel dire: “Sono un amico di Kurt. E’ in casa?”
Un amico di Kurt. Già quella frase, di per sè, era ambigua e strana. Se poi ci si aggiungeva il fattore “ragazzino misterioso e potenzialmente fatto di qualche sostanza stupefacente” la percentuale di tranquillità di abbassava considerevolmente.
“Entra.” Fece lui. Non era sicuro di volerlo lasciare alla porta, ma era ancora meno sicuro di volerlo lasciare a suo figlio. Perchè c’era qualcosa, in lui, che faceva scattare una sorta di allarme genitoriale, come una sirena che suonava nella sua testa in modo insistente.
Kurt non aveva mai portato amici a casa: beh, certo, quel ragazzo si era presentato di sua iniziativa, e poteva conoscere il suo indirizzo tramite qualche elenco telefonico o chissà che altro, ma lo osservò bene, e lui non stava scrutando la casa come se fosse la prima volta che ci metteva piede, anzi: sembrava quasi che la conoscesse bene, sembrava assaporare i colori della sala ed ammirare la luce che proveniva dalle finestre e cadeva svogliatamente sul tavolo della cucina. Notò, infatti, che quel tavolo attirava particolarmente la sua attenzione; ma prima che potesse fare qualsiasi altra domanda, diretta o non, era ancora da decidere, Blaine si voltò di nuovo verso di lui e con tono sereno chiese: “Kurt è in camera sua?”
Non era sicuro di voler rispondere; tuttavia, la sua educazione gli fece dire di sì.
Il sorriso del ragazzo si illuminò di colpo, come se gli avesse detto che fosse il giorno del suo compleanno: era strano. Era molto, troppo strano. E Blaine ci provava davvero a non sembrare impertinente, ma cavolo, quello era il padre del suo ragazzo, dopo tutte le volte che aveva sentito parlare di lui desiderava conoscerlo ardentemente, come se fosse una questione essenziale.
“Oggi non lavora, signor Hummel?”
Burt lo scrutò: conosceva il suo cognome. Beh, era ovvio, visto che era un amico di Kurt. O forse no.
“Ho staccato prima.” Tagliò corto lui, cercando di fingersi tranquillo quando, in realtà, con la coda dell’occhio lo aveva sempre nel mirino.
“Oh beh, mi fa piacere – commentò Blaine, per nulla intimidito, cominciando a fare piccoli passi verso i vari angoli della stanza – così si può riposare per bene, e magari passare del tempo con Kurt.”
Di nuovo, Kurt. Kurt Kurt Kurt. Ma chi era quel ragazzino? Non aveva nessun altro argomento di conversazione?
E poi Blaine alzò la testa tutto d’un fiato e con un’espressione tenera e romantica pronunciò: “Le vuole molto bene, sa?”
Non ci voleva certo lui per dirglielo. Lui era suo padre, maledizione. E poi, che ne poteva sapere quel ragazzino di quello che pensava Kurt? E poi capì: forse aveva una cotta per lui. Sapeva bene che suo figlio era uno dei ragazzi più popolari della scuola, e non era di certo una cosa inaudita che qualche ragazzino pieno di ormoni si infatuasse della sua immagine o del suo corpo. L’aveva sempre ritenuta una cosa altamente probabile e magari anche frequente, ma sempre rimanendo all’interno delle mura di questa scuola. Adesso questo ragazzino aveva l’aria di essere una sorta di “fan-numero-uno” di suo figlio tanto da sapere perfino il suo indirizzo. Era strano; era inquietante, e lui questo non lo poteva permettere. Non dopo quello che gli aveva detto suo figlio qualche sera prima, con il cuore in mano, dopo una cena rilassante e una chiacchierata a tu-per-tu padre e figlio...
“Ascoltami bene.” Si piazzò davanti a lui, quasi indeciso se afferrarlo per le spalle o meno. Alla fine optò per un moderato distacco, ma parlando con tono serio e inammissibile: “Io non so chi tu sia, ma... a Kurt piace molto. Quindi, ti consiglio di lasciarlo stare.”
Come?
“Chi?” Domandò Blaine, che per un secondo aveva perso il filo del discorso. O meglio, fino a quando Burt con più freddezza possibile dichiarò: “Il suo ragazzo. E' proprio perso, sembra una scatola di pop-corn scoppiettanti. Quindi, ti consiglio di lasciar perdere in partenza. Sembri un ragazzo apposto, magari un po’ svitato, ma... ci sono tanti altri ragazzini adatti a te, non devi farne una tragedia.”
E il signor Hummel non capì come mai quel ragazzino svitato avesse appena sfoggiato un sorriso che era a metà tra il divertito e il lusingato, così come non riusciva a spiegarsi perchè la sirena che strillava nella sua testa avesse cominciato ad aumentare di potenza, fino a diventare una sottospecie di allarme anti-atomico. Preferì ignorare tutti quei segnali, perchè lui era un padre protettivo, aveva un discorso bene in mente e volle precisare che...
“Insomma ragazzo, non voglio smontarti ma, devo dirtelo: non mi sembri il tipo adatto a lui. Aggiungi che è davvero cotto di questo ragazzo, tanto che una sera è tornato a casa e...”
Il sorriso di Blaine si fece più ampio.
“...E mi ha guardato tutto sognante, si è illuminato come una lampadina, e poi mi ha detto: papà, non sai cosa mi è successo, un giorno di questi ti devo assolutamente presentare-“
Si bloccò. Restò in silenzio. Perchè Blaine, adesso sembrava sul punto d'esplodere. In perfetto contrasto con la faccia di Burt che, invece, era indecisa se assumere un'espressione più scettica o più imbarazzata.
"Blaine Anderson."
Un secondo dopo sentì dire: "Uh, per un momento ho temuto dicesse un altro nome", con tono scherzoso, passandosi una mano trai capelli e spostando il peso da un piede all’altro. Ma Burt lo stava ancora fissando.
"Tu sei Blaine Anderson."
Lui non riuscì in nessun modo a decifrare il tono di quella domanda –era una domanda?-, così si limitò ad annuire, con il suo sorriso che diventava mano a mano di dimensioni normali; non accennò a scomparire nemmeno quando Burt gli domandò con voce quasi incredula: “Tu saresti il ragazzo di mio figlio?"
"Oh beh, direi di sì." Assaporò le sue stesse parole come se fossero poesia.
Burt si passò una mano sul viso, prendendo dei respiri lunghi e calcolati. Ok, poteva anche odiare quel ragazzino per la spontaneità e l'innocenza con cui aveva appena ammesso quella rivelazione; ma no, non ci poteva credere. O meglio, sapeva che prima o poi sarebbe successo, ma lui doveva saperlo prima, doveva prepararsi psicologicamente: quel ragazzino tutto riccioli e occhiali lo aveva maledettamente colto alla sprovvista. E poi, riflettendo sui suoi stessi pensieri, si concesse qualche secondo per osservarlo meglio: aveva sempre immaginato Kurt a fianco di qualche bel ragazzo, alto, con i tutti i muscoli perfettamente delineati ed uno di quei sorrisi che sembravano usciti dalla pubblicità di un dentifricio; si era immaginato i loro litigi per andare a fare shopping, oppure, per scegliere il reality giusto da guardare alla tv. E invece l'unica immagine che gli veniva in mente osservando quel ragazzo era un ammasso di cose scientifiche e complicate che al solo pensiero facevano venire il mal di testa.
Blaine approfittò di quel silenzio per tendergli la mano con fare raggiante, esitando solo un momento prima di rivolgergli di nuovo la parola e dire: "Sono lieto di conoscerla, Kurt mi ha parlato molto di lei."
Kurt. Erano già arrivati ai nomi propri? Beh era ovvio che si chiamassero per nome, tuttavia sentire il nome di suo figlio pronunciato in quel modo lo fece sussultare. Strinse la mano, forse, con un po' troppa forza, e Blaine in risposta non vacillò nemmeno per un secondo. Non lo temeva. Non aveva la minima paura di lui. E ok, magari, non aveva proprio l'aria da genitore cattivo, ma che cavolo, pretendeva un po' di rispetto dal ragazzo di suo figlio. Il ragazzo di suo figlio. Prese un altro respiro profondo.
"Ah sì? - Fece lui, fingendosi sorpreso - E che ti ha detto mio figlio?"
No, non aveva intenzionalmente marcato quelle ultime due parole. O forse sì. Comunque, per Blaine non sembrò un problema: "Beh mi ha detto che è il padre migliore del mondo. E io ci credo. Soltanto un uomo del genere potrebbe accudire un figlio così."
Era un tentativo di arruffianarselo, forse?
"Perchè Kurt, lui è..."
Ma poi guardò come il suo sguardo si fece sempre più dolce, il suo sguardo più vivo, e nel momento in cui non riuscì a finire la frase capì che non stava affatto mentendo, lui tutte quelle cose le pensava davvero. Era rincuorante; anche un po' preoccupante, forse, ma decisamente rincuorante.
“Bene.”
Blaine lo fissò di rimando, leggermente confuso: era una constatazione per cosa?
“Puoi andare.” Sentenziò allora Burt, il suo viso che si era leggermente rilassato così come tutti i muscoli del suo corpo. Blaine non capì, ma pensò che fosse divertente, pensò che quell’uomo amasse davvero suo figlio, e lo ammirava per questo. Con un leggero cenno del capo, ossequioso, gli rivolse un ultimo sorriso e salì velocemente le scale, in cerca della camera di Kurt.
Burt non era affatto sicuro di aver fatto la cosa giusta. Non era nemmeno sicuro di quello che fosse successo, lì, nel salotto della sua casa; aveva bisogno di Carole, doveva parlare con qualcuno e ricapitolare la faccenda senza sembrare una sorta di pazzo. Una cosa era certa, però: il sorriso che aveva riempito il volto di quel ragazzo per tutto il tempo era uguale a quello che aveva Kurt, ogni volta leggeva qualcosa al cellulare o pensava a qualcuno. E poi, era lo stesso di quella sera. Lo stesso di quando, dopo l’ennesima uscita con “Mercedes” – aveva capito da tempo ormai che non si trattava di lei- lo aveva preso in disparte e gli aveva detto tutta la verità. Perchè, in fondo, giusto poco tempo prima lui aveva detto che era “ok”.
“Basta che non esagerate” aveva ripetuto, per l’ennesima volta, facendo scaturire in suo figlio una risata.
E adesso si era trovato di fronte il soggetto della maggior parte dei suoi pensieri. E, forse, quello della totalità dei pensieri di suo figlio.
 
L’idea più allettante era, sicuramente, quella di fargli una sorpresa: così si incamminò in punta di piedi verso camera sua cercando di fare il minimo rumore. Poteva sentire l’eco di qualche canzone soffusa, accompagnato da un canticchiare leggero e sommesso di una voce che ormai aveva imparato ad adorare. Si soffermò diversi secondi lì, davanti alla porta, quasi assaporando il momento in cui si sarebbe aperta e si sarebbe trovato di fronte tutto ciò che sognava. E poi, preso completamente in contropiede, sentì la voce alle sue spalle che chiamava il suo nome come se fosse un fantasma, e non appena si voltò i loro occhi si spalancarono all’unisono non sapendo chi dei due dovesse essere più sorpreso.
Kurt non riusciva a capire, si era perso qualche passaggio, ma evidentemente anche Blaine, dal momento che esclamò: “Kurt! Ch-che ci fai qui?”
“E’ casa mia.” Disse lui sottolineando l’ovvio.
“O-oh, beh, sì, è vero. Ma volevo dire...che ci fai qui in corridoio? Pensavo fossi in camera.”
“Sono andato un attimo in camera di Finn per prendere qualche cd, ma...che ci fai tu qui, piuttosto?”
Con ancora le custodie dei Journey in mano e un’espressione allibita in volto spalancò la bocca, perchè la risposta era piombata rapida e semplice nella sua mente, come aggrappandosi ai ricordi di quello che aveva fatto, o meglio, scritto, meno di un’ora prima.
“Hai letto il messaggio.” Sussurrò qualche secondo dopo, arrossendo di scatto e sviando velocemente lo sguardo. Ecco, adesso sì che si sentiva uno stupido.
“Ho letto il messaggio.” Confermò Blaine che, superato lo shock iniziale ed ormai completamente intenerito dal suo ragazzo, si avvicinò lentamente sfiorandolo con le lunghe ciglia scure. Nel momento in cui gli cinse la vita con entrambe le braccia Kurt avvampò ancora di più e fece uno strano verso con le mani come per coprirsi, perchè indossava una tuta normalissima e aveva i capelli in disordine, camera sua non era perfettamente ordinata e il cd di Wicked continuava a richeggiare in sottofondo.
“Potevi dirmelo che saresti venuto! –Bofonchiò tra un’esitazione e l’altra- Io ora sono un disastro, la camera è un disastro, lo stesso messaggio che ti ho mandato era un disastro e poi non dovevi venire sul serio!”
Blaine, a quel punto, si finse offeso tanto da scostarsi –addirittura- di qualche centimetro.
“Se vuoi me ne vado...” Commentò con i suoi occhi grandi che adesso lo stavano completamente sciogliendo, le sue labbra appena incurvate in una smorfia ed era bello, bellissimo, Kurt non si ricordava più come si faceva a parlare.
“Andiamo musone, vieni dentro.” Mormorò tirandolo verso di sè e lasciando la porta chiusa alle spalle perchè, in fondo, era proprio contento che il suo ragazzo fosse impulsivo e forse doveva inviargli messaggi imbarazzanti più spesso. Mentre le loro bocche si incontrarono, a metà di un sorriso, Kurt si ricordò improvvisamente di una cosa che lo fece completamente sbiancare:
“Blaine.” Parlò come se stesse per scoprire la vera locazione del Santo Graal.
“Chi ti ha aperto la porta?”
Perchè in casa, a parte lui, c’era solo un’altra persona. Quella persona. E quando Blaine lo guardò aveva già risposto a quella pericolosissima domanda.
“Tuo padre è davvero splendido come lo hai descritto.”
Se non ci fossero state le braccia di Blaine a sorreggerlo grazie all’abbraccio sarebbe probabilmente svenuto in terra.
Si sedettero sul letto, l’uno di fronte all’altro, con Kurt che stava torturando il suo povero cuscino e Blaine che gli afferrò le mani tentando di calmarlo. Ci vollero diversi minuti prima di riuscire a convincerlo che sì, stava bene e no, suo padre non lo aveva ucciso, aveva capito chi fosse e avevano dialogato in modo perfettamente civile. O quasi. Kurt gli fece notare che, sicuramente, quello era solo il primo round perchè Burt era stato colto di sorpresa. Non disse altro dopo che Blaine mormorò: “Attacco furtivo, +3 ai tiri per colpire”. Beato lui che riusciva a vedere un lato nerd in tutte le cose.
Comunque, in effetti, Kurt gli aveva parlato di Blaine, proprio per quel motivo, suo padre aveva cominciato a capire tutto molto tempo prima e la sera dopo che era tornato dall’appuntamento con Blaine – dopo che gli aveva detto di lasciare i Cheerios, ricordò- gli aveva parlato di lui. Così, magari, aveva anche avuto il tempo di assimilare per bene la cosa. E poi c’era Carole. Sì, Carole avrebbe aggiustato tutto.
“Probabilmente è giù di sotto che sta facendo avanti e indietro per la casa.” Constatò, con un mezzo sorriso, e Blaine si sentì quasi in colpa perchè non voleva creare così tanti problemi. Kurt lo intuì dalla sua espressione avvilita e ne approfittò per accoccolarsi a lui, appoggiando la guancia sul suo torace e assecondando il ritmo del proprio respiro al suo. Passarono diversi minuti così, in silenzio, con Blaine che gli accarezzava la schiena e Kurt che, ad un tratto, sussurrò: “Grazie per essere venuto.”
Sentì la mano tiepida e leggera posarsi sotto al suo mento per tirarlo dolcemente verso il suo, i loro occhi che adesso erano incatenati, i rispettivi profumi che si mescolarono per crearne uno che sapeva di perfezione e armonia.
Blaine lo baciò sulla guancia, ma molto vicino alla bocca.
“Grazie per essere qui.”
Kurt gli sfilò con delicatezza gli occhiali, piegandoli con cura e mettendoli da parte, perchè voleva vedere tutto di Blaine, ogni sfumatura dei suoi occhi; a volte l’oro sembrava dominare come il sole. A volte, c’erano degli sprazzi di luminosità che si riempivano di verde, di nocciola, e Kurt non si sarebbe mai stancato di osservare come quei colori cambiassero a seconda delle emozioni che trasmettevano. Adesso, semplicemente, era una fusione dei tre, ma forse lo stesso stava accadendo ai suoi stessi occhi: forse, perchè ogni loro singola parte era fusa in una sola, concentrata unicamente in un’unica sensazione, intensa, indescrivibile.
Kurt si avvicinò a lui, intrecciando le mani dietro alla nuca, lasciando che Blaine lo accogliesse tra le sue braccia. Unirono le loro labbra che, finalmente, si poterono salutare come si deve, per tanti, splendidi minuti. 



L'angolo di Fra


L'angolo di LieveB

Dato che l'amata consorte non aveva la possibilità di accedere a internet, mi ha lasciato l'amorevole incarico di aggiornare la storia al posto suo... spero di aver fatto tutto per bene, moglie!

Mi ha detto di dirvi che sta bene e che vi abbraccia tutti! Dai, già che ci sono vi abbraccio anche io, altrimenti che sto qui a fare, a reggere il moccolo?

Bene! A presto e al prossimo capitolo!

LieveB

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Capitolo 20
*** Remember, so sweet ***


Capitolo 20
Remember, so sweet
 


 

 
Era sempre un tremendo via-vai all’ospedale, ma Carole ormai ci era abituata, con i suoi ventidue anni di servizio. La procedura standard era, di solito:
corsia, camere, cartelle, laboratori e poi di nuovo corsia. Non doveva sbagliare, perchè ogni azione era calcolata al minuto per rendersi il più efficiente possibile, perchè l’ospedale di Lima era sempre pieno di gente e lei non sapeva mai come fare a essere in quattro posti nella stessa volta. E di solito, con grande soddisfazione, ce la faceva. Certo, c’erano delle giornate in cui la sua tabella di marcia saltava completamente in favore di qualche chiacchierata con i pazienti, un caffè con le colleghe, una chiamata di suo marito. Ecco, quest’ultima, di solito, accadeva di rado. Ma quando accadeva Carole sapeva bene che era per un motivo molto valido, quindi ci pensava due volte prima di urlargli nella cornetta e chiedergli perchè non avesse nient’altro di meglio da fare che importunare la sua povera donna che si spaccava la schiena da mattina a sera; quella sera, infatti, il telefono squillò, il mittente era proprio lui. E lei per due, tre volte, preferì ignorarlo. Ma quando fu completamente assalita dai sensi di colpa, premette il tasto verde del suo cellulare, prendendo un bel respiro e sperando solamente che fosse qualcosa di veramente serio.
“Carole.”
E’ il mio nome, voleva dirgli, ma pensò che fosse meglio tenere i nervi per sè, visto che lui sembrava dello stesso umore.
“Sì caro, dimmi.”
“E’ qui.”
A Burt non era ancora del tutto chiaro che la telepatia non era stata ancora inventata, in quel mondo, e che quindi dovesse essere un po’ più specifico se voleva farsi capire.
“Lui è qui Carole, l’ho fatto entrare, non pensavo fosse lui, insomma, non sembrava lui.”
“Ma lui chi?” Sbottò finalmente, e Burt, nella cucina della sua casa, afferrò il cappellino portandolo stancamente sul tavolo.
“Blaine. Blaine Anderson, l’ho conosciuto ufficialmente.”
“Ah.” Fece lei. Perchè, insomma, conosceva bene suo marito, e non era uno a cui piaceva essere colto alla sprovvista.
“E...come ti sembra?”
“Diverso.” Borbottò; il tono della sua voce era serio, ma non arrabbiato.
“In che senso, diverso?”
“Non lo so Carole, non ho avuto modo di conoscerlo bene, è entrato in casa, ha dichiarato il suo amore per mio figlio e poi-“
Oh no. Oh no, no, cavolo no.
“Caro “, seguitò Carole, cercando di infondergli calma attraverso il telefono, perchè forse aveva intuito la scia dei suoi pensieri, e voleva evitare di fargli fare qualcosa di molto stupido: “Dove sono Blaine e Kurt adesso?”
La risposta arrivò rapida.
“In camera sua. Non so nemmeno se hanno la porta aperta.”
“No, Burt Hummel, non lo fare. Sei un uomo maturo e ti fidi di tuo figlio.”
Forse. Ma ci sono dei momenti in cui un padre deve agire.
“Forse. Ci sentiamo dopo tesoro, buon lavoro.”
“Bu-“
Ma lui, prontamente, aveva già riattaccato, lasciando il telefono e afferrando il cappellino; salì le scale piano, con determinazione, perchè non voleva farsi sentire altrimenti tutto il suo piano sarebbe andato in fumo.
Arrivò alla porta di Kurt; come previsto, era chiusa. E non chiusa con qualche spiraglio tra lo stipite e la maniglia, ma proprio chiusa.
Bene. Suo figlio l’avrebbe odiato per il resto della sua vita; o forse no, se riusciva a recitare bene la parte di un padre affettuoso che chiedeva se avessero bisogno di qualcosa.
Con una nonchalance che non credeva di possedere, aprì la porta di scatto, sfoggiò un sorriso rassicurante e disse: “Ehi ragazzi volevo chied-“
Si bloccò. Non fu quello che vide, a paralizzarlo. Fu quello che non vide: Blaine e Kurt non si stavano strusciando l’uno contro l’altro, come un anfratto del suo cervello aveva temuto; non si stavano nemmeno baciando, in quel modo avido che solevano fare i ragazzini di allora. Semplicemente, erano seduti sul tappeto, Blaine accoccolato contro la spalla di Kurt, Kurt con una mano intrecciata alla sua; e i loro visi sorridevano, sospiravano, di fronte ad un film che, lo sapeva, non avrebbe saputo riconoscere.
Ed era la cosa più bella che avesse mai visto.
Talmente bella che si sentì un vero stupido quando vide suo figlio sobbalzare, staccarsi di colpo dal suo ragazzo, assumere un’aria mortificata e balbettare qualche parola in sua discolpa. Ma no, di cosa doveva scusarsi? Perchè si era allontanato? Avrebbe voluto vederlo così per sempre: sereno, felice. Completo, dentro le mura di quella piccola stanza.
Ci mise diverso tempo per riuscire a dire che gli dispiaceva, che non voleva interromperli, e ancora di più per riuscire a convincere Kurt – con sguardi, parole, gesti – che non era sua intenzione fare un attacco a sorpresa; o almeno, non del tutto, ecco. Così, quando suo figlio si schiarì la gola rivolgendo una piccola occhiata a Blaine, si ricordò improvvisamente di dover dire qualcosa, altrimenti il motivo per cui era entrato di soppiatto avrebbe vacillato del tutto.
“Io, ecco...volevo chiedervi se...volevo vedere se...”
Rapido, Burt. Rapido ed efficace: la prima cosa che gli venne in mente fu, incrediblimente, quella più giusta.
“Volevo chiedere a Blaine se avesse intenzione di rimanere a cena.”
E quest’ultimo, con i suoi grandi occhi nocciola, si stupì. Ma subito dopo annuì con un impercettibile cenno della testa, ringraziando con voce soffusa e guardando Kurt che, adesso, sembrava più contento che mai.
Così Burt augurò buon proseguimento del film, uscì dalla stanza – lasciando la porta rigorosamente aperta -, scendendo le scale, cominciò a pensare che quel Blaine, magari, non fosse affatto male.
Perchè non solo sembrava innocuo, gentile e sorridente, ma era anche educato e lo dimostrò quella sera mentre aiutava Carole ad apparecchiare la tavola, lodando il set di piatti che aveva comprato – nuovo, spiegò lei, in offerta al super mercato- e scambiando anche qualche parola con Finn, il quale sembrava l’unico ad essere sinceramente rilassato. Parlarono delle lezioni, del football e dei Cheerios, Kurt raccontò le ultime follie della Sylvester e Finn spiegò il compito del Glee Club di quella settimana, che fece incuriosire un po’ tutti, soprattutto i due ragazzi, ma che si limitarono a commentare senza darlo a vedere.
La cena, con grande sorpresa di tutti, fu piacevole e tranquilla. Blaine non parlò molto, ma per tutta la serata non gli mancò mai il sorriso, così come a Kurt seduto accanto a lui. Di tanto in tanto Burt li vide scambiarsi qualche occhiata, abbassare la testa di soppiatto, come se fossero davvero in grado di nascondere quei sorrisi a trentadue denti che facevano ogni volta che i loro gomiti si scontravano per via del mangiare. Ed era così assurdo, che si esaltassero per quella minuscola cosa, che a Burt sembrò semplicemente innaturale. Oppure, forse, era proprio quello a renderlo reale, era l’emozione di suo figlio che si poteva tagliare con un coltello, per quanto era densa.
Adesso, doveva soltanto cercare di capire se fosse la stessa di Blaine.
 
Dopo cena, Carole ordinò ai ragazzi di sparire dalla cucina per fare qualcosa “da adolescenti”. Forse voleva semplicemente un minuto per se stessa dopo una lunga giornata di lavoro, ma i tre apprezzarono l’idea, si recarono in sala cominciando a fare zapping con i canali televisivi, ma senza mai mettersi d’accordo su cosa guardare: Finn aveva intravisto una partita interessante, Blaine voleva vedere quel film sugli alieni che davano nel canale del cinema e Kurt, sinceramente, avrebbe scelto tutto tranne quelle due scelte. Alla fine, capirono che non si sarebbero mai decisi, quindi, non restava che fare qualcos’altro.
E fu quello il momento in cui Finn fece la peggiore di tutte le cose, afferrando un cd dalla custodia vicino al divano ed esclamando a Blaine: “Kurt mi ha detto che ci sai fare con i videogiochi, mi daresti una mano? Non riesco a superare il quinto livello di Left 4 Dead 2.”
Le reazioni, paradossalmente, furono opposte: perchè il viso di Blaine si illuminò in modo inversamente proporzionale a quello di Kurt, che adesso era sbiancato, scandalizzato, rassegnato, perfino. Perchè non poteva dire a suo fratello di lasciar perdere quello stupido gioco e lasciare loro due liberi di fare delle cose più adatte, delle cose, come dire, da fidanzati; no, non poteva. Anche perchè Blaine sembrava come un bambino a cui avevano appena dato le caramelle ed afferrò il joystick come se avesse ritrovato un pezzo perduto della sua mano.
E Kurt, per un secondo, pensò che avrebbe potuto assistere: si divertiva a guardare Blaine giocare, o meglio, si divertiva a guardare solo Blaine. Ma ben presto scoprì che quel gioco era uno sparatutto, e riguardava degli zombie striscianti che tentavano di ucciderti, e tu avevi la visuale in prima persona che sembrava di essere lì, in mezzo a loro, e no, assolutamente no, con tutto l’affetto che provava per Blaine, non sarebbe rimasto un secondo di più in quella stanza.
Senza alcun tipo di rimorsi, lasciò un velocissimo bacio sulla guancia al suo ragazzo e disse che sarebbe andato ad aiutare Carole in cucina. E Blaine lo guardò andare via, completamente amareggiato: era proprio un idiota. Lui era a casa di Kurt, del suo meraviglioso ragazzo, e stava giocando alla xbox con suo fratello. Dio, quanto era idiota.
“Blaine?” Lo chiamò Finn, una volta che il suo personaggio fu sul procinto di morire e non sembrava essersene minimamente accorto.
“Oh...scusa. Immagino che debba andare da Kurt.” Fece per andarsene, ma Finn lo fermò: “Eddai finiamo il livello ti prego, siamo quasi alla fine! E non ti preoccupare, non si è offeso.”
Lo guardò con la coda dell’occhio, inarcando un sopracciglio: “Come fai a saperlo? Voglio dire...ne sei sicuro?”
“Certo. Sai, quando stavi aiutando Carole, gli ho chiesto se potevo parlarti un secondo.”
“Oh.” Beh, quello non se lo aspettava. O meglio, aspettava ancora il secondo round con Burt, ma di certo non aveva pensato a Finn.
“E...di cosa vuoi parlarmi?”
“Di Rachel.”
Ma giusto, Rachel. Finn era il ragazzo di Rachel; aveva dato per scontato che volesse commentare la sua relazione con Kurt perchè...non lo sapeva nemmeno lui, il perchè. Forse perchè aveva ancora paura che qualcuno, sbucando dal niente, gli dicesse che stava sognando e che tutto quello successo fino ad allora non era reale. Adesso, però, si trattava della sua migliore amica: fece appello a tutte le sue forze per non mettere in pausa e continuare a giocare, fingendosi interessato ma senza preoccupazione. Anche Finn sembrava preferire quella situazione, perchè almeno aveva una scusa per tenere gli occhi fissi sullo schermo, non era costretto a guardare il migliore amico della sua ragazza negli occhi e contemporaneamente dire quelle cose: “Ormai è...ormai è un po’ che sto con Rachel.”
“Sì, lo so.” Ripensò al calendario che la ragazza teneva in camera sua dove segnava ogni singolo giorno passato insieme a Finn, sin da prima che si mettessero insieme. Erano a quota quarantadue.
“C’è qualche problema con lei?”
“Non è quello.”
Con quella risposta, Blaine si incuriosì: allora non stavano per rompere. Uccise uno zombie con così tanta euforia che ringraziò la xbox perchè nascondeva così bene le sue vere sensazioni.
“Anzi, in effetti, è tutto l’opposto... – mormorò l’altro ragazzo, cominciando visibilmente a balbettare – io volevo, ecco, volevo farle una sorpresa. Per...per il nostro mesiversario. Lo so che è ridicolo, lo so, ma tu sembri così bravo in queste cose, voglio dire, sei riuscito a far breccia nel cuore di Kurt, ancora mi chiedo come tu ci sia riuscito e –“
“Aspetta. Kurt ti ha detto così?”
Dopo qualche secondo di pausa, lo sentì deglutire: “Forse questo non dovevo dirlo.”
No, forse non avrebbe dovuto. Ma non impedì al cuore di Blaine di sciogliersi completamente.
“Tu...tu sei forte, Blaine. Riesci a fare sempre la cosa giusta al momento giusto. Vorrei, insomma, vorrei un consiglio da te, visto che la conosci così bene...”
Lo ammirava. Era proprio così, Finn lo ammirava; e lui non era mai stato ammirato da nessuno in vita sua, specialmente se si trattava di ragazzi belli, popolari, affascinanti e che potevano avere tutto ciò che desideravano. I giocatori di football non lo ammiravano. Lo denigravano. Lo umiliavano. E il quarterback adesso si stava aprendo completamente a lui, perchè aveva avuto modo di conoscerlo, tramite suo fratello.
Di nuovo, Blaine si rese conto di quanto fosse stato fortunato ad avere Kurt.
Così, senza pensarci troppo, una volta ucciso l’ultimo mostro e sfoggiato un sorriso rassicurante, guardò Finn negli occhi e scrollò la testa.
“Non serve che tu faccia delle cose in grande. Devi essere te stesso, come sempre; e poi vedrai che anche le cose più semplici diventeranno meravigliose.”
Ne era sicuro; lo stava provando con Kurt secondo dopo secondo, per questo Finn lo guardò.
“Ti piace proprio Kurt, eh?”
Lo disse così, come un amico che punzecchia un altro; Blaine allora scoppiò in una piccola risata, con le guance che si arrossavano velocemente e gli occhi puntati a terra, senza avere il coraggio di rialzarli.
“Sì - sussurrò, a metà tra il felice e l’imbarazzato, con quel poco fiato che gli era rimasto in corpo- sì, tengo molto a lui.”
In risposta, Finn non disse niente, ma capì. Si limitarono a finire quel livello immergendosi ognuno nei propri pensieri. Non c’era bisogno di aggiungere altro semplicemente perchè, in fondo, si erano detti tutto.
Perchè quando uno a Left 4 Dead usa la propria razione di medicinali per curare l'altro, è il segno che è nata una nuova amicizia.
 
Dopo aver salvato la partita e dato qualche consiglio a Finn su come evitare l’attacco degli Hunter, Blaine lasciò volentieri il joystick per ritornare finalmente da Kurt, che se ne stava seduto in cucina a leggere una rivista di moda. Carole era già andata via e la stanza profumava di detersivo e fiori. Lavanda: quello era il balsamo di Kurt, lavanda. Blaine si avvicinò a lui lasciandogli un dolce bacio sui capelli ed inspirando il loro profumo a pieni polmoni.
“Finito di ammazzarvi?” Esclamò Kurt, con un sorrisetto che sembrava anche un po’ preoccupato, ma che si trasformò immediatamente quando sentì il respiro di Blaine avvicinarsi sempre di più alle sue labbra, con una lentezza tale da farlo riempire di brividi.
“Finn è proprio cotto di Rachel.” Commentò lui, continuando ad accarezzargli una guancia e sfiorando con la bocca la pelle fresca e perfetta. Kurt lo guardò con finto scetticismo, per dire: “Senti da che pulpito?”
“Infatti non lo biasimo per niente.”
Già, pensò Kurt, quando finalmente si baciarono e sentì le sue braccia avvolgerlo completamente. Già, nemmeno lui poteva biasimarlo. E forse era anche un po’ ridicolo che non riuscissero più ad allontanare le labbra l’uno dall’altro, ma quelle di Blaine erano così morbide, così dolci, così intense, che si abbandonò completamente all’idea di esserne dipendente.
Poco dopo, però, la voce di Burt li chiamò a gran voce: fecero in tempo ad assumere un atteggiamento quanto meno decente quando fu arrivato in cucina, con le chiavi della macchina in mano ed il cappellino nell’altra. Si offrì di accompagnare Blaine a casa dal momento che l’ultimo autobus era passato da un bel po’ di tempo. Così, in quel piccolissimo secondo di intimità che ebbero per salutarsi, si scambiarono un ultimo bacio, con Kurt che teneva ancora gli occhi socchiusi e domandò: “Ci vediamo a scuola?”
Strinse un poco le mani nelle sue; “Ci vediamo a scuola”, sentì dire da Blaine, con quella voce che sembrava miele caldo e armonia.
“Non farti mangiare vivo da mio padre.”
Ecco, a quello non ci aveva minimamente pensato; non in quel momento, almeno.
“Dici che mi vuole uccidere?”
“Non lo so – rispose Kurt, assumendo un’aria pensierosa – non credo, comunque, secondo me gli sei piaciuto.”
Veramente, il suo primo commento – anche se involontario – era stato che non ce lo vedeva affatto come ragazzo di suo figlio. Ma non importava. La serata era andata bene, Burt non sembrava arrabbiato: non c’era niente di cui preoccuparsi, giusto?
 
 

Silenzio. In quella macchina, troppo grande per contenere soltanto due persone, regnava il più completo silenzio. Ogni sorta di rumore esterno era attutito dai finestrini, e quindi Blaine poteva sentire soltanto una leggera cappa di suoni che venivano sovrastati dal respiro pesante e regolare di Burt Hummel.
Non sapeva cosa dire; non aveva assolutamente niente da dire.  Insomma, in casi come quelli è meglio rimanere zitto, per non peggiorare ancora di più la situazione.
E poi, senza aggiungere un’altra parola, con una lentezza quasi inquietante, azionò la freccia di destra, con l’intenzione di sostare su uno spiazzo a lato della strada.
E Blaine in quel preciso istante si immaginò che afferrasse dal sedile posteriore un fucile a canne mozze e glielo puntasse alla tempia. Oppure la macchina si trasformava in un mostro gigante e a lui era rimasto soltanto con un punto vita, e stava per finire le munizioni della sua calibro 45.
Ok, forse frequentava troppo il Lan Party.
Burt continuava a fissarlo immobile come una statua, sembrava freddo e cinereo mentre la sua mente formulava quella che sembrava essere una domanda decisiva. Alla fine parlò, con tono talmente serio da paralizzare anche Blaine.
"Non era la prima volta che mettevi piede in casa mia, non è vero?"
Blaine non fu capace di distogliere lo sguardo, mentre sussurrava: "...No?"
"Era una domanda?"
"...No."
"Allora era una conferma."
"No!"
"E' l'unica parola che sai dire, Blaine?"
"No. Cioè, voglio dire-"
"Ragazzo, da quanto tempo frequenti mio figlio?"
Ecco. Era una domanda più che giusta. Ma, in effetti, che cosa avrebbe dovuto dire? Non è che avessero deciso esattamente un giorno e un'ora in cui si erano messi insieme. Certo, c'era stato quel giorno del bacio...ma tutti gli altri? Frequentare implicava, forse, anche tutta la conoscenza precedente, le giornate passate a bere caffè al Lima Bean, i pomeriggi trascorsi tra libri e sorrisi...
"Da quasi un mese" rispose allora Blaine, dicendo una mezza verità, o almeno, così la riteneva lui.
Burt Hummel sembrò ancora più sorpreso da quella risposta e si limitò a scrollare le spalle, appoggiando entrambe le mani sul manubrio e guardando la strada, come se stesse trovando le forze per continuare quel dialogo, oppure, la voglia.
Eppure, non sembrava scocciato: in verità, tutto quello a cui stava pensando in quel momento era che, adesso, era tutto reale. L'immagine di suo figlio che passava del tempo con un altro ragazzo, intento a baciarlo, abbracciarlo come aveva fatto solo con lui; era l'idea di lui che si lasciava trasportare da un'onda di emozioni e sentimenti, che poteva essere bella, travolgente, oppure fulminea e pericolosa.
Tuttavia, Blaine assomigliava più alle prime cose. Blaine sembrava esattamente il tipo di ragazzo che non avrebbe mai immaginato a fianco di Kurt, uno di quelli che passavano le giornate con dei libri più pesanti di loro.
Così, mosso da curiosità e sì, anche un po' di istinto paterno, gli rivolse uno sguardo interessato e glielo chiese.
"Fai qualche sport, nella vita?"
Ovviamente, la risposta era no. Ma era partito con una domanda semplice.
"E quindi...come passi il tempo, voglio dire, quali sono i tuoi interessi?"
Ci volle qualche secondo per realizzare che l'espressione assunta da quel ragazzo assomigliava quasi ad imbarazzo, e il modo con cui adesso stava stritolando la cintura di sicurezza con le proprie mani non era affatto rassicurante.
"Mi vedo con gli amici...più che altro...giochiamo."
E ok, detta in quel modo, suonava davvero male.
"A cosa giocate, esattamente?" Scandì lui, perchè insomma, lui a diciassette anni giocava molto poco, se non a calcio, ai giochi da guerra e...
"Videogiochi. Giochi da tavolo, per lo più."
Giochi da tavolo. Per un momento, credette di aver frainteso: esistevano ancora i giochi da tavolo? Lui poteva giurare di non aver mai visto Kurt alle prese con qualcosa del genere, ma nemmeno Finn. Il punto era che c'erano così tanti altri passatempi che si potevano fare di quei tempi, tipo i social network, i film, la televisione, che l'idea di tornare ad usare i giochi da tavolo aveva dell'incredibile.
Ma Blaine, a quanto pare, era sincero: lo potè intuire dal suo sorriso spezzato, e dai suoi occhi timidi rivolti verso il cruscotto.
"Bene, voglio dire, non me lo aspettavo."
"Già, non se lo aspetta mai nessuno" confermò Blaine, quasi comprensivo.
"E quindi...sei nella stessa classe di Kurt?"
Il tono della sua voce si era ammorbidito: perchè non c'era nessun motivo di diffidare di un ragazzo che riusciva ancora a divertirsi nelle piccole cose, esattamente come lui alla sua età.
"A volte", rispose Blaine, "abbiamo un paio di corsi insieme, tutto qui."
"E vi siete conosciuti a lezione?"
Oh, ecco. Allora, Burt non sapeva nulla: oppure, sapeva che Kurt aveva preso delle ripetizioni, ma non che l'insegnante fosse lui in persona, ed era lì che si erano conosciuti, a casa sua; ecco, magari, quell'ultimo dettaglio sarebbe stato meglio ometterlo; ma Blaine riuscì a dire tutta la verità, attraversando tante esitazioni epiccoli respiri; gli occhi di Burt si spalancarono lentamente, il suo viso si distese in un sorriso un po' più caldo, e Blaine non riusciva granchè a capire quella sua espressione perchè, insomma, in meno di mezzo minuto gli aveva appena rivelato di essere un cervellone che si esaltava conquistando la Kamcatcha a Risiko. Non era molto normale.
Lo avrebbe ucciso vivo. Avrebbe detto che un tipo del genere non era adatto per Kurt, perchè Kurt era alla moda e solare, non amava passare le giornate chiuso in una stanza con altri ragazzi un po' fuori di testa, preferiva l'aria aperta, la musica degli anni cinquanta e lo shopping; Blaine si stava facendo sempre più piccolo, stava quasi per chiedergli scusa, il motivo poi, non lo sapeva nemmeno lui, quando tutto ad un tratto con una voce divenuta un sussurro tenero e gentile sentì dire: "Elizabeth andava matta per i numeri."
E no, un momento, si era perso qualche puntata? Cos'era successo? Chi era Elizabeth?"
E poi ricordò: Elizabeth, la madre di Kurt.
"Era così buffa." Continuò Burt, alzando gli occhi al cielo perchè, in un certo senso, sperava di vederla lì, persa in mezzo alle stelle.
"Aveva un solo esame di matematica all'università, ma me lo ricordo come se lo avessi fatto io in persona: si preparava con penne di tutti i colori, libri pieni di appunti e post-it, si metteva perfino la fascia per fare palestra, come se fosse un esercizio fisico oltre che mentale."
Blaine non riuscì a trattenere un sorriso, e dopo qualche secondo chiese: "Quindi...a sua moglie piaceva la matematica?"
Burt lo guardò dritto negli occhi.
"La odiava."
Oh. Ok. Beh, almeno adesso capiva da chi avesse preso Kurt.
"Però, allo stesso tempo, l'affascinava. Diceva sempre che era un mondo magico. Diceva sempre: non importa di che razza, sesso o religione tu sia, la matematica sarà sempre uguale. E possono capirla tutti. Oppure no, a seconda dei casi."
Stavolta, furono entrambi a sorridere, scambiandosi un'occhiata divertita e sentendo i muscoli dei loro corpi rilassarsi sempre di più.
Perchè Burt capì che poteva cominciare ad avere fiducia in quel ragazzo, un poco alla volta.
"E dimmi - esordì una volta che tutta la tensione fu definitivamente passata, con le spalle appoggiate sullo schienale ed un volto tranquillo - come se la cava Kurt a matematica?"
Voleva saperlo sul serio?
"E' completamente negato."
Con un sorriso compiaciuto mise in moto la macchina, azionando freccia e innescando la marcia; Blaine restò in silenzio, quasi ammirandolo, mentre lo vedeva scrollare lievemente la testa, continuando a mormorare: “Tale e quale.”
 



***

Angolo di Fra
 
Ma buongiorno e buon appetito! E' da un po' che non ci sentiamo, vero? Prima non avevo messo nessuna NdA, poi la scorsa settimana ho delegato la moglie... insomma, come va? Spero tutto bene. Non voglio farvela tanto lunga, volevo soltanto appuntare un paio di cose che devo per forza dire:
1) Tra capo e coda mi sono ritrovata tra le mani QUESTA BELLISSIMA COPERTINA che mi ha fatto sandra. E io voglio ringraziarla anche qui, pubblicamente. Grazie, mi hai davvero commossa. E' bellissima.
2) E siamo arrivati al capitolo 20... voi ci avreste creduto? Io no. Non ci avrei scommesso un soldo bucato. Quindi grazie. Davvero, grazie. Per le recensioni, per le preferite che, accidenti, sono davvero, davvero tantissime... io non so più cosa dire. MAI, e credetemi, MAI avrei creduto che la mia storia potesse avere così tanto successo. Non l’ho sognato nemmeno perchè, insomma, mi sembrava di essere troppo pretenziosa. E io penso davvero di dovervi un immenso favore, perchè voi dite sempre che è tutto merito mio e della mia storia, ma in realtà è un po' un circolo vizioso, perchè io traggo "voglia" di scrivere dalle vostre recensioni. Nel senso, la voglia ce l'avrei comunuque, ma quello che mi porta a dire "cavoli devo aggiornare!" è proprio la gratitudine e il rispetto che ho nei confronti di chi ha perso tempo nel commentare me, la ff, dicendomi quanto si è emozionata e quante risate hanno fatto. Il mio sogno è che voi non smettiate mai di perdere questo interesse verso la storia. Spero davvero che sia così.
 
Ora, domanda da un milione di dollari: quando aggiornerò? Io spero sempre di mantenere il limite di una settimana, ma con lo studio non si sa mai. Grazie di nuovo per l’infinita pazienza che dimostrate. Un abbraccio
Fra

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Capitolo 21
*** I can't ***


Capitolo 21
I can’t






 
Era un Venerdì mattina, e Kurt non vedeva l’ora che finisse quel lunghissimo pomeriggio di allenamenti. La coach lo aveva rimproverato come sempre, gli aveva ricordato di sorridere sempre di fronte alle future telecamere durante la loro vittoria alle nazionali e lui aveva passato la giornata a chiacchierare con Mercedes. O meglio, sotto sua richiesta – minaccia - gli aveva raccontato tutti gli avvenimenti riguardanti Blaine, che iniziavano con il suo ufficiale ingresso in casa Hummel e terminavano con dei silenzi piuttosto imbarazzati quando l’amica gli aveva chiesto cosa avessero fatto il giorno precedente.
Kurt si era limitato a rispondere con un rapido “niente”; perchè una sessione interminabile di baci in camera sua non era proprio un programma di serata che poteva dire in giro.  Mercedes gli fece un occhiolino convinto e lui non potè fare altro che abbracciarla e stringerla a sè un po’ più forte: dopotutto, se era arrivato dov’era in quel momento, era anche per merito suo. A volte si dà per scontata la presenza di un amico vero, nella vita.
Prima di quello, però, doveva aspettare il termine degli allenamenti di Finn, sfrecciare fino a casa – ultimamente la sua macchina raggiungeva chilometri orari mai visti – e prepararsi per l’arrivo di Blaine, anche se lui continuava a dire che non aveva bisogno di cambiarsi e lavarsi i denti tre, quattro o cinque volte in un minuto: a lui piaceva il sapore delle sue labbra, e dopo una mezz’oretta di dimostrazione pratica riuscì quasi a convincerlo; di certo non si era lamentato quando Kurt fingeva di non capire per riprendere di nuovo quel contatto.
Adesso lui stava guardando l’orologio per la centesima volta quel giorno, cominciando a domandarsi se non ci fossero problemi di batteria o fuso orario perchè, cavolo, il tempo sembrava non passare mai, peggio di quando faceva le prime lezioni di matematica insieme a Blaine; subito dopo, si ritrovò a sorridere contro i suoi stessi pensieri: alla fine, in un modo o nell’altro, erano sempre collegati a lui. E la cosa non gli dispiaceva affatto.
Dopo un ultimo numero gli allenamenti furono dichiarati ufficialmente conclusi e finalmente poteva rintanarsi in un posto buio e isolato in attesa dell’arrivo di suo fratello: voleva farsi una doccia, ma preferiva sopportare qualche minuto piuttosto che rischiare di fare qualche incontro poco gradito. Con passo veloce e felpato raggiunse l’entrata della scuola, dove si era dato appuntamento con Finn; sperò solo che facesse in fretta, perchè lui non aveva nessuna voglia di passare dagli spogliatoi per chiamarlo.
La situazione, in quei giorni, era diventata strana e, allo stesso tempo, quasi tranquilla: era semplice ignorare le loro occhiate quando camminava per i corridoi, parlava, o respirava tra le mura di quella scuola. La cosa difficile, senza dubbio, era ignorare le risate che percepiva quando qualche ragazzo gli voltava le spalle, o qualche commento piuttosto colorito. Ma niente, niente di tutto quello era paragonabile agli sguardi che lanciavano a Blaine. L’ultima volta ci era mancato davvero poco: fu preso dall’istinto di rincorrere quell’energumeno e urlargli che diavolo di problema avesse, di lasciarli stare, di farsi una vita meno miserabile. Ma Blaine era calmo, come restìo, gli mormorò di lasciar perdere e così era stato; potevano sopportarlo. Ne erano assolutamente convinti, mancava qualche mese e tutto quello sarebbe finito.
Stava per scrivergli un messaggio chiedendogli cosa stesse facendo, quando sentì un rumore di passi leggeri avvicinarsi a lui, costringendolo ad alzare lo sguardo per puntarlo esattamente su una ragazza piuttosto bassa, magrolina, con dei lunghi capelli castani ed un’espressione accigliata.
“Ciao Kurt.” Fece lei, con un tono alto sin troppo finto.
Rachel Berry. La migliore amica di Blaine, nonchè fidanzata di Finn. A giudicare dal suo sguardo, era stupita e annoiata quanto lui di trovarsi in quella situazione. La salutò con un cenno del capo sfoggiando un sorriso sghembo, uno di quelli che non usava da tempo, uno da Kurt capitano dei cheerios e che in molti casi si era rivelato efficace per zittire dalla nascita qualsiasi sorta di conversazione.
“Che stai facendo?”
Beh, molti casi non erano tutti. E poi, non aveva mai sperato che Rachel fosse come tutte le altre ragazze a cui era abituato, che si accontentavano di un gesto o una smorfia: ci doveva essere un motivo se era la migliore amica di Blaine, no? Una parte di lui, però, moriva dalla curiosità di capire quale fosse.
“Sto aspettando Finn”, rispose, tranquillo, cordiale. Rachel annuì piano e alzò leggermente il mento all’insù: “ah, quindi stai aspettando il mio ragazzo.”
“Beh, sì. E’ mio fratello.”  Stava evidenziando l’ovvio, lo sapeva. Ma aveva come l’impressione che lo sapesse anche lei.
“E tu che stai facendo?”
“Sto aspettando Blaine.”
Il mio ragazzo, voleva precisare; ma no, quella situazione era già abbastanza assurda senza che lui cadesse in quelle frecciatine odiose. Disse che non sapeva che Blaine fosse ancora a scuola, e lei rispose che era per via di Brandon o qualcun altro del club di informatica: lo aveva supplicato di aiutarlo per l’ennesima volta con quei computer, e Kurt provò un moto di tenerezza e affetto, perchè Blaine non riusciva proprio a dire di no. Stava quasi per dirlo a Rachel, ma poi immaginò che lei lo sapesse già, anzi, glielo avrebbe quasi rinfacciato: aveva proprio quello sguardo lì, quello un po’ fiero e austero da “miss-migliore-amica-2012”. Per la sanità mentale e psicologica di entrambi, pensò bene di cambiare argomento, vertendolo su l’altra persona che avevano in comune.
“Insomma...come va con Finn?”
Forse aveva sbagliato a chiederlo. Perchè, in effetti, c’era qualcosa, in quella smorfia di nervosismo, che gli fece capire di aver sollevato tremendamente un enorme problema; problema che si manifestò un secondo dopo, con delle frasi veloci e letali che Rachel sentenziò come se fosse una mitraglietta: “Oh Finn, certo, Finn è meraviglioso Kurt, meraviglioso. Talmente meraviglioso che fa delle cose da puro genio, o non so, è un fattore genetico, Kurt? E’ di famiglia?”
“Non lo so – rispose, inarcando un po’ un sopracciglio – io e Finn siamo fratellastri, per cui...”
Non che la cosa fosse di enorme importanza; più che altro, gli serviva stabilire che qualsiasi cavolata avesse fatto quell’uomo non poteva essere ricollegata a lui.
“Il super bowl.” Minacciò lei.
Facendosi più vicino, tese le orecchie chiedendo di ripetere, non sicuro di aver capito.
“Finn per il nostro mesiversario mi ha portata al super bowl. Ad una partita. Ti rendi conto?! Ad una partita!”
Oh. Ecco. Beh, un pochino capiva la sua collera. E tutto ad un tratto gli venne in mente l’immagine di lui e Blaine che parlavano in salotto davanti ad un videogioco e dicendosi chissà che cosa, con quegli sguardi languidi e quelle facce da amici in confidenza...e deglutì. Perchè aveva la netta sensazione che, in qualche modo, fosse anche un po’ colpa di Blaine?
Volevo essere me stesso - mugugnò Rachel – beh, poteva essere se stesso anche seduto ad un tavolo del Bel Grissino e con un bel vestito!” Aveva la tipica voce bassa e canzonatoria di chi sta palesemente imitando il proprio fidanzato in preda ad una crisi di nervi.  E Kurt non disse niente: il fatto che quella frase suonasse esattamente come un potenziale consiglio di Blaine era soltanto una spiacevole coincidenza.
“Non c’era nemmeno Madonna a presentarlo, insomma, che grande serata.”
E fu in quel momento che il suo volto, almeno un poco, si illuminò. Rachel notò il cambiamento di espressione, quasi come se stesse pensando alla stessa cosa, e quindi diventando improvvisamente calma e professionale lo guardò con la coda dell’occhio, concedendosi una pausa di qualche secondo e schiarendosi la voce come una diva di fronte ad un suo collega di lavoro.
“Sai...ti ho sentito cantare, qualche volta. Hai una voce apprezzabile.”
Apprezzabile? Sul serio, aveva detto apprezzabile?
“Grazie– rispose lui, vago- anche tu non canti male, mi pare di averti sentita, un paio di volte... ah giusto, stavi raccogliendo fondi con il Glee Club.”
Ti stavano lanciando delle scarpe, aggiunse una parte della sua mente, ben conscia di non dirlo ad alta voce.
Rachel lo innervosiva: aveva sempre avuto quella strana sensazione, di due tipi che non andassero per niente d’accordo; adesso che erano a faccia a faccia, se possibile, era aumentata ancora di più. La cosa comica era che sembrava essere reciproca, visto che la ragazza appariva gentile e rilassata solo per contrapporre tutto il nervosismo che le stava nascendo da dentro.
“Grazie.”
Più che un grazie, sembrò una maledizione detta a denti stretti. Kurt non se ne preoccupò minimamente fino a quando non sentì dire: “Mi dispiace solo che tu non abbia l’estensione che ho io. Ma forse non possiamo essere tutti così fortunati, non è vero?”
Non lo aveva detto sul serio. Oh no, non poteva.
“Riesco a prendere un fa naturale con assoluta facilità.” Commentò lui. Si stava sforzando di restare gentile perchè, dopotutto, era pur sempre la migliore amica di Blaine; e lei, dal canto suo, stava cercando di non litigare con quello che evidentemente era il ragazzo del suo migliore amico, argomento ancora tutto da spiegare.
“Oh ma quello anche io, sono le basi.”
Probabilmente per capire tutta quella serie di frecciatine, commenti stizziti, occhiate e sorrisetti ci sarebbe stato bisogno dei sottotitoli per non udenti. Almeno quello lo avevano in comune; certo, quello, ed un fidanzato-alias migliore amico ed un altro-alias fratellastro.
“Ho vinto il mio primo trofeo di canto a sei mesi.” Annunciò Rachel, con convinzione; la stessa che fu brutalmente annientata quando Kurt disse: “ Oh, io ho solo vinto un trofeo nazionale con i Cheerios. Celine Dion, sai com’è.”
No, non lo sapeva. E come diavolo si permetteva lui di assumere quel tono da capo-cheerleader?! Lei era Rachel Berry. Lei era Rachel Berry, insomma. Lei era-
"Io sono la figlia illegittima di Barbra Streisand!"
Con una lentezza piuttosto snervante, la squadrò.
"Mi dispiace tanto dirtelo, ma...temo proprio che tu, di Barbara Streisand, abbia soltanto il naso."
E Rachel ci provò davvero ad assumere l’espressione più offesa possibile, rivolgergli un’occhiata acida e magari minacciarlo di spedirlo con pacco celere in qualche bunker di cocainomani; ma purtroppo, o per fortuna, esattamente un secondo dopo Blaine arrivò da dietro afferrando le spalle di entrambi, con un sorriso talmente ampio che accentuò ancora di più lo sbigottimento dei due.
“Ragazzi! Che combinate di bello?”
Di bello niente, voleva sottolinare lei, la sua migliore amica, perchè quel cavolo di modello in uniforme aveva avuto la splendida idea di aspettare il suo ragazzo per tornare a casa. Non conosceva quel Kurt Hummel e già non gli stava simpatico.
“Stavamo solo facendo conoscenza”, rispose Kurt. La sua voce si era già fatta molto più dolce, e non era normale che bastasse la sola presenza di Blaine a calmarlo in quel modo; oppure, semplicemente, erano i suoi occhi ambrati che adesso lo stavano riempiendo con un’indescrivibile varietà di emozioni.
“Oh sì – fece Rachel, melliflua – il tuo ragazzo è adorabile.”
Detestabile. Il suo ragazzo era assolutamente detestabile, e che diavolo ci aveva visto di così speciale in lui?!
Ma Blaine era in una bolla di sapone, sembrava felice come se gli avessero regalato un uovo di Pasqua, li guardò con un sorriso raggiante esclamando: “Ah, non è buffo che il mio ragazzo sia il fratello del ragazzo della mia migliore amica?”
“Vuoi dire: non è buffo che la mia migliore amica frequenti il fratello del tuo ragazzo.”
Kurt roteò gli occhi al cielo: no, ok, poteva farcela. Quella Rachel Berry era l’emblema della gelosia e dell’ira repressa, ma poteva farcela.
Blaine, ovviamente, non si accorse di niente; anzi, con il suo solito entusiasmo disse: “Sarebbe così bello... le due persone a cui tengo di più al mondo che si vogliono bene.” Aveva un tono di voce che rasentava il sognante, e per quello ricevette un’occhiata scettica da parte dell’amica, ed una completamente spiazzata da parte di Kurt, perchè una piccola parte di sè si era fermata insieme ai battiti del suo cuore, ancora intenta a contemplare quelle semplici parole: le due persone a cui tengo di più al mondo. Lui era una di quelle?
Come a confermare quella rivelazione così dolce, perfetta, e disarmante, ricevette un velocissimo bacio sulla guancia e tramite un sussurro sentì: “Ehi.”
“Ehi.” Bisbigliò, e per farlo gli sembrò di aver bisogno di un respiratore artificiale.
“Brandon mi ha tenuto occupato fino ad ora.”
“Sì, lo avevo capito.”
“Tutto bene?”
Mentre lui rispondeva di sì, con un sorriso brillante e gli occhi limpidi per via di chissà quale emozione, Blaine afferrò le sue mani con delicatezza, soffermandosi ad osservare il modo con cui si intrecciavano senza alcuna esitazione.
“Peccato che oggi non possiamo vederci. Ti chiamo quando arrivo a casa?”
“Sì”, riuscì a dire Kurt, tra un sorriso e l’altro, prima di sciogliersi del tutto. Rachel era sull’orlo di afferrare Blaine per quella sua camicia nuova – sicuramente comprata insieme a Kurt – quando venne chiamata a gran voce da Finn, a qualche metro distante da loro, sventolando una mano a mezz’aria e reggendo il borsone per il football nell’altra.
Persero qualche minuto buono a salutarsi, con tanti gesti e pochissime parole. Alla fine le importava poco se quel Kurt stava con Blaine: lei aveva Finn, e anche se la faceva arrabbiare, il più delle volte era buono e gentile, ed era quasi perfetto. Quasi. Insomma, ancora non le era passata l’arrabbiatura per il Super Bowl.
Blaine era rimasto ancora lì, visto che doveva tornare a casa con Rachel; leggendosi con un solo sguardo, si sentirono imbarazzati e allo stesso tempo invidiosi che loro due non potessero manifestare i loro sentimenti così apertamente, in quella maledetta scuola.
Parlarono un po’, e quando Kurt approfittò di una pausa della coppietta per esclamare: “Finn, andiamo?”, ricevette un’espressione così densa di odio da parte di Rachel che per un secondo temette per l’incolumità della sua vita, o di quella dei presenti in generale. Ecco, forse non avrebbe dovuto interrompere il suo momento di gloria, ma lui aveva una doccia da fare e di certo i suoi programmi per la serata non sarebbero slittati per via di qualche loro sessione amorosa.
“Finn, tesoro, perchè non parli a Blaine di quel nuovo gioco che hai visto stamattina?”
L’altro ragazzo sentendo quelle parole trasalì sul posto, in una reazione talmente scontata che fece scappare un sospiro divertito a Kurt: lo vide appartarsi insieme a suo fratello per sapere di più su quella sottospecie di gioco di ruolo basato su un action play completamente innovativo, e cavoli, dove diavolo era stato fino a quel momento!? Perchè lui non ne sapeva nulla!? Roba che non interessava nè a Rachel nè a Kurt, ma a giudicare da come si avvicinò a lui con fare deciso, fu facile capire che dietro si nascondeva tutta un’altra intenzione.
“Risolviamo la faccenda una volta per tutte, come solo noi sappiamo fare.
Aveva un tono solenne, di chi facesse sul serio; lui la guardò. Perchè c’era un solo modo per interpretare quella frase: lo stava sfidando.
“Duello di canto?”
“Stasera, ore sette, al Karaoke. Portati delle bottigliette d’acqua.”
“E perchè mai? Pensi di cantare così tanto?”
“Oh no, in effetti credo di batterti al primo round.”
“Su questo mi trovo incredibilmente d’accordo: finirà molto presto, Rachel Berry, stanne certa.”
“State organizzando una serata karaoke?”
La voce entusiastica di Finn piombò alle loro orecchie come un fulmine a ciel sereno, totalmente inaspettato e quasi fuori luogo.
“E’ un’idea fantastica, ragazzi! Blaine, che ne dici? Potremmo fare un’uscita tutti e quattro, anzi, potrei chiamare anche i ragazzi del Glee Club!”
“E io potrei chiamare i miei amici... –ipotizzò lui- dovevamo andare al Lan Party, ma loro si divertono un sacco a cantare, scommetto che saranno contenti.”
“Perfetto allora! Ci vediamo alle sette al Kroag. Blaine, Rachel, io e Kurt andiamo, a dopo!”
No. Un momento. Accadde così in fretta, che i due sfidanti non ebbero nemmeno tempo di replicare: Finn lo stava praticamente trascinando verso la macchina, e Rachel aveva artigliato il braccio di Blaine intenta a portarlo via con sè; non doveva andare in quel modo. Non doveva essere una spassosissima serata karaoke, ma un duello, era una cosa seria!
E poi, tutto ad un tratto, Rachel notò il bagliore negli occhi di Finn almeno quanto Kurt vide la dolcezza nello sguardo di Blaine.
“Non vedo l’ora che sia stasera.” Dissero i due ragazzi ai rispettivi interlocutori, quasi all’unisono.
Beh, forse, l’idea del karaoke non era poi così cattiva.
 
 

Il Kroag non era mai stato un locale molto frequentato. Ci andavano i ragazzi, qualche universitario di Giovedì sera, e tutti coloro che non avevano nient’altro di meglio da fare e volevano passare una giornata fuori casa: il karaoke era composto da un piccolo palchetto con un paio di sgabelli e uno schermo per i testi delle canzoni, un foglietto appeso al muro da consegnare al dj e qualche bottiglia di birra su un tavolino spostato di un lato, puntualmente offerta dal barista.
Kurt ci era andato un paio di volte con Mercedes ma non aveva mai avuto il coraggio di salire quelle piccole scalette che conducevano al palco e cantare; di solito si limitava a supportare la sua amica, godendosi la sua incredibile voce: era raro che si esibisse al di fuori delle Cheerios e quella sera non solo era costretto a farlo, ma si sentiva anche obbligato a farlo bene. In un certo senso, voleva far capire a Rachel che lui teneva a Blaine quanto e forse anche più di lei; quest’ultima, invece, si ostinava a non volersi fidare di quel ragazzo popolare che per quattro anni non l'aveva mai degnata di un’occhiata, e sperava che quella sera ogni suo losco piano riguardante il suo amico svanisse nel nulla. Era già soddisfatta della piccola vittoria ottenuta quel pomeriggio, quando aveva chiesto a Blaine di aiutarla con la preparazione vocale costringendolo a rimandare il suo appuntamento con Kurt. “Tanto vi vedete questa sera!” aveva rinfacciato lei, stimolando il suo senso di colpa che si innescava ogni qual volta lei giocava la carta “passi sempre meno tempo con me e mi manchi tanto”. Blaine a volte era così adorabile. Kurt tutto quello non lo sapeva; non poteva saperlo, giusto?
Alcuni membri del Glee Club erano già lì: Puck, Artie, Mercedes e Santana stavano discutendo una scaletta di canzoni e Brittany giocava con il copribicchiere usandolo come orecchio; Mike e Tina erano seduti di fianco, sorridenti e curiosi, guardavano i loro amici e commentavano le loro scelte senza troppa enfasi.
Dall’altra parte di quel tavolo rotondo e piuttosto capiente, stavano Wes Nick e Jeff. Inutile dire che era bastato un secondo per fare conoscenza, e mezzo per diventare amici; quei tre ragazzi avevano l’innata capacità di stare simpatici a tutti. Almeno, fino a quando non si mostravano troppo nelle loro “cose da nerd”: in quel caso si limitavano ad annuire sfoggiando quei sorrisi di chi non ha capito assolutamente nulla delle loro parole, come una persona in un paese straniero.
Quando Rachel arrivò per poco non fece i salti di gioia nel vedere che Finn fosse già presente, ma guardandosi intorno non riuscì a trovare Kurt. Non si era nemmeno accorta della presenza di Blaine dietro di lei che arrivò qualche minuto dopo di lei, con il cappotto in mano e un’aria vagamente entusiasta: conosceva quasi tutti i presenti di quel tavolo, perchè Rachel lo aveva trascinato con sè in qualche uscita del club un paio di volte, si trovava bene con loro e il fatto che i suoi amici fossero completamente a loro agio lo fece sentire ancora più sollevato.
Sembravano troppo presi a dibattere su qualche discorso riguardante spade e cibi in scatola – davvero, come diavolo erano arrivati a quel punto?-, così, per attirare un po’ l’attenzione, con sguardo appena confuso si schiarì la voce domandando: “Ciao, avete visto Kurt per caso?”
Difficile descrivere le mille occhiate che ricevette in quel momento, quando tutti i presenti di quel tavolo si voltarono verso di lui rimanendo a dir poco abbagliati: indossava dei pantaloni stretti e scuri, una giacca elegante che risaltava il suo fisico che, a tutti gli effetti, non era per niente male; i capelli erano sistemati con del gel e i suoi occhi risaltavavano ancora di più del normale, senza occhiali pesanti pronti a nasconderlo.
Sì, Blaine Anderson quella sera era bello. Innaturalmente bello, per essere più precisi. E quando con la sua ingenuità più disarmante sfoggiò un piccolo sorriso, metà delle ragazze presenti in sala sembrarono liquefarsi come neve al sole.
“Kurt...Kurt è in bagno.” Mormorò Mercedes: era già tanto che era riuscita a ricordarsi come parlare. Perchè, insomma, sapeva che Kurt aveva avuto una certa influenza sul look del suo ragazzo, a forza di shopping e chiamate di ore che riguardavano gli outfit da indossare durante le loro uscite...ma quello era veramente Blaine Anderson? Il ragazzo timido e fissato con la matematica e i videogiochi?
Kurt non ebbe bisogno di soffermarsi ad osservare le espressioni ammaliate e sbigottite dei ragazzi, una volta tornato dal bagno e aver assistito alla scena: dopotutto, lui non aveva bisogno di giacca e gel per riconoscere la perfezione del suo ragazzo, ma di tanto in tanto era soddisfacente farlo notare anche agli altri.
L’unico commento che si levò in aria fu una domanda di Nick che fu assurda quanto letale: “Blaine, ma che cavolo!? Da quando in qua hai un venti a costituzione?”
Kurt si morse un labbro per non ridere, soprattutto perchè gli Warblers adesso stavano fissando il suo compagno come se fosse un alieno e Blaine in tutta risposta si sentiva quasi imbarazzato.
Decise di interrompere quella strana situazione salutandolo e facendolo sedere insieme agli altri, mentre veniva guardato con quel modo che lo faceva sempre sentire bello ed importante, come solo Blaine sapeva fare.
“Pronto per il grande duello?”
Il suo sorriso svanì quasi del tutto per lasciare spazio ad un sospiro, pesante ed illusorio: “Oh Blaine, ti prego, non cominciare anche tu.”
“Dai, sarà divertente. E poi ho sempre sognato sentirvi cantare insieme.”
Si chiese che reazione avrebbe avuto se avesse saputo che la natura di quel duello era dovuta ad una sorta di gelosia e possessività nei suoi confronti; forse, era meglio non dirglielo.

 
 
I primi a cantare, con grande sorpresa di tutti i presenti, furono gli Warblers: nessuno riusciva a capire come diavolo facessero ad intonare “Uptown Girl” interamente a cappella, ma lo fecero. Avevano un’armonia unica e particolare che provocò tantissimi applausi e complimenti da parte anche di molti altri presenti del locale. Kurt per tutta l’esibizione non riuscì a distogliere lo sguardo da quello di Blaine, e si sentiva così fortunato per aver trovato un ragazzo come lui, che per un attimo pensò fosse una sorta di spreco lasciarlo nei suoi videogiochi senza possibilità di coltivare quella bellissima voce.
“Il tuo ragazzo è davvero un grande.”
Questo gli disse Mike Chang, dopo quel flusso di applausi, e Kurt gli rivolse un sorriso timido quasi come a ringraziarlo silenziosamente: non si stupì della tranquillità con cui cominciò a fare conversazione con quel ragazzo, trovandosi incredibilmente a suo agio, così come con tutti gli altri ragazzi delle New Directions: grazie anche alla presenza di Mercedes, si ritrovò più volte a ridere, scherzare, immergendosi completamente in quell’atmosfera piacevole che sapeva di famiglia. Dopotutto, Finn gli aveva detto quanto quel club fosse un posto spciale, nel quale ognuno era libero di essere ciò che desiderava senza nessun tipo di problemi: si veniva accettati. In un certo senso, era ciò che Blaine aveva trovato nel Lan Party e che aveva condiviso con lui da ormai molto tempo; ma la condivisione non è l’appartenenza, Kurt non si sentiva di appartenere a quel luogo e quando lo pensava si sentiva sempre un po’ triste.
Quando Blaine ritornò al suo posto riacquisì un’espressione soddisfatta e gli disse tutto quello che aveva detto durante l’ascolto della canzone: lui, in risposta, scoppiò a ridere, dicendo che era molto gentile e il suo commento sin troppo di parte. Nick e gli altri ringraziarono, quasi ignari di quanto fossero pieni di talento e di come la loro esibizione non fosse affatto semplice da fare: si divertivano. Cantavano per passione, e non avevano bisogno di ricevere niente in cambio.
Dopo di loro cantarono Mercedes, Puck e poi Finn, che dedicò una canzone alla sua ragazza ricevendo commenti divertiti da tutti gli amici.
Rachel salì sul palco a metà tra il sicuro di sè e l’emozionato, perchè era da tempo che non riceveva una sfida così difficile: ma, alla fine, si trattava solo di quello?
L’idea di una competizione, di due persone che si affrontano, oppure del suo timore per Blaine, e per la poca conoscenza su di Kurt?
Perchè alla fine sapeva ben poco di quel ragazzo; a scuola sembrava diverso da come veniva descritto da Blaine, e quello la confondeva. Non sembrava una situazione facile da gestire, ma nemmeno quella sua e di Finn lo era. Semplicemente, Rachel voleva troppo bene a Blaine per sopportare di vederlo soffrire.
Eppure, mentre la sua voce allenata e perfetta riecheggiava nell’aria e scivolava trai tavoli con potenza e maestria, tutto ciò che riuscì a vedere fu l’affetto che si stavano dimostrando quei due ragazzi semplicemente attraverso un minuscolo tocco delle loro mani, appoggiate sopra al tavolo con delicatezza.
Blaine non glielo aveva detto, ma lei lo sapeva che faceva il tifo per Kurt. Perchè quando cantava lui si sentiva completo e vivo, e non c’era niente che lei potesse fare a riguardo.
Ovviamente, la sua esibizione fu un successo; per questo, quando arrivò il turno di Kurt, lui cercò per l’ultima volta la sicurezza nello sguardo di Blaine, come per trovare la forza di alzarsi ed andare avanti: sembrava felice, moriva dalla voglia di sentirlo di nuovo cantare e glielo aveva detto in tantissime occasioni.
Si ritrovò su quel palco, con le luci dei riflettori puntati su di lui assieme ad un numero indefinito di occhi attenti, fu come trovarsi nella palestra del McKinley con il microfono in mano ed una canzone da dedicare a Blaine, nel giorno in cui era andato dalla Sylvester e aveva ricevuto il permesso di rimanere nei Cheerios.
Erano passati giorni da allora; eppure, a lui sembravano attimi: la vita aveva cominciato a scorrere così velocemente, ora che c’era Blaine, che lui stesso faceva fatica a starle dietro.
Era bellissimo. Era tutto ciò che voleva.
E quando immerse quelle emozioni all’interno della canzone, vide il viso del suo ragazzo farsi sempre più intenso, fino a raggiungere un’espressione indescrivibile che non riuscì a decifrare: sembrava commosso; sembrava serio, eppure, completamente adorante. C’erano troppe sensazioni racchiuse in una sola, talmente forti da togliergli il fiato.
“Ti prego - gli sussurrò Blaine, una volta che il cuore gli aveva ripermesso di parlare – ti prego, non smettere mai di fare questo.”
“Di fare cosa?”
“Di cantare. Di dedicarmi canzoni, emozioni, o qualunque cosa sia. Io...grazie, grazie Kurt.”
Sembrava davvero sopraffatto da se stesso; Kurt non riusciva a credere di riuscire a trasmettere tutto quello soltanto grazie alla sua voce, ma era impossibile non credere a quegli occhi che vibravano, tanta era l’emozione che li colpiva.
“E’ merito tuo”, riuscì a rispondere con un sorriso incantevole. Perchè a volte sentiva il bisogno di ringraziarlo;  dirgli quanto lo avesse cambiato, quanto lo avesse salvato da se stesso.
Non osava nemmeno immaginare cosa sarebbe successo se quel giorno, in quell’aula di informatica, Blaine non avesse accettato di fargli ripetizioni. Gli doveva così tanto che, a volte, l’unico modo per dimostrarglielo era attraverso la sua voce. E fin quando Blaine lo percepiva, senza bisogno di altre parole, era perfetto così.
“Sei davvero bravo.”
Kurt si voltò appena, perchè fu appena in grado di sentire quella piccola frase pronunciata da Rachel.
“Non sto scherzando Kurt, sei stato magnifico.”
C’era qualcosa nel suo sguardo: sembrava convinta, serena. Era come se avesse capito qualcosa.
“Anche tu Rachel. Sai, sei un po’ una spina nel fianco, ma sei la migliore cantante che abbia mai conosciuto.”
Scoppiarono a ridere, quasi non riuscendo a trattenersi: così, era sparita tutta la tensione. La musica ha questa incredibile abilità di trasmettere l’anima di una persona, e rendere vulnerabili chi l’ascolta.
Quando cantarono di nuovo, questa volta, insieme, l’intero locale si alzò in piedi per applaudirli; perchè il canto apre i sentimenti e avvicina le persone, e la musica è in grado di mette le basi per dei legami che non esistono ancora.
 
 
 
“Rachel mi ha chiesto di unirmi al Glee Club.”
Blaine si fermò di colpo, con le chiavi della macchina a una spanna dalla portiera: la serata era finita tra risate e applausi ed erano rimasti solo loro due in quel piccolo parcheggio, con un lampione troppo piccolo per illuminare in modo efficace i loro volti e una sera troppo fredda per passarla fuori all'aria aperta. Guardò Kurt a metà tra il sorpreso e l’interessato, rimanendo un po’ interdetto nell’osservare la sua espressione seria mentre si chiudeva il trench chiaro per ripararsi meglio dai brividi.
“Perchè no?” Chiese allora, cercando di capire il perchè di quegli occhi scuri. “E’ un bel posto, i ragazzi sono tutti simpatici.”
“Lo so.”
Poteva cantare, essere se stesso e stare con gente che lo apprezzava esattamente per com’era: era un ottimo posto. Ed era quello, il problema.
“Ma io ho i Cheerios.”
Blaine lo guardò in silenzio, pensieroso, sembrava capire il punto ma allo stesso tempo era indeciso sulle parole da dire.
“Anche Mercedes è nei Cheerios, no? Anche Santana, Brittany e Quinn, mi pare.”
“Non capisci.”
Era troppo difficile; era troppo complicato. A Kurt faceva male la testa per via di quei pensieri e fu costretto ad abbassare lo sguardo stringendo i lembi del suo cappotto, il suo viso che si faceva freddo e la sua voce sottile.
“Io non posso farlo. Loro non sono come me. Loro sono...invulnerabili.”
Kurt non si era reso conto di quanto avesse bisogno dell’abbraccio di Blaine finchè non successe: lo strinse tra le sue braccia, affondando la testa nell’incavo del suo collo e respirando piano sulla sua pelle, quasi come se non volesse fare rumore.
Nessuno aveva detto che sarebbe stato semplice, quello lo sapevano entrambi. Kurt si avvicinò ancora di più a Blaine e si sforzò di cacciare indietro quelle lacrime, che erano strane, incolore e di difficile interpretazione.
Perchè lui poteva ancora avere la sua divisa, ma aveva già cominciato a perdere la sua invulnerabilità da molto tempo. Ed era molto, troppo pericoloso.




***

Angolo di Fra


Preavviso che avevo scritto "ancolo" e me ne sono accorta solo quando stavo per pubblicare il capitolo. Questo cap non è betato, ho una beta e moglie efficientissima ma non abbastanza vampiro da betarmi la roba di notte fonda. Quindi, non stupitevi se tra oggi e domani trovate qualche cambiamento nella scrittura: può essere una frase, una parola (io spero con tutto il cuore di non aver fatto ORRORI grammaticali, ma ragazzi, ho scritto alle tre e mezza di notte e io non sono più la fresca e pimpante ragazzina che scriveva Blame it on Blaine...), ovviamente prima di postare ho riletto tutto il cap, e non sapete quale fatica è stata: perchè dovete sapere che io non rileggo MAI quello che scrivo. Rileggo durante la stesura, nell'immediato, ma non ce la faccio proprio a rileggere il capitolo concluso dopo un certo lasso di tempo. Spero, però, che questa cosa non succeda anche a voi perchè mi farebbe davvero tanto piacere se voi rileggeste questo cap un po' allegro, un po' no, che butta le basi per qualcosa di nuovo e -ehi, vi ho detto che la storia terminerà con 28 capitoli? Ecco.
Sarà che non è stato betato, ma sono un po' insicura. Vi andrebbe di dirmi che ve ne pare? Io sono qui, se avete bisogno di qualche chiarimento. Resto buona buona in attesa di qualche vostra recensione, positiva o neutra o critica che sia.
Bene, penso di aver finito.
Ah, un'ultima cosa: se tutto va bene aggiorno Venerdì prossimo... mi dispiace di non essere così costante nei giorni ma, meglio pubblicare a caso che non pubblicare affatto no? Ahah!
Un abbraccio a tutti

Fra

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Capitolo 22
*** Serendipity ***


Capitolo 22
Serendipity




 

 
Kurt non si unì alle New Directions, tuttavia non riuscì a stare lontano da loro: da quando Rachel lo inseguiva ogni mattina, cominciando a parlargli di possibili duetti, ipotetici spettacoli, evidenti connessioni artistiche tra i loro gusti personali – per Kurt erano tutt’altro che evidenti, anzi -, si era ritrovato, per la maggior parte delle pause pranzo, seduto al tavolo del Glee Club: all’inizio era stato strano fingere di aver sbagliato posto, anche perchè doveva pur spiegare il motivo della sua presenza lì a tutte le Cheerios che lo fissavano. Senza contare che Rachel ad un tratto cominciava a dire che lui, in fondo, non era poi così male come aveva sospettato, e che in verità aveva sempre pensato che dovessero essere amici, loro due, perchè frequentavano Finn e Blaine e si era già immaginata inquietanti scenari alla “Judy Garland Christmas Show”, che lo fecero allibire e anche un po’ spaventare. Certo era che Rachel Berry avesse una fantasia senza pari; o forse era sotto effetto di qualche potente allucinogeno, doveva ancora capirlo.
Il problema, quello vero, era che lui non stava affatto male lì: assieme a Puck, Artie e Sam, che si lanciavano il cibo come dei bambini delle elementari, o Finn, che gli raccontava la sua giornata senza bisogno di aspettare l’ora di cena, l’unico momento in cui potevano stare un po’ insieme. Mike era un ragazzo silenzioso, ma quando parlava diceva sempre la cosa giusta e lui lo apprezzava molto per quello; inoltre, era un ballerino eccezionale e gli aveva dato moltissimi consigli riguardanti le coreografie dei cheerios, o sul riscaldamento da fare per evitare che la Sylvester lo distruggesse troppo. Santana non osò lanciare commenti acidi perchè, dopotutto, non era nella posizione esatta per commentare, dato che si vedeva che era palesemente felice e Kurt sapeva come usare quella carta a suo favore; Quinn e Brittany avevano accettato la cosa senza battere ciglio, come se il loro capo-cheerleader avesse fatto una cosa del tutto naturale e priva di qualsiasi conseguenza. E poi, ovviamente, c’era Mercedes: all’inizio non aveva apprezzato che si fosse unita a quel club. Eppure, a forza di ascoltarli, a forza di passare del tempo con loro, era diventato piacevole; aveva cominciato a capire perchè le piacesse tanto, e non fu più in grado di biasimarla.
Infine, ma non per importanza, Blaine pranzava spesso con loro: aveva sempre pranzato in compagnia di Rachel, più che altro perchè lei aveva bisogno di qualcuno che l’ascoltasse quando il resto del mondo sembrava ignorarla; ma da quando una volta aveva trovato Kurt seduto assieme a lei non era riuscito a trattenere un sorriso sorpreso quanto raggiante, e lo aveva subito salutato con grande entusiasmo. Era la prima volta che passavano del vero tempo insieme, assieme ai loro amici: così, tra un boccone e l’altro, era concesso loro di parlare, ridere e commentare le ultime imprese successe al Lan Party; donava ad entrambi un senso di naturalezza e quotidianità che scaldava il cuore. Una volta notato, capirono di non potersene privare mai.
Soltanto qualche volta, quando si voltava di scatto per effettuare qualche gesto teatrale di fronte ad un commento di Rachel, o ad una battuta eccessivamente nerd di Blaine, gli era capitato di incrociare lo sguardo di qualche ragazzo di hockey che lo fissava da lontano, immersi nei loro tavoli grandi ed isolati, con quelle arie da superiori e quei sorrisetti che non suonavano affatto confortanti.
Si chiese che intenzioni avessero; si domandò cosa diavolo stessero fissando, e quando capì che era meglio non saperlo, si limitò a girarsi di nuovo, fingendo indifferenza. Blaine si accorgeva dei suoi cambiamenti di espressione e faceva ricorso a tutte le sue forze per non allungare la mano oltre al tavolo e stringere la sua, infondendogli calore, suggerendogli di stare calmo, che sarebbe andato tutto bene, che lui era comunque il capitano dei cheerios e non poteva privarsi di quei piccoli momenti di felicità, soltanto per causa di qualche energumeno.
A volte, nell’intimità di qualche carezza, racchiusi tra le mura di camera di Kurt, aveva perfino provato a dirglielo: il ragazzo in risposta scrollava la testa mostrandosi quasi rassegnato e preferiva cambiare argomento, spesso, distraendolo con qualche bacio sin troppo trasportante.
Era come se, per tutto quel tempo, stesse evitando di affrontare il problema: perchè era troppo facile fare finta che andasse tutto bene, ed era orribile rovinare quel periodo splendido, fatto soltanto di amici e loro due. No, non lo avrebbe fatto: mancavano solo due mesi alla fine della scuola, e sperò che fosse un tempo sufficiente.
 


Kurt si rassettò meglio la camicia dopo aver parcheggiato la macchina nel solito posto: non che fosse occupato spesso, anzi, aveva scoperto con piacere che i clienti del Lan Party godessero di una certa routine e scoprire che avevano denominato “il posto auto di Kurt” lo aveva quasi lusingato. Quasi. Stiamo sempre parlando di nerd e lunatici, insomma, non tutti erano splendidi e normali come Blaine.
Con quel pensiero in testa ed un sorriso incantevole in volto salutò Greg sventolando a mezz’aria una mano, con lui che gli rivolse subito uno sguardo omicida bisbigliando: “Oh, Kurt, mio salvatore.”
E Kurt lo guardò: quando cominciava in quel modo, non finiva mai bene. Nel frattempo si udivano in lontananza suoni di giochi a tutto volume e urla tuonanti, ma non riusciva a distinguere gli uni dagli altri. Urlavano tutti, in quel posto, era difficile dire se fossero reali o dovute alla morte di qualche zombie, eroe, mago, druido, animale, computer. Sì, al Lan Party, anche i computer urlavano: emettevano un fischio simile al lamento di un gatto stretto all’uscio e poi si spegnevano, nella solennità della loro morte.
Ancora non aveva assistito a nessun funerale di dischi rotti o processori da rottamare, ma non si sarebbe stupito di trovare qualche messa onoraria nel retro del locale.
Greg si fece più vicino a lui cingendogli le spalle con un braccio e cercando di apparire quantomeno tranquillo: “Perchè non prendi il tuo adorabile fidanzato e vi fate una lunga passeggiata, che so, dall’altra parte dell’universo?”
“Che è successo?” Domandò lui, perchè, insomma, non era raro che Greg si trovasse nel bel mezzo di un conflitto da fuoco; era più insolito, invece, che quel conflitto riguardasse anche Blaine.
“E’ da un’ora che gli Warblers litigano, e stanno spaventando Emily e le altre ragazze; ti prego Kurt, sei l’unico che può fermarli.”
Prima o poi gli avrebbe detto che usare le frasi da Harry Potter non era un buon espediente per convincerlo definitivamente; mosso da curiosità, si incamminò a lenti passi verso quello che sapeva essere il loro tavolo da gioco di D&D, con i ragazzi di Magic che lo fissavano come un uomo guarda il proprio commilitone partire per la guerra.
Oh, insomma, la situazione non poteva essere così tragica.
 
“ETTELEN FIGLIO DI ELDARESTON DELLA CASATA DI EREINIOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOON!”
Ok. Si era fatto male qualcuno, per caso? Magari alla testa, un colpo forte, ben piazzato. Una cosa che ti fa perdere il senno per due, tre, otto millenni, magari.
Kurt stava fissando Nick che era diventato paonazzo dalle urla, con Jeff che aveva la testa abbandonata sul tavolo, quasi inerme, e Blaine che dall’altra parte stava fissando entrambi con un broncio marcato e braccia conserte. Wes fu il primo a notare la sua presenza, tanto da alzarsi con un sorriso gentile e invitarlo a prendere posto in una delle sedie libere.
“Non potevi capitare in un momento migliore.”
Il suo sarcasmo, misto ad un tono malvagio e deliziato, non faceva altro che rendere la situazione ancora più compromettente.
“State facendo delle prove di infrazione della legge? Volete vedere se riuscite a farvi arrestare dalla polizia per disturbo della quiete pubblica?”
“No, Kurt. Vedi, il tuo Blaine, qui, sta dormendo.”
“Stai dormendo?”
“Sì.” Sbottò lui. Aveva l’aria di essere veramente contrariato; Kurt lo aveva visto rare volte in quello stato, e mai per una sessione di Dungeons and Dragons. Quella piccola spiegazione, però, gli complicò ancora di più le idee e adesso si stava guardando intorno come alla ricerca di qualcosa, magari, di una droga non individuata che li aveva fatti completamente impazzire.
“Jeff ha addormentato Blaine per scherzare, così è costretto a rimanere in status sonno per otto turni; purtroppo per loro sono stati attaccati da una piovra ad otto tentacoli e stanno per morire perchè l’unico paladino del gruppo non è al momento raggiungibile.”
Dopo qualche secondo di rielaborazione, con tanto di traduttore mentale per il nerdese, Kurt inarcò un sopracciglio, avvicinandosi a Blaine e cercando di capire la situazione osservando la cartina.
“E quindi... le urla sono perchè...?”
“Perchè l’unico modo per svegliarlo è urlargli contro, ma per farlo perdono un intero turno durante il quale la piovra attacca.”
“Eh NO Wes, TU hai stabilito che perdiamo un turno! – Lo interruppe Jeff, alzando la testa di scatto come se fosse una molla – Noi volevamo combattere e urlare a Blaine di svegliarsi, ma tu ovviamente  rendi sempre le cose difficili e non ci permetti di fare due cose insieme!”
“Un turno dura sei secondi.” La voce di Wes era inflessibile: “Non è possibile che in sei secondi rispondiate ad un attacco, vi pariate e vi voltiate per urlare a Blaine.”
“E quindi urlate?” Cercò di capire Kurt, rimanendo sempre più allibito. “Urlate letteralmente per sei secondi per dare fastidio a Wes e mezzo Lan Party?”
Nick e Jeff si strinsero nelle spalle, lanciandosi un’occhiata convinta: “Il nome di Blaine è lungo, suona bene.”
“Ok, questa cosa finisce qui, ora.”
Blaine, però, non sembrava della sua stessa idea: continuava a fissarlo con nervosismo e stupore indicando i suoi compagni di gioco con un cenno convesso della mano: “Io sto ancora dormendo. Kurt, Jeff mi ha addormentato, per farmi uno stupidissimo scherzo. Se moriamo è tutta colpa tua!”
“Oh mi scusi mister perfezione, se lei non fosse così legale buono io non sarei costretto a lasciarti dormire mentre noi facciamo tutte le nostre cavolate!”
“Ho sempre saputo che un caotico neutrale non portava nulla di buono.”
“Parli solo perchè sei un pally che passa la sua vita su facebook e twitter.”
“E tu invece sei un rogue che non riesce nemmeno ad andare in stealth come si deve!”
“Meglio un rogue che lagga che un pally che tagga!”
“Ehm...torno più tardi, va bene? Vado a prendermi un caffè, guardare il cielo...cose così...”
E fu in quel preciso momento che Kurt ricevette due paia di occhi dorati in modo quasi fulmineo, che tuttavia si addolcirono immediatamente nel momento in cui notarono la sua espressione preoccupata. Perchè Kurt, in realtà, non sapeva cosa dire: non voleva disturbare quella sottospecie di litigio, era stato Blaine a proporgli di incontrarlo al Lan Party per poi passare qualche ora insieme. Quando anche quest’ultimo se lo ricordò, si sentì un vero idiota tanto da alzarsi in piedi e afferrare teneramente le mani di Kurt. Più lo fissava, più i suoi occhi sviavano verso terra, quasi colpevoli.
“Kurt...” provò a dire, ma fu subito interrotto da una sua frase secca, che lo fece trasalire: “N-no Blaine, non importa, voglio dire, io ho un sacco di cose da fare, e, devo studiare, e poi-“
“Kurt.”
“Non volevo peggiorare la situazione nel vostro litigio, o meglio, non volevo disturbarvi, voi sembrate arrabbiati, e io non ho capito assolutamente niente del perchè siete arrabbiati, e-“
“Kurt, ti prego, farmi parlare.”
Dopo un attimo di esitazione, si ammutolì.
“Io e Jeff litighiamo sempre. Anzi, diciamo che Jeff litiga sempre. Con chiunque, anche con il suo cuscino.”
“Non vuole mai stare dalla parte giusta del letto”, intervenne lui.
“E sì, ogni tanto si comporta da caotico neutrale qual è e mi fa imbestialire. Ma non ti devi preoccupare, siamo sempre noi. Ci odiamo anche per questo.”
“Ovvio. Insomma, Blaine è sempre un noob e io un lamer, sono stili di vita.”
Stili di vita che necessitavano di didascalie, ma non importava. Adesso Kurt era risollevato da quella piccola spiegazione, perchè non poteva ammettere che la visione di Blaine così seccato gli avesse un po’ fatto paura: di solito era calmo, dolce, pacato. Come in quel momento, quando lo stava guardando con un’espressione intensa ed assorta. Il suo sorriso divenne un poco più ampio e finì per contagiare anche il suo, che adesso si assomigliavano come due piccole gocce d’acqua.
“Mi dispiace di averti fatto preoccupare.”
“Non importa.”
Non avrebbe mai smesso di preoccuparsi per Blaine, anche se si trattava di cose minuscole come quelle. Non avrebbe mai smesso di guardarlo, baciarlo, e a proposito di quello, era da ben due giorni che non trascorrevano un po’ di sano tempo insieme. Non andava bene. Quasi si sentì in colpa per l’idea che aveva macchinato, anche perchè Blaine era nel bel mezzo di un gioco. Eppure, aveva la netta sensazione che non avrebbe obiettato.
Così, tutto ad un tratto, lo fissò come se si fosse appena ricordato di una cosa, ed i suoi occhi divennero più sottili, le sue guancee più rosee mentre la sua voce fresca e appena rilassata sussurrava: “Oh, Blaine, quasi me ne dimenticavo: ero passato a chiederti se avevi un po’ di tempo libero per fare matematica...sai, non mi riescono quelle funzioni di cui ti avevo parlato.”
Funzioni? Quali funzioni? Loro due non studiavano insieme da-
“Oh.”
E Blaine cominciò a sentirsi un po’ più felice.
“Giusto. Funzioni. Quelle funzioni. Sono davvero un problema, eh?”
“Non riesco a togliermele dalla testa.” Ammise lui, provocando un moto di divertimento ed imbarazzo in entrambi che un ragazzo attento e cinico come Wes non riuscì davvero ad evitare.
“No eh. C’è un limite alla nerdaggine. Non potete macchiare l’onore di noi matematici con queste frasettine da scolaretti in calore.”
Con grande sorpresa di tutti i presenti, Blaine si fece più vicino a Kurt, ostentando una sicurezza ed una familiarità verso il suo ragazzo che non avevano ancora avuto l’onore di conoscere.
“Ignorali.” Sussurrò, ad un centimetro dalle sue labbra. Kurt con sguardo complice annuì e salutarono velocemente i ragazzi del Lan Party, che provarono a sembrare offesi almeno fino a quando non li videro varcare la soglia del locale per dirigersi verso il posto auto di Kurt con una fretta fin troppo innaturale, per essere attribuita a qualche innocente funzione. Una volta che il campo fu libero, Greg si unì al gruppo con la classica aria di chi avesse appena visto il proprio figlio crescere di colpo, tipo un Bar Mitz Vah nerdiano, o qualcosa del genere.
Non ci fu bisogno di aggiungere altro: erano ben felici di interrompere quella delirante sessione di D&D, se il motivo era la felicità del loro Warbler preferito.


 
Il viaggio in macchina fu strano. Strano, perchè se qualcuno avesse chiesto a Kurt o a Blaine di descriverlo, avrebbero risposto sinceramente che non se lo ricordavano; è strano avere un black out totale alla tenera età di diciotto anni, ma dal momento in cui entrarono in casa di Kurt, salutando ad alta voce per assicurarsi che non ci fosse nessuno - avrebbero benedetto i turni lavorativi di Burt e Carole fino alla fine del mondo -, ogni singola fibra del loro cervello si disattivò: si baciarono con minuziosità e a lungo, cominciando dalla porta, inciampando sulle scale che conducevano al piano di sopra, trascinandosi frettolosamente in camera per finire in un modo alquanto strano intrecciati sul letto, con le borse a tracolla aperte e sparse chissà dove assieme alle loro scarpe. Perchè Kurt era categorico: niente scarpe sul letto. Nemmeno un pomiciamento meraviglioso avrebbe trasgredito quella regola.
E forse era strano che cominciassero a ridere di colpo, prima l’uno e poi l’altro, ma quando si sentivano particolarmente felici, o confusi, per quella marea di sensazioni che stavano provando, non riuscivano a fare altro che ridere, e ridere fino a quando il fiato nei loro polmoni non fosse esaurito del tutto. Perchè quando Blaine rideva i suoi occhi assumevano una colorazione brillante che ricordava la luce del sole, da quanto era intensa; Kurt invece aveva quelle deliziose fossette sulle guance che venivano prontamente baciate in ogni loro millimetro; l’apice fu quando Blaine si staccò leggermente da lui, mormorando di dover seriamente studiare, e che, magari, potevano fare un tentativo, una sorta di rievocazione dei bei tempi andati, in cui riuscivano ad essere soli in una stanza senza provare l’impulso di incollare le labbra dell’altro alle proprie.
E Kurt lo fece: ci provarono. Si misero seduti composti sul suo letto ad una piazza e mezzo con i libri fra le gambe, con Blaine che passava il lapis dietro ad un orecchio e Kurt che mordicchiava il tappo dell’evidenziatore, per aumentare la concentrazione.
Due minuti. Non durarono di più: Blaine abbracciò Kurt da dietro facendolo quasi cadere e tutti e due risero ancora di più, non riuscendo più a controllarsi. Qualcuno vedendo la situazione da un punto di vista esterno avrebbero pensato che fossero ubriachi. Forse lo erano. Ma la cosa bella di una relazione è che non devi dare molte spiegazioni, quando si provano le stesse cose, per quanto indescrivibili siano.
Fu un bene, o forse un male, che Burt Hummel arrivò alle sette e mezza chiamando Kurt dalle scale e chiedendogli che cosa volesse da mangiare; scesero insieme, con le mani intrecciate quanto i loro sguardi, salutarono con allegria e il padre non sembrò nemmeno tanto sorpreso di trovare Blaine lì, pronto ad accoglierlo con il suo solito sorriso. Purtroppo per lui, quel ragazzo gli piaceva. Propose un take-away cinese e si trovarono tutti d’accordo, con Kurt che chiamava Finn per chiedergli dove fosse e Blaine che cominciava ad apparecchiare la tavola conoscendo a memoria la locazione di piatti e bicchieri. Cose che Burt, in due anni che si era traslocato lì, ancora non sapeva. Cose che facevano impazzire Carole, che quando trovò la tavola imbastita con tanto di centrotavola floreale, non resistette dal ringraziare Blaine soffocandolo nel suo abbraccio, sotto lo sguardo divertito ed orgoglioso di Kurt.
Dopo una cena iper calorica e sfiancante, ognuno ritornò ai propri passatempi, e i due ragazzi capirono di non poter più tornare ai loro: si limitarono a tornare in camera, mettere su un po’ di musica e passare del tempo insieme, chiacchierando e scambiandosi di tanto in tanto qualche bacio sulla guancia, o sui loro sorrisi.
Verso le otto e mezza Blaine buttò un’ultima occhiata sui libri, e quasi si sentì in colpa per averli ignorati tutto il giorno. Doveva studiare: era una cosa terribile forzarsi in quel modo, ma nessuno glie lo aveva imposto, lo aveva scelto lui e quindi doveva accettarne le conseguenze. Kurt, d’altro canto, aveva un test di letteratura e forse avrebbe fatto bene a ripassare. Così, con poca convinzione, fecero un secondo tentativo: stavolta, però, erano aiutati dalla consapevolezza di non poter più scoppiare a ridere senza scandalizzare qualche familiare presente in casa, e forse l’idea di riuscire ad essere ancora un minimo responsabili li confortava.
Kurt non capì cosa stesse studiando Blaine, fino a quando non si accorse che camera sua era completamente invasa dalla matematica: teoremi, grafici, numeri e derivate, cose che aveva sognato solo nei suoi peggiori incubi adesso stavano saltellando tranquillamente da un posto all’altro, mossi dal vento della finestra aperta o dalla mano sicura del suo ragazzo. Kurt guardò quella pila di fogli pieni di calcoli e si sentì un po' mortificato per essersi lamentato, a suo tempo, di un paio di formule.
 
Lo guardò di sottecchi, socchiudendo appena il libro di Baudleire sul quale avrebbe dovuto scrivere un saggio breve: “Che stai studiando?”
Aveva paura di conoscere la risposta. Eppure, era lì, chiara e sincera, accompagnata dalle parole timide di Blaine: “C’è questa scuola. E’...è un’università, a dire il vero. Ha un test molto duro, ma i corsi sono interessanti, gode di ottima popolarità, e quindi...”
“Stai studiando per il test di ammissione?”
Giusto. Era ovvio. Mancavano solo due mesi, era del tutto naturale che Blaine pensasse al futuro.
Non volle chiedere in quale città fosse quella scuola; o meglio, una parte di sè voleva, ma l’altra aveva paura di sapere la risposta. E Blaine non volle dar voce a quella piccola domanda che stava implorando di uscire da dentro di sè, perchè era troppo presto. Non poteva chiedere a Kurt che piani avesse per il futuro, oppure, cosa pensasse del loro futuro. Era una cosa che non avevano minimamente considerato, ma che, adesso, si presentava a loro con una semplicità disarmante.
Perchè per loro ormai era così scontato, stare insieme, da non riuscire a figurarsi un futuro alternativo.
Ma era troppo presto. Era quasi un mese che si frequentavano, e ne era passato un altro dal loro primo incontro. Forse, era un lasso di tempo troppo breve. O forse no. Blaine pensò che non esistessero teoremi che sancivano quando due persone entrano in sintonia. Non ci sono leggi che dimostrino l’intensità dei sentimenti che provano due persone. Il loro rapporto non era normale, non era ordinario, non lo era mai stato.
Perchè Kurt e Blaine non lo sapevano, ma se lo sentivano: era nato tutto ancora prima che se ne fossero accorti, quando ancora nessuna idea aveva preso forma.
È soltanto nelle misteriose equazioni dell'amore che si può trovare ogni ragione logica.



***

Angolo di Fra

Eee scusate per l'aggiornamento tardivo...anche se rispetto ai miei standard è quasi presto ahahah!
Non ho niente da dire, se non, di nuovo, grazie. E spero che questo cap vi piaccia. A me è piaciuto molto scriverlo. Ringrazio Margherita e tutte le altre pazze che oggi mi hanno fatto morire con i loro tweet su #comeunHEADSHOTalcuore. Ho dei lettori degni di me, davvero: siete folli!
Vi adoro. Un bacione e a presto (cioè, mercoledì, minimo ahah)
PS _ quasi dimenticavo. L'ultima frase. A beautiful mind. Nel senso, io quel film lo so a memoria. Non so voi. Poi rivederlo dopo aver EFFETTIVAMENTE studiato la teoria dei giochi di Nash a microeconomia è...beh. Beh.
Fra

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Capitolo 23
*** One and only ***


 
Capitolo 23
One and Only


 


 
“Hummel.”
Kurt si voltò piano, abituato com’era ai continui rimproveri della Sylvester che assomigliavano più a delle frecciatine farcite di acido muriatico. Infatti, la sua espressione era tutto fuorché gentile: lo stava fissando come se avesse appena visto una scimmia di qualche zoo buttarle del fango addosso e saltarle in testa.
La sua domanda, in realtà, uscì più come una minaccia: “Che diavolo stai facendo?”
“Sto…sto mandando un messaggio con il cellulare.”
Ovviamente, il destinatario era Blaine; ma non ci fu bisogno di tante specificazioni dal momento che la coach lo afferrò con uno scatto d’ira lanciandoglielo dall’altra parte del campo. Il povero telefono si frantumò in duemila pezzi, con tanto di rumore metallico abbastanza triste che funzionò da canto funebre, con spettatori unicamente l’espressione assorta della professoressa e il silenzioso sconcerto di Kurt. Silenzioso, perché se solo avesse osato dire una parola sarebbe finita molto peggio.
Il suo povero, povero cellulare;  effettivamente, era stata una pessima idea usarlo nel bel mezzo degli allenamenti, ma Blaine gli aveva chiesto se era disposto a passare il pomeriggio con lui, da lui, per la precisione: si era chiesto un’infinità di volte che tipo di casa avesse, come fosse la sua camera, quali fossero i libri che leggeva prima di andare a dormire. Blaine a volte era così introverso su se stesso, che ricevere un’opportunità del genere era come scoprire un mondo inesplorato di lui, tutto nuovo, tutto da ammirare. Voleva rispondergli che lo desiderava con tutto il cuore e invece adesso sarebbe rimasto nel dubbio: avrebbe pensato che non voleva, o peggio, che era arrabbiato con lui per qualche motivo e che diavolo!? Quella professoressa gli aveva appena frantumato il cellulare!
Non appena si voltò per dirlo, o meglio, urlarlo, la sua bocca si aprì, ma senza fuoriuscita di alcun suono: qualcosa, nel volto della Sylvester, assomigliava ad un vulcano in eruzione e lui si sentiva un po’ uno di quei cittadini di Pompei che aveva studiato a storia.
“Lascia che ti ricordi esattamente perché siamo qui.” Esordì la coach, con le braccia conserte e mostrandogli il campo di football dietro di loro, pieno di ragazze pon pon e musica pop assordante.
“Tu sei il capo-cheerleader di questa scuola. Tu sei il rappresentante di tre trofei nazionali, più una piccola menzione nel giornale che serviva soltanto da tappeto rosso per poter leggere con più fluidità il mio nome. Le nazionali, Porcellana, sono tra poco. Molto poco. Non riesci nemmeno a fare quella capriola cantando allo stesso tempo l’acuto della canzone e tu che fai? Smessaggi con il contanumeri?”
“La capriola non posso farla perché ho solo due polmoni, professoressa. Uno mi serve per vivere, e l’altro per sopravvivere a lei e alle sue follie. E le sarei grato se non chiamasse più Blaine in quel modo.
“Come, coltivatore di radici quadrate?”
“No, veramente aveva detto…lasci stare. La smetta di chiamarlo in qualsiasi modo le venga in mente, grazie.”
“Posso scartare metà dei nomi presenti nella lista se tu cominci immediatamente a riprovare l’esercizio.”
Inarcando un sopracciglio, e risultando palesemente sconcertato, Kurt non riuscì a trattenersi dal dire: “Ma quanti razza di nomignoli-no, aspetti, non voglio nemmeno saperlo. Vado.”
Meglio non saperle, certe cose. Così, si diresse a passo pesante verso il centro del campo, sotto al ghigno compiaciuto della coach. Le altre ragazze cominciarono a mettersi in posizione, flettendosi un po’ sulle ginocchia per riscaldarsi ed afferrando i pon pon rossi e gialli gettati a pochi metri da loro; Kurt sorrise accanto a Mercedes che gli fece l’occhiolino dandogli anche un pizzicotto sulla coscia, mentre la base della canzone partiva e tutte le Cheerleader si mettevano in moto. Sarebbe stata una coreografia eccezionale, piena di botti e colpi di scena, la voce di Kurt avrebbe accompagnato l’esibizione per tutto il tempo e il trofeo era già in tasca, se lo sentiva: sarebbe stato meraviglioso terminare il loro ultimo anno di liceo così, con una vittoria, niente che andasse storto e tutti che lo acclamavano provando invidia ed ammirazione.
Ma non tutti erano invidiosi; non tutti ammiravano Kurt Hummel, e la sua innegabile popolarità.
Azimio stritolò un bicchiere di carta ancora pieno di integratore frizzante e batté un pugno contro il tavolino, facendo sobbalzare tutti gli altri, con i compagni di squadra che scuotevano la testa e mormoravano frasi che sembravano sussurri, bisbigli taglienti come lame e freddi come l’acciaio.
Tra di questi, uno riecheggiò in modo più forte di altri: Ma perché Kurt Hummel non spariva?
Questo continuava a ripetersi Samuelson, tra sé e sé, con il volto oscurato da una pesante smorfia e gli occhi fissi su quel maledetto Cheerio che adesso stava conversando con altre ragazze come se fosse la cosa più naturale del mondo, come se fosse giusto: non lo era.
Era da più di un anno che faceva parte del gruppo di football della scuola, e sin dal primo momento non aveva mai capito Kurt Hummel. Perché era così popolare? Perché si atteggiava come se tutto il resto del mondo avesse torto, perché lui era perfetto, e andava benissimo così, e perché diavolo nessuno non gli aveva mai dato una lezione?
Non potevano. Sapeva benissimo che non potevano, bastava guardare come bisticciava con la Sylvester, bastava pensare a quell’orribile riformatorio in cui erano stati alcuni di loro, e nessuno voleva fare quella fine, non a pochi mesi dal diploma; non per uno come Hummel.
Eppure, era da un po’ di tempo che che quella sottospecie di ragazzina in divisa lo innervosiva più del previsto: era perché si aggirava nei corridoi come se fosse il dio del mondo, come se non si vergognasse affatto di sedersi al tavolo degli sfigati, di mostrare il suo volto da checca in pubblico, o di scambiarsi occhiatine languide con quell’idiota di Anderson, quando credeva di non essere visto. E sul serio, credeva che non lo avessero notato?
Era bastato guardarli un paio di volte durante lezione, una delle due che condividevano insieme; era bastato individuare il bagliore nei loro occhi per provare completo disgusto. E Samuelson odiava che loro si credevano normali, perfino felici, immersi in quell’abominio che osavano chiamare relazione. La verità era che da quando aveva cominciato a frequentare il nerd e tutto il suo gruppetto di amici, Kurt Hummel era cambiato: adesso non sembrava più un divo dall’aria irraggiungibile, quanto un ragazzo che non aveva più nessun tipo di problemi e non gli importava di ricevere occhiate torve. Tutto quanto gli scivolava addosso, perché era superiore, o sereno, o chissà quale diavolo di motivo fosse; fatto sta, che non li fissava più con cautela: non aveva più paura di loro, oppure, si era dimenticato di averne.
E non andava bene. Non lo sopportava più, non era possibile che ci fosse un elemento del genere che vagasse libero nella sua scuola. Doveva impartirgli una bella, lunga, perfetta lezione. Solo, non sapeva come.
 
 
 
“Wes, mi faresti un favore? Potresti exparmi di un livello il druido a WoW così arrivo al settanta? Vorrei farlo io ma ho chiesto a Kurt di passare da me per la prima volta, perché non ci sono i miei, Cooper è fuori casa e quindi…n-non che voglia fare niente di che! Però, insomma…ti prego Wes, fammi questo favore!”
Dall’altro capo del telefono, Wes ascoltò con molta pazienza tutto il discorso contorto e sconclusionato di Blaine, sul serio. Ma poi ci fu il momento in cui tornò ad essere se stesso, e rispose al suo amico con un tono vagamente neutro e rilassato: “Oh, ciao Blaine. Sì, io tutto bene.  Mi fa piacere che me lo abbia chiesto, grazie. E io che pensavo che ti servissi solo per qualche nerdata di passaggio.”
Blaine sospirò, perchè Wes poteva anche avere un briciolo di ragione, ma a volte poteva anche evitare di fare il ragazzino geloso, solo perché aveva saltato le classiche formalità da amico ed era arrivato direttamente al nocciolo della questione: insomma, era come saltare il filmatino iniziale che si presentava in ogni gioco. Chi non saltava quel filmatino iniziale!?
“Dimmi solo perché.” Sussurrò Wes, esasperato: “Perchè ho un migliore amico come te?”
“Perché sono pro?”
“Ritenta.”
“Ti prego Wes, è davvero importante per me. Kurt, è importante. Ti faccio da courier per una settimana.”
Esitò: faceva ancora uno strano effetto pensare a Blaine fidanzato, a Blaine innamorato, o quello che era. Perché a volte era strano ricordarsi che Blaine, nella sua scala delle priorità, aveva un nuovo primo posto. E Kurt non era un nerd, non era un otaku, né un fanatico di chissà quale film di serie B: Kurt era, semplicemente, bello, dolce e carismatico, che non capiva mai un accidenti di quello che dicevano gli Warblers ma quando parlava Blaine lo guardava, e probabilmente anche se avesse parlato di cose a lui comprensibili non avrebbe ascoltato uguale, troppo intento com’era a perdersi nei suoi occhi.
Così, con un sorriso un po’ smorzato e il cuore più leggero, Wes sospirò: “Non hai bisogno di trasformarti in qualche animaletto strano e farmi da fattorino. Sai, esiste una cosa chiamata AMICIZIA Blaine, so che sei troppo preso dall'amore per ricordatelo ma-“
“Oh, grazie Wes, grazie!”
“Appunto.”
“Che cosa?”
“Niente, Blaine. Sei splendido, questa mattina.”
E Blaine inarcò un sopracciglio mormorando con tono dolce e confuso: “...ma siamo al telefono...”
Wes scostò il cellulare solo perché sperava che la sua occhiata torva attraversasse la telefonata e arrivasse dritta su di lui: non aveva ascoltato una singola parola di quello che aveva detto? Anzi, no: aveva  ascoltato l’inizio, forse. Roteò gli occhi, chiudendo l’armadietto di fronte a lui dopo aver sentito Blaine fare altrettanto: evidentemente la campanella era suonata anche nella sua scuola, segno che era ora di terminare la conversazione. Si augurarono buona giornata, promisero di chiamarsi di sera per sapere la password dell’account per il druido di Blaine e riagganciarono, chi felice, chi rassegnato e, sì, anche un po’ divertito.
Fu esattamente qualche metro dopo che incontrò, suo malgrado, uno dei giocatori di football reduce dall’allenamento, con i capelli castani liberi dal casco e il suo corpo di un metro e novanta ancora avvolto dall’enorme divisa, mentre il suo viso dai lineamenti spigolosi e marcati si puntò su di lui senza battere ciglio.
La reazione fu semplice: sentenziò “scansati”, spintonandolo contro gli armadietti e facendolo scivolare a terra dal dolore. Blaine si massaggiò la spalla, tentando di rimettersi in piedi: non degnò di un’occhiata il ragazzo, sapeva di non doverlo fare. Non era la prima volta che veniva attaccato da Samuelson, e quasi si era abituato ad incassare i suoi colpi e le sue frasi gelide senza fiatare. Il ragazzo, però, si voltò pochi passi dopo, guardandolo in modo torvo e non del tutto convinto, come se quello che gli avesse fatto, a giudicare dalla sua espressione insofferente, non fosse abbastanza. E non poteva tollerarlo: come diavolo fosse possibile che, adesso, anche lui cominciasse a guardarlo con sufficienza? Si chiese come diavolo facessero quei due finocchi a essere sereni nonostante tutto, quasi come se ottenessero la felicità l’uno dall’altro. Si sentì offeso: non era preso sul serio. Non andava bene.
“Ti diverti, Anderson? Sei diventato sadico, oltre che checca?”
Blaine evitò di dire qualsiasi cosa; a Samuelson non piaceva quel silenzio: sapeva di pazienza, maturità e arroganza, sapeva di tutto ciò che più odiava al mondo e di superiorità nei suoi confronti.
Si avvicinò di nuovo a lui, stavolta, spingendolo più forte: il suo piccolo corpo si schiantò contro il muro, facendolo sobbalzare e gli occhiali caddero a terra insieme alla borsa, ma a parte quello, Blaine sembrava star bene. Adesso lo fissava con decisione, come se volesse dirgli con quello sguardo che non importava quanto lo importunasse, non avrebbe mai ceduto.
E lui ghignò: perché era troppo adorabile. Le due ragazzine che si erano finalmente trovate, come nelle soap opera.
Ma Blaine era soltanto un inutile nerd qualunque; Kurt, invece…
“Dì un po’: dev’essere difficile, non è vero?”
Alzò la testa lentamente, non sapendo ancora se guardarlo negli occhi o ignorarlo del tutto; tuttavia, quella domanda fu troppo strana, e pronunciata con tono troppo ambiguo, per non attirare la sua attenzione.
“Che cosa?” Mormorò a denti stretti, cercando di trattenere qualsiasi gemito dovuto al dolore, perché non poteva permettersi di mostrarsi debole, non fino a quando sarebbe stato nel suo campo visivo.
Samuelson sfoggiò un ghigno: “Essere l'ombra di un divo. Perchè Hummel è così, e tu sei soltanto uno sfigatello con il suo piccolo momento di gloria.”
“Vai a farti prendere aria il cervello.”
Blaine strinse i pugni soltanto una volta prima di voltargli completamente lo sguardo. E Samuelson, in risposta, scoppiò in una risata amara che riecheggiò per tutto il corridoio deserto, per scivolare lungo il freddo degli armadietti. Era così, allora? Le cose stavano in quel modo?
“Puoi fare il duro finché vuoi – si avvicinò a lui sfoggiando un ghigno che era semplice, letale, così come il tono delle sue parole – devi godertela, finchè dura. Perché non starai insieme ad Hummel per sempre, lo sai? Lui è popolare. Tu non sei nessuno. E quando ti lascerà annegare nella tua sfigataggine, io ti picchierò ancora più forte, per ricordarti esattamente da dove hai iniziato.”
 
 

“Blaine, sicuro di stare bene?”
Kurt continuava a fissare il suo ragazzo che non accennava ad una parola; semplicemente, non appena finite le lezioni lo aveva visto davanti alla macchina, gli aveva rivolto un sorriso davvero poco convincente e gli aveva fatto cenno di salire, senza bisogno di parlare.
Mentre lo guardava guidare verso una meta a lui sconosciuta aveva modo di osservare come la sua mano stringesse il cambio con più forza del necessario, le sue guance fossero arrossate, i muscoli del collo completamente in tensione così come l’espressione del suo viso.
Ma più Kurt gli chiedeva cosa gli fosse preso, e più Blaine rispondeva “niente”, assumendo un tono via via sempre più calmo; non gli credeva. Ma d’altronde, cosa poteva fare? Magari aveva avuto una brutta giornata a scuola; magari aveva ricevuto un brutto voto, o cose così. Non c’era motivo di essere preoccupati più del dovuto, no?
E poi, doveva essere una bella giornata: aspettava da così tanto di poter vedere la casa di Blaine, e Blaine aveva trovato finalmente un giorno disponibile; afferrò la mano del suo ragazzo ancora stretta al cambio e la sentì distendersi sotto al suo tocco, con le dita che andavano intrecciandosi con semplicità e il viso di Blaine che si fece un poco più rilassato.
 
 
Kurt non si aspettava una casa grande, ma nemmeno una tanto piccola: l’appartamento di Blaine era piccolo, modesto, circondato da molti altri dall’aspetto simile al suo e immerso in un quartiere ad un paio di chilometri di distanza dal centro di Lima. Parcheggiò la macchina, stando bene attento a non rigarla contro il muretto lungo e stretto, che un tempo doveva essere bianco, e adesso invece era di un grigio pallido, ricoperto da miliardi di scritte e macchie.
Blaine rivolse un piccolo sorriso a Kurt, facendogli cenno di scendere: afferrò la sua mano con delicatezza e lo condusse fino alla porta, dove si fermò per prendere le chiavi ed aprire mentre il suo ragazzo cercava di intravedere qualche sprazzo dell’interno dalle finestre.
“Ecco, non è molto, ma ci troviamo bene.”
“I tuoi genitori?”
“Sono fuori per lavoro, come sempre.”
Di fronte a quell’affermazione, pronunciata con freddezza e rapidità, Kurt non disse nulla. Non sentì il dovere di domandare qualcosa, dal momento in cui capì perché Blaine sembrasse quasi imbarazzato dalle sue stesse parole, si massaggiò con cautela il collo mentre spiegò di essere figlio di genitori separati, e durante la settimana stava con la madre.
E questo, era un dato di Blaine che non sapeva. Ma c’erano tante cose di lui che non aveva avuto modo di conoscere, e solo adesso se ne rendeva conto: chi erano i genitori di Blaine? Aveva fratelli? E quanti anni avevano?
Tutto ad un tratto, Kurt si sentì molto stupido: conosceva così poco di Blaine, solo il Lan Party, o i giochi a cui giocava, mentre lui sapeva quasi tutto di lui. Ma poi, sentì la sua mano venire stretta con dolcezza, ricevendo un’occhiata eloquente piena di comprensione, ed in quel momento capì: Blaine voleva parlargli di tutto quello, voleva che lo conoscesse completamente.
Blaine gli disse che non aveva ancora parlato ai suoi genitori, non gli raccontava granché della sua vita, scolastica o sentimentale che fosse: più o meno, aveva smesso di conversare con loro da quando aveva dichiarato di essere gay. Da quel momento, le cene si fecero sempre più silenziose, e lui trovava sempre meno cose da dire.
“Non è che non mi abbiano accettato – spiegò, quando il viso di Kurt assunse una smorfia particolarmente sofferente, per entrambi – lo hanno fatto, davvero; è solo che devono ancora assimilarlo, e insomma, voglio fare un passo alla volta.”
Kurt annuì: anche lui ci aveva messo tanto tempo a riacquistare un bel rapporto con suo padre, e immaginò che Blaine avesse fatto coming out da poco tempo.
La parte della casa che più lo interessava arrivò alla fine, dopo aver visitato tutte le altre stanze della casa trovandole piccole, ma estremamente confortevoli: la porta della camera di Blaine era chiusa, con sopra un cartello con scritto il suo nome e sotto l’immagine di qualche libro fantasy a lui sconosciuto.
Blaine guardò allibito la sua incomprensione, esclamando: “Non hai mai letto Le Cronache di Narnia?”
Di fronte al suo dissenso, sorrise ancora di più, e lo fece entrare.
La prima cosa che fu subito evidente ai suoi occhi furono le tantissime quantità di poster, immagini, disegni sparsi per tutta la stanza, sulle pareti, sull’armadio, sopra alla testata del letto e accanto al computer. Accanto alla scrivania c’era una grandissima libreria stracolma di libri di tutti i tipi e appoggiati a modellini di diversi tipi di drago, troll, e perfino qualche fatina.
Kurt sorrise di fronte a tutto quello, perché quella stanza era Blaine: poteva vederlo incantarsi ore ed ore di fronte all’immagine del suo personaggio preferito o tuffarsi sul letto dopo un’intensa sessione di giochi online, con ancora addosso le cuffie e gli altri Warblers che urlavano per richiamare la sua attenzione.
“Non è molto, lo so.”
Si voltò dietro di lui, guardando Blaine che adesso sembrava quasi intimidito e teneva gli occhi fissi a terra: “Voglio dire, non è niente rispetto alla tua stanza, però io-“
Nel momento in cui fu meravigliosamente interrotto da un bacio brusco, non ebbe più le forze di continuare, lasciando che Kurt gli cingesse completamente il collo e lo trascinasse sul letto accanto a sé, sorridendo contro le sue labbra dischiuse ed assaporando il suo sapore come se fosse l’unione di tutte le cose che amava di più.
Blaine gli raccontò di come i suoi genitori fossero degli imprenditori troppo importanti per passare del tempo a casa con suo figlio, e di come suo fratello fosse una sorta di divo che passava di tanto in tanto soltanto per ricordargli della sua esistenza. Non erano una famiglia fredda: erano occupati. Erano sempre occupati, a Natale, compleanni e feste del quattro Luglio.
E man mano che Blaine descriveva quelle situazioni, con una strana ombra in viso, una smorfia che non accennava a diminuire, Kurt si fece sempre più vicino, lo abbracciò con delicatezza, ispirò profondamente il suo profumo mentre gli regalava dolci carezze lungo la schiena, sentendola rabbrividire e inarcarsi al semplice tocco.
Blaine era abituato a essere solo, lo era da sempre: fu Kurt che, non appena notò quanto quella camera fosse priva di foto, non riuscì più a trattenersi e lo strinse ancora di più a sé trattenendo le lacrime.
Perché non era giusto: Blaine era perfetto. Si chiese che razza di infanzia avesse passato, e si ritrovò a maledire il tempo che non li aveva fatti conoscere prima.
Sdraiati sul letto, l’uno di fronte all’altro, Kurt baciò ogni centimetro della sua pelle calda cercando con tutto il cuore di farlo sentire bello, felice, importante, almeno per qualcuno.
Perché Kurt, di Blaine, conosceva soltanto il Lan Party, e i giochi a cui giocava più spesso. E solo allora capì quanto quelle nozioni fossero importanti: se qualcuno non è costretto a rifugiarsi in un mondo di videogiochi e fantasia, allora quel qualcuno è un ragazzo molto fortunato, perchè non ha bisogno di trovare altrove quello che ha già. Perché, magari, si sente meno solo di altri.
“Tu non sei solo.”
Si stupì di averlo detto ad alta voce, ma ormai era troppo tardi: Blaine lo guardò con gli occhi lucidi, anche lui sorpreso da quelle parole, non capendo bene da dove arrivassero, o perché fossero state dette. Era ancora troppo scosso da quello che era successo quella mattina, voleva soltanto stare con Kurt e dimenticare il resto del mondo, almeno per qualche ora.
“Tu non sei solo.”
Stavolta, Kurt lo ripeté più forte: lo disse con sguardo deciso ed amorevole, come se fosse una certezza; si sentì accarezzare la guancia con esitazione, con il suo respiro debole che si infrangeva su di lui.
“Kurt, posso farti una domanda?”
Di fronte ai suoi occhi chiari, curiosi, cristallini, annuì.
“Se…se tu non fossi stato un Cheerio con un disperato bisogno di ripetizioni, mi avresti notato comunque?”
Kurt lo guardò.
“Ma certo.”
Lo disse con talmente tanta semplicità da farlo arrossire.
“Credo che ti avrei notato anche se fossi stato un cagnolino scodinzolante e io un gattino seccato dalle tue coccole."
"Saresti seccato dalle mie coccole?" Sussurrò Blaine tra una risata e l'altra, affondando il viso nell'incavo del suo collo per lasciarci tanti piccoli baci.
"In effetti, credo proprio di no. Ma sarei comunque cinico, me lo sento."
"Però saresti bellissimo."
"Questo è vero."
"Ma sei bellissimo anche adesso." Constatò lui, smettendo per un momento di baciarlo.
"Visto? Allora la mia teoria torna: io sarei stato comunque bellissimo e mi sarei comunque imbattuto in te."
Lo vide allontanarsi da sè, tentando con tutte le sue forze di apparire serio: "Detta così sembra una minaccia."
"Lo è, Anderson", mormorò facendo sfiorare le loro labbra con un sorriso: "Ti troverò sempre, sappilo."
E come accadeva da un po' di tempo a quella parte, Kurt e Blaine scoppiarono di nuovo a ridere. Sembrava che non sapessero fare altro. Ma poi, Kurt lo abbracciò con una dolcezza che non aveva mai avuto prima, e Blaine ricambiò cominciando improvvisamente a metabolizzare le parole appena sentite; entrambi restarono immobili in quella stretta, in silenzio, troppo impegnati ad assorbire e meorizzare il calore emanato dai loro corpi intrecciati.
A volte non è possibile descrivere l’emozione che riescono a creare alcune parole. Kurt e Blaine la sentirono, tutta nel petto: un headshot al cuore che li aveva colpiti più forte che mai, come paralizzandoli.
Quando si baciarono, fu pieno di tutte quelle sensazioni che non riuscirono a dire, e della gratitudine che l’uno provava verso l’altro.
 


 
"Come hai detto che è la tua password?"
Wes fissava la cornetta del suo telefono indeciso se stringerla come un pupazzo o lanciarla fuori dalla finestra. Sentì Blaine sbuffare quasi divertito mormorando: "Non la ripeto", e quello non fece che peggiorare ancora di più le cose.
Una volta digitata e ottenuto l’accesso, trovandosi di fronte alla lista di eroi di World of Warcraft, tra cui il famigerato druido da allenare, sbattè la testa contro la tastiera.
“E meno male che era Kurt quello delle nerdate romantiche…” mormorò loggando il personaggio e dedicandosi completamente al gioco, mentre Blaine si accasciava sul letto un po’ in disordine e privo della presenza di Kurt: era stato insieme a lui quasi per tutto il pomeriggio, fino a quando non era stato costretto ad andar via per una chiamata del padre che lo voleva puntuale per la classica cena del Venerdì sera. E Blaine aveva passato le restanti ore in quella stanza, che gli era sembrata un po’ più piccola, calda, e difficile da sopportare, una volta da solo.
Però, durante quelle ore fatte di riflessioni, sospiri e sguardi persi verso il soffitto, aveva fatto anche qualcosa di utile: alla fine, la sua nuova password non era affatto male.
CheerioKurt12? Blaine, sul serio?”
“Mi serviva una password lunga più di otto caratteri e con dei numeri.”
“CheerioKurt12.”
“Zitto ed expa.”
“Ma se Kurt se n’è andato mi spieghi perché devo farlo io? Oh, ok, ricordi cosa avevi detto del courier? Affare fatto. Ti voglio fresco come una rosa ogni mattina a casa mia e con caffè in mano, lamer che non sei altro.”
Sorrise: non si aspettava che Wes capisse la sua password; beh, di sicuro aveva capito Kurt, ma c’erano tanti significati nascosti, che non aveva ancora il coraggio di ammettere.
Aveva usato Cheerio, perché era vero, era stato grazie alla divisa che aveva avuto modo di incontrarlo, partendo da una conoscenza, anzi, meno di quella. Ricordava così bene il suo viso seccato e sconcertato di fronte alle coniche, che quasi non riuscì a credere che fosse passato più di un mese da allora.
E poi, in fondo, Blaine aveva scritto il numero dodici. Perché la password aveva bisogno di un numero, e lui aveva già deciso di dedicarla a Kurt, così, doveva trovare qualcos’altro. Qualcosa di più: era difficile pensare ad un numero che lo caratterizzasse, ma alla fine, dopo una lunga e strana riflessione, scelse il dodici.
Erano secondi: il primo, fu quello in cui i loro occhi si incontrarono, nel bel mezzo di quella stanzetta buia dell’aula di informatica. Il secondo ed il terzo, erano i due secondi nei quali si era accorto di essersi incantato di fronte alla sua voce, e così il quarto, quando lo aveva sentito cantare dentro al teatro. Il quinto era la durata della sua risata: piccola, leggera. Blaine avrebbe voluto sentirla per sempre; il sesto, poi, era il sorriso che aveva sfoggiato nel momento in cui aveva ricevuto la cioccolata, in quel pomeriggio strano, in cui faceva troppo freddo per essere Primavera; il settimo era stato il bacio, l’ottavo il sospiro, il nono l’abbraccio successivo e il decimo quello nel quale il suo cuore si era fermato, anche se, in realtà, era stato solo per qualche attimo.
L’undicesimo era successo quel pomeriggio, quando Kurt lo aveva guardato, e gli aveva detto quelle parole.
E il dodicesimo, infine, fu il secondo in cui capì quanto fossero profondi i suoi sentimenti.
Magari non era stato un secondo solo: magari erano dodici, o anche di più. Ma aveva bisogno di quantificarlo, perchè la password è fatta da lettere e numeri, e lui non aveva la più pallida idea di come descriverlo, ma doveva.

Così aveva scelto il tempo. Perchè, lo sapeva, l'amore non si può contare.





***

Angolo di Fra

(*) il courier è un animaletto che ti porta gli oggetti dalla base al tuo eroe quando tu sei troppo indaffarato a giocare.
...
Dunque.
Se conosco un minimo i miei lettori, mi devo preparare ad una serie di recensioni un po' fangerlizzanti e sclerotiche? Le mie preferite, insomma. Io non lo so, quindi bon, attendo qui. E sì, spero che vi sia piaciuto il capitolo. Grazie alla beta che stasera ha vampirizzato con me e.. Buona diretta a chi guarderà Glee stanotte. Un KLISS headshottoso a tutti!

PS _ Il prossimo aggiornamento NON LO SO davvero quando sarà. La prossima settimana ho due esami, e da domani inizio un tour de force di studio che il glee tour in confronto ME FA UN BAFFO. Davvero, non lo so se ce la faccio a scrivere. Mi dispiace. Cercherò di mantenere il limite di una settimana.

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Capitolo 24
*** Reach for my hand ***


Capitolo 24

Reach for my hand






 
Euforico: così era, e così restò, per l’intera mattinata. Mercedes non aveva visto il suo migliore amico così euforico da...beh, da molto tempo; quanto meno dal concerto di Lady Gaga, ma avrebbe osato dire che adesso lo era anche un po’ di più.
“E’ una bella giornata, Kurt?” Domandò una volta arrivati agli armadietti, con lui che non faceva altro che saltellare, e canticchiare, e sfoggiare quel sorriso da “il mondo è troppo bello oggi”. Lei, tuttavia, continuava a non capire: si era persa qualche puntata speciale di Project Runaway, per caso?
“Oggi è un mese.”
“Un mese?” Ripetè, cercando il suo sguardo cristallino ed emozionato. Lo vide chiudersi l’armadietto alle spalle e appoggiarsi su di esso, sospirando e parlando come se sognasse ad alta voce.
“Io e Blaine stiamo insieme da un mese.”
“Ed è una cosa tanto importante?”
“Certo che lo è!”
Lo squadrò: lo era, ma lui, forse, stava esagerando; senza contare che Blaine non gli sembrava proprio il tipo da mesiversari, e loro, a conti fatti, si conoscevano da molto più di un mese. Dal loro primo incontro, in realtà, ne erano passati quasi due.
Quindi, per un attimo, provò a suggerirgli di smorzare un po’ i toni, comportarsi da diciottenne, perchè il mesiversario non è l’anniversario o chissà cos’altro, ma Kurt sembrava non ascoltarla: era come se avesse raggiunto un traguardo, una meta, un posto che cercava da tutta una vita.
Ben presto, tutto il suo entusiasmo fu interrotto bruscamente da uno spintone di Azimio, che era accompagnato fianco a fianco da Samuelson.
“Oh, scusaci, ragazza pon-pon. E’ che a volte il tuo squittire ci infastidisce.”
Si guardarono dandosi il cinque, ignorando completamente l’occhiata gelida di Kurt. Mercedes liquidò all’istante ogni sua azione sussurrando di lasciar perdere, e quindi la cosa finì lì, con lui che si massaggiava lentamente la spalla e quei ragazzi che avevano intascato una sorta di vittoria, almeno per quella volta; i due amici non potevano sapere, in realtà, quale razza di discorsi stessero facendo. Nè, a che piano stessero pensando.
Forse, avevano fatto quella mossa solo per metterlo alla prova di qualcosa; ma non era quello il giorno per preoccuparsene, aveva deciso Kurt nel momento in cui incrociò la figura di Blaine uscire dall’aula di informatica. Mercedes capì senza mezzi termini le sue intenzioni, così si limitò a dargli un pizzicotto sul fianco per poi lasciarlo con Blaine e i loro festeggiamenti.
“Lo sai che giorno è oggi? Lo sai, vero?”
Blaine rise appena, la sua voce sovrastata da tutto il rumore degli altri studenti che affollavano i corridoi.
“Certo che lo so, Kurt! Cavoli, sembri così felice. Non pensavo che lo sapessi, a dire il vero.”
E Kurt stava quasi per urlargli contro che era ovvio che lo sapesse, che non aveva chiuso occhio tutta la notte, che era ancora terribilmente indeciso sul regalo da fargli, quando un’altra frase sin troppo sincera di Blaine arrivò dritta di fronte alla sua agitazione, spezzandola in due come un minuscolo stuzzicadenti.
“Sono così emozionato, Kurt, aspettavo il trailer de Lo Hobbit da anni!”
Lo Hobbit.
Lui stava parlando di un cavolo di film fantasy con pazzi e occhi fluttuanti. Lui si stava riferendo ad una cosa nerd, e non aveva la più pallida idea del perchè adesso il suo ragazzo era sull’orlo di una crisi di nervi.
“Tutto bene?”
No che non era tutto bene. Lui si era messo con un nerd; che razza di persona sana di mente si mette con un nerd? Poi succedono cose di quel tipo, che ti fanno rimpiangere i mondi reali, quelli fatti di aria pura, società e, magari, una luce che non fosse quella dello schermo che si imbatte contro i volti.
E dopo qualche ennesimo secondo di silenzio, nel quale Blaine sventolava la mano davanti al suo viso come se volesse svegliarlo, si fermò di scatto, i suoi occhi che, adesso, si erano ridotti a delle fessure mentre le sue labbra si incurvavano divertite: “Oh, ma forse tu ti riferivi al fatto che stiamo insieme da un mese.”
Già, forse, voleva ripetere lui.  Ma era ancora troppo scosso e arrabbiato per farlo, così Blaine fu costretto ad avvicinarsi un poco mormorando: “Dai Kurt, stavo scherzando. Me lo ricordo eccome del nostro mesiversario.”
“Certo, come no, ho visto. Quando saremo grandi e racconteremo agli amici il nostro primo mesiversario io dirò loro di quanto eri emozionato dall’idea di vedere un tizio in parrucca tirare due frecce in una volta sola.”
“Guarda che Legolas è veramente forte.”
Sul serio, aveva osato controbattere?
“Ok, questo non dovevo dirlo.”
“No, infatti.” Kurt incrociò le braccia al petto, con un broncio che lo rendeva ancora più adorabile, e in quel modo era molto difficile rimanere concentrati, almeno per Blaine: fece appello a tutta la sua buona volontà per convincerlo che stava scherzando sul serio, che teneva a quel giorno almeno quanto lui, e che era molto contento di essere arrivato fino a quel punto, insieme.
E qualcosa, tra i suoi occhi nocciola, e le sue mani calde strette sulle sue, riuscì a far sciogliere di un poco il povero Kurt: dopotutto, non aveva motivo di essere arrabbiato con lui precisamente nel giorno del loro mesiversario.
“Allora, avevi in mente qualcosa da fare, per stasera?”
“Non lo so, Kurt; in realtà dovrei studiare per quei test di ammissione, lo sai...”
O forse no.
“Ah – commentò, secco, come cercando le parole – giusto. Beh, certo. Lo capisco.”
“Dici davvero?”
Una parte di sè moriva dal rassicurarlo, dicendogli che non c’erano problemi, che la scuola veniva prima di tutto, che erano ragazzi cresciuti e che, soprattutto, quello era soltanto un mesiversario. Ma ci sono dei momenti in cui la delusione prende proprio il sopravvento, senza che uno possa farci nulla; così, Kurt non recitò molto bene la parte del ragazzo comprensivo, e si limitò a lasciarsi baciare dolcemente sul labbro superiore una volta che il corridoio fu completamente deserto.
“Magari puoi raggiungermi al Lan Party, dopo gli allenamenti?”
Lo guardò, e in cuor suo sperò veramente di aver capito male: perchè Blaine non gli aveva appena detto che sarebbe passato al Lan Party, invece di stare con lui, di studiare e, magari, di festeggiare il loro primo mese insieme. Non aveva messo al primo posto le sue cose da nerd, vero? Senza nemmeno pensarci, poi. No, non poteva averlo fatto.
“Sicuro.”
Il sorriso di Kurt era spettrale; si chiese come facesse Blaine a non capirlo.
“Ci vediamo oggi, allora.”
Blaine lo baciò un’altra volta, stavolta, con un po’ più di entusiasmo e, forse, anche un pizzico di agitazione.
“Sei il ragazzo migliore del mondo.” Sussurrò prima di andare via, lasciando Kurt da solo con i suoi libri e la sua delusione; pensò che, su quel punto, avesse proprio ragione. Pensò anche che non sapeva se potesse dire la stessa cosa di Blaine, visto il modo con cui si era comportato.
 
 
 Arrabbiato; no, freddo. Passivamente assente. Per tutto il viaggio in macchina Kurt rimuginò sull’atteggiamento da adottare una volta di fronte a Blaine, perchè voleva farlo sentire in colpa, almeno un minimo; quanto bastava per farlo alzare in piedi, lasciare baracche e burattini e dirigersi con il suo ragazzo migliore del mondo a vedere le stelle sul lungomare, mano nella mano, cullati dal suono delle onde e dal profumo della salsedine. Il mare era grossomodo a seicento chilometri da Lima, ma dettagli. Lo avrebbe fatto comunque, anche a costo di comprare una cartolina delle Hawaii per dare atmosfera.
Non riusciva a crederci che Blaine non si fosse minimamente interessato al loro mesiversario; ma, soprattutto, non riusciva a credere di essere stato così idiota da comprare tre tipi diversi di regalo, per poter scegliere con calma quello da dargli: come quando inizia un nuovo anno scolastico, e si comprano cinque o sei diari solo per poterli studiare e trovare quello più opportuno. Il regalo per il mesiversario, dopotutto, doveva essere una cosa bella, ma discreta: non voleva rendersi più ridicolo del previsto, perchè lui si era fatto chissà quanti castelli in aria per quel giorno, mentre Blaine, evidentemente, nessuno.
Con quei pensieri che affollavano tristemente la sua testa spense la macchina e si slacciò la cintura di sicurezza, restando per un momento a fissare il cruscotto davanti a sè, concentrato, ancora indeciso sull’aria da assumere per sembrare offeso, ma non troppo: non poteva dare a Blaine la soddisfazione di esserci rimasto male, era ancora un po’ arrabbiato con lui.
Camminò con passo lento, la schiena dritta, il mento all’insù canticchiando perfino una canzone a caso; insomma, era disinvolto. O almeno, quella era l’idea che voleva dare: in realtà perfino un cieco si sarebbe accorto dei suoi muscoli tesi e del suo sguardo carico di odio verso quell’insegna con su scritto Lan Party, perchè, maledizione, a volte odiava veramente con tutto il cuore quel mondo di nerd senza cervello.
Ma poi, a qualche metro dall’entrata, sentì un rumore di macchina farsi sempre più vicino, fino ad affiancarlo completamente: era un monovolume grandissimo, con i finestrini oscurati e la vernice nera che risaltava sotto la luce dei lampioni debolmente illuminati; Kurt stava ancora fissando l’auto con un sopracciglio inarcato, dal momento che lo stava letteralmente accompagnando, passo dopo passo. Come uno stalker di terza categoria di fronte al suo attore preferito.
Cominciò a capire tutto non appena vide un finestrino abbassarsi ed una chioma di capelli biondi sovrastati da un cappuccio della felpa.
“Ehi, bel giovanotto.”
Ma Kurt non era in vena di cavolate alla Warbler.
“Jeff, che vuoi.”
“Che diavolo Kurt, come hai fatto a riconoscermi? Avevo il cappuccio e gli occhiali da sole!”
“Lo sapevo che non avrebbe funzionato”, mormorò Nick, di fianco all’altro ragazzo; chinando appena la testa Kurt riuscì a scorgere Wes, seduto sul sedile anteriore, e Greg, che si era voltato vero di lui con ancora una mano stretta al volante.
“Come va ragazzo?”
E, ok. Che stava succedendo? Perchè quei ragazzi erano seduti in quella sottospecie di carro funebre per nerd? E perchè avevano quei sorrisetti inquietanti, e parlavano con quelle vocine smielate?
Si rese conto di essere ancora osservato; sbattendo le ciglia un paio di volte, provò a rispondere qualche frase di cortesia, quando tutto ad un tratto la portiera dal lato di Jeff si spalancò di colpo e lui finì inghiottito dentro alla macchina, trascinato da tre o quattro mani diverse.
“Woh, furto riuscito!” Esclamò Nick, sistemando meglio Kurt tra lui e Jeff, mentre Wes si sbatteva una mano in fronte e replicava: “Nick, si dice rapimento, Kurt non è mica un oggetto!”
“Mi correggo allora: woh, drop riuscito!”
“Non è che dicendolo da nerd cambi le cose, sai...”
E Kurt, in tutto quello, li guardò negli occhi uno ad uno: come diavolo doveva essere ora? Arrabbiato? Offeso? Scandalizzato? Sì, decisamente, l’ultimo sentimento c’era impresso nella sua espressione attonita.
“Rilassati – lo rassicurò Greg- siamo in missione per conto di Blaine.”
Non si accorse nemmeno di aver pronunciato “Blaine?” ad alta voce, con sincero stupore, nel momento in cui venne adagiato delicatamente sulle sue mani un biglietto chiaro, scritto in modo dolce e preciso da una calligrafia che conosceva sin troppo bene.
La prima frase era chiara, anzi, cristallina; poteva immaginarsi benissimo il volto radioso di Blaine mentre gli diceva: Sul serio pensavi che mi fossi dimenticato del nostro mesiversario?
Oh Kurt, dovevi vedere la tua faccia questa mattina quando ti ho fatto credere di non aver organizzato niente. E’ da una settimana che sto lavorando su questa caccia al tesoro e...beh, spero tu ti diverta. Ho lasciato questo bigliettino ai ragazzi per consegnartelo, sperando che ti arrivi incolume. Mi sono sembrati piuttosto su di giri... non ti hanno fatto niente, vero?
Kurt scoppiò a ridere in quell’istante, guardandoli con la coda dell’occhio e rispondendo a bassa voce: “no, tranquillo, mi hanno soltanto rapito”, come se potesse sentirlo. Con il fiato sospeso lesse le ultime frasi:
Mi troverai qui, quando arriverai. Ma come, “dove”? Kurt, un indizio alla volta!
Kurt non seppe decidere se essere più sconvolto per l’intero piano, o per Blaine che sapeva conoscere con assoluta precisione tutti i suoi pensieri.
Quindi...ti ricordi il primo posto in cui ci siamo incontrati?
Ah, e tieni bene a mente: è quello verde.
 
“Grazie, ragazzi”, sussurrò una volta uscito dalla macchina, con in una mano le chiavi della propria e nell’altra il bigliettino stretto tra le dita.
Ricevette soltanto sorrisi, e Greg gli fece l’occhiolino quando mormorò: “Dovere. E adesso vai, coraggio.”
Cercò di mantenere un atteggiamento opportuno; cercò di fermare i battiti del suo cuore, perchè sicuramente potevano essere uditi da tutti i presenti, e non avrebbe avuto la forza nè il modo di giustificare il suo imbarazzo. Semplicemente, era lui ad avere il ragazzo migliore del mondo, e ora lo sapeva bene. Ma non aveva tempo per perdersi in quelle ovvie riflessioni: doveva tornare al McKinley, e di corsa.
 
 
Pensò che il primo indizio fosse facile; pensò anche che Blaine avesse voluto iniziare con qualcosa di semplice, giusto per aiutarlo con le prime mosse.
Tutt’altro: nel momento in cui arrivò nell’aula di informatica, circondata da giocatori e nerd sconosciuti che lo fissavano quasi trepidanti, si sentì come se fosse finito dentro la bocca della balena. Con tanto di Geppetto che gli veniva incontro abbracciandolo ed esclamando “Pinocchio, Pinocchio!”
No, beh, Brandon in realtà stava urlando “Kurt”. Ma la sua mente era un po’ in black out, per via di tutta la questione della caccia al tesoro.
“Ti stavamo aspettando! Blaine mi ha detto di non toccare per nessuna ragione quel computer, e l’ha bloccato con una password che non riusciamo a trovare.”
“Abbiamo provato con il codice ASCII – spiegò un altro ragazzo – e poi con il codice morse, il triangolo di tartaglia, la sequenza di Fibonacci...”
Kurt si era perso alla prima parola, cominciando a sentirsi un tantino a disagio e sperando con tutto il cuore che Blaine non avesse davvero usato qualche cosa assurda che poteva capire solo lui. Ma quando arrivò al computer, bianco, con solo un riquadro sul quale digitare un codice di sei lettere, gli sembrò tutto molto più chiaro. Doveva essere una parola che potevano capire solo loro due, e non qualche sequenza matematica impossibile.
E poi, accanto alla tastiera, c’era un piccolo post-it a forma di fumetto, senza firma: dopotutto, non ce n’era bisogno.
Ho saputo da poco che è anche un cappello.
“E’ un anagramma”, affermò Brandon, e l’altro ragazzo con assoluta covinzione esclamò: “E’ un nome in codice per indicare il terzo film di Star Wars.”
“Ma che dici!? E’ un anagramma!”
“E’ Star Wars!”
Kurt sorrise: perchè trovava adorabile il fatto che facessero ragionamenti così complicati per un nonnulla.
“E’ una cloche.”
I due ragazzi lo guardarono, adesso, incapaci di dire quasiasi altra cosa.
La password fu inserita correttamente, e lo schermo del desktop si illuminò su uno sfondo fatto con Paint e messo al posto del classico logo del McKinley, una scritta gialla su blu che lo fece trasalire per un lunghissimo secondo.
Lo sai che ti devo ancora un paio di caffè della scommessa, vero?
Non poteva crederci. Se n’era completamente dimenticato; quanti erano i caffè da offrire? Uno a esettimana, quindi sette, riepilogò mentalmente con l’adrenalina che saliva sempre più velocemente;  quanti caffè avevano preso insieme, quattro? Quindi, ne mancavano tre. E si allarmò per i suoi stessi pensieri, perchè sperò con tutto il cuore che Blaine non avesse intenzione di fargli bere un litro di caffè tutto d’un colpo.
Salutò tutti i ragazzi, li ringraziò – per cosa, non lo sapeva bene nemmeno lui-, dopodichè corse di nuovo alla macchina, come se ogni secondo era prezioso, come se volesse trovare Blaine il più in fretta possibile, e abbracciarlo, e baciarlo, e...
Si ricordò della prima volta che era stato con lui, in quella stessa macchina: si ricordò di come era freddo, distaccato, di come la sua maschera fosse solida e perfettamente aderente al suo viso. Si ricordò di come Blaine, sin da subito, era stato dolce e gentile.
Si ricordò di come aveva pensato che non potesse nascere nulla, tra loro due. Non era mai stato così felice di essersi sbagliato su qualcosa.
 
Una volta giunto al Lima Bean, un po’ stanco per il giro di Lima che era stato costretto a fare in macchina, si aspettò di trovare qualche volto amico pronto ad offrirgli un caffè, magari vuoto, con dentro il bigliettino e, sperò in cuor suo, l’ultimo indizio di quella caccia al tesoro; non che fosse stanco: semplicemente, prima finiva e prima arrivava a Blaine.
Tuttavia, capì subito che la seconda tappa di quel gioco sarebbe stata un po’ più complicata, dal momento che nessuno sembrava accorgersi della sua presenza, nessuno sembrava al corrente di una certa caccia al tesoro: era il solito Lima Bean di sempre, con persone, dolcetti, coppiette felici e cameriere indaffarate.
Restò una manciata di minuti lì, in mezzo al locale, indeciso se setacciare tavolo per tavolo alla ricerca di un bigliettino o chiamare direttamente Blaine per chiedergli dove fosse: poteva farlo, certo; ma poi, avrebbe mandato in fumo tutta l’organizzazione di Blaine, avrebbe rovinato quella trepidante attesa che separava se stesso da lui, avrebbe quasi alzato bandierina bianca di fronte a quel gioco e no, non poteva. Kurt Hummel non si arrende di fronte a nulla.
“Mi scusi?” Chiese con un certo sorriso convinto alla giovane donna che stava alla cassa.
Era ovvio, no? Blaine sicuramente aveva detto alla ragazza di tenere un caffè a suo nome, già pagato, contenente anche il prossimo indizio. Così, quasi serafico, pronunciò: “Io sono Kurt Hummel.”
La donna lo guardò, l’espressione sul suo viso mutata nemmeno di una virgola.
“Io sono Julie. Tanto piacere.”
E detto quello, ritornò al suo lavoro, con Kurt che stava quasi per mettersi a piangere dalla delusione, o dall’imbarazzo; no, senza dubbio, era più per l’imbarazzo.
“Hem...lei...non ha qualcosa per me?” Tentò di dire tra un colpo di tosse e l’altro, con le sue guance che diventavano sempre più violacee così come le sue orecchie; Blaine quella gliel’avrebbe fatta pagare. Non si sarebbe più potuto presentare in quel posto, era ufficiale.
“In realtà no – affermò la ragazza, con un sorrisetto piuttosto strano – ho qualcosa da dare ad un certo ragazzo, ma non era Kurt Hummel. Anzi, mi è stato detto, testuali parole: se dice di chiamarsi Kurt Hummel, non dargli nulla. Deve presentarsi con un altro nome.”
Stava scherzando. Stava scherzando, vero? Ma, soprattutto, che diavolo voleva quella ragazzina esagitata? Sembrava godere del suo imbarazzo, o gioire per quella caccia al tesoro. Nemmeno la facessero a lei, insomma.
“Ti prego, non puoi darmi il caffè direttamente?”
La ragazzina sembrò ancora più soddisfatta di se stessa nel dire: “Niente da fare” mentre rideva sotto ai baffi, e Kurt stava quasi per fulminarla perchè non c’era assolutamente niente da ridere. Blaine lo stava aspettando chissà dove, lui aveva un caffè da prendere e che razza di nome doveva usare? Insomma, lui aveva un solo nome, Kurt Hummel. Per chi lo aveva preso Blaine, per una sottospecie di agente segreto con falsa identità?
Ma poi, quasi sussultando, socchiuse gli occhi, e respirò.
Perchè c’era un altro nome: quello che usava giocando a Dungeons and Dragons. Ma non poteva dirlo. No, Blaine non poteva avergli fatto quello. Non davanti a tutta quella gente, non nella vita vera.
“Allora? Questo nome?” Incalzò la ragazzina giocando con una ciocca di capelli, con Kurt che diventava pallido, teneva la mascella serrata e le mani strette a pugno.
“Sono....Sono Niveor.”
“Come hai detto scusa?”
“Niv-Niveor.”
“Non ho capito bene.”
“Sono Niveor, maledizione! Niveor figlio di Nieris del reame boscoso di Nin-qualcosa!”
La ragazza saltellò sul posto esclamando “esatto!”, applaudendo entusiasta e porgendogli tre caffè completamente identici, tranne che per i portacaffè, formati da tre colori diversi. E Kurt, allora, ma solo allora, si decise a riaprire gli occhi.
E beh, non c’era male: lo stava guardando male soltanto metà Lima Bean; lui aveva ipotizzato la totalità, gli era andata bene.
“Grazie...” mormorò afferrando un caffè, resistendo all’impulso di rovesciarglielo in faccia. Cercò in tutti e tre qualche traccia di indizio, ma a parte la tipica miscela nera nel contenitore, sembravano completamente vuoti. E non tornava: aveva fatto tutto bene, aveva pure perso ogni minuscola traccia di reputazione urlando quel nome spastico, doveva pur esserci una soluzione, no?
La ragazza continuava a fissarlo divertita, non essendo in grado di aiutarlo: Blaine non gli aveva detto altro, quindi, voleva dire che non c’era nient’altro da dire. Forse, l’indizio era proprio lì, sotto ai suoi occhi. E forse aveva anche i mezzi per individuarlo?
Dopo qualche altro secondo di ricerca si appoggiò sul bancone, tirando un piccolo sospiro e rigirandosi tra le mani il primo bigliettino, quello che aveva dato inizio a tutta la caccia.
Lo rilesse un’altra volta, senza troppa attenzione, fino a quando i suoi occhi non si spalancarono di fronte ad una frase che non aveva considerato con la giusta importanza:
E’ quello verde.
Rialzando lo sguardo, divenne tutto più chiaro; afferrò la fascetta di carta di colore verde e la sfilò dal caffè, osservandola con un poco di agitazione e felicità, aprendola all’attaccatura e rivelando una scritta al suo interno, dello stesso tipo delle precedenti.
Ce l’hai fatta, Niveor?
Ah, già. Una volta trovato, si sarebbe dovuto ricordare di strangolarlo.
Il prossimo indizio è a casa tua. O meglio, alle quattro case.
“Come?”
“Che dice?” Chiese la ragazza sporgendosi verso di lui, dopo aver visto il ragazzo rimanere completamente perplesso.
“Tutti questi giri...tutto questo...per arrivare a casa mia? E poi, quattro case...che vuol dire?”
“Oh ma è facile.”
Cominciava seriamente a detestarla; ma poi, si sentì profondamente grato e riconoscente, non appena la sentì domandare con allegria: “Per caso hai qualche libro di Harry Potter a casa?”
 
 
Burt Hummel se ne stava tranquillamente seduto sulla sua poltrona, come era solito fare tutti i giorni: si sedeva, guardava un po’ di televisione e poi apriva un po’ il giornale, giusto per curiosità di scoprire che titoli avessero dato quel giorno alla crisi economica, visto che, di contenuti, erano sempre uguali; almeno si sforzavano di cambiare il nome, giusto per apparenza.
Quando sentì la porta di casa aprirsi con un tonfo, e Kurt sbucare fuori da dietro di essa, per poco non gli venne il secondo infarto della sua vita e scattò in piedi, cominciando a stringere i fogli per allentare la pressione.
“Kurt! Che diavolo succede?”
“Le quattro case”, continuava a mormorare lui, come un mantra, con i capelli scompigliati dalla corsa e le chiavi della macchina incastrate tra il pollice e l’indice, il portachiavi che dondolava frenetico seguendo i suoi movimenti. Lo vide afferrare un libro dal portagiornali, scrollarlo come se fosse un calzino e poi cominciare a sfogliarlo attentamente, in preda a interminabili sospiri. Burt, semplicemente, si avvicinò a lui, indeciso se chiederglielo una seconda volta o dargli direttamente una botta in testa per farlo calmare.
“Figliolo? Buongiorno anche a te. Come va? Non eri fuori? Non dovevi essere con Blaine?”
“Esatto. Dovrei. Devo sbrigarmi, maledizione, dove cavolo è il capitolo con la descrizione delle quattro case?”
“Sicuro che va tutto bene?”
“Benissimo” riuscì a dire, ascoltando metà delle parole di suo padre. Tra una pagina e l’altra aggiunse le parole “Blaine”, “caccia al tesoro”, “sorpresa”, che fecero immediatamente rilassare il padre.
“Ti ha organizzato una caccia al tesoro, sul serio?”
Di nuovo, si stupì della purezza di quel ragazzo; perchè ci avrebbe scommesso il cappellino, non se ne trovavano di persone del genere di quei tempi.
“Sì!” Esclamò Kurt, in parte per confermare quanto detto dal padre; in parte, perchè aveva trovato il fantomatico capitolo e, sull’angolo di una pagina, c’era qualcosa scritto a lapis, piccolo ma leggibile.
Come ti permetti di lasciare Harry Potter nel portagiornali? Sono offeso. A parte questo, tu sei in bagno e io ne sto approfittando per lasciarti un altro indizio. Non ti faccio viaggiare molto stavolta: ho dato tutto ciò che serve a Finn.
Senza nemmeno dare tempo al padre di chiedergli cosa ci fosse scritto, Kurt salì le scale due a due, fino ad irrompere nella camera del fratellastro; non appena lo fece, però, mormorò un “oh” e si richiuse la porta alle spalle.
Beh, forse avrebbe dovuto bussare. Perchè, insomma, vedere suo fratello e Rachel Berry intenti a baciarsi sul letto non era proprio il massimo delle sue ambizioni.
Ci vollero diversi minuti di calma generale per decidere tutti che fosse il caso di dire qualcos’altro: Kurt continuò a tenere gli occhi bassi, Rachel aveva le mani incrociate al petto e Finn si guardava i calzini multicolor, borbottando un “hei, come va?”
“Alla grande.”
Stava meglio prima, quando la sua mente non era affollata da immagini di Rachel e suo fratello, ma non poteva avere tutto dalla vita, no?
“Sono qui per...ecco...Blaine dovrebbe averti lasciato qualcosa, un bigliettino, forse...”
“Bigliettino?” Finn guardò confuso la sua ragazza, che si limitò a sbuffare e afferrare un cd dalla scrivania.
“Non è un bigliettino, è un cd. Sì, so tutto della sua caccia al tesoro, ed è un’idea magnifica Finn, non trovi? Meglio di una partita, secondo me. Molto meglio.”
“Ok Rachel, grazie mille” tagliò corto Kurt cercando di stroncare l’ennesima lite e aprendo la custodia, contenente un disco ed una lista di canzoni scritta a mano.
See who I am - Whithin Temptation
You and I - Lady Gaga
At Last - Etta James
Your song - Elthon John
Perfect- Pink
Place to be - Nick Drake
Era strano che fossero solo sei, ed era ancora più incredibile che fossero tutte canzoni con un tema romantico, che si erano ritrovati ad ascoltare in macchina, o abbracciati davanti alla televisione.
Era un regalo bellissimo, era dolce e sensibile, esattamente come Blaine. Tuttavia, Kurt non riusciva a capire come questo potesse ricondurlo da lui.
“La mia idea era di fare una cover di ogni canzone per poi farne un mio primo album personale”, proferì Rachel accanto a lui e con aria teatrale, Finn che sorrideva e le diceva che sarebbe stata una grande idea, magari, però, in un’altra occasione. Perchè quello era il mesiversario di Blaine e Kurt. E lei, rendendosene conto, si ritrovò a sorridere in modo sincero, osservando quella lista di canzoni ed immaginandosi il suo migliore amico addormentarsi con le cuffie dell’Ipod ancora attaccate alle orecchie, mentre la sua mente assaporava ogni singola parola.
“Non capisco”, commentò Kurt. Era ad un passo da Blaine, non poteva fermarsi proprio adesso. Ci doveva essere un messaggio, un significato nascosto.
Finn lanciò un’occhiata a Rachel, che sbuffò, quasi rassegnata.
“E va bene, va bene. Ti darò un suggerimento, ma solo perchè Blaine mi stressa da una settimana e me lo immagino tutto saltellante mentre aspetta il tuo arrivo. Leggi in verticale.”
“Leggere in verticale? Non vedo come fingermi giapponese possa... oh.”
Perchè le prime parole di ogni canzone formavano l’unica frase che avesse veramente senso.
E ora che lo sapeva, gli sembrò quasi ovvio. Con un sorriso che non riuscì in nessun modo a trattenere corse in camera sua, afferrando uno dei tre regali che, lo sapeva, andava bene.
Rachel lo fissò per tutto il tempo, guardandolo divincolarsi tra chiavi della macchina, biglietti, regali e cd, sorridendo di fronte alla sua imbranataggine dettata dall’euforia. E si ritrovò ad abbracciare Finn, perchè si sentiva esattamente così ogni volta che lui faceva qualcosa di incredibile, ogni volta che le regalava un sorriso, o le diceva una frase da bloccarle il cuore.
Anche Burt Hummel lo fissò per tutto il tempo, da quando lo vide scendere le scale fino al momento in cui chiuse velocemente la porta, per prendere la macchina e dirigersi chissà dove. Chiese a Finn dove stesse andando, ma non era preoccupato realmente; piuttosto, era curioso di sapere cosa si fosse inventato Blaine, perchè a giudicare dagli occhi di suo figlio, doveva averla fatta veramente grossa.
Finn si limitò a mostrargli il cd, lasciato da Kurt in camera sua per la troppa fretta.
Una volta letto, il padre emise una piccola risata, e si asciugò gli occhi.
No, non si era commosso per l’amore che quel ragazzino dimostrava verso suo figlio; gli era caduta un po’ di polvere negli occhi, tutto qui. Questo disse a Finn e Rachel, e i due non si permisero di contraddirlo, non ora che leggeva e rileggeva il messaggio del cd, senza capirlo veramente: perchè, in fondo, era una cosa tra loro due. Perchè ne avevano passate tante insieme, in appena un mese. Perchè si ritrovò a ringraziare Elizabeth che li guardava da lassù per aver inviato nella loro vita un ragazzo prezioso come Blaine.
Dondolandosi un po’ nei suoi passi, si diresse verso lo stereo, appoggiato in un angolino del salotto giusto accanto alla libreria; con estrema delicatezza, estrasse il cd dalla custodia e lo infilò, facendolo partire con un gesto piccolo sul pulsante “play” e sedendosi sulla poltrona, restando ad ascoltare: era proprio curioso di sentire quale suono avesse l’amore.
 
Prima euforico, poi arrabbiato. Adesso, Kurt si sentiva felice, in modo puro e speciale.
See you at your perfect place.

Ci vediamo nel tuo posto perfetto.



***

Angolo di Fra


Oh, beh... quanto tempo eh? Già già.
Poche ciance e tanti link:
per sapere quando aggiornerò : facebook e twitter
se non l'avete già letta, ho fatto uno spin off di questa ff; per leggere la OS dedicata a NIVEOR e a tutti gli amici di D&D, qui.

Detto questo...spero che ne sia valsa la pena, di attendere per questo cap :)


PS _ Ah, un'ultima cosa. Permettetemi di ringraziare un po' di persone, a cui dedico il capitolo (senza di loro la voglia di scrivere sarebbe arrivata dopo anni): Mony, Alice, Ilaria&Elena (siete una cosa sola ahahah) Martina e tutte le baldracche della Gleek Family. Grazie :)  

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Capitolo 25
*** Reveal ***


Capitolo 25
Reveal




 



C’era silenzio. Blaine non si ricordava più da quanto tempo fosse lì, osservando il buio più completo e annegando in cumuli e cumuli di polvere che svolazzavano invisibili tutti intorno a lui. I suoi riccioli un po’ scompigliati ricadevano allegramente sui suoi occhi, che saettavano da una parte all’altra, con quegli occhiali un po’ spessi che adorava portare. Non c’era molto da fare, in quel momento, così se ne stava tranquillo, con le mani che si appoggiavano alle assi di legno e le gambe incrociate verso il vuoto. Seduto, felice, emozionato: aspettava Kurt. In quel momento pensò che sarebbe riuscito ad aspettarlo per una vita.
Non aveva in mente un piano preciso; in realtà, non aveva la più pallida idea di cosa avrebbe fatto una volta che fosse arrivato, magari, stanco per aver girato mezza Lima o stressato da tutti quegli indizi. Così continuava ad assaporare l’odore del teatro, quello fatto di legno e umidità, di pesantezza ma liberazione. E non c’era fretta; la caccia al tesoro era stata escogitata bene, sapeva che Kurt ci avrebbe impiegato molto a scovare ogni indizio, specialmente una volta arrivato al Lima Bean: la sola idea di immaginarselo arrabbiarsi contro il vuoto, maledicendolo mentalmente per quella trovata di dire il nome Niveor, lo faceva sorridere sornione e cacciare indietro un approccio di risata; sarebbe stato strano ridere da solo nel bel mezzo di un teatro vuoto, anche se in cuor suo sapeva di aver fatto cose peggiori.
Ripensando all’idea del cd, non riuscì a trattenersi dal passarsi una mano sulla fronte: era ridicolo. Kurt se ne sarebbe scappato a gambe levate, lasciandolo da solo in mezzo a quel teatro, o peggio. Perché, magari, non sarebbe riuscito a decifrare l’indizio. Il tuo posto perfetto… si poteva essere più infantili di così? Posto perfetto poteva voler dire un milione di cose; poteva essere anche il bagno di casa sua, per quanto ne sapesse. Eppure, dentro di sé sentiva che Kurt avrebbe capito, perché non poteva essere nessun altro posto all’infuori di quello: il luogo in cui si erano conosciuti davvero, per la prima volta.
Ma poi, ogni suo pensiero perse di forma, nel momento in cui sentì una voce chiamarlo da lontano, attraversando le pareti del palcoscenico.
Si alzò; per poco non inciampò sulle scalette, troppo piccole per essere comode, troppo vecchie per essere forti. Saltellando a stento accanto a qualche poltrona sfoderata, sentì la voce farsi sempre più vicina man mano che le sue gambe tremanti raggiungevano l’atrio.
E così lo vide, Kurt. Avvolto nel suo impermeabile color ghiaccio, con un sorriso che riusciva a vedere nonostante la penombra, quasi come se fosse illuminato dal bagliore dei suoi stessi occhi. Kurt si fermò di scatto, costretto a prendere dei profondi respiri dovuti alla corsa.
Era difficile spiegare tutte le sensazioni che stavano provando; era difficile salutarsi con semplicità, dopo una giornata così strana ed incredibile. In un certo senso, entrambi temevano di poter dire qualcosa di banale; qualcosa che rovinasse l’atmosfera di quel piccolo teatro, o rallentasse i loro cuori impazziti.
Ma poi, Blaine vide Kurt avvicinarsi con impeto ed emozione e intuì che l’unico modo per dire qualcosa era attraverso il bacio che si scambiarono in quell’istante, avvolto da brividi e sospiri e racchiuso nelle loro mani che si strinsero con fermezza.
Kurt si staccò qualche minuto dopo non appena sentì labbra del suo ragazzo incurvarsi in un sorriso, piuttosto curioso.
“Mi hai trovato.”
Ai suoi occhi, sembrò un bambino che aveva appena vinto al gioco più bello della sua vita. Con un tono diverso, più ironico, aggiunse: “Spero ti sia divertito, Niveor.”
Ah, giusto. Doveva ricordarsi di ucciderlo un po’, per quello scherzetto; ma in quel momento era troppo felice per curarsene, si avvicinò un’altra volta a Blaine intrecciando le mani dietro la sua testa, riprendendo a baciarlo con minuziosità e devozione.
E, fosse stato per lui, avrebbero anche potuto passare la serata in quel modo; ma tutto ad un tratto Blaine si staccò di nuovo, come se si fosse ricordato di qualcosa: lo vide passarsi una mano trai capelli con fare imbarazzato e guardarsi i lacci delle scarpe, la sua voce che balbettava in mezzo ai sussurri.
“Kurt, io... mi sento un idiota, adesso che sei qui, perchè...beh, perchè non ho un vero e proprio regalo. Perchè non avevo soldi per farti qualcosa degno di te, e avevo paura di rovinare tutto, e-ho rovinato tutto, non è così?”
"Blaine."
Sospirò; aveva un fidanzato adorabilmente tonto.
“E' il regalo più bello che abbia mai ricevuto in vita mia.” Ammise, prendendogli il volto tra le mani e accarezzandogli le guance delicatamente.
I suoi occhi nocciola si spalancarono: “La caccia al tesoro?”
“No, genio. Tu.”
E Blaine restò imbambolato per qualche secondo, prima di arrossire vistosamente e affondare il volto nell’incavo del suo collo; Kurt si limitò a stringerlo ed inspirare forte il suo profumo dolce e particolare, cullandosi.
“Grazie.”, sussurrò Blaine. E Kurt pensò che fosse assurdo, perché avrebbe dovuto dirlo lui; preferì dirglielo in un altro modo, allontanandosi quanto bastava per frugare nella sua borsa a tracolla e mostrargli una piccola bustina di carta, dall’aspetto semplice e anonimo.
“Ho anche io un regalo per te.”
Vide Blaine illuminarsi di colpo, prendere il dono dalle sue mani come se stesse per afferrare una cosa preziosa; tuttavia, il modo con cui aprì con trepidazione la confezione provocò nell’altro una piccola risata.
Era un ciondolo: era una moneta dall’aspetto vecchio e usurato che raffigurava il simbolo dell’infinito, un otto rovesciato messo leggermente in rilievo. Blaine si passò il regalo tra le mani, fino a quando non sentì un leggero “crick” e la vide spezzarsi in due.
“Oh mio Dio! Kurt, mi-mi dispiace da morire! Non volevo romperlo, io non ho fatto apposta, ho-“
“Blaine. Rilassati.”
Ma non avrebbe potuto, fino a quando non fosse riuscito a decifrare il perché Kurt avesse quello sguardo dolce e divertito.
Afferrò l’altra metà della moneta, rivolgendola verso la sua e facendo combaciare le due parti.
“Oh”, riuscì a dire, non appena il suo cervello rielaborò quella immagine e capì.
“Abbiamo metà infinito ciascuno.”
Perché tu sei metà del mio, conclusero entrambi, nelle loro teste.
Ed era troppo: Blaine lo baciò stringendo il regalo tra le mani e combattendo l’impulso di abbracciarlo con tutte le forze che avesse in corpo, ma Kurt fu più veloce e annullò qualsiasi distanza trai due, rispondendo al bacio e facendo sì che le loro labbra si ringraziassero in un modo che non sarebbero mai riusciti a fare tramite le parole.
Il teatro intorno a loro sembrava essersi improvvisamente fermato per non disturbare; il sipario del palco fu mosso da una scia di vento, e poi, più nulla.
E Kurt non avrebbe sperato niente di migliore: non aveva mai avuto il coraggio di sognare una situazione simile, un ragazzo come Blaine, delle emozioni come quelle; aveva sempre avuto paura di illudersi troppo, di soffrire, in solitudine. Temeva che sarebbe stato il popolare cheerleader per sempre.
Con ancora i visi a pochi centimetri l’uno dall’altro Blaine fece per mettere nella bustina la sua metà del ciondolo, facendo bene attenzione a non farlo cadere; fu solo in quel momento che si accorse di un foglietto ruvido e ripiegato più volte su se stesso, che Kurt riconobbe subito non appena tirato fuori.
E sì, si ricordava benissimo di quel biglietto: si ricordava di come lo avesse messo nella busta, per tenerlo in un posto sicuro. Si ricordò anche di come, giusto un’ora prima, aveva messo nella busta anche il ciondolo, perché era di fretta, non aveva programmato di fargli quel regalo e aveva dovuto usare uno straccio di confezione. E Blaine stava aprendo il foglietto con pazienza e confusione, e gli sembrò tutto sbagliato; il posto, il momento, il luogo, e il tempo. Il respiro gli si mozzò in gola, gli occhi si spalancarono mentre i muscoli si irrigidivano non essendo in grado di muoversi e strappargli via la busta dalle mani. In realtà non riusciva a fare niente; e non sarebbe riuscito nemmeno a spiccicare parola, perché non sapeva cosa dire, non sapeva come spiegarlo; si sentiva completamente soffocato e anche un po’ immaturo e stupido, come sempre. Perché era un bambino, perché Blaine si sarebbe scandalizzato, perché sarebbe andato tutto a rotoli e-
“Ma…?”
Blaine fissò il foglietto tenuto tra le sue mani, le sopracciglia aggrottate e il tono curioso: si presentarono a lui tre ideogrammi. Erano piccoli, scritti a mano: si poteva vedere qualche sbaffatura del pennarello e un tratto incerto in alcuni punti; aveva tutta l’idea di essere stato fatto con cura, sembrava una scritta complicata, e per lui era del tutto sconosciuta.
“Kurt, cos’è questo?”





Quattro giorni prima

"Ti rendi conto che è una cosa impossibile vero?"
“Rachel Berry, aspirante diva e migliore amica dell’anno.”
“E’ inutile che fai il sarcastico, Blaine: una caccia al tesoro per tutta la città non è una cosa che puoi fare dal nulla. Insomma, puoi anche rischiare la galera per questo!”
“Se non ci hanno ancora arrestato per i tuoi schiamazzi direi che non corriamo pericoli…”
“Blaine.”
Il ragazzo guardò Rachel da dietro il suo bicchiere di caffè doppio e macchiato, i riccioli che oscuravano metà della sua vista e il vociare generale del Lima Bean che intorpidiva il suo udito. Ma no, quella volta non avrebbe ceduto: era un’idea geniale, era una cosa per Kurt e lei doveva soltanto supportarlo, niente polemiche, niente consigli da fata madrina.
"Sei solo gelosa perchè il tuo ragazzo non ti ha fatto una caccia al tesoro."
In tutta risposta, la vide incrociare le braccia e alzare il mento all’insù; per niente teatrale, insomma. Sospirò, perché a volte detestava quanto quella ragazza riuscisse a enfatizzare ogni singola cosa, anche le più futili. Beh, era anche vero che una caccia al tesoro in mezzo a tutta la città non era proprio futile, ma dettagli.
"Forse.” Ammise, con molta, molta fatica. “Ma ciò non toglie che è un'idea assurda Blaine, e stai organizzando tutto questo per un ragazzo che conosci da quanto, due mesi?"
"Tu quanto tempo ci hai messo per capire di amare Finn?"
Silenzio. Entrambi restarono zitti perché Blaine si era appena reso conto di aver detto a Rachel di amare Kurt, e Rachel si era resa conto che il suo migliore amico si era innamorato del capocheerleader della scuola, con la terribile consapevolezza di non poterlo giudicare, visto che lei gli aveva confidato le stesse cose su Finn giusto una settimana prima. Però Finn era Finn; Kurt Hummel, nonostante tutto, restava ancora un’incognita da analizzare.
"Ora – Blaine la guardò dritta negli occhi, indicando la lista di canzoni -Vuoi darmi una mano, oppure no?"
“Per me rimane lo stesso un’idea assurda.” Mormorò, facendosi più avanti con la sedia e cominciando a selezionare qualche canzone dal suo Ipod. Nel frattempo la cameriera era arrivata al loro tavolino, stava prendendo i due bicchieri vuoti chiedendo se servisse altro, ma Blaine la anticipò rispondendo a Rachel e commentando: “E’ geniale.”
“E’ assurda.”
“Kurt la amerà.”
“Kurt ne rimarrà scandalizzato, Blaine, specie se ci metti in mezzo tutte quelle cose nerd che capisci solo tu!”
“Scusate, vi serve altro?”
I due ragazzi si voltarono verso la ragazza, chi gentile, chi vagamente seccata e acida.
“Sì, grazie. Un cervello per il mio migliore amico.”
“E un cuore per la mia cara migliore amica.”
“Cos’era quel tono, Blaine? Stai cercando di scaricarmi per caso?”
Ma prima che potesse rispondere al battibecco sentì la ragazza accanto a lui scoppiare a ridere, coprendosi la bocca con il taccuino per le ordinazioni e strizzando i suoi piccoli occhi scuri.
“Scusate, non volevo - borbottò qualche secondo dopo cercando di assumere un’espressione seria – passo dopo? Vi vedo un po’…indaffarati.”
Rachel stava quasi per dire che sì, grazie, era il caso che restasse un po’ da sola con Blaine per poter cercare un briciolo di intelligenza sparsa tra tutti i suoi riccioli ingrovigliati; e invece fu lui stesso a chiamare di nuovo la sua attenzione, osservandola con fare quasi interessato e accarezzandosi il mento con il pollice. E Rachel conosceva quell’espressione. Era la classica espressione da “sto per fare una proposta assolutamente sconsiderata e potenzialmente imbarazzante”. E Rachel voleva sotterrarsi; voleva rinchiudersi sotto al tavolino. Mise una mano davanti a sé, continuando a scorrere l’ipod e dichiarando: “Per i restanti dieci secondi farò finta di non conoscerti.”
Lui roteò gli occhi, ma tutto sommato la ignorò e chiese alla cameriera se potesse farle una domanda; lei assunse una posa composta, quasi interessata da lui e dal suo tono un po’ enigmatico.
Rimase interdetto solo per un momento; perché, in fondo, non sapeva proprio come dirlo. Ma per fare una caccia al tesoro si deve pur partire da qualche parte, no?
“Per caso sarai di turno, tra quattro giorni a questa stessa ora?”
 
Tre giorni prima
 
Kurt tornò in camera con caffè dello studente e merendine ipocaloriche, per aiutare entrambi nello studio. Era da più di sei ore che stavano studiando, escludendo quella per la cena e quei piccoli quarti d’ora passati a coccolarsi sul divano. Blaine aveva preso questa cosa del test di ammissione molto seriamente, non poteva più permettersi di trasgredire, doveva passare e doveva farlo nel migliore dei modi; perchè tutto ciò che gli avrebbe permesso di uscire da quella piccola e fredda Lima dipendeva dal suo cervello e da una borsa di studio offerta dall’università.
Così, per non perdere altro tempo, aveva disinstallato metà dei suoi giochi online; Kurt la prima volta non ci credette, ma capì che fosse vero quando si accorse che durante le loro telefonate serali Blaine parlava effettivamente al telefono con lui: non faceva dei grugniti, mormorii, monosillabi per poi urlare “HEADSHOT!” in mezzo ad un discorso. Ed erano già tre giorni che non gli riattaccava il telefono in faccia dopo l’ennesimo urlo. Cominciava ad adorare la matematica e l’impegno che richiedeva per essere studiata.
Stava quasi per dirlo a Blaine, per punzecchiarlo un po’, prenderlo in giro in attesa di vedere i suoi occhioni dolci supplicargli conforto, ma una volta ritornato in camera lo trovò addormentato sulla scrivania, con la testa appoggiata alle braccia distese sul libro aperto. La lampada da tavolo gli illuminava soltanto parte del viso, risaltando le sue labbra soffici e le sue ciglia lunghe; sorrise, in modo tenero e gentile. Si chiese se lo stesse sognando, tra un numero e l’altro. Gli mise una coperta sulle spalle, accarezzandogli delicatamente i capelli, e lasciò il caffè sulla scrivania. Sdraiandosi sul letto, aprì il suo computer portatile, in cerca di qualche ultima sfilata di moda.
 
 
 
Due giorni prima
 
Kurt aveva appena finito gli allenamenti; le nazionali erano vicine ormai, e lui non si sentiva assolutamente pronto. La Sylvester non faceva altro che ripetergli di dover cantare, ballare, saltare e in tutto questo sorridere come se non ci fosse stato un domani, come se in realtà i suoi polmoni non stavano morendo sotto atroci sofferenze e lui non fosse sul punto di morire a terra disidratato dalla fatica.
Non era agitato per la gara, visto che la coach vantava un primato di sette vittorie consecutive e le altre squadre non sembravano essere una potenziale minaccia; non era preoccupato per l’esibizione, ma c’era qualcosa, in quell’evento, che gli provocava una certa malinconia; forse, era solo troppo stanco. O forse la sua mente cominciava a elaborare il fatto che stava per finire la scuola, e sarebbero iniziate delle stranissime vacanze estive. Forse, era il fatto di non sapere assolutamente dove si sarebbe trovato tra qualche mese, a spaventarlo; Blaine aveva la matematica, stava studiando sodo ed era convinto. Lui, invece, non riusciva a trovare nulla che lo convincesse e niente che lo rassicurasse; e poi, nessuno dei due aveva più affrontato quell’argomento, intavolato una discussione riguardante quella piccola parolina che iniziava con la d e finiva con istanza. In realtà, non lo sapevano nemmeno: si sarebbero separati? Sarebbero stati insieme? Ma due ragazzi che stavano insieme da appena un mese potevano realmente considerare una situazione simile?
Troppe domande. Troppi, troppi pensieri. E Kurt era sempre stato bravo a schivarli, e così fece anche quella cosa.
Tuttavia non riuscì a schivare la spallata di Azimio, che arrivò dritta contro di lui, scaraventandolo contro la rette del campo di football e facendolo scivolare a terra, con braccio e fianco doloranti.
Rialzando lo sguardo, riuscì a scorgere sia lui che Samuelson, entrambi con un ghigno soddisfatto.
“Scusaci, fatina, ci è inciampata la mano.”
Si diedero il cinque come se fossero dei gran fenomeni, come se Kurt fosse una nullità e loro l’avessero appena schiacciato. Lui si limitò a rialzarsi in piedi, sistemandosi la divisa e i capelli con un gesto rapido dell e mani: non degnò i due nemmeno di un’occhiata, e si diresse verso gli spogliatoi.
Giocatori e cheerleader, distanti metri da loro, sembravano troppo presi dalle loro cose per accorgersi dei tre ragazzi.
“Che fai, non ci saluti nemmeno?” Intimò Samuelson con voce tagliente, facendo rabbrividire Kurt, ma non di paura: di rabbia.
“Sparite.”
Sbagliò. Sbagliò del tutto. Non doveva rispondere, non doveva guardarli, non doveva degnarli di nessuna attenzione; quelle cose, lui, le sapeva bene. Ma ci sono momenti in cui anche la pazienza più resistente crolla di fronte a provocazioni estenuanti, ed era uno di quelli.
“Come scusa?” Mormorarono i due, con tono basso, facendosi vicini.
“Ho detto, sparite. Oppure volete farvi belle davanti ai vostri compagni di merende? Lasciatemi stare. Non ho tempo da perdere con voi.”
E quello non fece altro che ricordare ai due ragazzi quanto Kurt Hummel fosse fiero, audace, freddo e popolare.
“Ma bene.” Samuelson, incredibilmente, lo stava fissando divertito: “Questo è il Kurt Hummel che conosciamo. Ci eri mancato, sai, pensavamo che quell’altra checca ti avesse rammollito.”
E anche loro, in quel momento, avevano sbagliato mossa: perché forse Kurt avrebbe permesso che continuassero ad insultarlo, a spintonarlo, a denigrarlo e prenderlo in giro; ma non avrebbe mai lasciato che facessero altrettanto con Blaine.
“Non dovete permettervi di parlare di lui.”
Questo fu quello che disse. Con voce glaciale, gli occhi azzurri che tagliarono i due ragazzi in due. E per un attimo poté leggere la confusione nei loro sguardi, quasi come se non si aspettassero una reazione simile.
E poi, sotto al suono dei passi lenti di Kurt che si allontanava da loro due, pesanti, Samuelson lo chiamò a gran voce, riuscendo a farlo fermare.
“Devo farti una domanda, Hummel. A cosa tieni di più, ai Cheerios o a Anderson?
Non rispose, e se ne andò. Aveva altro di meglio da fare. Aveva un ragazzo da cui andare, che lo avrebbe accolto con un abbraccio, che teneva a lui, ad ogni sua singola sfaccettatura.
Non fu in grado di sentire la risata gutturale di Azimio, così come non poté vedere il ghigno che comparve sul volto di Samuelson: mise una mano sulla spalla del suo amico, sentendosi improvvisamente pieno e vittorioso.
“Ho trovato l’idea che cercavamo da tanto tempo.”
 
 
Il giorno prima
 
Kurt in crisi con il regalo; o meglio, i regali. Era la pausa mensa, se ne stava seduto al tavolo del Glee Club come sempre e continuava a scarabocchiare sulla sua Moleskine tutte le varie idee. Via via aveva comprato qualcosa, ma era come se niente fosse adatto...Una felpa? Troppo impersonale. Un videogioco? No, assolutamente no.
Sbuffava, il resto del Glee Club continuava a urlare e fare confusione demolendo del tutto il suo tentativo di concentrarsi; Blaine era da qualche parte con Rachel, e doveva approfittare della sua assenza. Il mesiversario era il giorno dopo: doveva trovare qualcosa, qualunque cosa che lo aiutasse.
“Serve una mano?”
Mercedes si affiancò a lui sulla panca, e dalla parte opposta si sedette Mike, a gambe divaricate e intento a sgranocchiare una carota che sembrava fatta di plastica. Dopo aver curiosato un po’ nella sua lista, afferrò il suo taccuino con fare innocente cominciando a scarabocchiare qualcosa.
“Farò schifo –borbottò Kurt, con le mani trai capelli e mordicchiando il tappo della penna- non avrò nessun regalo per Blaine, e farò schifo.”
La sua migliore amica sorrise: era tenero vederlo crucciarsi in quel modo per qualcosa che, lo sapeva, era essenzialmente semplice.
"Secondo me devi fargli una cosa simbolica."
Alzò appena lo sguardo, inarcando un sopracciglio in attesa di ulteriori spiegazioni.
"Sì, insomma, qualcosa che non abbia un vero e proprio valore. Sam per il primo mesiversario mi aveva regalato una collana interamente fatta a mano da lui.”
Beh, certo. Peccato che lui non sapesse minimamente fare collane; va bene che era gay, ma non così gay.
Forse doveva veramente fargli qualcosa di nerd, tipo un modellino di un drago, o una calcolatrice. Conoscendo Blaine, si sarebbe esaltato per entrambe le cose.
“Mercedes, non sono molto simbolico io. L’ultima volta che ho comprato qualcosa di inutile è stato al mercatino delle pulci dove mi hanno costretto a spendere un dollaro per una stupidissima monetina con il simbolo dell’infinito.”
“Sembra perfetta!”
Non poteva dire sul serio: “E’ una moneta.”
“Perché non la spezzi a metà? Chiedi aiuto a tuo padre.”
La sua bocca si aprì con tutte le intenzioni di iniziare un lungo monologo su quanto quel discorso fosse insensato e quanto lui fosse il peggior ragazzo del mondo; e stava per dirlo, davvero, ma poi i suoi occhi si posarono su Mike e il disegno che aveva appena fatto, una scritta composta da tre ideogrammi evidentemente cinesi che lui stava fissando con tenerezza e commozione.
“Cosa scrivi?” Chiese Mercedes, sporgendosi verso di lui, come Kurt; anche se quest’ultimo fu molto più discreto, non voleva dare troppo nell’occhio.
Il ragazzo continuò a fissare la scritta, rispondendo con voce calda e semplice.
“Woo ai ni.”
Aspettò dieci secondi contati; e poi, Kurt non riuscì a trattenersi dal chiedere: “…E che vuol dire?”
“Vuol dire ti amo.”
Il suo cuore fece un piccolo salto, contro ogni sua previsione. Perché non riusciva a credere alla natura dei suoi pensieri. Non voleva ammettere a se stesso quanto il volto di Blaine gli parve nitido di fronte a sé, come se fosse la traduzione esatta di quelle parole.
Non ce la faceva. Ogni fibra del suo corpo sembrava urlarlo, i suoi occhi ormai erano incatenati a quella piccola scritta incapaci di muoversi.
E poi provò a sussurrarlo, in via sperimentale. “Woo ai ni.”
E suonava bene. Accompagnò la frase immaginandosi il volto di Blaine. Suonava meravigliosamente bene.
“Sì, ti amo”, rispose Mike. “E’ un bigliettino che voglio lasciare nell’armadietto di Tina.”
Continuava a fissare gli ideogrammi, poi la penna, poi il suo taccuino diventato improvvisamente vuoto e bisognoso di essere riempito con qualcosa. Quelle tre parole continuavano a ripetersi nelle sua mente e non sembravano intenzionate a smettere molto presto.
"Vuoi provare a scriverlo?"
Mike glielo chiese con sincerità, in modo gentile. E in quel momento ogni angolo del suo cuore urlò di sì.
"Cosa? Oh, io non credo di essere capace, voglio dire, io credo che-"
"E' facile. Fai così."
Mise la penna nelle sue mani, facendola muovere lungo il foglio bianco e rigato assumendo lentamente una linea morbida e tremolante. E così comparve, in modo semplice.
Woo ai ni.
Kurt strinse il foglietto, fissando un punto inesistente.
Mercedes e Mike si guardarono, facendosi occhiolini e sorrisi enormi; erano così felici per il loro amico, almeno quanto lui sembrava sconvolto e senza fiato.
 


 
Blaine adesso era di fronte a lui, ed era da molti secondi ormai che non diceva più una parola. E Kurt riusciva solo a vedere la sua confusione di fronte a quello che, probabilmente, era il passo più importante della loro relazione. Ma Blaine non lo sapeva. Blaine non conosceva quella scritta, non aveva idea di cosa volesse dire. E forse, anche se lui non ci credeva davvero, era un segno del destino; perché forse era un passo fatto troppo presto: dovevano prendersi più tempo per conoscersi, per esserne sicuri. Non era nemmeno sicuro del fatto che Blaine ricambiasse. E se non ricambiava? Tutto ad un tratto si sentì incredibilmente fortunato e sollevato, così come adorò la voce interdetta e mormorata di Blaine nel chiedere: “E’ un messaggio in codice per dirmi che parti per la Cina?”
Gli disse di no, tra una risata e l’altra; l’altro si sentiva sempre più strano e allo stesso tempo maledettamente curioso di saperne il significato.
“Che lingua è? Giapponese?”
Non lo sapeva, continuava a canticchiare la sua mente, in festa. Blaine non ne aveva idea: si strinse nelle spalle, il suo sorriso che diventava più ampio man mano che parlava.
“Oh, beh, non è niente di chè. E’ solo un disegno che ho fatto a scuola, non so come ci sia finito lì.  Era una cosa che…che mi piaceva fare, così.”
Lo guardò, in un attimo di esitazione. Pensò che fosse davvero bello essere così bravi a mentire; dopotutto, anni e anni di finzione gli avevano fatto bene.
“Non me la racconti giusta.”
Perché Blaine lo conosceva, o almeno, sapeva riconoscere quando gli nascondeva qualcosa.
“Sul serio Blaine, il regalo vero era la moneta, non pensare a quel foglietto. Però, se vuoi…puoi tenerlo.”
Fece appello a tutta la sua concentrazione per evitare quel maledetto tremolio nella sua voce. Perchè ormai lo aveva detto; il suo cuore stava sobbalzando ininterrottamente, ma lo aveva detto.
Blaine accennò ad un piccolo sorriso mentre chiese con dolcezza "posso?"; se possibile, il suo cuore impazzì ancora di più.
“Sì - riuscì a sussurrare, prima di schiarirsi la voce - Voglio dire, ormai è tuo.”
Ringraziò, ripiegandolo di nuovo e riponendolo con cura dentro alla bustina, prima di avvicinarsi a lui e riprendere teneramente a baciarlo; il fatto che Kurt si aggrappò completamente a lui annegando nelle sue labbra gli sembrò soltanto una strana euforia dovuta a tutte le sorprese della giornata. Non fece molto caso alla scelta di parole che aveva usato Kurt, né a come fosse arrossito tutto d’un tratto.


***

Angolo di Fra




Sono senza voce quindi parlo poco.
Dedico il cap a Gaia e Lily che erano riuscite a capire la scritta. Mica come Blaine!
Spero che vi piaccia questo capitolo. E' il mio preferito.

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Capitolo 26
*** Immobile ***


Capitolo 26
Immobile

 
 
 


 
Ci sono dei momenti in cui un uomo vuole stare da solo; può essere per via di una partita, di una delusione. Nel caso di Blaine, era il nuovo Diablo III che si presentava magnificamente davanti a lui, con la copertina rivestita da una plastica quasi emozionante, che donava all’insieme un aspetto ancora più sacro.
Quello non era un gioco; quello era IL gioco, il gioco per cui aveva atteso due lughissimi anni. Nel frattempo aveva fatto in tempo a re-iniziare e finire tutto il suo arsenale di videogiochi, e quello era tutto dire.
Ma adesso non era più una notizia smentita crudelmente dalla Blizzard, non era più un sogno che era solito salutarlo a ogni nuovo mese; Diablo III era lì, nelle sue mani, e bramava di essere giocato. Perchè, ovviamente, lui aveva già pronto tutto il necessario per preparare quello che sarebbe stato il personaggio migliore della storia dei personaggi, un Demon Hunter talmente potente che i creatori del videogioco si sarebbero inchinati davanti a lui proclamandogli amore eterno. Continuava a sfregare le mani con un sorrisetto che chiunque avrebbe descritto come inquietante, il computer che elaborava gli ultimi dati accompagnato da una familiare musica di atmosfera.
E dopo appena un paio di minuti, era lì: il suo eroe, con un arco corto e una tunica anonima e semplice, pronto ad affrontare una nuova avventura; cercò di trattenersi dall’esultare facendo sobbalzare mezzo Lan Party, si limitò a mandare un sms a Kurt chiedendogli scusa se per le prossime otto, dieci ore, non si sarebbe fatto vivo. L’unica risposta del suo ragazzo, arrivata qualche secondo dopo, fu “Spero che quel mostriciattolo in vestaglia muoia”.
Ok, lo perdonava per aver detto quelle cose sul suo preziosissimo Demon Hunter solo perchè era Kurt.
Con concitata emozione strinse il mouse nella mano destra, sfiorò la tastiera con delicatezza, prese un bel respiro prima di selezionare il proprio personaggio e-
“Blaine-chan insomma MI VUOI STARE A SENTIRE!?”
Non c’era bisogno di riaprire gli occhi – socchiusi dopo aver udito lo strillo – per capire di chi fosse quella voce; perchè c’era una sola persona che lo chiamava Blaine-chan. L’unica, forse, che aveva ancora il coraggio di interrompere una partita.
“Emily.”
La ragazza saltellò sul posto, afferrandolo per le spalle e facendo voltare la sedia verso di lei. Greg e gli altri Warblers stavano osservando la scena come degli spettatori di un film horror, nascosti dietro al bancone e con gli occhi sgranati dalla paura.
“La farà a pezzi - mormorò Wes - ha fermato Diablo III. Gli ha fatto fermare Diablo III.”
“Gli Otaku non hanno davvero il senso della ragione”, confermò Nick, ricevendo un’occhiataccia dal proprietario del locale perchè, insomma, erano dei suoi clienti. E poi lui voleva bene a quella strana ragazzina: sicuramente doveva aver avuto un buon motivo per interromperlo no?
La vide gesticolare un po’ con le mani, facendo roteare i suoi grandi occhi marcati dall’eye-liner su Blaine e il laccetto di cuoio che teneva legato al polso.
“Emily, hai bisogno di qualcosa?” cercò di dire Blaine, calmo, ma anche impaziente di ritornare alla postazione di partenza.
“Sì – affermò lei – ho bisogno di sapere che stai pensando a quello che penso io.”
Blaine la guardò per un attimo, inarcando le sopracciglia: “Stai pensando che un monk full armatura è più sgravo di un pally?”
“No, baka! Sto pensando al fatto che Kurt ti ha regalato quel ciondolo ed è la cosa più Kawaii che abbia mai visto in vita mia!”
Oh. Beh, anche quello. Emily non aveva tutti i torti, Blaine posò lo sguardo sul laccetto al suo polso dal quale pendeva, in bella vista, la monetina spezzata a metà. Ancora non riusciva a credere a tutto quello che era successo, al regalo, al fatto di avere Kurt. Gli sembrava quasi una sorta di beta di qualche videogioco bellissimo e perfetto: un’anteprima di quello che potrebbe essere, ma che per il momento è solo un’illusione di poche ore.
“Insomma?” Lo esortò Emily incrociando le braccia contro il suo corsetto di pizzo, rigorosamente nero. “Eddai Blaine-chan, non farti pregare, racconta!”
“Non-non c’è molto da dire...” mormorò con tono basso, arrossendo appena.
“Sì invece! E io ho bisogno di saperlo, la mia graphic novel deve andare avanti e-ops.”
“La tua cosa?”
E fu in quel momento che Greg e gli altri ragazzi si alzarono in piedi, aprendo bene le orecchie.
“La mia...ecco...il mio manga.”
Blaine ci mise diversi secondi per calibrare quella frase con la giusta precisione e assumere un’espressione sconcertata.
“Tu... tu non stai disegnando un manga su di me e Kurt, non è così?”
Emily si strinse nelle spalle, facendosi timida timida. “No! Figurati. E’ solo che, stavo cercando spunti e...voglio dire, la tua vita è così fluffosa...voi due siete così yaoi e...beh... si chiamano Takeru ed Eichi-“
“FAMMI LEGGERE” urlò Jeff piombandole davanti e trascinandola nella zona otaku, fino a quando Emily non si decise ad estrarre una pila di fogli da un cassetto e mostrarli a lui con un’aria vagamente soddisfatta. Blaine tentò di strappargli i fogli di mano, ma fu prontamente placcato da Nick e Wes, che volevano sentire cosa dicessero le prime vignette della storia.
“Takeru ed Eichi sono due ragazzi diversi, ma allo stesso tempo vicini come non mai. Takeru è un giovane carino e dolce, ma rinchiuso nel suo mondo di otaku.”
“Otaku!?” Sbottò Wes, ma Jeff continuò: “Eichi è il senpai più popolare della scuola, un ragazzo dalle fattezze di un angelo e non alla portata del nostro protagonista.”
E Blaine era indeciso se morire d’imbarazzo o offendersi: come sarebbe a dire, non alla sua portata? E poi si ricordò: giusto, quel Takeru non era lui. Non poteva essere lui.
“Gli amici di Takeru sono tre ragazzi –continuò Jeff -, e il presidente del loro club di lettura manga è... è uno tsundere.”
“Un cosa!?” Sbottò Wes; chissà come mai, nessuno si domandò come mai si fosse sentito chiamato in causa.
“E’ un ragazzo arrogante e combattivo che però in realtà è generoso e di buon cuore.“
“Ma che stai dicendo, dai qua.” Prese i fogli e li osservò attentamente, prima di scuotere la testa con una smorfia.
“Non mi assomiglia per niente. Io sono molto più figo.”
“Ma non sei tu!”
Tutti quanti si voltarono verso Blaine, quasi, preso in contropiede. Era ancora indeciso se scandalizzarsi o restare serio, ma tutto ciò che riuscì a fare fu guardare con una sorta di imbarazzo e disperazione Emily.
“Perchè...perchè Takeru non sono io, non è vero?”
E lei lo guardò con la coda dell’occhio, con le sue guance che, per la prima volta, si tinsero leggermente di rosa.
“Forse?”
“Che spettacolo, voglio anche io essere protagonista di un tuo manga!”
“Sì, anche io! Però voglio essere figo. E non voglio essere in un manga yaoi; qualcosa tipo sangue, combattimenti...”
“Io voglio fare il bardo!”
“Nick, sei scemo? Non è Dungeons and Dragons, è roba giapponese questa.”
“Perchè non c’è un bardo?”
“Perchè, non hai un cervello?” Mugugnò Wes facendogli il verso, e questo non fece altro che provocare un’altra risposta acida, e un’altra ancora, e poi tutto il Lan Party si ritrovò a sospirare per l’ennesimo litigio degli Warblers; Greg, quella volta, aprì la bottiglia di Champagne.
Blaine per tutto il tempo restò seduto in un angolino, incredulo, con Emily che gli dava delle confortevoli pacche sulle spalle e mormorava: “Coraggio Blaine-chan, non è che ho reso tutta la tua vita di dominio pubblico...voglio dire, più che altro si tratta di puro smut.”
E no, di certo, non si aspettava che il ragazzo alzasse la testa sfoggiando i suoi grandi occhioni da cucciolo, guardandola confuso e chiedendo: “Che cos’è lo smut?”
Ed Emily pensò, che ci fossero cose che una fangirl deve tenere per sè.
“Quando sarai grande, capirai.” Mormorò con un’ultima pacca sul braccio, per poi alzarsi e dirigersi con passo fiero verso le uniche persone in quel posto che potessero veramente capirla.
 
 

Finn quella mattina fu molto fortunato ad aver trovato Kurt di buon umore: perchè il ritardo di venti minuti che era stato costretto a fare a causa sua non era di certo una fonte di serenità, anzi, in un altro momento probabilmente lo avrebbe lasciato a piedi con cartella e tutto il resto, mentre lui se ne andav a scuola con la sua macchina. Eppure non riusciva a capire come diavolo facesse ad essere sempre puntuale come un orologio svizzero, visto tutti i trattamenti che faceva. L’unica risposta del fratellastro a quella sottospecie di polemica fu: “E’ semplice, Finn. Io mi alzo ad un orario decente, non come tu, che ti svegli cinque minuti prima.”
E detto quello, con movimenti decisi ed un po’ troppo forzati mise in moto la macchina, innestando la marcia; Finn per un secondo temette che il volante si spezzasse in due, conoscendo la forza con cui lo stringeva quando era nervoso. Invece, incredibilmente, sembrava semplicemente avvolto dalle dita affusolate di Kurt, nè con troppa violenza nè con troppa gentilezza. Non capì il perchè di quella reazione fino a quando non lo vido accarezzare quasi inconsapevolmente il ciondolo che portava al collo, una moneta spezzata a metà sorretta da una sottile catenina in argento. Sorrise: doveva ricordarsi di ringraziare Blaine, prima o poi.
Una volta aver parcheggiato nel cortile della scuola Rachel si lanciò letteralmente tra le braccia del suo fidanzato, schioccandogli un sonoro bacio a fior di labbra e salutandolo come se non si vedessero da secoli; Kurt e Blaine furono molto più pacati, si lanciarono un piccolo sguardo d’intesa, raccontarono a vicenda quello che avevano fatto il giorno prima e i loro occhi per tutto il tempo vagarono alla ricerca della monetina dell’altro, e sorrisero non appena le trovarono; si concessero un piccolo gesto con le mani, come stringendosi.
“Ti vedo teso”, annotò Blaine, una volta arrivato al suo armadietto e aver visto Kurt accasciarsi con la schiena contro quello accanto.
“Oh, non ti preoccupare. Sono soltanto il mix di matematica, Finn e le nazionali che si avvicinano.”
“Matematica?”
Kurt si trattenne a stento dal guardarlo male e sbuffare: possibile che di tutto quel discorso avesse captato solo la parte peggiore?
“Sì, ho un compito in classe.”
“Buona fortuna allora”, commentò, quasi come se fosse convinto che sarebbe andato tutto bene. Kurt gli diede una leggera spallata cercando di ignorarlo, perchè in quel momento tutto quel suo ottimismo non lo capiva per niente. Oppure, forse, era solo felice di ricordare il motivo per cui si erano conosciuti: di certo, quello aveva aiutato lui a odiare di meno la matematica. Ma solo un po’.
Quando la campanella suonò, entrambi esitarono un secondo prima di augurarsi una buona giornata: quella mattina non avevano nessuna lezione in comune, sarebbe stato difficile sopportare l’assenza dell’altro fino all’ora di mensa; in più, dopo quella faccenda della Sylvester e del suo povero Iphone, avevano smesso anche di scriversi sms.
Ma ce l’avrebbero fatta, lo sapevano bene entrambi: si trattava solo di qualche ora, dopotutto. Rachel continuava a dire che era ridicolo che fossero così appiccicosi, ma nessuno dei due credeva veramente alle parole di una che faceva il remake di Via col Vento ogni mattina che rivedeva Finn. E poi, a Kurt non sembrava poi un così grande problema.
Stava correndo per raggiungere al più presto l’aula di matematica, quando tutto ad un tratto si sentì scontrare violentemente contro qualcosa di duro per poi cadere a terra, con il fiato corto e la testa pesante.
Riuscì a scorgere il ghigno di Azimio che lo fissava, la sua spalla che roteava in modo disordinato come se avesse appena urtato una mosca fastidiosa.
Gli aveva fatto terribilmente male, sentiva il freddo e lo sporco del pavimento attraversare la divisa dei Cheerios e soffiargli sulla pelle, o forse era solo il suo sguardo minaccioso a fargli venire i brividi.
Se ne andò, lasciandolo da solo in un corridoio vuoto, prima che riuscisse ad avere la forza di alzarsi.
 

 
Da quel giorno, qualcosa cambiò: non era un cambiamento netto, radicale, non era una cosa che si poteva vedere o toccare. Era una sensazione, un’atmosfera, un presentimento di Kurt che si acquistava sempre più spazio trasformandosi in un’ampia e minacciosa ombra.
Gli allenamenti erano lunghi, faticosi; per quanto Mercedes tentasse di distrarlo, a Kurt quelle due ore passate nel campo da football sembravano non finire mai. E non era per colpa della Sylvester, non era per via delle coreografie difficili, o per la canzone mozzafiato. La verità era che non passava un singolo minuto senza che si sentisse osservato, da un paio di sguardi che non sapeva localizzare.
Sapeva che i giocatori di football erano lì, da qualche parte. Ogni tanto riusciva a scorgere Finn uscire dalle docce e salutarlo sventolando una mano in aria; sapeva che lo sguardo e lo spintone di Azimio lo aveva sorpreso più del solito, forse perchè quella volta non si era minimamente giustificato. Forse, perchè non era mai stato guardato in quel modo, come se fosse una preda.
La verità, era che Kurt cominciava a essere in ansia. E l’unica cosa che riusciva a farlo stare meglio, ogni sera, era vedere il volto raggiante di Blaine mentre esultava per il suo nuovo Diablo III.
 

Più il tempo scorreva, più Kurt si rendeva conto che per ritrovare la tranquillità non gli bastavano più le mura di camera sua, nè l’abbraccio colmo d’affetto di Carole, o le chiacchierate con suo padre: gli unici momenti in cui si sentiva realmente bene erano con Blaine. Quello, arrivò ad essere perfino un problema: lui aveva da studiare, lo sapeva bene; per quel motivo si sentiva un completo idiota ogni volta che lo vedeva arrivare a casa sua, con occhi troppo stanchi e delle profonde occhiaie. Non ci volle molto per intuire che studiasse di notte, per passare insieme a lui più tempo possibile del giorno. Provò lasciarlo stare, provarono perfino a studiare insieme; ma poi Kurt si ricordava di qualche strana occhiata ricevuta da Azimio o Samuelson quel giorno, e non riusciva a trattenersi dal lasciare la sedia per andare a finire esattamente tra le braccia di Blaine.
E Blaine, tutto quello, non lo capiva: si limitava a stringerlo forte, sussurrandogli qualche parola e lasciando che si tranquillizzasse. Lo vedeva strano e, forse, anche un po’ scostante: pensò che fosse soltanto molto stressato per le nazionali, o per i test di fine anno; Kurt non pronunciò mai il nome dei giocatori di football in sua presenza, e nemmeno lui.
 


 
Si dice che i problemi sono come un uragano: arrivano all’improvviso, senza che possano essere visti, evitati. Si dice che i problemi vengono sempre tutti insieme, quasi per creare più fastidi.
In realtà, quando arrivò quel Sabato mattina, Kurt sapeva già che sarebbe successo; era stato un climax durato una settimana, un insieme di occhiate, spintoni, risate e commenti bisbigliati lungo le fredde mura della scuola.
Lui, in realtà, sapeva benissimo che prima o poi si sarebbe ritrovato di fronte a Samuelson, al suo sguardo scuro, alla sua espressione gelida.
Accadde dopo gli allenamenti, quando tutti quanti erano già andati via e lui stava raccogliendo la sua borsa per raggiungere Finn al parcheggio; si era messo un bel completo, aveva scelto con cura quei vestiti perchè la sera sarebbe uscito con Blaine, ed era da tanto tempo che non si concedevano una cenetta romantica loro due da soli. Gli piaceva molto il suo gilet nero, e il suo foulard chiaro, che si sposava perfettamente con i suoi occhi.
Aveva sentito la porta chiudersi a chiave, con lentezza e precisione. E poi vide Samuelson fissarlo dalla parte opposta della stanza, e in quel momento capì di non aver nessuna via di fuga.
 
E lui, contrariamente a quanto venisse raffigurato nei suoi incubi, fu lento: si concesse tutto il tempo di camminare verso di lui, guardarlo, con una maschera di cera al posto del viso e un velo che celava qualsiasi espressione.
Kurt non riusciva a pensare; non voleva pensare, perchè qualsiasi cosa, in quel momento, gli sembrava dannosa. Eppure Samuelson non sembrava preoccupato, non sembrava minaccioso, si stava muovendo con così tanta naturalezza da fargli venire i brividi; non riusciva a distogliere lo sguardo da lui, ma poteva benissimo sentire la pelle d’oca delle sue mani che adesso erano strette contro la cintura del borsone, quasi, immobilizzate.
In realtà, ogni parte di lui, in quel momento, era immobile: eppure, Samuelson non era vicino. Non lo aveva nemmeno sfiorato.
Sorrise; per la prima volta, vide qualcosa di vagamente umano dipinto sul suo volto.
“Carina questa sciarpa”, commentò, facendo scorrere le sue dita sulla stoffa e potendo percepire il respiro di Kurt venire mozzato da uno spasmo.
E senza dire altro, gliela sfilò: sfiorò la pelle del suo collo, sentì la pelle d’oca direttamente sui polpastrelli.
Non aveva smesso nemmeno per un momento di guardarlo negli occhi, e non lo fece nemmeno quando mormorò: “Fai finta che sia tu.”
E fu in quel momento che tutta la calma di Samuelson si trasformò in una violenza capace di strappare il fazzoletto a metà. Fu in quel momento che Kurt volle portarsi una mano alla bocca, cercò, ma non ci riuscì. Alla fine, si sentì come se stesse succedendo una cosa che era stata rimandata per troppo tempo.
Alla fine, si sentì come se tutte le immagini dei suoi primi anni del liceo si congiungessero a quei fili di stoffa per ripresentarsi esattamente davanti a sè.
Il primo strappo era stato deciso, violento e brutale; lo aveva completamente paralizzato, esattamente come la prima volta che era stato buttato in un cassonetto della spazzatura, sentendo puzza di marcio, schifo e dolore.
Il secondo, invece, fu più centrato, centrando la metà; fu tutte le granite che gli erano state lanciate, tutto il freddo che era riuscito a raggiungere anche il suo cuore, trasformandolo in qualcosa di empio e inconsistente.
Il terzo, e tutti quelli a seguire, furono più piccoli; furono quelli dai quali derivarono innumerevoli sfilacci che adesso penzolavano dalla stoffa come inermi, abbandonati a loro stessi. Come gli spintoni che riceveva, accompagnati da tutte le voci che gridavano quanto fosse frocio. Sbagliato.
 
Del suo foulard, ne era rimasto solo il nome; non era niente di più di un ammasso di pezzi accatastati a terra.
E Samuelson restò a guardare il suo operato, non mostrando alcun tipo di soddisfazione.
Disse soltanto: “Guardalo. Guardalo bene.”
La calma con cui pronunciò quelle parole fu ancora più terrificante.
E fu soltanto una volta andato via, una volta udita la porta riaprirsi, e poi richiudersi con dolcezza, che Kurt cominciò a singhiozzare in modo compulsivo e affannoso, accasciandosi a terra per stringere il foulard tra le mani.
 
 







***


Angolo di Fra


Prima che mi mandiate minacce di morte: NO. Non ci saranno scene di violenza in questa ff. Questo è il massimo che possa scrivere. Ho cercato di scriverlo bene, ma rimanendo negli ambiti dettati da questa ff.
A proposito: mancano due capitoli alla fine, ma sono al 90% sicura di scrivere anche un epilogo.
Comunque la moglie ha un bunker carino carino in cui ci sono anche Lily e Vale e penso proprio che mi accamperò lì. Vi risponderò dal bunker. Sempre se avete ancora voglia di scrivermi qualsiasi cosa.
PS ____ Dedico questo capitolo a Rachele, perchè mi ha fatto tipo i complimenti più belli del mondo :) grazie!

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Capitolo 27
*** Stay in my arms if you dare ***


Capitolo 27

Stay in my arms if you dare

 

 

 

Scusami, stasera non posso uscire.
Blaine lesse, un po' confuso, il messaggio appena ricevuto sul cellulare. Non riusciva a capire il motivo di quell'assenza e si chiese se Kurt stesse bene; nel momento in cui lo scrisse a Kurt l’unica risposta che ottenne fu un semplice e ancora più misterioso: Sì, certo, non ti preoccupare, ho avuto un imprevisto improvviso e non ce la faccio a uscire...mi dispiace da morire. Ci vediamo domani.
Lesse e rilesse quel testo più volte,combattendo l’istinto di chiamarlo e accertarsene di persona; tuttavia, per non apparire il tipico ragazzo ansioso capace di rintracciare il GPS del cellulare e scoprire la sua localizzazione, rinunciò all'idea. Anche perchè, grazie alle sue minime basi di informatica e conoscenza hacker, poteva farlo davvero. Così, un po’ dispiaciuto, ma non amareggiato, riprese il joystick in mano per concludere la sua partita a Bioshock II. Probabilmente c’era stata un’emergenza familiare, o di vestiti; entrambe, potevano essere altamente pericolose. Pensò che si sarebbero rifatti la sera successiva; non dubitò nemmeno per un momento delle parole di Kurt.

 



Il giorno dopo, Kurt si presentò a scuola più in ritardo del solito, preceduto da Finn che con passo svelto cercava di arrivare in tempo in aula. Quella mattina c’era lezione di scienze, una delle poche in comune con Blaine; sospirando, cercò di farsi forza ed entrare, promettendosi che la prima cosa che avrebbe fatto appena suonata la campanella sarebbe stata prenderlo in disparte e raccontargli tutto ciò che era successo con Samuelson, anche a costo di farlo arrabbiare, o preoccupare.
Non appena lo vide lì, seduto in uno dei banchi dell’ultima fila, bello e sorridente come non mai, sapeva già che non sarebbe riuscito nell’intento, perchè la sola idea di causargli dolore inutile gli spezzava il cuore: ricordava benissimo di come si era presentato a casa sua, il giorno in cui lo avevano infastidito particolarmente. Ricordava i graffi sul viso, l’espressione cupa, il velo di oscurità nei suoi occhi che era sparito soltanto dopo un’abbuffata di Casablanca e cinese take away.
“Tutto bene, Kurt?”
Fu quasi stupito della domanda di Mercedes, seduta accanto a lui: lo guardò con l’ansia tipica di colei che vede il proprio migliore amico torturarsi per qualcosa, cercando tuttavia di risultare apparentemente calmo.
“E’ successo qualcosa con Blaine?”
“No, io e Blaine...stiamo bene.”
Lei lo fissò, quasi combattuta; alla fine, con un sospiro, gli sorrise ricordandogli che per qualunque cosa si trovava proprio lì, a portata di mano. Kurt, sebbene si sentisse profondamente grato e colmo di affetto, si limitò ad annuire; c’era poco da fare, non riusciva a parlarne nemmeno a Mercedes. Ma allora, come avrebbe potuto dire a Blaine che adesso non si sentiva più al sicuro, che aveva paura di quello che sarebbe potuto succedere?
Inaspettatamente sussultò un poco non appena lo vide alzarsi in piedi, dirigendosi verso di lui. Soltanto qualche secondo dopo capì che la lezione era terminata, a giudicare dai ragazzi che scappavano fuori dall’aula e da Mercedes che aveva mormorato “ci vediamo dopo”, facendogli l’occhiolino e lasciandolo da solo con lui.
Blaine lo salutò con un sorriso enorme, che fu debolmente ricambiato. Dirigendosi verso i rispettivi armadietti, lo sentì cominciare a raccontare entusiasticamente l’incredibile partita giocata la sera prima; e stava provando davvero ad ascoltarlo, ad apparire rilassato. Ma il solo fatto che Blaine fosse così sereno, che non si fosse accorto di nulla, lo straziava.
“E’ stato divertentissimo” continuava a ripetergli tra un termine intraducibile e l’altro.
“Wes era su Skype con me e non riusciva a crederci. Voleva perfino fare uno screen ma Jeff ha iniziato a far impallare tutto il gioco, così abbiamo provato a fare delle foto con i cellulari ma-“
Non riuscì a finire la frase. Perchè Kurt improvvisamente vide ciò che non aveva ancora considerato infrangersi contro di lui come un’onda.

Violenta.

Inevitabile.
Vide che metà del suo infinito fu completamente sommersa da una granita dal colore verde acido. Lo colpì in testa, sul viso, scivolò lungo una parte del collo fino ad arrivare alla maglietta, gocciolando sui pantaloni e la punta delle scarpe.
E in quel momento Blaine sembrò più congelato della miscela che aveva addosso. Tenne gli occhi chiusi, la bocca serrata in una smorfia dalla quale trapelava nient’altro che fastidio, disgusto e terrore.
Kurt riuscì soltanto a percepire il respiro di Azimio avvicinarsi al suo orecchio, con ancora il bicchiere di granita ormai vuoto stretto in mano.
"Se non possiamo colpire te, colpiremo lui."
Fu in quel momento che si riprese come destatosi da un lungo incubo; oppure ci sprofondò dentro, senza più via d’uscita. Avvicinandosi ancora di più a Blaine, con voce scossa gli chiese se stesse bene, mentre cercava di togliergli quella miscela orrenda dagli occhi.



Il bagno del McKinley era ancora più freddo di quanto si aspettasse. Era l’insieme di tutto il gelo che veniva riversato sulle loro esistenze, da parte di persone che si rifiutavano di capire. Blaine fu accompagnato dolcemente verso il lavandino, gli occhi ancora serrati e il respiro che cercava di regolarizzarsi; tremava, in balìa dei brividi e dello sconforto non ancora del tutto passato.
Mentre lo aiutava a ripulirsi, per mezzo di un asciugamano umido, Kurt si muoveva come un automa, senza anima; gli passò lo shampoo quando lo vide sciacquarsi i capelli sotto il getto d’acqua fredda del lavandino, lo aiutò a togliersi la camicia in favore di una sua vecchia felpa dei Cheerios, abbandonata fino a quel tempo nel suo armadietto. Ma era come vedere il tutto da un’altra prospettiva, lui non era presente, non realmente. Eppure Blaine continuava a non parlare; era stato uno shock troppo forte e non si riprese nemmeno quando Kurt, con delicatezza, sfiorò una sua mano nella speranza che reagisse. Non successe nulla. E lui, per un attimo, si sentì male; perchè era l'immagine più straziante di tutta la sua vita. Più dei cassonetti. Più della paura. Quella era la sua vera paura, la paura di vedere Blaine cedere, soffrire.
E quello era solo l'inizio.
Come poteva evitarlo?
Non poteva permettere che toccassero Blaine. Non doveva, andava contro qualsiasi cosa dettata dalla sua morale, e ancora di più, dal suo cuore.


"Kurt..."
Rialzò lo sguardo. Perchè Blaine era confuso, non capiva. Rivide la sua stessa espressione di quel giorno, quando era arrivato a casa sua, malconcio e chiuso in se stesso.
Adesso, invece, era tutto diverso: sembrava vulnerabile, sembrava cercare delle risposte da lui; ma poi, riuscì a trovarle da solo. Blaine, in quel momento, disse solo una piccola, semplice frase.
"Mi hanno fatto questo perchè sto insieme a te..."
Non voleva essere un'accusa. Non era affatto una provocazione. Era più un dato di fatto, un modo per riconoscere la ragione degli eventi e trovare una soluzione; era un “cosa possiamo fare Kurt? Dimmelo, ti prego.”

Blaine non avrebbe mai incolpato Kurt per quello. Non poteva, perchè lo amava; non si sarebbe mai pentito di essere il suo ragazzo, ma Kurt non percepì il suo tono calmo e ponderato, non percepì quel piccolo calore dentro al suo petto, gli sembrò un ragazzo che era in serio pericolo solo ed unicamente per causa sua.
"Mi dispiace."
Questo riuscì a sussurrare, prima che il fiato gli si mozzasse in gola.
E prima che potesse impedirlo, era già andato via.



Blaine e Kurt non si parlarono più, per alcuni giorni. Entrambi dicevano di essere indaffarati, chi con i test di ammissione, chi con le prove per le nazionali –mancava meno di una settimana ormai, ma in realtà, a Kurt non interessava-. Nessuno dei due voleva ammettere all’altro che quella scena era stata più soffocante del previsto; Kurt non riusciva più a guardare Blaine in faccia senza sentirsi male, e Blaine non sapeva ancora come reagire esattamente a tutta quella faccenda. Sapeva che sarebbe successo; per un attimo, visto il ritardo, aveva perfino sperato di riuscire a scamparla per il restante periodo che li separava dal diploma. Eppure, lui, con tutto se stesso, sapeva di doverne parlare con Kurt, e ci provò: lo chiamò, lo incontrò a lezione, per i corridoi, ma lui al telefono era schivo e a scuola ancora peggio. Non aveva capito bene il motivo, sebbene avesse intuito che c’entrassero i bulli, e il fatto di non mettersi troppo in mostra. Ma tenere un profilo basso non avrebbe funzionato, era chiaro.

In realtà, Blaine non riusciva assolutamente a capire il suo comportamento: ai suoi occhi, vedeva soltanto il suo ragazzo che lo evitava durante le lezioni ed era ancora più schivo la sera, quando riuscivano a rintagliarsi un momento tutto per loro.
Non poteva sapere quello che gli passava per la testa.
E Kurt, lui, era completamente disperato.

 

 

Era il secondo giorno distante da Blaine, ma a lui sembrava un’eternità. Se ne stava rannicchiato sul letto di camera sua senza che nessuno lo disturbasse, con i pensieri che viaggiavano troppo rapidi, troppo taglienti, per poter essere ignorati.
Se fosse successo qualcosa a Blaine, non sarebbe riuscito a sopportarlo, né a perdonare se stesso.

E più passavano i giorni, più sentiva la morsa brutale di quei bulli avvicinarsi su di lui, innocente, indifeso; l’immagine della sciarpa a brandelli era ancora troppo nitida nella sua mente per non fargli del male, così non appena ricomparve tremò, portando le ginocchia al petto e stringendosi.

Gli sembrava un incubo; un enorme incubo, dal quale non riusciva a svegliarsi. Ma non era il tempo di piangere, non era il tempo di farsi prendere dal panico e dalla disperazione: adesso, doveva pensare a Blaine. E Kurt doveva fare qualcosa, per lui. Ma cosa?

Con un ennesimo singhiozzo affondò la testa tra le ginocchia, nascondendosi; era tutta colpa sua. Era lui ad aver messo Blaine al centro dell'attenzione. Era lui che aveva permesso tutto quello; e non riusciva ad immaginare quali cose avessero in serbo per lui, il nerd, il gay, lo sfigato. Un ragazzo senza protezione e poco importante, agli occhi del resto del mondo. Ma non ai suoi; oh no, per lui, era quel bagliore di luce nel suo incubo che non accennava a scomparire.

Perchè Blaine era il suo ragazzo, per questo lo avevano preso di mira. Perchè sapevano che quello era la via più facile per colpire lui.
Era tutta, maledettamente, colpa sua.
E poi, pensò.
Perchè Blaine era il suo ragazzo... ma se non lo fosse stato?
Se fosse riuscito a convincere i due giocatori di football che Blaine non era il suo ragazzo, che fosse solo un amico, un tizio di poca importanza con cui aveva avuto a che fare per un paio di ripetizioni: avrebbe funzionato?
Ci avrebbero creduto?

Lo avrebbe risparmiato, evitandogli un dolore troppo grande?
Loro non erano mai stati espliciti a scuola, il massimo che si erano scambiati era qualche abbraccio, qualche sorriso.. poteva funzionare. Dopotutto, chi erano loro per sapere quanto tenesse a Blaine? Se fosse riuscito a convincerli, non avrebbero più trovato nessuna utilità nel fargli del male: lo avevano detto loro stessi, lo facevano solo per arrivare a lui.
Poteva funzionare.

Doveva funzionare.
E una minuscola parte di sé, mentre elaborava quel piano, tentò di opporsi: ci fu qualcosa, come un bagliore, un accenno di pensiero debole come la fiamma di una candela. Quel qualcosa, lo stava pregando di non farlo. Perchè lui non doveva mentire per Blaine, non era quella la via più giusta da fare, doveva parlarne con lui, con Figgins, con la Sylvester, con qualcuno.
Ma così facendo, lo sapeva, avrebbe peggiorato solo le cose.
No.
Strinse forte i pugni, il respiro diventato fermo e pesante. Dopotutto, lui era sempre stato bravo a mentire.
E avrebbe fatto qualsiasi cosa, per salvare Blaine.



Non ci volle molto prima che qualcuno, quasi inconsciamente, venisse a cercarlo: era un venerdì mattina e tutto il resto del liceo era in pausa pranzo, abbuffandosi di yogurt prossimi alla scadenza e cibo spazzatura. Kurt invece camminava su e giù per i corridoi, quasi come se stesse aspettando qualcuno. Non poteva sapere che quel qualcuno aveva già previsto ogni sua singola mossa, e come tale, si presentò esattamente alle dodici in punto, salutandolo con una grossa spinta.

E guardando l’artefice di quel dolore, Kurt si stupì un poco di vedere Azimio, al posto di Samuelson: buffo. Aveva sempre sospettato che fosse l’altro, il più intelligente trai due.

“Sai, un tempo eri un ragazzo popolare.”
Commentò l’energumeno, con un’altra spinta.
“In un certo modo, ti rispettavamo.”
E un’altra ancora, che la fece urtare contro uno degli armadietti.
“Però da qualche tempo a questa parte hai deciso di metterti con quello sfigato...e hai toccato un po’ il fondo, non ti pare?” Domandò con voce rauca, i suoi passi pesanti che si avvicinavano a lui riecheggiando lungo tutti i corridoi.
Sfoggiò una sottospecie di ghigno soltanto quando gli fu a mezzo metro di distanza.
“Però sai, sei sempre il capitano dei Cheerios della scuola. E non ci va di sporcarci le mani per uno con una certa fama. Peccato, però, che lui non sia proprio nessuno.”
Kurt per un momento non disse nulla; si trattenne dal rabbrividire, o dallo scoppiare a piangere. Era il momento: se fosse riuscito a convincerlo, avrebbero lasciato in pace Blaine. I suoi occhi, semichiusi, vagarono da lui a tutto lo scenario intorno a sé. Alla fine, li socchiuse, e immaginò.
Ecco, sentiva il peso della maschera posarsi sul suo viso. Quanto tempo era passato? Per un attimo, gli sembrò una vita; ma in verità lo aveva fatto per anni, fino a prima di conoscere Blaine. E adesso aveva un motivo per fingere. Non era più uno scudo per lui, ma per qualcuno di molto più importante.
Immaginò di essere un attore, nel bel mezzo della sua scena più importante; il vuoto viene colmato da raggi di luce artificiale che illuminano il piccolo palco, con le quinte che si intravedono attraverso i tagli e il teatro di Lima completamente rivolto verso di lui.
Respirò; era quella, la base della recitazione: prendere dei respiri lunghi e controllati, stando bene attenti a calibrare la voce, cercando di risultare il più naturali possibili, qualunque cosa si stesse dicendo.

“Oh, ma lui non è niente per me.”

Azimio lo fissò, come un bambino che si vuole far illudere da un prestigiatore.

“Sì, insomma, siamo stati insieme per un po’...ma lo facevo per la Sylvester, per farmi alzare un po’ quei voti. Blaine non ha nessuna importanza per me. Quindi, potete anche lasciarlo stare.”

“Sappiamo che vi siete visti fuori da scuola. Prendevi ripetizioni da lui”, lo interruppe il bullo.

“Ma lo sai, lo faccio solo per avere un buon voto a matematica così la coach non mi butterà fuori. E' solo fino alla fine dell'anno.”

Non era vero; diavolo, non era assolutamente vero. Kurt non si ricordava di aver mai detto delle parole così false e terribili. Il bullo gli disse per l’ennesima volta di piantarla con quella storiella e lui con ancora più convinzione ribattè il concetto, assumendo quell’aria fiera e superiore, che da tanto tempo non riempiva le sue espressioni.

“Voglio dire, perchè mettere in mezzo persone che non c’entrano nulla con me?” Sentenziò, facendo perfino vacillare Azimio, perchè era stato bravo, bravissimo, sarebbe riuscito a darla a bere a tutti quanti, e dentro di sè si complimentò con se stesso per l’ottima riuscita del piano. Tuttavia, nonostante non credesse a nemmeno una lettera di ciò che aveva detto, nonostante lo facesse solo per il bene di Blaine, per un momento si sentì profondamente in colpa.

Ma niente avrebbe potuto prepararlo ad uno shock così grande, nel momento in cui sentì una voce alle sue spalle esclamare: “Ben detto, Hummel”, con un arroganza glaciale.

Perchè, dietro di lui, c’era Samuelson, con un sorrisetto compiaciuto e l’espressione vittoriosa.

E accanto a lui, trascinato per la manica della felpa: “Blaine.”

No. L’attore dimentica la sua prossima battuta; guarda il suo pubblico, che rimane in silenziosa attesa.

 

 

SI sollevò una domanda, nascosta negli occhi di quel ragazzo, che adesso sembravano così confusi: Kurt, che stai facendo?

E lui avrebbe voluto dirglielo. Avrebbe voluto abbracciarlo, stringerlo, dirgli quanto fosse spaventato in quel momento perchè la sola idea di lui che venisse maltrattato lo spezzava in due, completamente. Perchè si ricordava perfettamente di quel giorno, quando era arrivato a casa sua con la fronte dolorante, l'aspetto trasandato, e quell'espressione che trasmetteva nient'altro che frustrazione. E lui, all'inizio, non voleva farsi aiutare. Nemmeno adesso si sarebbe fatto aiutare, perchè lo conosceva, era introverso, non dava mai modo agli altri di preoccuparsi per lui.

Ma Kurt doveva proteggerlo; salvarlo, esattamente come lo aveva salvato, sin dalla prima volta. Perchè all’inizio non si fidava di quel ragazzo strano, e sin troppo gentile. All’inizio, non voleva avere nessun tipo di rapporto; ma nonostante tutti i tentativi di rimanere distaccato, Blaine era riuscito ad entrare a modo suo, in punta di piedi, con piccole frasi e sorrisi.

Ma avrebbe sorriso ancora, se dei ragazzi ignoranti e crudeli gli avessero fatto rimpiangere di essere nato?

Kurt questo non lo sapeva. E l'incertezza fu abbastanza da permettergli di agire, sospirare, indossare di nuovo quella maschera che adesso sembrava amalgamata con una parte del suo viso.

Come un fantasma con un volto, che tutti potevano vedere lui, ma non i suoi pensieri.

"Blaine, che ci fai qui?"

Eccolo, il tono che cercava. Un qualcosa di superiore e freddo, come un fiocco di neve che si posa sulle tue ciglia: dolce, in apparenza; ma bastava poco per farlo sciogliere e provocarti dei brividi fastidiosi.

Blaine voleva ascoltarlo: se doveva essere completamente trafitto, preferiva che fosse Kurt, a farlo.

“Allora, Hummel? Non saluti il tuo fidanzatino?" Sibilò Samuelson spostando il piede da un peso all'altro, quasi godendo all'interno della sua smorfia compiaciuta. Ci era riuscito; ci era riuscito alla grande, in ogni minimo dettaglio.

"No", rispose lui. Blaine continuava a guardare quel ragazzo che adesso non sapeva più riconoscere come suo: aveva un'espressione che non aveva mai visto, nonostante fosse molto simile a quelle del Kurt che aveva incontrato la prima volta. Alla fine, non riuscì più a trattenersi dal chiederlo: "Kurt, che stai facendo?"

E uscì in un modo così piccolo, così straziante, che il povero attore ebbe un momento di panico, perse il suo personaggio, restò solo con nient'altro che un viso sconvolto e tutto il suo amore.

Stava per parlare. "Blaine", voleva dire, per sentirlo più vicino a lui. E invece quest'ultimo lo anticipò.

"E' vero tutto quello che hai detto? Mi…mi hai preso in giro? Per tutto questo tempo?"

No. Ovvio che no, come faceva anche solo a pensare una cosa simile?

Ma il cuore di un adolescente è delicato e fragile, ed è difficile distinguere la realtà dalla fantasia, una volta che un'interpretazione così magistrale gli viene presentata davanti agli occhi.

Perchè Kurt era bravo a recitare, lo era da sempre. E adesso il suo desiderio di protezione vinse quello della ribalta, e l'attore mise fine al suo monologo, concludendo con tutto ciò che era in grado di pronunciare: "S-Sì."

Ma non era riuscito a guardarlo negli occhi, in quel momento; e il suo cuore gli aveva impedito di formulare una frase più lunga di quella, visto che era già straziante una sola, semplice parola. E poi rivide Blaine, lo stava fissando; quando vide le sue labbra mormorare un "non ci posso credere", con le spalle tese, e la schiena dritta, il suo cuore ebbe un sussulto, e gli occhi cominciarono a pungere, con ferocia e impazienza.

"Davvero un ottimo spettacolo.”
Samuelson interruppe il tutto, indeciso quasi se fare perfino un piccolo applauso. Doveva riconoscerlo, Kurt era stato veramente, veramente bravo. Non si sarebbe aspettato niente di meglio dal ragazzo più falso e popolare della scuola, caratteristiche che chiunque sapeva che avesse, sin dal suo primo giorno nei Cheerios. E lui finalmente aveva ottenuto quello che voleva, e nel modo migliore possibile: non c’era mai stato bisogno di azioni, non servivano spintoni o attacchi fisici; aveva distrutto Hummel dall’interno, con furbizia e decisione. Diede un’ultima spinta con la spalla al ragazzo, quasi come addio, prima di andarsene con l’altro giocatore di football battendosi un cinque che schioccò lungo tutto il corridoio; davvero, Hummel era stato proprio bravo. Era quasi riuscito a sentire il suono del cuore spezzato di Anderson, quando aveva detto quelle parole. E pensò, che tutto sommato, avrebbero anche potuto smettere di tartassarlo per tutto il mese a venire, tanta era la soddisfazione derivata da quella vittoria.

Non gli sembrava neanche vero: era stato così facile demolire il suo cuore, una volta diventato così aperto e vulnerabile.

 

Il corridoio era deserto, riempito soltanto dall’eco di qualche passo lontano e il ronzio dei condizionatori dell’aria appesi al soffitto. Non c’era nient’altro che potesse interferire, nient’altro che si parasse tra Kurt e Blaine, soltanto loro, i loro occhi blu e nocciola che adesso si mescolavano così difficilmente.

L'attore abbassa lo sguardo, sentendosi improvvisamente vuoto. E poi, sotto muti applausi, cala il sipario.

 

"Voltati" sussurrò, ora che, finalmente, lo poteva fare.

Ma Blaine non rispondeva. Continuava a camminare nella direzione opposta di Kurt, dandogli la schiena, con passo veloce e calcolato.

"Blaine, ti prego, voltati."

E fu solo allora, che lo vide. Perchè, alla fine, non era riuscito ad ignorare la sua supplica: perchè lui era fatto così, buono, dolce, e gentile; era la cosa più bella di quel mondo, e Kurt lo sapeva.

Ma fu il suo sguardo che lo fermò ancora prima di parlare: trapelava delusione, sconcerto e freddezza, non lo aveva mai visto in quello stato e, se possibile, questo lo straziò ancora di più. Doveva spiegare. Doveva capire, prima che fosse troppo tardi.

Così, lo pregò di ascoltarlo. Strinse le mani contro la tracolla della sua borsa, resistendo all'impulso di metterle sulle sue. Stava cercando di trovare le parole giuste da dire, perchè qualsiasi cosa, in quel momento, sembrava incredibilmente pericolosa e pesante. Ma l'altro ragazzo era piuttosto intento a riflettere su qualcosa di impreciso, con la testa bassa e gli occhi vacui.

"Non serve tutto questo."

Lo disse così, come la fine di una riflessione che sapeva solo lui.

"Davvero, puoi anche lasciar stare."

"...Cosa?" Balbettò Kurt, incredulo, facendo aumentare il tono di voce di Blaine solo un po' di più.

"Non importa se lo facevi per i voti, o per chissà cos'altro. Insomma, lasciamo stare. E' stato bello così."

"No, Blaine, no. Non puoi crederlo sul serio. Blaine, guardami. Lo credi sul serio?"

"Non lo so Kurt. Per quale motivo avresti detto una cosa simile?"

Perchè voglio proteggerti da qualcosa che so ti potrebbe annientare.

Perchè sei la cosa più importante che mi sia mai capitata in tutto questo tempo.

Perchè io...

"Blaine, ti prego." Non sapeva nemmeno lui come riusciva ancora ad aver fiato per parlare, ma ringraziò il suo corpo per essere abbastanza forte per farlo.

"Ti sto chiedendo di lasciarmi spiegare. Vedi, loro..."

"Non ti azzardare a dire che è per colpa loro."

E fu in quel momento, con quelle precise parole, che Kurt si bloccò.

"Qui si tratta di te, Kurt. Sei tu quello che hai detto quelle parole, e qualsiasi cosa ti abbia detto lui prima, io...io non capisco come tu sia riuscito a dirlo."

Il sipario si è incrinato, per via di una corda che si sta sfilacciando sempre più velocemente.

"N-no, Blaine, lasciami spiegare...io non dicevo sul serio. Non ho creduto ad una singola lettera di quello che ho detto, Dio, come fai solo a pensarla una cosa simile? Io-io Stavo mentendo, io-"

"Mentivi?"

Fili invisibili che si logorano nell'anima, mossi da una fiamma racchiusa nell'incredulità degli occhi di Blaine.

"Mentivi. A lui, per giunta. Per quale motivo dovevi fingere con uno come lui?"

A volte, essere un grande attore non è la felicità. A volte, la recitazione tende a subentrare anche nella vita vera, ed è in quel momento che si rovina tutto.

"Ti prego non dire così. Non sei tu quello che è stato ingannato, non sei mai stato tu, ti prego..."

Si passò una mano sul volto, cercando di nascondere l'inizio di qualche lacrima che tentava di uscire.

"Sai, non credo che tu abbia mentito a me. Nonostante tutto, non mi sembra possibile. Ma io non… non riesco a capire come abbia fatto a dire quelle cose, anche se non erano vere, anche se non erano veramente rivolte a me. Io ti ho guardato…e ho visto di nuovo quel cheerleader, il ragazzo più popolare della scuola, che non gliene frega niente e di nessuno. Avevi perso quella maschera, Kurt. Pensavo che avessi smesso di fingerti qualcun altro. Pensavo che io fossi riuscito a…”

Esitò, come se non fosse in grado di continuare; ricordava bene i primi commenti della sua migliore amica. Ricordava bene come gli aveva consigliato di stare attento, perchè Kurt era il capitano dei Cheerios, era popolare; e lo sarebbe stato, sempre.

Ma tutto ciò che avevano passato insieme, allora, non era servito?

“Non importa – riuscì ad aggiungere, il volto stanco, il tono rassegnato – forse mi ero solo illuso di qualcosa. Forse, ho sbagliato tutto, come al solito.”

Ma forse, cominciò a gridare una vocina dentro di sé, tutto questo non è necessario. Forse, Kurt aveva avuto un buon motivo; ma qualunque fosse, non giustificava l’amarezza che stava provando, né quanto si fosse sentito ferito, nel sentire quelle parole. E lui, di parole, non ne aveva: non aveva più niente da dire. Credeva che avesse smesso con questi sotterfugi, con le menzogne, con il rivelarsi qualcuno che non era. Credeva che Kurt fosse cambiato, per lui. Per un attimo, lo aveva creduto sul serio; ma alla fine due mondi così diversi non potranno mai allinearsi del tutto, non è così?

Si morse un labbro, tentando in tutti i modi di non piangere. Scosse la testa per l'ultima volta, e poi si voltò piano, riprendendo a camminare lungo il corridoio vuoto e freddo.

 

"Blaine, ti prego!"

Ti prego non andare; ti prego rimani con me; ti prego perdonami, dal più profondo del cuore.

"Blaine!"

Non si voltò.

E quando il cuore fu pervaso da un brivido, si sentì finalmente libero di sfogarsi in un pianto, che scosse tutto il corpo.

 

 

 

 

 

“Io ti amo.”

 

 

 

 

 

Ma Blaine era troppo distante per riuscire a sentire quelle parole, sussurrate tra una lacrima e l'altra.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



L'angolo di Fra (no, non stavolta, carina!)

* qualcuno s'avvicina di soppiatto e cancella l'angolo di Fra con una riga di pennarello indelebile

"Fiato alle trombe, garçon!"

 

L'angolo di LieveB

E anche stasera mi tocca fare il lavoro sporco. Medea manda un abbraccio a tutti, al momento sta zompettando su un palco e ha incaricato la sottoscritta di aggiornare con il nuovo capitolo dopo averlo betato. Ah, che si fa per amore!

By The Way, spero che il capitolo vi sia piaciuto quanto è piaciuto a me la prima volta che l'ho letto. Francesca non ve lo dirà mai, quindi approfitto dell'essere a briglia sciolta per dirvelo io: ci tiene parecchio, a questo capitolo, anche se è meno nerd di altri. Ma sono certa che troverà la vostra approvazione!

Buona ri-lettura (perchè, non avrete intenzione di leggerlo una volta sola, vero?)!

LieveB

 


 

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Capitolo 28
*** I have nothing ***


Cap 28
I have nothing




 

 
 
Si dice che l’esperienza è il nome che si dà ai propri errori; si dice anche che la vita sia come un libro, e le pagine sono tutti i giorni che l’hanno riempita.
Ma in tal caso, chi l’avrebbe scritto? Dio? Non esiste Dio, e non sarebbe talmente paziente da scrivere sei miliardi di libri. E poi, un libro si può rileggere. Una pagina si può strappare. E chi scrive quel libro, può controllare eventuali errori, cancellarli prima dell’uscita in scena.
No, la vita non è un libro: se così fosse, Kurt avrebbe già strappato in mille pezzi quella pagina che gli aveva fatto perdere Blaine, e con lui, parte del suo cuore.
 
 
Il giorno dopo quel terribile incontro con Samuelson, Azimio, e lui, Kurt aveva quasi paura. Paura di incontrarlo lì, in mezzo ai corridoi; paura di scoprire che lui non lo avrebbe salutato, o peggio: che gli avrebbe detto di non parlargli più, così da porre fine ad ogni sua speranza. Perchè, in fondo, Kurt ci sperava: troppe volte si era trovato a sognare una riunione con Blaine, in cui lo abbracciava e lo perdonava. Troppe volte si era immaginato il discorso da fare, impostandolo in un modo che potesse essere ascoltato.
Si era quasi convinto che glielo avrebbe detto lì, a scuola: dove era sicuro di trovare Blaine, e dove tutto era cominciato.
Eppure, nel momento in cui entrò in classe e, quasi per istinto, guardò il banco dove di solito era seduto Blaine, non si stupì nel vedere un posto completamente vuoto e privo di qualsiasi traccia di lui.
 



Blaine era assente da cinque giorni. Cinque giorni nei quali Kurt non lo chiamava, non gli scriveva, ma con una sorta di impulso irrefrenabile lo aspettava ogni mattina all’armadietto della scuola e, conseguentemente, si sentiva sempre un po’ più stupido, mentre si dirigeva verso l’aula della sua prossima lezione.
Cinque giorni. Un tempo troppo breve, rispetto ai due mesi vissuti, ma un tempo troppo lungo, per stare lontano da lui; rabbrividì, perchè non sapeva come avrebbe fatto a rivederlo. Sapeva soltanto ciò che ricordava: i suoi occhi chiari, confusi, che lo fissavano attoniti e poi, se ne andavano via, accompagnati dal passo solenne che scandì i primi secondi di quell’agonia. Ma no, non era un’agonia: per tutti quei cinque, lunghissimi giorni, Kurt non aveva pianto. Non aveva nemmeno riso, però.
Mercedes continuava a stargli accanto come un’ombra, accompagnandolo agli allenamenti e riuscendo perfino a farlo uscire di casa, per un po’ di sano shopping; ma sembravano tutti gesti inutili e privi di senso, che lui eseguiva più per abitudine, o per convincere se stesso. Convincere che sarebbe riuscito a riavere Blaine; convincere che quello fosse tutto un sogno, e che lui era ancora lì. Oppure, una piccola, minuscola parte del suo cuore, voleva soltanto convincere se stesso a non pensarci. Ma era impossibile: gli bastava vedere un videogioco, o un computer, o qualche numero matematico scarabocchiato sui muri dei bagni. Gli bastava osservare Finn e Rachel darsi il bacio del buongiorno, combattendo l’impulso di andare da lei e chiederle dove diavolo fosse Blaine, dal momento che lei doveva pur sapere qualcosa. E si domandava sempre che cosa gli avesse detto Blaine, ma poi sorrideva, in modo amaro, perchè era ovvio: doveva averle raccontato la verità, pura e semplice. Di come lui lo aveva tradito, deluso, ferito, in un modo che non poteva nemmeno più immaginare.
E quando ogni mattina quel pensiero gli piombava davanti, lui si sistemava meglio la tracolla sopra la divisa dei Cheerios, senza nemmeno accorgersi di averla stretta così tanto da lasciare dei segni. Respirando piano, si dirigeva verso il campo da football, o la prossima aula; dopotutto, quella era tornata ad essere la sua solita routine: allenamenti, chiacchierare con qualche ragazza senza cervello, passare più tempo possibile con Mercedes e ignorare del tutto le lezioni di matematica.
Niente Lan Party; niente ragazzi fuori di testa che organizzavano rapimenti a sorpresa; niente giochi o termini per cui occorreva un traduttore. Semplicemente, una vita che si potrebbe definire comune.
E i bulli avevano smesso di tormentarlo, come se non servisse più ormai; ed era quello che voleva, no?
Si soffermava a fissare la divisa che aveva addosso, come se fosse tornata ad essere un’armatura: era strana. Era pesante. Ogni tanto gli mancava il respiro, in quei momenti in cui il suo cuore si chiedeva come diavolo avesse fatto a vivere in quel modo, vuoto, superficiale, per quasi quattro anni.
 
 
“Kurt? Guarda che siamo arrivati.”
Alzò la testa di scatto, come destatosi dalla voce gentile e dolce di Finn. Non si era nemmeno reso conto che la macchina era parcheggiata di tutto punto e la campanella della scuola, poco distante da loro, suonava l’obbligo di entrare.
Al mattino del sesto giorno, Kurt era ancora così: un po’ vuoto, un po’ freddo. Nessuno sapeva cosa gli passasse esattamente per la testa e nessuno aveva il coraggio di chiederlo; Finn e Mercedes ne avevano parlato a lungo, riuscendo a capire soltanto ciò che era inevitabile agli occhi: lui e Blaine non si parlavano più. E non vedevano Blaine da quasi una settimana.
Quando Finn vide il suo fratellastro annuire impercettibilmente, per poi scendere dalla macchina, lo richiamò afferrandolo delicatamente per la manica della felpa dei Cheerios, rivolgendogli un’occhiata comprensiva.
“Amico... ma che è successo?”
E fu in quel piccolo, semplice momento, che Kurt stette quasi per scoppiare. Perchè suo fratello era forte, gentile e aveva Rachel; perchè lui non sarebbe mai ricorso ad un piano così meschino e falso per proteggerla, avrebbe sicuramente trovato la cosa migliore da fare. Perchè in quel momento più che mai desiderò piangere, e gridare, e rivedere Blaine abbracciandolo fino a togliergli il respiro; ma non poteva.
Blaine non era lì. Blaine se n’era andato.
“Niente.”
Il tono con cui lo disse apparve rilassato e felice, sebbene nessun angolo del suo viso si stesse sforzando per modellare un sorriso. Ormai aveva rimesso la maschera, e non aveva motivi per toglierla; quindi, tanto valeva usarla.
Salutò velocemente Finn, dirigendosi a grandi passi verso l’interno della scuola, e quest’ultimo uscì dalla macchina qualche secondo dopo, con il volto stanco e una mano intrecciata trai capelli. Quando Rachel gli si avvicinò, bastarono un paio di sguardi per capire che nessuno dei due fosse riuscito a capirci qualcosa.
“Hai parlato con Blaine?”
Lei fece segno di no, e parlò con tono debole e rammaricato.
“Lui... ha detto di voler stare un po’ da solo.”
Si abbracciarono stretti, perchè in quel momento avevano bisogno più che mai di sentire il calore dell’altro. Perchè Kurt e Blaine sembravano così freddi, adesso, da far venire ad entrambi dei brividi.
 
 
La lezione di matematica era, probabilmente, l’ultima cosa che Kurt voleva seguire in vita sua. Non avrebbe sopportato di nuovo quella professoressa va-da-sè che approfittava di ogni scusa per richiamarlo all’attenzione o punzecchiarlo. E poi, la matematica gli ricordava Blaine.
Stava già per voltarsi indietro, correre in infermieria e fingersi malato, che Mercedes gli arrivò accanto e lo salutò gentilmente, dandogli un pizzicotto sul fianco.
“Come va capitano? Sei pronto per le nazionali?”
Ah, giusto. Le nazionali. Il giorno dopo sarebbero partiti per la competizione più importante della sua vita da liceale e lui in quel momento desiderava soltanto infilarsi sotto le coperte e dormire fino alla fine del mondo.
“Sì, certo, è fantastico.” Riuscì a dire, con poca convinzione. Mercedes rafforzò ancora di più l’entusiasmo cominciando a dire quanto fosse in ansia, emozionata, e che lui avrebbe stupito tutti con la sua voce e la canzone. Anche se Kurt dubitava di poter fare di meglio del medley di Celine Dion, si limitò a ringraziarla, attraverso un piccolo sorriso.
“Vinceremo anche questa volta.” Commentò l’amica prendendo posto nel banco accanto a lui, troppo concentrata per fantasticare sul trofeo per prestare attenzione alla professoressa che si stava scandendo sonoramente la voce per ottenere silenzio.
“Insomma volete stare zitti!?” Strillò dopo un paio di minuti, con tutti che, in risposta, presero a parlare ancora di più. Kurt sospirò, posando una mano sotto al mento: sarebbe stata una lunga lezione.
“Oh poco male – commentò la professoressa di fronte a quel chiasso, con un ghigno malefico – vorrà dire che vi tapperò io la bocca.”
Estrasse una pila di fogli dalla valigetta, e in quel momento in tutta l’aula calò il silenzio. Mercedes strattonò appena la felpa dei Cheerios di Kurt, chiedendogli impaurita se quelli fossero veramente i compiti in classe della scorsa volta.
“Che palle – sbuffò Santana, ad un banco di distanza dai due – perchè deve rovinarci la festa proprio il giorno prima delle nazionali?”
“Quel compito era impossibile, avrò preso una F, è sicuramente una F” continuava a mormorare l’amica in preda al panico, cominciando già a scrivere la lettera sul banco come per abituarsi alla vista.
Quando la professoressa si posizionò davanti a Kurt, lo fissò per qualche secondo, prima di concentrarsi sul compito che teneva in mano.
“Hummel.” Fece lei; non era proprio un saluto. Kurt non lo riconobbe come un saluto, quindi si limitò a guardarla. E restarono così, per qualche secondo; il resto della classe stava quasi annegando in tutta quella tensione, ma Kurt, in realtà, era solo confuso: si chiese cosa stesse aspettando la professoressa, dopotutto, non era la prima volta che prendeva una F, e di certo non poteva provare compassione per lui.
Dopo un tempo incalcolabile gli consegnò il foglio, sfoggiando un piccolo ghigno. Kurt lo prese tra le mani con cautela,  lo osservò attentamente, contò tutte le correzioni per poi soffermarsi su quella lettera cerchiata in rosso, ben visibile a fondo pagina.
Era una A.
Prima ancora che potesse accorgersene, Kurt aveva già ceduto.
Nessuno capì il motivo per cui fosse scoppiato a piangere; così come nessuno capì Mercedes che, in quel momento, lo aveva abbracciato stretto, sussurrandogli che sarebbe andato tutto bene, fino a quando i singhiozzi si affievolirono e il corpo smise finalmente di tremare.
 
 
 


Il Lan Party non era più lo stesso, ormai. Jeff Wes e Nick se ne stavano seduti al loro tavolo roteando controvoglia qualche dado un po’ consumato, e Greg stava al bancone, in silenzio, interrotto soltanto da qualche rumore elettronico dei computer.
Non vedevano Blaine da giorni, e non rispondeva più alle telefonate. All’inizio aveva semplicemente detto di stare poco bene; poi, aveva iniziato a dire di non aver voglia di giocare; infine, aveva accennato a Wes di aver litigato con Kurt, e che quindi non si sarebbe fatto vivo per un po’. I tre ragazzi si guardarono malinconici, si riunivano soltanto per sperare di vedere Blaine sbucare da quella porta e cominciare a escogitare una nuova armatura per qualche suo personaggio. In realtà, dal momento che Blaine non compariva mai, loro avevano smesso di giocare, limitandosi a scambiarsi qualche parola di tanto in tanto.
Perfino le otaku leggevano i loro manga sfogliando le pagine con più cautela possibile per creare il minimo disturbo. Era tutto un po’ freddo senza Blaine; o meglio, era tutto un po’ freddo senza il Blaine innamorato di Kurt, sempre allegro e gentile.
Quando sentirono il rumore della porta che si apriva si aspettavano di vedere chiunque, tranne quella divisa bianco e rossa che saltò subito all’occhio.
"Blaine...è qui?"
Kurt Hummel sembrava più sciupato del solito, con i capelli un po’ scompigliati e delle grandi borse sotto agli occhi; aveva sempre un’aria stanca, per via degli allenamenti o dello studio, ma adesso sembrava quasi un altro, come un automa senz’anima. L’unica cosa che permise ai ragazzi di andargli incontro e salutarlo con un abbraccio furono i suoi occhi chiari, ancora vivi, che si guardavano intorno come alla ricerca di qualcuno.
Greg anticipò gli Warblers stringendolo in un abbraccio e sollevandolo appena da terra, provocando una sorta di sussulto nel ragazzo.
“Ciao anche a te” mormorò il ragazzo, mentre l’uomo lo guardava quasi commosso dicendo: “mi sei mancato ragazzino.”
Gli Warblers li raggiunsero subito dopo, chiedendogli come stesse, cosa avesse fatto in quella settimana, perchè non fosse venuto nemmeno una volta; il resto del Lan Party li osservava di soppiatto, con la coda dell’occhio.
E Kurt voleva così tanto parlare con loro, voleva sfogarsi con qualcuno, qualcuno che lo capisse; ma di fronte a tutte quelle domande, fu costretto a inarcare le sopracciglia, domandando perplesso: “Blaine non vi ha detto nulla?”
"No. Ci ha solo detto che...beh, che avete avuto dei problemi. E' da una settimana che non si vede."
Fece una smorfia, sofferente. Era così allora. In ogni caso, era arrivato troppo tardi.
"Io...io sto per partire. Vado a Chicago per le nazionali dei Cheerios."
"Oh, in bocca al lupo allora."
Di nuovo, ci fu un lungo silenzio. Kurt continuò a guardarsi intorno, era a disagio: come se quel posto, ora che non c'era più Blaine, non gli appartenesse più.
"Io...io speravo di potergli parlare, ma...immagino che sia occupato.”
Cercò di cacciare indietro le lacrime, dolorose quanto le fitte che stava ricevendo il suo cuore.
“Potreste salutarlo, per me?"
Annuirono. Faceva un po' male guardarlo in quello stato. Sembrava perso, distrutto. Wes fece un passo verso di lui, porgendogli la mano con gentilezza: “Kurt, vuoi...?”
“No – lo interruppe, con tono brusco, ma moderato un attimo dopo – voglio dire, no, grazie. Io... devo proprio andare.”
Qualsiasi cosa avesse fatto, non riuscivano a biasimarlo; era ovvio che ci tenesse a Blaine. Così com’era ovvio che Blaine fosse pazzo di lui.
E allora, perchè non potevano lasciarsi tutto alle spalle, ed aggrapparsi a quello?
Questa fu la domanda che i ragazzi del Lan Party si fecero, quando videro Kurt salutarli con un piccolo sorriso e scomparire dentro l’abitacolo scuro della sua macchina.
 




Il parcheggio del McKinley era deserto, eccezion fatta per un gruppo di ragazze che stavano saltellando eccitate e la coach Sylvester che dava ordine di salire sull’autobus, con il suo immancabile megafono spaccatimpani. Mercedes sollecitò Kurt per un braccio, gli fece cenno di entrare: quest’ultimo la guardò, chiedendole di aspettare qualche altro secondo, come se ci fosse qualcosa.
Perchè tutto ciò a cui si stava aggrappando da una settimana doveva pur avere un riscontro; se non sarebbe successo in quel momento, allora, si sarebbe lasciato andare. Perchè, nonostante tutto il dolore, e l’odio verso se stesso, e le lacrime versate, Kurt sperava: sperava ancora che Blaine venisse lì, augurandogli buona fortuna per le nazionali. Sperava in una di quelle scene da film, in cui l’autobus stava per partire, il ragazzo gli correva incontro, il protagonista si gettava tra le sue braccia e finalmente si baciavano, mormorandosi tutte le scuse che non erano state dette, promettendosi che sarebbero stati insieme, per sempre.
E l’autobus stava veramente partendo, ma Blaine non era lì. Quello non era un film, e non sempre avvengono i lieto fine; e Kurt si ritrovò a pensare che fosse diventato l’antagonista della sua stessa storia, e si sa, i cattivi non vincono mai.
Ed era giusto così: una piccola parte di sè, continuava a pensare che se lo meritasse. Continuava ad augurare a Blaine ogni bene, a supplicare chissà cosa di perdonarlo, non oggi, ma un giorno; magari, si sarebbero rivisti alla cerimonia del diploma, entrambi contenti e un po’ spensierati. Magari si sarebbero stretti la mano, come per dire, “grazie per i due mesi più belli della mia vita”.
Così Kurt si rannicchiò su se stesso in quel sedile dell’autobus, e Mercedes, semplicemente, gli stette accanto per tutto il tempo; il resto del gruppo, intanto, cantava. E quello era ciò che faceva più male di tutti: perchè era straziante vedere come tutto il mondo andasse avanti, rideva, scherzava, quando il suo era appena crollato sotto ai suoi piedi.
 


 
Squilli; nient’altro che squilli.
Era da quasi una settimana che la sua vita era fatta di squilli: squilli al telefono, squilli del campanello, squilli del suo computer quando lo avvertiva di qualcosa. Ma a Blaine stava bene così; non aveva voglia di fare niente, non aveva voglia di vedere nessuno, in quel momento. Certo, un “momento” che stava durando da più di una settimana, ma il vantaggio di avere genitori divorziati è che sanno essere molto comprensivi, quando vogliono. Così, si limitò a dire a sua madre di stare male, e lei era troppo presa dal suo lavoro di sedici ore giornaliere per occuparsene. Dopotutto, era la verità: Blaine non era mai stato così male in vita sua. E a peggiorare la situazione, come se non fosse già pessima di suo, c’erano anche tutti quegli squilli.
Ormai aveva smesso di rispondere a quelli degli Warblers; per qualche giorno aveva anche smesso di rispondere a Rachel, perchè lei continuava a fare domande e a volerne parlare. Entrambe cose che si rifiutava di fare, sia perchè non voleva davvero spiegare, sia perchè, in fondo, non c’era proprio niente da dire. Kurt era Kurt, e questo lo aveva sempre saputo. O meglio, avrebbe dovuto saperlo. Forse si era illuso di averlo cambiato, in qualche modo, di aver riportato alla superficie quel lato di lui dolce e meraviglioso.
No. Strinse più forte il mouse del computer, resistendo all’impulso di frantumarlo contro la parete: lui doveva smettere di fare quei pensieri. Doveva smettere di pensare a Kurt, in generale.
Quando il campanello squillò, per l’ennesima volta quella settimana, si alzò malvolentieri per aprire, sperando che fosse la pizza a domicilio, divenuta ormai costante delle sue giornate solitarie. Invece, con nemmeno troppa sorpresa, vide Rachel puntargli un dito contro il petto iniziando a parlare furiosamente: “Blaine Anderson, si può sapere dove diavolo eri finito!?”
Lui la guardò impassibile, stringendosi appena nelle spalle. Oh beh, sapeva che sarebbe successo, prima o poi.
“Prego, entra pure. Mi scuso per il casino.”
In realtà, la casa era un vero disastro: a parte i vestiti sparsi un po’ ovunque e i cartoni di pizza avanzati, le persiane erano serrate e l’odore di chiuso penetrò le narici della povera donna facendola sussultare. Blaine non si faceva la barba da chissà quanto tempo e aveva un aspetto più trasandato del solito, dal momento che indossava una tuta vecchia di chissà quanti anni e i suoi capelli assomigliavano ad un’esplosione nucleare.
“Che diavolo ti è successo? Sembri un profugo di guerra.”
Le sue labbra si incurvarono appena verso l’alto, quasi come se volesse sorridere.
“Mi fa piacere rivederti. Che mi racconti? E’ successo qualcosa con Finn?”
E più continuava così, con quella scenetta da ragazzo rassegnato e privo di linfa vitale, più la migliore amica voleva dargli un pugno in faccia, giusto per strillargli contro di riprendersi la sua vita; resistendo a tutti quegli impulsi, lo trascinò in camera e lo mise a sedere con la forza, fermandosi davanti a lui un secondo dopo, a braccia conserte. Ma Blaine sembrava non avere nessuna intenzione di ascoltare qualsiasi discorso stesse per iniziare, così si alzò di nuovo e si riposizionò davanti al computer, riprendendo a giocare il suo Demon Hunter di Diablo III.
“Blaine.”
La voce autoritaria e seccata dell’amica non fu sufficiente a farlo voltare, ma mormorò qualcosa con tono di domanda, cercando di risultare gentile.
“Cosa diavolo stai facendo?”
“Sto giocando” rispose lui, come se fosse ovvio.
“Smettila di fare così.”
“Così come?”
“Come se stessi bene.”
Non rispose; non si sarebbe ridotto a mentire, non lui.
“Metti pausa –intimò l’amica, con tono gelido- Immediatamente.”
“Non posso, è un gioco online, sono in pieno teammate con altri ragazzi di una gilda che non so come si chiama e-“
Un secondo dopo, tutta la schermata del videogioco davanti a lui si spense. E lui restò a fissare lo schermo attonito, per dieci lunghi secondi, prima di voltarsi verso Rachel e vederla soddisfatta mentre teneva la spina della corrente in una mano.
Non ce la fece più.
Si alzò di scatto, afferrandola per le spalle con un po’ troppa forza; la ragazza strizzò gli occhi, quasi preoccupata. Ma li riaprì debolmente nel momento in cui sentì il corpo di Blaine farsi più vicino fino ad abbracciarla con forza, come se avesse voluto farlo da una vita. E lei, semplicemente, gli accarezzò delicatamente la schiena, sentendo i suoi respiri farsi sempre più spezzati.
Alla fine, Blaine parlò. Le raccontò di Azimio e Samuelson, del dialogo che aveva sentito, dell’espressione fredda di Kurt quando aveva mentito ai due ragazzi; le spiegò quanto si fosse sentito tradito da quelle parole, ma soprattutto, quanto si fosse sentito stupido nel credere di essere riuscito a togliere quella maschera che odiava tanto.
“Non lo so cosa diavolo sto facendo”, riuscì ad ammettere lui, sebbene la gola secca e le lacrime gli fecero tremare la voce.
“Non lo so Rachel, non so più niente. Non so più chi è Kurt, e non so nemmeno perchè ha agito così.”
Sentì l’amica lasciargli un piccolo bacio sulla guancia, per poi tornare a stringerlo contro di sè.
“Ha vinto – sussurrò lei, molti secondi dopo- Kurt ha vinto le nazionali.”
Oh. Blaine spalancò un po’ gli occhi, e nonostante tutto, una minuscola parte di sè si sentì incredibilmente felice.
“Bene. E’... va bene.”
“No che non va bene.” Aggiunse lei. Si staccò quel poco per guardarlo dritto negli occhi, sembrava distrutta nel dire quelle parole: “Blaine, Kurt ha cantato I have nothing di Whitney Houston, ed è scoppiato a piangere.”
Il cuore di Blaine ebbe un fremito.
“Che...che vuoi dire?”
“Ha cantato, e ha cantato benissimo. E senza nemmeno aspettare che finisse la base se n’è andato via, scoppiando a piangere negli spogliatoi. Non è nemmeno tornato per prendere la coppa, quando lo hanno richiamato per applaudirlo.”
Blaine restò in silenzio, come se avesse bisogno di metabolizzare quanto sentito. Che cosa significava tutto quello? Che voleva dire?
“Io credo che... fosse dedicata a te, quella canzone.”
Non poteva essere; o forse sì?
Kurt lo aveva ferito così tanto, quel giorno, che Blaine non riusciva più a capirlo. In realtà, fino ad allora, era scappato: si era rinchiuso in camera sua, nel suo posto sicuro, perchè non aveva il coraggio di affrontare la realtà. L’eventualità che Kurt non volesse più vederlo; il terrore di averlo perso, in favore di quel capo cheerleader che aveva conosciuto mesi prima.
Però, adesso, Kurt aveva pianto. E poteva immaginare così bene i suoi occhi cerulei arrossarsi, le sue labbra incrinarsi in una smorfia; desiderò di poterle baciare, con tutto se stesso.
Emise una smorfia, affondando il viso nell’incavo del collo di Rachel; aveva sperato che, con isolamento e riflessioni, sarebbe riuscito a comprendere qualcosa di tutta quella situazione. Invece, più il tempo passava, e più non capiva.
“Non ci capisco più niente.” Ammise infine, respirando la pelle profumata di Rachel; sapeva di femminile, dolce e tranquillità. Sentì i muscoli del suo corpo rilassarsi sotto la voce della sua migliore amica.
“Blaine, non fare così. Non si tratta sempre di bianco o nero. Non è detto che-“
“Parli proprio tu, che tra tutti, sei stata la prima ad avvertirmi su- su questa situazione.” Balbettò, un po’ contrariato. Non riusciva ancora a pronunciare il nome di Kurt; lo avrebbe fatto sentire più vicino, così tanto da fargli male.
“Appunto per questo Blaine – aggiunse Rachel, con voce morbida e decisa - ti chiedo di non trarre conclusioni affrettate come ho fatto io. Devi parlare con Kurt... qualsiasi cosa lo abbia spinto a dire quelle cose, ci dev’essere un motivo.”
Blaine sperò che avesse ragione; ma se invece avesse scoperto che non c’era nessun motivo? Se invece avesse scoperto un lato di Kurt che non consoceva, e che lo avrebbe allontanato definitivamente da lui: sarebbe riuscito a sopportarlo?
C’erano così tante domande senza risposta, e così tante paure; ma Blaine, in quel momento, si sentì un po’ meno solo. Rachel gli diede un ultimo abbraccio –avvertendolo, prima- e poi incominciò a straparlare sul disastro del suo aspetto, per non parlare di quello della casa. E lui, quella volta, sorrise.
Forse si sarebbe riaggiustato, in qualche modo.
 
 
 
Dopo aver passato un’intera giornata a pulire, Blaine si sentiva un po’ meglio: l’ordine della casa gli regalò quasi una sorta di ordine mentale, e facendo un rapido schema di cose da fare decise di farsi una doccia, radersi la barba, indossare qualcosa di decente e cucinare del cibo serio, racimolando un po’ di scorte trovate nella dispensa. Rachel era dovuta andar via perchè chiamata da dei genitori furiosi che non sapevano dove si trovasse, così, promettendogli che si sarebbero rivisti presto, il ragazzo si ritrovò di nuovo da solo, con una casa un po’ troppo grande per lui.
Lavò i piatti, fece partire la lavatrice e si distese sul divano del salotto, cercando qualche programma televisivo che non fosse troppo insopportabile: non poteva tollerare commedie romantiche, reality show, film vintage e qualsiasi cosa gli facesse ricordare la sua situazione incasinata. Così, quasi per istinto, prese il dvd di Star Wars: lì almeno la storia d’amore non era molto accentuata, e provava un po’ di pena per Ian Solo che per tre film pensò che Luke e Leila fossero amanti. Almeno, pensò tra sè e sè, c’è qualcuno che sta peggio.
Dopo un’ora di proiezione –nemmeno metà film, vista la durata di tre ore abbondanti-, il campanello squillò un’altra volta, e per un momento Blaine sperò che Rachel avesse ottenuto un permesso speciale per passare la notte lì: avrebbero parlato, si sarebbero finiti di vedere il film e lui avrebbe messo una coperta sulle sue ginocchia, dal momento che la ragazza si addormentava puntualmente dopo venticinque minuti. Aveva smesso perfino di offendersi, sebbene non ritenesse possibile che Star Wars potesse provocare sonnolenza.
Ma quando fu ad un metro di distanza dalla porta capì immediatamente che non poteva trattarsi di Rachel, perchè Rachel non strillava – o meglio, non sempre -, non era un uomo e, soprattutto, non conosceva nessuna parola di nerdese.
“Ciao ragazzi”, disse allora, mentre apriva la porta e Jeff, Nick e Wes lo fissarono allibiti.
“Ciao ragazzi?” Fece eco il biondo, come se gli avesse appena detto che Darth Mawl fosse noob.
“CIAO RAGAZZI? Ti sembra questo il modo di salutare i tuoi fratelli, dopo otto giorni che non ci vediamo!?”
“E’ passato così tanto tempo?”
Wes si passò una mano sulla fronte.
“No. Ok. Dobbiamo parlare.”
Senza nemmeno aspettare un invito entrarono in casa sua, chiudendosi la porta alle spalle e soffermandosi un attimo a osservare la morte nera che apparve sullo schermo del televisore.
“Star Wars?”
“Sì”, mormorò Blaine, con un piccolo sorriso.
“Sul serio? Blaine, tu ti guardi Star Wars solo quando sei depresso.”
“Ma non è vero!”
Jeff si leccò il pollice prima di cominciare a contare, con aria pensierosa e tono meccanico.
“Quando ti è morta la memory card della playstation, quando è morto Thor per la prima volta nei fumetti, quando hai scoperto che Orlando Bloom non è gay...”
“Uh, duro colpo quello”, ricordò Nick un po’ allarmato. Blaine sospirò, spense il televisore per terminare quella farsa e li guardò scettico, posando una mano su un fianco.
“Vi ha detto Rachel di venire qui?”
“Rachel ci ha solo detto che adesso saresti stato presentabile, così siamo venuti.”
“Se tu non vieni dal Lan Party, il Lan Party viene da te.”
“Come la montagna di Mosè.”
“Scemo, mica era Mosè.”
“Ma Mosè non era quello dell’arca?”
“E che cosa dovremmo fare?” Li interruppe Blaine, fingendosi ancora un po’ scocciato ma, sotto sotto, il suo umore stava già migliorando notevolmente.
“Blaine Warbler”, sentenziò Wes, posando a terra il borsone e cominciando ad estrarre una miriade di giochi per playstation 3. “Visto che hai il master più figo del mondo, ti ho portato tutti i giochi che ho, e puoi sceglierne uno come regalo.”
“CHE COSA!?” Fecero eco gli altri due, zittiti immediatamente da un’occhiataccia. Blaine sembrava lusingato, come un bambino di fronte a Babbo Natale: “Sul serio mi vuoi regalare un gioco?”
“Sì. Ma non fammi pentire.”
“Bene, allora scelgo Prototype!”
“Eh no, Prototype no dai.”
“WES”, scandirono Jeff e Nick, e il master deglutì, come se si stesse sforzando di non piangere. Porse la custodia al suo amico e Blaine fece quasi per prenderla, perchè non aveva mai giocato a quel gioco e moriva dalla voglia di farlo. Poi, però, come destatosi, scosse la testa, sfoggiando un sorriso gentile.
“Ti ringrazio Wes, ma non serve.”
“Come non serve.” L’amico sembrava allibito. Insomma, aveva appena rischiato di perdere il suo gioco preferito in segno di amicizia... e veniva scartato così? Era offeso. Ecco perchè non doveva essere gentile, insomma, ci rimetteva sempre.
Blaine chiese a Nick di aiutarlo a spostare il tavolino del salotto, e dopo averlo fatto invitò tutti a sedersi in cerchio, mentre lui correva in camera a prendere uno di quei giochi che, per un motivo o per un altro, non facevano da un sacco di tempo.
“No.” Mormorò Nick, ricevendo un tuffo al cuore alla vista di quella piccola scatola anonima, e un po’ usurata.
Anche Jeff era incredulo, continuava a mormorare: “Non ci posso credere.”
Wes, con una calma destabilizzante, riportò tutti sul mondo dei vivi, e commentò un po’ acido: “Monopoli Blaine? Sul serio?”
Insomma, Blaine aveva appena rinunciato alla sua immensa generosità per monopoli? Era un affronto.
“Il primo gioco da tavolo che abbiamo fatto insieme.” Mormorò Nick.
“L’inizio della nostra amicizia...” Jeff stava quasi per piangere.
E Wes, un po’ preso dall’atmosfera malinconica, non riuscì a trattenersi dal dire un po’ più felice: “Il nostro primo litigio.”
“Cavolo Wes, tu non volevi vendermi viale Traiano, insomma, eri full rosso e io solo full verde! Sei un tirchio anche da imprenditore.”
“IO un tirchio? Ma se ho appena venduto la mia anima a Blaine! E lui l’ha rifiutata, quindi, ecco, andiamo avanti e giochiamo.”
Blaine sorrise, di fronte alla pazzia dei suoi amici, perchè si stupivano per ogni cosa. E, in quel momento, riconobbe casa sua come propria. Si sentì fortunato, e anche riconoscente verso di loro, per come si stavano comportando: non erano silenziosi, non sembravano a disagio. Erano i soliti pazzoidi di sempre e, soprattutto, sembravano non aver nessuna intenzione di chiedergli cosa fosse successo con Kurt; forse, Rachel lo aveva già raccontato per lui. Non gli interessava: i suoi migliori amici erano lì, e lui per un paio di ore poteva tornare ad essere se stesso.
 
 
“Non ci posso credere – mormorò Jeff - Wes, come diavolo hai fatto? Non ci posso credere.”
Wes aveva praticamente tutti i territori possibili: acque potabili, società elettrica, Viale dei Giardini e Parco della Vittoria. Con un ghigno che si poteva solo definire come malefico porse la mano a Jeff, facendogli cenno di consegnare.
“Sgancia la grana biondino.”
“Ti odio” brontolò lui, perdendo anche gli ultimi soldi rimasti. “Davvero, ti odio.”
Blaine sorrise, cominciando a rimettere al proprio posto tutte le banconote finte: “Beh, direi che abbiamo un vincitore.”
“Sì, Wes I’m the Best.”
“Cerchi rogne Nick?”
“Facciamo un altro gioco, vi prego. Qualcosa in cui Wes non può vincere.”
“Potremmo giocare a Uno?”
Wes si alzò in piedi, stiracchiandosi la schiena ed essendo ancora compiaciuto dalla sua eccellente vittoria.
“Macchè uno, ci vuole una bellissima partita a Risiko.”
“NO!” Urlarono gli altri tre, e il ragazzo in risposta si esaltò ancora di più.
“Che c’è? Paura di perdere? Andiamo, sarà divertente.”
“Non è divertente Wes, hai una fortuna sfacciata – mormorò Nick – solo perchè sei asiatico.”
Blaine scoppiò a ridere, ignorando il soggetto della questione che si stava dirigendo in camera sua alla ricerca di qualcosa – probabilmente, del gioco e dei dadi-.
“Che c’è Blaine? Guarda che è risaputo, gli asiatici sono fortunati da morire.”
“Continua a cercare scuse, Nick” urlò Wes dall’altra parte della stanza mentre con un ghigno soddisfatto si apprestava a prendere il sacchetto di Blaine contenente tutti i dadi; ormai conosceva a memoria ogni angolo di casa di Blaine, perchè in passato si erano ritrovati spesso a giocare lì. Per questo si stupì un poco quando vide un foglietto nascosto sotto al sacchetto dei dadi, scritto a mano, e appoggiato su una bustina anonima e poco appariscente.
Lo osservò perplesso, accarezzò il biglietto con la punta dell’indice facendolo scorrere lungo tutta la scritta.
Tornando in salotto dagli altri ragazzi, nessuno fece caso alla sua espressione confusa, così come al tono serio della sua voce mentre chiamò il nome di Blaine.
Il ragazzo si voltò, con ancora il sorriso impresso sul volto proveniente da chissà quale battuta ridicola: vide Wes stringere un foglietto tra le mani, per un attimo, non riconoscendolo affatto e non riuscendo a ricollegarlo con la domanda che gli fu fatta.
“Blaine, ma da quando in qua hai un ammiratore segreto?”
E Blaine, semplicemente, lo fissò. Wes si avvicinò a lui con passo un po’ più deciso indicandogli la scritta in cinese e recitando con pronuncia perfetta: “E’ scritto pure male... voglio dire, sicuramente non è opera di un esperto, non è così?”
Blaine, però, continuava a non capire.
“Ma che stai dicendo?”
“Blaine, non è colpa mia se mia madre è asiatica e io so leggere il cinese. Woo ai ni. Ma chi te l’ha scrittto questo?”
“Kurt”, rispose lui, senza nemmeno pensare. E nel momento in cui pronunciò il suo nome, fu come se il suo corpo riprese a vivere, ispirando quell’aria pulita e nuova che lo fece sussultare per un breve momento; vide il volto dell’amico illuminarsi di colpo, rivelando un sorriso che nessuno gli aveva mai visto fare.
“Eh? Che succede?” Chiese Jeff, seguito a ruota da Nick che guardò i due ragazzi mordicchiando una casetta del Monopoli. Ma Blaine si alzò in piedi, gli prese il foglietto tra le mani. Non si accorse che gli stavano tremando, forse, perchè il suo cuore aveva pian piano cominciato a capire.
“Che stai dicendo Wes? Che cosa vuol dire questo foglietto?”
Wes prese un bel respiro; era consapevole di star facendo venire un infarto al suo migliore amico. Così, alla fine, con voce canzonatoria, e anche un po’ felice, lo rivelò.
“Significa ti amo.”
Oh.
Ti amo.
Ti amo.

 
“Blaine, sei con noi?”
Wes gli sventolò una mano davanti alla faccia, non riuscendo a trattenere una piccola risata. Blaine, da una manciata di secondi, era pietrificato: aveva perfino smesso di respirare, gli occhi spalancati, la bocca semiaperta mentre il suo cuore rischiava seriamente di schizzargli via dal petto.
Ti amo.
Non riusciva a credere a quelle due piccole paroline, così semplici, eppure, così fatali.
Ti amo.
“Blaine? Ma stai bene?”
Jeff e Nick stavano saltellando da un quarto d’ora, stringendosi come due amici che avevano appena visto la propria squadra del cuore vincere la coppa del mondo.
“Devo andare.”
Quella frase immobilizzò i due ragazzi, perchè, incredibilmente, era riuscito a parlare. Per un attimo temevano che avesse perso la voce.
“Ma che stai dicendo? E’ quasi mezzanotte. Dove devi andare?”
“Da Kurt.”
Perchè Kurt lo amava. Lo amava, da chissà quanto tempo.  E per un attimo, non riuscì nemmeno a crederci, ma era così ovvio. Adesso che la verità gli era stata posta davanti, era così ovvio...
“Ci vediamo tra un’oretta.”
Questo disse, dopo aver afferrato giubbotto e chiavi della macchina ed essersi richiuso la porta alle spalle; non gli era nemmeno importato di aver lasciato gli amici a casa sua, da soli, con nient’altro che un monopoli ancora mezzo aperto e il bigliettino di Kurt scivolato a terra.
Wes guardò i suoi due migliori amici, emettendo un piccolo sospiro: “Beh. Direi che il nostro Warbler ne avrà per almeno due o tre ore.”
I due ragazzi annuirono, con dei sorrisi che arrivavano fino alle orecchie. Si sedettero sul divano, Nick afferrò il telecomando e Jeff andò in cucina a preparare dei pop-corn, come se si fossero già accordati mentalmente su cosa avrebbero dovuto fare. In realtà, tutti e tre morivano dalla voglia di seguire il loro migliore amico e godersi il ricongiungimento con Kurt; ma non potendo farlo, non c’era niente di meglio di una bella maratona di Star Wars.
 
 


 
Il trofeo dei Cheerios si trovava in camera sua, su una mensola appositamente spolverata. Era solo una targhetta, perchè la coach teneva tutte le coppe per sè, ma a Kurt non importava nemmeno di ottenere qualche riconoscimento dal momento che, lo sapeva, la vittoria non era stata solo merito suo. E anche se fosse stata, non gli interessava. Non gli importava più, non gli importava nemmeno di tutti quegli opuscoli racimolati fino ad allora posti sulla sua scrivania, per cercare un college dopo il diploma; avrebbe voluto restare lì, tra le coperte di camera sua, incapace di dormire ma sentendosi un po’ più al sicuro.
Il letto era caldo, lo cullava; era tutto ciò che poteva permettersi, quindi, doveva imparare ad abituarsi.
Quando il telefono vibrò insistentemente, come se non aspettasse altro che essere letto, si immaginò che fosse l’ennesimo sms di Mercedes o di qualche compagna di squadra che gli faceva le congratulazioni per la splendida vittoria. Oppure, era l’ultimo tentativo da parte loro di invitarlo a quel party a casa di chissà chi, per bere, festeggiare e essere felici. Non aveva nessuna voglia di essere felice.
Ma quello era un messaggio troppo strano per essere di Mercedes, e troppo innocuo per essere di Santana.
Scendi.
E Kurt non capiva.
Perchè il suo cellulare doveva essere rotto. O lui stava sognando. Oppure, il mondo lo stava prendendo in giro.
Sentì il telefono vibrare un’altra volta, stretto tra le sue mani.
Ti prego, scendi.
Non aspettò un secondo di più.
Non pensò di essere in pigiama, con un aspetto assolutamente vergognoso. Non pensò nemmeno al fatto che fosse mezzanotte passata e suo padre il mattino dopo lo avrebbe rimproverato per il chiasso fatto scendendo le scale, ricordandogli che lui aveva da alzarsi presto la mattina.
No. Tutto ciò a cui riusciva a pensare, adesso, era il sogno di rivedere finalmente ciò che la sua testa si sforzava di negare.
Ma quando comparve la figura di Blaine salire velocemente le tre scalette di casa sua, il suo cuore non fece altro che piangere, ed esultare. Perchè, in fondo, aveva ancora un po’ di timore: che ci faceva Blaine lì? E perchè era venuto da lui a quell’ora della notte?
Forse voleva parlargli. Forse voleva dirgli di farla finita.
Non appena riuscì ad aprire la porta di casa, nonostante il tremito e il respiro affannato, fu subito raggiunto da un paio di mani che si posizionarono sul suo viso, trascinandolo verso di sè e congiungendo finalmente le loro labbra in un bacio.
E quando riuscirono a staccarsi, Kurt sbattè un paio di volte le palpebre, senza fiato.
“Blaine...ma che...?”
Non fece in tempo a finire la frase, che il ragazzo lo baciò di nuovo, in modo intenso, appassionato.
Gli era mancato così tanto; le labbra di Kurt avevano ancora quel sapore inconfondibile, come di fresco, di libertà e perfezione.
“Blaine, Blaine aspetta.”
Kurt si  odiò per averlo detto. Perchè tutto ciò che voleva fare era baciarlo, abbracciarlo e non separarsi mai più da lui, per il resto della sua vita. Tuttavia, vedendo il ragazzo di fronte a sè sorridere raggiante e tremare per l’emozione, non riuscì asssolutamente a capire cosa gli fosse preso. Si era perso qualcosa? Perchè, insomma, non si vedevano da più di una settimana.
Così, tra un’esitazione e l’altra, con tono flebile, e la voce che si spezzava in gola, riuscì a chiederlo: “Che...che stai facendo?”
“Ti sto baciando”, rispose lui, semplice, e il suo sorriso si ampliò un po’ di più. Kurt si sentì le guance andare in fiamme mentre bisbigliava: “Questo...questo lo vedo. Ma perchè? Insomma, io sono stato un idiota, tu mi odiavi, e-”
Di nuovo, fu fermato da un altro bacio. Poteva quasi abituarsi, a quello. Ma durò pochissimi secondi, perchè Blaine si allontanò subito, posando delicatamente la fronte sulla sua; nessuno dei due riusciva a distogliere lo sguardo, i loro respiri caldi si stavano fondendo in uno solo. E Kurt, lui, non riusciva ancora a capire se potesse sorridere oppure no, ma moriva dalla voglia di farlo. Anche perchè il suo sorriso era così bello, così rassicurante.
E prima di vedere lo sguardo attonito di Kurt sciogliersi, prima di riprendere a baciarlo, per altre, bellissime ore, Blaine prese con delicatezza le sue mani, facendosi un po’ più vicino.
“Perchè ti amo anche io.”








***

Angolo di Fra

Ehhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh.
Ultimo capitolo. Ringrazio Lily per avermi sostenuta nel calvario e avermelo betato. E insomma...Già. Ma ehi, c'è l'epilogo! Ma non so quanto sarà lungo, insomma, è una cosina giusto così, per mettere dei punti a questa storia.
Ma lo sapete che mi sta prendendo un po'...come dire, la malinconia?
Quindi il discorso malinconico lo faccio ora, così all'epilogo lascio parlare voi :)


Come ben sapete, questa storia era nata con nessuna intenzione: voleva essere una cosa più comica che altro, quasi senza trama, fatta principalmente per me e per lo sfizio di farlo. Lo si può vedere da come ho impostato il tutto, da come ho approfondito poco gli altri personaggi: avrei potuto approfondire tutti quei personaggi che invece così facendo sono rimasti secondari. Avrei potuto scrivere un'altra decina di capitoli come minimo, sulla famiglia di Blaine, su Rachel e Kurt... lo so benissimo. Nonostante questo, questa storia mi sembra completa così. L'idea iniziale era di farvi conoscere questo mondo nerd, e sarò sincera, adesso sorriderò sempre sapendo che ad ogni vetrina di videogiochi, ad ogni dilemma matematico, qualcuno di voi penserà automaticamente alla mia storia e, perchè no, magari scapperà anche un sorriso.
Per questo sono sinceramente strabiliata dall'affetto che avete dimostrato per la fanfiction, per i miei Kurt e Blaine, e anche un po' per me, riempiendomi sempre di bellissime recensioni e messaggi su facebook e twitter. Io non mi sarei mai aspettata tutto questo. Forse perchè non ho mai creduto che Headshot sia una di quelle "grandi storie" per le quali attendi l'aggiornamento davanti al computer ricaricando la pagina ogni secondo. Nel senso, mi viene proprio da pensare "oh mio Dio qualcuno è impaziente per QUESTO capitolo!? Povero lui" ahahah!
A parte scherzi, mi sono sempre chiesta quale fosse il fattore che avesse scatenato tutto questo: quale fosse l'elemento che vi ha fatto dire "cavoli, questa storia mi piace un sacco", o insomma, non lo so, qualsiasi cosa vi abbia spinto a leggermi e ad entusiasmarvi così tanto.
Dopo 28 capitoli e cinque lunghi mesi di dialogo con voi, forse, ho capito: è il fatto di dire "ho avuto una giornata assurda, leggiamo il capitolo nuovo di Headshot così mi tiro un po' su", non è vero?
Per questo, se leggete in verticale i titoli di questa storia, potete leggere: "Kurt e Blaine grazie per i sorrisi". Perchè mi fanno sorridere sempre, quando li guardo nel telefilm. Perchè mi hanno fatta sorridere mentre scrivevo questa storia, e perchè voi avete sorriso insieme a me leggendola. Grazie a loro, alla fine, siamo stati meglio un po' tutti.
E per quanto mi riguarda, ringrazio anche voi. Credetemi, senza il vostro sostegno, avrei lasciato la storia incompleta moltissimi capitoli fa. Siete stati così gentili con me, e così pazienti, che non so esattamente come sdebitarmi. Spero che accettiate questa storia come pegno, ecco.
E adesso...beh. Vorrei ringraziarvi uno ad uno, ma penso che ritaglierò un angolino speciale per ognuno di voi, tramite twitter, facebook, recensioni e mp.
Se continuerò a scrivere? Sicuro. Devo un po' riprendermi dalla fine di Headshot, ma... appena possibile pubblico il primo capitolo della mia long Seblaine. Eggià.
E non preoccupatevi per una Klaine: ci sarà. Eccome se ci sarà.


E quindi, siamo giunti alla fine di questa storia. Io non aggiungo nient'altro perchè sono già fin troppo ridicola, dico solo che, se dovessi descrivere questa fanfiction con una parola sola, direi che è un limone. Sì, insomma, perchè è bruttina, ma almeno non fa cagare. Ahah! Che volete? Sono sempre io eh! Non mi smentisco mai nemmeno alla fine :)
Grazie ancora. Ci sentiamo per l'epilogo e sul web!

Fra

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Capitolo 29
*** Epilogo ***


Capitolo 29
Epilogo


 

 

Se tutti lo facessero anche solo una volta al giorno, regalare un sorriso, immagini che incredibile contagio di buon umore si espanderebbe sulla terra? - Marc Levy
 





 
C'era un bel tempo, più primaverile che estivo, e un vento leggero soffiava sugli alberi pieni di fiori. Il McKinley, illuminato da un sole acceso, risaltava con il suo stemma affisso all'entrata del campo, dove si teneva la cerimonia. Era così luminoso che Kurt per un momento si ritrovò a contemplarlo in silenzio, trattenendo il respiro: poteva dire di aver passato quattro anni della sua vita immerso in quel rosso e bianco, e adesso, quasi non riusciva a credere di essere lì, alla cerimonia del diploma.
Suo padre, aggiustandogli il cravattino e cacciando indietro le solite lacrime di commozione, gli aveva detto che quando si è adolescenti il tempo sembra non passare mai, e lui aveva appena messo il punto ad una delle pagine più lunghe della sua vita. Ma Kurt non riusciva a crederci: tutto sommato quei quattro anni erano volati, non osava immaginare come sarebbe stato il seguito.
Tuttavia non riuscì a reprimere un grande sospiro, così come non si trattenne dal gonfiare un po’ il petto sentendosi profondamente soddisfatto: era arrivato, dunque. Ricordava benissimo quando aveva messo piede in quella scuola per la prima volta, il suo sguardo impaurito, quello dei ragazzi più grandi che lo squadravano dall’alto verso il basso... e ora, invece, riceveva sorrisi e saluti, veniva additato come “il Cheerio delle nazionali” e qualche ragazza gli aveva fatto perfino i complimenti per l’esibizione, chiedendogli qualche consiglio sul canto.
Sarebbe andato tutto bene; era il suo giorno, l’ultimo giorno, in cui si sentiva un vincitore.
Ma ben presto tutte le sue fantasie furono brutalmente scaraventate via nel momento in cui incrociò un paio di giocatori di hockey, con i cappelli malamente laccati e i cravattini troppo stretti.
“Ehi, Hummel.”
Oh no.
“Dobbiamo salutarti come si deve, ti pare? Dopo la tua assurda vittoria alle nazionali dei Cheerios non abbiamo più avuto modo di farti le nostre congratulazioni.”
“No, davvero, non ce n’è bisogno, io-“
In meno di mezzo secondo si sentì sollevato da terra, per poi finire buttato dentro al cassonetto della spazzatura. Lui, il suo cappello, la sua toga e le sue scarpe di Prada.
A quanto pareva c’erano solo fascicoli di vecchi registri e pagelle, il cibo evidentemente era stato rimosso nell’ultimo giorno di scuola, e per un secondo si sentì incredibilmente fortunato. Certo, se si poteva definire “fortuna” una situazione come quella: in realtà, sommerso tra libri e rilegature in plastica, circondato da quell’odore di marcio che comunque non era affatto svanito, Kurt provò soltanto una grandissima frustrazione.
Sentì le risate dei due ragazzi perforarlo come aghi, facendosi sempre più lontane; e lui, serrando la mascella, strinse i pugni: perchè non poteva avere un giorno che si potesse chiamare tale, senza fastidi, o situazioni del genere? Perchè dovevano rovinargli anche uno dei ricordi più belli ed importanti della sua vita?
Ancora immerso in tutti quei pensieri non fece caso ad un rumore di passi che si avvicinavano, così come ad una voce sin troppo familiare che richiamava la sua attenzione.
“E’ permesso qui? Oplà”, sentì esclamare da Blaine, vedendolo saltare dentro al cassonetto per finire esattamente accanto a lui. Senza nemmeno rendersene conto aveva esclamato il suo nome, sbiancando di colpo: non riusciva a muoversi di fronte al suo sorriso divertito, mentre gli veniva tolto qualche rimasuglio di carta dalla faccia.
“Che-che cosa ci fai qui!?” Riuscì a chiedere, con sommessa confusione.
“Oh, niente di chè, stavo solo cercando una cosa.”
“Qualcosa in questo cassonetto sporco e lurido!?”
“Esattamente.”
Deglutì di fronte al suo tono basso e vagamente provocante. Lo vide avvicinarsi a lui molto piano, con il respiro che si affiancava al suo e il sorriso che si addolciva sempre di più; e no, cavolo, doveva riuscire a contenere i battiti del suo cuore, perchè aveva la vaga impressione che dentro quel cassonetto sarebbe rimbombato tutto come se fossero in una discoteca.
Blaine adesso era a mezzo centimetro, improvvisamente fermo.
“E-e l'hai trovata?” Balbettò allora, con un groppo alla gola; sentì mormorare un “no” secco e, per un attimo, lo fissò quasi allibito.
“Ho trovato te, che è decisamente meglio.”
Mettendo fine a quelle assurde palpitazioni si avvinghiò a lui, facendolo sobbalzare per la sorpresa e la felicità, e lo baciò con tutto l’amore che aveva in corpo.
Nonostante tutto, pensò Kurt, mentre rideva sotto al solletico involontario delle ciglia di Blaine contro la sua guancia, quell'anno scolastico non era stato per niente male.
 

 
Una volta arrivati in bagno, per darsi una ripulita veloce dall’odore e dalla carta, Blaine guardò Kurt con la coda dell’occhio, abbassando la testa per scuoterla ed eliminare qualsiasi residuo di polvere intrecciata ai suoi capelli.
“Allora? Alla fine che hai scelto?”
Kurt capì subito a cosa si stesse riferendo; gli passò l’asciugamano pulito, prima di lavarsi le mani con il sapone del McKinley che sapeva di ospedale.
“Sono ancora indeciso tra design della moda ed arte. Ma sono entrambe a numero aperto, quindi non ho molti problemi.”
“Beh, è un miglioramento – commentò con un mezzo sorriso – rispetto alle ottanta facoltà che avevi in mente...”
“Erano settantanove Blaine, e la metà di quelle me le hai consigliate tu!”
Roteò gli occhi al cielo, ottenendo in risposta una linguaccia da Kurt. Si scambiarono un bacio veloce, sull’angolo della bocca.
“Tu invece?” Domandò l’altro intento a rimettersi il cappello di fronte allo specchio: odiava quel rosso acceso, ma almeno era contento di vedere che a Blaine stesse meglio di lui.
“Ti ostini a non cambiare idea?”
Scuotendo la testa con fare convinto, parlò con tono solenne: “Blaine Anderson, laureando in scienze matematiche e fisiche naturali. Non credi che suoni benissimo?”
“Un amore”, borbottò, e lui rise un’altra volta dandogli una leggera gomitata su un fianco, prima di cingerlo con un braccio.
“Ehi, ho faticato tanto per essere ammesso, potresti almeno fingerti felice per me?”
“Non ho esultato abbastanza quando mi hai raccontato del test e di tutte quelle cose che non sono riuscito a capire? Davvero, io ti amo e tutto il resto, ma scienze matematiche e fisiche naturali?”
“Esattamente.”
“Ma non ti vergogni nemmeno un po’?”
“Disse l’uomo delle ottanta università...”
“Settantanove Blaine, erano settantanove!”
Blaine mugugnò qualcosa e Kurt lo zittì con un bacio, che divenne ben presto più approfondito; l’ex-Cheerio si appoggiò ad uno dei lavandini, aderendo completamente al corpo del ragazzo, mentre quest’ultimo continuava a succhiare il labbro inferiore come se non lo facesse da secoli.
“Blaine... non credi che dovremmo andare a prendere i nostri diplomi?”
Lui scivolò dalla bocca al mento, fino a giungere ad un punto preciso del suo collo. “Mhm, sì, dopo.”
“N-no Blaine, siamo già in ritardo...”  Non sapeva nemmeno come era riuscito a dirlo: le cose che riusciva a fare quel ragazzo sul suo corpo lo facevano ancora impazzire come se fosse la prima volta.
“Andiamo Kurt, non lo facciamo da tre giorni...”
“Appunto. Tre giorni Blaine. Puoi resistere almeno un pochino?”
“No.” Ammise lui mordicchiandogli leggermente il pomo d’Adamo. “Ok, va bene, sì”, aggiunse dopo aver notato lo sguardo di Kurt, staccandosi e passandosi una mano sul viso. Prima il diploma, poi festeggiare il diploma.
Si diressero verso il palco, un po’ felici ma anche molto agitati. Il McKinley era dominato da una stranissima atmosfera festosa e allo stesso tempo malinconica; i flash delle macchine fotografiche abbagliavano quasi tutti gli angoli del cortile e i professori salutavano per l’ultima volta i loro studenti, chi in modo più freddo, chi affezionato.
Quando fu il turno di Blaine di salire sul palco, Kurt sussurrò un “vai”, sentendo un incredibile vuoto quando lo vide allontanarsi; anche se per un momento solo, anche se era ovvio, lui sentì subito il bisogno di riafferrarlo. Ma non lo fece, si impegnò ad applaudire il ragazzo più meravigliosamente nerd della scuola, e rise quando sentì un boato provenire di quelli del Glee Club e qualche altro amico informatico.
E poi, in un modo quasi inaspettato, fu Kurt ad essere chiamato sul palco, ma non dal preside; salì velocemente le scalette, guardando indietro verso Blaine, un po’ confuso: la coach Sylvester, Figgins e perfino la sua professoressa di matematica, erano tutti lì. Gli consegnarono il diploma, rivolgendogli un ampio sorriso.
“Hai fatto davvero un ottimo lavoro.”
E fu allora che, almeno un poco, i suoi occhi cominciarono a pungere; la consistenza della filigrana era leggera, delicata. Sembrava contenere tutto ciò che aveva passato e anche la bellezza delle vittorie che aveva ricevuto.
Era finita allora. Quella vaga sensazione allo stomaco era presente da un paio di giorni, ma quella volta aumentò in modo esponenziale, era veramente finita.
Burt Hummel si asciugò le lacrime, dal suo posto in ultima fila, e ricevette immediatamente un abbraccio affettuoso da parte di Carole; Finn era già arrivato da loro, mano nella mano con Rachel, entrambi felici, entrambi sicuri di loro stessi.
“Ce l’avete fatta, ragazzi.”
Abbracciò prima Kurt, e poi Blaine: quest’ultimo si lasciò cullare da quel calore paterno, non riuscendo ancora a convincersi di essere stato accolto così bene in quella famiglia.
Carole diede un bacio sulla guancia ad entrambi, tornando a stringere un po’ emozionata la mano di suo marito; ben presto furono raggiunti dai genitori degli altri ragazzi del Glee Club, dai professori, e quindi Kurt e Blaine si allontanarono un po’ dalla folla, rifugiandosi sotto l’ombra di un grande albero poco lontano: volevano concedersi qualche altro minuto di intimità, prima di dedicarsi a salutare tutti i loro amici.
 
“Quindi, adesso?”  
Kurt osservava con una certa emozione il contorno dorato degli occhi di Blaine, un po’ risollevato nel vedere che vibravano come i suoi. L’altro ragazzo sorrise intenerito, la sua voce uscì ammorbidita, e appena sussurrata.
“Adesso, ci sono le università.”
Aveva ragione: si apriva un nuovo mondo, tutto per loro; era enorme, era anche un po’ intimidatorio...ma era anche entusiasmante. Era stupendo, in realtà.

“Potremmo andare a vederle.”
Blaine rialzò appena lo sguardo, incrociando quello vivo e un po’ commosso di Kurt. Troppe emozioni, tutte in una giornata sola.
“Sì, voglio dire...potremmo fare un viaggio a New York. Anche Finn vuole andare a vedere la sua di scienze motorie.”
“Credo che anche Rachel sia interessata. Ancora non riesce a credere di essere stata presa alla NYADA.”
E sorrisero: lo facevano spesso, ultimamente. Ma davanti a loro, si stava aprendo un futuro troppo radioso, per non essere felici.
“New York.”
“New York”, ripetè Kurt, quasi incredulo.
“Noi due, Finn e Rachel.”
"E scusa, ma a noi dove diavolo ci metti!?”
In meno di un secondo Blaine fu completamente assalito da Jeff Wes e Nick, che gli saltarono addosso, rischiando perfino di farlo cadere. Kurt per un attimo li guardò sconvolto, ma scoppiò a ridere subito dopo, così forte da sovrastare l’altro ragazzo che domandò allarmato: “Ragazzi! Che diavolo ci fate qui!?”
“E secondo te ci saremmo persi il vostro diploma!?” Esclamò Wes.
“E poi i neo-coinquilini di Blaine Anderson sono dappertutto!”
Ah, giusto. Neo-coinquilini. Blaine guardò Kurt con un moto di esasprazione: ”Ricordami perchè ho accettato di prendere casa con loro?”
“Perchè ti ho promesso che sei libero di passare a casa di Finn Rachel e mia in qualsiasi momento della giornata.” Rispose Kurt, con un sorrisetto; lo vide farsi più vicino, non riuscendo a contenere un’espressione raggiante.
“Potresti anche stancarti di me, ogni tanto.”
Kurt fece per pensarci e lui, per un attimo, si sentì quasi offeso.
"Impossibile" sussurrò di fronte al suo broncio per poi coprirlo con un bacio a fior di labbra.
“Ehhhhiii Kurt! non mi avevi detto che le tue accolite erano così belle!”
Entrambi sbuffarono: Nick aveva quest’innata capacità di avere un tempismo quasi perfetto nel rovinare i loro momenti.
“Già? – Incalzò Jeff, osservandole come se avesse un binocolo al posto degli occhi - Perchè non ce lo hai detto? Ma soprattutto, perchè non ce le hai presentate mai!?”
“Perchè non siete proprio i loro tipi. Dubito che riescano a sopportare voi e le vostre frasi puramente nerd, come ad esempio-“
“Guada lì Nick, quella avrà almeno un 20 a costituzione!”
“Appunto.”
Blaine rise, prendendo Kurt per una mano senza nemmeno averci pensato; sorpresi, si lanciarono un’occhiata dolce, rilassandosi subito dopo. A parte i tre del Lan Party -che si allontanarono per rimorchiare last minute qualche Cheerio prossima alle ferie - il resto del mondo era come lontano, troppo occupato a rifarsi il trucco, salutare i professori e scattare foto ricordo, e loro erano irraggiungibili.
“Gli anni del liceo sono finiti.”
“Già”, commentò Kurt.
Vedevano le persone intorno a loro piangere, abbracciarsi, cominciando già a sentire la mancanza. Ma non loro: per loro, ripensando a quei quattro anni, era impossibile provare qualcosa che non fosse sollievo o passiva accettazione. Blaine strinse un po’ più forte la mano del suo ragazzo, voltandosi di nuovo per guardarlo negli occhi: “Adesso sarà tutto in discesa, non trovi?”
Kurt restò qualche secondo in silenzio, come se si fosse appena accorto di qualcosa.
"Non lo so."
Blaine fu preso in contropiede: si sentì quasi confuso nel vederlo fare qualche passo in avanti, intento ad osservare il paesaggio; assottigliando un poco lo sguardo, per via della luce accecante, lo vide tenere le mani intrecciate dietro la schiena, e il volto alto verso il cielo. Avrebbe pagato oro per poter scorgere l'espressione del suo viso in quel momento.
"Con noi due insieme, a New York, circondati da amici... credo proprio che sarà una lunga salita.”
Kurt si voltò piano, i suoi occhi divenuti improvvisamente più lucidi; sembrava tranquillo ed emozionato allo stesso tempo.

"Perchè il Paradiso sta in alto, non è così?"

Con il cuore che rischiò di scoppiargli nel petto, Blaine si avvicinò a lui, esitando solo per un momento all’impatto dei suoi occhi con la luce del sole; Kurt sorrise davanti a lui, intenerito. Non riuscirono a resistere oltre, e si baciarono. Perchè ne avevano bisogno; perchè si sentivano le persone più felici della terra, e la terra non riusciva nemmeno a contenere tutta la loro felicità.
"Beh, la strada sembra lunga.” Constatò Blaine qualche minuto dopo, cingendo la vita del suo ragazzo; si trattenne dal ridere quando videro Jeff ricevere uno schiaffo in piena guancia da Santana. Kurt sorrise appena, appoggiandosi con la testa contro la sua spalla.
"Ma ne varrà la pena."
Sentì le labbra del suo ragazzo posarsi delicatamente sulla sua fronte, sussurrando di sì. Aspettarono un po’ di tempo, lasciandosi cullare da quel momento: i suoni ovattati della folla e quelli vivaci della natura si amalgamavano insieme in modo perfetto, come una sinfonia premeditata. Era dolce; era fresca, e donò ad entrambi un pizzico di malinconia.
Kurt si distaccò appena da Blaine per sistemargli meglio il cappello e afferrare di nuovo la sua mano.

"Che dici, ci mettiamo in marcia?"
 
E il liceo McKinley sembrava più vivo, sotto a quella luce così accecante: le foglie degli alberi ondulavano mossi da un vento leggero, facendo dondolare anche i piccoli fili d’erba che si estendevano sul suolo. Il cielo era azzurro, acceso, completamente privo di nuvole.
Con le mani intrecciate tra di loro, Kurt e Blaine si diressero verso i genitori, il Glee Club, gli Warblers e tutti gli altri ragazzi.


Tutto qui. A volte la felicità non ha bisogno di tante descrizioni.
 
 
 





***
 
Angolo di Medea00
 
Ho iniziato questa storia il 2 Gennaio. Sono passati cinque mesi. E’ stato un viaggio lungo... e anche molto frastagliato, delle volte. Ma sono incredibilmente felice di essere riuscita ad arrivare alla fine.
Avevo promesso poche chiacchiere, adesso concludo. Ma come posso concludere Come un HEADSHOT al cuore? Ci provo.
 
E’ stato un piacere immenso scrivere questa storia. E grazie di cuore per avermi accompagnata fin qui.
Siete stati come un gank estremo in raid con full dps.
Arrivederci.


PS _ Vi lascio i link agli spin-off di questa storia:

Off Game
Vi dichiaro ufficialmente amico e amica (Mini Long - Wes&Emily come coppia - a little Klaine- ambientata a New York)

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