Something old, something new, something borrowed, something blue

di suni
(/viewuser.php?uid=4130)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Something old ***
Capitolo 2: *** Something new ***
Capitolo 3: *** Something borrowed ***
Capitolo 4: *** Something blue ***



Capitolo 1
*** Something old ***


Salve.
Vado direttamente al punto per non perdere tempo: questa boiata è ambientata post-tutto, è una sciocchezza suddivisa in quattro brevi parti collegate ma non strettamente consecutive – c’è uno scarto temporale non precisato che divide ogni volta la successiva dalla precedente.
Mi sto spiegando come le capre.
Vi lascio piuttosto alla lettura, eventuali spiegazioni verranno. (Segnalo inoltre un'eccessiva componente di fluffosità, perdono.)

 
 

 

Something old, something new, something borrowed, something blue

 

Some time in the future

Something old

“Cas, pensi che esista qualcosa come gli Uruk-hai?”
Alla sua domanda scherzosa Castiel sposta uno sguardo appena tinto di vaghissimo e bonario rimprovero dallo schermo, in cui Aragorn e la sua brigata prendono allegramente a mazzate l’armata di Saruman, e lo posa su di lui con la profondità di sempre.
“Lo escludo completamente, Dean,” risponde sicuro.
Lui si trattiene dal mettersi a ridere perché non ha capito che non parlava sul serio, come al solito. A lungo andare, Castiel sembra iniziare a trovare spiacevole la sua abitudine di sghignazzare del suo scarso senso dell’umorismo e della sua assoluta incapacità di cogliere le referenze.
“Peccato,” commenta prima di tracannare una sorsata di birra. “Ma come puoi esserne certo?” lo provoca con fare pedante.
Castiel aggrotta leggermente la fronte. Osserva di nuovo per un secondo lo schermo e torna a guardare lui.
“Questi personaggi sono frutto della fantasia umana e il loro mondo non esiste in nessun luogo della galassia,” snocciola compito, la voce bassa e calma. “In secondo luogo, non ne ho mai visti.”
Dean sbuffa allungando le gambe davanti al divano.
“Solo perché non li hai visti tu…”
“Dalla creazione,” puntualizza Castiel appoggiandosi le mani in grembo.
Dean gli getta un’occhiata divertita, di sbieco. L’angelo è seduto dritto contro i guanciali, la schiena ben eretta e le gambe ordinatamente ripiegate verso terra. C’è sempre quella cosa che frulla nel suo stomaco, quando osserva Castiel e le sue mille piccole consuetudini che conosce tanto bene, il suo miscuglio di compitezza e innocenza da bambino con la scopa nel culo. Ma questa volta non sorride come al solito, annuisce lievemente.
“Sembra un bel po’ di tempo,” mormora vago.
Castiel, che si era rimesso a guardare con noncuranza il film, torna a osservarlo assorto.
“Non saprei. Suppongo che debba dipendere dai punti di vista.”
Dean sbuffa, sgranando gli occhi.
“Punti di vista?” ripete scettico. “Vuol dire esistere da… Sempre. È comunque un bel po’ di tempo,” e mentre lo dice, gli viene in mente che non ci ha mai pensato veramente.
“Sì, lo è.”
Ha sempre trattato Castiel come un suo pari o come uno sciroccato superpotente secondo le occasioni, ma non si è mai soffermato realmente sul fatto che sia un essere che è sempre esistito e che ha visto scorrere milioni di anni di storia. Forse perché è un concetto al di là della portata di un’intelligenza umana, forse perché è Cas, forse perché è ancora difficile concepire che un essere umano come milioni di altri possa avere particolare rilevanza agli occhi di qualcuno che ha osservato l’intera storia dell’umanità.
Forse perché è doloroso pensare quanto a lungo un Dean Winchester qualunque resterà nei pensieri di una creatura eterna, quando non sarà più lì. Per quanto tempo Castiel si ricorderà dell’omino che ha strappato via dall’Inferno, dopo che il suo lavoro o la vecchiaia l’avranno portato via? Quante volte visiterà il suo paradiso – sempre che lui finisca per averne uno, cosa di cui dubita - per salutarlo, prima che lo scorrere del tempo e gli eventi del mondo gli facciano dimenticare il piccolo uomo che ha protetto e aiutato? Per quanto si ricorderà delle loro risate, dei loro Natali, dei battibecchi, degli sbuffi di Sam quando li vede parlottare per conto loro, quando dimenticherà la conversazione che sta avendo luogo, le volte che l’ha visto piangere, le reciproche delusioni, i Leviathan, sentirsi dire di essere la sua famiglia?
Forse, tra un secolo o due, qualcuno dei suoi fratelli gli chiederà della mancata Apocalisse e lui ricorderà che l’ha sventata insieme a quei due esseri umani, quello alto che era stato creato per Lucifer e quell’altro che faceva sempre il contrario di cosa lui gli diceva e che è stato qualcosa come un suo amico. Cercherà di rammentare il suo nome ma non gli verrà in mente, mentre si occuperà della salvezza di qualcun altro o delle questioni interne in Paradiso.
“A cosa stai pensando, Dean?”
Nel sentirsi rivolgere quella domanda attenta scrolla le spalle, con noncuranza.
“Niente, guarda il film,” risponde bevendo un altro po’ di birra.
Castiel torna a osservare lo schermo con la mansuetudine del guerriero sopito, lasciandosi scorrere davanti qualche immagine della battaglia di Helm. Gli uruk-hai hanno aperto il varco nella fortezza con una violenta esplosione e penetrano all’interno.
“Potrò anche essere vecchio,” riprende, senza spostare lo sguardo, “ma ho una buona memoria, Dean.”
Lui sussulta e lo osserva imbarazzato, prima di aggrottare la fronte.
“Come sai che stavo…?” borbotta.
Castiel lo guarda di nuovo con un’espressione grave che è quasi di ovvietà.
“Tu pensi sempre di non meritare niente,” commenta piano. “Nonostante ti sia stato dimostrato più volte il contrario,” precisa con tono quasi tediato, e gli appoggia la mano sulla spalla con la sua goffa sicurezza. “Mi ricorderò. Quando sarai andato al di là ti verrò a trovare ogni volta che avrò il tempo, oppure sarai tu a chiamarmi. E sono ragionevolmente certo che il tuo paradiso somiglierà all’interno di una gigantesca automobile e ci saranno un gran numero di donne discinte.”
Dean soffoca una risata tra le labbra, senza distogliere lo sguardo.
“Non ne sono sicuro, Cas.”
“Penso di avere formulato una buona ipotesi,” osserva Castiel. “Perché no?”
Perché ci sarai tu, è il pensiero spontaneo di Dean, sarai bloccato lì e non te ne potrai più andare svolazzando, come fai di solito.
E non sa bene come, Castiel non gli può propriamente leggere nel pensiero, ma forse i suoi occhi lo stanno dicendo chiaro e tondo, forse è solo troppo intenso, ma l'angelo lo capisce. Dean lo sa dal modo in cui distoglie lo sguardo con la fronte aggrottata.
“Questo non è molto corretto,” gli fa notare, pacato.
Lui si schiarisce la voce e si ritrae per sistemarsi meglio sul divano, ampliando la distanza tra loro con uno slancio d’imbarazzo. Non ha idea di cosa stia succedendo da quando i Leviathan se ne sono andati, da quando Castiel è tornato Castiel e ha preso a trascorrere lì sempre più tempo, tanto che ormai più che un duo di Winchester sembrano uno strano trio. Non è tornato stabilmente in Paradiso, Dean non sa nemmeno bene quale sia la sua posizione: non gliel’ha chiesto e Castiel non ne ha parlato. Sta lì ed è sempre più vicino.
“Pensi,” mormora tanto per interrompere quello scomodo silenzio, “che il paradiso di Sam sarà nei paraggi?”
Castiel piega la testa di lato, prendendo qualche secondo prima di rispondere.
“Suppongo che la risposta che vorresti sentire sia sì,” replica con tono neutro, “ma non sono in possesso degli elementi per dartela. Non lo so.” 
“Cas, sai cosa? Sei veramente un vecchio rompiscatole,” protesta Dean agitandogli contro la bottiglia. “E smettila di fissarmi,” intima con enfasi.
Castiel lo scruta ancora per un paio di secondi, prima di voltarsi di nuovo verso il televisore, perfettamente inespressivo. Dean ne osserva il profilo per qualche secondo, reprime un sorriso e si riallarga sul divano, avvicinandosi di nuovo un po’. Soltanto un po’. Così poco che potrebbe quasi sembrare un caso che il suo ginocchio piegato si sia andato a incuneare appena sotto l’avambraccio di Castiel, quando lui glielo posa sopra.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Something new ***


Something old, something new, something borrowed, something blue

 

Some time in the future

Something new

“Cosa… Faccio ora?”
Evita di fare domande inopportune, vorrebbe rispondere Dean, stizzito.
Ci sono una marea di cose che puoi fare quando un umano maschio mezzo ubriaco decide che è giunta l’ora di piantarla con le ritrosie, i dubbi e i rigurgiti di eterosessualità oltraggiata e di comunicarti la sua intenzione di baciarti nonostante sia all’incirca maschio anche tu. E ce n’è che devi fare assolutamente. Una cosa soltanto: stare zitto.
Dean sospira, esercitando uno sforzo considerevole su se stesso per non spostare le mani dagli avambracci di Castiel, che ha stretto non sa bene se per impedire l’eventualità che quello prenda e se ne vada o se per sorreggersi, visto che gli sembra di avere poca stabilità nelle gambe.
“Magari,” mormora angosciato, “sai, taci,” scandisce.
Castiel annuisce rapidamente.
“Quindi… Sto qui?”
Dean ha un attimo di assoluto sconforto. Castiel è lì davanti con l’espressione più placida del mondo e ha lo sguardo attento: sembra il solito scolaretto nel primo banco che aspetta diligentemente di prendere appunti. Lì nella penombra della stanza, con Castiel appoggiato al muro contro cui l’ha spintonato e i suoi occhi vagamente esitanti, Dean si chiede cosa stia facendo, seriamente. È impazzito?
Oggi ha rischiato la vita, e per la verità non è ancora fuori pericolo. Non dovrebbe succedere, a uno che ha affrontato le creature più pericolose e temibili di sempre in svariate occasioni, ma si è quasi fatto ammazzare da un banalissimo licantropo. Un attimo di disattenzione che gli è valso una ferita aperta sul fianco e la quasi assoluta certezza di doversi sparare in testa o dover chiedere a Sam di farlo per lui. Cas gli aveva detto che non ci sarebbe stato per il resto della settimana e domani c’è ancora la luna piena.
L’ha comunque chiamato con tutte le sue forze, speranzoso, ma non l’ha visto arrivare e si è sentito annegare. Non ha osato rientrare in camera se non in mattinata, sapendo che Sam sarebbe stato fuori. L’ha sentito al telefono – il fratellino voleva sapere se era tutto a posto e se aveva visto tracce del licantropo nella sua ricognizione, e Dean ha risposto sì e no rispettivamente. Sapeva di doverlo richiamare per dirgli di venire prima del tramonto, ma non ci è riuscito per ore. Ha continuato a pensare che una volta avviata quella telefonata gli sarebbe rimasta forse un’ora di vita, il tempo che suo fratello smettesse di fare quello che stava facendo – il nerd occulto in cerca di collegamenti nel caso, verosimilmente – e arrivasse lì con una pistola caricata ad argento. Poi ci sarebbe stata la solita scaramuccia “non ti ucciderò, sì mi ucciderai, no non lo farò, lo farai perché non c’è scelta”, e addio per sempre Dean Winchester.
Non si sentiva pronto per morire e Castiel poteva sistemarlo. Lo aveva fatto quando era stato morso da Eve e poteva rifarlo ancora, quindi Dean aveva aspettato e invocato di nuovo. Era l’unica speranza che gli rimanesse e voleva vivere. Ora che il peggio sembrava passato, ora che le cose cominciavano ad acquistare una parvenza di senso, lui, Sam, Castiel, una sorta di trantran quotidiano – sempre in macchina per la caccia, ma senza il pensiero leggermente opprimente della fine del mondo –, non voleva proprio. Ha pensato che ha tante cose da fare, ancora.
Si è messo a bere, prendendo tempo, e più beveva più gli sembrava ingiusto. Dopo aver dato tutta la sua vita alla causa, ora doveva farsi sparare da suo fratello per non diventare un mostro. Senza nemmeno l’ultima scopata. Senza aver mai concluso davvero nulla. Senza che nessuno tranne Sam rimanesse a piangerlo, senza una scena finale strappalacrime di quelle che spettano a tutti gli eroi, stretti tra le braccia dell’anima gemella. Che schifo di vita.
Si è scolato una cassetta di birre prima che Castiel comparisse nel vano della porta.
“Dean,” ha esordito.
Lui si è voltato di scatto a guardarlo, e paradossalmente la prima cosa che ha pensato non è stata “sono salvo”. È stata “sei qui con me”. L’ha fissato quasi in tralice e si è sentito traboccare, gli è venuto in mente che la cosa peggiore di tutte nell’idea di morire prima dell’arrivo di Castiel era non chiarire niente. Non l’hanno mai fatto veramente, il tradimento, il Castiel dio, le sue proclamazioni su quanto si fosse sentito ferito e tutto quel che ne è seguito sono passati sotto un silenzio stampa imbarazzante. Non ha mai nemmeno detto quanto sia felice di averlo di nuovo lì.
“Cas,” ha biascicato alzandosi in piedi.
“Quanto alcol hai assunto?” ha domandato l’angelo senza scomporsi, avvicinandosi di un passo per sorreggerlo. Invece di appoggiarsi a lui Dean gli si è scaraventato addosso e l’ha sbattuto contro il muro alle sue spalle, per poi guardarlo in faccia con una mistica e terrificante illuminazione.
“Penso di doverti baciare.”
Castiel ha spalancato leggermente gli occhi. Non ha detto né “non capisco”, l’ipotesi che lui riteneva statisticamente più probabile, né “sono un angelo, non mi puoi baciare, né “sei pazzo”.
Ha detto:
“Adesso?”
Dean si è limitato ad annuire e avvicinare leggermente la testa. È a questo punto che Castiel ha continuato a parlare.
“Cosa… Faccio ora?”
 
 
“Lascia perdere.”
Le sue mani lasciano le braccia di Castiel, il suo torace arretra. Riporta il peso sulle gambe e scuote la testa.
“Sono ubriaco. Io… Morirò,” aggiunge serrando la mascella.
Castiel aggrotta la fronte e lo osserva perplesso.
“…Non capisco,” dice finalmente. “Perché ci devi pensare ora? Non è…”
“No,” lo interrompe Dean. “Morirò oggi. Stasera, se non fai qualcosa.”
Castiel si allontana dalla parete e lo osserva con sincera inquietudine. Appena visibile, ma autentica.
“Cosa intendi?”
Dean prende un respiro profondo, prima di sollevare la maglia e scoprire il fianco. Non è una ferita profonda, i denti della belva gli hanno a malapena scalfito la pelle. Ma è sufficiente.
Castiel si acciglia nel piegare la testa per guardarla da vicino.
“Cos’è?”
Dean serra le labbra prima di parlare.
“Licantropo. Puoi sistemar…?”
Non fa nemmeno in tempo a finire la domanda: la mano di Castiel si posa sulla sua pelle nuda e Dean avverte quella sensazione familiare di splendente pulizia che scorre quando Castiel utilizza il suo potere, e già la ferita ha smesso di bruciare. Svanita, come i brutti pensieri.
“Grazie, Cas.”
L’angelo si limita ad annuire, dargli le spalle e osservare il nulla fuori dalla finestra.
“Quella cosa è morta?” chiede.
Dean annuisce, anche se non lo sta guardando.
“L’ho ucciso subito… Dopo.”
Castiel rimane immobile per qualche lunghissimo secondo.
“Quindi… Volevi…” Sembra essere messo in difficoltà dalle scelte lessicali per questa frase. “Pensavi di morire. Era dovuto a questo il tuo tentativo di congiungere la tua bocca…”
“Santo dio!” lo interrompe Dean tra la vergogna e l’orrore. “Quello è l’alcol, Cas.”
Castiel è ancora estremamente serio e ha la fronte aggrottata, con attenzione.
“Questo significa che l’alcol ti fa fare cose completamente contro la tua volontà?”
Dean si rende conto che questa conversazione è l’ultima cosa che vorrebbe gli accadesse nella vita, e ci si è buttato con le sue stesse mani. Pensa di dover rispondere qualcosa di vago e incomprensibile ma lo sguardo trasparente di Castiel lo inchioda. Sono occhi a cui è difficile non dire la verità.
“No, è più… Una rimozione dei freni inibitori, tecnicamente.”
Castiel lo scruta, socchiude le labbra e scuote la testa.
“Questo significa che non è contro la tua volontà,” deduce, standosene lì con le mani lungo i fianchi, piantato in mezzo alla stanza.
Dean prende un respiro profondo.
“Non… Cas, possiamo saltare questa parte?” sbotta esasperato. “Sono appena quasi morto, perché non ci limitiamo a sederci e…”
“No,” lo interrompe l’angelo, stranamente brusco. Scuote la testa con un suono sconnesso. “Non capisco. Tutto questo…” S’interrompe e gli volta nuovamente le spalle, facendo un paio di passi. Sembra abbastanza inquieto, che trattandosi di lui non è mai un buon segno.
“Cas?”
“Tutto questo è nuovo, per me,” afferma Cas a voce bassa, rimanendo voltato. “Non sono sicuro di sapere come fronteggiarlo.”
Dean muove automaticamente un passo indietro.
“Questo cosa? Di cosa stai…?” azzarda allarmato.
“Non lo so,” risponde Castiel tornando a guardarlo. “Non so che cosa sia, non fa parte di me.”
Dean tenta penosamente una mezza risata nervosa.
“Cas, credo che qui ci sia un gigantesco fraintendimento e…” inizia ragionevole.
“Dean,” replica l’angelo ritrovando la calma. “Sono consapevole di non avere conoscenze empiriche sufficienti per comprendere completamente le dinamiche delle relazioni interpersonali umane,” afferma sicuro, “ma proprio per questo mi rendo conto che qui sta succedendo qualcosa e che non è previsto che succeda. Non a me.”
“I-io non…” farfuglia Dean desiderando profondamente di avere la sua stessa capacità di vaporizzarsi a suo piacimento. Adesso. “Non a te?” ripete poi con foga, quasi avesse capito le sue parole solo in questo momento. “A me sì? Mi vedi spesso attaccare bottone con gli uomini?”
Castiel sospira pazientemente.
“Non è la stessa cosa, De…”
“No! È peggio!” concorda lui enfatico. “Io qui sono quello che sa perfettamente cosa vuole! Una donna, figli… Questo è il sogno perfetto. O tante donne,” blatera agitato.
Castiel lo fissa inespressivo.
“Nessuno te lo impedisce. Questo non toglie che tu abbia…”
“Sì invece! Tu… Tu non…” Dean espira rumorosamente. “Sai una cosa? Io adesso accenderò il televisore e mi guarderò una bella partita di football aspettando che mi passi completamente la sbronza.
“Dean.”
“E non ne parleremo mai più.”
“De…”
“Mai! Più, Cas!” ripete secco, afferrando il telecomando e puntandolo verso lo schermo. “Sul serio.”
L’angelo stringe le labbra, guardandolo in silenzio per un paio di secondi.
“Bene,” commenta atono. “Se non ti serve altro, avrei cose più urgenti di cui occuparmi.”
Dean non fa in tempo né a rispondere né a salutare: Castiel è già scomparso.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Something borrowed ***


Something old, something new, something borrowed, something blue

 

Some time in the future

Something borrowed

Il tavolino del motel è troppo piccolo per la mole ingombrante di Sam: chinato lì sopra a fare colazione sembra essere stato invitato a casa dei sette nani per un rinfresco. Ma sta sbranando il suo spuntino con gusto e pare di ottimo umore.
“Bella giornata?” s’informa Dean, ancora sbadigliando.
“Già,” risponde Sam senza nemmeno smettere di masticare. “Sai… Quelle mattine in cui ti svegli e ti sembra fantastico?”
A Dean piace vedere suo fratello allegro. Non succede così spesso come vorrebbe, anche se ultimamente è molto più frequente. Gli sorride di rimando e scrolla la testa.
“No, rebus, cosa intendi?” scherza.
Sam lo guarda storto per gioco e prende un’altra cucchiaiata.
“Beh, quando… Quando ti alzi dal letto e pensi che ti aspetti solo una normale giornata da cacciatore,” spiega distrattamente, prima di sorridere. “Sì, non dovrebbe sembrare normale ma ehi… E’ la nostra vita, no?” aggiunse con una scrollata di spalle.
“L’hai detto,” risponde Dean, sporgendosi a rubargli un paio di cereali. “Quindi cosa prevede la nostra normale giornata, dottor Xavier?”
Sam soffoca una risata e si schiarisce la voce per farsi serio.
“Ho trovato un possibile caso,” annuncia, allungandosi a prendere il giornale sulla sedia accanto per poi passarglielo.
“Vediamo…”
“Ah, potremmo avere bisogno di un terzo uomo, per questo,” aggiunge Sam, mentre lui legge avidamente un trafiletto piuttosto inquietante sul terzo morto sventrato dentro una stanza chiusa in una ridente cittadina del Michigan.
“Hai qualche idea su cosa sia a uccidere?” s’informa sollevando lo sguardo.
Sam si stringe nelle spalle, prima di piegarsi verso di lui.
“Ho trovato l’e-mail di questo tizio sul suo profilo Facebook e l’ho piratata,” inizia serio.
“Wow, Gates, sei sempre più sveglio.”
“Seriamente, Dean,” lo riprende Sam, che sembra aver perso la voglia di scherzare. “Ha mandato una mail a un amico. Indovina cosa raccontava?”
Dean lo guarda interrogativo e Sam ricambia con aspettativa.
“Cosa, pensi di dirmelo o dobbiamo passare la giornata così?” sbotta Dean dopo un lungo silenzio.
Indovina significa che… Ok, allora,” sospira Sam con un cenno vago della mano. “Sostiene di essere stato pedinato da un pellerossa con tanto di copricapo piumato e tatuaggi tribali che brandiva un tomahawk, da cui sarebbe sfuggito per un caso fortuito perché nella corsa si è imbattuto in un gruppo di persone. Il pellerossa è sparito.”
Dean sgrana gli occhi.
“Quindi cos’abbiamo, il fantasma di Toro Seduto?”
“Stavo pensando a un trickster. Uno vero,” ribatte Sam senza assecondarlo.
Dean aggrotta la fronte.
“Vuoi dire uno che in realtà non è un Arcangelo in incognito?”
Sam stringe le labbra e non risponde, con espressione eloquente.
“Potrebbe farci comodo un aiuto ultraterreno,” aggiunge poi. “E a questo proposito, Cas si è fatto vivo solo due volte in tre settimane, ed è rimasto pochissimo. Credi che ci siano problemi in Paradiso?”
Dean torna a osservare il giornale, vago.
“Ce l’avrebbe detto,” risponde sbrigativo.
“Cas? Quello che non racconta le cose nemmeno sotto minaccia?” ribatte Sam scettico. “…Voi due non avete discusso, vero?” aggiunse sospettoso.
Dean quasi sussulta e solleva lo sguardo di scatto, cercando di sembrare stupito e non colpevole.
“Discusso? Perché mai?”
Sam sbuffa sgranando gli occhi.
“Oh, non saprei,” commenta. “Magari perché ci ha venduti a Crowley e ha tentato di sbaragliare il mondo, perché un paio d’anni fa ha tolto il muro nella mia mente o per un’altra delle cose di cui non avete mai parlato mentre lui era sano di mente.”
Dean si schiarisce la voce e scuote decisamente la testa.
“E’ acqua passata. Io e Cas siamo ok,” afferma.
Anche troppo.
“Bene,” conclude Sam soddisfatto. “Allora direi che è ora di chiamarlo.”
 
 
“Sono felice che continuiate a pensare che io non abbia niente da fare se non accorrere a ogni vostro appello.”
La voce di Castiel non è né ironica né risentita, ma perfettamente piatta. Sam ridacchia nel piatto d’insalata. Il diner è mediamente affollato e loro tre passano perfettamente inosservati.
“Lo sappiamo, Cas,” commenta Sam pacifico. “Ora, dopo mangiato io andrò a fare un giro a casa di Michael Johnson, l’ultima vittima, e tu e Dean andrete a trovarlo in obitorio.”
Dean vorrebbe dire che ci può andare lui, a casa della vittima. Vorrebbe, ma sa benissimo che non può. Sam si insospettirebbe ulteriormente e sicuramente Cas si offenderebbe ancora di più.
“Non ho più fame,” borbotta, allontanando da sé il piatto con la bistecca.
Sam lo guarda come se avesse appena annunciato di voler prende i voti, ma lui si stringe nelle spalle con noncuranza.
“Devo aver mangiato troppo ieri sera.”
“Sei sicuro?” interviene Castiel e, al suo rapido cenno affermativo, allunga la mano e trascina il piatto verso di sé per poi impugnare la forchetta.
“Hai cambiato dieta, Cas?” chiede Sam, sorpreso.
L’angelo aggrotta la fronte, pensoso.
“Ho una specie di fame, ultimamente. Dev’essere di nuovo la passione del mio tramite per la carne rossa.”
“Quant’è che non lo fai mangiare?” s’informa Sam, comprensivo.
“Non lo so,” risponde Castiel, prendendo un primo sostanzioso boccone. “Non dovrebbe essere un problema.”
“Beh, non credo che Carestia sia nei paraggi, quindi forse è solo che Jimmy si annoia,” commenta Dean, tanto per non restare zitto. “Diamogli qualche soddisfazione.”
“Credo ne ordinerò un’altra,” afferma Castiel quasi tra sé, ingoiando la carne.
Dean lo guarda di sfuggita e poi sposta gli occhi in direzione di Sam, che ricambia con vaga perplessità.
“Bene,” sbuffa poi questi, pulendosi le labbra. “Io comincio ad andare a casa di Johnson. Ci sentiamo più tardi, ok?”
Dean lo osserva alzarsi e sparire con il profondo desiderio di implorarlo di rimanere lì. Poi sposta l’attenzione su Castiel che, testa nel piatto, finisce la bistecca. Sospira, alza la mano in direzione della cameriera e indica il tavolo.
“Un’altra… grazie.”
Castiel pulisce il fondo del piatto con un dito e se lo porta velocemente alle labbra. Dean distoglie lo sguardo con una smorfia.
“Quello non è un comportamento socialmente appropriato,” gli fa notare.
“Mi dispiace,” risponde Cas automaticamente, riabbassando la mano. “Non ho resistito.”
Dean aggrotta la fronte, appoggiandosi contro lo schienale.
“Cos’è questa storia della fame improvvisa, Cas? Pensi sia un problema col tuo tramite?”
L’angelo si volta verso di lui, perplesso.
“Cosa intendi?”
“Forse occupi Jimmy da troppo tempo e c’è una specie di reazione di rigetto,” ipotizza Dean facendo spallucce.
“Questo è impossibile,” replica Castiel sicuro. “Non ho la sensazione che si tratti di qualcosa di preoccupante. Ho solo fame. Molto obbligato,” conclude, avventandosi sul piatto che la cameriera gli sta porgendo prima ancora che lei abbia il tempo di emettere verbo.
“Che appetito!” ridacchia la donna, prima di allontanarsi.
Imbarazzante, constata Dean.
“Questo ti sembra normale?” commenta invece, sarcastico.
Castiel dà un morso un po’ troppo feroce.
“Non saprei, Dean,” risponde con tono privo di cadenza. “Tradire il Paradiso? Abbandonare la mia guarnigione? Questo ti sembra normale?” gli rigira contro con calma estrema. “Credo smetterò di chiedermelo, dopotutto. Mi passi la salsa?”
La domanda fuori argomento disorienta Dean per qualche secondo.
“Eh?” farfuglia, prima di allungare la mano verso il contenitore. “Tieni.”
 
 
La terza vittima, Johnson, è stata fatta a pezzi con un’arma da taglio. Se non fosse un’idea assurda, il coroner giurerebbe che si tratta di un tomahawk, l’arma tipica dei nativi americani.
“Coincide con la nostra ipotesi, Sam,” sta spiegando Dean al telefono. “Ora noi cerchiamo di andare a casa delle altre due vittime. Purtroppo i corpi non sono più visibili.”
Va bene. Io vado a parlare con l’amico di Johnson cui era indirizzata la mail,” risponde Sam spiccio. “…Come sta Cas?”
Dean si volta automaticamente verso Castiel, sul punto di dire che è tutto sotto controllo se si esclude che si è mangiato altri due hamburger lungo la via, soltanto che l’angelo non è più di fianco a lui.
“Dove ca…?” sbotta allarmato.
Dean? Che c’è?”
Lo vede un paio di secondi dopo, impalato davanti alla vetrina di una pasticceria.
“Oh, bene,” commenta, raggiungendolo velocemente. “Sembra che ora siamo passati alle voglie di dolciumi. Ci sentiamo dopo, Sammy.” Si caccia il telefono in tasca e agguanta il braccio di Castiel per tirarlo via. “Cas, non è il momento. Abbiamo del lavoro da fare, non puoi fermarti ogni dieci metri.”
“Ho davvero fame, Dean,” ribatte l’angelo, quasi mortificato.
“Beh, controllala,” esclama Dean spazientito. “Questo è il tuo corpo, sei tu che decidi.”
“Tecnicamente non è il mio vero corpo,” gli fa notare Castiel quietamente.
“Certo che lo è!” sbotta Dean, caparbio.
Sa che quelle sono le spoglie mortali di Jimmy Novak e che il vero aspetto di Castiel è un altro, uno che lui non può vedere senza morire – perché quei pidocchiosissimi angeli possono essere guardati solo da alcuni eletti di cui lui non fa parte e no, non gliene importa un accidenti.
Ma quello è Castiel. È così che l’ha conosciuto ed è così che l’ha sempre visto. Quegli occhi, quei capelli, quelle mani, quel naso sono ciò che gli viene in mente se pensa a Castiel, e non gliene importa niente di Jimmy. Quello è Castiel, tutto intero. Con quelle sembianze è venuto a lui, e il fatto che il suo sia un corpo in prestito per Dean non ha più alcun senso.
“Non ho mai assaggiato una torta,” dice l’angelo con tutta innocenza.
Dean quasi cede a quelle parole. Non aver mai mangiato una torta è una cosa estremamente triste. Ma non è il momento.
“Dopo i nostri sopralluoghi ci fermeremo a mangiarne. Ora andiamo, Cas.”
“Sono serio, Dean. Devo mangiare.”
Castiel fa resistenza. Non serve a niente tirare il suo braccio, perché oppone resistenza e Dean sa che non potrebbe mai avere ragione della forza di un angelo.
“Senti, Jimmy non può avere tutta questa…” tenta ancora per farlo ragionare.
“Questo non riguarda Jimmy,” replica Castiel controvoglia. “Non c’entra niente. Sono io. Ho fame.”
Dean socchiude le labbra, allibito.
“Co… Cosa? Credevo gli angeli non avessero queste necessità,” osserva perplesso.
“Anche io,” conferma Castiel senza particolare apprensione. “Ma ho fame e nelle ultime due ore non ha fatto che peggiorare.”
Dean si stringe nelle spalle, rassegnato, prima di irrigidirsi colto da un insano dubbio. Insano, agghiacciante, folle e stupidissimo dubbio. Le ultime due ore: quelle che sono passate da quando Sam se n’è andato per conto suo e loro sono rimasti soli.
“Credo che sia il mio turno di diventare psicopatico,” commenta, preda di quel presentimento sinistro.
Castiel non gli dà nemmeno retta, preso com’è dalla sua attenta osservazione della vetrina. Dean lo osserva un po’ più attentamente, adesso. Nei suoi occhi puntati su un grosso dolce di frutta al cioccolato c’è qualcosa di completamente inedito: bramosia.
E qualcosa gli dice che il recondito obiettivo della fame di Castiel non sono le torte né la carne rossa. Non quella bovina, per lo meno.
Molla di scatto il suo braccio, arretrando.
“Oh… Va bene, Cas,” afferma ragionevole. “Una fetta veloce.”
Castiel gli rivolge un sorriso accennato che sembra emettere luce divina prima di avventurarsi oltre la porta vetrata del negozio, e Dean pensa che forse dopotutto è stato accontentato: quel corpo non è di Jimmy Novak, non più. È di Castiel, ed è Castiel che lo fa reagire.
E Castiel esce dalla pasticceria con la fetta di torta in mano e la dà un morso sproporzionato prima ancora che la porta si sia chiusa alle sue spalle.
“Non è sgradevole,” commenta deglutendo, ed ha uno sbaffo di cioccolato sul mento e a Dean si stringe lo stomaco, mentre si fa forza e gli sorride.
“Benvenuto nel mio mondo, Cas.”




_______________________________________



Penultima parte, fatto.
(Non mi offenderò se vorrete darmi un'opinione, sappiatelo.)

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Something blue ***


Something old, something new, something borrowed, something blue

 

Some time in the future



Something blue


“Oh, eccoti qua.”

Dean non sposta nemmeno lo sguardo dallo schermo del computer. Ha intravisto il riflesso della sagoma di Castiel nell’angolo a destra, completo di trench e tutto.
“Buongiorno, Dean.”
Castiel è fermo proprio dietro di lui, adesso. Più che vederne il riflesso lo avverte, l’angelo sulla sua spalla. Prende un respiro profondo e sposta le dita dalla tastiera.
“Sam è andato a fare delle ricerche in università,” annuncia senza ragione particolare. “Ne avrà per parecchie ore, conoscendolo.”
Non sa perché lo stia dicendo. Non c’è nessuna valida ragione per informare Castiel che lui sarà lì da solo per tutta la giornata. Non c’è nessuna valida ragione per l’averlo chiamato o per il fatto di essere straordinariamente nervoso.
“Mi hai chiamato,” ribadisce l’angelo senza esprimere nessuna curiosità, anche se sembra implicita nelle sue parole.
“Sì, io…” mormora Dean, così poco sicuro di se che non gli sembra nemmeno di essere se stesso. “Ok, non è il mio genere fare discorsi blablabla ed esternare le cose, è un comportamento da Sam.”
“Lo so,” conferma Castiel. “Di solito avanzi dubbi sulla sua sessualità, quando lo fa,” aggiunge con diligenza.
Dean dà un sospiro rassegnato. Tra le molteplici e sbalorditive capacità di Castiel c’è quella molto peculiare di non rendere mai le cose semplici, senza nemmeno farlo apposta.
“Ssì,” borbotta. “Ma ho pensato… Onestamente? Non so cosa sto dicendo,” ammette nervosamente.
“Non c’è problema. È una tua caratteristica radicata e ci sono abituato da tempo,” commenta Castiel, forse nell’intento di suonare incoraggiante o comprensivo. Gli gira intorno, fermandosi al suo fianco. “Mi sembra di comprendere che stai cercando di dirmi qualcosa, è esatto?”
“Era quella, l’idea,” conferma Dean, riluttante.
“Ti sto ascoltando, Dean,” lo invita Castiel, mite.
“Sai, forse non era davvero una buona idea. Non era importante, sul serio,” si schermisce lui, sentendo l’impellenza improvvisa di alzarsi e allontanarsi di un paio di passi, mentre realizza quanto stupido sia stato chiamarlo lì. Castiel segue con gli occhi i suoi movimenti, immobile e compassato.
“Era abbastanza importante da farmi venire qui,” obietta.
Dean si guarda rapidamente intorno, quasi in cerca di una via di fuga.
“Vuoi mangiare qualcosa?” propone tanto per distrarlo, indicando il loro sfornitissimo frigo da camera.
“Sono a posto.”
“Hai sbranato un vitello lungo la strada?” ridacchia Dean senza convinzione.
Castiel aggrotta la fronte e piega il capo di lato nel suo modo insoffribile e unico di esaminarlo.
“Quello che volevi dirmi,” inizia gravemente, asettico, “ha qualcosa a che vedere con l’episodio del licantropo, forse?”
“No,” si affetta a rispondere Dean. “No, no,” sorride noncurante. “…Forse.”
Castiel lo squadra incerto.
“Non capisco la tua risposta.”
“Ma non mi dire,” mormora Dean con un profondo respiro.
“Può darsi che ti possa essere d’aiuto con una domanda diretta,” ipotizza Castiel. “Dean, perché l’altra volta… Mi sembra che la mia scelta dei termini non ti fosse piaciuta, quindi, perché volevi… Baciarmi?” E abbassa la voce sull’ultima parola come fosse qualcosa che non va detto.
Dean si pietrifica sul posto, atterrito. Come si può chiedere una cosa del genere a una persona? Chi, a parte Castiel, oserebbe mai una cosa simile? E non è forse proprio anche per quella franchezza lunare e inumana che gli è diventato così prezioso, poi? E per il suo modo di metterlo in difficoltà, di esaminarlo, di non capire, di ascoltare, di essere Castiel.
E abbandona le braccia lungo i fianchi con uno sbuffo rassegnato.
“Immagino che sia perché non volevo morire senza averlo fatto,” ammette con uno sforzo che gli pesa come un macigno. Ascolta il suono delle sue stesse parole mentre le pronuncia e gli suonano come una condanna, come una cosa folle.
“Baciare me?” s’informa Castiel come se non fosse certo di aver colto il punto.
Dean riesce solo ad annuire. Addio, voce, è stato bello.
“Perché?”
Lui si stringe nelle spalle, scrollando la testa.
“Non so. Perché sei… Cas.”
L’angelo aggrotta la fronte.
“Non ca…” E s’interrompe. “La cosa che hai detto non è una risposta logica e consequenziale.”
“Credo sia rimasto ben poco di logico. Cas… Possiamo lasciar perdere. È solo capitato. Non so neanche perché ne volessi parlare, è totalmente idiota,” ribatte Dean scrollando la testa. Vuole solo non pensarci più. Non avere troppo a che fare con Cas per un po’, magari, e far scorrere via le cose. Questo non è lui, non sono loro, non va bene.
“Certamente,” concede Castiel pensieroso. Aggrotta la fronte e lo guarda intensamente. “Stai per morire, adesso?” chiede fermo.
Dean increspa le sopracciglia, perplesso.
“No.”
“Bene,” mormora Castiel.
Una frazione di secondo dopo Dean si sente scaraventare via da terra da una forza sovrumana e sbatte la schiena con violenza contro la parete, con la stretta ferra della mano di Castiel intorno al suo collo e i piedi sospesi nel vuoto. Non respira.
“E adesso?” chiede l’angelo, scientifico.
“F…Forse?” annaspa Dean senza fiato, boccheggiante. Magari è una nuova fase schizofrenica di angelo caduto, nel qual caso, senza un pugnale angelico in tasca, è completamente e inesorabilmente fottuto. Si divincola per puro istinto, consapevole di come sia inutile.
“Qualche ultima cosa che vorresti fare prima di morire?” s’informa Castiel, duro e accigliato. “Ti suggerisco di pensarci rapidamente, se le mie cognizioni non sono errate hai bisogno di respirare entro i prossimi quaranta secondi.”
Dean non sa se ridere o cercare di colpirlo, adesso. Nel dubbio, emette un penoso suono strozzato.
“S…Sì,” sibila, allungando una mano a tentoni fino a sentire sotto le dita il tessuto e poi la spalla di Castiel, le cui dita allentano la presa quel tanto che basta a fargli arrivare un po’ d’aria. Quella che occorre per non perdere conoscenza e sporgere la testa in avanti, solo quella, fino a sfiorare le labbra dell’angelo con le proprie. Non che ci tenga, è che l’alternativa è morire.
Sono morbide. Sottili, leggere, ed è come se il suo cervello diventasse bianco e splendente e pulito, è leggerezza assoluta. Non si accorge nemmeno che i suoi piedi sono tornati a terra e che non è più costretto al muro, ora, ma aggrappato alla spalla di Castiel con la mano che aveva appoggiato lì e ha l’altra dietro la sua testa, tra i capelli, e percepisce confusamente le dita di Castiel sui fianchi, dietro la schiena, ed è tutto luce. È questo, un angelo.
Sembra di fluttuare. Anche mentre Castiel lo spinge di nuovo indietro, senza più violenza, anche mentre gli scivola tra le labbra, anche mentre Dean se lo tira contro e stringe finché non ne ha proprio più, di aria, nemmeno un alito. Si tira indietro con un ansito e un respiro profondo, gli occhi sgranati. Gli tremano persino le dita dei piedi.
“Questo…” esala intontito.
Castiel lo guarda come in attesa di una continuazione della frase che faticherà a venire. Così da vicino, guardandolo, si vede solo il blu degli occhi. Non sono umani, sono profondi e sconfinati.
“Non mi ricordo cosa stavo per dire,” ammette Dean, smarrito in tutto quel blu intimamente allegro.
“Non capisco.”
A Dean scappa un accenno di risata. Riesce a vederla dall’esterno, adesso: la scena più sbagliata e senza senso dell’universo, che non può essere da lui. Ma in fin dei conti, se dovesse stare a fare il conto di tutte le cose sbagliate e senza senso che ha fatto da quando una mano ultraterrena l’ha portato via dall’Inferno, ci si perderebbe.
Non c’è un solo gesto. C’è solo quello sguardo, lì, quasi tangibile. C’è un grande blu.
“Cosa sto facendo?” chiede Castiel increspando leggermente il contorno degli occhi, quasi parlando a se stesso. E mentre lo fa muove le dita sulla sua spalla, osservandole come se non appartenesse a lui, quella mano che accarezza.
“Hai minacciato di uccidermi per farti baciare,” gli rammenta Dean pronto. “E questo non è un modo accettabile per farsi baciare da qualcuno, Cas. Non sei proprio capace, sul serio,” afferma con tono paziente.
“Mi dispiace,” risponde l’angelo, forse con una punta d’ironia nella voce. “E’ l’unico che mi sia venuto in mente. Forse me ne puoi spiegare di più appropriati,” propone, con la sua solerzia da primo della classe.
“Mi farò venire qualche idea,” concede lui, prima di sporgere nuovamente il viso in avanti. Il blu si fa sfocato ma sempre ugualmente terso finché non diventa una sola macchia, mentre bacia di nuovo Castiel, l’angelo, il salvatore, il traditore, l’amico, e gli sale dentro una voglia e un bisogno di esplorarlo tutto, di scoprire la mappa dell’essere che esiste da tutto il tempo del mondo, e che emana quasi calore, adesso, e una parte di Dean che finora si era assopita nell’incredulità e nella riluttanza si risveglia, chiedendosi con psicotico interesse come debba essere scopare con una creatura del genere e quali sensazioni possa provocare.
“La tua mano sulle mie natiche fa sempre parte di questo evento?” mormora Castiel in un soffio sulle sue labbra, incuriosito.
“Tassativamente,” conferma Dean spingendolo indietro, verso un letto, una sedia, un divano, ma anche un cornicione o un filo della luce andrebbero bene, e stringe le dita spingendosi contro di lui finche gli giunge all’orecchio il suono leggerissimo e insieme quasi assordante di un gemito che sembra musica.
Dean si stacca giusto per il tempo necessario a spingere Castiel sul materasso, ed è anche il momento in cui si accorge della porta della stanza che è aperta e della grossa sagoma impietrita sul limitare della camera.
Sam ha la bocca completamente aperta, gli occhi sgranati – uno più dell’altro, come se fosse vittima di qualche specie di tic – e l’espressione più allibita, incredula e agghiacciata che un Sam possa avere. La borsa del portatile pende floscia lungo il suo fianco e la sua mano è aggrappata alla porta, più che appoggiata.
“Sammy,” esordisce Dean stordito. Castiel si volta di scatto, sicuramente colpevole e pieno di vergogna. Non è una cosa da bravo angelo, quella che stava facendo.
“Co… Cos… Co…?”
Dean decide sull’istante che la cosa più sensata è sdrammatizzare, prima che suo fratello si metta a urlare o fracassare qualcosa per il panico, agitandosi con la stazza che ha.
“Cosa? Te lo avevo detto che io e Cas siamo ok,” afferma con tutta la tranquillità che può mettere insieme in questo momento cioè, ne è consapevole, ben poca.
“Di cosa stai parlando?” chiede Castiel tornando a guardarlo.    
Sam emette un suono gutturale. È bianchiccio e quasi barcollante.
“Io… Vado a… Buttarmi in un pozzo,” biascica con gli occhi ancora sgranati, voltandosi per allontanarsi precipitosamente.
Castiel si raddrizza meglio sul materasso.
“Lui… Starà bene?”
“E’ sopravvissuto a quell’altro pozzo,” taglia corto Dean, ripromettendosi di chiarirsi col fratello. “Stavamo dicendo, Cas?”





_________________________________________




Bien.
E la scemata è finita.
So che è una storia davvero da nulla, ma è stato divertente scriverla e cominciare a prendere un po' di familiarità coi personaggi. Se vi va di lasciare un'opinione, tanto meglio, altrimenti ci si vede con la prossima storia.
Grazie.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1064748