Where my tears *go*?

di _Miwako_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** My years ***
Capitolo 2: *** Kisses Station ***
Capitolo 3: *** So far, my gentleman ***
Capitolo 4: *** So close, my lady ***
Capitolo 5: *** Not a ***
Capitolo 6: *** Don't leave me alone. Because I love you. ***



Capitolo 1
*** My years ***


ANNI

ATTENZIONE: tutti i personaggi appartengono a Mika Kawamura.

 

MY YEARS

-         Cosa?! America? –

-         Sì, Miyu. Ti avremmo lasciata qui in Giappone, se solo fossi riuscita a contattare un amico che poteva ospitarti. Purtroppo, devono aver cambiato il loro numero e ho perso il loro indirizzo. Perciò, verrai con noi. –

Miyu Kozuki sorrise tra sé, con aria sognante. L’America… qualcosa di completamente sconosciuto! Aveva sempre desiderato visitarla e ora poteva addirittura viverci! Tuttavia le dispiaceva lasciare il Giappone, dopo averci vissuto per 13 anni… Miki, sua madre, la guardò con aria speranzosa.

-         Allora, Miyu, è tutto okay? –

Dopo un attimo di esitazione, la ragazza annuì.

-         Sì. – disse, prendendo fiato. – vengo con voi. - //

Sei anni dopo, un aereo da New York atterrò all’aeroporto di Tokyo. Tra la folla, una ragazza bionda riuscì a farai strada con le sue valige e a uscire dall’edificio. Guardò il cielo terso con un sorriso, mentre teneva premuto un cappello di paglia sulla testa, in modo che il vento non glielo portasse via.

-         Sono tornata. – sussurrò, prima di chiamare un taxi. //

Miyu Kozuki, 19 anni, arrivò alla sua vecchia casa, che non era stata venduta, stremata dalla fatica. Aveva vissuto più tempo del previsto a New York e la cosa non le era dispiaciuta: aveva frequentato delle buone scuole, frequentato amiche moderne e bei ragazzi. Tuttavia era tornata: ancora non si spiegava il perché. Sentiva che c’era ancora qualcosa da sistemare lì, ma non capiva cosa. I suoi genitori avevano accettato riluttanti la sua partenza, ma ad ogni modo sarebbe dovuta rientrare negli Stati Uniti entro una settimana. Si buttò sul letto e sbadigliò, guardando il soffitto. Non conosceva quasi nessuno in Giappone, non aveva amiche particolari da salutare, allora perché era tornata? Si voltò su un fianco e spense la luce: il giorno dopo, voleva visitare Tokyo. Non aveva avuto tempo per farlo. In quella settimana l’avrebbe visitata da cima a fondo, senza dimenticare nulla.

La mattina dopo, il telefono squillo presto. Assonnata, Miyu alzò la cornetta.

-         Pronto…? –

-         Miyu! Sono io! –

La ragazza scattò in piedi, arrossendo.

-         Mark… -

-         Ciao, piccola! Sei arrivata sana e salva? Com’è la tua terra natia, dopo sei anni? –

Miyu guardò fuori dalla finestra: il sole splendeva alto nel cielo e le strade erano piene di gente. Sorrise.

-         Proprio come la ricordavo. Vuoi un souvenir? –

-         Niente di speciale. Il mio souvenir sarai tu quando tornerai. Sai cosa mi hai promesso… -

Miyu avvampò, stringendo la cornetta.

-         Me lo ricordo… -

-         Bene, allora mantieni ciò che hai detto. Ci sentiamo, ora vado. Bye! –

-         Goodbye! –

Miyu riattaccò e facendosi la doccia diventò pensierosa. Il suo ragazzo, Mark, era un biondino niente male, americano. Era simpatico, divertente e dolce, sapeva farla contenta, ma c’era qualcosa che non andava in lui. Voleva tutto, troppo in fretta. Il giorno prima, quando era all’aeroporto di New York le aveva fatto promettere che al suo ritorno… avrebbero… scosse la testa, cercando di non pensarci. Non sapeva se si sentiva pronta, ma ci avrebbe pensato una settimana dopo. Indossò un vestito turchese con la gonna lunga fin sopra al ginocchio, e le maniche a sbuffo. Vide che il sole non accennava ad andarsene e visto il caldo, mise il cappello di paglia e uscì. Camminando, si guardò intorno: che bello essere di nuovo nella sua città! Aveva dimenticato tanti particolari… non sentiva nemmeno più la fatica, dopo qualche ora di cammino, mentre si fermava nei negozi, comprava qualcosa e si guardava intorno. Svoltò l’angolo e all’improvviso si fermò: assorta nei suoi pensieri era arrivata in una strada che non conosceva. Fece qualche passo. Era un viale pieno di alberi, e c’erano poche persone sui marciapiedi. Sembrava particolarmente tranquillo e lei non riusciva a ricordare di esserci mai stata e a capire come ci fosse arrivata. Camminò ancora per qualche minuto poi spalancò gli occhi, fermandosi. Si trovava ai piedi di una lunghissima scalinata di pietra. Guardò in alto, ma non riusciva a scorgere cosa ci fosse sulla collina. Incuriosita, fece qualche gradino: che ci fosse un tempio, o una villa? Doveva esserci la casa di qualche prestigiosa famiglia, molto ricca e…

-         Oh, no! – una folata di vento caldo, senza preavviso, le fece chiudere gli occhi e volare via il cappello. Si guardò intorno, sperando che fosse caduto lì vicino. Poi, alzando lo sguardo vide che stava ancora fluttuando dell’aria, molti gradini più in là, quasi in cima alla collina.

-         Stupido cappello, torna qui! – dopo aver corso per qualche gradino, si accorse che in cima alla scalinata c’era l’entrata di un tempio. Non ci pensò e avvicinandosi, si accorse che qualcuno, con un abile gesto della mano, aveva preso il suo cappello. Contro luce, non riusciva a vedere il volto di quella persona.

-         Scusi… - disse impacciata, socchiudendo gli occhi per il sole. - … quello è mio… -

Salì alcuni gradini e finalmente fu in ombra. Si strofinò gli occhi e poi guardò. Di fronte a lei, c’era un ragazzo dai folti capelli castani, dei profondi occhi scuri, alto e con delle larghe spalle. Lui alzò le sopracciglia, facendo roteare il cappello su un dito.

-         Ha detto che questo è suo? –

Miyu, inebetita, riprese lucidità e arrossì lievemente.

-         Già. Mi è sfuggito per il vento… -

Lo sguardo del ragazzo era di sfida.

-         Come faccio a crederle? Non sembra di queste parti. E’ sicura che non stia cercando di rubarlo? –

Il tono del ragazzo la infastidì e si mise sulla difensiva.

-         Ehi, per quale ragione dovrei rubare uno stupido cappello di paglia? Le ripeto che è mio e ho anche abbastanza fretta, se permette! –

Il ragazzo fece un mezzo sorriso e si diresse verso il grande tempio. Miyu, seccata, lo seguì.

-         Insomma, me lo vuole restituire? –

-         Visto che non deve perdere tempo, vada. –

-         Ma voglio indietro il mio cappello! Chi si crede di essere? –

-         Visto che è uno stupido cappello, me lo tengo io. –

-         Ma cosa se ne fa? –

-         Mi proteggo dal sole. –

-         Ma se è per donne! Mi sta prendendo in giro? –

Il ragazzo si bloccò e si voltò verso di lei con un sorriso.

-         Forse. – disse, alzando le sopracciglia. – lei che dice? –

Miyu, scocciata, scosse la testa e con un salto riuscì a togliergli di mano il prezioso accessorio.

-         Oh, che brava! –

-         Senta, mi ha fatto perdere ben cinque minuti! Come pensa di scusarsi? –

-         Scusarmi? Non ne vedo il motivo. –

Miyu lo guardò con un broncio e all’improvviso il ragazzo scoppiò a ridere.

-         Ehi, che c’è di divertente? –

-         Lei ha una faccia molto buffa! –

-         Ah, grazie mille! –

Quando riuscì a frenare la risata, il ragazzo le porse la mano.

-         Kanata Saionji – si presentò – proprietario del tempio. Lei invece è…? –

Miyu non riuscì a trattenere un piccolo sorriso. Anche se sembrava tremendamente irritante, quel ragazzo non era poi tanto male.

-         Miyu Kozuki. –

-         B’è, dopo questa sfuriata, che ne dice di pregare per farsi perdonare? –

-         Non ho niente da farmi perdonare, lei non è un monaco, no? –

-         No, ha ragione, non lo sono. Ma pregare non fa mai male, vero? –

Miyu sorrise e annuì. In fondo, che c’era di male se rimaneva ancora un po’? Si mise a pregare e quando ebbe finito, si guardò intorno. Di quel Saionji non c’era l’ombra. Avrebbe voluto ringraziarlo, anche se non ne aveva motivo. E poi, non aveva la minima idea di che strada prendere per tornare a casa.

-         Vuole un amuleto? – Kanata comparve poco più lontano, mentre ripuliva il pavimento del tempio. Aveva visto l’espressione preoccupata e interrogativa di Miyu.

-         Ah! Volevo… in realtà… -

-         Non c’è bisogno di ringraziarmi. Dovere e… -

Miyu scosse la testa, arrossendo.

-         Ehi, non sono venuta per ringraziarla. Volevo chiedere delle indicazioni, non sono mai stata in questo quartiere. –

Kanata guardò il suo orologio, poi sospirò.

-         Dove abita? –

-         Vicino alla stazione. –

-         Va bene, la accompagno. Sarebbe troppo complicato da spiegare. –

Si incamminarono verso casa di Miyu. Così, lei ebbe modo di scoprire che Kanata aveva la sua stessa età, viveva nel tempio con suo padre, anche se quasi tutto il tempo era in pellegrinaggio.

-         E non soffre di solitudine? –

-         No. Esco spesso. –

-         Ah… probabilmente, avrà una ragazza… - Miyu si pentì subito di quelle parole e arrossì. Così poteva crearsi un equivoco. Tuttavia, Kanata rispose in tutta tranquillità.

-         Già. –

Da quella risposta, Miyu provò un senso di delusione, ma non capiva il perché. Arrivarono di fronte a casa sua.

-         Ah, è qui che abito. Grazie mille per avermi accompagnata. –

-         Fa niente. Vengo spesso da queste parti. –

Rimasero qualche istante in silenzio. Miyu voleva in qualche modo trattenerlo, e non riusciva a comprendere la sua agitazione. Ma Kanata fece un passo indietro.

-         Allora, arrivederci… -

Miyu si stava scervellando per trovare un modo. Poi le venne un’idea.

-         Aspetti! –

Kanata si voltò, sorpreso.

-         Sì? –

Miyu esitò, ma poi si fece coraggio.

-         Dato che sono tornata da New York dopo tanto tempo, non mi ricordo molte strade e non conosco nessuno. Non è che lei… potrebbe… farmi da guida? Ovviamente, se ci sono dei problemi, è lo stesso… cioè… -

-         Non c’è problema. Non lavoro durante l’estate. – la interruppe Kanata e per un attimo sembrò stupito delle sue stesse parole. Miyu era raggiante.

-         Allora, che ne dice se vengo da lei domani mattina e poi facciamo un giro? –

Kanata ci pensò un attimo.

-         Forse è meglio se vengo io da lei. Alle undici, okay? –

Miyu annuì e poi si salutarono. Chiudendosi la porta alle spalle, si morse il labbro inferiore con un sorriso. Ma perché l’aveva fatto? Eppure era incredibilmente contenta. Non c’era mica niente di male. Era solo una “guida”. Così, si sarebbe divertita di più. Posò le chiavi di casa sulla tavola, pensando che il giorno dopo sarebbe stato molto interessante. E, non se ne rendeva ancora conto, non sarebbe stato solo quello ad esserlo…CONTINUA…

 

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Capitolo 2
*** Kisses Station ***


KISSES STATION

 

Quella mattina presto, Miyu, che in vacanza si svegliava sempre tardi, era già in fermento. Si guardò allo specchio, facendo una smorfia: si era vestita con un tailleur bianco. Troppo elegante, avrebbe potuto sembrare fatto apposta per l’occasione. Se lo tolse e alla fine optò per dei jeans bianchi alla pinocchietto e una t-shirt rosa lunga fino alle ginocchia. Proprio quando aveva appena finito di pettinare i codini, sentì il campanello suonare. Chiuse la porta del bagno con un botto assordante, inciampò sui suoi stessi piedi, rischiò di scivolare dalle scale mentre correva e nella frenesia andò a sbattere contro l’appendiabiti facendo crollare tutti i cappotti. Cercando di darsi un contegno, si alzò in piedi e finalmente aprì la porta.

-         Salve! – di fronte a lei, Kanata fece un cenno della mano. Miyu, mentre lo salutava, si sentì infastidita da quel suo continuo avvampare: arrossiva in continuazione quando lui le compariva davanti e le sembrava di essere una bambina. Proprio quando stavano per uscire, il telefono cominciò a squillare. Miyu esitò, seccata per l’interruzione, poi lanciò uno sguardo a Kanata.

-         Ti dispiace se rispondo? –

Kanata scosse la testa.

-         Non c’è problema. –

Miyu alzò la cornetta e sbraitò:

-         Pronto! –

-         Miyu, che ti prende? Sono Mark! –

All’improvviso, come se le avessero tirato addosso una secchiata di acqua gelida, Miyu si ricordò di Mark. Se ne era completamente scordata dalla mattina prima e non aveva fatto altro che fluttuare per le stanze di casa pensando a quel giorno. Si sentì in colpa, anche se cercò di consolarsi pensando che non aveva fatto niente di male, a cercarsi una guida, anche se questi era proprio un ragazzo.

-         Ah… ciao… -

-         Ehi, perché parli sottovoce? –

-         N-no, che dici? Non è niente. –

-         Mmm, sei piuttosto sospetta! Non ti sarai già trovata un ragazzo con cui tradirmi, là in Giappone, eh? –

Mentre il suo tono di voce era scherzoso, Miyu si sentì trasalire. Guardò verso l’uscita e vide Kanata sbadigliare guardandosi intorno, in attesa. Deglutì, perché quel giorno era più bello di quello prima… poi ritornò sulla Terra e si ricordò che stava parlando con il suo ragazzo.

-         Miyu… sei ancora lì? –

-         Eh, sono ancora… certo, certo! E’ che adesso ho un po’ da fare… -

-         Hai ragione, il tempo è denaro! Però volevo parlarti di una cosa… -

Miyu lanciò un’occhiata verso Kanata. Nonostante lui non sembrasse infastidito dall’attesa, Miyu si sentiva veramente maleducata.

-         Ora devo proprio andare, Mark, ne parliamo un’altra volta. –

-         Mh… si va bene… goodbye…. –

Miyu riattaccò velocemente e corse nel giardino, chiudendosi la porta alle spalle.

-         Scusami se ti ho fatto aspettare. –

-         Fa niente. –

Rimasero in silenzio per qualche istante, uscendo dal giardino verso il marciapiede.

-         Il ragazzo? – chiese all’improvviso Kanata e Miyu sentì un brivido percorrerle la schiena.

-         Ah, no… cioè… sì… più o meno… ehm… -

-         Allora, direi che la prima tappa potrebbe essere Harajuku. Ci ho pensato e visto che siamo vicini… -

Miyu non capiva perché lui avesse troncato a quel modo il discorso, come se volesse levarle l’imbarazzo. In effetti, non capiva molte cose di lui. Era gentile ma scontroso, chiaro e diretto ma di poche parole. Fecero il giro della maggior parte della città, visitarono i luoghi più interessanti e parlarono molto di sé stessi. Miyu scoprì, così, che parlava molto scorrevolmente l’inglese e scambiando due parole in questa lingua con lui, sentì che la sua pronuncia era molto migliore della sua, nonostante avesse vissuto per sei anni a New York. Si trovavano nella strada di un mercatino di quartiere, quando qualcuno chiamò Kanata. Lui si voltò.

-         Ah, Santa! –

Un ragazzo dall’espressione incredibilmente buffa si avvicinò con un cenno della mano. Quando notò Miyu, si stupì.

-         Ah, Kanata… che ci fai da queste parti? –

-         Un giro. –

Santa lanciò un’occhiata a Miyu che ricambiò lo sguardo con un sorriso interrogativo.

-         E questa signorina, è…?

Kanata sembrò per un istante a disagio, ma poi riprese il suo tono distaccato di sempre.

-         Un’amica. –

Miyu gli lanciò un’occhiataccia scherzosa e si presentò.

-         Miyu Kozuki, piacere. Vengo da New York e Saionji mi fa da guida qui a Tokyo. –

Santa fece uno sguardo malizioso verso Kanata.

-         Una guida, eh? Beh, mio caro Saionji, sei più GENTILE di quanto ricordassi. Ti ricordo che da queste parti, ti conoscono in MOLTI  e certa gente potrebbe essere PROPRIO qui vicino, e potrebbero anche stupirsi di tanta GENTILEZZA. – il tono di Santa aveva un significato che Miyu non riusciva a cogliere. Kanata, però, sembrava aver capito benissimo.

-         Comunque, adesso dovevamo proprio andare a prendere la metropolitana. Per cui, se vuoi scusarci… -

Santa guardò con aria strana i due che si allontanavano. Gli era sembrato molto strano lo sguardo di Kanata, in quel momento. Non aveva mai visto su di lui un’espressione così serena e felice. Intanto, Miyu e Kanata si dirigevano verso la stazione, quando vennero di nuovo interrotti. Questa volta, però, si fermarono sentendo uno strano e profondo sibilo da dietro di loro. All’improvviso, Kanata prese Miyu per un braccio e la spostò di un metro da lui, a tutta velocità.

-         Ehi, ma cosa…! –

In una frazione di secondo, accanto a loro si materializzò uno strano essere enorme, con il fumo che gli usciva dalle orecchie e un armadio di scarpe tra le mani. Dopo qualche istante, però, l’essere si trasformò in una ragazza. Miyu rimase stupita nel vederla: era una ragazza bellissima, dai lineamenti perfetti e dei curatissimi capelli rossi. Non aveva mai visto una ragazza così perfetta.

-         Kanata, ciao! Che ci fai da queste parti? – la ragazza si attaccò al braccio di Kanata come se ci si fosse legata con delle catene e poi lanciò un’occhiata indifferente a Miyu.

-         E lei… chi è?

-         Ah… ehm… Miyu Kozuki, invece lei…? –

La ragazza fece un sorriso fiero, porgendole la mano che non era avvinghiata al braccio di Kanata.

-         Christine Hanakomachi, futura signora Saionji. –

Miyu sentì un nuovo brivido percorrerle la schiena, come una ventata gelida. Futura signora SaionjiKanata era giovane, aveva già intenzione di sposarsi? Mentre i due parlavano, Miyu pensò che in fondo poteva anche avere fretta, dato che aveva la fortuna di stare insieme ad una ragazza così bella. Nonostante questo, si sentì davvero delusa.

-         Allora… che ci fate voi due in giro? Non mi pare di averla mai vista da queste parti, signorina Kozuki… -

-         Ah… ehm… infatti non sono di queste parti. Vengo da New York. –

-         Oh, che bellezza! E… da quando vi conoscete?

Kanata intervenne e Miyu notò che il suo sguardo era diventato incredibilmente freddo, quando la guardava, da quando era arrivata Christine.

-         Ci siamo incontrati per caso e le faccio da guida. –

Gli occhi della ragazza si fecero scintillanti.

-         Davvero? Che meraviglia! Kanata, sarà meglio che mi aggreghi a voi, tu non conosci i posti migliori della nostra città! Oppure… avete qualcosa in contrario?

Miyu e Kanata non dissero niente, ma fecero un cenno negativo, per cui Christine cominciò a farli camminare da una parte all’altra della città, mentre Miyu guardava con apprensione l’orologio, lanciando sguardi significativi a Kanata, che però era costantemente impegnato a dare ascolto alla sua ragazza. Nel guardarli, Miyu si rese conto che erano davvero una bella coppia. Stavano proprio bene insieme… entrambi di bell’aspetto, sicuri di sé e intelligenti. Si sentì inferiore per qualche istante, poi scosse la testa e si convinse a non pensarci. Alle sette mezzo di sera, quando ormai si era fatto buio da un bel pezzo, Kanata lanciò uno sguardo all’orologio per poi accorgersi dell’orario.

-         Accidenti! Kozuki, stiamo per perdere il treno delle sette e tre quarti! Dobbiamo correre, o entrambi rimarremo fuori casa! –

Christine gli lanciò un’occhiata dispiaciuta.

-         Oh… scusa, non mi sono accorta del tempo che scorreva. La stazione è a dieci minuti da qui, potete farcela di sicuro! Vi saluto, a domani Kanata! – gli lanciò un bacio, prima che i due si mettessero a correre verso la stazione.

Mentre svoltavano l’angolo, sempre di corsa, Miyu borbottò qualcosa tra sé.

-         Che c’è? – chiese Kanata, sentendo il tono di Miyu come una lamentela.

-         Niente. Che c’è?

-         Niente. –

-         … -

-         Avanti, qual è il problema? –

-         Stiamo correndo, non posso sprecare fiato! –

Entrarono in tutta fretta dentro alla stazione, andarono alla loro piattaforma, ma proprio in quel momento il treno per l’altra parte di Tokyo stava partendo e non c’era modo di recuperarlo. Miyu sospirò esasperata, buttandosi sulla panchina d’attesa assieme a Kanata. Rimasero in silenzio per qualche secondo, increduli.

-         E adesso che si fa? – chiese Miyu. La coincidenza seguente era alle undici di sera.

-         Non ne ho la più pallida idea. –

Miyu si spazientì.

-         Ma insomma, conoscerai qualcuno qui in giro, che ci possa ospitare per qualche ora, no?!

Kanata scosse la testa e sentì la ragazza borbottare di nuovo. Si voltò verso di lei, infastidito.

-         Mi vuoi dire cosa diavolo hai da borbottare? –

-         Mi stavo solo chiedendo come abbiamo fatto a perdere il treno, con tutto il tempo che abbiamo avuto. –

-         Abbiamo semplicemente fatto tardi. –

-         E so anche per colpa di chi. –

Le parole le erano scivolate dalla bocca senza poterle fermare e Miyu distolse lo sguardo dagli occhi di Kanata, rendendosi conto di quello che aveva detto. Ovviamente, lui aveva capito a chi si riferisseMiyu non riusciva a capacitarsi del modo in cui si trovava a suo agio con lui, come se fossero vecchi amici. Lo conosceva da un giorno, come poteva già avere la sfacciataggine di criticare… la sua ragazza?

-         Che intendi dire?

Tuttavia, ormai che l’aveva detto non poteva di certo tirarsi indietro.

-         B’è, se ci fossimo avviati verso questa stazione alle sette e un quarto, avremmo avuto il tempo di fare i biglietti alla biglietteria, timbrarli, aspettare il treno, salire e trovare un posto. Ma era ovvio che l’avremmo perso, avviandoci di corsa alle sette e mezzo.

-         Ehi, cos’è quel tono? Fino ad adesso ti ho fatto solo favori, un treno perso non è niente di grave! –

-         Ah, è un favore farmi impazzire per riprendere il mio cappello? Se non sbaglio, non sei stato molto gentile!

-         E’ la tua immaginazione! –

-         Io sono perfettamente realistica! –

-         Non farmi ridere! –

-         B’è, di certo non è stata la mia fantasia a farci arrivare in ritardo, ma la tua ragazza…! –

Kanata la fissò e Miyu arrossì di imbarazzo. Accidenti, a essere così fredda non sarebbe di certo riuscita a fare la pace! Ma era fatta così. I questi casi era molto impulsiva. Per questo, non distolse lo sguardo dagli occhi di Kanata. Lui si avvicinò e senza preavviso di alcun genere la baciò. Lei rimase spiazzata da quel gesto, tuttavia non si scostò, né si divincolò. Però, chiuse gli occhi e sentì una sferzata di energia che non aveva mai provato. Non le importava di essere in mezzo alla stazione, non le importavano tutti i guai che quel bacio avrebbe provocato, con i rispettivi ragazzi. Per una volta, voleva assaporare qualcosa che non aveva mai sentito e che nemmeno Mark le aveva saputo dare. Com’era possibile provare tante emozioni tutte insieme? Quando Kanata scostò, lei lo guardò, imbronciata e sussurrò:

-         E adesso… perché diavolo mi hai baciata?

Kanata inclinò la testa. Sembrava stupito lui stesso.

-         E cosa ne so, io?

-         B’è, l’hai fatta tu la prima mossa. Dovresti averne almeno una mezza idea. –

-         Santo cielo, quanto sei fiscale! Non ho mai incontrato nessuno come te! –

Miyu alzò le sopracciglia, arrossendo.

-         Potrebbe essere questo uno dei motivi per cui mi hai baciata? –

Kanata si avvicinò nuovamente, sospirando.

-         Potrebbe. Per chiarirmi le idee… forse… dovrei riprovarci… -

La baciò di nuovo e ancora, ancora, ancora. Miyu, spontaneamente, mise le sue braccia attorno al collo di lui sentendo un buonissimo profumo di sapone. Non era il profumo da mal di testa come quelli che vendono nei negozi. Era il suo profumo. Quando si guardarono di nuovo, Miyu chiese sottovoce:

-         E adesso, cosa hai intenzione di fare? Non sono un tipo che si fa baciare e basta, sai… -

Kanata la guardò negli occhi e per un attimo a Miyu parve di vedere un velo di tristezza nel suo sguardo.

-         Non so cosa ho intenzione di fare… -

In quel momento, un treno arrivò proprio davanti a loro. Una moltitudine di persone scese in fretta e tra questi, Kanata scorse Santa.

-         Ah! Santa! – si rivolse poi a Miyu – mi ero dimenticato che la ragazza del mio amico abita poco lontano da qui. Forse possiamo mangiare da loro. –

Si scambiò qualche parola con Santa poi fece cenno a Miyu di avvicinarsi, perché era tutto a posto. Andarono a casa dell’attuale fidanzata di Santa, una super modella e Miyu non poté fare a meno di chiederle in fretta un autografo. I due furono molto gentili: offrirono loro la cena e chiacchierarono. Quando furono le dieci e mezzo, si alzarono dai divani dove avevano iniziato a giocare a carte.

-         Sara meglio che andiate, altrimenti lo perderete di nuovo – disse Santa – Kyoko, accompagna di sotto Kozuki. Devo dar una cosa a Kanata. –

La bella ragazza annuì e li precedettero scendendo le scale. Quando la porta d’ingresso si fu chiusa dietro le loro spalle, Santa prese a bisbigliare.

-         Kanata, Kanata… che stai combinando? –

Il ragazzo lo guardò alzando le sopracciglia.

-         Che sto combinando?

-         Sbaglio, o attualmente sei fidanzato con Hanakomachi? Non dirmi che vi siete lasciati! –

Kanata distolse lo sguardo.

-         Lasciati? Cosa te lo fa pensare? Va tutto come al solito. Benone. –

Santa lo prese per un braccio con aria cospiratrice.

-         Non fare finta di niente! Se davvero stai ancora con Hanakomachi, dovresti fare attenzione a non guardare in quel modo un’altra ragazza… -

Kanata lo guardò con aria interrogativa.

-         Io non guardo proprio nessuno in nessun modo. –

-         Invece, sì! Lasciatelo dire dal tuo migliore amico sin dall’asilo: fai attenzione, sembri me quando ho incontrato Kyoko! Non guardi così nemmeno Hanakomachi! Credo che sia ufficiale che… ti sei innamorato. –

Kanata lo guardò facendo una smorfia, indietreggiando verso la porta.

-         Ah! Innamorato, dici? Tu non sai nemmeno cosa vuol dire! E poi, la conosco da un solo giorno, come faccio a innamorarmene?

-         Il tempo non conta. Se due persone sono fatte l’una per l’altra, non c’è età o durata di una relazione che conti. Ci si vuole bene e basta. In più, conoscendoti, si vede benissimo che l’hai già baciata. Non fare il santo… -

Il ragazzo si spazientì, colto sul fatto.

-         Insomma, che ti prende, Santa? Cosa diavolo vuoi? Che ti importa se l’ho baciata oppure no? E’ solo una ragazza! –

Mentre usciva in tutta fretta dalla porta, le parole di Santa lo seguirono.

-         Per gli altri, forse, ma per te è molto di più, e tu lo sai! –

Arrivato in strada, salutò Kyoko e trascinò Miyu verso la stazione. Questa volta, salirono in tutta calma sul mezzo e quando partì, la ragazza si addormentò di colpo. Dopotutto, aveva camminato tutto il giorno. Kanata, che aveva fatto lo stesso, non aveva comunque sonno. Dopo aver guardato il buio fuori dal finestrino, lanciò un’occhiata a Miyu, che aveva la testa appoggiata al vetro e respirava lentamente. I capelli le incorniciavano il viso e sembrava totalmente rilassata. In quel momento, invece di sentire la voce all’altoparlante che annunciava l’arrivo del treno alla stazione, Kanata sentì le parole dell’amico.

“ Per gli altri è solo una ragazza, forse, ma per te è molto di più, e tu lo sai!”

Però, quando il treno frenò bruscamente, dovette tornare alla realtà. Svegliò Miyu e presero un taxi per arrivare a casa di lei. Di fronte al cancello si fissarono per qualche istante, nel buio.

-         Mi farai da guida anche domani? – chiese Miyu. Fortunatamente, il suo viso che avvampava fu nascosto dal buio. Kanata esitò per un istante.

-         Io… non credo che sia il caso… -

Miyu si sentì come se le avessero messo del ghiaccio sulla schiena, all’improvviso. La sua proposta era stata azzardata: sapeva benissimo che ognuno aveva i rispettivi ragazzi. Se avessero cominciato a frequentarsi, la cosa sarebbe anche potuta degenerare. Annuì lentamente e controvoglia. Fece per aprire il cancello dietro di sé, ma Kanata parlò.

-         Credo che domani pomeriggio potrò venire qui… - Miyu si voltò con uno sguardo tra l’interrogativo e il preoccupato.

-         S-sei sicuro? – chiese, nonostante dentro di sé non avesse voluto fare alcuna obiezione. Rivederlo anche il giorno dopo… sarebbe riuscita a frenarsi? A frenare i propri sentimenti…?

Kanata alzò le spalle e annuì con decisione.

-         Okay… allora domani vieni qui quando vuoi… -

Entrò nel giardinetto e quando fu sulla porta lanciò uno sguardo a Kanata.

-         Dove andremo a finire? – sussurrò, quasi a sé stessa.

Ma Kanata rispose.

-         Non lo so. Veramente… -

Miyu sorrise e si chiuse la porta dietro le spalle. Proprio in quel momento il telefono prese a squillare. Infastidita, dato che era quasi mezzanotte, alzò la cornetta buttandosi sul divano.

-         Pronto? –

-         Hi, baby! How are you? –

Si sentì sprofondare. Era Mark.

-         Ciao Mark… non c’è bisogno che parli inglese, il tuo giapponese è perfetto. –

-         Grazie, tesoro! Come ti va la vita? –

Miyu sospirò, guardando il soffitto e ripensando alla giornata appena passata. Non poté trattenere un sorriso.

-         Benissimo… -

-         Dal tuo tono di voce sembrerebbe proprio così! –

-         Già… ehi, ti sento lontano, dove diavolo sei? –

Mark, dall’altra parte della cornetta, ridacchiò.

-         A casa. Ti sto aspettando.

-         Guarda che torno tra quattro giorni. Sarà meglio che ti metti comodo. –

-         Non ce ne sarà bisogno. Piuttosto, potrò sembrarti noioso, ma ti ricordo la promessa che mi hai fatto. Quando ci rivedremo, noi due… -

-         … si, me lo ricordo, me lo ricordo! – lo interruppe Miyu. Non voleva sentire quelle parole. Soprattutto ora, che si trovava precisamente al settimo cielo, su una bella nuvoletta rosa. Dopo qualche minuto di conversazione tranquilla, Miyu andò a letto staccando il telefono. Si buttò sul letto e si rimboccò le lenzuola. Nel buio, si morse il labbro inferiore, come a cercare di nuovo il sapore del bacio di qualche ora prima. Tra le coperte, ridacchiò e sorrise, sentendosi al tempo stesso stupida come se avesse una cotta da adolescente. Chiuse gli occhi. Il giorno dopo sarebbe stato fantastico. //

BA-BAM BA-BAM!

Miyu spalancò gli occhi, completamente scoperta. Le lenzuola giacevano per terra. Probabilmente quella notte si era agitata nel sonno. Poi sentì di nuovo quel rumore dal piano terra.

BA-BAM BA-BAM!

Si alzò di scatto e prese la lampada staccando a spina, come una mazza da baseball. In punta di piedi, scese le scale e cautamente si affacciò alla soglia del salotto, spaventata. Se fosse stato un ladro…? Ma appena vide chi faceva quel rumore, la lampada le cadde di mano e si ruppe in mille pezzi sul pavimento.

-         Miyu, tesoro! Sorpresa! –

Mark.

-         M-mark… che… che fai qui? –

Il ragazzo le circondò la vita con le braccia e le mordicchiò un orecchio.

-         Mi annoiavo senza di te. –

-         Cosa sei venuto a fare? Tanto sarei tornata tra pochi giorni! –

-         In realtà, mi sono sentito stanco di aspettare. Voglio ricevere in anticipo quello che mi hai promesso… -

Miyu lo allontanò con un gesto violento delle mani, incredula.

-         Sei venuto qui solo per questo? Hai fatto un volo da America a Giappone per quello?!? –

Mark fece spallucce e poi la squadrò da capo a piedi.

-         Ma guardati e dimmi se non ne valeva la pena!

Miyu si accorse con orrore di indossare solo una camicia trasparente e sotto portava solo le mutandine e il reggiseno bianchi. Cercò di coprirsi con le mani e salì qualche gradino fissando Mark.

-         Tu aspettami qui, Mark! Dopo ne parliamo! –

Corse su per le scale e si chiuse in bagno con la chiave. Guardò la sveglia sopra al lavandino. Si era svegliata tardissimo! Erano le due del pomeriggio. Da un momento all’altro sarebbe potuto arrivare Kanata e sarebbero stati guai, con Mark in giro…! Si guardò allo specchio e cercò di calmarsi: una soluzione c’era. Ma doveva essere veloce, abile e furba. Se fosse riuscita a raggirare Mark e allontanare Kanata, forse i guai sarebbero stati rimandati. CONTINUA… 

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Capitolo 3
*** So far, my gentleman ***


SO FAR, MY GENTLEMAN

Miyu si guardò nuovamente allo specchio, con insicurezza. I capelli le incorniciavano il viso, stretti da un fermaglio che non aveva mai usato. Indossava un abito rosa pallido sopra le ginocchia e si sentiva maldestra. Ma poi smise di esitare e si mise degli occhiali da sole neri in tasca. Corse giù per le scale. Mark era in salotto e sbadigliò. Aveva l’aria di avere molto sonno.

-         Mark… insomma, ma perché non sei rimasto a New York? Per una volta, non mi puoi lasciare indipendente? –

Lui la guardò con gli occhi socchiusi, mentre un’ondata di sonno lo assaliva. Miyu lo osservò in silenzio, attendendo una risposta.

-         Non ne sei capace… non sai… essere… indipendente… - dopo quelle parole, Mark si addormentò di colpo appoggiando la testa sulla spalliera del divano. Miyu si alzò. In un primo momento, aveva proprio pensato di mettere del sonnifero dentro a qualcosa che Mark avesse potuto bere, ma poi aveva calcolato che non ce ne sarebbe stato bisogno. Il fuso aveva fatto addormentare perfino lei, per molte ore. Nessuno avrebbe resistito e come aveva immaginato, neanche Mark ci riuscì. In quel momento il campanello suonò e Miyu venne colta dal panico. Fino a quel momento si era sempre sentita sicura di sé, ma sentiva che lo sguardo di Kanata le avrebbe letto immediatamente nei pensieri e lei non sarebbe riuscita a mentire adeguatamente. Per questo, prima di aprire la porta, indossò gli occhiali da sole: non avrebbe letto il suo sguardo. A tutti i costi. Kanata era appoggiato allo stipite della porta, e quando la vide sorrise.

-         Good afternoon. – disse e Miyu rise, perché era strano sentirlo parlare inglese, data la sua pronuncia perfetta. Ma cercò di non inebriarsi immediatamente della vista di Kanata e si chiuse in fretta la porta alle spalle. Lui parve stupito.

-         C’è qualcosa che non va? –

Miyu inclinò la testa, senza sapere bene cosa dire. Accidenti, lo sapeva, lo sapeva che glielo avrebbe chiesto! Come faceva a non sfuggirgli mai niente?

-         No… tutto bene. –

-         Ieri sera abbiamo fatto tardi. Non ti sarai svegliata prestissimo, vero? –

Miyu scosse la testa, evitando accuratamente di dirgli che si era svegliata appena un’ora prima. Kanata guardò la strada.

-         Facciamo… una passeggiata? –

Cominciarono a camminare nelle strade vicine. Si poteva vedere ancora chiaramente la casa di Miyu.

-         Ultimamente, ho speso più del solito nella metropolitana, con tutte le volte che sono venuto qui. – disse Kanata all’improvviso. Miyu ebbe la piacevole impressione che volesse rompere il silenzio che si era creato tra loro. Aveva paura ad affrontare un argomento pesante, come quello che sarebbe successo tra loro.

-         Sei tirchio. Dovresti essere di larghe vedute, no? Sei figlio di un monaco. –

-         Che vuol dire? Il mio portafogli è uguale a quello di chiunque. –

-         Ripeto, devi essere di larghe vedute. –

-         Con la faccia che ti ritrovi, dubito seriamente che tu sappia effettivamente il significato di “larghe vedute”. –

Miyu gli diede una gomitata non troppo amichevole.

-         Il fatto che io abbia questa faccia, non ha pregiudicato il bacio di ieri o sbaglio? –

Accidenti, in realtà non voleva parlarne. Come era riuscita ad arrivare a quel delicato argomento? Tuttavia, contrariamente a quello che si aspettava, Kanata non si turbò affatto. Sembrava che le leggesse nel pensiero apposta per fare il contrario di quello che credeva.

-         No, non lo ha pregiudicato. E allora? Se voglio, posso baciarti quando voglio, anche con la faccia che hai.

Miyu fece una smorfia.

-         Sei disgustosamente sicuro di te. B’è, ti informo che non te lo lascerò fare. Così impari. –

Lei pensò che dopo quella conversazione l’argomento fosse chiuso. Ma ancora non lo era. Kanata la prese per un polso e la voltò verso di sé. Appoggiò la sua fronte a quella di lei.

-         Adesso… - sussurrò, mentre Miyu avvampava - … come hai intenzione di non lasciarti baciare? –

-         E’… è un colpo basso… non puoi trattenermi per le braccia… - tentò di dire Miyu, cercando di farsi valere nonostante la situazione fosse anomala. Allora, Kanata le lasciò i polsi, ma entrambi rimasero dov’erano.

-         Non scappi? – sussurrò ancora Kanata socchiudendo gli occhi.

Miyu lo guardò e a sua volta socchiuse gli occhi.

-         Per stavolta… no… -

Ebbero appena il tempo di sfiorarsi le labbra quando alcune gocce di pioggia cominciarono a scendere minacciose dal cielo. In pochi istanti, le rare gocce gelide erano diventate grandine. Il cielo nero era illuminato a tratti da lampi. Kanata si allontanò e in fretta prese Miyu per le spalle.

-         Accidenti! Vieni, presto! –

Mentre correvano verso una pensilina a cinquanta metri da loro, lui si tolse la giacca e la mise sulle spalle e i capelli di Miyu. Quando arrivarono sotto la pensilina, Miyu era ancora asciutta, mentre Kanata era bagnato fradicio di pioggia.

-         Ah… guardati, hai fatto la doccia… - ridacchiò Miyu, togliendosi la giacca dalle spalle e prendendo dalla tasca un fazzoletto. Solo allora gli occhiali da sole caddero sul cemento e lei si accorse che in qualche modo, prima che cominciasse a piovere, se li era tolti. Li raccolse e li guardò, indecisa. Ma poi li rimise in tasca. Con il fazzoletto, cercò di asciugare almeno il viso di Kanata, visto che era impossibile asciugare i vestiti..

-         Ehi, che fai? –

-         Ti sto gentilmente asciugando la fronte. Non divincolarti! –

Dopo qualche istante, Kanata scoppiò a ridere tanto forte che dovette piegarsi.

-         K-kanata, cosa c’è di tanto divertente? – chiese Miyu, arrossendo.

Lui si voltò verso di lei, con un sorriso mentre cercava ancora di trattenere le risate.

-         E’… è incredibile… non mi era mai capitato di finire sotto la pensilina di un autobus che non passa da giorni, nella strada deserta, mentre c’è il temporale. E poi, proprio con te… -

-         E allora… che c’è di tanto buffo?!

Kanata si riappoggiò allo schienale della panchina di plastica, guardando la pioggia che non accennava a smettere.

-         Il fatto che poco fa stavo per dire qualcosa che non ho mai detto e non mi sembra da me… non ci avevo nemmeno mai pensato… -

-         E cosa sarebbe? Dimmelo, così rido anch’io! Pfui! –

Kanata si voltò a guardarla e per la seconda volta il suo sguardo paralizzò Miyu. Come ci riusciva…? Come riusciva a inchiodarla seduta su una panchina gelida, e a farle provare lo stesso un caldo terribile? Come riusciva a farle battere il cuore così senza farle male?

-         Miyu… da quando ci chiamiamo per nome? – chiese, mettendole una mano dietro la nuca.

Miyu cercò di non svenire e di capire la domanda per poi darle una risposta che coincidesse con essa.

-         Non ne ho la minima idea… -

-         Nemmeno io… e il problema è che non so nemmeno dove andremo a finire. Non so se farei bene, adesso, a dirti quello che non ho mai detto a nessuna persona in tutta la mia vita, perché dopo saremmo vincolati entrambi. Non so se farei bene a baciarti di nuovo, adesso, e passare sopra il fatto che siamo entrambi impegnati con altre persone. Perché se adesso io ti bacio… -

-         … non potremo più fermarci… - continuò Miyu al posto suo sentendo una gran malinconia. Kanata aveva ragione. Bisognava tornare alla realtà, prima che le cose precipitassero. Era pericoloso, molto pericoloso. Così pericoloso che la infastidiva non provarci. La urtava sapere che a casa sua c’era Mark. Chi era per lei? In quel momento, nella sua mente era solamente il terzo incomodo. Ma del resto, non era detto che i sentimenti che provava lei per Mark (o meglio, i sentimenti che non provava) fossero gli stessi di Kanata per Christine. Così, entrambi distolsero lo sguardo. Quando il temporale si fece più calmo, Kanata riportò a casa Miyu e si salutarono sulla porta come se non fosse successo nulla.

-         Allora… non posso dire: “ci vediamo”? – chiese Miyu, anche se conosceva la risposta.

Kanata scosse la testa. Entrambi sapevano cosa sarebbe successo una volta che si fossero salutati. Ognuno sarebbe tornato alla propria vita. Ma, quando si chiuse la porta dietro le spalle, Miyu si ripromise che per lei non sarebbe stato così. Si diresse a grandi passi verso il soggiorno, ma Mark non c’era. Sentì una mano sulla spalle. Era lui. Aveva i capelli scarmigliata e l’aria sveglia. Più sveglia di quanto Miyu pensasse.

-         Dove sei stata, mia cara Miyu? A fare spese con un tuo amico? –

Allora lei capì che li aveva visti.

-         Sì. – mentì – non ti ho voluto svegliare perché sembravi stanco. –

Mark rise.

-         Non sei brava a dire le bugie. Ad ogni modo, non m’importa quel che fai con gli altri. Mi importa quello che fai con me. Sono pronto per riscuotere. –

Miyu spalancò gli occhi.

-         Tu… Mark, tu non hai mai provato niente nei miei confronti, vero? –

-         No, ti sbagli Miyu! Sai quello che voglio. –

-         Sì, e non lo avrai. –

Miyu fece per aprire la porta di uscita per andare a rinfrescarsi le idee, ma Mark le strinse il braccio fino a farle male.

-         Ahia! Mark! –

-         Senti. Fuori piove. Dove andresti? Dal tuo amico? Io spero di no. Perciò, rimani… -

La inchiodò alla porta. Con forza, alzò il suo mento verso di sé.

-         Non uscirai di qui. –

Miyu capì quello che intendeva dire. Allora, pensò intensamente a Kanata. Pensò a quello che era successo e come avrebbe voluto parlargli di nuovo, baciarlo di nuovo. Pensò a lui così intensamente che le parve di sentire la sua voce…

-         Ehi, Miyu! Apri, ho sentito delle urla! Che succede? – CONTINUA…

 

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Capitolo 4
*** So close, my lady ***


SO CLOSE, MY LADY

Miyu sentì le mani di Mark scenderle sui fianchi dopo averle sbottonato la camicetta. Chiuse gli occhi, perché non voleva guardare. Una lacrima le scese lungo una guancia: perché aveva scelto Mark? Perché sin dall’inizio non era restata in Giappone? Tutto quello non sarebbe successo. Pensò che forse, se fosse stata sempre in Giappone, avrebbe incontrato prima Kanata. Kanata… perché la sua voce le rimbombava in testa, nonostante lei cercasse di non pensarci? All’improvviso, sentì le mani di Mark fermarsi. Aprì gli occhi e lo vide guardare fuori dalla finestra attraverso le tende. Lei cercò di cogliere l’occasione e correre via, ma lui la teneva ancora stretta per un braccio ed era impossibile divincolarsi.

-         Cosa vuole ancora, quello? Ma chi diavolo è?! – borbottò tra sé Mark e fece accasciare con violenza Miyu sul divano. La guardò negli occhi avvicinandosi.

-         Tu, non muoverti, non dire nulla, lascia fare a me. Se provi a fare una mossa falsa, dopo ti faccio vedere. Mi conosci, non avrei di certo scrupoli a picchiare una donna… -

Miyu annuì, con un groppo in gola e gli occhi lucidi. Era vero, più di una volta aveva alzato le mani su donne che lo infastidivano e un paio anche su di lei, senza però farle più di qualche livido sulle braccia. Ma lei lo aveva perdonato, convinta che fosse lui la persona ideale e che avrebbe dovuto adattarsi. Perché era stata così servizievole? Intanto, Mark aprì la porta. Qualcuno bussava da minuti con violenza. Miyu si raggomitolò sul divano, stringendo a sé un cuscino. Aveva la camicetta aperta davanti e sentiva il reggiseno mezzo sbottonato sulla schiena. Anche i pantaloni erano per metà aperti. Tese le orecchie, pensando che probabilmente Mark avrebbe liquidato quello che doveva essere il postino o l’idraulico che aveva chiamato il giorno prima senza troppi complimenti.

-         E lei chi diavolo è? Come si permette a bussare così ferocemente alla mia porta? – sentì dire a Mark. Strinse gli occhi. La sua porta… come osava dire una cosa simile?

-         Ehi, tanto per cominciare si dia una bella calmata! Ho sentito semplicemente gridare, non credo che sia ordinaria amministrazione da queste parti, no?! –

Miyu spalancò gli occhi e scattò in piedi, buttando i cuscino sul divano. Con cautela, socchiuse la porta del salotto che dava sull’ingresso, mentre il cuore accelerava i suoi battiti. Vide Mark di schiena e sulla porta, Kanata. Provò la più grande gioia che avesse mai provato in vita sua. Si riabbottonò la camicetta e i pantaloni. Poi aprì la porta. Era arrivato il momento di chiudere la partita. E, facendolo davanti agli occhi di Kanata, si sarebbe di certo sentita più sicura. I due ragazzi si voltarono verso di lei. Mark le lanciò un’occhiataccia significativa, mentre Kanata la guardò sospettoso.

-         Miyu…? – dissero all’unisono.

-         Ah… b’è… qual è il problema? – accidenti, pensare qualcosa da fare è molto più facile che metterla in atto. Non voleva mica essere così calma.

-         Questo tuo amico si è messo a bussare alla porta come un matto… - disse Mark, digrignando i denti e facendole segno con gli occhi di andarsene.

Ma lei rimase. Kanata alzò le sopracciglia.

-         Senta, matto lo dice a qualcun altro. Le sembra che dovrei ignorare degli urli? Lei lo farebbe? –

-         Non so se l’ha capito, ma io vengo da New York: lì qualcuno grida ogni cinque secondi e nessuno si ferma mai a guardare. Le consiglio di andarci un giorno. –

Kanata rivolse un’occhiata a Miyu

-         New York…? Allora, lui è…? –

-         Gli hai parlato di me, tesoro? Comunque, passiamoci sopra per questa volta. Ora, se vuole gentilmente uscire dal nostro giardino… - Mark mise una mano sulla spalla di Miyu, ma lei si divincolò.

-         Farai meglio ad uscire anche tu, Mark. – disse, con più freddezza possibile.

Mark fece una faccia sorpresa, ma Miyu vide la luce negli occhi di qualcuno che si stava per infuriare.

-         Credo di non aver capito bene, Miyu… -

-         Hai capito benissimo… esci… da… casa mia… - disse, tutto d’un fiato. Kanata si appoggiò allo stipite della porta, come se volesse osservare la scena.

-         Spero che tu stia scherzando… non puoi cacciarmi fuori… -

-         Sì, posso perché è casa mia. E questa è la MIA porta e quello è il MIO giardino. TU non fai parte dell’arredamento, Mark. Non del mio. –

Mark era incredulo. Probabilmente non era mai stato lasciato in vita sua. Si impose su Miyu.

-         Non credo affatto che tu possa parlarmi in questo modo, bambina… -

Fece per prenderla con forza per un braccio, ma Kanata, che fino a quel momento era stato a guardare in silenzio, con estrema facilità lo bloccò e si mise davanti a Miyu.

-         E io non credo che tu possa alzare le mani su una bambina… -

Mark strinse gli occhi, infuriato.

-         Questa è una cosa tra me e lei. –

L’espressione indifferente di Kanata non cambiò minimamente.

-         Ma ci sono anch’io e per la cronaca, le donne non si toccano. Se vuoi prendertela con qualcuno, fallo con chi saprebbe darti un bel pugno nello stomaco.

Mark scese qualche gradino dell’ingresso e andò nel bel mezzo del giardino. Kanata lo seguì mentre Miyu rimase sulla soglia, senza capire. I loro sguardi erano diversi: quello di Mark era di uno che stava per perdere la testa, mentre quello di Kanata… era determinato, sicuro.

-         Allora, dovrei cominciare da te? Non voglio sapere chi tu sia, mi basta solo vederti a terra! –

Mark fece per darli un pugno sulla guancia, ma Kanata lo schivò e con un piede lo fece stramazzare a terra con estrema facilità. Poi lo prese per le mani, mentre Mark si sentiva confuso e non riusciva a capire cosa stava succedendo a causa della botta che aveva dato la sua testa contro il terreno. Kanata lo trascinò in tutta tranquillità verso il cancello, poi guardò Miyu, incredula di tanta indifferenza. In meno di dieci secondi era riuscito a metterlo K.O

-         Potresti aprire il cancello, Miyu? Ho le mani occupate. – disse, con semplicità. Miyu, mentre premeva il tasto per aprire elettronicamente il cancello, scoppiò a ridere. C’era qualcosa di ridicolo in tutto quello. Kanata mise sul marciapiede Mark, lo fece appoggiare al muretto e lo guardò: non aveva ancora preso del tutto conoscenza. Gli si avvicinò e gli disse:

-         Ti aspetta qualcosa di molto peggio se ti avvicini a lei contro la sua volontà. Mi prometti che non verrai, vero? –

Mark lo fissò con odio, mentre si asciugava la fronte dal sudore.

-         Non mi avvicinerò. Non ne varrebbe la pena… se ha scelto te, significa che non vale niente… -

-         Sono ancora pieno di energie. Se provi a ridire una cosa simile, le scaricherò su di te.

Kanata chiuse il cancello poi guardò verso l’ingresso dove Miyu, stava ancora cercando di frenare una risata.

-         Ehi, cos’è quell’aria divertita? –

-         N-non sono divertita… sono costernata, costernata. –

-         Ma se stai trattenendo le risate! Cosa c’è di divertente?

Miyu lo fissò e rise di nuovo.

-         Scusa ma mi pare così incredibile che tu ci sia sempre al momento giusto… non riesco a capire il motivo per cui non ci siamo incontrati prima che io andassi a New York… ci saremmo divertiti insieme… -

-         Io credo di no. In fondo, se adesso sei così stupida significa che alcuni anni fa lo eri ancora di più. –

Miyu smise di ridere per dargli un pugno sul petto.

-         E tu eri probabilmente ancora più insensibile!

-         Lo sarei stato solo con te…! –

Rimasero in silenzio per qualche istante, seduti sulla scaletta d’ingresso. Miyu si abbracciò le gambe, pensierosa. E adesso…?

-         Ora che mi hai salvata… e hai fatto tutto questo… cosa vuoi fare? –

Rivolse uno sguardo verso Kanata e si sentì mancare un battito. Non lo vedeva negli occhi, ma capiva che c’era ancora qualcosa che non andava. All’improvviso, le tornò in mente Christine Hanakomachi: quella ragazza così bella ed educata. Era possibile che lui non volesse lasciarla e che se ne stesse rendendo conto proprio in quel momento. Del resto, chi era lei per intromettersi… però, non se la sentiva di tirarsi indietro adesso. Lei era innamorata.

-         Miyu… mi sto mettendo dentro a un sacco di problemi… e il problema più grosso è che… -

Si voltò verso Miyu e la guardò dritto negli occhi, mentre le veniva il batticuore.

-         … che ormai non posso più dirti… che non mi piaci… anzi… io… -

Le sussurrò qualcosa ad un orecchio, scostandole i lunghi capelli biondi e lei arrossì all’istante. Poi la baciò dolcemente, mentre lei gli metteva le braccia intorno al collo. Si alzarono e rientrarono in casa senza fermarsi. Entrarono nella camera di lei e richiusero la porta. Non c’era tempo di pensare a qualcosa. Per quel giorno che gli rimaneva, volevano solo pensare a loro. E Miyu non aveva più paura di ciò che stava facendo. Perché era con Kanata. //

Solo a mezzanotte, Miyu si svegliò, stesa nel suo futon. Tenne gli occhi socchiusi per qualche secondo, cercando di capire che ore fossero. Quando vide nella sua sveglia l’ora tarda e che fuori era buio, non riuscì a capire perché fosse andata a dormire in pieno pomeriggio. Si voltò sbadigliando e quasi non le prese un colpo quando vide che c’era qualcun altro vicino a lei. Scattò seduta, con il cuore che le batteva all’impazzata. Vicino a lei, stava dormendo profondamente Kanata. Un brivido le corse per la schiena e non riuscì a trattenere un sorriso. Si ricordò tutto quello che era successo quel giorno, nei minimi dettagli e si sentì avvampare così forte che dovette correre in bagno a darsi una rinfrescata, sentendo che se avesse continuato così avrebbe potuto prendere la febbre. Dopo essersi lavata il viso, si guardò allo specchio, ma vide che il viso non accennava a riprendere il suo colore naturale. Come aveva potuto… come aveva fatto a… essere così calma e sciolta… in un momento… come quello di quel pomeriggio…? Tuttavia, era così raggiante che sembrava la ragazza più felice del mondo. Corse verso la cucina, al piano inferiore, sveglia come un grillo nonostante l’orario: aveva bisogno di farsi una camomilla o non avrebbe ripreso sonno per giorni. Mentre accendeva il fornello sentì dei passi lungo le scale e poco dopo vide Kanata sbadigliare sulla soglia della cucina. Lei arrossì nuovamente, appena lo vide. Non aveva mai visto un ragazzo più bello di lui. Aveva la camicia aperta a metà e i jeans. Le lanciò uno sguardo e si avvicinò.

-         Cos’è quella faccia? –

Miyu indietreggiò un momento. Non si sentiva molto stabile mentalmente, in quel momento.

-         P-perché? –

-         Sei tutta rossa e hai gli occhi spalancati. Se non avessi tanto sonno, mi metterei a ridere… -

-         E-ehi… tu… -

Kanata non la ascoltò e la scostò, guardando i fornelli. Poi fece una smorfia.

-         Credo che la tua camomilla sia andata… -

Miyu si voltò vedendo che l’acqua stava inondando i fornelli uscendo dal contenitore. Sospirò e lo svuotò nel lavello, borbottando. Kanata glielo tolse di mano facendo passare le braccia sui suoi fianchi e Miyu arrossì di nuovo. Cominciava veramente a darsi sui nervi. Che bisogno c’era di agitarsi a quel modo? Non le era mai successo niente di simile. Si impose di comportarsi in modo adulto e andò a sedersi in tutta tranquillità ( camminando quindi come un pezzo di legno).

-         Ti dispiace se mi faccio un caffè? Se no non riesco a guidare.

Miyu aprì e chiuse la bocca a intermittenza.

-         Guidare…? Vai via a quest’ora? –

Kanata si voltò, riaccendendo un fornello. Aveva l’aria stupita.

-         Domani ho un colloquio di lavoro… non te l’ho detto? –

Lei si lasciò andare con un sospiro sullo schienale della sedia. Peccato, avrebbe voluto dormire ancora con lui… improvvisamente la infastidì l’idea di restare sola.

-         Non mi ricordo… comunque, tutto bene. Bevi pure il caffè. – accidenti, non avrebbe mica voluto dare il suo okay! Eppure, non poteva di certo costringerlo a restare. L’unica cosa che sperava è che si potesse mettere in chiaro il loro rapporto, il prima possibile. Kanata si sedette bevendo lentamente la sua tazza di caffè, mentre fuori c’era il silenzio più totale. Il vento si sentiva a malapena, nel buio. Quando ebbe finito il caffè, Kanata posò la tazza sul lavello, si riabbottonò la camicia e lanciò un’occhiata a Miyu, che aveva l’aria tra il pensieroso e l’imbronciato. Lui non riuscì a trattenere una risata sommessa e le si avvicinò, per poi baciarla sui capelli. Miyu, che non se l’aspettava, lo guardò negli occhi, come le riusciva di fare solo raramente.

-         E dai, non fare quella faccia!

-         Non sto facendo nessuna faccia… -

-         Sembra che tu mi stia dicendo: “Sei un ingrato”. –

-         Forse perché lo sei…! –

-         Questa è buona! Adesso me ne vado perché devo, non perché mi va…! –

Miyu sbuffò con aria offesa, ma sorrideva. Si baciarono e poi lui uscì dal cancello dicendole:

-         Ci vediamo domani. Abbiamo alcune cose di cui parlare! –

Lei annuì e quando si fu chiusa la porta dietro le spalle, rimase in silenzio con la testa chinata per qualche secondo. Poi guardò il soffitto senza riuscire a trattenere un sorriso raggiante e cominciò a saltellare per casa. Spense la luce allegramente e cominciò a salire i gradini a due a due. Corse nella sua camera e si buttò con un salto sul letto, con una risatina. Vide sul cuscino del letto delle chiavi e le prese tra le mani, nella penombra. Si rese conto che dovevano essere di Kanata. Le guardò da vicino, notando che erano molto grandi e non sembravano quelle di un tempio. Cercò di non pensarci e le posò sotto il suo cuscino, con un sospiro beato. Non aveva minimamente sonno, ma stando lì stesa poteva sentire il profumo di Kanata e il calore che era rimasto dopo che lui era sceso al piano inferiore. Stava per riaddormentarsi, quando sentì suonare alla porta. Spalancò gli occhi e guardò l’orologio. Erano quasi le due. Chi poteva suonare al campanello alle due di notte? Scattò in piedi, si mise una vestaglia di seta rosa pastello e corse di sotto riavviandosi in fretta i capelli. Probabilmente era Kanata! Magari ci aveva ripensato! Cercò di trattenere la gioia e sorrise tra sé. Poi aprì lentamente la porta, nonostante solitamente non lo facesse di sera. Guardò oltre il giardino, dietro alle sbarre del cancello. E lì, non vide Kanata. Vide Christine Hanakomachi. Aveva un vestito rosso e sembrava appena uscita da una festa di gala. Però non sembrava per niente felice. Senza capire quello che le stava dicendo da tanto lontano, camminò in fretta a piedi nudi sul cemento del breve sentiero e tolse il lucchetto al cancello. Si trovò davanti Chris, con i capelli arruffati e l’aria stravolta.

-         Tu… - bisbigliò. Miyu sentì che aveva il respiro affannoso. Senza capire, si fece da parte e la invitò ad entrare, chiedendole spiegazioni.

-         Hanakomachi… cosa è successo? Come ha fatto a scoprire dove abito? –

La bella ragazza non disse niente, mentre entrava nell’ingresso e Miyu chiudeva la porta sempre più accigliata. Vide Chris guardarsi furiosamente intorno e le parve che avesse gli occhi lucidi.

-         C’è qualche problema? Le è successo qualcosa? –

Chris si voltò di scatto verso di lei, così ebbe la conferma che stava piangendo. Singhiozzava.

-         Tu… come hai potuto rubarmelo in questo modo? – riuscì a dire. Miyu ancora non riusciva a capire di cosa stesse parlando.

-         Ma di che cosa stai parlando, Hanakomachi?

-         Fai finta di niente, brava! Ma lo so che è qui!

-         Ma chi? Non riesco a capire quello che stai dicendo! –

-         Kanata! – gridò Chris, mentre le lacrime le rigavano il viso. – Santa l’ha visto entrare qui dentro oggi pomeriggio! E da allora non è più uscito!

Miyu finalmente capì e un brivido le percorse la schiena. Erano davvero guai, inoltre un fortissimo senso di colpa cominciava a insinuarsi nella sua mente. Quella ragazza… Christine Hanakomachi… aveva il viso stravolto… sembrava che non avesse mai pianto così tanto in vita sua… era disperata… mentre lei, poco prima, aveva riso tra sé, al settimo cielo… come aveva potuto? Lei non era così. Il suo carattere era diverso, si era sempre imposta di non fare niente con un ragazzo già impegnato. E ora, cosa aveva combinato? Aveva fatto soffrire una ragazza della sua stessa età, poteva essere lei al suo posto… cosa aveva pensato tutto il tempo? E adesso, avrebbe pianto anche lei? Di Kanata ce ne era uno solo. Una delle due avrebbe dovuto rinunciarci, per sempre. CONTINUA…

 

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Capitolo 5
*** Not a ***


NOT A “GOODBYE…”

-         Hanakomachi… adesso… non è qui… - Miyu riuscì a dire solo questo, trovandosi d fronte a Christine. Guardandola piangere, le vennero le lacrime agli occhi a lei stessa. Le sembrava di guardare in uno specchio. Era consapevole del fatto che presto sarebbe stata lei al suo posto. Sapeva cosa significava soffrire per amore.

-         Come faccio a credere a te, proprio a te? Tu, che sei entrata nella sua vita solo qualche giorno fa chissà come, contro di me, che lo conosco dalle medie! Non posso di certo avere neanche un briciolo di fiducia in te! –

Miyu la fissò e improvvisamente Christine si zittì, continuando a singhiozzare ogni tanto. Si guardarono per qualche istante.

-         E’ andato via un’ora fa. Ora, non è qui. – sussurrò Miyu, sentendosi il cuore pieno di ferite che le bruciavano ogni volta che aggiungeva una parola. Chris scosse la testa, continuando a piangere.

-         Io… ero ad una festa… dei miei genitori… e doveva venire anche Kanata… però, quando ho incontrato Santa… ho scoperto che era passato davanti a questa casa e lo aveva visto entrare… assieme a te… non sono potuta venire prima, perché sono stata costretta a rimanere a quella stupida festa… ma vedo che sarebbe stato comunque troppo tardi… -

Miyu si sentiva il respiro affannoso, sul punto di scoppiare a piangere. Ma non l’avrebbe fatto adesso. Non di fronte ala fidanzata di Kanata. Doveva… doveva essere forte. Pensava di non sapere cosa dire, ma le parole le uscivano dalla bocca spontaneamente.

-         Ascolta… Hanakomachi… so che ora mi odi, e per quello che sto per dirti mi odierai ancora di più, se possibile… ma io non sono pentita. Non sono pentita di essermi innamorata di Kanata, né di averlo baciato. L’unica cosa per cui sento di dovermi scusare è per la sofferenza che stai provando in questo momento. Probabilmente non credi che io possa provare alcun sentimento positivo, perché dal tuo punto di vista io ho sedotto il tuo fidanzato… ma non è così. Non ho fatto assolutamente niente affinché succedesse tutto questo. Sono confusa quanto te… ma per quanto riguarda il diritto… -

Prese il respiro, mordendosi il labbro inferiore per impedirsi di piangere. Christine la fissava con gli occhi pieni di lacrime, ma non singhiozzava più.

-         … tu, hai il diritto di precedenza. Per cui, puoi stare tranquilla: non… non lo vedrò più. Vedendoti piombare qui, mi hai ricordato me stessa quando anch’io soffrivo tanto… non voglio imporre a qualcun altro tutto questo. E… nonostante, io… lo ami… così tanto… - Miyu sentì con rammarico che una lacrima le scendeva sulla guancia - … devo farmi da parte… poi andare a casa serenamente, Hanakomachi… se mi guardi negli occhi, capisci che non sono una traditrice, né una bugiarda… ti sto parlando con sincerità… lo capisci?

Chris la fissò e lentamente cominciò ad annuire. Con una mano si asciugò una lacrima e cercò di fare un sorriso.

-         Alla fine… soffriamo tutte e due… come ragazzine… in fondo, siamo simili… -

Miyu sorrise a fatica, mentre Christine si dirigeva verso il cancello del giardino.

-         Chissà, se ci fossimo conosciute prima e in altre circostanze avremmo potuto diventare amiche… - sussurrò e Chris rise malinconicamente.

-         Può darsi… chi lo sa… -

Miyu guardò la ragazza sparire dietro l’angolo. Rimase al freddo nel giardino, con il cancello aperto mentre i lampioni del marciapiedi la illuminavano a malapena. A quel punto, si lasciò andare ad un pianto fragoroso e andò a chiudersi in casa per poi sedersi sui gradini, prendendosi la testa tra le mani mentre i capelli le ricadevano sul pavimento tanto erano lunghi.

-         Perché, perché non mi sono comportata più egoisticamente? Perché non ho difeso le mie ragioni? Sono una stupida... una stupida… una stupida… -

Pianse per la maggior parte della notte e verso l’alba si addormentò con gli occhi lucidi sul primo gradino della scala di legno, appoggiata allo corrimano. Quando si svegliò, erano le dieci del mattino. Si strofinò gli occhi rossi per il troppo piangere e andò a farsi un caffè. Accese i fornelli e si sedette a tavola, per poi appoggiare la testa sul tavolo. Aveva esaurito le lacrime. In compenso, al loro posto era rimasta una tristezza immensa e cupa, come non ne aveva mai provata in vita sua. Quando cominciò a mettere abbondante zucchero nel caffè, convinta che le avrebbero dato abbastanza energia, sentì squillare il telefono e il cucchiaino le cadde di mano per poi atterrare sul pavimento con un tintinnio. Si diresse verso il soggiorno e guardò il telefono: e se era Kanata? Come avrebbe potuto spiegare quello che era successo la sera prima? Esitò per alcuni secondo, poi alzò istintivamente la cornetta.

-         P-pronto…? –

-         Tesoro! –

Miyu tirò un sospiro di sollievo. Era sua madre. Per fortuna.

-         Mamma… che bello sentirti… -

-         Si direbbe proprio così… cos’è quel tono sollevato? Stavi aspettando una brutta telefonata, forse…? –

-         No… mamma… va tutto bene… sono solo contenta che tu mi abbia telefonato… -

-         Bene, perché non ho buone notizie. Ho bisogno di te, qui in America. Domani. –

Miyu spalancò gli occhi e si lasciò cadere sul divano.

-         Domani? E’ impossibile prenotare un aereo per allora, è troppo tardi! –

-         Ci ha già pensato papà! L’importante è che tu prepari subito le valige e ti imbarchi oggi pomeriggio alle cinque. –

-         Ma perché?

-         C’è una cosa importante che dobbiamo dirti e devi fare. Noi non possiamo pensarci da soli. –

-         Non me la potete dire al telefono? –

-         Perché ci tieni tanto a rimanere lì in Giappone? Hai per caso incontrato qualcuno? –

Miyu arrossì.

-         No, no, cosa vai a pensare! Posso tornare quando vuoi! –

-         Bene, allora siamo d’accordo. –

In quel momento, il campanello suonò. Miyu si sentì gelare il sangue nelle vene. Non aveva scordato di essere allerta. Deglutì, mentre il cuore cominciava a batterle a mille.

-         Mamma… hanno suonato alla porta… perciò… -

-         Oh, attendo in linea. –

Miyu avrebbe voluto terminare così la conversazione, ma dovette appoggiare sul tavolo la cornetta e andò ad aprire la porta. Di fronte a sé (aveva lasciato il cancello aperto la sera prima) vide un uomo con delle cartelle in mano.

-         Salve, sono il postino. C’è un pacco urgente per lei. –

Miyu era tanto sollevata quanto delusa. Firmò alcune carte e rientrò in casa, per poi riprendere in mano la cornetta.

-         Non è niente, mamma, solo un pacco. –

-         Oh, meno male. Te l’ho mandato io, infatti. –

Miyu spalancò gli occhi leggendo il nome di sua madre e il suo indirizzo in America sul pacco. Lo aprì in tutta fretta  e vide una busta di un fotografo da cui andava quando faceva sviluppare le foto in America.

-         E cos’è questa?

Miki ridacchiò dall’altra parte del filo.

-         Sono fotografie. Però, non devi aprire la busta, non sono cose nostre, ma per un amico. Vorrei che oggi, prima di tornare qua, passassi a consegnargliele. –

Miyu sbuffò. Ci mancava solo che si mettesse a fare il postino per conto di sua madre.

-         Ma perché gliele devo dare io?

-         E’ una questione di fiducia… e poi, sono sicura che il nostro amico sarà contento di rivederti… -

-         Rivedermi? Ma chi è?

-         Oh, probabilmente non ti ricordi di lui… si chiama Osho Saionji. –

Sentendo quel cognome, Miyu rabbrividì e senza accorgersene strinse la busta fino a stropicciarla. Del resto, non poteva certo pensare che avesse a che fare con chi credeva lei. Quanti Saionji c’erano in Giappone?

-         E… dove abita…?

-         Dunque, se ricordo bene, è in quella collinetta che si vede dalla stazione vicino a casa nostra. Sta con il figlio in un tempio scintoista. –

Miyu si lasciò andare contro lo schienale del divano. Allora era davvero chi pensava… il padre di Kanata. Ma perché tutte queste coincidenze? Lei che si perdeva proprio da quelle parti, lui che le restituiva il cappello… e quella scintilla che avevano avuto entrambi negli occhi nel momento in cui si erano visti… ora, sua madre che doveva dare delle fotografie al padre di Kanata… perché doveva accadere tutto questo? Aveva deciso di non rivederlo più. Però non poteva negare questo favore a Miki senza una ragione precisa, perciò acconsentì. Si vestì, senza sapere cosa fare. Non pranzò, tant’era concentrata a pensare a qualcosa da escogitare per non incrociarlo. Poi le venne in mente che, se Kanata aveva avuto un colloquio di lavoro quella mattina, di sicuro la cosa si era protratta sino al primo pomeriggio… non era detto che sarebbe tornato a casa entro le cinque. Se avesse fatto in fretta le valige e fosse andata al tempio di volata, avrebbe dovuto aspettare per un’ora l’aereo, ma almeno non avrebbe dovuto incontrare Kanata. Fece in tutta fretta le valige e poi aprì la porta d’ingresso, mettendosi il cappello di paglia sui lunghi capelli biondi. Osservò l’ingresso di casa: le sarebbe mancato quel posto. Però, con tutta probabilità non sarebbe potuta tornare tanto presto. Soprattutto dopo la ferita che quel breve viaggio le aveva inferto. Chiuse il cancello con due mandate e con il lucchetto, chiamò un taxi e si addormentò sul sedile posteriore, mentre si dirigeva verso il tempio Saionji. Arrivata lì, il taxista la svegliò e lei gli disse di rimanere per qualche minuto sul marciapiede, perché avrebbe fatto molto in fretta. Prese la busta con le foto e cominciò a salire lentamente i gradini della lunga scalinata di pietra. Respirò profondamente il profumo del luogo: le pareva così familiare che si sarebbe seduta a sentirlo più a fondo. Ma si impose di resistere e arrivata in cima alla scalinata di pietra, andò verso la porta del tempio. Suonò una piccola campana e attese, guardandosi intorno nervosamente. Le sembrava di andare dentro la tana del lupo. Vide aprirsi la porta e si sentì persa. Ma davanti a sé, vide un uomo calvo dall’aria serena, vestito da monaco.

-         Il… il signor Saionji? –

L’uomo alzò le sopracciglia e annuì con un mezzo sorriso.

-         Sì, signorina? –

A Miyu fece una strana impressione. Le sembrava una persona estremamente calma, ma nei suoi occhi c’era una strana luce furba. In quella luce si vide ricordare gli occhi di Kanata e le venne una grande malinconia.

-         Ecco… sono Miyu Kozuki e.. le devo consegnare queste da parte dei miei genitori, Miki e Yu Kozuki… -

L’uomo prese la busta dalle mani di Miyu e pensò per qualche secondo. Poi fece un gran sorriso, come se l’avesse riconosciuta.

-         Ho capito! Mi ricordo di te! Ma certo, Miki, Yu e Miyu Kozuki! Che nostalgia! – la squadrò da capo a piedi – b’è, è davvero molto tempo che non ci vediamo. Mi ricordo di  te quando eri una bimba di appena due anni… -

Miyu cercò di sorridere. Era per questo che quel luogo le pareva così familiare?

-         E’ un piacere conoscerla, signor Saionji… purtroppo, ho un aereo per l’America tra mezz’ora, per cui devo andare… - mentì Miyu, sempre più nervosa. Ma Osho sembrava motivato a non lasciarla andare.

-         Oh, allora c’è ancora tempo! Da qui all’aeroporto ci vogliono cinque minuti! –

-         Ma sono venuta in taxi… -

-         Ti ci porto io, fai svuotare il taxi! Nel frattempo ti preparo un thè! –

Osho sembrava davvero felice di vederla e lei non riuscì a mentire ancora, per cui eseguì ciò che le era stato detto. Lasciò le valige in fondo alla scalinata e poi andò a sedersi al tavolo dei Saionji. Osho si fece raccontare la sua vita in dettaglio e dopo un po’ anche Miyu ci prese gusto a parlarne, così non si accorse del tempo che scorreva.

-         Certo che è stato davvero un peccato… - disse ad un certo punto Osho - ... durante quel periodo, quando tu partisti per l’America, avremmo dovuto ospitarti noi, ma ebbi un incidente in montagna e mio figlio Kanata dovette venire all’ospedale in India a recuperarmi! –

Risero, nonostante Miyu si sentisse incredibilmente triste ogni volta che sentiva quel nome.

-         Credo che sareste andati d’accordo, voi due. Da bambini, giocavate insieme ogni giorno… -

Miyu sorrise tristemente. Era andata così vicina alla felicità che subito si era allontanata. Del resto, anche se fosse riuscita a farsi ospitare dai Saionji, non era detto che la felicità vera sarebbe stata lì.

-         Senta, Osho… potrei andare al bagno? Vorrei rinfrescarmi prima di ripartire. –

-         Oh, fai pure! E’ in fondo al corridoio. –

A Miyu sembrò che quella casa fosse immensa, e non riuscì a trovare subito il bagno. All’improvviso, si ritrovò in un corridoio che non conosceva. Probabilmente era finita dall’altra parte della casa. Entrò in una stanza e vide che si trovava in una camera da letto. Era ordinata al punto giusto, uno zaino accanto alla scrivania. Sembrava la camera di un ragazzo. Dopo pochi secondi, Miyu sentì dei passi per il corridoio, una porta che sbatteva e una discussione. Si sentiva incredibilmente colta con le mani nel sacco e istintivamente cercò un posto dove nascondersi. Senza sapere né come né perché, si ritrovò dentro all’armadio dei futon, nel buio più totale se non per una fessura da cui poteva vedere quello che succedeva nella stanza. Sapeva di essere nei guai, ma ancora non aveva capito in che tipo di guai. Pochi istanti dopo, vide Kanata entrare nella stanza. Vederlo di nuovo le provocò una violenta accelerazione dei battiti del cuore e avvampò come una stupida, dato che lui non poteva vederla. Anzi, sembrava concentrato su tutt’altro. Vide infatti entrare dietro di lui Christine. Pensò di essere finita in una situazione a dir poco imbarazzante, nella camera di Kanata, mentre c’era anche Christine e loro pensavano di essere soli… ma stava accadendo qualcos’altro. Stavano discutendo.

-         Stai cercando di dirmi – stava dicendo infuriato Kanata – che sei andata a casa sua in piena notte? Sei impazzita, forse? –

-         Cosa dovevo fare? Tu sei il mio ragazzo, accidenti! Se siamo fidanzati, non dovresti permetterti di divertirti con un’altra!

Kanata sembrava sul punto di esplodere ed era un vero spettacolo, data la sua solita freddezza.

-         Ma per chi mi hai preso? Divertirmi? Quello non era divertimento e lei ha un nome, Miyu! –

L’interessata, nascosta tra i futon, osservava la scena da quell’unica fessura, sempre più agitata. Però tendeva le orecchie.

-         Non mi importa niente di come si chiama! La cosa terribile è che ci sei andato a letto, ecco! –

-         Andato a letto? Tu non sai nemmeno che vuol dire! Finora sono stato buono ad ascoltare le tue paranoie, ma questa volta stai esagerando! Tu stessa hai detto che ultimamente la nostra relazione stava precipitando! –

Christine era infuriata e al tempo stesso sul punto di piangere.

-         Tutti hanno dei brutti momenti! Non è una buona ragione per tradirmi con la prima che passa! –

Kanata si impose su di lei con aria leggermente più calma.

-         Non è la prima che passa. Non sei stata tu a dirmi che non è necessario conoscersi da tempo per frequentarsi? Ascoltami bene, Christine… -

Kanata posò le mani sulle spalle di lei e le si avvicinò. Miyu ebbe un incredibile attacco di gelosia, tanto che dovette trattenersi dall’uscire dall’armadio e fare una scenata, nemmeno lei sapeva come. Sospirò, mordendosi il labbro inferiore: perché era così innamorata? Era quello ciò che chiamavano vero amore? Ancora non riusciva a capire se fosse qualcosa di piacevole o spiacevole. Kanata aveva abbassato la voce, per questo lei dovette tendere al massimo le orecchie e appoggiarsi all’anta dell’armadio per sentire meglio.

-         … so bene che ho sbagliato, e ti giuro che mi sentirò in debito con te per tutta la vita. Cercherò di farmi perdonare in tutti i modi, davvero. Però, ti prego… finiamola qui.

Lo sguardo di Chris si fece immensamente triste mentre lo guardava dritto negli occhi. Dal canto suo, Miyu si sentiva davvero in preda ai sensi di colpa: stava origliando qualcosa di molto privato, inoltre le sembrava di essere una traditrice su tutti i fronti. All’improvviso, sentì un forte solletico su una spalla e dovette muoversi lentamente tra i futon. Intanto, Chris e Kanata continuavano a parlare.

-         Farla finita?! – gridò esasperata lei – come puoi dire una cosa simile? Stiamo insieme dal liceo e ora vuoi “farla finita”? Stai scherzando?! –

Kanata sospirò, scotendo la testa e sia allontanò di qualche passo da lei. La ragazza recepì il messaggio di quel silenzio.

-         Io… - sussurrò piano, mettendosi una mano tra i capelli e fissando il pavimento - … pensavo… che ci saremmo sposati, un giorno… pensavo che questa tua titubanza a stare con me fosse solo timidezza, ma… dimmi la verità, mi hai amata davvero? O sono stata solo un intermezzo per aspettare quello che secondo te è il “vero amore”?

Kanata esitò un attimo.

-         Non sei stata un intermezzo e lo sai. Non sarei stato con te se non avessi provato qualcosa… però, adesso come adesso, lo vedo più come affetto che come amore… mi dispiace, davvero… -

Chris sembrava molto seria.

-         C’è una cosa, Kanata, che devo dirti... dopo di che ti lascerò in pace ed uscirò dalla tua vita… -

-         Ti ascolto. –

-         I tuoi occhi… quando eri con Kozuki… mi è sembrato di vedere in quegli occhi… che tu… -

Miyu aveva appena teso le orecchie al massimo, quando sentì un solletico terribile alla spalla, di nuovo. Era una strana sensazione… fortunatamente, all’interno dell’armadio c’era una luce fioca, così che voltandosi potesse vedere cosa le stava dando fastidio. Si voltò lentamente, cercando di non fare rumore e si ritrovò faccia a faccia con allegro ragno nero e peloso, spaventosamente grosso…

-         Aaaah, che schifo! Che schifo, che schifo, che schifo!!! – cercando di toglierselo dalla spalla, urtò un futon che provocò una reazione a catena e le cadde addosso assieme a tutti gli altri, mentre lei cadeva rovinosamente in avanti, aprendo l’anta dell’armadio. Si ritrovò con la faccia sul pavimento, gambe all’aria. Solo allora si rese conto della situazione… davanti a lei, sbalorditi, c’erano Christine e Kanata. Quest’ultimo la guardò come se fosse una creatura di un altro mondo.

-         M-miyu… che diavolo… che diavolo ci fai qui? –

-         Ehm… -

E adesso? Christine si arrabbierà di nuovo, proprio quando stava per mollare la presa? Kanata si infurierà per aver trovato Miyu in camera sua? Miyu tornerà in America? CONTINUA…

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Capitolo 6
*** Don't leave me alone. Because I love you. ***


DON'T LEAVE ME ALONE. BECAUSE I LOVE YOU.

-         M-miyu… che diavolo… che diavolo ci fai qui? –

Miyu si trovava con la pancia a terra e addosso tutti i futon dell’armadio di Kanata, rossa di vergogna. Lanciò un’occhiata a Chris, che sembrava assolutamente incredula. Da tanto stupore, aveva perfino smesso di singhiozzare.

-         M-mi dispiace… posso… posso spiegare… - Miyu si alzò faticosamente in piedi, togliendosi dalla schiena i futon che le erano caduti addosso.

Cadde un disastroso silenzio, mentre lei si ritrovava finalmente in piedi, senza sapere esattamente da dove cominciare. Intanto, si sentirono dei passi di corsa e sulla soglia comparve il signor Osho, con gli occhi lucidi.

-         Kanata! Oh, Kanata, guarda! –

Tutti e tre si voltarono verso l’uomo, che stava sventolando delle fotografie. Kanata lanciò un’occhiataccia a Miyu, poi si affiancò al padre.

-         Cosa…? – si bloccò, fissando le fotografie. A Miyu parve di vedere una luce particolare nei suoi occhi, ma non ne era sicura. Chris la stava fissando e lei nemmeno se ne accorgeva.

-         Papà… dove… dove le hai trovate? –

-         Me le ha date la signorina Kozuki, vedo che vi conoscete già, no? I suoi genitori erano vecchi amici di famiglia. Salve anche a te, signorina Hanakomachi. –

Kanata volse lo sguardo verso Miyu e sembrava che tutto il disappunto di qualche istante prima fosse completamente sparito.

-         Avevamo così poche foto di lei… adesso, guarda quante! E per tutto questo, devi ringraziare Kozuki, che è stata così gentile da consegnarcele.

Cadde nuovamente il silenzio nella stanza e Osho finalmente capì che aveva interrotto qualcosa.

-         B’è… ora… io vado… tu guardale pure con calma, Kanata-

L’uomo sparì trafelato lungo il corridoio, senza nemmeno pensare di chiedere a Miyu come avesse fatto a finire nella camera di Kanata. I tre si guardarono a vicenda.

-         Scusate davvero, ragazzi… - cominciò Miyu, imbarazzata - … ero venuta davvero per consegnare quelle foto e andare all’aeroporto, però poi mi sono persa in casa e quando vi ho sentito arrivare, istintivamente mi sono nascosta. Ma vi giuro che non ho origliato apposta. Anzi, adesso vado all’aeroporto e… -

Kanata la prese per un polso.

-         No. Non ci sono aerei per l’America fino alle sette, per cui puoi aspettare. Ti dispiace aspettare qualche minuto qui fuori? –

Lei, accigliata, scosse la testa e uscì dalla stanza, chiedendosi come facesse Kanata a sapere degli orari degli aerei. Dopo dieci minuti che stava seduta nel grande giardino, vide uscire Kanata e Chris. Lei aveva l’aria molto più allegra di prima, perlomeno non aveva neanche un po’ di rossore negli occhi. Vedendola, la ragazza le fece un cenno con la mano e le sorrise e Miyu rispose sorridendo, sempre più stupita. Poi, le si affacciò nella mente un pensiero terribile… Kanata poteva aver deciso di scaricare lei, non Chris. Forse aveva avuto un ripensamento. Forse, forse, forse…

-         Ah, eccoti qui! – Kanata la sorprese e lei fece un salto per lo spavento, mentre lui rideva sedendosi accanto a lei.

-         Sei proprio strana… -

-         Mi spunti all’improvviso con un urlo nel silenzio più totale, dovrei essere tranquilla?! E poi, non sono affatto strana.

Kanata sorrise.

-         Può darsi. –

Rimasero in silenzio per qualche istante, poi lui riprese la parola.

-         Ho lasciato Christine. –

Miyu abbassò lo sguardo.

-         Lo immaginavo. Però, non ho mai avuto intenzione di farti fare una cosa simile.

-         Lo so, tuttavia sono sempre stato piuttosto insicuro sul nostro rapporto. Eravamo molto più amici che fidanzati e cominciavo a stancarmi… l’avrei fatto comunque. –

-         Mi dispiace, davvero. Non volevo farvi lasciare. Volevo tornare a casa senza rivederti più. –

Kanata la guardò con un sorriso.

-         Ehi, non fare così! Sei tanto sciocca quanto buona. –

-         E con questo cosa vorresti dire?!

-         Insomma, chiunque al tuo posto farebbe i salti di gioia, dopo quello che è successo a noi. Però tu ti preoccupi davvero per Christine, nonostante la conosca da tre giorni al massimo.

Miyu sospirò e poi si alzò. Kanata la guardò aggrottando le sopracciglia.

-         Cosa fai?

-         Vado all’aeroporto. Ho chiamato un taxi mentre tu stavi parlando con Hanakomachi-

Kanata scattò in piedi, incredulo.

-         Cos’hai fatto? Hai ancora intenzione di partire? –

Miyu deglutì a fatica, mentre si incamminava in fretta verso la scalinata di pietra.

-         Mi è stato chiesto di tornare e l’ho fatto. Sin dall’inizio, la mia intenzione era di sparire senza rivederti. –

-         Ma scusa, sei ancora di quell’idea nonostante io ti abbia detto tutto questo?

Miyu sospirò nuovamente, mentre scendeva sempre più in fretta la scalinata e un taxi frenava in fondo alla strada, in attesa.

-         Perdonami. Però, ho bisogno di riordinare delle idee.

-         Io non riesco a capirti, Miyu. Quali idee devi riordinare? –

Lei si fermò, sull’ultimo gradino e lo guardò negli occhi, mordendosi il labbro inferiore. Non doveva piangere, non davanti a lui. Non piangere, non piangere…

-         Cosa… cosa credi di fare? – disse, respirando a fatica – credi di poter entrare nella mia vita, quando meno me lo aspetto e poterla sconvolgere così? Credi che sia facile per me, che ho sempre vissuto delle storie molto platoniche, senza amare mai davvero? Non so… io non so se ne sono capace, di dare tutta me stessa, Kanata. E poi… mi pesa così tanto il fatto di averti fatto lasciare con quella ragazza. So cosa prova, perché l’ho provato anch’io e questo mi fa star male quanto lei. Perciò, per favore, te lo chiedo per favore, fammi riflettere su tutto questo.

Kanata la fissò, con sguardo serio.

-         Ne sei sicura? Ricorda che non puoi tornare indietro. –

-         Lo so… e adesso, te lo giuro, salirò su quel taxi e tu mi guarderai andare via, poi mentre io salirò sul mio aereo, tu sarai dentro al tempio, come se non fosse successo nulla. Accadrà tutto questo, però, Kanata, nonostante questo, devi ricordarti che… in realtà… io… -

-         … ti amo. – conclusero entrambi all’unisono e questo la fece sentire ancora peggio. Ma salutò Kanata con un cenno della mano e un mezzo sorriso e salì su quel taxi. E davvero lui la guardò andarsene, davvero le salì sul suo aereo e davvero Kanata era dentro al tempio, da solo. C’era solo una cosa che Miyu non aveva previsto: in quei momenti, entrambi avevano la testa tra le mani e il rimpianto nel cuore. //

Successivamente, Miyu scoprì che la notizia importantissima di cui i genitori volevano parlare altro non era che un annuncio di ritorno in Giappone. Si erano stancati della frenetica vita americana e gli mancava la loro casa a Tokyo. Miyu, titubante, acconsentì a tornare ma fu irremovibile: lasciò partire Miki e Yu a Gennaio, mentre lei avrebbe dato gli esami d’ammissione all’università di Tokyo in America, giusto per non perdere i contatti con il suo vecchio liceo. In realtà, non aveva minimamente voglia di ritrovarsi a guardarsi intorno ogni dieci secondi per paura di incrociare Kanata ed era meglio aspettare un po’. Nemmeno lei sapeva perché l’avesse lasciato in quel modo, però aveva avuto una paura tremenda all’ultimo minuto, come una sferzata d’acqua gelida. Non si era mai ritrovata ad amare così intensamente e aveva paura di rimanere, in qualche modo, delusa. A forza di sentirsi indecisa, aveva deciso di fuggire. Ma a luglio dell’anno successivo lei era di nuovo lì, all’aeroporto di Tokyo, sempre con il suo cappello di paglia posato sui lunghi capelli biondi e un vestito bianco lungo fino alle ginocchia, a guardare il cielo terso del suo paese. Era felice di essere tornato, ma nonostante questo si sentiva estremamente malinconica: chissà se Kanata si ricordava di lei? Probabilmente no. Anzi, probabilmente la odiava per ciò che gli aveva fatto. E poi, di sicuro non avrebbe più avuto occasione di incontrarlo, abitavano in quartiere troppo lontani l’uno dall’altro. Cercò di non pensarci più e si ricordò che i genitori non potevano passare a prenderla e avevano lasciato davanti all’aeroporto la loro vecchia auto, che aveva l’aria di essere uscita dal garage dopo sei anni solo per quella occasione. Diffidente, Miyu posò sul sedile posteriore le valige e si mise alla guida, sempre più preoccupata sentendo il suono sospetto del motore che partiva lentamente. Ma partì comunque con tranquillità, e tutto sembrava andare liscio. Miyu si guardò intorno: non sapeva di essersi spinta così in periferia. Era nel bel mezzo della campagna, in un interminabile viale alberato. Non c’era nessuna casa intorno e questo non avrebbe suscitato un problema, anche se era soprappensiero, se l’auto non avesse cominciato a sbuffare…

-         No… bella, non puoi farmi questo… - scongiurò Miyu all’auto, premendo l’acceleratore. Ma cominciò ad arrancare sempre di più, minuto per minuto, finché non si fermò definitivamente con una folata di fumo che usciva dal motore. Miyu si accasciò sullo schienale della poltroncina, incredula. Sapeva che quella vecchia carretta era sgangherata, ma non aveva mai fatto scherzi del genere. Sospirò e uscì dall’auto stringendo gli occhi a causa della luce fortissima del sole. Si guardò intorno, cercando di abituarsi a tutta quella luce: la strada era deserta e non c’erano case, come aveva notato prima. Dette una pacca alla portiera dell’auto.

-         Maledizione… -

Vide sempre più fumo uscire dal motore e cercò il pulsante per aprirlo e guardare che tipo di guasto c’era, ma non lo trovò e si sedette per terra, sconsolata. Perché dovevano capitare tutte a lei? Aspettò lì per un tempo interminabile, senza il cellulare, a girarsi i pollici mentre per la strada non passava nessuno. Il sole attraversò lentamente il cielo fino a quando non fu quasi il tramonto. A quel punto, Miyu si chiese se mai qualcuno sarebbe venuto a cercarla, dannati genitori. Si era alzato il vento. Si guardò intorno nuovamente, convinta che anche questa volta nella strada avrebbe visto il nulla, quando vide un auto dirigersi velocemente verso di lei, in lontananza. Scattò in piedi, raggiante e cominciò a sbracciarsi.

-         Ehi, si fermi, si fermi! – disse e nell’euforia quello stupido cappello le sfuggì di nuovo e andò a piazzarsi in mezzo alla strada, proprio mentre l’auto frenava davanti ad esso. Miyu non ci fece nemmeno caso e si mise una mano sugli occhi, cercando di vedere qualcosa a causa del sole che stava tramontando.

-         La ringrazio… mi è partito il motore e non sapevo proprio come fare… -

Qualcuno scese dall’auto sbattendo la portiera e andò a raccogliere il cappello. Miyu strinse di più gli occhi, cercando di vederlo in viso. Quando la persona glielo porse, lei riuscì a guardarlo negli occhi e rimase a bocca aperta.

-         Ah… tu… tu… tu… -

-         Sei come al solito, un telefono che squilla a vuoto… -

Era un ragazzo alto, dagli occhi e capelli scurissimi ed era…

-         Kanata… - (cosa posso dire? Ma che coincidenza! NdMiyuchan)

-         Che ci fai sul ciglio della strada? Possibile che ogni volta che ti incontro combini qualche guaio? –

Tutta la magia dell’atmosfera finì quando Miyu gli tirò un pugno.

-         Ma insomma, la smetti?! Dovresti essere più gentile! –

Kanata rise e lanciò un’occhiataccia all’auto.

-         Come hai potuto anche solo sperare di fare dieci metri con quel catorcio? –

-         Non offenderla! E’ la mia auto da quando ero una ragazzina! Cioè, dei miei genitori… -

Kanata alzò un sopracciglio e sorrise.

-         A questo punto, ti conviene venire su con me e chiamare domani il carro attrezzi. Solo a te possono capitare cose simili… -

Miyu sbuffò e a fatica prese i suoi bagagli per poi salire sull’auto di Kanata. Quando lui mise in moto lei finalmente si rese conto che era una situazione assurda.

-         Senti, non mi chiedi perché sono tornata in Giappone? Non mi chiedi se sono tornata a vivere a casa mia? Cosa ci facevi in mezzo alla campagna? Perché sei sempre dove sono io e fai queste apparizioni incredibili?

Kanata rise di fronte alla raffica di domande.

-         Risponderò una per volta: so benissimo perché sei in Giappone e quanto ci resti, perché ogni giorno di ogni mese dall’anno scorso sono stato davanti a casa tua e un bel giorno ci ho visto traslocare i tuoi genitori, che mi hanno raccontato tutto. Ci vado spesso, per questo non mi sono preoccupato di telefonarti, se no l’avrei fatto… -

Miyu sospirò, guardando fuori dal finestrino. Cosa significava? Le avrebbe telefonato per riallacciare i rapporti, davvero…?

-         e poi, oggi i tuoi genitori mi hanno detto che non ti eri fatta ancora vedere e che probabilmente ti si era fermata l’auto e mi hanno chiesto se potevo venirti incontro. Conoscendo le strade dell’aeroporto, ma soprattutto conoscendo te, ho ricomposto il puzzle di quello che la tua mente potrebbe aver pensato, nonostante non lo faccia quasi mai. Così, dopo un giorno di ricerca, come sospettavo eri qui. –

-         Di un po’, perché non la finisci di prendermi in giro? –

-         Visto che me lo chiedi, no, non la finisco. Se no, come mi diverto?

-         Non hai risposto all’ultima domanda… lo dico solo per evitare di esplodere dalla rabbia… -

Kanata fece spallucce.

-         Non lo faccio apposta ad essere dove sei tu. Prima di chiederlo a me, dovresti chiedere a te stessa perché ci inseguiamo inconsapevolmente, no? –

Miyu lo guardò con un sorriso. La rabbia le era già svanita ed era completamente persa.

-         Me lo sono già chiesto. E so anche la risposta… -

Kanata frenò all’improvviso, svoltando all’interno di uno spiazzo vicino alla strada.

-         E quale sarebbe? – disse, voltandosi finalmente verso di lei. Miyu notò che era già diventato buio e poteva vedere Kanata a malapena, grazie alla luce di un lampione. Cercò di rimanere calma e di non farsi venire il batticuore troppo forte.

-         Perché… io… ti… -

Kanata la interruppe con un bacio poi la guardò negli occhi.

-         Ti amo… -

-         Cosa diavolo stai dicendo, stupida?

Miyu spalancò gli occhi e una luce fortissima le entrò negli occhi. La prima cosa che vide fu la faccia di Kanata che la fissava con aria indifferente.

-         AAAAAAAAH!!!! –

Scattò in piedi e si guardò allo specchio. Aveva una strana sensazione, come se dovesse ricordare qualcosa, ma non sapeva cosa. Ad ogni modo, si era quasi dimenticata chi era, tanto aveva dormito profondamente: Miyu, 14 anni, terza media. Cercò di darsi una calmata e si voltò infuriata verso Kanata.

-         Tu… cosa ti salta in mente? Mi hai fatto prendere un colpo! –

Kanata fece una smorfia.

-         Ma si può sapere cosa stavi sognando? Prima hai detto una cosa incredibile, detta da te… -

Miyu arrossì, anche se non ne sapeva il reale motivo. Poi pensò che quella strana sensazione che aveva addosso doveva essere dovuta a un sogno che aveva fatto.

-         Perché, cosa ho detto?

Kanata la fissò per qualche istante e poi si diresse verso il corridoio.

-         E’ tardi, se non ti vesti e fai colazione in cinque minuti, vado a scuola da solo. –

Miyu sbuffò e fece ciò che doveva fare.

-         Buona giornata, signorina Miyu, signorino Kanata! – disse Baumiau, con il piccolo Lou in braccio che lanciava gridolini di gioia.

-         Grazie, Baumiau! – Miyu corse dietro a Kanata e mentre correvano entrambi verso la scuola gli chiese:

-         Mi vuoi dire cosa ho detto nel sonno? –

-         Perché ti importa tanto?

-         Così, magari me lo ricordo. Mi sembra che fosse molto bello, ma non posso dirlo con certezza perché non so nemmeno cosa ho sognato. Dimmelo! –

-         Doveva essere un sogno molto sdolcinato. –

-         Perché?

-         Conoscendoti, probabilmente fai sempre dei sogni da romanzo rosa! –

Miyu arrossì e fece la linguaccia.

-         E tu che ne sai? Ti prego, dimmelo! –

Kanata sorrise e Miyu rimase interdetta per un attimo.

-         Che hai da sorridere?

-         Niente, non ho mica sorriso. –

-         Cosa sono tutti questi segreti?

Mentre correvano proprio mentre il cancello della scuola stava per chiudersi, Kanata scoppiò a ridere.

-         Non è un segreto, questo proprio no… -

Miyu non capì quella frase, però non chiese più ciò che aveva mormorato nel sonno, perché quel giorno Kanata era più felice del solito e non voleva assillarlo. Però, le rimase quel cruccio nella mente, senza riuscire a ricordare quel sogno… che probabilmente non ricorderà mai, ma… quello che quella mattina mormorò nel sonno, un giorno Kanata glielo dirà… forse in un altro modo, ma glielo dirà…

 

 

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