Hopeless.

di dreamcatcher___
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1: Is Anybody Out There? ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7. ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8. ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9. ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10. ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11. ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12. ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13. ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14. ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15. ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16. ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17. ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18. ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 - Now my life is better. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1: Is Anybody Out There? ***


Non è facile distinguersi. Non lo è mai stato.
Sfido chiunque a dimostrare il contrario, perché credo che tutti quanti almeno una volta hanno desiderato di essere considerati di più, o semplicemente di venire trattati diversamente.
Viviamo in un mondo dove se nasci come quello povero, muori come quello povero, se nasci ricco, muori con la stessa fama che ti sei fatto senza volere solo andando in giro con una borsa di Gucci.
Io sono una di quelle persone. Amber Allen era una ‘degli strani’.
Evidentemente non sono stata informata sulla legge che dice che se abiti in una villa di due piani, sei figlia di due genitori proprietari di un’azienda, allora sei condannata all’eterna solitudine. In poche parole; i soldi mi escono dal culo, gli altri lo sanno e mi snobbano.
Non ti scegli la famiglia, non ti scegli i parenti, non scegli se nascere sotto un ponte o in un palazzo, ma io non voglio tutto questo.
‘Ma che dici? Sei fortunata, vorrei anche io un armadio pieno di roba!’ penserete.
Anche io pensavo che avere vestiti firmati non era una colpa, ma solo un po’ di fortuna, ma nessuno la pensa così, soprattutto i miei compagni di scuola.
Non mi rivolgono parola per paura che io cominci a raccontare di tutti i paesi che ho visto, della super macchina di mio padre, e della piscina di casa mia, e se lo fanno, mi parlano solamente per chiedere di passargli i compiti.

I don’t wanna be left
in this war tonight
Am i alone in this fight?
Is anybody out there?
Don’t wanna be left in this world,
Say you’ll run to my side.


La canzone di Nelly Furtado mi fece compagnia per il percorso strada-scuola che facevo ogni mattina.
Non aveva tutti i torti, ‘sono sola in questa battaglia?’
A quanto pare si, dato che in questo mondo non esiste cane che non si ferma all’apparenza.
Sono la cosiddetta ‘figlia di papà’, con due genitori che ogni tanto non si fanno problemi a viziarmi un po’, con qualche vestito di troppo e una cameriera che ogni mattina mi rifà il letto e mi prepara la colazione, ma io sono l’opposto dei miei genitori.
Amo dire le parolacce, appena ci provo vengo cazziata da mia madre o da chi va e viene da casa mia, ho già fumato, un paio di volte solo e ho già avuto la mia prima sbronza ad un addio al celibato. Bello eh?

Arrivo davanti il cancello della mia scuola, tolgo le cuffie e gli occhiali da davanti il viso e mi incammino all’entrata sotto i soliti sguardi pungenti delle troie della mia scuola e dei loro ragazzi, capitani di tutte le squadre possibili e immaginabili.
Arrivo all’armadietto, prendo i libri delle ore seguenti e mi dirigo in classe.
Le lezioni passano normalmente, noiose come al solito quando non hai nessuno con cui parlare. L’unica ragazza che si degna di parlarmi e Ally, del mio stesso anno e devo dire che mi ci trovo bene. Non è come tutte le altre oche starnazzanti e non è nemmeno come me, è una via di mezzo e aveva si e no due ragazzi che ci morivano dietro. A volte la invidiavo parecchio per la sua semplicità. Sono sicura che se le avrei chiesto un parere mi avrebbe risposto ‘vorrei essere come te Amb.’.
Io non voglio essere me.
A fine giornata mi avvicino nuovamente all’armadietto e vedo qualcuno dirigersi verso di me.
Josh, Josh Parker.
Avevo avuto una cotta per lui l’anno scorso. Che voleva? Non ero in vena di battute sul mio abbigliamento.
“Ehi, Allen!” “Che vuoi?” “Francese, io, ripetizioni, domani, ci stai?” “Potresti parlare la nostra lingua o ti costa tanto?” “Ho bisogno di ripetizioni, potresti aiutarmi?” “Va bene. Domani?” “Si, ci vediamo da me, ok?” “Ok, ciao Josh.”


If you feel the way I feel
Like you've been talking to yourself
Well this one's for everyone who's felt invisible.



Bene, vi avevo promesso l'altra storia o no? :)
Sò che sembra noiosa, ma lo è solo questo capitolo, almeno credo. t.t Spero mi seguirete anche quì. Alla prossima. :)
P.S: sò che il titolo non è originale, ma è tanto che mi era venuto in mente, non uccidetemi per questo. çç

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Capitolo 2
*** Capitolo 2. ***


La sveglia sul mio comodino suonò puntuale alle sette.
Restai avvolta nelle coperte un altro po’, perché come ogni mattina non avevo la minima voglia di alzarmi.
Evidentemente mi riaddormentai senza accorgermene perché quando riaprii gli occhi, Jenny la cameriera, era al fianco del letto che mi chiamava costantemente.
“Amber, Amber, svegliati è tardi! La colazione è pronta.”
Mi stropicciai gli occhi e feci un enorme sbadiglio, finezza zero. “Mh, ancora cinque minuti, ho sonno.” “Alzati pigrona, o farai tardi a scuola.” Mi alzai sbuffando, infilai i piedi nelle mie ciabatte viola pelose e scesi in cucina, dove sul tavolo mi aspettava una colazione fumante a base di frittelle.
Mangiai con calma, il tempo di gustarmi quelle ottime frittelle, poi corsi in camera a prendere i vestiti.
Troppo vecchio, troppo estivo, troppo colorato, troppo elegante…Troppo, troppo, troppo.
Era questo il problema di quando avevi una specie di boutique nel tuo armadio; non sapevi mai cosa indossare. Alla fine scelsi: una maglietta dell’Abercrombie, e i jeans attillati della Guess andavano più che bene.
Quel giorno avrei avuto ginnastica, ma scelsi di non farla, odiavo sudare. E poi avevo appena piastrato i capelli.
Andai in bagno, mi vestii, portai i capelli da un lato e mi truccai con del mascara e un po’ di ombretto dello stesso colore della maglietta.
Infilai le Vans grigie, presi la borsa e uscii di casa.
No, non è un’impressione…La mia vita è estremamente pallosa.

Entro dal portone principale e cammino per quell’odioso corridoio che non sopporto, dove puntualmente, alle otto sono tutti lì fermi ai loro armadietti.
Sento i loro sguardi addosso a me, come spilli appuntiti che si insinuano dentro la mia pelle e pungono ogni mio passo.
Mi sento come se fossi sotto un riflettore, intorno a me buio e avanti a me il corridoio che aspetta di essere percorso, come fosse un tappeto rosso.
Nascondo la faccia a metà dietro i libri e cerco di ignorare le parole che sottovoce passano di ragazzo in ragazzo.
Non ero vittima di bullismo, ma tutta questa indifferenza a volte feriva più di un pugno nello stomaco, almeno chi ti picchiava ti dava attenzioni.
Mia nonna ogni volta che ci vedevamo mi viziava con i suoi soliti complimenti, del tipo ‘Non ascoltarli, loro non capiscono niente.’ ‘Sei bellissima, hai un bel fisico.’ Etc…
Tutto questo aveva sempre influito su di me e sulla mia personalità, ecco forse perché non mi parlavano, ma è difficile cambiare idea con una famiglia che ti ripete le stesse cose dopo quasi diciassette anni.

“Ehi Amb, come ti è andata la verifica di storia?” “Credo bene, a te Ally?” “Non so, non sapevo due risposte. Se prendo l’insufficienza i miei mi ammazzano.” Risi. “Domani ti và di studiare biologia insieme?” “Si. Facciamo da me?” “Ok, allora a domani, ciao Ally!”
Girai l’angolo del marciapiede ma una musica in sottofondo a tutte le voci degli studenti all’uscita, attirò la mia attenzione.
Mi voltai, ma un paio di ragazze mi bloccavano la visuale. Mi feci spazio tra di loro e passai.
Seduto in un angolino del marciapiede, c’era un ragazzo che suonava con una chitarra in mano e il cappuccio in testa. Mi guardai intorno e vedendo che non c’era più nessuno, mi sedetti accanto a lui e continuai a sentirlo suonare. Poggiai i gomiti sulle ginocchia e lo osservai come muoveva la mano sulle corde della chitarra; non nego che mi sarebbe piaciuto imparare a suonarla, ma i miei preferivano facessi danza. Non si accorse di me, per via del cappuccio che gli copriva la faccia, così restai lì finche non smise di suonare. Quando terminò, ne approfittai per tirare fuori dalla borsa i soldi e darglieli; infondo era là per quello, no?
Mi alzai quando vidi che lui era già in piedi, feci per allungare la mano ma lui mi bloccò il polso. Mi spaventai e spalancai gli occhi a quella reazione.
“No.” Portai la mano sulla sua, cercando di toglierla dal mio polso ma lui lo fece prima di me. “Non lo faccio per soldi.” Disse mentre si tolse il cappuccio, dal quale spuntarono una massa di ricci castani e due occhi color ghiaccio da far mancare il fiato, che mi squadrarono bene dalla testa ai piedi e tornare su.
Indietreggiai di un passo, ancora spaventata e mi massaggiai il polso per via della stretta troppo forte. “Ehi, non mangio mica!” Restai ferma sul mio posto a guardarlo, come se avesse qualcosa disegnato sulla faccia. “Hai perso la parola?” Sorrise.
Che sorriso.
Un altro motivo per restarsene a mangiarlo vivo con gli occhi.
“Ehm, no, scusa.” “Non volevo spaventarti, mi dispiace.” “Di niente. Credevo suonassi per…” “Soldi? No, non lo faccio per quello.” “E allora perché lo fai?” “Credevi davvero che ero qui per soldi?” “Beh, si. Sennò perché ti sei seduto sul marciapiede?” Si sistemò il colletto della felpa e mi guardò con un sorrisetto sghembo. “Ho capito, sei la solita ragazza ricca fuori dal mondo.” Disse mentre mi riguardò dall’alto al basso.
Apparivo così anche agli estranei?
Lo guardai male, aggrottando le sopracciglia. “Come ti permetti?” “Appunto.” Stavo per rispondere ma la voce di Ally mi richiamò. “Amb, dai muoviti!” “Arrivo!” Mi voltai di nuovo, ma il ragazzo già non c’era più. Andai da Ally.
“Che c’è?” “Ho fame, sbrighiamoci!”



Da quà la storia prende vita. Già in due che la seguono, grazie. *-* Spero vi piaccia.
-Vitto.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3. ***


“Cosa vi porto signorine?” “Due pizze grandi e una coca-cola, grazie.”

- “Due pizze grandi, una coca-cola e il cameriere qui davanti.” -

Il cameriere della pizzeria sotto casa prese le nostre ordinazioni…no, ricomincio; il cameriere alto, moro, occhi verdi, palestrato, proprietario di una nuovissima moto da strada, della pizzeria sotto casa prese le nostre ordinazioni e sparì dietro il bancone.

“Con chi stavi parlando prima?” Disse Ally tra un morso di pizza e un goccio di coca-cola.
“Io? A cosa ti riferisci?” “A quello strano tizio fuori scuola.”
Strano.
Misterioso.Strano.Spettinato.Bello.Strano.
Ok, era strano. Tanto strano quanto io ero curiosa nei suoi confronti.
Ally era già a metà della sua pizza margherita, mentre io, lenta e attenta a non sporcarmi come sempre, ero a malapena al terzo morso della seconda fetta.
Non mi piaceva avere la bocca impasticciata di pomodoro e di conseguenza avere ogni tre secondi il fazzoletto sulla faccia per pulirmi.
Pazienza, avrei rimesso il lucidalabbra alla fine del pranzo, non volevo diventasse una pizza con mozzarella e brillantini.
Ok, alla Principessa Sissy le facevo un baffo.
Ma non era colpa mia che nonostante tutto, una cosa che nella mia famiglia non era mai mancata era la troppa educazione, da avere persino due forchette e due coltelli a tavola.
A proposito di tavola, avevo una pizza da finire prima diventasse colla.

Quella mattina decisi di andare un po’ fuori dalle regole.
Cioè? Gonna, calze e un po’ di scollatura. Basta jeans attillati che non ti facevano mai respirare quelle povere gambe.
Uscii giusto in tempo per non farmi vedere da Jenny, la mia cameriera, sennò avrebbe immediatamente fatto la spia a mia madre. Ah no, non poteva…I miei non c’erano.
Arrivata a scuola, ignorai del tutto le occhiatacce dei miei compagni, oramai erano come il pane quotidiano.
Durante la (pallosissima) lezione di biologia, mi arrivò un bigliettino sul banco dalla mia destra.
Incuriosita lo aprii e riconobbi l’unica scrittura da uomo primitivo che poteva esserci in quella classe.
‘Allen, oggi sei particolarmente sexy. Ti andrebbe di uscire?’
Mi girai in cerca della sua faccia, curiosa di vedere che espressione avesse. Incrociai lo sguardo di Josh che in risposta mi fece l’occhiolino per poi tornare a fingere di seguire la lezione.

Al termine delle lezioni, afferrai la borsa e mi diressi all’uscita dove con mia sorpresa Josh, appoggiato alla sua macchina, mi fissava.
Lo guardai per un po’ sperando mi dicesse qualcosa. “L’invito è valido anche da adesso.” “Adesso hai deciso di parlarmi?” “Che vuoi dire?” “Fino a ieri non mi rivolgevi parola, ora che mi vedi con indosso una gonna ci provi.” “E con questo?” "Scordatelo!” “Non fare la difficile.” “E tu non fare il puttaniere fallito, ciao!” Mi allontanai a passo veloce da lui a testa bassa e senza volere mi scontrai con qualcuno, facendo cadere tutti i libri per terra. “Scusami, non ti ho visto, non volevo.” Mi alzai di corsa raccogliendo la mia roba e incrociai di nuovo quegli occhi color ghiaccio del giorno prima. Mi mancò il fiato per un paio di secondi.
“Ah, allora sai parlare.” Mi sorrise, poi mi guardò addosso, alzando un sopracciglio. Indietreggiai di un passo, tipica mia reazione di quando avevo ‘paura’.
“Non sono un maniaco, puoi avvicinarti, non mordo.” Mi passò il quadernino che mi era finito per terra. “Tieni.” “Grazie.” Cercai di sorridere per quanto mi trovassi a disagio, dato che non parlavo mai con nessuno e avere rapporti con un estraneo mi metteva in soggezione.
“Comunque sono Harry.” Mi porse una mano, che ricambiai quasi subito.” “Amber, piacere.” “Amber…Non sembra un nome da ragazza ricca.” “Non…sono ricca.” Incrociò le braccia poi indicare il mio bracciale d’oro con due diamanti sul polso. “E questo?” Nascosi il braccio dietro il libro. “E’ un regalo.” “Chi vuoi prendere in giro con la borsa di Louis Vuitton?” “Non sono affari che ti riguardano cosa indosso o no.” “Non sono tua madre, puoi parlare senza usare il vostro linguaggio strano.” “Parlo come mi pare.” “Te lo ha detto anche quel ragazzo, non fare la difficile.” A quelle parole sbuffai e girai le spalle. “Dai, non fare la ragazzina viziata.”
Viziata. Odiavo quella parola.
Ero sul punto di lanciargli un libro.
Vedeva che non gli rispondevo, così si parò davanti a me. “Ricominciamo, ok? Sono Harry.” Mi tese di nuovo la mano e istintivamente sorrisi. “Amber.” “Ti và un frullato?” “Certo.”

“Dimmi un po’…Quello di prima, è il tuo ragazzo?” “Josh? No, è il play boy della scuola. Solo oggi ha deciso di rivolgermi parola.” “Perché?” “Non ti interessa davvero.” “Si, invece. Dai spara.”
Lo guardai storto. “Non dirmi che non hai mai sentito questo termine!” Farfugliò con la bocca piena di frullato. “E tu non dirmi che non sai che non si parla con la bocca piena!” Si asciugò con il fazzoletto e mi guardò. “Allora?” “Ah si. Beh, oggi si è fatto avanti, per…questa.” Indicai la gonna nera che portavo. “Ha ragione, non ti sta male.” Disse portandosi alla bocca un altro sorso di frullato. Abbassai lo sguardo, rossa in viso. “Non ti faccio nulla, tranquilla. Non sono un maniaco.” Guardai l’ora al mio telefono, era tardi. “Devo scappare, è tardissimo, scusami.” “Fa nulla. Allora, ci si vede.” “Ehm si, ci si vede…Harry.”



Buh, rieccomi. :3 Domanda seria: Vi piace la storia? Ho paura che questi capitoli facciano seriamente vomitare. çç *evviva l'autostima.*
Comunque, se vi piace, pubblicizzatemi se potete, mi farebbero piacere più pareri. :)

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Capitolo 4
*** Capitolo 4. ***


HARRY.

“Devo scappare, è tardissimo, scusami.” “Fa nulla. Allora, ci si vede.” “Ehm, si, ci si vede…Harry.”

La vidi allontanarsi correndo, portandosi di tanto in tanto la mano sulla gonna per evitare che le si alzasse.
La osservai finchè non sparì in un angolo alla fine di un marciapiede e continuai a bere il mio frullato come se niente fosse.
Mi incuriosiva quella ragazza, infondo. Come ha detto che si chiamava? Iniziava con la ‘A’…Al,An,Amber…Si, Amber.
L’unica cosa era che mi avesse scambiato per un poveraccio.
Poveraccio si, ma non in quel senso. I ricchi sfondati li ho sempre odiati.
A me bastava una semplice maglietta bianca, i miei jeans comodi e le converse che avevo quasi consumato del tutto.
Mi aveva ‘colpito’ già un paio di giorni fa, quando si sedette accanto a me sul marciapiede mentre suonavo. Il rosa acceso della sua maglia mi diede subito all’occhio.
L’avevo vista anche oggi, mentre passavo di lì, che fino a ieri non sapevo nemmeno che quella fosse una scuola.
Era in mezzo ad un gruppo di ragazzi e cercava di farsi spazio tra la folla, fino a che non la persi di vista quando evidentemente andò da quel John, o come si chiamava.
Adesso che fai bastardo, ti interessi? Ad una ragazza?
Sono un tipo parecchio solitario, e menefreghista, aggiungerei. Non mi piace cercare le persone, e non ho intenzione di cominciare adesso.
Io non ho bisogno di nessuno.
Vivo da solo da un po’ ad un isolato da quà, e di dove siano i miei genitori non mi interessa nulla. Ogni tanto lavoro, un vecchio amico di mio padre ha un’officina e gli do una mano, il resto del tempo lo passo con tre deficienti che considero i miei amici.

Tirai fuori dalla tasca della felpa il mio pacchetto da dieci di Camel e lo zippo nero di Zayn.
Accesi la sigaretta, mi tirai su il cappuccio e mi alzai da quella panchina.
A vedermi sembravo un angioletto, così mi chiamavano a scuola, prima che la lasciassi.
Fumavo si, e non solo, quando ero in compagnia ci scappavano delle canne e qualche alcolico di troppo, consapevole che non avevo per niente la faccia di uno che faceva certe cose, ma me ne sbattevo.
Il mio ubriacarmi e drogarmi, era come un dispetto verso il mondo, e come fino a poco fa mi fece finire in mezzo alla strada, e quello era l’unico modo se volevo avere uno spazio tutto per me senza nessuno tra le palle.
Raramente, io e i miei amici il sabato sera andavamo in qualche locale e ci rimanevamo per tutta la notte, tornando poi a casa stra-fatti come non mai e trovandoci nei sedili della macchina le mutande di qualche ragazza finita lì dentro.

A metà della mia sigaretta intravidi in lontananza Zayn, Liam e Matt, i tre deficienti, come li chiamavo io. Gli andai incontro.
"Ragazzi.” Mi avvicinai dando una pacca sulla spalla a Liam. “Stronzo, fammi fare un tiro.” “Ciao anche a te Zayn.” E subito dopo mi accesi un’altra sigaretta consapevole che l’altra non mi sarebbe più tornata indietro. “Non provocarmi Styles.” Alzai le mani e continuai a fumare. “Che facevi da queste parti?” Chiese Matt. “Ho preso un frullato.” Subito dopo mi ritrovai sei occhi allucinati a guardarmi stupiti. “Un…Frullato?” Domandò Liam, ormai vicino alla risata. “Non ci diventerai mica una femminuccia eh, Styles?” “Statti zitto, Liam.” Ero il più piccolo del gruppo, gli altri avevano un anno più di me e si divertivano a sfottermi quando ne avevano l’occasione. Ecco perché mi tenevo spesso alla larga da loro, e dagli enormi guai che erano esperti a portarsi dietro, non a caso siamo stati sbattuti dentro almeno due volte tutti quanti, tranne il signorino Payne.
“Codardo di merda, non ti sei più fatto vedere, che c’è, sei corso dalla mammina?” “Non rompere Liam, ho lavorato.” Mentii. Sapevo quello che volevano, ma io non ero disposto a procurargli un bel niente.
Mi pizzicò un braccio, costringendomi a girarmi e avvicinarmi a lui. “Allora, ce l’hai?” Ero sicuro che prima o poi me lo avrebbero chiesto, e se non mi fossi fatto più vedere, mi sarebbero venuti a cercare, ossessionati com’erano. “Cosa?” Mi mollò uno schiaffo dietro il collo. “Non fare finta di niente, sai benissimo di cosa parlo.”
Droga.
Fumo.
“Allora?” “Ti ho detto che ho lavorato, Liam.” Gettai la cicca della sigaretta a terra e la spensi con il piede. “Porca puttana Harry, è possibile che non ne fai una giusta?” “Mi dispiace, rimedierò.” “Ti conviene.” Aggiunse Matt.
“Hai altri dieci giorni Styles, capito?”



Beh, ecco l'Harry della storia. Piace? :3 A me parecchio, uhuh.
Alla prossima, un bacio.
-Vitto.
p.s: Seguitemi. :)

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Capitolo 5
*** Capitolo 5. ***


Venerdì.
7.45. Ed io ero tremendamente in ritardo.
Cosa alquanto strana dato che in 14 anni di scuola non ho mai tardato.
Ma quella mattina, la mia apparentemente funzionante piastra professionale da 300 £ sembrava aver preso il sopravvento e di conseguenza bruciò gran parte delle punte dei miei capelli biondo cenere, che alla fine legai in un’alta coda.
Afferrai la mia borsa a tracolla ed a due passi dall’angolo di casa mia, vidi fermarsi alla fermata il bus che portava a scuola.
Corsi nella sua direzione dopo qualche attimo di esitazione, ma in quel momento volevo solamente arrivare puntuale.
Davanti le porte del bus, la vecchia autista mi guardò male continuando a mostrarmi una piacevole visuale della sua gomma da masticare nella bocca.
“Da quand’è che una come te prende il bus?” Salii, sfoggiando il mio sorriso ‘snob’ e ignorando la sua maleducazione, mi sedetti al primo posto. “Non si preoccupi, oggi è un eccezione.”

Arrivai davanti scuola alle 8.05 e ringraziai che il cancello principale fosse ancora aperto. Mi sbrigai ad arrivare in classe e mi accomodai al posto libero vicino ad Ally.

“Ragazzi, chi di voi sa dirmi che cos’è un elemento chimico?”
Alzai automaticamente il braccio, sperando che il professore mi notasse, nonostante fossi l’unica che seguiva.
“Allora? Nessuno? Devo chiamare io?” Sventolai la mano a destra e sinistra e finalmente il prof. si decise a degnarmi di uno sguardo. “Io, io!” “Allen, lo so che lo sai. Voglio sentirlo dire da qualcun altro.” “Ma io lo so.”
Percepii immediatamente dietro di me dei compagni parlare sottovoce e poco dopo un ‘lecchina’ da parte di Josh, che si trovava alla mia destra.
D’impulso mi alzai dalla sedia e mi rivolsi verso di lui. “Taci, coglione!”
Nell’aula calò un silenzio tombale, a malapena si sentiva lo sfregare della penna di gente che ancora scriveva sui quaderni.
Mi voltai verso il professore che mi osservava esterrefatto per poi scrivere qualcosa su un pezzo di carta gialla rettangolare.
“Prof, io…scusi, non era mia intenzione, ma…” “Mi dispiace Allen, ma le punizioni sono uguali per tutti. Che non ricapiti più, da studentessa modello qual è, intesi?” Presi la mia ammonizione, la mia prima ammonizione e sbuffando uscii dalla classe.
Mi diressi alle macchinette, presi la solita barretta e, come scritto sul foglietto, lasciai la scuola.


HARRY.

Ero fuori, con Liam, Zayn e Matt, dato che in casa non avevo nulla da fare se girarmi i pollici o scegliere di sbattere la testa contro il muro per il rompimento di palle.
I discorsi senza senso di Zayn e Liam mi stravano decisamente annoiando e per spezzare (ancora) il tempo, accesi la terza sigaretta.
“Ehi nanetto, sicuro di reggere tutto quel fumo in così poco tempo?” Mi limitai a lanciargli un’occhiataccia mentre davo un altro tiro. “Scherzavo, ma come siamo permalosi!”
Odiavo Liam, quando faceva così. Non ero un bambino.
E a fargli un occhio nero non mi costava niente.
“Piuttosto, dammi qua nanetto, non ho ancora fatto un tiro.” Mi strappò via dalle labbra la sigaretta e se la portò in bocca, finendo quello che ne rimaneva. “Cretino, prenditi le tue e lasciami in pace!”
Zayn, che era rimasto indietro rispetto a noi, ci richiamò con un fischio. “Pst, ragazzi! Guardate.” “No Zayn, che caz…”
Troppo tardi.
Aveva già fatto partire l’antifurto di due macchine e un motorino e intanto se la rideva come un bambino.
Matt, da dietro, mi afferrò con entrambe le mani le spalle e con un dito mi indicò avanti a me. “Vecchietta a ore dodici.”
Gli altri si scambiarono un occhiolino e sorrisero compiaciuti. Poi si avvicinò di nuovo alla mia faccia. “Che dici Styles, ce la fai a prendere la borsa e scappare via?”
Cattivi ragazzi.
Ecco cosa eravamo, e non poteva esserci definizione migliore. Cattivi.
Ragazzi di strada.
Ubriachi.
Drogati. A volte.
Criminali.
Restavo in strada, non più per divertimento ma per obbligo, per non rinunciare ad una bottiglia di birra o qualche sigaretta, sapendo che uscendo dalla porta di casa, andavo in contro ad un mondo che mi ricordava ogni giorno quanto fossi merda.
Il non poter più passeggiare tranquillamente, da normale cittadino, con il terrore che gli sbirri ti riconoscevano per averti riempito di pugni dopo esserti ribellato, e poi sbattuto dentro due volte. E la gente che ti divorava vivo con i suoi sguardi schifati e disprezzanti.
Sapevo che in me c’era del buono.
Ma nessuno lo immaginava lontanamente. Io ero quello cattivo.

Seguivo i ragazzi che si organizzavano su come passare la serata, finchè una voce diversa, familiare mi fece tornare con i piedi per terra.
“Harry!” Mi voltai di scatto, lasciando Liam con le braccia ancora sospese nel mezzo del suo discorso.
La vidi avvicinarsi sorridente. In quei pochi secondi la guardai bene; aveva i capelli legati, dei pantaloni grigi e una maglia bianca con delle scritte sopra, la sciarpa intorno al collo, la sua borsa e delle ballerine nere.
Le sorrisi anch’io, per quanto sentissi strana la sua presenza intorno a me, ma in quel momento la sua faccia sembrava l’unica via di fuga.
“Ciao, Amber!” Cercai di sembrare il più indifferente possibile mostrandole un sorriso forzato, nonostante continuava a fissare i miei amici dietro le mie spalle.
“Come mai qui?” “Ero in giro.” “Non sei andato a scuola?”
L’ingenuità. Mi faceva quasi tenerezza. Quasi.
Da dietro, sentii ridere sotto i baffi quei tre dementi e per contenere la rabbia, serrai gli occhi, e quando li riaprì, lei era già avanti a me, con la mano tesa verso di loro.
“Piacere.” e il sorriso da ragazza educata che non le mancava mai.
I tre la guardarono seri con sguardo storto e antipatico, tanto che lei ritirò la mano e indietreggiò di qualche passo. Conoscevo quella reazione oramai.
Spezzai quel silenzio. “E tu, che ci fai qua a quest’ora?” “Beh, ecco…” La vidi diventare rossa in viso, e mi mostrò un pezzetto di carta giallo leggermente accartocciato.
“Cos’è?” “Sei sicuro di andare a scuola?” “NO!” strillò Matt. Gli feci segno di smetterla e tornai a guardarla, ed era sempre più confusa. “Non dargli retta.” “Comunque, è un’ammonizione.” “Mh,sarebbe?” “Davvero non lo sai? E’ quando ti sospendono dalle lezioni, è la prima che prendo.” “C’è sempre una prima volta.”
Volevo mandarla via, dovevo mandarla via. Non mi andava di metterla nei guai e se continuavo a incontrarla con i miei amici, ci sarebbe finita al più presto.
“Non vai a casa?” “Si, ci stavo andando.” Vedevo che continuava a fissare i ragazzi in modo strano, così la presi per un braccio e l’allontanai. “Sono i tuoi amici quelli?” “Già.” Calò il silenzio.
“Senti un po’. Non sono bravo io con certe cose, ma pensavo, ti va di uscire?” Trasalì un attimo. “Dici, io e te?” “Si.” Ci pensò su, se rifiutava non la biasimavo, chi sarebbe mai uscita con un ‘poveraccio’ come me?
“Va bene.” “Oh, forte. Domani sera, qui, ok?” “Ok. Allora, a domani.” Mi avvicinai, pensavo di abbracciarla, anche se mi sembrava esagerato e quando provai a farlo si scansò appena il più gentilmente possibile con una semi-smorfia sulla faccia.
Sicuramente puzzavo di fumo che accoravo.
“Ciao, Harry.” Mi salutò con un gesto di mano, direi improvvisato ed io feci lo stesso.
Tornai dai miei amici, che avevano assistito a tutta la scena e cominciarono a riempirmi di domande e di pizzichi sulle braccia. “Che fai, il puttaniere eh, Styles?” “Quanto aspetterai prima ti scopartela?” “Ammetti che te la stai lavorando solo perché ha un bel culo e un gran paio di tette.”



Buonasera bella gente. :)
Volevo dirvi, che dato che ricomincia la settimana, non sono sicura su quando postare il prossimo capitolo, sicuro il prima possibile.
Spero che questo vi piaccia.
Un bacio, e buonanotte. <3

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Capitolo 6
*** Capitolo 6. ***


In 10 che seguono la storia, ma nessuno che mi fa sapere com'è..Sono sempre più intenta a non continuarla, se fa così schifo. (?)
Comunque sono stata brava e sono riuscita a mettere il capitolo. :3 Hasta luego!



Osservavo insistentemente il vestito grigio perla che era steso sul mio letto, e che Jenny mi aveva accuratamente stirato per la sera.
Il ragazzo riccio con la puzza di fumo impregnata nei vestiti mi aveva chiesto di uscire.
Non era il massimo per una come me, che per colpa dei miei genitori ha sempre dovuto frequentare gente (troppo) per bene, e con la cravatta ben sistemata nella giacca.
Se i miei lo avessero saputo come minimo mi avrebbero rinchiuso in casa e mio padre sarebbe andato a denunciarlo, ma dato che non erano in città, mi ero presa un po’ di spazio per fare ciò che volevo.
Continuavo a fissare il vestito, con la speranza che si trasformasse in jeans e maglietta, quelli sarebbero andati più che bene, visto con chi dovevo passare la serata e il vestito mi sembrava decisamente eccessivo.
Scacciai ogni tipo di pensieri e andai in bagno a prepararmi.
Il vestito era corto fin sopra alle ginocchia, senza spalline, presi un copri spalle nero, del mascara sulle ciglia e un pò lucidalabbra trasparente. Afferrai la mia pochette dello stesso colore del copri spalle, infilai le ballerine e scesi in soggiorno.
“Dove vai?” Ecco, puntuale come sempre. “Esco.” “Questo lo avevo capito, ma con chi?” “Ally.” “E c’era il bisogno di vestirsi così?” “E’ tardi, devo andare, a dopo!”
Evitai un ulteriore interrogatorio con le tipiche risposte secche, e mi avviai nel punto dove ci eravamo incontrati il giorno prima.
Fuori cominciava a farsi buio, così decisi di accelerare il passo.
Arrivai dopo una manciata di minuti, ringraziando il cielo di non aver nemmeno osato a mettere i tacchi altrimenti sarei ancora sulla soglia di casa.
Riconobbi nel buio le pareti della mia scuola che spuntavano da dietro gli alberi e più in là, una figura sotto un lampione. Mi avvicinai.
Era davvero lui?
Indossava dei jeans scuri, le converse nere e una camicia bianca con le maniche avvolte a metà braccio e il primo bottone sbottonato.
“Buonasera.”
Ok, potevo evitarmelo in quell’occasione, sarebbe bastato un ‘ciao’.
Mi morsi il labbro appena mi resi conto della pessima figura e a lui scappò una leggera risata.
“Ciao anche a te.” “Ciao Harry.” Dai, continua così, stai andando bene. “Ti stà bene la camicia.” “E a te sta bene quel…vestito, se si può chiamare così. Sicura di riuscire a muoverti? Mi sembra stretto.” “Ci cammino benissimo, tranquillo.”

HARRY.
La vidi arrivare nella penombra, e no, non mi ero sbagliato, era davvero una gran gnocca con quel vestito che le metteva in risalto il sedere.
Mi calmai, quella sera dovevo essere un gentiluomo. Non mi andava di fare brutta figura, anche se di bello in tutto quello che aveva visto fin’ora non c’era niente.

“E a te sta bene quel…vestito, se si può chiamare così. Sicura di riuscire a muoverti? Mi sembra stretto.” “Ci cammino benissimo, tranquillo.” Nella sua voce c’era sempre quel tono calmo ed elegante che si sente spesso dalle attrici nei film, e devo ammettere che all’inizio mi dava un po’ sui nervi, come l’atteggiamento da principessa, ma come io ero un rozzo, lei almeno aveva una famiglia che ancora la educa.
Mi avvicinai a lei e senza volere annusai il suo profumo, era buono.
Le lasciai un leggerissimo bacio sulla guancia e quando mi spostai appena la vidi arrossire e abbassare lo sguardo. “Me lo ero dimenticato prima.” “Se te ne dimenticavi, non era un problema.” “Il tuo vestito mi aveva distratto un po’.”
Cretino, la stai mettendo a disagio, non era di quel colore quando è arrivata.
Feci il gesto di invitarla a mettersi sottobraccio con me, e la cosa l’apprezzò molto, così cominciammo a camminare.
Passammo per una via della città piena di luci colorate appese ovunque che lei continuava a guardare con curiosità; evidentemente di lì non ci era mai passata.
“Dove andiamo?” Chiese curiosa. “A cena.” “Posso chiedere dove?” “Al molo.” “Molo?” “Esatto.” “Ceneremo sopra il mare?” “Si, non ti piace?” “Non mi ci ha mai portato nessuno, è bello?” “Sta a te giudicare.” Mi rivolse un sorriso, forse il più sincero da quando ci eravamo conosciuti, perché sembrava un bambino a Natale che aveva appena ricevuto il regalo che voleva.

Il ristorante era coperto da un tetto di legno bel lavorato, e scoperto solo da due lati opposti, e noi trovammo un tavolino abbastanza separato sotto la finestra che dava sul mare.
Ammetto di non essermela cavata male come primo appuntamento.
Di solito non ci penso minimamente a certe cose, le cene in ristoranti lussuosi e robe varie mi disgustano, preferisco cose semplici.
Ordinammo entrambi insalata di mare, quando a tentarmi sul Menù fu la tipica cotoletta e patatine, ma non volevo sembrare ridicolo e assecondai la sua scelta.
Parlammo molto durante la cena, e devo dire che non me lo sarei mai aspettato.
All’inizio era rigida e a disagio, ma anche io mi trovavo a disagio con me stesso quindi decisi di rompere il ghiaccio con le solite domande banali.
“Ne prendi un po’?” Le chiesi indicando la bottiglia di Champagne accanto all’acqua. “Non bevo.” “Assaggia.” Riempii a metà sia il suo bicchiere che il mio e notai che dopo un po’ di tentennamento lo portò su, bagnandosi le labbra. “Com’è?” “Buono.” “Visto?”

Pagai il conto, poi le feci cenno di seguirmi.
Scesimo le scalette di legno del ristorante e ci ritrovammo direttamente sulla spiaggia.
Si fece prendere la mano, tolse le scarpe e camminammo un po’ per la riva con un leggero vento che veniva nella nostra direzione.
Ci fermammo sopra degli scogli e ne approfittai per accendermi una sigaretta.
La accesi con un po’ di fatica a causa del vento, posai l’accendino nella tasca e mi voltai verso di lei che mi stava guardando. Le chiesi la prima cosa che mi passò per la testa in quel momento. “Vuoi un tiro?”
Cretino. Ancora una volta. Cretino.
“No grazie, non fumo.” “Si, scusa, dovevo immaginarlo.”
Si portò le ginocchia al petto e si strinse nelle spalle.
Mi era sempre piaciuto osservare le persone, e vedere come si perdevano nei loro gesti senza accorgersene, e quella sera in particolare mi piaceva osservare lei. Aveva un non so che di diverso che mi incuriosiva.
Diverso. Lei era diversa da me. Io ero diverso da lei.
“Senti freddo?” “No, stò bene.”
Perché mentiva? Era evidente che aveva freddo.
Scesi dallo scoglio e mi sedetti accanto a lei, attento a non mandarle il fumo in faccia.
Restammo in silenzio, tutti e due a guardare il mare e spensi la sigaretta nella sabbia. Spezzai nuovamente il silenzio, ma stavolta cercai di non sembrare imbarazzato. “Sei…carina, stasera.” Si spostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. “Grazie. Anche tu.” Continuò ad tracciare disegni a caso sulla sabbia e quando portai la mia mano vicino alla sua, lei la ritirò di scatto. “Ti faccio paura?” Chiesi divertito. “No, no.” “A me sembra il contrario.” “Perché dovresti farmi paura?” “Beh, l’altro giorno, quando ero con i miei amici, mi sembravi un po’, come dire…impaurita.” “Non è il tipo di gente che vedo di solito.”
Se sapessi la verità te ne andresti a gambe levate.
“Nemmeno io se è per questo.”
Calmo Harry, non fare lo stronzo, non stasera.
Restò zitta qualche istante, poi si girò a guardarmi. “Che c’è? Ho qualcosa sulla faccia?” “No.” Rise. “E’ che…hai dei begli occhi, Harry.” “Grazie, Amb. Oh, posso chiamarti così, o ti dà fastidio?” “Fai pure, mi piace.”
Mi alzai in piedi e le allungai un braccio per darle una mano a tirarsi su.
“Sono stata bene stasera.” “Davvero?” “Davvero, perché?” “Non me ne intendo di certe cose.” “Anche per me, era il primo appuntamento.” “Scherzi?” “No.” “Comunque, non lo avrei mai detto ma sono stato bene anch’io.” “Allora, io vado. Ciao Harry, buonanotte.” “Buonanotte.”
Come dice quel detto famoso? Due opposti si attraggono.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7. ***


Voglio innanzitutto scusarmi se questo capitolo è un pò schifoso, ma è fine settimana anche per me. çç Mi farò perdonare. :)


“Che c’è? Ho qualcosa sulla faccia?” “No.” Risi, pensando alla figuraccia che avrei fatto di lì a poco. “E’ che…hai dei begli occhi, Harry.” “Grazie, Amb. Oh, posso chiamarti così, o ti dà fastidio?” “Fai pure, mi piace."

Come dice quel detto famoso? Due opposti si attraggono.
No, no, e ancora no. Io ero Amber Allen, la tipica ‘figlia di papà’, non avrei mai potuto provare attrazione per un ragazzo del genere. Che fine avrebbe fatto la mia reputazione?
E se era proprio quella che volevo cambiare?


Ero in strada, tornando dal centro dove avevo appena pranzato con Ally, che era rientrata a casa pochi minuti prima. Sulla strada di ritorno presi un frullato, alla solita gelateria all’angolo.
Angolo.
Gelateria.
Frullato.
Harry.
Scossi la testa, come per scacciare tutti quei pensieri e per distrarmi mi infilai le cuffiette e avviai la musica sul telefono.
Camminavo a testa bassa con lo sguardo fisso sul telefono e non mi accorsi subito che qualcuno mi aveva letteralmente travolta, facendomi cadere il cellulare a terra con ancora gli auricolari attaccati. Mi rialzai, spostandomi i capelli da davanti che mi impedivano di vedere e guardai avanti a me il ragazzo che mi era venuto addosso.
Un momento.
“Scusa, non ti ho vista. E’ tuo questo?” Mi porse il mio telefono e lo presi. “Ehm, si, grazie.” Ci guardammo in modo strano entrambi finchè non sentii delle voci o meglio, delle urla farsi sempre più vicine.
Il ragazzo si voltò. “Ehi, Styles, c’è la tipa dell’altro giorno qui.” Harry mi si avvicinò con mia grande sorpresa. “Styles?” Chiesi divertita. “Si, non mi chiamano spesso per nome. Che ci facevi in giro?” “Tornavo dal centro.” Non gli chiesi nulla, era ovvio quello che stesse facendo.
L’idea di frequentare quel ragazzo non mi entusiasmava molto.
Mi sentivo strana a stargli vicino. Lui era strano di sé.
Anche se quegli occhi chiari e la faccia da angioletto dicevano esattamente l’opposto.

“Ti và di venire con me?” “Con te e i tuoi am…” “No, solo noi due.” “Dove?” “In spiaggia. E’ da tempo che volevo andarci ma ai ragazzi non piace.” “Ah.” “Allora, ti và?” “Si, perché no!” “Vieni.” Mi prese il polso e ci avviamo verso…sinceramente non lo sapevo.
“Ma i tuoi amici?” “Stanno bene anche senza di me.” Lo osservai da dietro; i suoi ricci avevano una forma strana, e mi venne da sorridere.
Ci fermammo di colpo. “Eccoci.” “Dove?” Con un dito mi indicò alla mia sinistra quella che sarebbe dovuta essere una moto. “Cos’è?” “Il mio scooter.” “Andiamo con questo?” “Fai troppe domande, sai?” Rise. “Io non ci salgo su questo coso!” Risi anche io. “Non è una limousine, ma ancora cammina, quindi accontentati, principessa.”
Odiavo quella parola.
“Di casco ne ho solamente uno, prendilo tu, io sono abituato ad andare senza.” Annuii e con il suo aiuto salii sullo scooter. Mise in moto, e il rumore che sentii non prometteva bene e mi fece chiudere gli occhi al solo pensiero che ci saremmo schiantati. “Tieniti forte, se non vuoi volare via.”
Dopo un po’ di esitazione allacciai le braccia intorno alla sua vita, poggiai la testa alla sua schiena e ringraziai che non potesse vedere le mie guancie andare a fuoco.

HARRY.
NO.
Perché quella ragazza ricca mi era rimasta in testa?
Se continuavo così, avrei cominciato a drogarmi per scordarmela del tutto.
Io ero Harry Styles, il tipico ragazzo ubriaco di strada, io non mi innamoravo.

“Cazzo, Zayn, smettila!”
Perché far partire gli antifurti lo divertiva così tanto?
Sentii le mani di Matt sulle spalle e il suo alito che sapeva di Vodka farmi diventare cretino in una botta sola.
“Allora Styles, ce l’hai o no quello che ti abbiamo chiesto?” “No, Matt, non ce l’ho.” “Sei inutile, riccio!” Con un braccio mi diede una spinta e andò a far compagnia a Zayn. “Ehi, Styles, c’è la tipa dell’altro giorno qui.” Camminai in avanti, verso di Liam che ci aveva preceduti e con mia grande sorpresa vicino a lui trovai Amber.
Mi seguiva per caso?
“Styles?” Mi chiese sorridendo. “Si, non mi chiamano spesso per nome. Che ci facevi in giro?” “Tornavo dal centro.” Aspettai un attimo, e pensai a quella come un’ottima scusa per scaricare i ragazzi e andarmene via.

“Ma i tuoi amici?” “Stanno bene anche senza di me.” La feci salire sul mio un po’ diroccato scooter e le passai l’unico casco che avevo, io sarei andato senza, non era la prima volta.
“Tieniti forte, se non vuoi volare via.” Sentii le sue braccia stringermi la vita e qualcosa di duro toccarmi la schiena.
Misi in moto e partii cercando di mantenermi alla velocità minima.
Sentivo le braccia di Amber stringermi sempre di più, così decisi di rallentare, ormai mancava poco.

Arrivammo, e lasciai lo scooter al parcheggio non lontano dall’entrata della spiaggia.
“Ehm, Harry? Mi aiuteresti a scendere?” Si aggrappò al mio braccio e saltò giù dalla moto. “Vuoi anche che ti porto in braccio?” Mi guardò male mentre continuò a sistemarsi i capelli spettinati dal casco.
Arrivai sulla sabbia e mi fermai per accendermi una sigaretta. La vidi togliersi le scarpe e correre verso l’acqua; speravo non volesse buttarsi perché altrimenti tutta bagnata non avrei saputo come riportarla indietro.
Mi fece cenno di avvicinarsi e mi schizzò un po’ d’acqua in faccia. “Piano con gli schizzi, mi spegni la sigaretta!” “Scusa.” Andò a sedersi in cima allo scoglio e io la seguii a ruota.

“Mi dai una sigaretta, Harry?” “Come scusa?” “Ti ho chiesto se mi dai una sigaretta.” “Stai bene?” “Si, perché?” “Non fare la cretina, Amber.” “Non sono cretina, ho voglia di fumare.” “Che fine ha fatto la ragazza tutta casa e chiesa?” “Si è stufata, e tanto. Ho voglia di cambiare.”
Anch’io Amber, anche io voglio cambiare.
Si mise in ginocchio avanti a me. “Beh? Me la dai o no?” Risi di gusto, era buffa. “Le ho finite.” “Bugiardo!” Si buttò sulle mie tasche facendomi cadere sulla sabbia. “Eccole!” Si alzò con il pacchetto in mano e corse via. “Amber, ridammele!” Le corsi dietro, lei ne tirò fuori una e se la mise in bocca. Allungai il braccio, e la guardai serio. “Dammela.” “No, voglio fumare.” “No.” “Non sei mia madre, dov’è l’accendino?” “Amber!” Le afferrai i polsi dopo che tentò di prendermi l’accendino dalla tasca e la costrinsi a guardarmi. “Tu non fumi, chiaro?” “Che c’è, adesso ti preoccupi della ragazzina viziata? ” Rimasi scioccato. Quella frase mi rimbombò nella testa per qualche secondo.
Si liberò dalla mia presa e mi diede le spalle. “Tu fumi, non mi sembra un problema.” “E’ questo il punto; io fumo perché non ho altre soddisfazioni. La mia vita fa schifo, sono un fottuto dipendente, non mi và che fai la mia stessa fine!” Si voltò dopo qualche secondo, e mi diede la sigaretta a testa bassa.
Io la accesi e gliela misi davanti. “Solo un tiro, poi la spegni.” Accennò un sorriso e prese la sigaretta. Aspirò, e con mia grande sorpresa non tossì, poi mi disse che aveva già provato.

“Perché hai detto quelle cose prima?” “Quali?” “Lo sai.” Mi sistemai meglio con la schiena sullo scoglio e guardai il mare avanti. “Non mi sembra il massimo, raccontare la mia vita a te.” Gattonò davanti a me e si mise seduta a gambe incrociate. “Ora fai l’antipatico?” Sospirai, stringendomi nella giacca. “Appena avrò finito di parlare, te ne andrai via.”
L’avevo detto, stavo diventando una femminuccia.
“Tu parla.” “Non sono bravo con i discorsi, in poche parole sono un cattivo ragazzo, cresciuto in strada, senza genitori e passo la mia vita con quei tre dietro fumo, alcol…e droga. Siamo stati in prigione due volte, e solo ora mi sto rendendo conto di quanto…faccio schifo.” Dissi tutto d’un fiato, senza guardarla in faccia, non ci riuscivo, guardarle quei grandi occhi marroni fissi su di me mi avrebbe mandato in tilt. Lei non disse niente, e di conseguenza nemmeno io. “Non te ne vai via gridandomi contro?” “Perché dovrei?” “Cristo Amber, faccio schifo, cazzo!” “No, non è vero!” “Dimmi, ti piacerebbe l’idea che un drogato come me ti tocchi? Dillo che faccio schifo! Sono senza speranza!” “Non sei un drogato Harry, smettila! E non mi fai schifo. Voglio aiutarti.” “Io non ho bisogno di nessuno, tantomeno di te.” “E allora perché ogni volta che mi vedi mi porti via?”

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Capitolo 8
*** Capitolo 8. ***


Buon pomeriggio bella gente. :)
Oggi non sono andata a scuola e quindi ho avuto del tempo per dedicarmi a questo capitolo, spero sia decente. çç



“Non sei un drogato Harry, smettila! E non mi fai schifo. Voglio aiutarti.” Alzai il tono di voce quanto lui. “Io non ho bisogno di nessuno, tantomeno di te.” “E allora perché ogni volta che mi vedi mi porti via?”
Silenzio.
Silenzio da parte di entrambi.
L’unico rumore che si poteva sentire era il leggero vento di quel giorno nuvoloso che soffiava sulla spiaggia. “Harry…” “Lasciami solo Amber.” “Ma..” “Voglio stare da solo.”
“Ti prego, non cacciarmi.” Mi accorsi tardi che il mio tono era diventato lagnoso. “Adesso che fai, piangi?” Abbassai la testa in segno di arresa, recuperai la mia borsa da terra e cominciai a camminare verso l’uscita della spiaggia lasciando Harry dietro di me.
“Dove vai?” “Hai detto che volevi stare solo, ti sto accontentando.” Girai le spalle e continuai ad avanzare finchè la voce di Harry mi costrinse a fermarmi di nuovo. “Senti Amb, non volevo dire quelle cose, di solito non chiedo scusa, ma…scusami, ok?” Non risposi, lo guardai solamente. “E poi…Non puoi tornare indietro a piedi.” “Ah, allora ti faccio pena per questo?” “Non mi fai pena, smettila di fare la bambina.” Rimasi zitta un’altra volta. “Scusa.”

HARRY.
Quella situazione mi aveva letteralmente mandato fuori di testa e avevo cominciato a non ragionare più.
Lei credeva che lo dicessi per finta, ma no, io ero un misero dipendente pieno di guai fino al collo e non volevo che ne avesse anche lei solo perché era così stupida da venirmi ancora dietro.
Eppure aveva ragione, perché continuavo a portarla via?
Non volevo che pensasse che fossi una sorta di maniaco in attesa del momento giusto per stuprarla, ma la sua presenza era come una via di fuga da tutta quella merda in cui mi trovavo.
Mi faceva, come dire…piacere.

Le lanciai il casco del motorino. “Forza andiamo, si sta facendo tardi.” Lo afferrò al volo e in un lampo mi fu attaccata con le braccia al collo.
Annusai bene il suo profumo e lasciai che mi inebriasse le narici. Mi piaceva, era diverso dal solito odore di colonia e fumo che ero abituato a sentirmi addosso e sapeva di vaniglia. “E questo?” Non rispose. “Per il futuro, non sono un tipo che ama gli abbracci.” Risi e lei si staccò da me. “Me lo ricorderò.” Salimmo sul motorino e dopo venti minuti arrivammo davanti un cancelletto nero.
“Dove siamo?” Chiese mentre si guardava intorno. “A casa mia.” Mi guardò sorpresa per qualche secondo. “Dovresti saperlo, non ho cattive intenzioni, dai entra.” La feci passare dal cancello e lasciai che mi seguisse per il vialetto che portava alla porta.
Non era nei miei piani portarla a casa mia, di solito non facevo entrare nessuno, ma ero terribilmente stanco e avevo voglia di riposarmi. Educata com’era non mi avrebbe dato tanto fastidio.
Presi la chiave e la girai un paio di volte nella serratura e aprii la porta. Entrai per primo, seguito da lei che entrò subito dopo aver dato una rapida occhiata da fuori.
“Beh…Benvenuta.” Mi grattai la testa, un po’ per il disagio, un po’ perché mi accorsi che c’erano miei vestiti ovunque, dato che non riordinavo mai. “Allora, che te ne pare?” “Mi piace, è originale.” “Bel modo di dire che fa schifo!” “Ora che ci penso meglio, si è veramente orribile.” Scoppiammo a ridere insieme e io mi avvicinai al frigo. “Vuoi qualcosa?” “No grazie, stò bene.” Presi l’occorrente per farmi un panino e poggiai tutto sul bancone della cucina. Ci sedemmo uno vicino all’altro e cominciai a preparare il panino sotto le sue smorfie. “Che roba è?” “Vuoi assaggiare?” “No, voglio vivere.” “Ah-ah.” Addentai il panino e sentii una musica provenire dal soggiorno. “Scusa, vado a rispondere.”

AMBER.
Attaccai la chiamata mentre tornavo in cucina ma di lui non c’era traccia.
Non conoscevo casa sua, e nonostante fosse piccola andai ad intuito nel cercarlo.
“Harry?” Nessuna risposta. “Harry, ci sei?” Cominciavo a spazientirmi. “Haaarry!” “Sono qui!” “Qui dove?” “Prima porta a destra.” Arrivai davanti la porta indicata da Harry e la aprii lentamente.
Una volta dentro lo trovai sdraiato nella vasca da bagno, piena di schiuma fino all’orlo. “Mah, Harry!” Mi girai di colpo e coprii gli occhi con le mani.

HARRY.
“Mah, Harry!” Si voltò con le mani sulla faccia e a me venne da ridere. “Ma dico, potevi almeno avvertire!” Continuai a ridere. “Puoi girarti eh.” “No grazie, non ci tengo. Adesso esco.” Fece per afferrare la maniglia ma la fermai. “No!” “Cosa?” “Vieni anche tu.” “Ma sei pazzo?” “E dai! Tanto ormai ci sei.” Sbuffò leggermente per poi alzarsi il lembo della maglietta. “Girati.” Obbedii e con un sorrisetto sghembo mi voltai. “E non sbirciare!” “Promesso.” Sentii dietro di me i vestiti cadere sul pavimento. “Posso girarmi?” “Non ancora.” “Harry?” “Mh?” “Sei nudo lì sotto?” “Secondo te?” “Lo prendo come un si.” Il rumore dell’elastico degli slip mi fece mordere il labbro inferiore e la sentii entrare nella vasca. Si appoggiò con la schiena al bordo opposto al mio e si coprì portandosi le ginocchia al petto e ci poggiò le mani sopra. Allungai entrambe le gambe fino a lei per provocarla un po’. “Stai comodo?” “Era un modo per farti capire di venire.” Sgranò gli occhi.
Ok, forse avevo esagerato. Ma la situazione mi aveva trasportato del tutto.
“Venire, dove?” “Ah, devo proprio insegnarti tutto io.” Le afferrai le mani, la feci girare da seduta e la tirai dai fianchi fino a farla appoggiare con la schiena al mio petto. “Te lo ripeto, non faccio niente di male.” Dissi sfiorandole con un dito i brividi che occupavano tutta la schiena e che senza volere aumentai ancora di più. “E tu stai comoda così?” “D-direi di si.” Sorrisi e le passai le mani sulla pancia per poi stringerle le braccia intorno ai fianchi.
Perché di colpo ero così delicato e sdolcinato?
Il tempo di percepire sulla mia pelle il suo rilassamento che la sentii muoversi fino ad arrivare a mettersi a cavalcioni su di me. Le sue gambe stringevano le mie che in quel momento erano chiuse e le nostre intimità si sfiorarono appena, e a quel tocco sospirammo entrambi.
Calmo Harold, stai calmo.
La osservai sistemarsi sopra di me piuttosto incredulo e credo lo capì dalla mia espressione del viso, rise.
Con la mano bagnata si sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e mi guardò con lo sguardo basso.
“Sei…bellissima.” Portai le mani nuovamente sui suoi fianchi e l’avvicinai di più a me. Lei posò le braccia intorno al mio collo per poi poggiarci il viso.
Le passai una mano lungo tutta la schiena e quando lei tirò sul il viso dal mio collo mi avvicinai piano. Guardò per tutto il tempo le mie labbra avvicinarsi chiedendosi cosa stessi facendo e in risposta le lasciai una carezza sulle labbra tirandole appena con i denti il labbro inferiore.
Forse avrei potuto concederle una possibilità.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9. ***



Ok, questo capitolo mi piace un sacco, mi è piaciuto scriverlo, spero si veda, e soprattutto spero piaccia anche a voi.
Ricordo che ho un one-shot che aspetta ancora di essere letto. çç
Un bacio, Vitto. :)


HARRY.
Scaraventai il borsone nero sul letto e spalancai malamente le ante del mio armadio, quasi a romperle da entrambi i lati.
Afferrai senza badare le prime cose che mi capitavano a tiro; felpe magliette, mutande e ammucchiai il tutto nella borsa.
Una volta chiusa mi fermai a osservare il mio braccio sinistro.
Spostai la mia attenzione su dei buchi di siringa fatti giorni prima e se premevo un dito contro, potevo percepire ancora la sensazione di dolore pulsarmi nelle vene.
Girai il braccio, intorno al gomito avevo un paio di lividi violacei evidenti e se seguivo con gli occhi la linea obliqua di cicatrici arrivavo a scrutarmi le dita delle mani, in parte sfreggiate anche quelle.

Passai davanti lo specchio della mia camera e con una mano scompigliai i miei capelli per riportarli ad una forma normale, quello era il mio modo di pettinarmi.
Ai piedi del letto avvistai un pezzo di stoffa sconosciuto rispetto alle mie magliette tutte uguali.
Tra le mani tenevo la canottiera azzurra di Amber. Sorrisi.
Mi sedetti sul letto e la guardai bene, dalle cuciture ben fatte della scollatura alle bretelline così sottili.
Me la portai sul viso, e ancora una volta lasciai che il profumo della canottiera si impossessasse di me e facesse di quell’odore la mia nuova droga.
Era un profumo delicato e dolce, tremendamente dolce. Niente a che vedere con gli odori che ero abituato a sentire io sulla mia pelle. Odori acidi, pesanti che puntualmente mi arrossavano gli occhi facendomeli lacrimare e dandomi alla testa, fino a non ragionare più.
Piegai nel modo migliore possibile anche la canotta e la misi dentro insieme alla mia roba.
Al centro della camera, diedi un’occhiata in giro, sicuro di non essermi dimenticato nulla, o meglio, qualcosa che fosse servito agli altri per potermi rintracciare, ovunque avessi deciso di andare.
Afferrai il borsone e senza ripensamenti uscii velocemente di casa, lasciando che il sole sorto da poco quella mattina, mi scaldasse la pelle.
Me ne andavo.

Cominciai a camminare tra i viali del quartiere, sotto i leggeri accenni di vento che si erano alzati quel giorno.
Non avevo la minima idea di dove potevo stare, e non mi vergogno ad ammetterlo, infondo uno come me che sperava di ottenere dalla vita?
Sarei stato in un hotel, i soldi che mi avevano spedito i miei fino al mese prima mi sarebbero bastati almeno a pagarmi la permanenza fino a che non mi sarei ripreso e avrei trovato un nuovo lavoro.
Con le mani in tasca arrivai alla piazza.
Al centro c’erano parecchi cartelli con indicazioni di ogni tipo e mi fermai a cercare quella che volevo.
L’unico hotel vicino era a un quarto d’ora di strada, così senza perdere tempo mi avviai.

L’interno della reception era ben arredato e risaltava il bianco delle pareti.
Non ero abituato a vivere in un luogo così, con ogni minima cosa nell’ordine giusto, ma cambiare era nei miei piani.
Mi avvicinai al grande bancone di legno e una donna giovane e gentile si rivolse a me sorridendo, probabilmente quando si accorse che davanti aveva un ragazzino.
Mi assegnò una stanza al secondo piano, la 120. Presi il borsone da terra e salii per le scale a chiocciola coperte da una moquette rosso scuro.

AMBER.
La lezione di Biologia era intenta a non entrarmi in testa, aiutata anche dal rumore di sottofondo dell’aspirapolvere che stava usando Jenny in quel momento.
Mentre cercavo di farmi venire in mente qualcosa da fare, suonò due volte il campanello di casa.
Scesi dallo sgabello della cucina e andai alla porta.
“Harry!” Lo abbracciai, azione che mi venne spontanea. “Che ci fai qui?” “Mi ricordavo dove abitavi.” Disse con lo sguardo basso.
Io spostai il mio dietro di me, notando che Jenny aveva riposto l’aspirapolvere e che si stava godendo la scena appoggiata alla porta del bagno, mentre mi divorava con lo sguardo. Scese le scale e ci raggiunse, squadrando Harry con fare sospetto. Prima che potesse reagire, lo presi e lo portai fuori sul vialetto.
Portava un cappellino che gli lasciava la fronte scoperta da quei suoi ricci ribelli.
“Allora, perché da queste parti?” “Ho lasciato casa mia, e sono venuto a riportarti questa.” Allungò il braccio con la mia canottiera celeste che indossavo l’altro giorno. “Oh, grazie. Hai lasciato casa?” “Sto in un hotel adesso.”
Presi la mia borsa a tracolla e lasciandomi indosso gli shorts e la maglia che portavo uscimmo a fare un giro, mentre mi raccontava.
Mi venne una stretta allo stomaco nel sentire la sua versione del racconto, e mi dispiaceva, sapevo che era un bravo ragazzo.
“E dove si trova questo hotel?” “Non è lontano.” Harry era un tipo di poche parole, e con i giorni imparavo sempre di più a capirlo nel suo poco esprimersi. “Posso venire a trovarti?” “Quando vuoi.”
Passammo di poco il parco e ci ritrovammo in uno spiazzale completamente deserto.
Harry mi afferrò la mano di colpo. “Senti Amb, io…dev…”
Lo strusciare delle ruote sull’asfalto ci fece voltare tutti e due e un’enorme macchina nera si fermo davanti a noi.
Scesero tre ragazzi che riconobbi subito perché Harry me li presentò come i suoi amici.
Il ragazzo moro scese dal posto di guida e gli alti due dai posti dietro.
“Styles!” Ci si avvicinarono con passo pesante e con sguardo cattivo. Sentii Harry deglutire rumorosamente e io mi strinsi alla sua maglia nascondendomi dietro di lui. Mi passò la sua mano dietro la schiena e io la strinsi, poi si girò appena per sussurrarmi un ‘tranquilla’.
“Che cazzo fai eh Styles, scappi?” Il più alto, Matt credo, si fece spazio e si avvicinò pericolosamente a Harry. “I dieci giorni sono passati Harold, hai quello che ti abbiamo chiesto?” “No.” Disse prontamente senza staccare gli occhi dai suoi. “Non avrete più un cazzo di niente da me!” Un pugnò partì da Matt fino allo stomaco di Harry, che si accasciò per terra lasciandomi indifesa. Si rialzò quasi subito con una mano sulla pancia e l’altra mi teneva il braccio. “E’ il tuo nuovo passatempo, scoparti le troie?” Il tipo con cui mi ero scontrata l’altro giorno mi si avvicinò ma Harry mi fece scudo mettendosi davanti. “Lei non c’entra nulla, lasciatela stare!”
Il moro mi colse di sorpresa, afferrandomi da dietro i polsi e portarmeli dietro la schiena mentre con quest’ultima ero attaccata a lui che stringeva sempre più la presa. Urlai. Harry mi corse incontro ma l’altro non si decideva a lasciarmi. “Vi ho detto di lasciarla, lei non ha fatto nulla!” “Sta con te Styles, ha fatto l’errore più grande di tutti.
In lontananza sentimmo le sirene della polizia avvicinarsi e solo in quel momento venni lasciata, mentre i tre scapparono via.
Mi massaggiai i polsi mentre Harry mi venne vicino. “Stai bene?” “Ehm si, credo.” “Scusami Amber, davvero, non volevo metterti nei guai.” “Va tutto bene, Harry.” “Si ma, io…” Due macchine della polizia accostarono poco lontano da noi e ne scesero quattro poliziotti.
“Harry, ma che succede?” Mi strinsi al suo braccio finchè due agenti a testa non ci afferrarono con la forza e ci divisero. Io per quanto potessi divincolarmi, non avevo tanta forza e mi arresi. Harry strattonò malamente un poliziotto che senza problemi gli diede un altro cazzotto facendolo cadere. “Harry!” Mi liberai dalla presa dei due e mi misi in ginocchio accanto a lui. “Harry, rispondimi, ti prego.” I quattro ci riafferrarono nuovamente e uno di loro parlò. “Harry Styles, sei in arresto per possesso e scambio di droga e alcolici.” Lui si abbandonò alla presa dei due uomini, e lo stesso feci io. “Signorina, lei lo conosce?” “S-si, lo conosco.” Harry intervenne alzando la testa, e potei notare il suo labbro rotto, e la guancia graffiata dallo strusciare con la strada.
“Lasciatela andare, vi prego, lei non c’entra niente, cercava di aiutarmi, è solo colpa mia.” “Mah, Harry.” Sentii gli occhi umidi e le lacrime pronte ad uscire. Prima che potessero allontanarsi mi mimò un 'perdonami' con il labiale, poi lo vidi portarlo via.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10. ***


Scusatemi per il ritardo, ma questi giorni sono stati un pò stressanti. çç
Spero di aver fatto un buon capitolo, a me non convince molto.



HARRY.
Mi faceva ancora male la testa per aver picchiato contro la strada e non mi accorsi che mi avevano letteralmente strattonato dentro la macchina della polizia.
Non era la prima volta che venivo sbattuto dentro, ma quelle erano accuse leggere, come aver rubato un’auto o dato fuoco a qualcosa in giro per il quartiere.
Avevo smesso di cercare alcol e droga per i miei amici e se ora stavo andando in prigione di nuovo era perché sicuramente uno dei tre aveva fatto la spia dicendo che a casa ero pieno di quella roba, che in realtà era solo per loro.
Arrivati davanti la prigione, venni malamente trascinato fuori dall’auto e preso per i polsi da uno dei quattro poliziotti e mi portarono dentro.

Quella fottuta tuta arancione che ci obbligano a indossare è scomodissima e cosa peggiore prude dappertutto.
Avevo cucito sopra il numero 984.
Mi sentivo uno di quegli ebrei nei campi di sterminio.
La cella era minuscola e la condividevo con un ragazzo più alto di me, muscoloso e con un dragone tatuato sul collo.
Questo mi spezza le ossa, me lo sento.
Mi sdraiai con le braccia dietro la testa sul letto libero che si trovava addosso alla parete.
Chissà che pensava Amber. Le facevo schifo, sicuramente.
“Perché sei finito dentro?” La voce roca e spaventosa del mio ‘compagno di cella’ mi fece sobbalzare.
Mi voltai e lo vidi seduto sul letto con le braccia sulle ginocchia che mi fissava.
Mi sedetti anch’io allo stesso modo. “Hanno fatto la spia, dicendo che sono pieno di droga. Tu?” “Spacciavo.” “Capito. E quant’è che sei qui?” “Due settimane.”

Mi girai dalla parte opposta del letto ancora una volta.
Il mio compagno russava beatamente e il rumore echeggiava nella cella semivuota.
Avvolsi la testa nel cuscino per diminuire quella tortura e cercai di prendere sonno, nonostante il materasso duro e il lenzuolo che arrivava a coprirmi solo fino alle spalle.
Il rumore dei passi dei poliziotti mi fece riaprire gli occhi di scatto e grazie alle pochi luci dei corridoi riuscii a vedere tre di loro che facevano il solito giro d’ispezione.
Sbuffai, e pensando ad Amber, senza accorgermene mi addormentai stremato.

La mattina seguente, ci servirono su un vassoio quella che secondo loro era la colazione.
Guardai schifato il contenuto giallognolo e appiccicoso del piatto mentre Karl, il mio compagno ci aveva già immerso il viso.
Scossi la testa e andai a sciacquarmi il viso nel lavello che c’era in un angolino.
Bagnai il punto in cui il labbro era rotto perché ancora bruciava.
Se entro due giorni non mi fossi fatto una doccia sarei impazzito.
“Styles?” Mi spaventai al richiamo di un controllore. “Styles!” “E-eccomi.” Uno di loro mi chiamava da fuori le sbarre. “Hai una chiamata.” “Cosa?” “Zitto e vieni.”

AMBER.
Giravo a vuoto per i vicoli della città con la mappa in mano.
“Si, deve essere qui.” Girai l’ennesimo angolo, ma niente, solo case, case, e ancora case.
Stupide mappe! Perché le fanno così complicate?
Una signora con delle buste stava attraversando le strisce, così decisi di chiedere informazioni a lei.
Con un po’ di difficoltà arrivai.
Le prigioni nei film fanno un altro effetto.
Deglutii e dopo aver preso un bel respiro, entrai nell’enorme portone nero.
“Cerco Harry Styles.”

Un agente, credo, o almeno uno di quegli uomini con un’espressione spaventosa sulla faccia mi portò davanti ad un vetro dove lì accanto c’era appeso un telefono.
Dopo pochi minuti lo vidi arrivare a testa bassa scortato da un poliziotto che lo teneva saldamente per il braccio e lo fece sedere sullo sgabello. Entrambi rimasero dietro di noi.
Indossava un’orribile tuta arancione unica a maniche corte con un numerino cucito sotto la spalla.
Lui alzò la testa e quando i nostri sguardi si incrociarono gli si illuminarono gli occhi quanto me.
Afferrò il telefono alla sua sinistra e lo stesso feci io. “A-amber.” “Ciao Harry.” Dissi a bassa voce per evitare che mi tremasse. “Che…ci fai qui?” “Sono venuta a trovarti.” “No Amber, devi starmi lontano, capito?” “Scordatelo, io voglio aiutarti Harry.” “No! Amb, sono senza speranze, chiuso di nuovo dietro le sbarre. Devi andartene.” “Non ho fatto tutta questa strada per sentirmi dire di andarmene. Io non ti lascio qui dentro, capito?” Imitai il suo tono di voce. Sorrise appena e coinvolta sorrisi anch’io. “Non mi lasceranno uscire tanto facilmente.” “Sarai fuori, te lo prometto.” “No, non promettere. Io non mi merito nulla.” “Harry…” Non rispose. “Harry, guardami!” Sollevò lo sguardo e io poggiai una mano sul vetro. Dopo poco lui fece lo stesso e non riuscii a trattenere gli occhi lucidi. “Sai, ti dona l’arancione.” Rise, mettendo in mostra quelle adorabili fossette.
I due ci vennero in contro contemporaneamente per dirci che il tempo era scaduto. “Ti aspetto.” “Tornerò.” Staccammo le mani la vetro dove lasciammo delle evidenti impronte. Vidi Harry sparire dietro un muro e io fui condotta all’uscita.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11. ***


Rieccomi, buonasera!
Scusatemi, ma con i risultati della scuola ho un pò di casini. çç
A voi, come vi è andata? Ammesse?
Spero di aver buttato giù un buon capitolo, nonostante non sto bene. t.t Alla prossima, vi adoro. :)



Quella mattina la sveglia suonò puntuale all’ora che avevo programmato, alle otto.
La sera precedente guarda caso, Jenny, la domestica, rimase a dormire a casa nostra a causa dell’incontro che avrebbe avuto l’indomani e occupò la nostra stanza degli ospiti, di fronte alla mia camera.
Presi dall’armadio dei pantaloncini, una maglia e delle scarpe da ginnastica qualsiasi.
Aprii silenziosamente la porta e notando quella di Jenny ancora chiusa, sgattaiolai via e scesi in soggiorno. Afferrai la borsa, le chiavi di casa e uscii.

Dopo venti minuti buoni di camminata, mi ritrovai davanti ad una casa a un solo piano, finestre chiuse, e isolata rispetto al piccolo centro, dove intorno si trovavano parecchie abitazioni. Mi feci coraggio e suonai il campanello un paio di volte.
Non ci sperai molto in qualcuno che mi aprisse la porta, probabilmente a quell’ora non avrei trovato nessuno.
Passarono giusto tre secondi e il rumore di chiavi che giravano nella toppa mi fece trasalire.
La porta si aprì e un ragazzo ne spuntò da dietro senza maglietta e coprendosi gli occhi con la mano per via del sole.
“Si?” Chiese mentre ancora si copriva gli occhi, con la voce impastata dal sonno.
Io non risposi. Restai lì ferma davanti a lui con le braccia al petto e un’espressione schifata in viso in attesa che il moro si degnasse di alzare lo sguardo.
“Oh, ma che sorpresa! Hai perso la limousine?” “Non è divertente.” Serrai la mascella. “Che sei venuta a fare qui?” “Voglio che fai uscire Harry da quel posto orribile.” Dissi decisa e ferma, come ero rimasta per tutto il resto della conversazione. Il moro si accigliò, e io lo imitai.
“Tu che mi dai in cambio?” Mi fece l’occhiolino abbassando lo sguardo, che puntò sulle mie gambe scoperte e io lo guardai disgustata. “Fai schifo, Zayn.”
Restammo in silenzio per un po’, e mente iniziavo a spazientirmi lui si decise a chiudersi la porta alle spalle poggiandosi sopra con la schiena. “Non posso.” “Cosa non puoi?” “Far uscire il tuo ragazzo.” “Perché no?” “Beh, sono finito dentro tre volte e se mi presento in prigione chiedendo di farlo uscire, minimo mi risbattono dentro.” “Quindi?” “Ma dato che sei così ricca, potresti pagare tu per far uscire Harry, no?” Ammiccò. “N-non posso.” “E perché?” Tenni lo sguardo basso verso le mie scarpe qualche secondo. “Perché…non sono ancora maggiorenne.” Sentii Zayn ridere sotto i baffi per poi guardarmi. “Dici davvero?” Continuò a ridere finchè non voltai le spalle per avviarmi al cancelletto ma lui mi fermò bloccandomi il braccio. “Dai Amb, scherzavo!” “Mi aiuti o no?” Ci pensò su poi entrò in casa e ne uscì subito dopo con un bigliettino in mano. “Io non posso fare nulla, ma a quest’indirizzo troverai chi può aiutare Harry. Ah, e ricorda, io e te non ci siamo mai visti, chiaro?” Annuii e mi avviai in cerca dell’indirizzo indicato sul pezzetto di carta bianco.

“Io? Aiutare Harry? Scordatelo!”
Entrò dentro, sbattendomi quasi la porta in faccia, ma io infilai il piede e più veloce di lui entrai in casa sua. “Dai Liam, per favore!” “Vattene Amber, non ho tempo da perdere.” “Nemmeno io, ti sto solo chiedendo di far uscire Harry.” “Mai. Se lo merita, quel bastardo.” “Lo sai che è innocente, lo hanno arrestato per la roba che VOI gli facevate prendere.” “Non sono affari tuoi, ora apri la porta e sparisci.” “Liam! Ti prego.” Sentivo gli occhi lucidi, ma non volevo farmi vedere così, quindi mi trattenni.
Infondo, io tenevo ad Harry.
“Dimmi, ti piace eh? Ti ha portata a letto o cosa?” Restai zitta, non sapevo più cosa dire.
“Perché lo vuoi aiutare?” Alzai lo sguardo e in meno di un secondo i miei occhi incontrarono quelli di Liam, freddi e inespressivi. “Perché…lui non è cattivo, e non vuole tutto questo. Insomma, guardati! Non riesci a stare in piedi per colpa di quelle –indicai le bottiglie vuote sul tavolo- e questi.” Gli presi i polsi facendogli notare i tagli lungo tutto il braccio. “Questi fannno bene eh, Liam? Ti prego aiutami, voglio solo riabbracciare Harry, poi me ne vado, lo prometto.” La voce aveva cominciato a tremarmi e notai negli occhi arrossati di Liam, un leggero strato umido. Lui si irrigidì, scansò le mie mani dalle sue braccia e senza dire nulla prese la giacca e mi afferrò per il polso uscendo di casa.

Ero seduta su una panchina di marmo e il vento che si era alzato poco prima, cominciava a pizzicarmi la pelle facendomi rabbrividire.
Sfregai le mani sulle braccia per scaldarmi un po’ e mi maledissi per non avere mai l’idea di prendermi un giacchetto prima di uscire.
Tirai fuori l’I-Phone dalla tasca degli shorts e guardai l’ora sullo schermo.
Quei quaranta minuti sembravano due ore lì fuori, al freddo.
Decisi di camminare un po’, giusto per scaldarmi, così mi alzai.
Mi girai ritrovandomi faccia a faccia con quell’enorme edificio grigio inquietante, quando vidi il portone nero aprirsi.
Il cuore cominciò a battermi e appena riconobbi Liam varcare la porta, e mi portai una mano sulla bocca per evitare di urlare di gioia.
Un’altra figura lo seguiva a ruota, coperta da una felpa nera con il cappuccio in testa.
Gli corsi in contro con tutte le mie forze e mi gettai su di lui abbracciandolo.
“Harry!” Non riuscii a dire altro, bloccata dalle lacrime che scendevano liberamente sul mio viso, bagnandogli il retro della felpa.
Dietro la schiena, percepivo ancora il vento passarmi attraverso il leggero tessuto della maglietta.
Le braccia di Harry non erano strette ai miei fianchi come avevo immaginato, ma ciondolanti lungo le gambe, e lui era immobile senza muovere un muscolo.
Gli lasciai un leggerissimo bacio sulle labbra per poi guardarlo negli occhi.
Mi staccai completamente da lui e gli presi la mano. “Harry, ti prego parlami.” Lasciò la mia mano e iniziò a guardare da tutt’altra parte.
Liam intanto si era allontanato da noi, e lo scorsi vicino alla panchina dove ero seduta prima, intento ad accendersi una sigaretta.
“Harry…” “Va via Amber.” Mi fermai di scatto, e l’unico rumore che potevo sentire era quello del cuore prendere un ritmo accelerato. Lo guardai negli occhi, ancora, i quali mi fulminarono. “Mah, cosa…” “Ho detto di andartene.”

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Capitolo 12
*** Capitolo 12. ***


Buonsalve bella gente. :3 (?)
Mentre scrivevo ero particolarmente di buon'umore, ma non so casino posso aver tirato fuori çç spero vi piaccia. :)
P.S: LE FRASI FINALI SOLO PAROLE DI UNA CANZONE DI SELENA GOMEZ, LE HO CAMBIATE APPENA. ì



HARRY.
Un’altra bottiglia vuota si unisce alle altre facendo rumore con lo scontrarsi del vetro.
Non le conto, una in più, una in meno mi avrebbero aiutato a perdere la lucidità per un paio d’ore, ma quando avrei ripreso conoscenza, loro saranno sempre lì, ed io sarò sempre lo stesso, vittima di questa vita che mi ripaga nello stesso modo in cui io la tratto.
La sabbia fredda sotto di me, un mare calmo e il fumo che butto fuori dalla bocca contornano quello che io ho stabilito sia della mia misera vita.
Sono solo, in spiaggia non c’è un’anima ed io spengo nella sabbia l’ennesima sigaretta.
Magari avrei potuto portarmi dietro qualche lametta.
L’effetto dell’alcol comincia a farsi sentire e se avrei aspettato qualche minuto in più, avrebbe fatto il suo lavoro e tagliarmi non sarebbe stato poi così doloroso.
Forse sarei morto in pace, dopo essere finito in carcere una terza volta, avvolto nel silenzio di quel grigio pomeriggio, con il vento che mi asciuga le lacrime sul viso, che sono l’unica ragione per la quale non mi privo dell’unica cosa buona che mi sia capitata.
Lei.
Si, forse sarei morto in pace se non ci fosse stata lei a farmi ricordare chi sono.
Sarei morto in pace perché io, in questa vita non c’entro nulla.
So per certo che ora mi sta cercando, o che tra poco mi troverà perché non ho altri posti dove andare, ma io, nonostante cominci a pensare il contrario, non mi lascerò mai aiutare.

Avvicino l’accendino, e nel frattempo inizio un’altra sigaretta.
Al primo tiro sento la testa girarmi e delle fitte allo stomaco, che mi spingono a piegarmi in due dal dolore.
Mi trattengo, mi stringo solo nella giacca grigia che porto e aspiro nuovamente, più forte di prima.
Le stesse sensazioni di qualche istante fa tornano ad impadronirsi di me, ma continuo quello che stavo facendo, aumentando ad ogni tiro il dolore.
Merito tutto questo.
Merito di sentirmi l’essere più insignificante della terra, merito di morire lentamente e sentire dentro di me ogni organo fermarsi e il dolore trapassarmi le vene.


Un rumore di passi, passi troppo veloci per essere di qualsiasi altra persona, mi arriva alle spalle.
Il rumore cede, e il fermarsi dei passi è sostituito da un respiro affannato e pesante, troppo per essere di una persona che cammina tranquilla.
Non mi volto, sarebbe troppo banale.
Aspetto che chiunque sia alle mie spalle faccia qualcosa.
La sabbia si muove, questa volta sono passi lenti, quasi silenziosi che si fermano davanti a me.
Mi si siede di fronte con le ginocchia al petto e lascio che il suo sguardo mi divori lentamente, come è giusto che sia.
Nessuno dei due parla, ci pensano le emozioni che proviamo dentro, e che premono per essere liberate, ma siamo entrambi troppo orgogliosi per dire qualcosa che colga l’altro di sorpresa, o che non aspetta altro di sentirsi dire.
Mi ricordo di avere tra le dita una sigaretta, un’altra sigaretta da finire, ma prima che riesco ad avvicinarla alla bocca, una mano più veloce della mia, l’afferra e la schiaccia con il piede.
Si alza e le bottiglie che si trovano ammucchiate vicino a me, le lancia ad una ad una il più lontano possibile, sentendo il tonfo quando esse ricadono a terra.
La lascio fare, come se non avessi altra scelta. Tutto sembrava più forte di me.
Si mette in ginocchio davanti a me, abbassando il volto alla stessa altezza del mio.
Mi perdo qualche istante nei suoi occhi nocciola, che vorrebbero dire tanto in quel momento, mentre i miei bruciano e mi regalano una visuale appannata.
“Harry, parlami, ti prego.”
Sto cedendo, non avevo mai bevuto così tanto.
Comincio a non ragionare più. Mi sembra che mi abbia parlato, ma non ho sentito, le orecchie mi fischiano.
Indietreggio fino a sbattere la schiena con la sabbia e chiudo gli occhi.
Sento un peso sopra di me, e subito dopo qualcosa di morbido accarezzarmi le labbra.
Ricordo quella morbidezza, ricordo quel sapore, ricordo come quelle labbra da bagnate stessero bene insieme alle mie.
Morirei volentieri adesso.
Mi mancava qualcosa, e adesso che l’ho trovata posso anche rompere una di quelle bottiglie vuote e tagliarmi il polso con una scheggia di vetro.
“Harry, Harry, che hai? Ti prego, rispondimi!” Qualcosa di caldo e bagnato mi cade sul viso più volte, ma non mi preoccupo di asciugarmi. “Amber?” “Si Harry, sono io.” “Che ci fai qui?” “M-mi mancavi, Harry. Voglio aiutarti, ricordi?” “No Amb, stammi lontano.” La voce era roca, e mi tremava. “Scordatelo! Non ti lascio.”
Una pezza bagnata e fredda mi copre la fronte, lei resta seduta accanto a me, e mi tiene la mano.
“Dai, ti accompagno a casa.” Allaccio il braccio intorno alla sua spalla in modo da sostenermi un po’, e a fatica giungiamo a casa mia.
Durante il tragitto mi riprendo e comincio a scherzare un pò, per rompere la tensione.
Avevo bisogno di sentire le nostre risate.

Una volta in camera, la strattono verso di me e la bacio tenendole la testa con le mani. Dopo poco lei si stacca. “Harry, sei ubriaco marcio.” “No, non più.” La bacio di nuovo e indietreggio verso il letto.
Avevo ancora mal di testa, ma ero più che lucido per fare una cosa del genere, e non vedevo l’ora che arrivasse il momento.
Si sdraia e io sopra di lei. La guardo, prima di andare oltre e lei mi sorride.
Le sfilo via la maglia blu e le bacio il collo lasciandoci qualche morso.
Sento le sue mani fredde passarmi sotto la maglietta e un brivido mi attraversa dappertutto. Mi toglie i jeans e io faccio lo stesso con i suoi pantaloni della tuta, assaporando ogni centimetro di quella pelle liscia e perfetta.
La voglia invade entrambi e i suoi respiri sulla mia pelle aumentano sempre di più.
Sgancio il reggiseno di pizzo senza problemi e mi viene da ridere su come sia attenta anche in quello.
Le torturo il seno, mordendo i capezzoli ogni tanto e le sue mani si stringono a pugno nei miei ricci castani.
Le calo gli slip e lascio una scia umida di baci dalle labbra all’interno coscia.
Inizio a stuzzicare la sua intimità con la lingua, andando sempre più in fondo.
Dalla bocca le scappano dei gemiti strozzati e si morde il labbro inferiore.
Ritiro la lingua e torno a baciarla. Mi sfila i boxer neri e con un po’ di esitazione mi posiziono tra le sue gambe. Chiude gli occhi mentre entro delicatamente in lei senza farle male.
Infila le unghie nelle mie spalle quando alterno le spinte delicate a quelle più forti e decise e mi lascio graffiare mentre le mordo una spalla per il troppo piacere.
Abbasso lo sguardo sullo sfregare dei nostri bacini e penso che non ci possa essere contatto migliore.
La ragazza che è sotto di me, mi ha aiutato senza che me ne accorgessi e non so se troverò mai un modo per ripagarla.
Con il mio niente e la sua mano nella mia, mi sento la persona più fortunata della terra.
La bacio, ancora una volta, ma in questo ci metto…amore.

Adesso che non ho bisogno di provarci più, sto molto meglio.
Niente da perdere.
C’è una voce nell’aria, che mi dice di non guardare indietro da nessun’altra parte, e quella voce è sempre qui.
Tranquilla, non sarò più lo stesso dopo di questo.
Ti ho incontrata in un posto dove sono stato e non tornerò di nuovo indietro.
Non sarò mai come il giorno in cui ti ho conosciuta.
Porto con me i vecchi ricordi come una macchia, ma non posso cancellare il male che mi sono fatto da solo, resterà con me per sempre.
Uno di questi giorni mi sveglierò da quest’incubo con il quale sogno tutte le notti e mi accorgerò che sarà finito solo quando al mio risveglio tu sarai accanto a me.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13. ***


Buonasera! :)
Non sono morta..ho avuto solo da fare.
Spero che il capitolo vi piaccia! Ci vediamo all'altra storia. <3



HARRY.
Mi sveglio di colpo con lo sbattere di una porta.
Mi metto a sedere sul letto con la testa tra le mani per il mal di testa che mi era venuto a causa di quel gesto troppo frettoloso.
Fuori la porta della mia camera nessun rumore.
Era solo in incubo. Pensai.
Tutto quello che mi era successo negli ultimi due anni mi stava perseguitando e i ricordi non mi davano tregua nemmeno un istante.
Ma come ho fatto? E soprattutto, perchè?
Ricordo come ero solamente tre anni fa.
Salutavo mia madre, dopo avermi riempito di baci, come era suo solito fare ogni volta che partivo.
Stavo andando al college; mia sorella Gemma era in macchina che mi aspettava, mi avrebbe portato lei.
Mi piaceva l’idea, vedevo sempre in televisione quei telefilm dove le scuole sembrano enormi e piene di cose fighissime e in particolare mi incuriosiva conoscere gente nuova, ero sicuro che lì avrei fatto amicizia.
Ero ancora un bambino.
Dopo il primo mese, conobbi Matt, ed eravamo buoni amici, finchè un giorno non mi presentò Liam e Zayn.
Da quel giorno abbiamo cominciato a saltare la scuola, andarcene in giro e iniziarono i guai.
Passato qualche mese, lasciai la scuola, in parte per obbligo da parte del preside, così non ho più sentito i miei genitori e ho cominciato la mia nuova vita da ragazzo di strada.
All’inizio era divertente. Andavamo spesso nei locali, niente di che, poi Zayn ha cominciato a fumare ed ha contagiato tutti quanti.
Il resto si sa, i tagli sulle braccia parlano per sé.

Scossi la testa, per scacciare quegli orribili pensieri e mi girai su un fianco.
Alla mia destra dormiva tranquilla Amber, con i lunghi capelli che le ricadevano sulla schiena.
Sorrisi istintivamente e pensai alle cose belle della vita che mi ero perso fino a quando non la incontrai.
Avevo sprecato la mia adolescenza e non avrei potuto riprendermela.
La vidi muoversi e girarsi verso di me. La sua espressione assonnata era buffa, ma rimaneva sempre bellissima.
Era la mia salvezza, quella ragazza.
Le sorrisi e la baciai sulla guancia per poi appoggiarmi nell’incavo del suo collo. “Buongiorno.” mi disse con un filo di voce. “Giorno. Dormito bene?” Annuii e restammo a guardarci per qualche istante.
Mi morsi il labbro, al pensiero della sera precedente.
Adesso che avevo lasciato la mia vecchia vita, avevo bisogno solamente di lei.
Di lei e di amore.
Volevo saperla vicina, sentire il suo respiro sulla mia pelle, la sua mano stretta nella mia e volevo che tutto quello che provavo era lo stesso per lei.
Avevo il bisogno costante di stringerla a me e sentire i nostri corpi attaccati.
Soprattutto, non volevo che se ne andasse.
Annuso il suo profumo ancora una volta, mi fa sentire tremendamente bene e noto che è diventato un tutt’uno con il mio, stretti nelle stesse lenzuola.
Resterei così per ore.
Mi avvicino al suo viso e la bacio dolcemente mentre la porto sopra di me. Le accarezzo i fianchi e le sue mani sono di nuovo tra i miei capelli.
Ci stacchiamo e le sorrido. “Che facciamo oggi?” “Mh, non saprei, quello che vuoi.” “Io devo andare a recuperare il resto della mia roba il albergo.” “Ti accompagno.” “No, non mi fido ad uscire, almeno per il momento.” “Ci vado io al posto tuo.” “No Amb, meglio di no.”



AMBER.
Sbuffai, raccogliendo dal pavimento il resto dei miei vestiti.
Vado in bagno per darmi una rinfrescata e dopo poco torno in camera.
Entro e vedo Harry intendo ad allacciarsi le scarpe. Lo abbraccio da dietro e gli bacio la schiena ancora scoperta.
Si gira e mi tira a se tenendomi saldamente per i fianchi.
Gli prendo le mani e le intreccio alle mie.
Adoro le mani di Harry, sono morbide e grandi rispetto alle mie.
Mi sento al sicuro tra di esse.

Esco da casa di Harry e mi avvio all’hotel dove si era fermato ad alloggiare.
Arrivo davanti a quest’edificio marrone, entro e alla reception mi faccio dare la chiave della stanza.
Apro la porta e la richiudo alle spalle.
La stanza è tremendamente in ordine, Harry non ha avuto nemmeno il tempo di sistemarsi le sue cose, che in effetti sono ancora chiuse nell’enorme borsone nero.
Il letto singolo è ancora fatto, coperto da lenzuola bianche e una coperta rossa, giusto per bellezza.
Prendo il borsone e lascio l’albergo.
Fuori, il cielo si è annuvolato, così cerco di sbrigarmi il più possibile per non rischiare di rimanere bagnata.
Superata la via, due braccia mi afferrano di colpo da dietro e una mano mi tappa la bocca per non farmi urlare. Sento il cuore in gola e comincio a sudare freddo.
Lascio cadere la borsa per lo spavento e con le mani tremanti, cerco di liberarmi dalle due braccia che mi tengono ferma.
Una forte puzza di tabacco mi arriva alle narici, e mi fa pensare che sto per essere rapita da qualcuno che ormai conosco bene.
La presa troppo stretta non mi fa voltare e mentre sto per farlo, perdo i sensi e svengo nelle braccia di quello sconosciuto.
Poi, tutto buio.

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Capitolo 14
*** Capitolo 14. ***


Riapro gli occhi in una stanza semibuia.
Mi porto una mano sulla fronte e chiudo gli occhi, evidentemente avevo battuto forte la testa.
Mentre tornavo a casa di Harry, qualcuno mi afferrò da dietro, ma non ricordo altro perché nel tentativo di liberarmi, persi i sensi.
Mi alzo e provo ad aprire la porta, ma che purtroppo è chiusa a chiave.
Rassegnata mi avvicino alla piccola finestra che si trovava di fronte al letto e quando mi affaccio riconosco quel vialetto stretto e pieno di foglie.
La porta si spalanca, andando a sbattere contro la parete. “Oh, ti sei svegliata.” Mi giro di scatto portandomi una mano al petto per lo spavento.
Ecco là, il mio rapitore.
“Lasciami subito andare, Zayn!” Senza dire nulla, richiude la porta e si avvicina a me con un sorriso malizioso. “Che vuoi da me?”
Eravamo a pochi millimetri di distanza e per la paura mi attacco con la schiena completamente al muro dietro di me.
Ora non avevo via di fuga.
“Che vuoi?” gli urlai contro ma lui continuava a fare pressione su di me. “Niente… -sussurra mentre si avvicina pericolosamente al mio collo- solo quello che ti ho chiesto l’altro giorno.” “E cioè?” “Ti ho aiutato a far uscire Harry di prigione, ricordi?” Sento le sue labbra carezzarmi il collo fino a scendere alla scollatura della mia maglietta. “No! Tu da me non avrai proprio niente, lasciami!” Ogni tentativo di liberarmi fu inutile perché il suo possente corpo era pressato sul mio.
Cominciai a tremare, ma non avevo scelta.
Le sue mani arrivano fino ai glutei, dove mi solleva e malamente mi scaraventa sul letto, facendolo scricchiolare.
Si butta voglioso su di me, sfilandomi la maglietta e continuando a baciare e mordere il mio collo. Continua fino al seno, dove una volta strappato il reggiseno, lascia qualche segno violaceo anche lì.
Resto immobile sotto di lui, rigida come un pezzo di legno e cerco di ricacciare dentro le lacrime che premono di uscire dai miei occhi sigillati.
Toglie anche i suoi vestiti, rimanendo con dei boxer grigi. La sua voglia preme contro di me, ed io non faccio altro che provare schifo per tutta questa situazione.
La mia mente strilla il nome di Harry, sperando che mi senta e che mi venga ad aiutare, mentre la mia bocca è schiacciata dalla sua.
Penso a lui, e a come in questo momento vorrei che fosse al posto di Zayn.
Penso che ho paura.
Arriva all'inguine e in un secondo, sfila via i miei slip con i denti.
Mi penetra con la lingua andando sempre più in profondità, e le sue sporche mani sono strette sulle mie cosce, fino a farmi venire.
Stringo avidamente tra i denti il labbro inferiore per evitare di urlare, e il fiato si fa sempre più corto.
Continua questa tortura inserendo due dita e compiendo movimenti circolari, a volte troppo forti.
Due lacrime scendono dai miei occhi ancora chiusi bagnando i due lati del lenzuolo.
Si avvicina al mio orecchio e ci soffia dentro. “Voglio sentirti urlare.” Aggiunge un terzo dito, facendomi inarcare la schiena. “M-mai.” Balbetto e trattengo gemiti strozzati. “Sei difficile eh.” Stringe i denti quando lo sussurra e in un gesto fulmineo entra prepotente in me, facendomi urlare. Lo sento sorridere sulle mie labbra che bacia senza ritegno. “Voglio di più.” Mi dice, ma lo allontano da vicino la mia bocca e torna a baciarmi la pancia.
Continua a spingere e sento i suoi respiri caldi e pesanti posarsi su ogni centimetro della mia pelle, facendomi ribrezzo. Una goccia di sudore cade dalla sua alta cresta nera fino a posarsi al centro del mio collo.
Mi si avvicina nuovamente e con un movimento di bacino, mi lascia con un’ultima forte spinta mentre mi morde contemporaneamente il collo e la spalla per trattenere i sospiri irregolari.

Sono ancora nel suo letto, avvolta con il misero lenzuolo bianco.
Il moro non c’è, e oltre la porta non avverto il minimo rumore.
Sarà uscito, pensai.
Gli bastava un’oretta di divertimento per poi andare ad ubriacarsi insieme agli altri due.
Un dolore proviene dal basso ventre, facendomi rannicchiare.
Un’altra lacrima mi segna la guancia, cadendo poi dalla punta del mio naso.
Cerco i miei vestiti, e dopo aver ripescato l’intimo da sotto il letto, lo infilo e mi posiziono davanti allo specchio che Zayn teneva in camera.
Le guancie sono rigate da segni di mascara sciolto, il labbro inferiore rotto, con del sangue secco sopra, per via degli insistenti morsi e il collo pieno di segni viola.
Mi sposto da davanti la lastra di vetro, non potrei sopportare di vedermi ancora ridotta così e mi metto in cerca del resto dei miei vestiti.
Faccio mente locale e ricordo che nella tasca inferiore dei jeans ho ancora il mio cellulare, e devo solo sperare che non si sia frantumato.
Lo accendo e sul display mi ritrovo cinque chiamate perse.
Le apro: Harry.
Comincia a tremarmi la mano e con il dito premo sul tasto ‘richiama.’ Dopo due squilli sento la voce di Harry risuonare dall’altra parte dell’apparecchio. “Pronto?” “H-Harry…” “Amber! Cristo santo, dove sei?” “Ecco, io…” “Stai piangendo? Che ti è successo? Amb, rispondi!”
Era più agitato di me, e la cosa mi metteva tremendamente ansia.
“Harry, sono a casa di Zayn. Mi ha portata qui mentre tornavo dall’albergo, e…” “E cosa? Non ti muovere, sto arrivando.”
Tu, tu tu.
Attaccai anche io la chiamata e mi sedetti sul muretto sotto la finestra, controllando se casomai il moro tornasse.
Dopo dieci minuti di attesa, riconobbi Harry correre come un matto fino a fermarsi sotto il portico.
La porta comincio a sbattere per via dei pugni e mi precipitai ad aprire.
“Harry!” Gli saltai in braccio e subito mi prese, stringendo le braccia intorno alla mia schiena.
Cominciai a piangere, senza staccarmi da lui, non volevo mi vedesse così.
“Amber, che è successo?” Con la forza mi fece mettere di fronte a lui e mi scrutò attentamente con i suoi occhi verdi chiaro.
Scosta con una mano i miei lunghi capelli dalla spalla in modo da scoprire i numerosi segni sul collo. “Non dirmi che…” Io non rispondo e lascio che lui cerchi la risposta nei miei occhi lucidi. “Porca puttana, lo ammazzo, lo ammazzo!” Comincia a sbraitare e ad agitare le braccia per poi dare un calcio alla porta. “Harry, calmati, per favore. E’ passato.” “No, non mi calmo! Ma ti rendi conto di come ti ha ridotta, guardati!” Mi porto una mano sui segni, da percepire così l’avvallamento della pelle.
Lo abbraccio per farlo smettere e gli do un bacio sulla guancia. “Harry?” “Dimmi.” “Andiamocene.”



Beeene, vi ho accontentate, dato che volevate sapere chi era il 'rapitore' u.u
Spero non sia troppo spinto. çç
Allora, domani mattina comincio i corsi di recupero e non so quando potrò aggiornare le FF, ma come ho detto nell'altra storia, vi terrò informate. :)
Bacioni, Happiness.

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Capitolo 15
*** Capitolo 15. ***


Rieccomi tra di voi!
Volevo scusarmi per l'enorme ritardo, ma con il corso ho sempre meno tempo. çç
Spero che con questo capitolo vi abbia accontentate. :)
A dire il vero non me la sento di finirla così presto questa storia, voi, avete qualche suggerimento? :3



L’orologio sulla parete della mia camera segna solamente le cinque e mezza del mattino.
L’insistente rumore delle lancette va a ritmo con il mio picchiettare nervosamente sulla scrivania mentre sono seduta sulla sedia girevole in attesa di una definitiva decisione.
Le cinque e trentacinque.
Mi alzo di scatto facendo quasi cadere la sedia e mi dirigo all’armadio di lato al letto.
Lo apro e ne estraggo le prime borse che mi capitano sottomano. Sposto malamente i vestiti dalle stampelle, facendone cadere in parte a terra, e dopo aver preso quelli meno costosi ed eleganti li butto nei rispettivi borsoni, insieme ad un altro paio di scarpe e il resto dell’occorrente, senza dimenticare un borsellino con tutti i miei soldi messi da parte.
Mi guardo intorno e scruto attentamente la camera che mi ha visto crescere per quasi diciotto anni.
In tutto questo tempo, nella mia vita non c’è mai stato nulla di buono, quindi tanto valeva andarsene ora che restare chiusa in quella casa senza nessuna possibilità di futuro.
Il futuro va costruito da soli. Dicono.
Perciò, mi carico le borse sulle spalle, lascio un bigliettino a Jenny, non mi importa cosa avrebbe fatto in seguito alla mia scomparsa, e uscendo di casa mi incammino verso il mio futuro.

Un Harry stranamente felice mi apre la porta accogliendomi in un caloroso abbraccio.
Lo stringo anche io, e gli accarezzo la testa da sopra quel cappellino di lana che è solito portarsi.
Mentre siamo ancora attaccati, non percepisco nessun odore strano provenire dai sui vestiti, solo una vampata di colonia maschile che mi riempie le narici. Sorrido; sono felice che abbia smesso di fumare e di bere.
“Pronta?” Mi sussurra in un orecchio. “Calcolando che è la prima volta che scappo di casa, si, direi di si.” “Andrà tutto bene. E’ più facile a dirsi che a farsi.”
Entriamo in casa per prendere i bagagli di Harry e dopo un’ultima occhiata da parte sua usciamo dal cancelletto.
Si carica lo zaino sulle spalle e afferrando un manico per’uno del suo altro borsone ci avviamo a piedi alla stazione dei pullman.
Ci facciamo timbrare i biglietti presi da Harry il giorno prima e dopo aver caricato le borse nello scompartimento andiamo ai nostri posti, che fortunatamente si trovano in fondo.
“Dove siamo diretti?” chiedo curiosa, ancora non me lo aveva detto. “Lo vedrai.” “Uffa, perché devi essere sempre così misterioso?” Lo rimprovero tirandogli in cappellino fino a davanti gli occhi per poi scoppiare in una fragorosa risata che fa girare alcuni passeggeri.
Allungo le gambe su quelle di Harry e dando le spalle al vetro mi appoggio con la testa sullo schienale del sedile. Il viaggio sarebbe durato circa tre ore, quindi presi sonno tranquillamente, con le mani di Harry che mi accarezzavano le gambe lasciate scoperte dai pantaloncini.


Il pullman si ferma, e recuperate le nostre cose, camminiamo per altri dieci minuti fino ad arrivare ad una paninoteca lì vicino.
Prendiamo tutti e due un panino e velocemente usciamo di lì.
“Non ne posso più, ma dove siamo?” I piedi cominciavano a farmi male, nonostante avessi delle scarpe morbide, ma l’asfalto era pieno di buche e crepe che intralciavano il passaggio.
Harry non mi risponde e continua a camminare con un mezzo sorriso stampato sulla faccia.
Fortunatamente quello era un giorno nuvoloso, così ci siamo risparmiati di trovarci sciolti sulla strada, dato il lungo percorso.
“Se la tua sorpresa era portarmi in mezzo ai campi, ci sei riuscito benissimo!” Il suo sorriso aumenta, mettendo in mostra quelle fossette meravigliose. “Dimmi, faremo i contadini, eh?” Dico sarcastica guardando intorno a me gli immensi prati verdi.
“Se ti dico che siamo arrivati, chiuderai la bocca?” Dice voltandosi. “Mi farebbe sentire meglio.” “Ecco, allora guarda lì.” Seguo il suo dito in direzione di una casa a pochi passi da noi. “Staremo lì?” “Già.” “E’ tua?” “E’ di mia sorella. Me l’ha lasciata quando ho compiuto diciotto anni.” “Non sapevo avessi una sorella.” “Si chiama Gemma. Te la faccio conoscere appena torna dall’Australia, se vuoi.”
Arriviamo sotto il portico ed io non la smetto di guardarmi intorno; non ero mai stata in campagna e l’idea di avere una casa fuori la città, mi esaltava molto.
“Ma come ci spostiamo?” “Ho la macchina ad un deposito qui vicino. Domani la passo a prendere.” Annuisco e continuo ad osservare l’interno della casa; il soggiorno era arredato con mobili marroni e c’era un divano di pelle nera al centro della sala. A destra, qualche scalino portava alle altre stanze. “Allora, ti piace?” “Da morire.” Mi viene in contro e mi cinge i fianchi con le sue possenti braccia. Mi da un lento bacio sulla guancia e poi poggia la testa sulla mia spalla. “E’ casa nostra, adesso.”
Resto immobile stretta ad Harry, e il cuore salta un battito.
Nostra.
Quella parola mi mette i brividi. Non avevo mai pensato addirittura ad una casa da condividere a soli diciassette e diciotto anni e mezzo, e all’inizio non avevo nemmeno pensato che ci potesse essere un noi.
Ma cambiare era nei nostri piani, e tutto questo mi piaceva.
“Ora posso averti tutta per me, lontano da tutto e tutti.” Mi gira verso di se e mi bacia.
Come ogni volta, le farfalle svolazzano numerose nel mio stomaco, facendomi tremare da testa a piedi, quando anche per puro caso, ci sfioriamo involontariamente.
“Harry, sei felice in questo momento?” Mi prende entrambe le mani e le intreccia alle sue. “Si, e tu, sei felice?” “Si.” Dico in un sussurro. “Vorrei lasciare un primo bel ricordo, in questa casa?” “E cosa?” In un lampo, le sue mani sono strette alle mie cosce e le gambe sono allacciate intorno alla sua schiena. Iniziamo un infinito gioco di lingue, che sembrano cercarsi disperatamente e subito dopo mi sento sprofondare nel morbido materasso di una camera qualsiasi.
Adesso che siamo finalmente solo io e lui, fremo dalla voglia di saperlo tutto per me, e in poco tempo lo libero della sua polo nera e dei jeans scoloriti. Lui fa lo stesso con me, lanciando la mia camicetta in punto qualsiasi e con le sue labbra umide bacia ogni singolo punto della mia pelle scoperta. Passa le mani fredde lungo la schiena che a mia volta inarco a quel contatto, e con un’abile mossa sfila via il reggiseno, cominciando a giocare col seno alternando baci e morsi. Scendo con la mano dal suo petto fino all’orlo dei boxer, che sfilo via, sfiorando il suo membro eretto e facendo uscire dalla sua bocca un leggero gemito strozzato.
La prima volta eravamo andati troppo di fretta, quello doveva essere il nostro momento di felicità.
Con due dita mi sfila via gli slip e si abbassa all’altezza della mia intimità, carezzandomi le cosce. Infila la lingua facendomi inarcare nuovamente la schiena e stringo a pugno i suoi ricci che tanto amavo. Va più in profondità, ma lo faccio ritirare in tempo prima di venire.
Si posiziona tra le mie gambe e dopo avermi riempito di baci, lo sento entrare lentamente, mentre intreccia ancora una volta le mie mani con le sue, così da avere qualcosa da stringere.
Mi tortura il collo respirandoci sopra pesantemente ed io abbandono la stretta di una delle mani per graffargli la spalla.
Forse amavo Harry.
Mi piaceva tutto di lui, anche ogni minima imperfezione del viso, di cui mi accorgo ogni volta che mi soffermo a guardarlo più del dovuto.
Eravamo due opposti, ed è proprio questo che mi ha attirato.
Non ero sicura dei miei sentimenti e non lo ero mai stata, come non ero mai stata innamorata, ma stavo cominciando.

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Capitolo 16
*** Capitolo 16. ***


Ecco come promesso, il capitolo 16. :) Scusate il ritardo, ancora, ma l'ho scritto lungo apposta, spero vi piaccia. Ho voluto dedicare parte del capitolo ad un momento intimo fra Harry ed Amber. :3 Fatemi sapere.
Baci, Happiness.



HARRY.
Lo sbattere della finestra causato dal leggero vento mattutino mi fa aprire gli occhi di colpo e guardare in direzione del muro di fronte al letto.
La lunga tenda aveva iniziato a svolazzare, così mi infilo al volo di boxer e andai a chiudere la finestra, tirando la tenda per coprire i raggi di sole.
Una volta girato mi fermo qualche istante ai piedi del letto dove su di esso giace tranquillamente Amber, avvolta a metà dal lenzuolo.
Mi concedo l’onore di soffermarmi a guardarla, cosa che non avevo mai fatto fino a quel momento.
E’ girata dalla parte opposta e mi da le spalle. Mi avvicino cautamente, infilandomi nuovamente sotto la fresca stoffa delle lenzuola e mi giro su un fianco, poggiando il gomito sul cuscino.
Le copro la schiena liscia, segnata in qualche punto da piccoli nei. Scanso da davanti il suo viso le ciocche di capelli biondo cenere lasciando scoperti i vecchi segni violacei sul collo che iniziavano a scomparire.
Un senso di rabbia mi pervade al pensiero che sia stata toccata da un’altra persona, soprattutto se si tratta di uno dei tre ragazzi.
Con un dito traccio una linea dalla sua scapola fino a dove la pelle è coperta. Continuo il movimento fino a che non la sento muoversi ed infine girarsi mentre si stropiccia gli occhi, forse per la troppa luce.
“Ehi.” Le sussurro accarezzandole una guancia. “Buongiorno.” Continuo con lo stesso tono di voce. “Buongiorno.” Mi risponde decorando il suo stupendo viso assonnato con un sorriso.
Si gira dalla mia parte, fissando un punto impreciso della stanza. Le schiocco un bacio sulla guancia per attirare la sua attenzione e torno nella mia posizione precedente. “Tutto bene?” Chiedo, sperando in una risposta positiva. “Non potrebbe andare meglio.” Tiro un leggero sospiro di sollievo e non aspetto a baciarla, tirandola su per essere meno scomodi.
Si appoggia sulle mie gambe e la tengo saldamente per i fianchi, lasciando dei baci umidi che partono dalle labbra, al mento, fino al collo che comincio a stuzzicare prima di scendere sul seno.
Sotto i polpastrelli sento la sua pelle tesa coperta dalla pelle d’oca, e sorrido pensando all’effetto che le faccio.
Le sue mani calde e lisce scorrono su tutta la schiena, facendo su e giù diverse volte, provocandomi mille scariche elettriche.
Ferma la sua serie di carezze fino all’elastico dei boxer, che dopo aver tirato a lungo facendomi impazzire, toglie lanciandoli in fondo al letto.
Adoro il nostro rapporto, adoro vedere come i nostri corpi stanno bene insieme, adoro lei.
Faccio scivolare attentamente il mio membro dentro di lei facendola sussultare. Getta la testa indietro e mi fiondo sul suo collo come fossi un vampiro in astinenza di sangue.
Mi piaceva saperla mia e assaporare ogni centimetro di quella pelle chiara e perfetta.
Ma questo, era forse amore?
A me quella parola era totalmente nuova, come mi erano nuovi tutte queste sensazioni che ogni giorno sputo fuori senza accorgermene e che mi fanno sentire incredibilmente bene.
Cominciamo a muoverci insieme, assecondando ognuno i movimenti dell’altro.
Mi dedico alle sue labbra, così piccole ma carnose allo stesso tempo e che hanno sempre un buon sapore.
Le sue si staccano dalle mie, ma che seguo immediatamente non appena non ne percepisco più il calore.
“H-Harry..” Il suo respiro è pesante e la fronte è contro la mia. La bacio un’ultima volta per poi uscire e sdraiarmi nuovamente accanto a lei in attesa di riprendere fiato.
“Amb?” Si volta mettendosi sul fianco sinistro ed io faccio lo stesso in modo da guardarci negli occhi.
Capisco che aspetta una risposta dai suoi occhi nocciola che mi guardano curiosi. Dopo aver tentennato un po’ prendo un bel respiro e la guardo attentamente. “Grazie.”
Non ero solito a dirlo, io non dicevo grazie.
Ma tutti i pensieri che vagavano nella mia mente di continuo appartenevano al passato ed il presente era un libro appena aperto.
All’inizio mi osserva confusa, poi la sua stupenda bocca si apre in un mezzo sorriso. “Perché mi ringrazi?” Intanto era seduta al lato del letto e mi dava le spalle, mentre si infilava l’intimo e una canottiera nera.
“Mi hai salvato, ero senza speranza e se non ti avessi conosciuta, mi sarei suicidato da un momento all’altro.”
Gattona sul letto fino a stendersi a pancia in giù di fianco a me. “Non ne avevi motivo, potevi cambiare se lo volevi veramente.” Restiamo in silenzio qualche istante, e ne approfitto per rivestirmi. “Beh, anche io ti devo ringraziare.” “E per cosa?” Chiedo corrucciando la fronte. “Ecco, la mia vita non era tutta rosa e fiori, i miei non c’erano mai a casa e a scuola non mi parlava nessuno. Volevo andarmene ma ero controllata a vista, e non potevo. Tu hai reso tutto più semplice e migliore.” Mi siedo accanto a lei, ancora con la polo in mano. “Potevi andartene se lo volevi veramente.” Cerco di imitare il suo tono di voce che la fa ridere.
Alzo lo sguardo e incontro il suo che scruta un punto che non riesco a capire. “E’ un tatuaggio quello?” Allargo le braccia scoprendo la stella a cinque punte che ho sotto il braccio sinistro.
“Si, l’ho fatto poco prima di incontrarti, ti piace?” Annuisce. “Come mai una stella?”
Ecco, un altro pezzo di vita stava per uscire allo scoperto.
Infilo la maglia e mi sistemo meglio sul letto. “Ti ricordi Matt?” “Si.” “E’ stato lui a farmi conoscere Zayn e Liam, quando andavo ancora a scuola. Dopo un periodo, Matt è stato sospeso per vari giorni e in quel lasso di tempo i ragazzi mi hanno fatto conoscere due dei loro amici, Louis e Niall. Eravamo davvero un bel gruppo noi cinque ed io avevo stretto amicizia con Louis, finchè Matt non è tornato e…E’ successo quello che è successo. Ecco il motivo della stella, è a cinque punte perché ognuna rappresenta uno di loro.” Per tutto il racconto era rimasta in silenzio con le braccia conserte sotto la testa. “E adesso gli altri due dove sono?” “Non lo so, non li ho più visti, so solamente che si sono trasferiti.” “Mi dispiace Harry, non lo sapevo.” “Non fa niente, ora sto bene.” Le dedico un dei migliori sorrisi e le accarezzo una guancia, consapevole però, di quanto sentissi la mancanza dei vecchi amici.
“Vestiti, andiamo a fare un giro.”

“Questa è la tua macchina?” Chiede strabuzzando gli occhi. “Si, bella vero?” “Ammettilo, a chi l’hai rubata?” Scoppiamo a ridere e ci sediamo io al posto di guida, lei a quello del passeggero. “No, è un regalo di mia madre. Non scherzava quando diceva di volermi fare una decappottabile nera.”
Tiro fuori gli occhiali da sole dall’astuccio marrone e metto in moto.
“Dove mi porti Styles?” “A pranzo fuori, signorina.” Alla fine della stradina sterrata studio per un attimo le indicazioni stradali, cercando di ricordare dove fosse il ristorante nel quale mi portava sempre mia sorella quando ero più piccolo ogni venerdì sera.
Dopo un po’ di giri, arriviamo e parcheggio in uno dei pochi posti liberi. Scendiamo dall’auto e la prendo per mano, conducendola dentro.
Uno dei camerieri ci indica un tavolino per due al centro della sala, circondato da altri pieni di gente già occupata a mangiare.
“Prendi quello che vuoi, oggi si festeggia.”



AMBER.
Io ed Harry eravamo accoccolati sul divano a vedere la televisione mentre mangiavamo i pop-corn dentro la ciotola che avevo preparato io.
Non c’era un granchè, e dopo aver fatto un po’ di zapping, ci siamo imbattuti in un film qualsiasi.
I due protagonisti si stavano tranquillamente baciando e presi dal momento abbiamo cominciato anche noi, lasciando stare i pop-corn.
Immergo le dita nei ricci ribelli di Harry mentre lui lascia qualche segno sul mio collo per poi tornare alle mie labbra.
Fuori regnava un rilassante silenzio, niente a che vedere con i rumori di città, finchè una macchina non frenò bruscamente lì vicino, facendoci trasalire.
Dei colpi cominciano a provenire da oltre la porta diventando sempre più insistenti. Stringo la maglia di Harry che alzandosi mi accarezza un braccio, ordinandomi di rimanere al mio posto.
Resto immobile sul divano, con il cuore in gola per la paura mentre dopo un ultimo colpo alla porta lo vedo aprire spaventato.
Un poliziotto si presenta sulla soglia della porta e a quella visione le lacrime cominciano ad appannarmi gli occhi.
Avevo paura che lo portassero via un’altra volta, ma come ordinato da Harry non mi mossi e ascolto la conversazione.
“Lei è Harry Styles?” “Si signore, sono io. E’ successo qualcosa?” “No, sono solo venuto ad informarla che questo ragazzo è venuto alla centrare di polizia, chiedendo di sospendere la libertà vigilata, e dato che la sua fedina penale è pulita abbiamo acconsentito. Ha chiesto di lei, lo conosce?” “Si, è mio amico.” “Bene. Come ordine dei miei superiori sono stato costretto ad accompagnarlo seguendo le sue indicazioni. Posso andare via tranquillo?” “Certo agente, grazie mille, buon lavoro.”
Harry chiude la porta, facendo segno alla figura ferma in piedi di entrare.
“Liam?” “Ehi, ciao bella.” “Che ci fai qui?” “Beh, ho ripensato alle tue parole dell’altro giorno e ho capito che avevi ragione.” “E…Zayn?” “Non lo so, domani torno a prenderlo. Non è responsabile quando è da solo. Volevo chiedervi…Posso restare? Almeno questa notte.” “Certo.” Interviene Harry. “Ci sono altre due camere libere.” “Grazie, davvero. Vi devo un enorme favore.”
Dopo aver sistemato la borsa di Liam in una delle camere libere, usciamo tutti e tre e con la macchina di Harry ci avviamo ad un locare a un chilometro di distanza sotto quel cielo pieno di stelle.

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Capitolo 17
*** Capitolo 17. ***


Prima che possiate venire a cercarmi con un bazuca in mano, vi chiedo scuuusa. T.T Scusatemi davvero del ritardo, ma questi giorni sono stati una merda, e non ero in vena di scrivere.
Comunque, questo capitolo è un pò diverso, dato che mi è stato detto che la storia stava cambiato direzione, la sto riportando a quella originale, il prossimo capitolo sarà un pochino scioccante. :O
Bacioni, Happiness loves you.xx



Zzzz
Zzzz

Il mio cellulare cominciò a vibrare insistentemente sul comodino al lato destro del letto matrimoniale.
Fino a pochi istanti prima, dormivo letteralmente sopra Harry e l’ultima cosa che volevo in quel momento era essere svegliata mentre venivo cullata dal ritmico battito che il suo cuore mi donava.
Mi girai di malavoglia, facendo attenzione a non svegliarlo e afferrai il telefono. “Pronto?” dissi con voce impastata dal sonno. “Amber!” “Ally?” “Ehi, ma che fine hai fatto? Sono due settimane che non ti vedo e non ti sento.” “Beh, ecco, sono successe un po’ di cose. Appena torno in città ti racconto.” “Che vuol dire ‘appena torno’? Dove sei adesso? E perché parli sottovoce?”
In effetti, Harry ancora dormiva, e non volevo svegliarlo con le mie chiacchiere, quindi lasciai la stanza, accostando la porta e mi diressi in soggiorno.
“Harry dorme, e non voglio svegliarlo.” “Chi?” In quell’istante mi diedi un buffetto sulla fronte e mi morsi il labbro, ricordandomi che lei, di noi due, non sapeva nulla. “Amb, ti senti bene?” “Ehm, si si, sto bene.” “Chi è Harry?” Presi un bel respiro e iniziai a raccontare. “Ti ricordi il ragazzo spettinato fuori scuola quel giorno?” “Si.” “Sono con lui.” “Oddio! Vorresti dirmi che sei scappata con un vagabondo?” “No, certo che no!” “Comunque sia, mh.. come dirtelo..i tuoi genitori sono tornati a casa.” “Eh? Cosa? E tu come lo sai?” “Ieri pomeriggio, non trovandoti a casa, sono venuti da me, sperando di trovarti qui.” “Cazzo.” Sussurrai mordendomi un’unghia. “Il tempo di prepararmi e vengo in città. Ciao Ally, grazie.” Attaccai la chiamata piuttosto agitata e mi portai le mani nei capelli.
Perché non andava mai nulla per il verso giusto?
Perché non potevo essere felice, con Harry?

Cercando di sembrare tranquilla, tornai in camera, trovando Harry sdraiato con le braccia sotto la testa.
“Ehi.” Sorrisi. “Ciao, dove eri finita?” “Mi ha chiamata una mia amica, e sono corsa a rispondere.” “E…” Mi incitò lui a continuare, sicuro che dal mio tono di voce c’era dell’altro. “E i miei genitori sono tornati a casa e mi vogliono da loro.” “Cosa?” “Si, ma tornerò. E’ questione di poche ore.” “Non mi fido a mandarti da sola.” “Come siamo premurose, mamma!” Gli feci una linguaccia e scoppiammo a ridere. “Mi piace quando fai la ‘so tutto io’.” Si avvicinò pericolosamente al mio viso leccandomi le labbra. “Mhh, ho voglia di farlo.” Soffiò nel mio orecchio.
In seguito, passò le mani sotto la mia maglietta accarezzandomi la schiena e la pancia, provocandomi brividi infiniti.
Mi scansai dalle sua labbra, prima che mi facesse perdere la lucidità e mi dimenticassi del resto del mondo. “Harry, no..devo andare.” Sbuffò imitando un bambino offeso e si chiuse in bagno a lavarsi.
Nel frattempo cominciai a frugare tra la mia roba, in cerca di qualcosa di carino da mettermi, conoscendo mia madre.
Per mia fortuna trovai una gonna nera un po’ sgualcita e una camicetta rossa senza maniche con delle pieghe svolazzanti sopra i bottoni.
E io che volevo buttarla perché sembravo Babbo Natale, pff.
Presi le ballerine nere e mi posizionai davanti lo specchio della stanza raccogliendomi i lunghi capelli in una coda alta. Afferrai la trousse, ne estrassi il mascara e la matita, e conclusi il tutto con un filo di lucidalabbra trasparente. Nel frattempo Harry era uscito dal bagno e lo sorpresi a scrutarmi grazie al riflessi dello specchio.
“Allora, sono presentabile?” “Guarda che sono geloso eh! Che farò io tutto il giorno?” “Liam?” “E’ andato via questa mattina alle sei.” “Beh..che ne diresti di venire anche tu?” Strabuzzò gli occhi, schiudendo leggermente la bocca. “C-cosa? In mezzo a tutta quella gente ricca?” “E’ solo un pranzo Harry. Poi i miei non sono così male, se ti presenti bene.” “Mh, no, grazie lo stesso, non mi va di stare in mezzo alle persone. Poi non sono il tipo giusto da portare a casa.” “Fallo per me, ti prego!” Stavolta imitai io la voce di una bambina. “E va bene! Ma non ho comunque niente da mettermi.”
Cominciammo ad ispezionare l’armadio e alla fine, optammo per dei jeans scuri e una camicia a quadri, che dopo vari tentennamenti decise di infilarsi e che gli stava benissimo.


“Non so se ce la faccio, ho paura di fare una brutta figura.” Disse lui, continuando a guardare l’esterno di casa mia.
“Non la farai, tranquillo. Ci sono io.” Gli sorrisi e ci scambiammo un bacio veloce prima di suonare il campanello. Lo sentii deglutire e per dargli sicurezza gli presi la mano, accarezzandone il dorso con il pollice.
Mia madre venne ad aprire, bella quanto il sole, come sempre. Nonostante le sue severe regole da bambina, ero molto più legata a lei che a mio padre, lui non mi capiva come la mamma.
I suoi capelli biondi perfettamente tinti erano raccolti in un mollettone e la sua gonna a tubo nera metteva in risalto i suoi fianchi e le appiattiva la pancia, facendola ringiovanire nonostante i suoi quarantasette anni. Sembrava ne avesse trenta, era questo il bello di mia madre.
“Amber! Oh, quanto tempo! Come stai piccola mia?” “Tutto bene mamma. Anche tu mi sei mancata tanto, ti vedo in forma.”
Spostò lo sguardo su Harry, osservandolo incuriosita aggrottando le sopracciglia, ma con quel sottile sorriso che aveva sempre, da donna educata.
“E tu chi saresti? Un compagno di scuola di Amber?” Mi affrettai a rispondere per evitare pessime figure. “Ehm, mamma, lui è Harry. Ci siamo conosciuti fuori scuola, e mi ha portata a cena al molo.” Mia madre si drizzò sulla schiena sorpresa, portandosi le mani sui fianchi. “Piacere mio Harry, io sono Serena. Vieni, accomodati pure.” Lanciai una veloce occhiata ad Harry che ricambiò facendomi un mezzo sorriso.
Una volta dentro casa, non lasciai nemmeno un secondo la mano di Harry, che a sua volta era intrecciata alla mia, nonostante le ripetute occhiate indagatrici da parte di mio padre, dei miei zii e della coppia amica intima dei miei.
Il pranzo fu come al solito servito dall’affidabile Jenny, ed era tutto a base di pesce, compresi i contorni.

“Sai Harry? –cominciò mia madre, poggiando i gomiti sul tavolo- Sei davvero un ragazzo carinissimo! Quanti anni hai detto che hai?” “Diciotto e mezzo, signora.” Concluse dopo essere arrossito. “E stai studiando?” “Ecco..veramente ho smesso, ma ero intenzionato a cercarmi un nuovo lavoro. Sa, sua figlia mi stimola molto e devo dire che, mi ha aiutato parecchio.” “Quanto è che vi conoscete?” “Quasi due mesi, mamma.” Dissi io. “E quindi..state insieme?” Intervenne mio padre in tono fermo e serio.
Io ed Harry ci guardammo per qualche secondo, poi mi girai verso mio padre ed annuii un po’ intimorita dalla sua reazione. “Si papà. Ci tengo davvero a lui.” Conclusi prendendogli le mani. Mio padre non mosse un muscolo, e continuò a mangiare indifferente il dolce alla fragola che aveva nel piattino.
Dopo circa dieci minuti, mia madre ci diede il permesso di alzarci e di stare un po’ per conto nostro, così con la scusa, portai Harry al piano di sopra, in corridoio.
“Harry, sei stato fantastico, come ti senti?” “Molto meglio. Tua madre è simpatica. Ora capisco da dove viene tanta bellezza.” Disse accarezzandomi la guancia, per poi baciarmi.
Portai le mani nei suoi ricci sempre soffici e lui spostò le sue verso i miei fianchi e mi appoggiò dolcemente al muro.
“Ho fatto il gentiluomo troppo a lungo, ora ti voglio.” Sussurrò mentre cominciava a baciarmi languidamente il collo, e aprendo il primo bottone della mia camicia. “Harry..non qui.” Dissi ad occhi chiusi, mentre appoggiai la testa contro il muro, abbandonandomi a quelle labbra che tanto bramavo. Alzò la gonna fino alle natiche e prese ad accarezzarmi quest’ultime, scendendo piano piano verso l’interno coscia.
“Harry..” “Si?” “D-devo dirti una cosa.” Balbettai a causa della voglia che cominciava ad impadronirsi anche di me. “Ti ascolto.” Disse senza smettere di baciarmi il collo, il mento, e la scollatura. “Ecco, io..” “Oh, per l’amor del cielo!” Un urlo agghiacciante proveniente da in cima alle scale ci fece voltare spaventati. “Ragazzo, cosa diavolo stai combinando? Allontanati subito da mia figlia!” “No papà, aspetta, non è come sembra!” Mio padre camminò a passi felpati verso di noi e prese Harry per un polso strattonandolo malamente. “Lasciami spiegare, noi..” “Zitta Amber, ho capito tutto quanto! Questo è il ringraziamento per aver accolto un perfetto sconosciuto in casa!”
Serrai gli occhi. Uno schiocco arrivò alle mie orecchie, e vidi Harry con la testa voltata e una mano sulla guancia sinistra. “Papà, che cazzo hai fatto?” Gli corsi incontro con le lacrime agli occhi, e presi il suo viso con entrambe le mani. “Dio Harry, mi dispiace, stai bene?”
Stavolta fui io ad essere strattonata e a ricevere una sberla in pieno viso, facendo correre mia madre accanto a me. “Nick, basta! Non ti sembra di esagerare?” “No, e ora tu, riccio, fuori da casa mia, adesso! E non avvicinarti mai più a mia figlia, intesi?” Andai verso di lui, ma fui bloccata da mio padre che mi prese per un braccio.



HARRY.
La situazione era degenerata all’improvviso e come ciliegina sulla torta, ero riuscito a farmi picchiare anche oggi. Soprattutto oggi.
Non ero adatto per stare in mezzo alla gente. Non meritavo nemmeno un po’ di gentilezza che quella famiglia mi aveva offerto, e che io avevo sottovalutato.
Vidi Amber corrermi incontro, ma subito dopo fu bloccata dal padre ed io rimasi inerme davanti la porta di casa, senza riuscir a spiccicare parola.
Il fiato mi si fermò in gola, mi sentivo soffocare e fui costretto ad allargarmi il colletto della camicia, per essere sicuro di respirare meglio.
La faccia mi andava a fuoco, in parte per lo schiaffo appena preso. Le mani erano sudate, e le contorcevo tra di esse, come se quello poteva aiutarmi.
Avevo rovinato tutto, ancora.
Serena mi venne incontro posandomi una mano sulla spalla. “Credo sia meglio che tu vada ora, Harry.” Guardai la donna avanti a me con occhi supplicanti, sperando leggesse al loro interno tutto ciò che la mia bocca non era stata in grado di trasmettere.
Sapevo che non mi odiava. Lo capivo da come mi parlava.
Era una persona dall’animo gentile, come sua figlia, ma a causa della sua situazione economica e della fama e il rispetto che si erano creati, doveva mantenere un certo equilibrio.
“No Harry, ti prego, non andartene!” Spostai lo sguardo da lei, per evitare di piangere e afferrai la maniglia. “Vai, Harry.” “Si, signora. Buona serata.”
Uscii da quella casa, e passai per il vialetto di marmo. Da dentro si potevano ancora sentire le grida di Amber bloccarsi in quelle quattro mura, e infine un rumore di cocci.
Mi asciugai gli occhi umidi, estrassi le chiavi dalla tasca dei jeans e mi avvicinai alla macchina parcheggiata.



Si, sono ancora quà a rompervi le scatole. e.e
Qualcuna di voi sa come si mettono le immagini alla fine dei capitoli? La vostra Happiness è l'unica impedita che non ci riesce. t.t

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Capitolo 18
*** Capitolo 18. ***


Non ci credo, sto postando! Datemi un pizzicotto! Apparte gli scherzi, sono contenta di aggiornare di nuovo, e inoltre voglio scusarmi per il ritardo ma come vi ho gia detto, il 3 ho l'esame del debito, quindi, ditemi buona fortuna. t.t
Buona notizia: per la nuova FF, sempre sul mio Harold ovviamente, ho scelto la prima trama, quella che avete scelto in molte. Spero di non deludervi. :)
Inoltre, questa storia finirà al prossimo capitolo. Lo so, dispiace anche a me. ç_ç
Grazie di tutto! :3 Happiness.xx


“Papà, ti prego, apri questa porta!”
Continuavo a sferrare pugni contro la porta della mia camera, che mio padre aveva accuratamente chiuso e portato la chiave con sé.
“Papà!” Sentii sbattere violentemente la porta di casa, segno evidente che ora ero sola.
Come poteva mio padre farmi questo, dopo tutte le belle parole e i baci della buonanotte prima di andare a dormire quando ero bambina?
Mi accasciai sul pavimento con la schiena contro il letto e diedi sfogo ancora una volta alle mie lacrime.
Pensavo ad Harry.
Pensavo a dove potesse essere adesso, o peggio, di come potrebbe reagire.
Pensavo a quanto fosse impulsivo e alle sciocchezze che poteva commettere nei momenti di rabbia.
Pensavo a quanto lo amavo.
Perché si, lo amo.
Dopo infiniti momenti di silenzio, presi un bel respiro, e una volta alzata controllai che la voce non mi tremasse più e afferrai il mio cellulare.
“Pronto, Ally?” “Amb! Ciao, come stai?” Sentire la sua voce così allegra mi fece rilassare tremendamente, e solo in quel momento mi accorsi di volerle davvero bene.
“Bene, diciamo. Mi serve il tuo aiuto.” “Oh, va bene. In cosa devo aiutarti?” Chiese con un tocco eccessivo di curiosità. “Tu hai la macchina, giusto?” “Si, perché?” “Devi accompagnarmi da una parte.” “Certo, dove?”


“Allora, adesso dove devo girare?” “A destra, e poi tutto dritto.” Risposi continuando a stuzzicarmi le unghie nervosamente e picchiettandomi sulla gamba. Ero tremendamente nervosa.
“E’ qui?” “Si, si, è qua!” Le diedi appena il tempo di fermarsi che in meno di un secondo ero già fuori dall’auto, verso la porta di casa nostra.
“Harry, Harry, sono io, Amber. Lo so che sei lì dentro, aprimi per favore!” Quando pensai che fosse una buona idea rompere il vetro di una finestra, mi ricordai della copia della chiave sotto il tappetino.
Una volta dentro, i miei occhi sbarrati si soffermarono sulle numerose bottiglie di vetro vuote sul tavolo della cucina e mi portai le mani nei capelli. “Oh no!”
La mano calda di Ally si posò sulla mia spalla, accarezzandola appena. “Ehi, calmati Amb. Scommetto che è in casa, andiamo a controllare di sopra.” “Non ho il coraggio. E se lui..lui..” “Non l’avrà fatto, dai vieni.”
Con il fiato fermo in gola e il cuore al massimo, salii le scale e senza pensarci troppo mi fermai davanti la porta del bagno. Chiusa.
“Harry, sono io. Se sei lì dentro ti prego, rispondimi.”
Nuove lacrime iniziarono a scorrere sulle mie guancie già arrossate e senza che me ne accorgessi, Ally aveva aperto il bagno, scoprendo un Harry inerme appoggiato alla vasca da bagno.
“Harry!” Urlai, forse un po’ troppo forte, ma in quel momento poco mi importava. Nel frattempo Ally era rimasta immobile sull’uscio della porta con una mano sulla bocca per lo spavento.
Mi misi a cavalcioni sulle sue gambe, in modo da poterlo avere di fronte data la sua posizione.
Gli presi il viso terribilmente sudato tra le mani e scostai con un gesto i ricci bagnati da davanti la fronte. Dopo aver fatto questo, istintivamente gli presi i polsi e tirai un sospiro di sollievo nel vedere che non si era tagliato o bucato.
Mi guardai intorno; il pavimento del bagno era cosparso di pasticche di vario tipo.
“Ally, sbrigati, chiama qualcuno!”
Mentre lei scese a fare la telefonata, con un asciugamano bagnato cercai di far riprendere Harry tamponandogli la fronte e le tempie. “Amore, perché continui a farti del male? E’ colpa mia se sei in questo stato, non dovevo portarti a casa mia, perdonami.” Sussurrai a denti stretti nel tentativo di trattenere le lacrime, mentre con mia gioia notai che stava riprendendo un po’ di colorito.


Riaprii gli occhi dopo un lasso di tempo indefinito. Una fitta alla testa mi colpì appena mi mossi quanto bastava per capire che ero sdraiata su un divano. Quel divano. Devo essere svenuta dopo aver cercato di far riprendere Harry, perché di quello che successe dopo non ricordo nulla.
Harry!
Scattai giù dal divano e corsi per le scale salendole a due a due.
Come invasa dal terrore, aprii lentamente al porta della camera di Harry, sperando con tutto il mio cuore di trovarlo lì.
La sua figura giaceva sul letto matrimoniale, con un braccio sopra il viso e l’altro poggiato innocentemente sulla pancia.
Mi morsi il labbro, per evitare di urlare, ma evidentemente il mio respiro in quel momento decisamente irregolare lo fece distrarre e girare verso di me. “Ehi piccola.” “Oddio, Harry! Stai bene!” Urlai gettandomi sul letto quasi sopra a lui che fece un verso di dolore. “Ahi, piano. Mi fa male tutto.” “Scusami. Temevo di non abbracciarti più.” “Non ti libererai facilmente di me, sai?” “Infatti non voglio.” Dissi a fior di labbra per poi baciarlo dolcemente. “E Ally?” Chiesi una volta staccata. “E’ andata via insieme al dottore. A proposito, ha detto che per almeno un paio di giorni devo restare a letto.” “Perfetto! Così posso riempirti di coccole.” Sbottai agitando le braccia. “Vuoi che ti preparo qualcosa?” Chiesi sorridendogli accarezzandogli una gamba. “Un thè caldo se non ti dispiace.” “Torno subito!” Dissi per poi sparire al piano di sotto.
Tornai al piano superiore dopo dieci minuti, trovando Harry seduto contro lo schienale del letto. Mi sorrise ed io gli porsi la tazza fumante. “Allora, cosa volevi dirmi a casa dei tuoi l’altro giorno?” Chiese poggiando la tazza sul comodino al suo fianco.
“Beh, ecco..volevo dirti che, io..io ti am..” Non riuscì a finire la frase che un paio di labbra calde si posarono sulle mie trasportandomi in un lungo bacio che credevo non avesse fine. “E questo?” Gli domandai sorpresa, ancora col fiatone. “So cosa volevi dirmi, ma non credo di essere pronto per sentirmelo dire.” “E perché no?” “Non ho mai provato sentimenti del genere, e mi spaventano.” “C’è sempre una prima volta, no?” “Si, direi di si.” Sussurrò abbassando lo sguardo. “E..adesso sei pronto?” Annuii solamente, sorridendo appena. “Ti amo Harry.” Dissi sentendo lo stomaco contorcersi. “Anche io Amber, anche io."




Vi lascio con la mia OS rossa su Louis. :3 Cotton Candy.

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 - Now my life is better. ***


HARRY.
Era presto quella mattina di fine Aprile. Ultimamente non ero solito ad alzarmi presto, specialmente da quando avevo preso un mese di ferie dal mio lavoro.
Amber dormiva serenamente alla mia destra. Si, dopo tre anni stavamo ancora insieme.
Può sembrare sciocco detto da uno come me, ma dopo tutto quello che lei aveva fatto, non avrei mai avuto il coraggio di lasciarla.
Mi avvicinai a lei per scrutarla meglio, come facevo ogni volta che ne avevo l’occasione. Indossava una mia maglietta, quella blu che le piaceva tanto, e delle semplici culotte. Il lenzuolo bianco la copriva a metà, così cercando di non svegliarla, lo tirai giù completamente, scoprendo lo spettacolo più bello del mondo.
Un rigonfiamento della mia maglia si fece largo sotto i miei occhi, mettendo in mostra la pancia di appena quattro mesi di Amber.
Ricordo come fosse ieri appena me lo disse. Quel giorno ero stato via da mia madre, e al ritorno la trovai seduta sul divano con un’espressione piuttosto sconvolta. Credeva non la prendessi bene, ma invece mi sentii la persona più felice della terra.
Stavamo piano piano organizzando il nostro matrimonio, ma appena saputa la notizia della gravidanza le regalai un bell’anello di brillanti, che ancora si trova sul suo anulare sinistro.
Sorrisi come un bambino a quel ricordo, poi, come ogni mattina, poggiai una mano sulla sua pancia e l’accarezzai per qualche minuto.
Non avevo intenzione di svegliarla, nonostante fossero le nove di mattina. Il pomeriggio prima avevamo avuto una visita e decisi di lasciarla riposare.


Passeggiavo senza una meta precisa ormai da una ventina di minuti. Da quando aspettavamo un bambino non uscivo più spesso come una volta, qualche volta invitavamo Liam a cena, o addirittura a dormire, giusto per avere una faccia amica in giro per casa.
Dopo le nozze pensavamo di andare ai Caraibi, o almeno in un posto di mare; entrambi amavamo la spiaggia.
Mi sentivo un po’ un pesce fuor d’acqua in mezzo a tutta quella situazione: l’abito del matrimonio, gli invitati, il pranzo ed il viaggio. Fortunatamente c’era Ally, vecchia amica di Amber, che avendo capito che razza di imbranato sono, sta organizzando tutto lei.
Delle voci e qualche tonfo misero fine ai miei pensieri. Girai l’angolo ed in lontananza vidi un ragazzo che rincorreva una ragazza poco più bassa di lui. Lasciai perdere, alludendo al fatto che stessero solamente scherzando, ma quando sentii l’ennesimo tonfo, mi voltai ancora e notai la ragazza di prima per terra, mentre il maggiore prendeva a calci il suo zaino. Rabbrividii a quella scena, ripensando ai miei gesti da bullo, ma li misi da parte e corsi verso di loro. Una volta vicino, mi colpì subito il biondo chiaro dei capelli della ragazza, e ciò mi fece pensare che molto probabilmente era straniera, infatti stroppiava qualche parola mentre gridava qualcosa al più grande, che però non capii.
“Cosa succede qua?” Domandai con voce dura, da uomo. “Niente, niente.” Si sbrigò a rispondere il ragazzo mentre cercava di sollevare di peso la giovane. “Alzati puttana!” Gli aveva gridato. “A me non sembra.” “Senti, ciò che stiamo facendo qui non ti riguarda, quindi puoi anche andartene.” A quelle parole, lo strattonai malamente, facendogli mollare subito la presa sulla felpa della biondina e lo afferrai per la maglietta, alzandolo di qualche centimetro da terra. “Primo, non darmi del tue secondo ti consiglio vivamente di lasciar perdere questa poverina prima che io corra dalla polizia.” Il moro deglutì a vuoto, e quando lo misi giù corse via a gambe levate, questo mi fece fare un ghigno di soddisfazione.
Mi abbassai all’altezza della bionda che si trovava ancora a terra con le mani sul viso e le guancie bagnate dalle lacrime.
“Ehi, stai bene?” Non mi rispose, così con molta delicatezza le scostai le mani dalla faccia, ricevendo in cambio un gesto spaventato da parte sua che indietreggiò di poco. “Non voglio spaventarti, tranquilla. Ti ha fatto del male?” Chiesi premuroso.
Per la prima volta aprì gli occhi, lasciandomi decisamente senza fiato per le sue grandi iridi azzurre, in quel momento arrossate per via del pianto. Mi guardò per qualche secondo, poi abbassò le braccia, mostrando il suo naso sanguinante. Mi morsi istintivamente il labbro e feci una smorfia; troppe volte ero stato picchiato senza motivo e mi parve di rispecchiarmi in quella ragazza.
Estrassi dalla tasca posteriore dei jeans un fazzoletto di stoffa e glielo porsi. “Tieni.” Dopo un po’ di indugio lo prese e piano cominciò a tamponarsi il naso. “Come ti chiami?” Chiesi interrompendo il silenzio. “Léonor.” Rispose con voce tremante. “Io sono Harry.” Dissi sorridente per metterla a suo agio. “Come stai adesso?” “Io..s-sto bene, grazie.” Disse con un po’ di difficoltà. Fece per porgermi di nuovo il fazzoletto ma la fermai. “No, tienilo pure. A me non serve.” Lo piegò attentamente e lo infilò nella tasca della felpa, poi accennò un lieve sorriso. “Non sei di qui vero?” “N-no..vengo dalla Russia.” Mi alzai, e tendendole una mano l’aiutai a tirarsi su. “Come mai quel ragazzo ti dava fastidio?” La vidi assumere un’espressione interrogativa, e per facilitarle le cose indicai il suo zaino pieno di pedate. “Oh si..lui ha detto che odia.. gli stranieri.” A quella frase serrai la mascella e strinsi i pugni, fumante di rabbia. “Razzista di merda.” Sussurrai a denti stretti. “Co-come scusa?” “Niente, scusami. Sei da sola? Tua mamma non c’è?” “Mia mamma? Non ho la mamma.” Mi si strinse il cuore nel sentirla, mi faceva così tenerezza quella ragazzina. A guardarla negli occhi, sentii una specie di scossa, come se volessero parlarmi. Più o meno la stessa cosa che era successa con la mia Amber fuori la sia scuola tre anni prima; mi aveva stregato, ma ero troppo orgoglioso per ammetterlo.
Senza dire nulla, si chinò verso lo zaino, e aprendo la zip di una tasca tirò fuori un pezzo di carta spiegazzato e me lo porse. Non capii il motivo di tale gesto, ma quando lo ebbi davanti, cercai di capirne qualcosa. Tra le numerose scritte in neretto l’unica cosa che riuscii a leggere fu il nome di un orfanotrofio a pochi chilometri da qui. “Quanti anni hai?” “Sedici, e tu?” “Ventidue.” Annuì e le restituii il foglio. Lei lo prese e se li rigirò più volte tra le mani, quando involontariamente una lacrima le cadde sullo stesso foglio. Se l’asciugò di corsa, forse sperando che non l’avessi vista.
Mentre si ripuliva i pantaloni dalla polvere, mi balenò in mente un’idea, che sul momento equivaleva ad una vera e propria pazzia. Dalla taschino della giacca, tirai fuori uno dei tanti bigliettini che avevo conservati e glielo diedi. “Cos’è questo?” Chiese assumendo una strana espressione. “Allora, ascoltami bene.” Poggiai entrambe le mani sulle sue spalle, facendo in modo che mi guardasse negli occhi. “Io e la mia ragazza fra tre mesi ci sposiamo e avremo un bambino. Mi farebbe piacere se ci fossi anche tu al matrimonio. Sai, non abbiamo ancora trovato nessuno per portare gli anelli. Vuoi venire?” Le chiesi con un sorriso. Non so cosa mi spinse a farlo, ma quella ragazza mi ispirava fiducia, e da una parte mi ricordava me appena lasciata la scuola. Ero cambiato da quando avevo conosciuto Amber.
Attese un po’, poi con uno scatto me la ritrovai con le braccia al collo, evidentemente aveva capito. “Quindi è un si?” “Si, certo! Grazie mille, Harry! Sei la prima persona che è gentile con me da quando sono qui.” “Figurati.” “Ma come farai, insomma..io..” “Tranquilla, penso a tutto io. Lasciami solo il tuo numero.” Prese un quaderno e su un foglio a quadretti mi scrisse il suo numero. “Allora, ci vediamo!” La lasciai con un bacio sulla guancia e mi avviai a casa. Chissà se Amber si era svegliata.
Durante il tragitto di ritorno non smisi di pensare a cosa mi era appena successo, e mi scappò un sorriso. Avevo fatto una buona azione, dopo molto tempo. Non mi sono mai comportato molto bene in vita mia e sono sicuro che appena saprà di questo, Amber sarà fiera di me.
E’ come se avessi agito per ricambiare dopo le belle cose che ha fatto per me.
Ora so come si è sentita quando ci siamo incontrati quel giorno di tre anni fa.






Oh porca carota! E' davvero finita? çç
Questa storia era diventata parte di me, e devo dire di esserne stata molto soddisfatta. :)
Quello che ho voluto far capire con questo capitolo è come Harry ha cercato di migliorare la vita di quella ragazza, proprio come Amber ha fatto con lui, aiutandolo dalle sue dipendenze.
Volevo ringraziare TUTTE ma dico TUTTE quelle che mi hanno seguita dall'inizio, siete meravigliose, davvero. Le vostre recensioni mi strappano sempre un sorriso. Nonostante questa sia finita, non vi abbandono mica, ma ho gia una FF iniziata da poco, spero di ritrovarvi anche lì. E' sempre su nostro Harold. :3 'Nice to meet you!' Mentre questa è la OS rossa sempre su di lui. I wated for a girl like you.
A presto, Happiness.xx

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