Sinners

di Phenex
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La domenica si va in chiesa! ***
Capitolo 2: *** Ingiustizie all'ordine del giorno. ***
Capitolo 3: *** La stella marina ed il gabbiano. ***
Capitolo 4: *** Disperazioni d'amore. ***
Capitolo 5: *** Gelosia. ***
Capitolo 6: *** Il segreto della famiglia Saviour. ***
Capitolo 7: *** Spettacolo di burattini. ***
Capitolo 8: *** L'assassino e l'eroe. ***
Capitolo 9: *** Ciò che piace ai Sinners. ***
Capitolo 10: *** Sentimenti nascosti. ***



Capitolo 1
*** La domenica si va in chiesa! ***


Quando il bene ed il male si separarono, dando vita due luoghi opposti ed in eterna lotta tra di loro, gli umani cominciarono ad adorare con cerimonie, rituali e alle volte anche sacrifici, le entità che facevano da rappresentati delle due fazioni. Queste entità erano creature superiori ed incomprensibili, belle come angeli ma allo stesso tempo rivoltanti come i peggiori demoni.

Tuttavia, alcune delle entità decisero di non schierarsi ne con il bene ne con il male. Questa loro decisione spinse i maggiori esponenti delle due fazioni a condannarli ad una vita di reclusione nel mondo umano, dove non sarebbero stati in grado neanche di sopravvivere senza il potersi cibare delle emozioni mortali. Le creature non gradirono la punizione a loro inflitta e si scagliarono contro gli innocenti, prendendo possesso dei loro corpi e torturandoli con perfidia, sino ad ucciderli. Dopo innumerevoli e sanguinolente guerre contro le entità superiori del bene e del male, le creature furono sconfitte ed i loro leader, esseri estremamente più forti rispetto ai loro simili, furono imprigionati. Dopo essersi assicurati di aver disperso l'esercito nemico il bene ed il male crearono un clan di umani a cui sarebbe stato affidato il compito di esorcizzare futuri tentativi da parte dei mostri ancora in giro per il mondo di danneggiare la razza umana e di tramandare ciò di generazione in generazione.

 

SINNERS

 

Cap: 01

La domenica si va in chiesa!

 

14 settembre 2005

Ore 8:35

 

Il sole si fece largo nella stanza di Anya. Lei si raggomitolò tra le coperte, nel vano tentativo di far capire alla madre che la domenica è fatta per riposarsi e non per andare in chiesa, un vero peccato che questa non la pensasse allo stesso modo. Dopo qualche minuto Anya fu costretta a tirarsi su dal letto che, in quel momento, avrebbe tanto voluto prendere come marito per passarci l'intera esistenza.

< E' l'ultimo giorno di vacanze estive e non posso neanche rilassarmi? >

Sbottò, intenta a farsi la coda ai suoi lunghi capelli castani con un elastico in procinto di spezzarsi.

< Hai avuto tre mesi per rilassarti, adesso non fare storie e vestiti. Frozen è già pronta e sta aspettando te per fare colazione. >

Rispose la madre, gettando poi una pila di vestiti sul letto della pigra diciottenne. Lei sbuffò ancora, contemplò per qualche secondo il pavimento illuminato dalla luce solare ed infine si vestì con gli abiti che le aveva dato la madre. Qualche minuto dopo, ancora intenta ad abbottonarsi i jeans, entrò in cucina dove sua sorella sedicenne Frozen stava sorseggiando un tè caldo. I suoi corti capelli tinti di colore verde scuro quasi luccicavano sotto il bacio dei raggi del sole che filtravano dalla finestrella sopra di lei, mentre i suoi occhi azzurro chiaro la fissavano con la solita disapprovazione di ogni mattina.

< Ben alzata... >

Sussurrò la sorella minore, poggiando la tazza di tè sulla tovaglietta dove era stata ricamata dalla madre una rosa rossa.

< Vuoi farmi la predica? >

La aggredì Anya, già notevolmente innervosita dall'essersi dovuta alzare così presto.

< Scommetto che la signora perfettina si è alzata alle sette del mattino. >

Aggiunse poi, sedendosi a tavola e spalmando la sua marmellata preferita su una fetta di pane.

< Le sette e mezza... Io non mi alzo ne prima ne dopo... Sono semplicemente puntuale... >

Mugugnò Frozen ripiegando la tovaglietta con la stessa accuratezza che impiegherebbe una madre nel cambiare il pannolino al figlio.

< Ma sta zitta scheletro... >

La ammonì Anya, dando un morso alla sua colazione. Il suo non era un insulto sparato a caso, sua sorella minore era davvero uno scheletro! Infatti, nonostante l'estate fosse appena terminata, ella era pallida come un lenzuolo e se si aggiungeva il fatto che mangiava poco o niente allora si poteva ottenere un vero e proprio scheletro da laboratorio universitario.

Frozen non ribatté, si limitò a fissare la marmellata, giusto per far capire alla sorella che l'avrebbe fatta ingrassare a dismisura.

< .. E poi... Quando capirai che almeno in chiesa ci si deve andare vestiti decentemente?! >

Aggiunse Anya ridacchiando ed indicando con un dito i vestiti di Frozen. Lei era solita a vestirsi con abiti sgargianti e pittoreschi, questa volta si era messa un paio di lunghe calze a righe alternate rosa e rosse che coprivano tutte le gambe, una gonna corta e grigia alla marinaretta ed una t-shirt a maniche lunghe color rosso accesso.

< L'importante è andarci con lo spirito, ciò che tu non fai. >

Rispose quasi sussurrando per poi uscire dalla cucina.

Anya tirò un forte sospiro, prese il telecomando ed accese la televisione dove, come al solito, vi era il notiziario del mattino su tutti i maledetti canali.

 

< Una nuova sparizione si aggiunge alle altre quattro che durante questa estate sono diventate il vero e proprio mistero dell'anno qui a Sea Paradise!

Ancora una volta si tratta di una minorenne, Rebecca Anderson di dodici anni, sembrerebbe che la bambina sia scomparsa durante la notte di ieri mentre si trovava nel cortile di un amico a giocare a nascondino. La polizia già suppone che si tratti dello stesso autore e rassicura la famiglia dicendo che molto probabilmente la scomparsa è ancora viva, visto che degli altri ricercati non sono stati ritrovati i corpi si sospetta che il rapitore non uccida le bambine. Vi terremo aggiornati su ulteriori... >

 

Anya spense la televisione e divorò ciò che restava del suo pasto. Non dava più importanza a quelle notizie visto che era più di un mese che la assillavano ed una nuova sparizione non era una news sufficientemente succulenta per attrarre la sua attenzione. Quando uscì dalla cucina notò la madre e la sorella parlare a bassa voce, per poi interrompersi non appena si accorsero della sua presenza.

< Cosa avete da borbottare voi due santerelle? >

Chiese scherzosamente, tentando di non risultare irritante nei confronti della madre. Angela Saviour era una bella donna di trentotto anni, dai capelli biondi, lisci, non molto lunghi e con un ciuffetto che pendeva dalla frangia verso destra, gli occhi verdi come quelli di Anya ed un corpo che dimostrava meno anni della sua padrona.

< Nulla tesoro, problemi di cuore della tua sorellina! >

Esclamò Angela raggiante, come sempre del resto.

< Allora gli organi li hai anche tu scheletro. >

Commentò Anya ghignando. Tuttavia la sorella non la degnò di uno sguardo, aprì la porta di casa silenziosamente poi, a passi lenti, si avviò verso la macchina.

< Devi smetterla di chiamarla scheletro Anya. >

La ammonì la madre, senza però assumere un tono autoritario e mantenendo la sua innata allegria.

 

 

Ore 8:00.

 

< Un caloroso buongiorno a tutti gli abitanti di Sea Paradise! Nonostante l'estate sia oramai terminata il sole continua a battere nella città marittima e le spiagge sono ancora affollate dai turisti che... >

 

Kane spense la radio e si liberò delle lenzuola che lo stavano soffocando lanciandole a terra. Scese dal letto dopo circa cinque minuti, che utilizzò per capire dove esattamente si trovasse e che giorno fosse. Poco dopo si recò in bagno e fissò per qualche secondo la sua immagine allo specchio. I suoi corti capelli rosso rame erano totalmente scompigliati e bagnati a causa del sudore, i suoi occhi grigi, vuoti e stanchi e la sua bocca secca e disidratata. Con uno sbuffo annoiato si sciacquò la faccia con dell'acqua gelida, si diede una sistemata ai capelli e si vestì come solito faceva nei giorni dove non lavorava: una camicia color blu scuro con le maniche lunghe ed un paio di pantaloni bianchi e piuttosto larghi per le sue magre gambe. Qualche minuto dopo si recò in cucina e si riscaldò nel microonde una delle ciambelle che si era portato dal lavoro la mattina precedente. Mentre attendeva la cottura della colazione accese la televisione, dove ad attenderlo c'era la prima replica del tg mattutino che trattava la sparizione di diverse minori, un caso che aveva sconvolto la cittadina per tutto il periodo estivo.

Kane ascoltò le teorie dei poliziotti della scientifica intervistati ed i resoconti gonfiati dei media, ma lui attendeva solo la suppliche dei genitori dell'ultima scomparsa, perchè a lui piaceva che le persone lo supplicassero. L'intervista al padre della bambina scomparsa la sera prima non tardò ad arrivare, un uomo per niente nel fiore degli anni prese in mano il microfono, prese fiato e parlò.

 

< Mia moglie è distrutta e non vuole lasciare nessuna intervista, parlerò io quindi anche a suo nome. Io prego, anzi scongiuro, l'artefice o gli artefici di queste sparizioni di guardare dentro di se e chiedersi cosa stia o stiano facendo... >

 

L'uomo riprese fiato, sembrava notevolmente sconvolto e questo non poté non far comparire un sorrisetto sulle labbra di Kane.

 

< ...non parliamo di oggetti o di denaro, qui parliamo di bambine, anime innocenti che non meritano qualsiasi cosa gli stia accadendo in questo momento... quindi per favore ridateci la nostra Rebecca, lei non ha colpe... >

 

Il padre non riuscì a continuare, la sua voce iniziò a tremolare sempre di più ed i suoi occhi si sciolsero in lacrime che solcarono il suo viso rugoso ed avvizzito, infine l'intervista terminò. In quell'esatto momento Kane addentò la sua ciambella adornata di zucchero a velo lasciandosi sfuggire una risatina. Vedere il telegiornale durante l'ultima estate lo faceva ridere, questo perchè era buffo pensare a come le investigazioni della polizia, le supposizioni dei media e le idee pessimistiche dei genitori riguardo al destino delle loro figlie non si avvicinassero neanche lontanamente a ciò che lui faceva a quelle così dette "anime innocenti".

Si gustò la sua colazione fissando, come era solito fare, i gabbiani che si libravano liberi nel cielo dal suo terrazzo, poi il suo cellulare squillò riproducendo una tetra melodia. Kane lo ignorò, sapeva già chi c'era dall'altro capo del telefono: una ragazza.

Mentre la tetra melodia condiva lo stupendo volo dei gabbiani, lui colse la triste ironia in cui era coinvolto.

Kane, un ragazzo di ventuno anni molto amato dall'altro sesso perchè carino, dolce e gentile verso di esso. Kane, un ragazzo orfano che ha vissuto all'orfanotrofio fino alla maggiore età. Kane, un ragazzo che ama le bambine, le ama così tanto che non si accontenta solamente del loro corpo, ma incatena anche le loro anime.

 

 

Ore 9:25

 

Anya uscì dalla chiesa dopo che la messa era iniziata da circa quindici minuti. Ella aveva notato che la madre e la sorella la avevano fissata con pieno sguardo di disapprovazione, ma a lei non importava, in quel momento desiderava solo una cosa: fumare.

Si accese la sigaretta ed inalò il fumo con forza tenendo sott'occhio il portone della chiesa per assicurarsi che sua madre non sbucasse a farle la predica vedendo la sigaretta. Ovviamente Anya non chiamava lei e la sorella "santerelle" senza un motivo logico. Queste erano difatti due perfettine quasi insopportabili, in particolar modo Frozen che non perdeva mai l'occasione di torturarla per ogni fottuta cosa che non andava secondo l'etica morale, come il fumo per l'appunto.

< Bene bene... Sembra che qualcuno non sia venuto qui per pregare nostro signore... >

Anya sobbalzò e si voltò di scatto impaurita.

< Haha... Ti ho spaventata? Perdonami! >

Esclamò un ragazzino di quattordici anni dai capelli castani e gli occhi azzurri, con indosso una tuta da ginnastica rossa.

< S..Sì... Pensavo fosse il prete... >

Rispose Anya sforzandosi di sorridere.

< Bé, ci hai quasi preso. Sono il figlio del prete! Ma non preoccuparti, non sono uno spione! >

< Il figlio del... Ma come fai ad essere il figlio del prete? Che ne è del voto di castità e delle altre stronzate? >

Il ragazzino scoppiò a ridere allegramente.

< Non sono il figlio biologico... Semplicemente Padre Josep gestisce anche un centro di accoglienza per persone sfortunate. Ha ospitato mia madre durante il periodo della gravidanza e mi ha fatto da figura paterna per tutta l'infanzia. >

< Capisco... >

Sbottò Anya in tono neutro.

< Comunque piacere! Il mio nome è Zack e tu bella signorina sei? >

< Mi chiamo Anya... Tu non entri a seguire la messa? >

Zack portò lo sguardo verso la chiesa poi scosse la testa accennando un sorriso.

< No, non mi va oggi e poi papà non teme per me! Sa che starò lontano dal peccato! >

Esclamò ridacchiando.

Anya sospirò poi fece due ultimi tiri e gettò la sigaretta ai suoi piedi pestandola.

< E tu? Perché sei qui se non per seguire la messa? >

Chiese Zack mantenendo la sua espressione allegra e spensierata.

< Bé... La solita storia, mia madre mi costringe a venire a messa tutte le domeniche, ma oggi non ce la facevo a sopportarla e sono uscita. >

< Se tu fossi uscita più volte magari ci saremmo conosciuti prima! >

< Tsè... Abbassa la cresta piccoletto, sono già fidanzata. >

< Ma io non intendevo... O lascia stare! >

Zack superò Anya e si sedette sui scalini in pietra della chiesa.

< Come mai non vuoi seguire la messa? Ti annoia? >

Chiese, sgambettando e fissando il cielo.

< Non è che mi annoia... >

Rispose.

< ...Semplicemente mi sembra tutto tempo perso, io non credo in Dio, quindi che senso avrebbe per me mettermi a pregare? >

< Perché non credere in Dio? E' sbagliato! Se non credi in Dio allora come fai a sognare? >

< Si può sognare anche senza credere in Dio. >

Zack ridacchiò di nuovo poi si alzò e si voltò verso Anya.

< Ma tu pensi a Dio solo come chiesa, bibbia e quanto altro è questo il problema! Prova a pensare alle fantasie, alle idee che hai, ai tuoi pensieri! Quello è Dio! >

Anya guardò storto quel ragazzino che sembrava estremamente convinto di ciò che diceva.

< Sai, uno dei motivi per cui non credo in Dio è perchè mio padre è morto tempo fa, perciò scusami ma tentare di farmi cambiare idea è impossibile Zack. >

Disse in tono neutro.

< Oh! Mi spiace. Però sono sicuro che tuo padre ti sta guardando anche in questo momento! >

Anya si sforzò di sorridere a quella ultra risentita frase.

< Parli come mia madre. >

< Allora tua madre dice cose giuste! >

La campana della chiesa suonò ed il portone si aprì riversando anziani, bambini e fedeli vari sulla scalinata. Anya venne raggiunta dalla madre che le afferrò la mano strattonandola.

< Forza tesoro! Se non ci sbrighiamo si crea ingorgo al parcheggio! >

< Arrivo! >

Urlò Anya stressata per poi voltarsi verso Zack.

< Ciao, grazie della compagnia. >

Zack salutò la sua nuova amica con la mano poi sparì in mezzo alla folla.

< E' stato un piacere... Anya. >

< Quel ragazzino... >

Mormorò Angela.

< Mamma? Non dovevamo sbrigarci? Dove è Frozen? >

Angela scosse la testa, come se si fosse addormentata improvvisamente.

< Non lo so, ci siamo perse nella confusione, comunque ci aspetta alla macchina. >

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Capitolo 2
*** Ingiustizie all'ordine del giorno. ***


Cap: 02

Ingiustizie all'ordine del giorno.

 

14 settembre 2005

Ore 10:23

 

Alla piccola centrale di polizia di Sea Paradise c'era più lavoro di quanto i suoi abitanti potessero immaginare. Quella cittadella era come i cartelloni pubblicitari dei fast food che mostravano simmetrici e lucenti panini ripieni di ogni ben di Dio. Insomma, Sea Paradise era bella solo dalla prospettiva dei turisti che ogni dannata estate se ne andavano lamentandosi di non poter restare in eterno. Se solo questi avessero potuto vedere che quel succulento panino, se preso in mano, avrebbe cominciato a colare salse dalla dubbia provenienza e ad ungersi di grasso come la catena di una bici, allora magari gli sarebbe passata la voglia persino di trascorrere una sola settimana in quella città.

Elay Stans, la poliziotta di turno alla centrale, accartocciò il foglio che confermava il rilascio dei probabili artefici della rissa avvenuta in un bar la sera prima e lo lanciò verso il cestino effettuando un perfetto canestro.

< Dannazione. >

Bofonchiò, poggiando i gomiti sulla scrivania e chinando la testa. I suoi lunghi capelli neri le scivolarono sul viso, per poi andare ad accarezzare le scartoffie sotto di lei, ed i suoi occhi castani si chiusero per tentare di reprimere emozioni per nulla pacifiche. Per lei recentemente fare quello che faceva era diventato una tortura. Si era sempre pensata come colei che avrebbe risolto i problemi delle persone e che avrebbe punito i cattivi, sempre così, sin da quando era bambina. Tuttavia la realtà era differente da come poteva immaginarsela una bambina.

Ancora una volta, lo stesso uomo, lo stesso colpevole, era stato rilasciato. Si trattava di Brutus Allen, un ragazzo sui venticinque anni che recentemente si divertiva a pestare chiunque avesse anche solo la sfortuna di pestargli l'ombra.

< Elay, non disperare. >

Disse in tono consolatore e forse un po forzato Justin, il suo collega, porgendogli una tazza di caffè.

Dolce Justin Ross, il miglior compagno che una poliziotta potesse avere, per niente maschilista, sensibile e per nulla soggetto a battute riguardanti i genitali, insomma in quella squadra la parte dell'uomo la faceva Elay.

< La fai facile tu. >

Puntualizzò lei prendendo un sorso di caffè bollente.

< Sono stufa di dover andare a sbatterlo in cella la notte per poi tirarlo fuori il mattino successivo, è una cosa insopportabile che non riesco a tollerare, ne personalmente, ne professionalmente. >

Justin sospirò, ogni volta che quel Brutus finiva in cella il giorno dopo Elay era depressa e non poteva certo dargli torto, in fin dei conti nonostante il suo fisico mingherlino e la sua indole pacifica anche lui era un poliziotto di Sea Paradise. Poggiò una mano sulla spalla della collega e sorrise amichevolmente.

< Sai che ti dico? Adesso vai a liberarlo, poi andiamo insieme a Burger4Life e ti prendi uno di quei panini ripieni di chissà cosa. >

< Non possiamo lasciare lo studio prima della pausa pranzo. >

< Bé, diremo che la abbiamo anticipata, suvvia non essere così fiscale. >

Elay sospirò, prese un altro sorso di caffè e si alzò dalla scrivania incamminandosi verso la stanza detenzioni.

< Ovviamente, me lo paghi tu. Io spendo già troppo a mettere nel mio corpo quella roba. >

Disse infine, chiudendo poi la porta alle sue spalle. Justin rimase da solo nella stanza e per un momento la sua memoria materializzò il suo primo giorno di lavoro nella centrale. Quel giorno era stato trattato come un coglione da tutti e gli era stato detto di abbandonare quel mestiere perchè non era per niente adatto a lui. Come dare torto alle voci di mille colleghi? In fin dei conti non sbagliavano, lui non sapeva imporsi ad un rissaiolo neanche con la pistola tra le mani, però l'incontro con la sua futura partner lo convinse a restare. Elay si dimostrò subito un maschiaccio e priva di femminilità, però questo fece capire a Justin che una come lei aveva bisogno di un tipo sentimentale e dolce come lui nei momenti difficili, perchè era forte nel corpo, ma non nell'anima.

Ricordò anche il commento di uno dei suoi colleghi alla fine della giornata.

 

< E bravo novellino, sai quando passa Elay la bussola di tutti i poliziotti della stazione punta a nord! Hahaha! Mi raccomando non farti licenziare prima di fartela! >

 

< Che testa di cazzo...>

Commentò in un sussurro Justin mentre sbirciava su internet le teorie riguardo alle sparizioni dei minori che stavano dando grosse grane a lui e a tutta la polizia investigativa.

 

 

Ore 10: 35

 

 

Brutus se ne stava disteso sul lettino della cella a fissare le crepe e le ragnatele sul soffitto. Era un ragazzo alto, circa un metro e novanta, con un fisico muscoloso e robusto, i capelli molto corti e biondi, gli occhi neri e con un vistoso pizzetto sul mento. In quel momento stava contando i secondi che lo separavano dall'uscire di cella assieme agli altri quattro ragazzi pieni di graffi e di lividi rinchiusi assieme a lui. Ora mai aveva perso il conto delle volte che si era disteso su quel lettino sporco e maleodorante, sei? O magari sette volte, chi lo sa. Fatto stava che almeno per una notte evitava di sentire le urla di quella stronza, quella zoccola, quella bastarda di sua madre.

< Ehehe... Eccola qua miss legge 2005 >

Commentò Brutus vedendo entrare Elay dalla porta di ingresso. Lei fece finta di non sentire i commenti di quel fetido gorilla poi si rivolse verso uno dei guardiani seduti sulla sedia a leggersi una rivista di automobilismo.

< Hanno avuto il permesso di rilascio... >

< ...Ancora ehehe. >

Aggiunse Brutus ridacchiando. Lei lo ignorò ancora e dopo aver preso le chiavi del guardiano aprì la porta della cella. I sospettati uscirono uno per uno in silenzio, un silenzio che irritava Elay allorché era la prova che loro avessero solo reagito alle provocazioni di Brutus, che in quel momento non accennava ad alzarsi dal lettino su cui ora mai vi era l'impronta del suo fondo schiena.

< Sei libero, non esci? >

Chiese Elay senza però portare lo sguardo verso il gigante.

< Lascia la porta aperta tesoro, quando mi peserà lievemente meno il culo allora me ne andrò. >

Elay si morse involontariamente il labbro. In quel momento desiderava profondamente estrarre dalla fiocina la 9mm e piantare un proiettile nella testa di quel bastardo che si divertiva a farsi scudo della parola "rissa" che in campo di legge significava "nessun colpevole".

< Muoviti, non posso andarmene senza che tutti i detenuti abbiano lasciato la cella. >

Ordinò Elay.

< Allora... Perché non fai uscire quei due coglioni dei guardiani e poi porti le tue belle chiappe qui? Potrebbe piacerti chissà. >

A quelle parole Elay portò, senza neanche accorgersene, la mano alla pistola. I guardiani si accorsero del problema, si alzarono all'unisono, entrarono nella cella e tirarono fuori Brutus con la forza. Questo non reagì e si lasciò scortare fuori dalla stazione di polizia senza emettere un fiato, limitandosi a lanciare un' occhiata ad Elay, come se volesse dirgli "Ci vediamo presto."

I due poliziotti sbatterono la porta alle spalle di Brutus che li mandò a fanculo sollevando il dito medio. Ancora una volta era libero, se così si poteva dire. In realtà Brutus avrebbe preferito rimanere in carcere per certi versi, però doveva ammettere che senza la possibilità di sfogarsi su quei poveri coglioni che durante la notte andavano a bere e fingevano di essere ubriachi per fare gli idioti con gli amici la sua vita sarebbe stata alquanto monotona. Il nerboruto ragazzo si incamminò lungo la strada di casa lanciando, molto spesso, delle occhiatacce verso i gruppi di turisti che gli passavano accanto. Le sue mani prudevano, il sole negli occhi ed il suono delle voci umane lo facevano innervosire a tal punto che avrebbe voluto far scattare una nuova rissa in quel momento. Distrattamente, mentre tentava di sopprimere la sua aggressività, si scontrò con una ragazza appena scesa da un'auto facendole perdere l'equilibrio.

< O cazzo... Guarda un po dove vai! >

Lo ammonì Anya mentre tentava di non crollare a terra dopo l'urto appena avvenuto. Lui sospirò, pensando che se si fosse trattato di un individuo del sesso opposto avrebbe potuto riempirlo di botte senza farsi troppi problemi, proprio lì, all'entrata del fast food Burger4Life.

< Anya! Ti sembra il modo di rivolgersi agli altri? >

La sgridò Angela poco dopo essere uscita dal posto di guida della vettura ed essersi avvicinata alla figlia.

< La scusi mia figlia è una ragazza un po scorbutica ma non voleva offenderla! >

Esclamò poi sorridente verso Brutus che la fissò intensamente negli occhi senza risponderle. Ovviamente i primi pensieri di chiunque sarebbero slittati verso un richiamo sessuale verso una donna così bella nonostante l'età, ma non era quello il motivo del momentaneo silenzio di Brutus.

< Ma è stato lui a venirmi addosso! >

Sbraitò ancora Anya ad alta voce, risvegliando così il gigante rissaiolo dal suo breve momento di trance. Egli scosse la testa e portò lo sguardo prima verso Anya, poi verso Frozen, che era appena uscita dalla macchina ignorando completamente il litigio della sorella, ed infine lo riportò verso Angela.

< Si figuri... E' tutto apposto. State andando dal Burger4Life? >

Chiese infine, con una voce timida ed insicura che non sembrava minimamente appartenergli.

Angela lo scrutò dubbiosa per qualche secondo poi gli sorrise.

< Già, devo farmi perdonare da questa peste per averla costretta a venire in chiesa l'ultimo giorno di vacanza. >

Rispose, accarezzando la testa della figlia ancora imbronciata per l'accaduto ed innervosita da come era iniziata la giornata.

< Capisco, buon appetito allora. >

Rispose Brutus, accennando un sorriso che, come la voce, sembrava avesse rubato a qualcun altro.

< Brutus, non sei ancora tornato a casa? >

Lo fulminò poi una voce alle sue spalle, una voce che conosceva più che bene.

< Justin! Elay! Ciao! >

Esclamò Angela salutando i due amici. Justin ricambiò il saluto, ma Elay rimase seria e si portò tra la sua amica di infanzia ed il tipo che aveva appena fatto uscire di prigione.

< Non ho sentito una risposta. >

Brutus ghignò alla poliziotta per poi fare due passi verso di lei. Quando la superò si bloccò un secondo e sussurrò qualcosa che Elay riuscì a comprendere a malapena, poi si incamminò salutando con la mano Angela, che nonostante la situazione ricambiò il saluto sorridendo.

< Stai lontana da quel tipo. >

Le ordinò poi in tono autoritario Elay. Lei annuì senza chiedere nulla, se Elay diceva che in quella persona c'era qualcosa che non andava allora ci si poteva solo fidare delle sue parole, in fin dei conti faceva bene il suo lavoro.

< Anya, Frozen! Che bello vedervi! Anche voi pranzo anticipato? >

Chiese poi la poliziotta abbandonando la sua rigida e professionale posizione. Le due sorelle si limitarono ad annuire imitando la madre, poi calò un silenzio quasi imbarazzante che fu spezzato da Justin.

< Forza! Che aspettiamo? Stiamo qui a guardare i poster dei panini oppure entriamo? >

Esclamò l'uomo raggiante, portando il braccio destro sul collo della collega per poi costringerla ad incamminarsi dentro il fast-food.

< Magari... >

Borbottò Frozen.

< Magari almeno qui... riusciremo a parlare con zia Elay senza cadere in quella discussione... >

Aggiunse superando la madre e la sorella.

Angela per un secondo abbandonò la sua espressione allegra e tirò un forte sospiro. Elay era una sua cara amica e si conoscevano sin da quando andavano alle elementari, tuttavia diversi anni prima il loro rapporto si era danneggiato. La colpa non fu di nessuna delle due, semplicemente quando la tua migliore amica tiene le redini del caso sulla morte di tuo marito, non che padre dei tuoi figli, le discussioni continuano sempre a ricadere su quel tragico fatto di quattordici anni prima che sconvolse l'intera cittadella.

< Tutto apposto mamma? >

Chiese Anya mettendo da parte la sua rabbia mattutina.

< Si tesoro, tranquilla... Dai andiamo. >

 

 

Ore 10:38

 

 

La soffitta era come un forno crematorio avvolto dalle tenebre. Gli scatoloni puzzavano di muffa e di marcio, mentre ciò che stava al loro interno faceva ancora più rivoltare lo stomaco. Dei fili trasparenti collegavano varie travi le une alle altre e su questi vi erano tanti stracci penzolanti e sporchi, stracci piccoli e dai colori sgargianti che potevano essere appartenuti solo a dei bambini.

Rebecca Anderson, dodici anni, capelli castani, occhi nocciola ed il visino di un angelo, se ne stava rannicchiata in un angolo di quella tetra ed oscura sauna puzzolente di marcio e di paura. Le lacrime continuavano a scendere dalle sue morbide guancette da bimba, mentre il suo collo si contraeva in balia dei singhiozzi e dei gemiti, un rivolo di sangue scivolava giù dalla sua fronte dolente che le ricordava di non permettersi di urlare o di chiamare aiuto. La bambina sentiva ancora dolore al bacino e alle gambe e nella sua testa continuava a sentire la risata di quell'uomo dai capelli scarlatti e gli occhi grigi come le nuvole di un cielo in tempesta, che l'aveva presa durante la notte per poi approfittare di lei, della sua innocenza e della sua paura.

Stava giocando a nascondino la sera precedente. Si era nascosta dietro un cespuglio e scrutava soddisfatta l'amico che la cercava in ogni dove senza successo. Una voce alle sue spalle l'aveva fatta sobbalzare e pietrificare dal terrore.

< Vieni qui.. Aiutami... >

Diceva quella flebile e debole voce femminile proveniente dal cespuglio dietro di lei.

Lei era armata di buone intenzioni e di tanto amore, perchè come le aveva insegnato la madre: si doveva sempre seguire il proprio cuore. Si era avvicinata alla fonte di quel richiamo che continuava a ripetersi in tono sempre più straziato e, una volta scostati i cespugli, aveva visto il volto di una bambina della sua età. Un angioletto dalla pelle bianca come la neve, gli occhi privi di luce, i capelli scompigliati e le labbra violacee.

< Aiutami... Sono tanto sola, gioca con me, per favore. >

La pregò, fissandola con i suoi occhi dilatati e morti. Rebecca non si era mai sentita tanto impaurita come in quel momento e la situazione peggiorò quando la cadaverica bimba allungò le mani verso di lei mostrando un grosso catenaccio rosso sul petto che le avvinghiava la carne perforandola e facendola sanguinare.

< Vieni con noi, vogliamo giocare con te. >

Quelle furono le ultime parole che Rebecca sentì, poi il nulla. Quando i suoi occhi si riaprirono vide solo lui, quell'uomo dai capelli di fiamme ardenti che la picchiava e la costringeva a stare ferma per fare del suo corpo ciò che voleva per tutta la notte.

La botola della soffitta finalmente si aprì, facendo entrare la luce solare che diradò le tenebre come se fossero tanti demoni spauriti, poi lui vi entrò all'interno. I suoi capelli erano perfettamente in ordine questa volta e non ricordavano più le fiamme dell'inferno che Rebecca aveva visto la sera prima, persino il suo volto sembrava essere in qualche modo cambiato.

< Rebecca...? >

Mormorò Kane, tastando l'oscurità con le mani e avvicinandosi verso la bambina impaurita e paralizzata con la faccia sulle ginocchia.

< ... Non avere paura, lui se ne è andato, ci siamo solo io e te qui ora... >

Disse, tentando di rassicurarla mentre si lasciava cadere in ginocchio di fronte a lei, per poi allargare le braccia come se volesse stringerla.

< Vieni qui Rebecca, vuoi giocare a nascondino? Non avere paura, nessuno ti farà più del male... Kane se ne è andato ... Per favore Rebecca ... >

La voce del ragazzo cominciò ad alterarsi diventando più acuta e femminile.

< ... Non vuoi giocare con me? Mi chiamo Giulia, non ti ricordi?>

Rebecca nell'udire la voce della tetra bambina che aveva visto prima dell'inizio di quell'incubo sollevò lo sguardo verso il suo carnefice.

< ... Siamo in quattro qua e ci divertiamo un mondo. Sta tranquilla, Kane non ti toccherà mai più.>

Aggiunse, Kane avvolgendo la bambina in un abbraccio, stringendola forte contro il suo petto. In quel momento Rebecca smise di piangere e sentì un insolito calore, simile a quello che provava quando si rifugiava in mezzo al papà e alla mamma, ma molto più intenso. I suoi occhi si fecero pesanti, cominciarono a bruciare, così fu costretta a chiuderli e in quel momento vide Giulia intenta a fissare una coetanea che saltava una lunga catena rossa fatta roteare da altre due bambine. Intorno a loro tutto era fatto di stelle, nuvole e cielo, sembrava di essere finiti nel tanto agoniato paradiso. Le bambine ridevano ed erano felici, nonostante il loro aspetto cadaverico e macabro. A Rebecca sembrava tutto così irreale, tentò di allungare le mani verso Giulia che in quel momento si era voltata verso di lei e a sua volta le aveva teso il braccio.

< Vieni... Giochiamo insieme... Vogliamo tutte giocare con te... >

E quelle, per la seconda volta, furono le ultime parole che Rebecca poté udire. Il seguito fu soltanto il buio e le catene. Tante catene scarlatte che le entravano nella pelle per poi strozzarle il cuore.

Kane si rimise in piedi, di fronte a lui il nulla.

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Capitolo 3
*** La stella marina ed il gabbiano. ***


Cap: 03

La stella marina ed il gabbiano.

 

14 settembre 2005

Ore 10:45

 

Brutus era tornato a casa. Aveva trovato la porta aperta, completamente spalancata. Un tempo la paura che qualcuno potesse entrare in casa lo paralizzava al solo pensiero, una paura che però morì una volta che quel corpulento ragazzo si rese conto che le persone avevano paura della sua imponenza fisica.

La cucina era in disordine. Le stoviglie ammassate nel lavandino, incrostate e sporche. Il frigorifero era vuoto, così come tutto il resto degli scaffali. In quella piccola abitazione su una delle spiagge gratuite di Sea Paradise si poteva sentire vivamente l'odore della disperazione e del dolore.

Brutus entrò in bagno e fissò il suo volto riflesso sullo specchio, sino a perdersi all'interno della sua stessa espressione sfiancata dalla rabbia, dall'assenza paterna e dall'odio verso il prossimo. La pelle del suo riflesso cominciò a sgretolarsi lentamente, come se fosse stata infettata da una malattia mortale. I brandelli di carne cominciarono a scivolare lungo i muscoli per poi andare a spalmarsi sul lavandino, trasformando così il volto di un ragazzo in quello di un lebbroso sporco e maleodorante. Sui muscoli cominciarono a crescere delle bolle di carne che, una volta maturate, cadevano assieme ai loro simili. Il ragazzo fissò la sua immagine deteriorare fino a che non diventò una sorta di massa tumorale che si gonfiava a sgonfiava ad ogni singolo respiro.

< Ancora... >

Mormorò la vomitevole creatura dall'altro lato dello specchio con voce ansimante e moribonda.

< Ancora, ne voglio ancora. >

Ripeté con foga più e più volte. Brutus sapeva cosa volesse quel mostro, questo perchè avevano i stessi bisogni. Entrambi volevano la violenza. E la violenza sarebbe arrivata molto presto.

La porta del bagno si aprì ed una donna bassa, sulla cinquantina, con i capelli spettinati ed il volto stressato ed adirato vi entrò all'interno.

< Sei tornato brutto aborto... >

Mugugnò la donna, accendendosi una sigaretta. Sulle sue braccia, scoperte dalla vestaglia da notte, i segni evidenti di molteplici punture.

< Sì... Mamma... >

Rispose Brutus, in tono sottomesso e fedele. La donna si fece uscire il fumo dalle narici, poi con aria disgustata si imbronciò avvicinandosi al figlio.

< Ti hanno pagato. Vai a prendermi la roba, schifoso gorilla ... Muovi il culo fa almeno quello. >

Disse lei, lanciando severe occhiate verso le condizioni igieniche del bagno, per poi mormorare una serie di insulti verso l'energumeno che era nato dal suo grembo.

Brutus non rispose, fece semplicemente segno di sì con la testa, china come quella di un cane. Ovviamente, non aveva i soldi per prendere alla madre la droga, visto che a causa delle sue risse era stato licenziato dal cantiere dove lavorava. Tuttavia per lui i soldi non erano più stati un problema da quando la massa di carne informe nello specchio era entrata a far parte della sua vita. Perché continuasse ad eseguire gli ordini della madre come un cane? Lei era una zoccola, una stronza, una bastarda, un cagna, ma nonostante questo lei era anche la sua adorata mamma, l'unica che possedeva. Sarebbe andato nei vicoli dello spaccio e si sarebbe preso quello che voleva, in fin dei conti i trafficanti non avrebbero certamente potuto denunciarlo alla polizia.

 

Ore 11:10

 

< Frozen, tesoro, non hai mangiato nulla. >

Osservò Angela, finendo la sua porzione di patatine fritte. Certo, non era una novità che la sua secondogenita si rifiutasse di mangiare, ma solo il semplice fatto di farlo notare ogni tanto la faceva sentire più competente come genitore.

< Uhm... Mangerei volentieri una Sea Pie... >

Mugugnò Frozen, fissando il tavolo per evitare lo sguardo della madre. Si sentiva sempre in imbarazzo quando tutti mangiavano e lei se ne stava in disparte.

< Mangi solo quei dolci scheletro. E comunque è domenica, le pasticcerie sono chiuse. >

Disse Anya dopo aver dato l'ultimo morso al suo panino.

< Chi lo sa... La fiera c'è ancora, li sicuramente ci sono delle Sea Pie in vendita ai turisti. >

La corresse Justin, sorridendo a Frozen. Le Sea Pie erano dei dolci caratteristici della zona. Si trattava di grossi biscotti a forma di stella marina riempiti con cioccolato e crema.

Angela sospirò e porse alla figlia una banconota da cinque dollari.

< Me ne servono solo due mamma ... >

< Lo so tesoro che sei onesta, ma non fai nulla di male a prendere soldi da me. >

< Le Sea Pie costano solo due dollari... >

Insistette Frozen. La madre rimise i soldi nel portafoglio e diede alla figlia i due dollari necessari per l'acquisto del dolce. Lei si alzò da tavola, prese il denaro e salutò Elay e Justin per poi uscire dal fast-food.

< Io esco con Dylan, e accetto anche banconote di valore superiore ai cinque dollari. >

Commentò ,Anya ghignando.

< Dovresti essere più gentile nei riguardi di tua sorella, non è affare mio è vero, ma chiamarla scheletro è offensivo ... A me sembra una ragazza educata. >

La incalzò, Justin in tono neutro, suscitando l'attenzione di Elay che già sapeva cosa sarebbe uscito dalla bocca dell'amica Angela.

< Ahaha... Bé, Anya ha lo stesso carattere di suo padre. >

Disse Angela, sorridendo a Justin. Questo si accorse di aver tirato involontariamente in ballo un movente per far finire quel pranzo nel peggiore dei modi e lanciò alla collega uno sguardo da cerbiatto in segno di ammenda.

< Allora? I miei soldi? >

Sbottò Anya innervosita, alzandosi poi dal tavolo. Angela accarezzò la testa della figlia e le porse quindici dollari.

< Mi raccomando, sai cosa penso di quel Dylan. >

Disse Angela, sorridendo. Anya sbuffò e salutò Justin ed Elay con un cenno della mano mentre usciva dalla porta di servizio.

< Sono due splendide ragazze, hai fatto un buon lavoro che ti dicevo? >

Disse Elay all'amica.

< Già, Anya sembra maleducata e scontrosa ma è più dolce di quello che sembra... Sono felice che possano essere così spensierate nonostante ... >

Angela si bloccò per un secondo, incrociando lo sguardo della poliziotta.

< Angela, ascoltami adesso ... Judas, tuo marito, è il secondo indiziato per quella orribile strage di bambini alla scuola elementare di Sea Paradise.. Voglio dirtelo chiaro e tondo, devi smetterla di parlarne solo ed esclusivamente con me sperando che, magari, io abbia una sorta di soluzione al caso. >

La ammonì Elay in tono brusco e deciso. Angela abbandonò il suo sorriso e chinò la testa.

< I bambini sopravvissuti hanno testimoniato non è così? >

< Si Angela, lo sai benissimo cosa hanno detto. >

< Ripetimelo allora. >

< ... Un mostro ha cominciato ad inseguire i bambini ed a divorarli. >

< Che motivo avrebbero di mentire? >

< Non esistono i mostri Angela. Esistono solo persone talmente orribili da farci credere nell'esistenza di creature terrificanti. >

Concluse Elay, alzandosi da tavola per poi avviarsi verso l'uscita.

< Perdonala Angela, è una giornata no... >

La giustificò Justin preparandosi a seguire la collega.

 

 

Ore 11:45

 

Frozen aveva raggiunto il centro città in circa una quindicina di minuti. La sorella l'aveva insultata con una linguaccia dal finestrino di autobus che le era passato accanto, ma non le era importato molto visto che a lei piaceva passeggiare più di qualsiasi altra cosa al mondo. Poco dopo essere riuscita a fare la fila per le bancherelle dei dolci aveva ottenuto la sua Sea Pie, ma non intendeva ancora mangiarsela, avrebbe aspettato di raggiungere quello che lei chiamava "il mare della rabbia". Questo non era altro che la scogliera di una spiaggia gratuita, dove praticamente nessuno alloggiava dalla fine delle vacanze sino al ritorno dell'estate. Frozen adorava quel posto perchè poteva liberare la sua rabbia, che teneva reclusa, per evitare di litigare con fin troppe persone, in particolar modo con sua sorella Anya.

Stava quasi per raggiungere il mare della rabbia quando una voce, che lei purtroppo conosceva da qualche anno, la costrinse a fermarsi e ad alzare lo sguardo.

< Guardate un po chi c'è? La verginella fantasma! >

Esclamò Karen, generando le risa delle amiche. Karen era una compagna di classe di Frozen che si divertiva a torturarla ogni volta che ne aveva la possibilità. Si trattava del classico tipo di ragazza che vuole essere la prima in qualsiasi cosa, la beniamina degli alunni, che prende sempre buoni voti, che non è più vergine, che ha un corpo perfetto e che risulta inevitabilmente una stronza se attacca briga con qualcuno con almeno due neuroni in funzione. La ragazza fissò Frozen con i suoi grandi e splendidi occhi azzurri, poi si scosto i lunghi capelli neri, perfettamente piastrati, con la mano.

< Allora? Non saluti le tue care compagne? >

Disse, avvicinandosi a Frozen per poi colpirla con il dito medio sulla fronte, facendole scattare la testa all'indietro.

< Trovato qualcuno disposto a mettertelo dentro durante l'estate scheletro? So che i disperati si radunano spesso nelle spiagge! >

Aggiunse.

< Ma Karen, tesoro, c'è un limite alla disperazione suvvia! >

Disse una delle amiche. Frozen rimase in silenzio, senza neanche alzare lo sguardo, era abituata ad essere trattata come uno zerbino da quel gruppetto di scimmie.

< Hey... >

Karen le afferrò i capelli costringendola ad alzare gli occhi per fissarla.

< ... Guardami quando ti parlo scheletro! Non fare la vittima come sempre, non serve, non fai pena a nessuno in questa città e lo sai... mi stupisco che non vi siate trasferite dopo che tuo padre ha dato di matto... >

Frozen strinse involontariamente il pugno per la rabbia. Detestava sentir parlare male del padre, ma non poteva certo mettersi contro Karen. Quella ragazza era perfetta e se le avesse mollato uno schiaffo molto probabilmente tutti avrebbero detto che una principessa come Karen non si sarebbe mai meritata una violenza del genere. Tuttavia nulla le vietava di dare fiato alle corde vocali.

< Tu invece sei riuscita a fare pena a qualcuno... >

Mormorò con un filo di voce.

< ... Kane, quando sbavavi per lui, ti ha detto che gli facevi pena, ricordi? >

Karen rimase ammutolita. L'anno precedente, come tutte le ragazze della scuola, si era presa una cotta per Kane, uno studente dell'ultimo anno. Lui la trattava come una regina, era un ragazzo dolcissimo e molto carino, tuttavia non era intenzionato ad impegnarsi con nessuno e questo aveva creato una grossa ferita in lei, che solitamente otteneva sempre tutto quello che voleva.

< Brutta figlia di un assassino... >

Karen colpì Frozen in pieno volto con uno schiaffo. Lei barcollò facendo cadere a terra la Sea Pie che si spalmò sull'asfalto.

< ... Come cazzo ti permetti di parlarmi così? Devi vergognarti di esistere mi hai capito!? Doveva ammazzarti tuo padre come ha fatto con tutti quei bambini! Sei figlia di un mostro vaffanculo! >

Frozen venne afferrata per la maglietta dalla ragazza che, in preda all'ira, la colpì con un pugno sulla testa facendola cadere a terra. Alcuni passanti si fermarono a fissare la scena un pp incerti sul da farsi. Le amiche di Karen rimasero in silenzio, avevano smesso di ridere dal momento in cui Frozen aveva menzionato il nome di Kane, discussione tabù per l'intera scuola.

Karen costrinse Frozen a mettersi in piedi, per poi spingerla nuovamente a terra. Afferrò un sasso dal suolo e si avvicinò per usarlo come arma. Questo bastò a convincere qualche passante ad intromettersi, ma il primo colpo della ragazza stava per scagliarsi su Frozen che altro non poté fare se non chiudere gli occhi in attesa dell'urto.

< Falla finita. >

Disse Kane, dopo aver bloccato la mano della sua vecchia compagna di scuola. Karen si voltò di scatto e, alla vista di Kane, si fece piccola come un gattino, facendo poi cadere la pietra che aveva raccolto.

< K... Kane... >

Mormorò lei, fissando gli occhi grigi ed arrabbiati del ragazzo che la ignorò totalmente, per poi chinarsi su Frozen.

< Tutto apposto? >

Chiese, controllando il viso di lei che sembrava piuttosto sorpresa di fronte all'accaduto.

< Io.. Sì ... >

Rispose Frozen, alzandosi in piedi con ancora il sangue congelato nelle vene per la paura.

< Kane... Ti ho chiamato stamattina, perchè non mi hai risposto? >

Chiese Karen, sfoggiando il suo falso sorriso e facendo come se nulla fosse successo.

< Levati di torno Karen. >

Rispose Kane, senza neanche degnare la vecchia amica di uno sguardo. Lei digrignò i denti nel vedere Frozen aiutata dall'uomo che amava, si voltò e superò le amiche imprecando e queste, come bravi cani da compagnia, la seguirono.

< Ho detto che sto bene... Tranquillo ... Io ... >

Frozen non riusciva a parlare decentemente. Anche lei, come molte, non rimaneva indifferente di fronte a quel ragazzo tanto dolce quanto carino. Certo, non si era mai permessa di parlargli, visto che sapeva che Karen avrebbe aggredito chiunque avesse avuto la spavalderia di avvicinarvisi, tuttavia non poteva negare che si emozionava anche al solo parlarci.

< Cosa hai detto per fare incazzare quell'arpia? Non dirmi che si trattava del taglio dei capelli... >

Commentò Kane sorridendo. Frozen rimase interdetta, non poteva certamente dirgli che era stato lui il motivo scatenante del litigio.

< Ah... Guarda qua... Si è totalmente rovinata... >

Disse il ragazzo fissando la Sea Pie spiaccicata a terra.

< Oh... Non importa... Non avevo fame era solo una voglia ... >

In quel momento lo stomaco di Frozen mugugnò in modo alquanto rumoroso. Lei arrossì ed abbassò lo sguardo, rimpiangendo di non aver mangiato da Burger4Life per evitare quella figuraccia.

< No, la tua pancia ti contraddice ... ehm ... Scusa, come ti chiami? >

Chiese Kane, mentre tentava di gettare i pezzetti della Sea Pie nel cestino.

< Io? Mi... Io ... Frozen! >

Esclamò ad alta voce. Kane la fissò incredulo poi sorrise.

< Ok... Non intendevo certo negarlo... >

< Ehm ... >

Frozen non sapeva cosa dire, di per se non era una campionessa nei dialoghi, ma quella era una situazione estremamente particolare. Il ragazzo si avvicinò a lei, poi estrasse dalle tasche dei candidi pantaloni il suo portafogli.

< Dai, te ne prendo un' altra. >

Disse continuando a sorriderle. Lei sobbalzò ed incrociò nuovamente quegli stupendi occhi grigi che la imbarazzarono ancora di più.

< N...No! Cioè... Non importa, non devi... >

< Infatti non devo...>

Replicò lui.

< ...voglio semplicemente farlo. >

Aggiunse, facendo segno a Frozen di seguirlo con un cenno della testa. Lei sospirò e, tentando di ignorare il cuore che gli batteva a mille ed il sangue ancora ibernato per l'accaduto, lo seguì a passi molto lenti. I due dovettero soffermarsi per diversi minuti alla fila delle bancarelle dei dolci prima di poter acquistare un'altra Sea Pie. Frozen continuava a guardarsi intorno, un po per l'imbarazzo ed un po per la paura che Karen potesse tornare e vederla assieme a quel ragazzo per cui sbavava. Una volta preso il dolce Kane glie lo porse e lei tentennò un po prima di prenderlo, oltre sua madre nessuno le aveva mai offerto nulla.

< Spero di aver rimediato alle azioni di Karen. >

Disse Lui, poco dopo l'uscita dalla fiera e dalla confusione dei turisti.

< Uh... Non dovevi te lo ho detto ... >

Mugugnò Frozen fissando la Sea Pie che le era appena stata offerta.

< Non la mangi? >

Chiese Kane sorridendole.

< Sì... Certo, però volevo andare in un posto ... >

< Oh d'accordo, allora ti lascio andare se hai un impegno >

Frozen rimase in silenzio, fissò ancora la stella nelle sua mani poi tentò di forzare un sorriso.

< S.. Se vuoi ... Puoi venire .... Io ecco ... Non ho impegni di nessun tipo e... Quindi se ... >

Kane la squadrò con aria interrogativa.

< Volevo andare alla spiaggia a vedere i gabbiani, questo era il mio impegno domenicale ahaha... Però posso rimandare. >

< A... Anche io sto andando ad una spiaggia ... >

< Oh! Allora è perfetto, credo proprio che accetterò l'invito. >

Frozen in quel momento si chiese cosa le balenava in testa. Aveva praticamente invitato Kane a passare del tempo con lei, una cosa che non le era mai capitato di fare neanche con la sorella. Solitamente lei non amava la compagnia, ma la gentilezza di quel ragazzo le faceva uno strano effetto, forse era per quello che le ragazze della scuola gli correvano dietro.

Quando raggiunsero la scogliera del mare della rabbia Frozen poté finalmente addentare la sua Sea Piea, senza il pericolo che qualcuno potesse privarla di tale piacere.

Le onde del mare si schiantavano contro le scogliere, dove se ne stavano appese dozzine di stelle marine, i gabbiani volavano nel cielo azzurro adornato da qualche nuvoletta bianca e la spiaggia era totalmente deserta, fatta accezione per qualche turista squattrinato che aveva steso il proprio telo su di essa.

< Sei magra per essere una golosa di dolci ... >

Osservò Kane in tono neutro, provocando un'ennesimo imbarazzo in Frozen.

< Non è tanto per il sapore... ecco...è l'aspetto... >

< L'aspetto? >

< S...Sì ... Mi piacciono le stelle marine, tutto qui. >

Kane storse la testa con aria interrogativa.

< Per quale motivo? >

< Uhm ... Ah...>

Frozen dubitò per qualche secondo, era la prima volta che glie lo chiedevano e dovette tentare di rendere il discorso più comprensibile che poteva.

< Se le tagli, possono rinascere anche dal più piccolo dei pezzetti e... quindi... le invidio, vorrei poter essere in grado anche io di rigenerare le mie ferite in quel modo, in senso morale intendo ... >

< Capisco... A me invece piacciono i gabbiani ... >

Disse Kane, alzando lo sguardo per fissare i volatili.

< ... Volano e mangiano quelli che non lo sanno fare ... Danno un forte senso di potere... >

Spiegò poi sogghignando.

< Uh! Troppa cioccolata! >

Esclamò Frozen dopo aver morso una vena di cioccolato.

< Ma... Cosa le prendi a fare se sono troppo dolci hahaha ... >

Kane scoppiò involontariamente a ridere, mettendola in imbarazzo.

< Ecco... Penso che con la marmellata sarebbero più mangiabili ... >

Rispose lei con tono tremolante. Kane la fissò poi si grattò la guancia con un dito.

< Te le faccio fare io se vuoi ... Dopo gli esami mi sono messo a lavorare nella pasticceria di fronte alla scuola, ovviamente servo i clienti e basta, ma posso chiedere al pasticcere di fartene una o due con la marmellata. >

Disse infine. Per lui comportarsi in quel modo con le ragazze era una cosa normale, probabilmente perchè crescendo in un orfanotrofio spesso si era trovato ad accudire bambini più piccoli, viziandoli e soddisfacendo ogni loro capriccio.

< Ah... Io ... Ok... G... Grazie... >

Replicò Frozen, con un filo di voce, quasi impercettibile, era una novità ringraziare sinceramente qualcuno che non fosse la madre.

In quel momento, tra gli scogli, un gabbiano si avventò su una stella marina, strappandola dalla superficie di granito per poi portarla in alto nei cieli, da dove non sarebbe più tornata.

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Capitolo 4
*** Disperazioni d'amore. ***


Cap: 04

Disperazioni d'amore.

 

 

 

16 settembre 2006

Ore 8:15

 

Le Scuole erano ufficialmente riaperte a Sea Paradise. Quella mattina gli studenti si erano alzati imprecando, sperando che si trattasse di un sogno, tentando di rifugiarsi nelle coperte e maledicendo il suono ripetitivo delle sveglie. I bidelli erano entrati nelle strutture prima dei professori attivando gli interruttori e aprendo i cancelli, per poi dedicarsi al loro oziare quotidiano. I Professori si sarebbero incontrati alle pasticcerie e ai bar per fare colazione e prendere un caffè prima di ritrovarsi a fronteggiare mandrie di ostinati ragazzini, allergici a ciò che loro avrebbero dovuto infilare nelle loro cervella. Ed infine, ma non meno importanti, i spacciatori si apprestavano ad imboscarsi nei vicoli vicini alle scuole per incastrare qualche ingenuo sfortunato. Insomma, tutti si preparavano ad un nuovo giro di studi, voti alti, voti bassi, lamentele e così via.

Un uomo fece cadere a terra il coltello che aveva appena usato per trafiggere il suo aggressore, colpevole di voler rubare una dose di eroina per la madre. Lo spacciatore sembrava spaventato, le sue dita erano sporche di sangue che fuoriusciva dal ventre di Brutus, egli non sembrava per niente turbato dalla ferita che continuava a grondare liquido scarlatto.

< Che azione avventata ... >

Disse, mentre si avvicinava allo spacciatore. Non era la prima volta che il suo corpo veniva visitato da oggetti acuminati ed appuntiti, ora mai ci aveva fatto l'abitudine, certo, se non sei umano ti abitui a resistere al dolore.

< C... Che cosa.. ? >

Bofonchiò l'uomo. Si vedeva lontano un chilometro che non si trattava di uno spacciatore con esperienza, molto probabilmente era solo un drogato disperato, ma questo a Brutus non importava di certo, a lui importava avere carne su cui far schiantare i suoi pugni.

< Ehehe... Violenza... Arriva .... >

Mormorò prendendo alla sprovvista l'uomo, afferrandolo con la sua grossa zampa tappandogli la bocca per poi sollevarlo e sbatterlo contro il muro. Frugò nelle sue tasche e prese il sacchetto di polvere bianca gettandoselo ai piedi. Dopo aver fatto ciò che la madre gli aveva ordinato lasciò che il secondo essere a cui doveva la vita si sprigionasse. Il suo volto cominciò a deteriorare, a puzzare, a marcire. Le unghie della mano con cui aveva impalato l'uomo al muro si allungarono entrando nelle guance di quest'ultimo. Il drogato tentò di urlare sia per la paura sia per il dolore, mentre Brutus continuava ad imputridirsi di fronte ai suoi occhi e le unghie si facevano strada dentro la sua carne. Ben presto il volto dell'uomo si trasformò in una maschera di sangue e carne smembrata, mentre quello di Brutus in una sorta di ammasso di materiale organico giallastro con due sfere nere come occhi ed un grosso foro al posto della bocca.

< Umani, la vostra mente, le vostre regole... Come siete semplici e stupidi, ma allo stesso tempo geniali e complessi ... Osserva ora, guarda questo volto, ricordalo, scolpiscilo nella tua memoria. Esso tornerà a tormentare le tue notti. Rimpiangerai la dipendenza da droga, allorché da essa è possibile liberarsi, ma da me nessuno potrà salvarti! >

Il grosso foro contornato dalla carne marcia che fungeva da bocca sul volto di Brutus si muoveva lentamente, riproducendo una voce affaticata ed ansimante. Quando lasciò cadere l'uomo a terra questi era svenuto, con la bava che gli colava dalla bocca e gli occhi persi nel vuoto. Brutus prese la droga da terra e lo lasciò lì a marcire.

 

 

 

Ore 8:25

 

Quella mattina, mentre stava attraversando il corridoio della scuola, Anya aveva visto delle ragazze prendere in giro Frozen e la cosa non le era piaciuta. In un certo senso le dispiaceva che sua sorella fossa vittima di quelle oche che infestavano le aule delle scuola superiori, ma non poteva certamente correre in suo soccorso, avrebbe peggiorato solo le cose. Ad essere sinceri, non le importava più di tanto che la sorella fosse lo zimbello della classe, ma era più turbata dal fatto che l'ottanta per cento degli insulti erano riferiti al padre. Ella aveva solo quattro anni quando suo padre, Judas Saviour, era stato ucciso da una violenta esplosione avvenuta presso una scuola elementare. Nessuno, neanche la madre, sapeva perchè si trovasse in una scuola elementare quel giorno, o meglio, nessuno tranne Isac Foster il suo migliore amico, sopravvissuto all'esplosione. Isac si trovava tutt'ora in un ospedale in una sorta di coma semi-cosciente e alle domande della polizia dava solo una risposta secca e precisa : "Io ho ucciso Judas Saviour.". Le testimonianze dei bambini sopravvissuti furono tutte considerate inattendibili, dato che ognuno di loro affermava che era stato un mostro ad uccidere i loro compagni. Gli psicologhi dissero quindi che i bambini avevano rimosso dalla loro mente quei ricordi a causa del terrore ed avevano creato questo "mostro" per potersi rassicurare con l'abbraccio dei genitori o delle calde coperte invernali per evitare che questi potesse uscire da sotto il letto a divorarli.

Anya salutò Dylan, il suo ragazzo, che la raggiunse abbandonando due amici per poi baciarla sulle labbra ed abbracciarla forte. Dylan era un ragazzo robusto, con i capelli neri, un accenno di barba sul mento, un percing al naso e gli occhi color nocciola. Un tipo piuttosto rispettato in classe, il che faceva evitare ad Anya gran parte dei problemi che invece la sorella doveva affrontare.

< Ciao amore, ancora nervosa? >

Chiese Dylan, riferendosi alla giornata precedente, dove lei rimase adirata per tutto il giorno a causa dell'alzataccia per andare a messa. Lei era praticamente cotta di Dylan, forse perchè nonostante il suo atteggiamento da teppista rispettato da tutti la ricopriva di affetto come meglio poteva. La madre al contrario continuava a dire che quello era solo il classico ragazzo acceso dagli ormoni, insomma soliti discorsi da genitore a figlia.

< Ti dirò... E' più piacevole la scuola della chiesa. Qui almeno ci sei tu. >

Rispose lei dolcemente baciandolo.

< Questo non va affatto bene! Qualcuno sta parlando male della chiesa! >

Anya, nell'udire quella voce, forte e grave alle sue spalle, sobbalzò per la paura. Dylan ebbe la medesima reazione, ma si tranquillizzò immediatamente nel vedere che si trattava solo di un ragazzino di prima superiore.

< Di nuovo tu? Sembrava la voce del professor Daniel! Mi hai fatto prendere un colpo! >

Urlò Anya scontrandosi con il sorriso smagliante di Zack.

< Devi perdonarmi! E' il mio primo anno e non conosco nessuno! Ti ho vista e allora ho pensato di salutarti! >

Replicò lui, per poi avvicinarsi in modo losco, abbassando il tono di voce.

< E poi se vedono che conosco una ragazza così carina tutti vorranno essere miei amici. >

Mormorò, facendo emettere una leggera risatina ad Anya.

< Ehm... Tu saresti? >

Chiese Dylan, scrutando Zack che si divertiva a fare il giocherellone con la sua ragazza.

< Oh! Perdono! Mi chiamo Zack, tu sei il famoso fidanzato vero? >

Dylan si limitò ad annuire. Anya rimase in silenzio, sapeva che Dylan era il classico tipo che prendeva di mira le matricole come Zack per poi torturarle nel peggiore dei modi. Un atteggiamento che lei non approvava, ma non poteva certo fargli fare figuracce con i compagni, ne creare un litigio per una cosa così stupida.

< Trattala bene! Questa ragazza è speciale! >

Aggiunse Zack, sorridendo al bullo che ancora una volta non rispose.

< Bé! Adesso vado, non voglio fare tardi il primo giorno! Ciao ragazzo di Anya, ciao Anya! Vieni a pregare in chiesa una domenica! Tuo papà ne sarà felice! >

< Ti ho già detto che non credo... >

< Non è mai troppo tardi per cambiare idea! >

Esclamò in fine la matricola allontanandosi di corsa.

< Se ti ronza intorno... >

Disse Dylan accennando un tono lievemente adirato. Lei gli sorrise lo baciò ancora.

< Sei un tesoro, ma lascialo stare, non fa nulla di male. >

I due entrarono in classe poco dopo e si sedettero l'uno accanto all'altra. Il tempo passava, ma il professore non accennava ad arrivare. Dopo circa dieci minuti di attesa una professoressa anziana con i tacchi a spillo e gli occhiali larghi fece svanire la confusione.

< Ragazzi... Il professor David non sarà presente alle lezioni. >

Disse in tono cupo l'anziana donna, suscitando qualche bisbiglio di soddisfazione ed allegria.

< Mi duole dirvelo ma ... Egli si è tolto la vita questa mattina. >

I bisbiglii cessarono improvvisamente e vennero sostituiti da rumorosi sospiri e gridolini di ragazze sconvolte. La professoressa inspirò e firmò, con mano tremolante, il registro.

< Si è tolto la vita? Perché? >

Chiese Anya a se stessa, pensando ad alta voce.

< Ma come, non lo sai? >

Chiese una ragazza alla sua sinistra.

< Cosa? >

< Sua figlia Rebecca è stata rapita, forse si è suicidato per il dolore... >

 

 

 

Ore 10:25

 

La campanella suonò, dando così il via ad un'orchestra di urla e banchi che si smuovevano schiantandosi tra loro. Frozen fissò il piccolo test senza valutazione che il professore aveva consegnato durante la sua ora. Dopo essersi assicurata che le risposte fossero tutte esatte, senza ombra di dubbio, lo piegò e vi scrisse sopra il nome. Infine, come da rito, attese che Karen e le sue compagne uscissero dall'aula, dove lei sarebbe rimasta data la presenza del professore che stava proprio in quel momento ritirando i test.

< Passiamo un altro anno di colazione insieme Frozen? >

Le chiese il docente prendendo il compito dal banco per poi andare a sedersi sulla cattedra per mangiare il suo solito toast al formaggio. Lei si limitò ad annuire, poi tirò fuori dalla cartella il sacchetto preso quella mattina dalla pasticceria dove Kane lavorava. Era stato proprio lui a dirle di passare prima di andare a scuola e di non prepararsi la colazione per quel giorno. Ovviamente lei aveva atteso che Karen facesse il suo ordinario giro di routine per salutare l'uomo per cui sbavava prima di entrare. Quando era entrata nella pasticceria Kane le aveva fatto saltare la fila per poi dargli un sacchetto sigillato con un fiocco e due colpi di spillatrice dicendole che si trattava di una sorpresa e che non doveva pagarla. Doveva ammettere che era stata tentata dall'aprire il sacchetto appena uscita dalla pasticceria, ma poi aveva deciso di attendere la ricreazione, tanto per avere qualcosa da fare. Si fece sfuggire un leggero "Oh!" di sorpresa dopo aver stroncato le spille. Il sacchetto conteneva due Sea Pie ed un bigliettino con su scritto: "scusa ma non sapevo quale tipo di marmellata preferissi, così ho tentanto la sorte, spero di non essermi sbagliato di troppo!".

Prese in mano uno dei due dolcetti, lo scrutò per un attimo ed infine lo addentò. Marmellata di fragole, la sua preferita. Mangiò molto lentamente, come era abituata a fare, gustandosi la Sea Pie alla marmellata che si era sempre sognata. Contemporaneamente cominciò a capire il perché le ragazze della scuola avessero tutte una cotta per Kane. Non dipendeva dal suo aspetto, certo era carino ma non era quello il motivo, egli era amato per la sua dolcezza che ti faceva sentire speciale.

< C'è marmellata in quella Sea Pie? >

Chiese il professore, sforzandosi di vedere il contenuto del dolce attraverso le lenti degli occhiali.

< Sì ... >

< Non pensavo le facessero con la marmellata. >

Commentò poi tornando al suo toast ed alla correzione dei compiti.

< Neanche io ... >

Sussurrò allegramente lei, mangiandosi poi l'ultimo boccone.

 

 

 

Ore 12:25

 

 

< Aspetta! Aspetta! >

Urlò Angela piantandosi di fronte alla porta della pasticceria per impedire che questa si chiudesse. Aveva appena staccato dal lavoro e non voleva tornare al turno pomeridiano senza aver mangiato nulla, fortunatamente per lei a servire i clienti quel giorno vi era una persona alquanto gentile e disponibile.

< Deve comprare qualcosa? >

Le chiese Kane ponendosi tra lei e l'entrata del negozio.

< Sì! So che chiudete alle 12:15 e che probabilmente stavi facendo le pulizie, ma se non disturbo ...>

Rispose Angela sorridendo come sempre.

Kane le fece cenno con la testa di entrare la seguì e, mentre attendeva l'ordinazione, ricominciò a pulire il pavimento con la scopa. Angela decise in fretta e mentre si chinava il piccolo crocifisso regalatole dal marito le scivolò fuori dal vestito, penzolando di fronte allo sguardo di Kane. Il ragazzo sentì i propri occhi prendere fuoco, come se li avesse tenuti aperti per ore in una piscina dove la quantità di cloro era superiore alla norma.

< Se posso... >

Lo invitò lei, indicando la vetrina dei dolci.

< Sì, altrimenti che sto qua a fare... >

Rispose, mentre si puliva le lacrime uscite dagli occhi con la manica del grembiule. Si avvicinò al banco superando Angela, ma proprio in quel momento la porta si spalancò all'improvviso e Brutus entrò nel negozio, nel tentativo di non farsi vedere alla polizia di pattuglia. I due si urtarono lievemente ed entrambi ebbero impulsi diversi, ovvero scusarsi oppure mollare un gancio destro, ma nessuna delle due ebbe luogo perché non appena si sfiorarono videro qualcosa di tetro e spaventoso.

Brutus scosse la testa, non era sicuro di ciò che gli si era parato davanti per un paio di secondi circa, ma quell'ammasso di catene rosse che ingabbiavano tante bambine straziate, reale o meno che fosse, lo aveva notevolmente turbato. Kane si strofinò gli occhi, già arrossati, tentando di rimuovere dai suoi ricordi quella vomitevole pustola di muscoli e carne che si gonfiava e sgonfiava nel tentativo di far entrare l'aria in quel tessuto spugnoso che la componeva.

< Bisogno di qualcosa? >

Chiese Kane ,cercando di non risultare spaventato o altro.

< Credo di sì... >

Rispose Brutus con voce roca e scontrosa, portando poi lo sguardo dentro il negozio incrociando quello allegro e spensierato di Angela che lo salutò con la mano.

< S.. Salve.. >

Mormorò lui, sfoderando nuovamente quel timbro di voce che non sembrava appartenergli, da succube e da indifeso.

< Cosa aveva deciso? >

Chiese Kane, infilandosi un paio di guanti ed allargando una busta di carta. Nella sua mente ancora si ergeva quell'essere mostruoso che aveva visto sino a poco prima e questo gli faceva desiderare di poter chiudere al più presto il negozio.

Angela indicò con il dito il grosso pasticcino rigonfio di crema che aveva scelto e Kane, pensando che quel dolcetto somigliava tanto alla sua visione in una versione per bambini, lo infilò nella busta che poi spillò e porse alla donna.

Brutus al contrario di Kane non si soffermò su ciò che aveva visto poco prima, in fin dei conti cosa glie ne importava se vi era più di un mostro in città? Rimase però vigile verso la pattuglia di polizia che stava aiutando lo spacciatore che lui aveva tramortito. In un certo senso il suo modo di comportarsi poteva ottenere l'opposto di quello che voleva, trovandosi senza soldi in un negozio che stava per chiudere non era il massimo ed i suoi precedenti non lo aiutavano di certo. Insomma, nonostante sapesse che il mostro al suo interno facesse perdere la memoria alla sue vittime sostituendola con il suo orribile volto deforme, Brutus non riusciva a starsene tranquillo quando commetteva qualcosa di sbagliato. Probabilmente questo suo modo di comportarsi era dovuto al fatto che sin da quando era piccolo la madre usava punirlo nei peggiori dei modi e questo gli aveva certo insegnato ad evitare di fare stronzate, tuttavia aveva migliorato il suo modo di non farsi scoprire quando ne faceva una.

< Signora... E' andata bene con le figlie? Si è fatta perdonare? >

Sbottò in tono fiacco e timido verso Angela che, nonostante gli avvertimenti di Elay, si dimostrò estremamente disponibile e per niente impaurita.

< Oh bé... Anya fa sempre la solita storia, sarà così anche questo fine settimana... Frozen invece andrebbe in chiesa anche se io non ci fossi. >

Rispose lei, porgendo i soldi che doveva a Kane che alzò lo sguardo verso di lei non appena udito il nome della ragazza a cui aveva fatto preparare le Sea Pie quella mattina.

< Lei è la madre di Frozen Saviour? >

Chiese, prendendole i soldi dalla mano ed aprendo la cassa.

< Uh? Sì la conosci? >

< Da circa un giorno diciamo, le ho fatto fare delle Sea Pie alla marmellata dal pasticcere... >

< Che cosa carina, diceva sempre che le sarebbero piaciute con la marmellata... se non sbaglio quella alle fragole ? >

Kane si lasciò sfuggire un sorriso.

< Già... Oh! Scusami ... >

Esclamò, portando lo sguardo verso Brutus e tentando di non vedere ancora quell'ammasso di pustole e piaghe che ancora dimorava la sua mente.

< Tu cosa volevi? >

< Nulla... Mi sono accorto di essere senza soldi. >

Rispose con il suo ri acquisito tono scorbutico.

< Te lo pago io, scegli pure! >

Esclamò Angela, sempre ben disposta verso il prossimo, specie se il prossimo era un incompreso che se ne stava sulle sue per la maggior parte del tempo.

< E' sicura? >

Chiese Brutus dubbioso.

< Certo, stai tranquillo mi ridarai i soldi la prossima volta! Però adesso devo tornare al lavoro! Tieni sono cinque dollari a meno che non volevi comprarti una torta di nozze dovrebbero bastarti! >

Gli rispose, porgendogli i soldi che lui afferrò con mano tremolante ed insicura, la stessa mano che utilizzò poi per salutare la donna mentre usciva dal negozio. Nell'esatto momento in cui la porta si chiuse entrambi i demoni che si trovavano nella struttura assunsero la medesima espressione cupa.

< Chi sei? >

Chiese Kane fissando torvo il corpulento ragazzo.

< Tsk... Io credo di aver capito chi sei tu... Tutte quelle bambine, sono quelle che sono sparite non è vero? >

< Tu le hai viste? >

< E tu? Cosa hai visto? >

Kane rimase in silenzio, sospirò e cercò di mutare la seria espressione che aveva assunto.

< Non è successo nulla.. Ok? >

Sbottò poi, temendo di essere scoperto dalle autorità.

< Ovviamente... Immagino che siamo sulla stessa barca stupratore. Io non te lo metto in culo e tu fai lo stesso. >

Disse Brutus, facendo notare con un cenno del capo la macchina della polizia poco distante dal negozio che se ne stava andando per portare in centrale lo spacciatore.

< Che dolce vuoi? >

Chiese Kane.

< Vista la situazione ti chiederei il più grande, ma è la prima volta che ... >

Brutus fissò i cinque dollari che Angela gli aveva dato e li poggiò sul banco.

< ... Dammene uno da cinque dollari a tua scelta. >

 

 

 

Ore 13:25

 

 

La campanella della scuola era suonata da cinque minuti e gli alunni si erano riversati sulle strade per mettere in moto le macchine, slacciare le biciclette dai pali, attendere l'autobus e così via. Frozen era solita a camminare sino a casa da sola, la sorella invece attendeva il bus assieme a Dylan ed altri amici. Quando vedeva Anya ridere con le amiche e baciarsi con il suo ragazzo provava un insolito senso di soddisfazione dentro, questo perché la sorella, nonostante la brutta reputazione del padre in quella città, riusciva a vivere felice come una ragazza qualsiasi e non come la figlia di uno psicotico che ha fatto a pezzi dei bambini.

< Ehy verginella fantasma! >

Le urlò Karen dal finestrino dell'autobus per poi gettarle in faccia il contenuto di una bottiglietta d'acqua, un gesto che causò la risata generale degli studenti che vi avevano assistito Dylan incluso, che però venne ammonito dallo sguardo di Anya, probabilmente l'unica che non si era messa a ridere. In quel momento lei si augurò che per una volta nella sua vita la sorella si facesse valere, uno schiaffo, uno sputo le sarebbe andato bene qualsiasi cosa, ma ancora una volta Frozen rimase impassibile fino a che l' autobus dove vi erano Karen e le sue amiche partì, mentre queste continuavano a riempirla di insulti.

< Dylan ci sentiamo più tardi ok? Accompagno mia sorella a casa. >

Disse Anya in tono leggermente irritato.

< Perché? Scusa mi è scappato da ridere non ti arrabbierai mica? >

< Non è con te che ce l'ho. >

Rispose lei stizzita allontanandosi e raggiungendo la sorella proprio mentre gli ultimi bus facevano piazza pulita degli studenti. Frozen sentì dei passi alle sue spalle, ma non fece in tempo a voltarsi che Anya la colpì con uno schiaffo in pieno volto e la afferrò per il colletto del vestito.

< Cazzo ma non lo vedi che sei lo zimbello della scuola? Sei stupida o cosa? >

Le urlò in faccia mentre lei tentava di nascondere lo sguardo.

< Guardami maledizione! Sei una stupida! Pensi che per me sia facile? Ogni volta che riesco a liberarmi dal mio passato, dal ricordo di mio padre, tu te ne stai lì come un fantasma del cazzo a farti maltrattare! Vuoi dimostrare che avevano ragione su nostro padre? Oppure vuoi farmi sentire in colpa perché non ti difendo? Io non so che intenzioni hai, ma il tuo atteggiamento da vittima mi ha rotto! >

Continuò, strattonandola verso di se. Frozen rimase in silenzio, non poteva replicare, non doveva e lo sapeva bene, fu tuttavia contenta del fatto di essere completamente fradicia, almeno così la sorella non avrebbe visto che stava piangendo.

< STUPIDA! >

Urlò ancora Anya mollando infine la presa.

< Scusa... >

Mormorò poi riprendendo fiato.

< ... Io non riesco a sopportarlo, se ci tieni a me ti scongiuro piantala di subire e reagisci. >

Aggiunse con un filo di voce. Anya non era abituata ad esporsi così tanto, specie con la sorella con cui non aveva mai avuto neanche un briciolo di rapporto umano.

< Se mi ribellassi a Karen lei continuerebbe, è nel suo carattere prevalere su tutto e tutti non posso farla smettere altrimenti ne soffrirebbe. >

Rispose Frozen, tenendo sempre lo sguardo basso.

< Lascia perdere... >

Commentò Anya sospirando sonoramente.

 

 

Ore 13: 40

 

 

Brutus era sulla via del ritorno e stava mangiando uno dei cornetti alla marmellata che si era comprato poco prima con i soldi che Angela gli aveva dato. Neanche lui sapeva dare una spiegazione a ciò che provava, ma sapeva che tra tutto il piacere nell'essere trattato bene da qualcuno vi era una ingente quantità di invidia verso le figlie di quella donna così dolce ed amorevole. Pensò ad Anya, pensò che era proprio una testa di cazzo ad arrabbiarsi con la madre solo perché le chiedeva di passare un po di tempo in chiesa, pensò che non si meritasse un genitore così dolce, pensò che se non fosse esistita magari adesso ci sarebbe lui al suo posto. Per la prima volta Brutus inquadrò ciò che aveva e ciò che possedevano gli altri e questo lo faceva incazzare sin troppo perché lui era costretto a fare il cane, a piegarsi come uno schiavo, mentre quella ragazza immeritevole si godeva la sua permissiva madre che sicuramente la trattava come una principessa e nonostante ciò osava offendersi. I passi di quel grosso gorilla infuriato che masticava voracemente dolcetti si fecero più rapidi e pesanti nel tentativo di smaltire la collera, un tentativo inutile perché questa fu stroncata dalla sorpresa. Era a circa una cinquantina di metri dalla sua abitazione e li vide, quattro uomini armati con pistole silenziate, una donna, o meglio sua madre, in ginocchio a piangere e a chiedere pietà mentre una delle armi faceva fuoriuscire il proiettile che si fece largo tra le sue cervella uccidendola e macchiando la strada di sangue. Infine un quinto uomo uscì dalla macchina dicendo delle semplici parole "niente, la droga non è qui."

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Capitolo 5
*** Gelosia. ***


Cap: 05

Gelosia.

 

 

16 settembre 2006

Ore 13: 50

 

 

Brutus superò il cadavere della madre, sorprendendosi lui stesso di non provare dolore nel vedere la donna che lo aveva generato morta, con il volto schiacciato sulla sabbia e completamente avvolta nel suo stesso sangue. Uno degli uomini in cerca della droga lo teneva sotto tiro con la pistola, mentre gli altri si apprestavano a seguirlo dentro l'abitazione.

< La droga è nella camera di mia madre... >

Disse lui, entrando dentro casa ed attendendo l'arrivo degli spacciatori. Questi, come mosche sullo sterco, non tardarono ad entrare in cerca della loro preziosa polvere bianca, quello fu il gesto che segnò la fine delle loro vite, sia come malviventi, sia come umani. La porta alle loro spalle si chiuse sbattendo violentemente, lo stesso fecero le finestre di tutte le stanze della casa, mentre un sinistro venticello inondò i cinque uomini, facendoli rabbrividire. Uno di loro puntò istintivamente la pistola verso Brutus che mutò il suo volto intriso di collera in un sorriso malefico, forzato, ma malefico.

< Che razza di scherzo è questo?! >

Urlò lo spacciatore agitando l'arma in preda ad una leggera nevrosi. Brutus non disse nulla. Nella sua mente vedeva ancora la madre supplicare quei cinque porci che aveva di fronte, mentre subiva il colpo di pistola che la portava tra le mani ossute della morte.

< Le porte non si aprono! >

Esclamò un altro, tentando di strattonare con tutta la forza che aveva la maniglia della porta di ingresso.

< Si apriranno... Questo posso garantirvelo... >

Disse Brutus con voce sinistra ed affaticata.

< ... Tuttavia, voi non uscirete più di qui. >

Aggiunse, scrutando i cinque intimoriti da ciò che stava accadendo.

< Sei pazzo come tua madre. Una famiglia di drogati pazzi. Uccidetelo. >

Ordinò in tono autorevole quello che sembrava il capo della squadra. Gli altri spacciatori, dopo aver udito l'ordine, estrassero le pistole e, senza esitazione, fecero fuoco su quel grosso bersaglio impossibile da mancare, anche per la più sprecisa delle armi. I proiettili di piombo foravano la carne ed i muscoli di Brutus, addirittura alcuni facevano a pezzi le sue ossa ma lui non cadeva, si limitava a starsene in piedi, immobile, mentre alcuni colpi gli tranciarono via una parte del labbro superiore, mettendo in mostra i denti bianchi e facendolo involontariamente sorridere di fronte a ciò che stava accadendo. Quando i spacciatori terminarono i colpi il sangue di Brutus stava allagando l'intero pavimento, ma lui rimaneva in posizione eretta senza difficoltà alcuna.

< Le armi dell'uomo, che tristezza, così futili e limitate alla concezione del corpo che non si rendono conto dell'invincibilità dell'anima. >

Disse poi, con la solita voce ansimante, seguita da un violento fiatone che sembrava lo stesse uccidendo. In quel momento dalla ferite il sangue smise di sgorgare ed al suo posto cominciò a farsi strada una nuova pelle, malata e ridotta in frattaglie, che si allargava e si restringeva seguendo il respiro del suo proprietario. Avanzò verso gli uomini, rimasti interdetti verso ciò che era appena accaduto e che stava per accadere. Uno di loro si fece avanti e colpì con violenza il volto di Brutus, ma questo gli causò solo la frattura di qualche osso della mano. Brutus lo afferrò per la mascella inferiore, lo sollevò da terra e, mentre estraeva il sacchetto di droga dalla sua tasca, lo costrinse ad aprire la bocca.

< Prendila umano, la tua fonte di ricchezza materiale. PRENDILA! >

Grugnì, facendo ingoiare allo spacciatore la sua stessa medicina. Egli tentò di urlare, ma lentamente il suo urlo si trasformò in una sorta di gargarismo che fu seguito dalla morte e da un'enorme quantità di schiuma bianca. Brutus lo fissò disgustato, mentre la sua nuova pelle lo stava completamente rivestendo, e lo lanciò contro una parete, come se fosse un oggetto e non il cadavere di una persona. Gli altri uomini si accanirono sulla porta disperati, nel tentativo di aprirla, ma questa non si smosse di un centimetro e ben presto Brutus li raggiunse a passi molto lenti, che venivano seguiti dal suo rumoroso fiatone. Afferrò uno di loro e notò che portava un coltello legato alla cinghia, così, mentre sollevava l'uomo da terra per i capelli, sguainò l'arma dal fodero e la usò contro il proprietario. La lama fredda ed affilata del coltello tagliò l'epidermide dello spacciatore come se fosse burro ed entrò nelle viscere, mentre questi urlava di dolore, scalciava e tentava di fermare l'inesorabile mano del gigante ricoperto di lebbra con entrambe le braccia. Brutus spostò il coltello lungo la pancia formando una perfetta linea verticale, dalla quale cominciarono a penzolare le budella dell'uomo che svenne per il dolore insopportabile. Lasciò cadere a terra la sua seconda vittima, poi portò lo sguardo verso quella che sarebbe stata la terza, mentre queste tentava di trovare rifugio nella camera della madre. Brutus non avrebbe lasciato che quel luogo fosse profanato ancora una volta e lanciò con forza il coltello che andò ad incavarsi nella nuca dell'uomo, per poi uscire con la punta dalla gola, uccidendolo sul colpo. Mentre il corpo dello sventurato cadeva a terra, producendo un rumore sordo e tetro, Brutus si incamminò verso la cucina, dove gli ultimi due superstiti sembravano essere riusciti a fracassare una finestra. Li afferrò entrambi per il collo, impedendo loro di scappare, poi li scrutò con odio.

< Voi, mi avete rovinato la vita, voi e la vostra droga... >

Disse in tono disgustato, fissando l'uomo che teneva nella mano destra, poi la sua testa si torse in modo anomalo e si voltò verso lo spacciatore sulla sinistra.

< Sono umani, non potevano che rovinare la vita a qualcuno! Uccidiamoli! >

La sua voce si fece nuovamente roca ed affannata.

< Sì, li dobbiamo uccidere, ma cosa accadrà? La polizia... Quella puttana di una poliziotta verrà qui a cercarci... >

< Io non lascio impronte, potrebbe essere stato chiunque ad ammazzarli! >

< E se riuscissero ad incastrarci? >

< Impossibile! Impossibile! Gli umani non potrebbero neanche immaginare cosa io sia! Per loro sono l'impossibile! >

< E quella donna? Lei è stata gentile con me... Mi ha offerto dei dolci... >

< Uccidi la figlia ingrata! E prendi il suo posto! >

Mentre Brutus continuava a dialogare con la cosa che viveva dentro di lui la sua presa si stringeva, gli occhi dei due uomini cominciavano a tingersi di rosso, mentre la vita li abbandonava facendoli ciondolare come marionette a cui erano appena stati staccati i fili.

 

 

Ore 19:45

 

 

Anya era sola in casa, come ogni sera. Frozen e sua madre approfittavano sempre del buon clima ancora godibile per uscire a fare una passeggiata, solo loro due. Lei invece, al contrario della sorella, non gradiva passare molto tempo con la madre, ciò a causa del fatto che Frozen non aveva mai conosciuto il padre. Insomma, il terrore di Anya di poter cadere in una discussione che riguardasse il padre con Angela le impediva di avere un totale rapporto con la donna che l'aveva cresciuta da sola.

Il campanello suonò ed Anya aprì senza neppure dare un' occhiata fuori dallo spioncino, questo non per distrazione, ma perché sapeva alla perfezione chi ci fosse dall'altra parte del portone.

< Ciao cara. >

Disse Dylan, varcando la porta senza attendere il permesso della sua ragazza. Lei si limitò ad un gesto con la mano, poi notò che sul cielo si stava formando un enorme mantello oscuro, quello era il preavviso di un temporale imminente.

< Probabilmente, anche se fai la santerella tutta la vita, le cose come il clima non ti scagioneranno da delle brutte sorprese. >

Commentò poi, chiudendo la porta con una certa soddisfazione nel non doversi bagnare da cima a fondo solo per fare una stupida passeggiata senza senso.

< Le ho incontrate mentre facevo benzina al distributore qui vicino, tua madre mi ha detto di trattarti bene. >

Disse lui accennando un sorriso malizioso.

< Ti avrà detto di comportarti bene... >

Lo corresse Anya baciandolo sulle labbra, mentre un lampo illuminò l'intera abitazione.

< Sì, una cosa del genere... >

Rispose, ricambiando il bacio.

 

 

Ore 19: 50

 

 

< Cristo... >

Justin era appena entrato, assieme ad Elay, nella casa di Brutus e lo spettacolo non gli era piaciuto per niente. La collega al contrario, dopo che un gruppo di ragazzi, in cerca di un luogo tranquillo per giocare basket, la avevano chiamata per denunciare il ritrovamento del cadavere di una donna di fronte all'abitazione, sembrava che si aspettasse di trovare qualcosa del genere.

< Chiama l'ambulanza Justin, i corpi vanno portati all'obitorio e comunque sta tranquillo... >

Elay portò lo sguardo sulle pistole che giacevano vicino ai corpi freddi e morti dei proprietari, mentre Justin afferrava il cellulare e si incamminava fuori dalla soglia della casa.

< ... Questi qui a parer mio erano innocenti quanto lo è il loro assassino. >

Aggiunse poi, chinandosi sul cadavere che stava proprio accanto alla porta e che la fissava con gli occhi paralizzati e la bocca contorta in quello che, sicuramente, doveva essere stato l'urlo di dolore provocatogli dalle viscere smembrate del suo stesso corpo, viscere che adesso gli penzolavano fuori dalla pancia.

Elay non aveva prove a riguardo, ma lo sapeva. Lei conosceva fin troppo bene il colpevole di quel massacro e la vista del secondo cadavere che scrutò, morto con la bava alla bocca e con il viso sporco di bianco e la madre di Brutus poco fuori dalla casa con un proiettile in testa non fecero altro che alimentare i suoi sospetti. Questi si trasformarono in tante tessere di un puzzle che gli fecero comprendere anche chi, quella stessa mattina, avesse aggredito quello spacciatore vicino alla pasticceria.

Si alzò in piedi e si avvicinò con circospezione verso la cucina, ignorando totalmente la vista del corpo con il coltello piantato sulla nuca alla sua sinistra. Una volta entrata in cucina notò i due cadaveri, con il collo rotto e con due copiose strisce di sangue che uscivano dalla bocca, poco distanti da una finestra frantumata. Lei solitamente provava dei nodi allo stomaco, ma non per il disgusto, quello era un problema di Justin, ma per il dispiacere, quella volta però era diverso. Solo in quel momento la sua mente ed i suoi ideali di giustizia si resero conto che nel vedere persone malvagie, come degli spacciatori in quel caso, morte nei modi più orrendi altro non faceva se non dargli una sorta di soddisfazione interiore. Per qualche secondo tentò di reprimerla, ma poi lasciò che la divorasse, sì sentì addirittura contenta di aver scarcerato il probabile colpevole quella mattina. Però, una cosa la faceva preoccupare in quel momento di sadico piacere. Come poteva un uomo, benché fosse massiccio e forte, ammazzare cinque persone armate con armi da fuoco?

Si mise i guanti e, una volta tornata all'entrata, afferrò una delle pistole accanto ai cadaveri. Fece uscire il caricatore dall'arma e notò che non vi erano munizioni all'interno e la enorme quantità di bussoli vuoti sul pavimento le suggeriva che anche le altre armi avessero aperto un fuoco ripetuto su un bersaglio.

< Elay, l'ambulanza sta arrivando. Noi cosa facciamo? >

Chiese Justin, rientrando all'interno dell'abitazione e riponendo accuratamente il cellulare in tasca.

< Avverti i colleghi... Abbiamo un pazzo pericoloso a piede libero per la città, questo mi sembra ovvio. In priorità dobbiamo trovare quell'attaccabrighe testa calda di Brutus. >

< Ma... >

< Si lo so Justin, non siamo sicuri che sia lui il colpevole, ma ad ogni modo sua madre è morta e lui qui non c'è. Dobbiamo trovarlo. >

Puntualizzò lei, portando nuovamente lo sguardo verso i cadaveri per ritrovare quella innaturale sensazione di piacere e facendole pensare di sparare in testa al colpevole per liberare il mondo degli innocenti dalla sua presenza.

< Ehi? Tutto apposto? >

Le chiese Justin, vedendo la collega assorta nella carne morta degli spacciatori.

< Sì, tranquillo. >

 

 

Ore 20: 05

 

 

Anya sentì la lingua del ragazzo entrarle nella bocca ed avvinghiarsi con la sua. Lei adorava quei momenti, non perché le piacesse il contatto di un uomo o semplicemente fosse una facile, di fatti era ancora vergine, ma perché quando si baciava con Dylan tutti i suoi pensieri venivano completamente divorati da quegli atti di affetto carnale. Finalmente non sentiva più il peso sul cuore che si generava ogni volta che incrociava lo sguardo con la madre. Smetteva di pensare al fatto che tutti la vedessero come la figlia di un pazzo che, dopo essere andato in escandescenza, si era divertito con le vite di tanti bambini innocenti e, soprattutto, si dimenticava dell'odioso vittimismo della sorella.

La pioggia tintinnava sui vetri che davano sul giardino della casa poco distanti dal divano, dove i due adolescenti si stavano scambiando leggere effusioni e l'unica luce attiva della casa era quella del salotto che emetteva una luminosità debole e sfumata. Alle volte i lampi accendevano ulteriormente le stanze dell'abitazione, ma solo quel tanto che bastava ad accorgersene, per poi svanire e dare nuovamente spazio all'oscurità.

Sembrava una serata normale, come quelle che la avevano preceduta. Frozen e la Madre fuori a passeggiare e lei con il suo ragazzo in una casa deserta, insomma quello era il modo adatto di concludere la giornata. Sentì la mano di Dylan passare sotto la sua maglietta accarezzandole la pancia e si lasciò abbandonare a quel contatto che le fece quasi il solletico. La mano le strinse i fianchi poi, lentamente, cominciò a muoversi verso il basso, entrando così sotto i pantaloni. Solitamente Anya impediva a Dylan di spingersi così lontano, ma il litigio con la sorella quel giorno le aveva lasciato l'amaro in bocca, lasciò quindi che il ragazzo continuasse, in modo da prolungare quel momento così piacevole. Poté percepire le dita posarsi sulle sue parti intime ed accarezzarle lievemente, ma solo per pochi secondi. In quel momento un forte fracasso fece sobbalzare entrambi e la luce, dopo aver emesso un flash improvviso, si spense, lasciandoli nell'oscurità più totale.

< Deve essere saltato il contatore... >

Sussurrò Anya, mentre Dylan si lasciò cadere con la testa sulla sua spalla.

< Vai a controllare? E' giù nello scantinato. >

Chiese poi al ragazzo, che sospirò con aria afflitta. Lei lo baciò nel buio e gli sorrise.

< Tranquillo, continuiamo da dove avevamo lasciato. >

< Questo è un ricatto... >

Replicò lui.

< Una sorta... Dai muoviti. >

Dylan si alzò e si diresse, annaspando nel buio con le mani protese, verso lo scantinato. Scese le scale di legno scricchiolanti e tentò di abituare i suoi occhi alla lieve luce che proveniva dalla finestrella sul soffitto. Si avvicinò al contatore e mosse la levetta nel senso opposto, questo bastò ad attivare la luce ed anche una fredda sensazione nello stomaco di Dylan che, non appena gli fu possibile, vide delle impronte bagnate sul pavimento che iniziavano dalla finestra e terminavano man mano che si avvicinavano alle scale. Istintivamente si lanciò lungo la scalinata con il cuore in gola, ma quando fu a metà della rampa una mano viscida e ricoperta da carne morta lo afferrò per il piede destro facendolo scivolare rovinosamente. Una forza spaventosa lo costrinse a cadere sul pavimento mentre di fronte a lui si ergeva la figura di Brutus. Nel suo aspetto vi erano ancora le ferite dovute alla sparatoria di quel pomeriggio. Vari punti del suo corpo erano costellati di pelle morta e malata che si gonfiava e sgonfiava ad ogni suo pesante respiro ed il suo labbro superiore era in parte stato rimosso, lasciando i denti bianchi e stretti liberi da ogni copertura esterna.

< E tu chi cazzo sei?! Dove è la ragazza!? >

Urlò Brutus furente, fissando lo spaventato Dylan che tentava di rimettersi in piedi in vano a causa di un forte dolore alla caviglia. In quell'esatto momento Anya, dopo aver udito lo schianto causato dal ragazzo, fece capolino dalla cima delle scale.

< Anya! Chiama la polizia! >

Urlò Dylan riuscendo a rimettersi debolmente in piedi. Brutus si voltò ed Anya, nel vedere quel volto segnato dalle ferite scrutarla con odio, ebbe un momentaneo attacco di paralisi. Il gigante di lebbra si avvicinò a passi pesanti verso di lei, ma appena fu a metà della rampa di scale Dylan lo prese alle spalle con un pugno ben mirato alla nuca. Brutus non sembrò minimamente accusare il colpo, si voltò rabbioso ed afferrò Dylan per il collo, sollevandolo da terra. Le scalette di legno cedettero sotto il peso di entrambi, facendoli cadere sul pavimento. Dylan sbatté la schiena violentemente, mentre Brutus ebbe la sfortuna di infilzare il suo addome con una grossa scheggia di legno.

< Dylan! Tutto apposto?! >

Urlò Anya spaventata, affacciandosi per poter vedere se il suo ragazzo stava bene.

< Ti ho detto di chiamare la polizia! Muoviti! >

Lei non se lo fece ripetere ancora e si gettò sul telefono del salotto. Compose il numero della polizia e, con il terrore in ogni parte del corpo, si portò la cornetta all'orecchio.

< Risponde la polizia di Sea Paradise, come possiamo esserle utili? >

< C'è un uomo in casa mia! Non so cosa voglia ma dovete ... >

Anya si bloccò nel vedere la luce saltare nuovamente, seguita da un forte rumore di porte che si sbattevano e di serrande che calavano. Si voltò di scatto, udendo dei passi alle sue spalle, e qualcosa la colpì con violenza, facendole perdere i sensi.

 

 

Ore 20: 15

 

 

< Stupido turno pomeridiano! Stupide pulizie! Stupida acqua! >

Esclamò Kane, riparandosi sotto l'insegna di Burger4Life. I suoi capelli rossi erano ridotti ad un ammasso nero ed umido mentre i suoi vestiti erano completamente zuppi.

< Kane! >

Urlò Frozen, senza neanche rendersi conto di farlo, non appena vide Kane poco distante da lei e sua madre. Il ragazzo alzò lo sguardo e forzò un sorriso da fine giornata lavorativa, poi si avvicinò alle due.

< Oh, ma tu sei il ragazzo della pasticceria! >

Chiese Angela raggiante, come sempre.

< Già... Questa tempesta mi ha sorpreso a fine turno lavorativo. >

Rispose lui, fissando la pioggia che cominciava lievemente a scemare.

< Ehm... Senti... >

Borbottò Frozen imbarazzata, disegnando piccoli cerchi sull'asfalto con il piedi sinistro ed arrossendo in volto.

< ... Volevo ringraziarti per le SeaPie, erano deliziose... >

< Sì, so che lo erano. Tua madre mi ha confermato la giusta scelta della marmellata. >

Le rispose Kane come se niente fosse.

< Sembra che stia smettendo... >

Commentò Angela scrutando il cielo.

< ... Bene, mi incammino verso casa. Frozen, tesoro, ci vediamo dopo allora. >

< Uh? Perché? Non ho detto di... >

Balbettò la figlia imbarazzata, mentre lei si distanziava dal Burger4Life, imboccando la via del ritorno.

< Ti vesti sempre così tu? >

Osservò Kane in tono scherzoso, mentre scrutava la maglietta nera con un grosso cuore rattoppato da una cucitura al centro ed i corti pantaloncini a strisce bianche e gialle di Frozen. Lei arrossì ancora, poi tentò di trovare le parole per rispondere senza risultare stupida.

< Io... Mi piacciono... Sono... Diversi... Ecco... In pochi si vestono così... >

Disse con tono neutro ed insicuro, accorgendosi solo all'ultimo di aver dato la stessa risposta anche a Karen durante l'inizio del primo anno scolastico. "Anche i clown si vestono così.." era stata la risposta dell'adolescente.

< Ti fanno sembrare... >

Cominciò Kane, facendo così sobbalzare il cuore della ragazza che altro non attendeva in quel momento se non la parola "clown" .

< ... Strana... Solo questo. Non offenderti, è in senso positivo. >

Frozen sospirò, era andata meglio del previsto.

< Ti va di bere qualcosa? >

Chiese Kane, indicando con un cenno della testa il fast food alle loro spalle.

< Ehm... Posso farti compagnia... Non ho soldi con me... >

< Quello non è un problema... Ho lavorato tutto il giorno, posso permettermi di offrire da bere ad un'amica, tu che dici? >

< A... Amica? >

< Uh? Qualcosa non va? >

< No... Assolutamente nulla! >

Esclamò Frozen accennando un sorriso di allegria. Quella era la prima volta che qualcuno la definiva "amica".

 

 

Ore 20: 35

 

 

Anya aprì debolmente gli occhi. La testa le faceva male, sembrava che qualcuno l'avesse usata come un ariete per sfondare un muro di mattoni. Tentò di muovere le braccia, ma non vi riuscì accorgendosi che le erano state legate, assieme alle gambe, ad una sedia. Accanto a lei vide Dylan, incosciente, ma a sua volta legato ed immobilizzato. Le sedie erano state disposte di fronte al divano, illuminato dalla luce lieve e sfumata della lampada del salotto. Tutte le finestre e le porte erano state chiuse e Brutus se ne stava comodamente seduto sul divano, mostrando ad entrambi il suo macabro aspetto. Tutta la sua pelle sana era ora mai stata divorata da quell'ammasso di lebbra sanguinolenta che lo aveva ulteriormente ingigantito e che continuava a smuoversi ad ogni suo affannoso respiro. Alcuni brandelli di carne si staccavano e cadevano a terra per poi espandersi in tante chiazze di pelle, adornata da tante piccole vene rosse, che sembravano aver vita propria.

< Ti sei svegliata ragazzina... >

Mormorò con voce agonizzante.

< E' l'ora di andare in chiesa! Hai da lamentarti? >

Aggiunse poi, riaquisendo la sua voce originale. Anya lo fissò confusa e disorientata, senza capire il significato di quella domanda.

< Ma che stai dicendo... ? >

Brutus si chinò poggiando le mani sulla sedia e schiacciando il suo spugnoso ed unto volto contro quello di lei.

< Ti ho chiesto.. Hai da lamentarti??? INGRATA!!! >

Urlò il mostruoso gigante, sputando una sorta di liquido verdastro dalle mandibole che macchiò il viso di Anya. L'odore di quella roba era nauseabondo ed Anya ebbe quasi l'impulso di vomitare, portò lo sguardo su Dylan, che se ne stava in silenzio con lo sguardo perso nel nulla.

< Cosa gli hai fatto? >

Chiese, tentando di non balbettare per non dimostrare al mostro che stava impazzendo dal terrore.

La voce di Brutus mutò ancora.

< L'umano non ha retto nel vedere ciò che ai mortali dovrebbe essere negato! Tu invece... Sembri diversa, come fai a sopportare questa macabra vista? Come fai a non essere caduta in paranoia? >

< Io... Non lo so ... >

Sussurrò Anya in procinto di piangere. Nonostante il suo carattere forte quello era decisamente troppo per chiunque.

< Guarda il mio aspetto! Guardalo! Non osare che le lacrime schermino la tua vista! >

Urlò il mostro afferrandola per i capelli e costringendola a guardarlo in pieno volto.

< Puttanella dall'anima mortale... I vostri spiriti sono così deboli eppure a voi è concesso un corpo bello da vedersi quanto da toccarsi! >

Osservò poi, stringendo con una delle grosse e putrefatte mani il seno di Anya. All'improvviso però indietreggiò, come se qualcosa lo avesse spaventato, si contorse ed infine cadde in ginocchio.

< Fa silenzio, non siamo qui per questo... >

Disse Brutus con la sua voce potente ed aggressiva mentre si rimetteva in posa eretta.

< Ragazzina... Conosco tua madre. >

< Mia madre... Cosa le hai fatto!? >

< IO? Cosa tu le hai fatto! Lei è così dolce... Per la prima volta qualcuno mi ha donato affetto, non era mai successo. Mi sono sentito bene, talmente bene da non avere più bisogno della violenza per liberarmi dai miei maledetti pensieri. E tu... Tu approfitti del suo amore! Tu ti lamenti per una sua semplice richiesta! Tu sei un parassita! Una zecca! Non le dai nulla in cambio! Perché io devo soffrire senza avere colpe e tu invece puoi approfittare di questa gentilezza?? Non è giusto! Non è giusto!!!! Non hai la minima idea di come si soffra quando a nessuno importa di te, quando nessuno ti ama... Sono stato così disperato da trasformarmi in un mostro, ma questa non è una cosa negativa, benedico il giorno in cui quel tipo mi ha donato questa creatura che adesso vive dentro di me, cibandosi della violenza. Mentre io allevio i miei pensieri con le risse lei si nutre! Io e questo mostro siamo in perfetta simbiosi! Ma lui non mi dà ciò che cerco! Solo questa mattina, quando tua madre mi ha offerto dei dolcetti, mi sono reso conto che il potere e l'amore non possono combaciare! >

Brutus riprese fiato.

< Poi... Mentre cercavo la casa di tua madre ho scoperto ciò che ha segnato totalmente il mio odio nei tuoi confronti... Tua madre ti ha cresciuta da sola... Senza un padre... Subendo le critiche delle persone e tu osi lamentarti! Io ti odio! >

< Basta! >

< Cosa? >

< Come puoi dire di odiarmi!? Non mi conosci neppure! Non conosci neanche mia madre! Sei soltanto un pazzo! Pensi di poter giudicare il rapporto che ho con lei da un semplice litigio di famiglia da quattro soldi? Io...>

< Taci! >

Brutus si portò le mani al volto. Sentiva che la "cosa" dentro di lui cresceva a dismisura, questo significava che doveva nutrirla e che doveva ammazzare quella ragazza impertinente.

 

 

Ore 20: 20

 

 

Frozen finì di sorseggiare il frullato di fragole e latte che si era fatta offrire da Kane, quasi si sentiva in colpa ad aver preso una bibita così costosa.

< Tu non bevi alcolici? >

Chiese, fissando la lattina di coca cola nella mano di Kane.

< No, sono legato a queste "porcherie" giovanili... Sai, sono cresciuto nel centro di accoglienza gestito da padre Josep qui a Sea Paradise e bere queste cose era all'ordine del giorno, con tutti i bambini sfortunati che c'erano. >

In quel momento, mentre rispondeva, Kane ricordò che Brutus era stato in quel centro di accoglienza a causa della dipendenza da droga della madre, ma che era uscito una volta raggiunta la maggiore età.

< Capisco... >

Bofonchiò Frozen, giocherellando con la cannuccia del suo frullato.

< ... E... Uhm... Il tuo colore preferito? >

Chiese poi, cercando di risultare più naturale possibile.

< Per quale motivo me lo chiedi? >

Lei arrossì ed abbassò lo sguardo.

< Nulla... E' per conoscerti, tutto qua. >

Kane sorrise, poi si sporse dal tavolo toccando la maglietta di Frozen con un dito che affondò nel grosso cuore rosso che vi era sopra.

< Questo qui. >

Rispose poi, rimettendosi a sedere composto sulla sedia.

< Ah... ok.. >

< Sei davvero strana. >

< Uh? Per... I vestiti? Ancora? >

< No stupida! Semplicemente è la prima volta che una ragazza con cui sono carino mi chiede cose su di me, di solito non accade. >

< Ah... Ti infastidisce? >

Chiese lei imbarazzata.

< No, al contrario. >

La rassicurò Kane sorridendo.

 

 

Ore 20: 40

 

 

Angela rimase paralizzata di fronte alla porta di casa. Sentiva un qualcosa che non provava da circa quattordici anni. Dentro casa sua c'era un'entità spirituale, l' aveva riconosciuta alla perfezione.

< Signora? E' tutto apposto? >

Angela si voltò. Una pattuglia della polizia si era fermata di fronte all'abitazione ed un agente le si era avvicinato.

< Prego? >

< Abbiamo ricevuto una chiamata... Diceva che c'era qualcuno in casa. >

Angela ebbe un crampo al cuore.

< Uff.. Maledizione. Non si preoccupi agente, mia figlia spesso si fa suggestionare quando si trova da sola in casa. Adesso è tutto apposto. >

< E' sicura? >

< Certo, mi perdoni. >

L'agente esitò, ma alla fine si fece convincere dal viso allegro di quella attraente donna.

< Ok, le auguro la buona notte. >

< Anche a lei. >

Rispose sorridendo Angela mentre l'agente si incamminava verso la sua vettura. Quando questi se ne andò lei portò subito la mano al telefono e scrisse un messaggio a Frozen il più velocemente possibile e lo inviò. Aveva bisogno di lei per combattere l'entità paranormale che stava maltrattando sua figlia.

< Judas... Vorrei che tu fossi qui... >

Mormorò la donna.

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Capitolo 6
*** Il segreto della famiglia Saviour. ***


 

Cap: 06

Il segreto della famiglia Saviour

 

 

16 settembre 2006

Ore 21: 00

 

 

Brutus scivolò sul divano, facendo impregnare i cuscini dei strani liquami verdastri che avevano iniziato a fuoriuscire dalla sua pelle marcia e morta. Aveva finito di urlare, di spaventare, di odiare, insomma si era svuotato completamente. La creatura dentro di lui, drogata dall'overdose di quella macabra giornata vissuta dal suo ospite, continuava a sbattere dentro la sua testa, accelerando così ciò che avrebbe messo fine a tutto.

Anya se ne stava con lo sguardo rivolto verso il pavimento ed invidiava inconsciamente Dylan ed il suo stato di semi-coma. Probabilmente quelli avrebbero occupato il posto nella sua vita come i peggiori minuti trascorsi. La paura la paralizzava, ma nonostante questo, era riuscita a comprendere ciò che Brutus le tentava di dire con la violenza e le minacce. Si era resa conto, proprio in quel momento dove stava rischiando la vita, che lei non era certamente stata la migliore delle figlie. Certo, non aveva mai dato problemi scolastici, ne aveva mai fatto la teppista, ma non aveva neanche uno straccio di rapporto con la madre che la aveva cresciuta da sola, sotto il sole cocente di quella tragedia che aveva coinvolto il marito. In quel momento di terrore sentiva che sarebbe potuta andare in chiesa con la madre più di cento volte in una sola domenica e che avrebbe voluto passeggiare con lei tutte le notti, rinunciando a quei suoi vizietti carnali da adolescente in preda alle tempeste ormonali.

< Adesso... Morirai... >

Disse Brutus, alzandosi goffamente e trascinando quella massa tumorale, che era il suo corpo, verso la sedia dove Anya era immobilizzata. Allungò le grosse e moribonde mani verso di lei, mentre continuava ad ansimare e gemere, come se fosse in preda ad una malattia polmonare.

Quando Anya sentì quelle orripilanti dita unte e marce avvinghiarsi al suo collo udì il rumore della porta dell'ingresso che si spalancava e che, poco dopo, si chiudeva.

Brutus ritrasse subito gli arti e portò il volto verso l'entrata. Il fatto che Angela Saviour fosse lì, mentre lui uccideva sua figlia, lo aveva provato, ma ad essere più sorpreso e spaventato allo stesso tempo era l'essere che dimorava dentro di lui, allorché nessuno poteva entrare dentro quella casa senza il suo permesso. Assieme ad Angela c'era anche Frozen che, come la madre, non sembrava minimamente sorpresa di fronte a ciò che si parava dinnanzi ai suoi occhi.

< Mamma... >

Disse Anya con un filo di voce disperato e terrorizzato. La madre le sorrise, tentando di infonderle tutta la tranquillità che le era possibile.

< E' davvero come temevo. Anya cara, adesso stai tranquilla, la mamma è arrivata. >

Le disse poi, con voce calma e suadente.

< Chi sei donna? Come hai fatto ad entrare!? Nessuno doveva entrare! NESSUNO! Almeno non prima della morte di questa puttanella! >

Grugnì Brutus con voce ansimante, ma intrisa di una notevole quantità di collera latente.

< E' questo che gli hai promesso ragazzo? Devi uccidere per lui? >

Chiese Angela, assumendo all'improvviso un'espressione seria e decisa, un'espressione che Anya non aveva mai visto sul quel volto sempre raggiante e spensierato.

< Oh... No... L'umano non ha nulla da darmi in cambio, perché vuole esattamente ciò che voglio io! Violenza! Se adesso questa ragazza è destinata a crepare non è colpa mia. >

Rispose la voce debole ed affaticata, avvolta da un velo di ironia.

< Frozen, slega tua sorella e quel ragazzo. >

Ordinò autoritaria Angela, ignorando totalmente la risposta che le era stata data dal mostro di carne e lebbra.

Frozen inspirò sonoramente poi, a passi molto lenti, si avvicinò alla sorella e, di conseguenza, a Brutus. Quest'ultimo rimase impassibile per qualche secondo, mentre nella sua testa danzavano due personalità che lo stavano mandando più in paranoia di quanto già non fosse. Osservò Frozen mentre si chinava per slacciare le funi che bloccavano le mani di Anya, sconvolta e totalmente spiazzata dal comportamento tranquillo e preparato della madre verso la situazione in corso.

< La felicità è poco distante da me... Non me la porterete via! Ne ora ne mai! >

Esclamò Brutus, riuscendo finalmente a riprendere il totale controllo della sua volontà e lanciandosi verso colei che stava liberando la sua preda.

< Attenta! >

Urlò Anya, nel tentativo di avvertire la sorella del pericolo imminente.

Frozen scostò lievemente la testa, evitando la grossa mano del gigante che stava tentando di afferrarla.

< Lo vedo... Non mi spaventa... >

Mormorò lei, senza neppure degnare di uno sguardo il nemico.

 

 

4 luglio 2000

Ore 10:00

 

Frozen si era alzata presto quella mattina. Nonostante nei periodi estivi non avesse nessun impegno le piaceva vivere la giornata dall'inizio alla fine e, soprattutto, adorava potersi distendere a letto, dopo aver cenato, senza aver problemi di insonnia. Anya era partita quella mattina per andare ai campi solari messi a disposizione dalla scuola, mentre la madre era uscita di buon ora assieme ad Elay. Di conseguenza Frozen era sola in casa.

Dopo essersi pettinata i lunghi capelli biondi e soprattutto dopo essersi immaginata con un'acconciatura dai colori più strani e particolari come il blu o, perché no, il verde, si era vestita con un paio di indumenti estivi trovati in casa alla rinfusa ed era scesa in cantina alla ricerca di una vecchia videocassetta che, circa qualche anno prima, le piaceva vedere e rivedere, un po come fanno tutti i bambini con i cartoni animati. Frugò a lungo tra tutti gli scaffali, fino a quando, mentre tentava di raggiungere uno degli spalti più alti, usando come rampa una piccola asse di legno, dove erano presenti tante scatole di indumenti invernali, non fece crollare rovinosamente tutto rivelando una sorta di piccolo armadietto incavato dietro lo scaffale. L'armadietto conteneva una valigetta consumata dal tempo. Frozen la aprì, incuriosita ed eccitata dal piccolo tesoro che le era capitato di trovare in quella che le era sembrata solo la solita mattinata noiosa e priva di significato.

Dentro la valigetta vi erano alcuni fascicoli, uno dei quali allegato con una sorta di medaglione con raffigurato, in entrambe le facce, un volto mostruoso. Sul fondo vi era anche un pugnale d'argento, privo della lama, dotato solo di una punta acuminata e con una piccola croce scarlatta infondo al manico.

Frozen, un po intimidita e spaventata dal contenuto di quella misteriosa valigetta, si mise a leggere il contenuto dei vari fascicoli. Erano tutti realizzati con una sorta di collage, scritture e disegni a mano. Ogni fascicolo riportava il disegno di un medaglione e l'immagine di un mostro che doveva risultare, secondo le informazioni sopra scritte, una divinità o qualcosa di simile.

< La firma di papà... >

Pensò ad alta voce, mentre passava la mano sulla firma del padre, inscritta su ogni singolo fascicolo.

Mentre continuava a leggere senza sosta, spaventata ed eccitata nello stesso momento, il tempo scorreva rapidamente sino a che una voce la fece sobbalzare.

< Frozen! Che stai facendo?! >

La sgridò la madre, appena tornata. Le strappo di mano i fascicoli e li rimise all'interno della valigetta assieme al misterioso pugnale d'argento. Lei rimase paralizzata di fronte alla reazione della madre, non sapeva di aver fatto qualcosa di sbagliato o simile e questo la confondeva.

< Mamma cosa erano quelle cose? >

Chiese, tirando la gonna della madre con una mano.

< Appartengono al passato Frozen... Al passato. Non voglio che tu ne faccia parola con nessuno capito? Ciò che c'è in quella valigetta ti rovinerebbe soltanto la vita, lascia a me ed a tua sorella Anya questo fardello. >

La ammonì lei, uscendo dalla cantina e lasciandola sola, con i suoi interrogativi irrisolti.

 

 

16 settembre 2006

Ore 21: 10

 

 

Frozen schivò uno dei pugni di Brutus, continuando ad indietreggiare. Ogni attacco di quel gigante dall'aspetto terrificante sembrava debole e lento per lei che, in quel momento, si sentiva come guidata da qualcosa che stava dentro le sue carni. Un ennesimo colpo andò a vuoto e si incagliò dentro una parete. Frozen aggirò l'avversario e si portò alle sue spalle, senza dire ne fare nulla.

Nello stesso momento Angela aveva liberato Anya e Dylan, senza curarsi minimamente dell'incolumità della sua secondogenita, quasi come se sapesse che non stava correndo pericoli.

< I Saviour... Ma sì certo... Esistete ancora quindi. >

Mormorò ansimante Brutus, liberando il suo arto dalla presa di granito del muro e voltandosi verso Frozen.

< Non è tardi per andarsene. >

Disse quasi sussurrando Angela, scrutando il corpo malato e fradicio di liquami che si gonfiava e sgonfiava senza sosta.

< Risparmia la tua compassione per i mortali strega. >

Ringhiò, per poi lanciarsi su Frozen che tentò di muoversi, ma invano. I brandelli di carne viva, persi da Brutus durante tutto il tempo che aveva trascorso in quella casa, si erano mossi verso di lei attaccandosi ai suoi piedi, come se tentassero di divorarla. Incapace di muoversi venne quindi investita in pieno da uno dei pugni dell'ansimante titano. La sua testa si stirò, cominciando a dondolare verso destra ed il collo emise un rumore simile a quello di un ramo secco che si spezza, il colpo le aveva rotto l'osso del collo.

Anya rimase paralizzata, sua sorella era stata ammazzata a sangue freddo di fronte ai suoi occhi. Sentì lo stimolo di urlare ma non vi riuscì, le sue corde vocali non volevano muoversi.

< Anya, devi fare un favore a tua madre ok? >

Disse Angela con tono sin troppo calmo.

< Scendi nella cantina e sposta lo scaffale, dietro di esso troverai una valigetta. Voglio che tu mi porti l'arma che è dentro la valigetta. >

< Mamma Frozen è... >

< Fai come ti ho detto. >

Anya si alzò con le gambe che a malapena la sostenevano e, evitando lo sguardo della madre e i brandelli di carne attaccati al pavimento, si diresse verso la cantina. Le scale erano rotte a causa dello scontro avvenuto poco prima, dovette quindi calarsi lentamente sul pavimento per poter raggiungere lo scaffale. Mentre prendeva la valigetta nascosta si rese conto che il suo corpo sembrava quasi staccato dalla mente e che stava facendo tutto con una calma inusuale. La sua testa invece era costellata di dubbi, paure e sentimenti che si alternavano senza sosta. Avrebbe voluto piangere dopo aver visto le condizioni di Dylan e di Frozen, avrebbe voluto scusarsi con la madre per molte cose e soprattutto avrebbe voluto che quella cosa mostruosa sparisse dalla sua casa. Molto probabilmente era quello il motivo per cui il suo corpo eseguiva con naturalezza gli ordini impartiti dalla madre, nella speranza di liberarsi da quell'essere orrendo che, in quello stesso momento si stava accanendo con ferocia su Frozen.

< Le ammazzerò tutte e due strega! Non meriti altro! >

Ansimò rabbioso, afferrando Frozen per una spalla e colpendola senza pietà con un pugno sullo stomaco talmente potente che strappo la spalla della maglietta della ragazza e la fece crollare a terra.

< Fermo... Non era così che doveva andare! >

Esclamò Brutus riaquisendo solo per pochi secondi il controllo del corpo, per poi cederlo nuovamente al mostro che lo ammonì ringhiando.

< Questa donna vuole separarci non vuoi che accada vero? Non lo vuoi! Lascia che li uccida, poi ce ne andremo! >

Frozen venne afferrata e rimessa in piedi dal demone di lebbra che le strinse con forza il braccio destro, cominciando a rigirarlo fino a che l'osso non si stroncò, andando poi a forare i muscoli e la pelle della ragazza e fuoriuscendo da essa.

Angela non sembrava minimamente preoccupata riguardo a ciò che stava accadendo alla figlia, si era tolta di mezzo il suo unico disagio mandando Anya a prelevare l'oggetto che le serviva, risparmiandole così la visione di quel macabro pestaggio. In cuor suo era ovviamente molto tesa, ma tentava di tranquillizzarsi con le lezioni che il marito le diede molti anni prima del loro matrimonio.

Judas Saviour era un esorcista, l'unico erede rimasto della famiglia e di conseguenza anche Anya e Frozen lo erano. I Saviour erano degli involucri per creature superiori che traevano forza sia dal bene che dal male. Il compito di questa famiglia, in passato numerosa e potente, era sempre stato quello di liberare le persone che, come Brutus, avevano la sfortuna di essere impossessate dalle entità spirituali conosciute come "Sinners", detti anche più comunemente "i peccatori". Ovviamente però, non potevano eseguire esorcismi senza conoscerne i riti e soprattutto senza liberare quella creatura superiore che ognuno di loro portava dentro di se dal momento della nascita. Questa creatura poteva essere liberata in un solo modo, combattendo contro un Sinner. Insomma, il primo esorcismo di un Saviour decideva la vita del portatore del Sinner e quella dell'esorcista. Se il Saviour non liberava la sua entità interiore allora il risultato del rito non sarebbe stato altro che morte.

Angela sapeva benissimo che Frozen non conosceva alcun rituale, ma per questo vi era lei che, anche se non era discendente di sangue della famiglia Saviour, come molti religiosi si era specializzata nelle arti dell'esorcismo spirituale. Non le restava quindi aspettare che la figlia liberasse la sua entità superiore e le prendesse ciò che le serviva per compiere il rito.

Frozen continuava ad urlare, anzi, continuava a tentare di farlo. Dal momento in cui il Sinner l'aveva attaccata il suo corpo era totalmente uscito fuori dal suo controllo. Aveva subito ferite mortali, il suo collo ed il suo braccio erano spezzati ed il sangue, fuoriuscito dal suo arto, stava tingendo di rosso il pavimento, mentre il mostro continuava a colpirla sul volto, ora mai ridotto ad una maschera di liquido scarlatto.

Poteva sentire alla perfezione ogni singolo colpo, ma non riusciva ne a gemere, ne ad urlare, ne tanto meno a morire. Riusciva solo ed esclusivamente a provare continui impulsi dovuti all'istinto, come tentare di proteggersi con le mani o chiudere gli occhi per la paura, ma anche quei movimenti le erano negati.

L'essere sporco e marcio continuava il pestaggio senza sosta, ridendo e facendo colare bava verdastra dalle mascelle, senza rendersi minimamente conto del fatto che un essere umano non poteva assolutamente sopravvivere a tutte quelle brutali percosse, ma quando c'era violenza il suo corpo e la sua mente andavano in estasi e non riusciva più a ragionare in modo lucido.

Lentamente anche l'udito abbandonò Frozen, adesso di fronte a lei c'erano solo immagini tinte di rosso che si muovevano senza produrre il minimo suono. All'improvviso però riuscì ad udire qualcosa, una sorta di coro, il coro di tutti quei bambini e quegli adolescenti che la avevano sempre presa in giro per il suo comportamento. I cori di insulti cominciarono ad essere sempre più forti, sino a che persino lei, abituata a non reagire, provò l'impulso di passare alla violenza. Quando quelle innumerevoli e fastidiose voci si fermarono vennero sostituite da un' altra, che Frozen riconobbe immediatamente.

< Sei la figlia di un mostro! >

Disse la voce di Karen, rimbombando dentro la sua testa e facendola finalmente esplodere, dopo tanti anni.

Il braccio ancora intatto di Frozen si mosse e si lanciò verso il volto di Brutus, andando poi ad inserire le dita dentro le cavità orbitarie di quest'ultimo. Il mostro sentì qualcosa entrare dentro il suo occhio e procurargli un forte dolore. Dopo aver emesso un urlo, si portò entrambe le mani al volto e si allontanò barcollando, incredulo e dolorante.

Frozen si alzò debolmente in piedi, con la maglietta che le scopriva la spalla sinistra, gli abiti interamente cosparsi di sangue e lo sguardo rivolto verso il basso, privo di vita.

In quell'esatto momento, Anya raggiunse la madre porgendole il coltello. Quando vide le condizioni della sorella venne nuovamente scossa dalle emozioni, che questa volta la fecero crollare in ginocchio.

< Sta tranquilla Anya, è tutto finito. >

La rassicurò la madre, scrutando il pugnale.

< Mi hai fatto male... Fa troppo male... >

Ansimò il Sinner, mentre tentava di fermare la notevole emorragia di sangue e muco verdastro che fuoriusciva dal suo occhio. Il fatto di aver subito un danno lo aveva pietrificato dal terrore, allorché nel mondo umano nulla poteva ucciderlo o ferirlo.

Frozen fece ciondolare la testa in modo sinistro, poi con uno scatto improvviso la sollevò verso l'alto ed emise dalla bocca una sorta di grido straziato che ricordava vagamente il verso di un volatile. Anya sentì un brivido attraversarle tutto il corpo, mentre quell'urlo mostruoso le entrava dentro i timpani. La madre si chinò su di lei e la strinse forte a se, coprendole gli occhi. Angela non voleva che la figlia vedesse altro, allorché quando l'entità spirituale di un Saviour veniva alla luce la prima volta, questa si scatenava in modo incredibilmente violento, ma questo giocava solo a suo vantaggio, visto che per compiere il rito aveva bisogno di un pezzo del corpo ospitato dal Sinner.

Frozen si avventò sul nemico riducendo a brandelli, con il semplice movimento delle gambe, i pezzi di pelle marcia che la immobilizzavano. Lo afferrò per il collo con il braccio che poteva ancora muovere e pressò con il pollice la gola, divorata dalla più totale furia omicida. Il Sinner tentò di bloccare il tentativo della ragazza di strangolarlo afferrandola per i capelli con un braccio. La sua forza risultò superiore ed il gracile corpo di Frozen fu sollevato e scaraventato all'interno della cucina, dove andò a schiantarsi contro degli scaffali. Nonostante l'urto appena avvenuto, si alzò immediatamente, mentre sul suo braccio stroncato cominciò a generarsi una debole luce nera che si spense facendo cadere due lunghe piume corvine a terra. Quando l'arto fu nuovamente visibile, questo si era completamente messo a nuovo.

< Maledetti Saviour... >

Grugnì il mostro di lebbra, mentre i grossi strati di pelle cominciavano a sgonfiarsi ed a gonfiarsi sempre più velocemente.

< Io non sparirò! Ne ho abbastanza delle prigioni! >

Urlò poi lanciandosi verso Frozen nel tentativo di travolgerla.

< Prigioni? >

Ripeté Angela dubbiosa. Quel Sinner era diverso da quelli che aveva visto durante la sua carriera come esorcista assieme al marito. Solitamente riuscivano si a fare cose sovrannaturali ed a modificare le carni degli ospiti, ma quella era prima volta che vedeva un cambiamento così radicale.

Frozen evitò la carica del mostro, poi saltò sopra di lui, lo costrinse a muovere la testa con un braccio, in modo da esporre il collo, spalancò la bocca e si avventò come un leone affamato sulla pelle marcia e sporca dell'essere. La sua mascella, come tutto il resto del suo corpo, si muoveva con forza e velocità superiori a chiunque e dilaniava le carni del Sinner con una rapidità spaventosa. Lentamente il lurido involucro che ricopriva il corpo di Brutus venne triturato e ridotto in poltiglia verdastra, lasciando così allo scoperto la carne umana che venne subito tranciata via con un morso.

Il Sinner urlò di dolore nel sentire il corpo che lo ospitava venire quasi sgozzato dai denti di Frozen. Afferrò la ragazza con entrambe le mani e la schiantò sopra il lavandino della cucina, poi le prese la testa e cominciò a sbatterla contro la superficie metallica. Il sangue cominciò a sporcare il lavandino ammaccato, mentre il mostro scatenava tutta la sua collera.

Angela notò sulla soglia che divideva la cucina dal salotto il brandello di carne strappato da Brutus. Prontamente riuscì ad impossessarsene, non era molto grande, ma era ciò che le serviva per porre fine a quell'incubo. Si chinò a terra, impugnò il coltello, un tempo appartenuto al marito, e trafisse il pezzo di carne. Nell'esatto momento in cui lo fece, il Sinner cessò di colpire Frozen e si voltò di scatto verso di lei.

< No... Non voglio... No... >

Ansimò, avanzando debolmente verso la donna, con il sangue scarlatto ed il liquido melmoso di colore verde gli colavano dalle ferite. Mentre il pugnale che aveva colpito il brandello sanguinolento cominciava a tingersi interamente di rosso ed a riportare sul nuovo colore tanti volti disperati che si muovevano come se fossero vivi, il mostro cominciò a sentirsi debole, sino a che le gambe lo abbandonarono facendolo cadere in ginocchio.

Quando anche la croce infondo all'impugnatura dell'arma si tinse di rosso, Angela la afferrò per il manico con entrambe le mani ed in pochi secondi riuscì a vedere tutte le vittime a cui il Sinner aveva tolto la vita, dai cavernicoli, ai cavalieri, ai contadini, sino a raggiungere i spacciatori di quella stessa mattina. Nella sua mente cominciò a ricordare ogni essere che Judas ed i suoi insegnanti di esorcismo avevano scoperto dopo tanti anni di lavoro e finalmente trovò il nome con cui gli umani avevano identificato il mostro che si trovava di fronte a lei.

< Gheburim, demone della violenza... >

Mormorò, mentre i frammenti di pelle sparsi per la casa si liquefacevano sino a svanire nel nulla. Lo stesso destino accadde anche al corpo di Brutus, che lentamente venne liberato dall'involucro di carne malata che lo inglobava. Quando tutti i segni del Sinner svanirono dal campo materiale, una figura si parò di fronte ad Angela. Era enorme, gonfia e sudicia e la fissava con odio, senza poter dire nulla. Improvvisamente l'immagine svanì nel nulla e mentre spariva le finestre si infransero, le serrande cominciarono ad aprirsi e chiudersi senza sosta e tutte le porte iniziarono a sbattere violentemente. In pochi secondi, tutto terminò.

Frozen sembrava svenuta sul lavandino, con il corpo ricoperto di lividi e ferite, abbandonato dalla presenza mistica che si era manifestata poco prima. Dylan era ancora in uno stato paragonabile al coma ed Anya era in procinto di perdere i sensi come la sorella. Gli unici ad essere rimasti pienamente coscienti ed in grado di muoversi erano solo Angela e Brutus che si stava lentamente alzando da terra con il sangue che zampillava dalla ferita sul collo.

< Se ne è andato... >

Mormorò lui, con lo sguardo perso nel vuoto.

< ... Sono solo... >

Aggiunse, mentre sentiva delle sirene avvicinarsi. Qualcuno doveva aver allertato la polizia a causa dei rumori generati dallo scontro e dall'esorcismo appena avvenuto.

Brutus sapeva cosa fare, nonostante la disperazione di aver perso quella creatura che gli consentiva di sfogarsi sugli altri, sapendo che lui rispetto a loro era speciale, sapeva benissimo come doveva concludere tutto.

< No Brutus... Non lo sei... Per favore ascoltami. >

Lo supplicò Angela in tono affaticato a causa del rito di poco prima, mentre Brutus si avvicinava a lei ed afferrava il coltello, che aveva assunto nuovamente il suo colore argenteo.

< Non puoi, non adesso che ti abbiamo liberato... Tu non sei cattivo... >

Brutus afferrò Angela, incapace di difendersi, per il collo e le portò la punta dell'arma alla gola, poi si rivolse alla primogenita, sperando che fosse ancora in grado di capire cosa sentiva, dato il forte stato di shock.

< Non te lo lascio. Brutta troia ingrata, non te lo lascio tutto questo amore. >

Disse disgustato, preparandosi a tranciare la carne e quindi la gola della donna che sino a poco tempo prima gli aveva dato una speranza di vita, ma un forte rumore, seguito da un proiettile che gli perforò la spalla, lo bloccò, disarmandolo. Crollò a terra dopo pochi secondi, sentendo il piombo rovente che si incastrava nei muscoli e vedendo Elay alla porta di ingesso, con la pistola in mano.

< Figlio di puttana cosa hai fatto... >

Disse digrignando i denti, mentre si guardava intorno, ammirando lo spettacolo di violenze sul corpo di Frozen ed il sangue che macchiava il pavimento. Spinse nuovamente il grilletto, uccidendo così quel poco che restava del suo orgoglio da poliziotta, centrando in pieno la gamba sinistra di Brutus, che si accasciò a terra in preda al dolore ed ad una seria emorragia.

< ... Ti ammazzo! Ti ammazzo.... >

Sussurrò con rabbia la poliziotta, mentre Justin entrava nell'abitazione con la pistola alla mano.

< Elay! Ferma! Non può muoversi... O mio... >

Il collega dovette interrompere le sue parole una volta visionate la condizioni delle persone presenti nell'abitazione e quelle della casa stessa.

< Dimmelo Justin, perché non dovrei liberare il mondo della sua presenza. >

Disse Elay, scrutando con odio Brutus che sembrava in preda alla pazzia più maniacale e rideva senza un motivo logico. La mente dell'uomo doveva aver ceduto alla sofferenza ed alle esperienze vissute.

< Non è giusto Elay... Devi arrestarlo... >

Ansimò Angela, tentando di convincere l'amica che sembrava totalmente sopraffatta dall'ira del momento.

Justin si avvicinò alla sua compagna e amica, poggiò una mano sulla canna ancora calda della pistola e la costrinse ad abbassarla.

< Questa volta non dovrai più liberarlo... >

Disse, rassicurandola come solo lui poteva fare in quelle situazione critiche.

< D'accordo... Chiama un'ambulanza... >

Rispose infine lei, rinfoderando la pistola.

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Capitolo 7
*** Spettacolo di burattini. ***


Cap: 07

Spettacolo di burattini.

 

20 settembre 2006

Ore 8: 00

 

 

Anya aveva marinato la scuola anche quella mattina, il solo pensiero di andare a sedersi tra quei banchi in mezzo a tante persone che neppure riuscivano ad immaginare cosa lei avesse visto quattro giorni prima la faceva quasi impazzire. La madre aveva discusso con la polizia più volte, dando sempre la solita testimonianza: Brutus era impazzito ed aveva tentato di uccidere le sue amate figliole per poter prendere il loro posto, il tutto perché lei era stata gentile con lui. Grazie a quella falsa cronaca degli eventi, Angela non solo era riuscita a mascherare ciò che era realmente accaduto, ma aveva fatto spedire Brutus in un'ospedale psichiatrico. Frozen aveva invece riportato numerose ferite, ma non era morta. Il suo collo, rotto da un pugno del Sinner, sembrava come nuovo ed anche il braccio che le era stato spezzato era tornato quasi perfettamente alla normalità, tuttavia sembrava aver risentito sonoramente dei colpi che il nemico le aveva inferto durante lo scontro, motivo per cui si trovava all'ospedale di Sea Paradise. Insomma, Anya era rimasta ferita solo psicologicamente, dato che aveva visto la sua realtà, costruita sulla base di dimenticare la brutta reputazione che il padre le aveva procurato, crollare come un castello di carte colpito da una leggera brezza. Dylan, il suo ragazzo, dopo essersi ripreso aveva troncato di netto la loro relazione, dato che ciò di cui era stato testimone lo aveva talmente sconvolto dal voler dimenticare qualunque cosa vi fosse collegata, persino la sua ragazza.

Mentre Anya percorreva la lunga salita in mezzo ai boschi della periferia di Sea Paradise, sentiva il fiatone stroncarle i polmoni ed i muscoli delle gambe implorare pietà, ma nonostante ciò non si fermava ne rallentava il passo, dato che sapeva benissimo che se avesse smesso di muoversi i pensieri la avrebbero nuovamente divorata.

Il sole stava emettendo lievi ondate di luce che attraversavano prima le nuvole poi le chiome degli alberi, sino a creare un grazioso spettacolo di puntini luminosi sul sentiero che la ragazza, adirata con tutto e tutti, stava percorrendo. Alla fine, stremata, ma giunta quasi alla cima del piccolo monte di periferia, Anya dovette cedere alle agonizzanti preghiere delle sue gambe che la fecero accomodare sopra una grossa roccia da dove si vedeva dall'alto l'intera cittadina. Vedere tutte quelle macchine muoversi per le strade con ritmo frenetico la fece stare male, l'invidia per quelle persone ignare di ciò che viveva in mezzo a loro era troppa. Lo stomaco cominciò a stringersi e le mani a tremare, mentre estraeva dalla tasca dei jeans il suo portafogli, da cui sfilò una foto ripiegata e dall'aspetto piuttosto malandato. Spiegò il ritratto di celluloide fino a che non le fu possibile intravedere il volto del padre che la scrutava con i suoi occhi azzurri, identici a quelli di Frozen, con il sorriso che generava una mezza luna al centro della barba marrone, mentre stringeva tra le mani una piccola lei intenta a scompigliargli i capelli castani.

Erano passati diversi anni da quando Anya non guardava più quella foto. Questo perché farlo la faceva stare molto male, tuttavia in quel momento sembrava l'unica cosa in grado di farla sentire leggermente meglio e di metterle l'anima in pace per quanto riguardava quella frase che le rimbombava dentro la testa: Non te lo lascio. Brutta troia ingrata, non te lo lascio tutto questo amore.

Il motivo per cui Brutus la aveva attaccata era, con tutta probabilità, la base per cui non rivolgeva più la parola alla madre da circa quattro giorni. Lui la voleva morta non perché la odiasse come persona, ma perché lei aveva avuto la fortuna di non essere sola nel suo dolore, ma nonostante adesso fosse a conoscenza del suo egoismo non riusciva comunque ad aprirsi con la madre, in particolar modo dopo ciò che era accaduto.

< Signorina Saviour! Cosa ci fa qui? Lo sa che presto dovrà portare il certificato medico?! >

Tuonò una voce adulta e profonda alle sue spalle facendole quasi scivolare la foto giù nel vuoto.

< Scherzavo... >

Aggiunse la voce cambiando notevolmente di tono.

< Zack?! Imbecille, piantala con questi scherzi! >

Urlò Anya, irritata dal fatto di essere stata spaventata e di non trovarsi più sola con i suoi pensieri.

< E' quel periodo in cui vi esce il sangue da lì e siete perennemente incazzate? >

Ironizzò il ragazzino grattandosi il mento con un dito. Anya sbuffò, mentre tentava di rimettere apposto la foto del padre dentro il borsello.

< E' tuo papà? >

Chiese Zack, avvicinandosi e notando la foto prima che lei potesse farla sparire.

< Già... >

< Sei venuta in un posto più vicino al cielo per far sentire meglio le tue preghiere?! >

Esclamò lui entusiasta fissando il cielo.

< Io non prego. Lo sai benissimo, adesso vattene a scuola perfettino figlio di prete. >

< Uhm.. non posso, padre Josep mi ha mandato a cercarti per un incontro che avverrà tra circa un paio di ore nel suo centro di accoglienza. >

< E cosa vuole il prete da me? Neppure ci ho mai parlato se non quando ho fatto la comunione. >

Sbottò Anya sfilando una sigaretta e portandosela alla bocca.

< Ma che domande!? Vi sembra normale che un mostro fatto di lebbra pesti te, tua sorella, tua madre ed il tuo ragazzo? Ok che gli esorcisti conoscono queste creature ma non credo che le trattino come cose di tutti i giorni! >

La incalzò Zack senza far svanire minimamente la sua ingenua allegria. Anya lo fissò incredula, facendo cadere la sigaretta nel nulla.

< Tu come sai ... ? >

< Te lo spiego al centro accoglienza se mi fai il favore ti venire con me! Eddai ti preeeego! Non farmi fare brutta figura! >

 

 

 

Ore 8: 20

 

 

Kane aveva chiesto la mattina libera quel giorno. Era venuto a sapere del macello a casa Saviour da Angela, venuta ad acquistare delle Sea Pie per la figlia il giorno precedente. Lui allora si era offerto di portargliele quella mattina direttamente in ospedale, in modo da dare tempo al cuoco di prepararne alcune con la marmellata di fragole.

Mentre attraversava la strada che lo separava dall'ospedale, facendo ciondolare svogliatamente la busta con all'interno i dolci preparati quella mattina stessa dal pasticcere, una grossa limousine nera, dai vetri oscurati, si parò di fronte a lui, bloccando il suo cammino. Uno dei finestrini sul posto del passeggero abbassarono e da questi fece capolino la testa di quello che sembrava essere un burattino di legno vestito con un elegantissimo smoking .

< Ciao! >

Esclamò la marionetta, muovendo con una scatto la bocca e richiudendola allo stesso modo. Si trattava di un pupazzo da ventriloquo molto ben fatto, con i capelli in legno dalla forma ordinata, dipinti di giallo e con due enormi occhi a palla color nocciola.

< S... Salve... >

Rispose Kane con grande incertezza, sorpreso da un avvenimento così fuori dall'ordinario.

< Sai per caso dirmi dove si trova il centro di accoglienza di padre Josep? >

Chiese il burattino, muovendo la sua bocca di legno in rapida successione e producendo dei lievi schiocchi. Kane rimase impressionato dall'abilità di chi stava comandando quella bambola, visto che questa sembrava parlare in modo totalmente autonomo. Si chiese perché un tipo così stravagante cercasse proprio quel posto, ma intuì presto che magari si trattava semplicemente di uno spettacolo per i bambini orfani e sfortunati del posto. Tentò di dare le indicazioni meglio che poteva, nonostante trovasse inusuale dialogare con un pupazzo in mezzo alla strada, ma dato che un tempo aveva vissuto in quel centro di accoglienza non gli fu difficile come impresa.

< La ringrazio di cuore! >

Squittì infine la marionetta, ritirandosi dentro la vettura in procinto di imboccare la strada che le era stata indicata.

Kane osservò la limousine allontanarsi ed inserirsi nel traffico, poi procedette verso l'ospedale come stava facendo prima di essere fermato da quel curioso personaggio. Camminando lungo il piccolo vialetto che precedeva l'entrata dell'istituto sanitario dove era diretto gli tornarono alla mente i giorni passati, come orfano e come aiutante, presso il centro di accoglienza di padre Josep. Lui, crescendo in un posto così pacifico e lontano dalle atrocità del mondo reale, era diventato con il passare degli anni uno dei migliori aiuti che padre Josep avesse mai avuto, vista la sua gentilezza nel relazionarsi con le altre persone. Adesso ricordava benissimo il breve periodo in cui Brutus era rimasto sotto la tutela del prete e di come se ne era andato, in modo molto brusco, una volta raggiunti i diciotto anni, ma in particolar modo ricordava una notte di quattordici anni fa.

Entrando dentro l'ospedale e seguendo le indicazioni per trovare la stanza di Frozen, lasciò la sua mente tornare ai tuoni che aveva udito quella notte, quando aveva solo sette anni.

 

 

18 novembre 1992

Ore 23: 40

 

 

Kane si raggomitolò nelle coperte di lana quando un altro tuono gli fece gelare il sangue nelle vene.

< Il diavolo non mi prende se sono buono. Il diavolo non mi prende se sono buono. >

Continuava a ripetersi, mentre revisionava tutta la sua vita come un film, per assicurarsi di essere stato così buono da meritare tutta la protezione che il buon Dio poteva dargli.

La luce del dormitorio si accese, facendo così entrare nel cuore di Kane una bella dose di tranquillità. Padre Josep si alzava spesso per andare in bagno e quando lo faceva, specie in quelle notti di tempesta, ricordava a quel bambino impaurito che lui era lì a pochi metri di distanza, pronto ad aiutarlo contro ogni mostro potesse uscire dal suo armadio. La calma di Kane fu però infranta quando vide il prete camminare velocemente verso le scale che portavano alla sala principale e quindi al portone. Udì lo sbattere della porta di ingresso, poi delle tremende urla di donna. Inizialmente Kane si coprì le orecchie con entrambe le mani, ma poi, sentendo che quelle urla non terminavano, venne pervaso da quella curiosità che infetta ogni essere umano in situazioni di quel tipo. Scese da letto e, senza mettersi le pantofole, uscì dalla stanza e percorse tutte le scale fino a ritrovarsi nella sala d'attesa, luogo dove solitamente transitavano persone bisognose di aiuto o in cerca di un tetto, e fece capolino da dietro la porta. Sul tavolo di legno della sala vi era distesa una donna con la pancia gonfia, era lei l'artefice delle urla disumane che avevano stuzzicato la sua curiosità, e padre Josep, che se ne stava di fronte a lei, come se fosse in attesa di qualcosa.

< Spinga più forte! Ci siamo quasi signora! Spinga! >

La incitava il prete, ponendo le mani sotto i genitali della donna che sembrava in preda ad un dolore atroce. Kane continuò a fissare la scena, incapace di muoversi, senza batter ciglio, assicurandosi però di non farsi sentire o vedere. Dopo diversi minuti, la donna cessò di urlare e si accasciò sul tavolo priva di forze, mentre delle nuove urla, simili ad un pianto, cominciarono a riecheggiare nella sala.

< E' un maschietto signora... Un sano e bellissimo maschietto... >

Disse padre Josep, cullando tra le braccia la fonte del pianto che poi porse alla donna. Questa allungò le mani tremolanti ed afferrò quel piccolo esserino sporco di sangue che era uscito dal suo corpo.

< La ringrazio padre... Non sapevo da chi altri andare... >

Mormorò la donna, accarezzando il volto del nascituro che sembrava aver smesso di piangere e di gemere.

< Lo faccio per aiutare signora non si preoccupi dei ringraziamenti... Si preoccupi piuttosto del nome da dare a questo stupendo figlio di Dio. >

La rassicurò padre Josep sorridendo.

< Voglio chiamarlo Zack... >

Disse lei, guardando il figlio come se tutto ciò che aveva sofferto fosse stato un giusto prezzo da pagare per stringere quella creaturina tra le mani.

La mattina successiva padre Josep presentò ai volontari, agli abitanti del centro e alle suore di turno i nuovi ospiti. Kane si sentì quasi superiore nel sapere già della presenza dei due nuovi inquilini. Si avvicinò alla donna sorridendo e risultando più adorabile possibile, poi squadrò il piccolo Zack che, senza il sangue che ricopriva ogni parte del suo corpo, gli sembrò decisamente più carino e coccoloso della notte precedente.

< Signora ha intenzione di farlo crescere qui? >

Chiese Kane, incrociando gli occhi della madre.

< Perché me lo chiedi? >

< La prego! Lo faccia restare qui! Non ci sono molti maschi e le ragazzine sono così odiose! E poi potrei fargli da fratello maggiore! La prego! La prego! >

La donna scoppiò a ridere e, in minore, anche a piangere per la felicità nel sentire quelle parole, dopo che pensava di morire di fame assieme al figlio in mezzo alla strada, sino a qualche giorno prima.

< Come ti chiami? >

Chiese poi, asciugandosi le lacrime.

< Mi chiamo Kane. >

< Kane... Suona strano come nome per un bambino sai? >

< Ma da grande sarò davvero figo! Padre Josep dice sempre che è un nome che ispira grandezza e forza! >

La donna rise ancora.

< Come sei energico! Ma dimmi, dove sono i tuoi genitori? >

Kane abbassò lo sguardo.

< Non ci sono... Padre Josep mi ha trovato abbandonato davanti alla porta. >

< Oh... Che cosa orribile... Allora non posso certo negarti di poter diventare il fratellone del mio Zack. >

Gli occhi di Kane si illuminarono di gioia ed andarono ad inquadrare il bambino semi addormentato tra le braccia della madre. In quel momento pensò che, con un bambino così bisognoso di aiuto, la sua vita sarebbe potuta diventare più interessante ed avrebbe anche potuto aiutare padre Josep invece di continuare ad essere aiutato e basta. Quella previsione non fu sbagliata, lui avrebbe aiutato Zack, lo avrebbe aiutato eccome.

 

 

20 settembre 2006

Ore 8: 30

 

 

Kane abbassò la maniglia della stanza dove, secondo ciò che gli era stato detto, doveva essere ricoverata Frozen. La porta si spalancò e lui fece capolino cercando con lo sguardo l'amica che intravide immediatamente, date le piccole dimensioni delle stanze per una sola persona.

Frozen era seduta sul letto, con la schiena distesa su due cuscini, intenta a cucire con i ferri e la lana che la madre le aveva portato da casa. Quando vide Kane rimase quasi paralizzata, non si aspettava di certo che sarebbe venuto a trovarla in ospedale.

< Ciao! Perché Quella faccia? Tua madre non ti ha detto che venivo? >

La salutò, sollevando la mano e spiccando un grosso sorriso. Lei sobbalzò ed afferrò uno dei cuscini per coprire il pezzetto di lana rossa a cui stava lavorando prima che Kane entrasse all'improvviso.

< C...Ciao! No... Mia madre non mi aveva detto nulla... >

Rispose poi in tono titubante. Kane strinse le spalle, poi si sedette su una piccola sedia color verde menta che stava di fianco al letto, facendo cadere la busta con le Sea Pie sul materasso.

< Forse quella notte sarebbe stato meglio se non fossi rientrata affatto è? >

Ironizzò lui, tirando fuori dalla busta uno dei dolcetti e porgendolo a Frozen che lo osservò, incerta sul da farsi.

< Prendila, è alla marmellata. >

La incoraggiò lui.

< G... Grazie... >

Mugugnò Frozen, allungando la mano fasciata con una garza medica ed afferrando la piccola stella ripiena di fragole.

< Tua sorella come sta? >

Quella domanda impedì a Frozen di dare il primo morso alla Sea Pie. Lei non vedeva Anya da quattro giorni e la conosceva fin troppo bene da sapere che con tutta probabilità la odiava per ciò che lei era: un esorcista.

< Bene. >

Rispose infine in tono neutro, trattenendo un singhiozzo che però non sfuggì allo sguardo del ragazzo che comprese di aver toccato un tasto dolente.

< Devi perdonarmi, come avrai notato di solito sono più loquace, ma non so da che parte farmi dopo quello che ti è successo! >

Confessò Kane, grattandosi la testa allegramente.

< Però devo ammettere che mi fa strano vederti con un vestito normale... Bè per quanto possa essere normale un pigiama dell'ospedale si intende! >

Aggiunse poi, scoppiando a ridere. Anche Frozen si lasciò sfuggire una sottile risatina, poi diede il primo morso al pasticcino, assaporando ancora una volta quella speciale forma di Sea Pie che solo a lei era concessa.

< Cosa stavi cucendo poco prima che entrassi? >

Chiese lui, sollevato di aver alzato l'umore di Frozen e di aver rimediato all'errore commesso poco prima chiedendole della sorella. Lei sussultò e quasi le andò di traverso la marmellata. Non poteva certo dirgli che stava cucendo qualcosa per lui in quel momento.

< Nulla di importante... >

< Sicura? >

La stuzzicò lui, fissandola attentamente negli occhi.

< Non è un regalo per qualcuno? >

Aggiunse poi, mostrando un sorriso da cattivo ragazzo.

< C... Certo che no! >

< Ok. >

Concluse, facendo finta di stirare le braccia per poi però allungarle verso il cuscino dove era nascosto il lavoro della ragazza. Frozen lasciò istintivamente cadere la Sea Pie sulle lenzuola e tentò di fermare le mani di Kane con le proprie, riuscendoci. In quel momento, Kane ebbe una sorta di flash, come quando si era scontrato con Brutus nella pasticceria quattro giorni prima, solo che questo durò molto meno e vide una sorta di grande uccello nero dagli occhi scarlatti che gracchiava mostrando le sue fiere e maestose ali corvine. Quell'improvviso lampo mentale gli fece perdere l'equilibrio, facendolo scivolare dalla sedia. Prontamente riuscì ad evitare di crollare a terra, ma finì per andare a sbattere la testa contro quella di Frozen, per poi ricadere sul letto, proprio sopra di lei.

< Ahia... >

Si lamentò Frozen, tentando di portarsi la mano sulla fronte dolorante che però andò a poggiarsi sul volto del ragazzo, ancora lievemente intontito dall'urto.

< Scusa non vole... >

Kane non riuscì a terminare la frase che l'imbarazzo lo pervase, o meglio pervase entrambi. Si trovavano con il volto a pochi centimetri l'uno dall'altra e nessuno dei due sembrava in procinto di muoversi. Frozen non si rese neppure conto del fatto che stava accarezzando la guancia del ragazzo, il suo cuore cominciò a battere all'impazzata, mentre continuava a fissare quegli occhi grigi che nell'arco di qualche giorno la avevano quasi totalmente conquistata.

Alla fine un colpo di tosse ed il rumore della porta che sbatteva fece convincere i due a mollare quella posizione fraintendibile. Kane si mise in piedi e si voltò di scatto verso l'entrata, poi sudò freddo nel vedere che la persona entrata altri non era se non Angela.

< Ehm... Non è come pensa! Sono scivolato e... >

Angela scoppiò a ridere e si coprì la bocca con una mano per darsi un contegno.

< Non hai bisogno di scusarti! Se ti piace mia figlia tanto meglio per lei, sei un ragazzo così gentile e premuroso. >

Disse poi, continuando a sghignazzare, suscitando l'imbarazzo di entrambi.

< Mamma! Non è... Cioè... E' come ha detto lui non è stato nulla di intenzionale! >

Tentò di spiegare Frozen alla madre, ora mai convinta della propria interpretazione dei fatti.

< Dai lascia perdere tesoro. Piuttosto... >

Angela assunse improvvisamente un aria molto seria, la stessa che aveva quando scoprì che il Sinner di Brutus si trovava all'interno di casa sua assieme ad Anya.

< ... Ho parlato con il medico, puoi uscire ma... dobbiamo andare da padre Josep, ha detto di doverci dire delle cose molto importanti. >

Kane superò l'imbarazzo e, dopo le parole di Angela, riconobbe nella sua testa l'immagine che aveva visto quando lui e Frozen si erano toccati. Con tutta probabilità la ragazza non era stata soggetto di alcuna visione, o almeno così sembrava.

< Allora... Mi scuso per lo spiacevole equivoco signora Saviour e la lascio con sua figlia... Nella busta ci sono ancora quattro Sea Pie e non si preoccupi per i soldi è stato un piacere. >

Disse, avvicinandosi all'uscita e superando la donna che lo salutò cordialmente. Con un semplice cenno della mano, prima di evadere dalla stanza, salutò anche Frozen, ancora notevolmente imbarazzata per l'accaduto, e si avviò più velocemente possibile verso l'uscita dell'ospedale. Una volta fuori cominciarono a sorgergli numerosi dubbi, che continuavano a crescere nella sua testa sino a toccarne il limite estremo. Lui e Brutus si erano scambiati poche parole quando si erano resi conto di chi fossero quattro giorni prima, tuttavia entrambi erano a conoscenza del potere che vi era racchiuso dentro di loro. Il fatto che quel gigante violento e maleducato fosse stato arrestato e ricoverato presso un istituto psichiatrico, nonostante ciò che portava dentro di se, era molto strano ed assolutamente difficile da credere. L'unica spiegazione logica poteva essere dovuta alla visione del rapace nero dagli occhi color rosso sangue che lui aveva visto dopo aver toccato Frozen, magari anche lei possedeva lo stesso potere che dimorava anche dentro Brutus e per questo era riuscita a metterlo fuori gioco. Tuttavia da questa risposta al primo quesito ne nasceva un secondo: Frozen aveva visto qualcosa nel momento del contatto? Magari no, visto che non vi erano state particolari reazioni che potessero essere collegate ad una visione sovrannaturale, però come poteva esserne sicuro? E soprattutto, cosa dovevano andare a fare con così tanta urgenza da padre Josep?

Improvvisamente un'immagine si generò di fronte agli occhi di Kane: quella di una marionetta bionda che fuoriusciva dal finestrino di una limousine nera. Il fatto che Frozen dovesse andare al centro di accoglienza proprio nello stesso momento in cui era arrivato in città quello strano marionettista era una coincidenza bella e buona, dato che, ragionandoci sopra, era impossibile che, con le sue disponibilità monetarie, padre Josep potesse permettersi di ingaggiare un artista di professione che se ne va in giro dentro una limousine di tutto rispetto. Così prese la sua decisione, sarebbe andato a fare una visita a Brutus in modo da assicurarsi che il suo segreto potesse rimanere al sicuro, anche a costo di uccidere quel gigante rabbioso.

 

 

 

Ore 9: 45

 

La porta del centro di accoglienza si spalancò subito dopo che Zack urlò il suo nome alla suora scarsa di udito che aveva risposto al citofono. Il fatto che quel vecchio manicomio fosse stato trasformato in un istituto per poveri e bisognosi aveva sempre messo ad Anya una certa soggezione, di conseguenza ben si guardava dall'averci a che fare. Il solo motivo per cui aveva accettato di seguire quel ragazzino fastidioso e giocherellone era dovuto al fatto che sembrava avere a che fare con ciò che era accaduto la notte di quattro giorni fa. Lei detestava che la sua vita calma e tranquilla, costruita con impegno e fatica, fosse crollata su se stessa improvvisamente e avrebbe voluto allontanarsi totalmente dalla sua famiglia che sembrava essere al corrente delle cose spaventose che erano accadute, tuttavia non riusciva a tenersi quell'esperienza al di là della realtà chiusa dentro di se, mentre tutte le persone continuavano ignare a vivere la vita di tutti i giorni.

< Di chi è quella macchina? >

Chiese Anya, prima di varcare la soglia dell'istituto, indicando con lo sguardo l'imponente limousine nera parcheggiata poco distante dall'entrata.

< Oh quella? Appartiene all'ospite di oggi. >

Rispose Zack con indifferenza, quasi come se fosse normale vedere un'auto così lussuosa parcheggiata di fronte a quel posto dimenticato da Dio in mezzo ai boschi della periferia. Lei non si dilungò in chiacchiere e, tirando un respiro profondo, superò l'entrata di quel posto che la aveva sempre, segretamente, intimorita. L'interno del centro di accoglienza era molto pittoresco, diviso in quattro piani: sala d'attesa, zone ricreative e cucina, dormitorio, uffici missioni. Al centro della struttura vi era poi un enorme chiostro ben tenuto e dalle colonne imponenti, con uno stupendo giardino fiorito e costantemente curato dalle suore.

< Anya! >

Esclamò una voce anziana che costrinse Anya ad alzare lo sguardo e portarlo verso il giardino baciato dai raggi solari. Così vide, per la prima volta, padre Josep vestito in borghese, senza nessuna tunica da prete perfettino, ma con un paio di jeans, una camicia a quadretti ed un paio di scarpe usurate della Nike. Vestito in quel modo semplice non dava l'idea di un settantenne che aveva passato la vita a predicare la domenica ed ad aiutare gli sventurati tutto il resto della settimana, ma un uomo d'affari durante il suo giorno di riposo.

< Salve. >

Salutò lei educatamente, mentre il prete si avvicinava, camminando sotto i raggi del sole che gli facevano scintillare i capelli bianchi pettinati con un riporto quasi esteticamente passabile.

< Piccola mia, da quanto tempo non ci parliamo! >

Esclamò lui raggiante.

< Già... >

Rispose Anya imbarazzata.

< Paparino, il signor Vernon è già arrivato? Ho visto la sua macchina qua davanti. >

Chiese Zack, portandosi le mani dietro la nuca, soddisfatto di aver adempito al compito che gli era stato affidato.

< Il signor Vernon... Certo. >

Ripeté Josep, perdendo l'allegria che aveva mostrato nel rivedere Anya.

< Zack, caro, potresti andare su in cucina e preparare un frullato al signor Vernon? Il viaggio gli ha messo molta fame e come sai lui non può mangiare normalmente come noi. >

< Ovviamente! Ci penso io, però prima devo correre a prendere la frutta al super mercato... Maledizione Anya dovevi andare a scuola così potevo procurarmi tutto! Oh non importa, ti perdono! >

Esclamò Zack raggiante, lanciandosi poi di corsa verso l'uscita, senza dare la possibilità ad Anya di salutarlo.

< Vieni Anya, seguimi. Tua madre e tua sorella sono arrivate poco fa. >

La invitò il prete, incamminandosi verso le scale che portavano direttamente all'ufficio missioni, senza passare per gli altri piani.

< Mia madre e mia sorella? >

Ripeté lei dubbiosa, già priva di motivazione alcuna per trovarsi in quel posto.

< Aspetti un secondo. Zack ha detto di sapere esattamente cosa era accaduto a casa mia! Del mostro che ha riempito di pugni mia sorella! Io sono venuta solo per questo! Cosa succede? Io non voglio avere niente a che fare con cose del genere, mai più! >

Josep toccò con fare paterno la spalla di Anya, che cessò di lamentarsi ed incontrò gli occhi del prete, colmi di una sorta di inspiegabile tristezza.

< Questo lo deciderà il signor Vernon. >

< Chi è il signor Vernon..? >

Chiese Anya, mentre sentiva la presa dell'anziano stringersi sulla sua spalle e la paura cominciare ad impadronirsi delle sue gambe.

< Anton "Spielberg" Vernon... E' una persona importante. Per favore Anya seguimi, avrai modo di esprimerti una volta giunti nella stanza dove è stato organizzato l'incontro con la tua famiglia. >

Anya deglutì e senza aggiungere nulla seguì padre Josep lungo le scale di pietra grigia e morta che portavano allo studio missioni. Quando scalarono l'intera struttura il prete spalancò la porta dell'unica stanza presente a quel piano e la invitò ad entrare. Lei obbedì senza discutere, celando comunque un alone di diffidenza, e varcò la soglia ritrovandosi in uno studio piuttosto grande. Vide la madre e la sorella sedute su un paio di sedie di legno e, di fronte a loro, due uomini che se ne stavano dietro ad una imponente scrivania. Il primo portava una uniforme scarlatta, aveva l'aspetto piuttosto anziano e se ne stava in piedi, in posa estremamente irrigidita, simile a quella dei militari durante l'attenti. Il secondo invece aveva decisamente l'aria più giovanile, gli occhi neri ed i capelli biondi piuttosto scompigliati e sudati, era vestito con dei pantaloni di seta scuri ed una maglietta attillata a maniche lunghe con il colletto alto e, al contrario del primo, se ne stava comodamente seduto sulla poltrona di pelle che stava dietro la scrivania, dando le spalle all'unica finestra della stanza. Sulle gambe di quest'ultimo vi era una sorta di marionetta, che sembrava riprodurre un lui più elegante, con i capelli di legno dipinto di giallo ben scolpiti e con un bello smoking che gli calzava a pennello.

< Tu devi essere Anya! Somigli molto a tuo padre! Prego siediti accanto a tua madre! >

Esclamò la marionetta, muovendo la testa e lo sguardo verso Anya con uno scatto improvviso che le fece gelare il sangue nelle vene. Una volta presa coscienza che quell'uomo seduto alla scrivania doveva essere un ventriloquo, o qualcosa di simile, tirò un grosso respiro e si sedette sulla sedia di fianco alla madre che le poggiò dolcemente una mano sulla spalla, forzando un sorriso. Nella testa della ragazza già vagavano milioni di domande sul chi fosse il proprietario della marionetta e quali relazioni potesse avere con il padre, visto che lo aveva nominato come si nomina un amico di vecchia data.

< Vi ringrazio per essere venuti Angela, Frozen, Anya e padre Josep. >

Disse l'elegante burattino, schioccando la bocca di legno.

< Per le due ragazze che non mi conoscono: Il mio nome è Anton Vernon, ma tutti mi chiamano "Spielberg" a causa di un piccolo, se così vogliamo chiamarlo, incidente sul lavoro di qualche anno fa, che mi accomuna al famelico squalo ideato dall'acclamato regista, ma non preoccupatevi, non mangio le persone, di questo potete starne certe. >

Aggiunse la marionetta, portando i suoi grossi occhi a sfera prima su Frozen poi su Anya, entrambe piuttosto stranite nel dover dialogare con un pupazzo manovrato da un uomo che se ne stava immobile senza batter ciglio, quasi fosse un cadavere.

< Signor Vernon, forse è il caso di passare agli argomenti seri. Queste due ragazze hanno avuto a che fare con un Sinner e non credo ci sia bisogno di presentarsi con un numero per bambini. >

Disse in tono autoritario l'uomo anziano di fianco ad Anton, che finalmente mosse la direzione dei propri occhi invece di far roteare quelli del pupazzo.

< E sia. >

Squittì la marionetta in tono allegro.

< Innanzi tutto, vorrei che la signorina Frozen venisse qua da me per verificare se ciò che alberga in lei è uno spirito superiore del bene o del male. >

Frozen sollevò lo sguardo, poi fissò la madre con timore, questa le mise la mano sulla spalla e la spronò ad alzarsi per raggiungere la scrivania. Lei si alzò poi, a passi molto lenti, si avvicinò al pupazzo che continuava a sgambettare allegramente, come se fosse un bambino di dieci anni.

< Allunga la mano verso di me. Non avere paura, non mordo. >

La rassicurò il burattino, posando lo sguardo sull'uomo che gli stava donando la sua voce, come se volesse indicarlo. Frozen allungò la mano destra verso Anton che a sua volta protese il braccio per toccarla. Le strinse la mano per diversi secondi, secondi dove regnò il silenzio più totale, poi con un cenno della testa la invitò a tornare sulla sedia.

< I miei complimenti Angela. Tua figlia ha dentro di se una entità del male sadica e potente, dall'aspetto di un volatile nero come la pece. Fossi in te sarei molto orgogliosa. >

Spiegò il pupazzo, mentre Frozen tornava al suo posto accanto alla madre che la scrutò con occhi intrisi d'amore, quasi come se volesse farle i complimenti.

< Frozen, tua madre ti avrà sicuramente spiegato che dentro ogni Saviour c'è un' entità superiore giusto? E può appartenere al bene ed al male, ma ciò non comporta rivalità perchè entrambe le fazioni sono schierate contro i Sinners. Vuoi dirmi dunque, se ti è stato insegnato, cosa comporta avere a che fare con una entità superiore appartenente alla fazione del male se si ha il sangue de Saviour che scorre nelle vene? >

Chiese Anton, sempre tramite il suo fidato assistente di legno.

Anya sporse la testa per poter vedere la sorella, dato che lei non sapeva minimamente di cosa stesse parlando quel pupazzo con tanta serietà. Frozen prese fiato, poi con il suo solito tono basso e timido rispose.

< Le creature superiori si dividono in due fazioni, quella del bene e quella del male. Solitamente se si ha a che fare con un'entità appartenente al bene allora ci è più facile dialogare con essa, in modo da generare un rapporto di amicizia che potrà consentire la collaborazione in caso di combattimenti contro un Sinner, dato che in quel caso l'entità in questione non prenderà totalmente il sopravvento e ci lascerà la mente libera in modo da creare un perfetto stato di "lavoro di squadra"... >

Frozen riprese fiato, incrociando per un secondo il volto di Anton che la intimò con un cenno a continuare.

< ... nel mio caso, o meglio, nel caso delle creature appartenenti alla fazione del male, risulta molto difficile riuscire a comunicare con loro e quindi stringere un rapporto di amicizia. Questo è dovuto al fatto che le entità superiori del male sono più forti e più solitarie di quelle del bene. >

Concluse, tirando un forte sospiro di sollievo, mentre vedeva la marionetta battere le sue mani di legno in segno di approvazione.

< Bene, sapendo questo allora sarai anche al corrente del fatto che, essendo lo spirito del male totalmente distaccato dal suo portatore, non potrai vedere tramite contatto fisico, come ho appena fatto io, se le persone hanno al loro interno un Sinner . Cosa che loro invece riusciranno a fare alla perfezione, dato che i soggetti infettati da un Sinners il più delle volte vivono in una sorta di sogno, mentre l'entità domina il loro corpo materiale. >

Angela emise un colpo di tosse, attirando l'attenzione dei presenti su di lei.

< Era questo ciò che mi premeva di più signor Vernon. >

< C'è una cosa più importante di cui discutere prima. >

La interruppe l'uomo in divisa, indicando con lo sguardo Anya che se ne stava rannicchiata sulla sedia, sentendosi totalmente estranea alla discussione.

< Giusto. >

Puntualizzò il pupazzo.

< Angela Saviour, quello che ha fatto, non mostrare alla sua primogenita ciò che è nata per essere, è stata una grave mancanza di rispetto nei miei confronti ed in quelli di suo marito, lo sa vero? >

Angela chinò la testa, sottomessa al rimprovero della marionetta.

< Anya Saviour, immagino che ora mai avrà compreso quale sarà il suo destino. >

Aggiunse il burattino, muovendo con uno scatto la testa verso sinistra.

< Quello che ha visto fare a sua sorella Frozen, se sarà necessario toccherà anche a lei. Questo perché nel suo sangue scorre la discendenza di una famiglia che ha combattuto delle entità nocive all'uomo sin dai tempi più antichi. Lei è un esorcista. >

Anya rimase in silenzio, digrignando i denti, poi si alzò dalla sedia e posseduta dall'ira sbatté con violenza i pugni sulla scrivania.

< Anya! >

La rimproverò la madre, nell'inutile tentativo di calmare la rabbia crescente nella testa della ragazza.

< No mamma! Io non ne posso più! Ho dovuto passare la vita sotto i sguardi accusatori degli abitanti di Sea Paradise, solo perché secondo la polizia mio padre è andato fuori di testa ed ha massacrato senza pietà dei bambini innocenti. La mia persona è stata marchiata prima che io potessi generare una qualsiasi personalità! E proprio quando ero riuscita a farmi valere, a far svanire la brutta reputazione basatasi sul mio cognome, prima fa irruzione in casa un pazzo, una sorta di mostro che bramava solo ammazzarmi, poi scopro che mia madre e mia sorella sono degli esorcisti di chissà quale setta ed infine mi ritrovo di fronte ad un accidenti di pupazzo che vuole dirmi cosa devo fare della mia vita! >

Urlò Anya, decisa a non rimanere un secondo di più soggiogata dalle stranezza che stavano divorando la sua vita negli ultimi giorni, distruggendola come una palla demolitrice fa a pezzi un palazzo di diciotto piani. Notò che il pupazzo stava per replicare a ciò che gli era appena stato detto, ma lei, non ben disposta verso i giochetti di quell'uomo, mise una mano sul volto di legno della marionetta e la schiacciò contro il petto del proprietario.

< Falla finita! Cosa accidenti hai da non essere in grado di parlare per conto tuo! Ti diverti a farci fare la figura dei bambini o cosa? Se vuoi replicare fallo con la tua bocca! STRONZO! >

In quel momento, mentre tutti fissavano la scena senza dire nulla, la porta della stanza si aprì e Zack vi entrò all'interno con in mano un enorme bicchiere stracolmo di liquido roseo. Senza curarsi del fatto che Anya stava letteralmente mancando di rispetto a molte persone, nel silenzio generale, si avvicinò ad Anton, porgendogli la strana bevanda.

< Frullato di frutta per il signor Spielberg! >

Esclamò, imitando la voce di un commesso da fast food e cercando con lo sguardo l'approvazione di padre Josep che tardò ad arrivare, vista la situazione.

< Ti ringrazio Zack. Sei davvero un bravo ragazzo. >

Rispose Anton senza muovere le labbra, grazie alla sua abilità di ventriloquo, afferrando poi il bicchiere e portandoselo al volto. Quando poi aprì la bocca per ingerire il frullato, Anya emise un urlo strozzato e si allontanò di scatto dalla scrivania, comprendendo in pochissimi secondi il perché del soprannome Spielberg ed il motivo per cui Anton Vernon non poteva mangiare "normalmente" come aveva detto padre Josep poco prima. I denti di quell'uomo erano come quelli di uno squalo, incisivi, canini, molari e premolari, avevano tutti la stessa forma, triangolare ed affilata.

< Capisci ragazzina perché il signor Vernon non parla come tutte le persone normali? >

Le chiese l'uomo in divisa scarlatta, senza scomporsi minimamente, mentre il suo padrone beveva il frullato stando ben attento a non far scontrare i denti della mascella inferiore con quelli superiori.

< Se egli muovesse la lingua, questa finirebbe per triturarsi dentro quella gabbia di smalto affilato, mentre se i denti si strofinassero tra loro gli causerebbero forti fastidi. I ventriloqui non hanno bisogno di muovere la bocca per parlare, ed essendo Anton Vernon figlio di un burattinaio, famoso per i suoi spettacoli, ha deciso di utilizzare questo metodo alternativo per comunicare con le persone. >

Anya ascoltò, ancora un po scossa, la spiegazione dell'uomo, mentre Anton si faceva passare dalla sua fedele marionetta un tovagliolo per pulirsi le labbra intrise di liquido roseo.

< Ti ringrazio Jhonatan. >

Disse il pupazzo, mettendo così a tacere l'uomo che tornò rigidamente sulla stessa posizione di attenti.

< Anya cara. Non è una cosa che mi piace fare, giudicare le persone, ma tu sei una ragazza molto egoista. Non pensi a tua madre? Devo ricordarti dove lavora? >

Anya non riuscì a ribattere e si sentì quasi schiacciata dalle parole del burattino. Su madre Angela lavorava come insegnante nella stessa scuola dove Judas aveva ucciso tutti quei bambini e non era certo ben vista ne dai colleghi ne dai genitori, motivo per cui stringeva quel lavoro con le unghie e con i denti visto che avevano cercato di licenziarla spesso.

< Dalla espressione sul tuo volto direi che la tua memoria sia stata rinfrescata. Adesso dove devo andare a parare? Che tua sorella porti un così pesante fardello oltre al fatto che, come tu hai detto, debba già sopportare il dolore di essere marchiata come la figlia di un assassino? >

Anton squadrò Anya poi fece fare capolino ai suoi denti affilati e spaventosi, sfoggiando il ghigno più terrificante che la ragazza avesse mai visto.

< Adesso vattene seduta. Lo spettacolo di questo mio burattino è appena iniziato. >

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Capitolo 8
*** L'assassino e l'eroe. ***


Cap: 08

L'assassino e l'eroe.

 

20 settembre 2006

Ore 10: 20

 

 

Bensì il fatto di essere scoperto lo preoccupasse e non poco, Kane stava procedendo, sulla sua vecchia bici corrosa dal tempo, lungo il parco centrale di Sea Paradise con una calma inumana. La lunga distesa verde era caratterizzata da molti alberi, diverse panchine sparse sotto le ombre della vegetazione e da tante piste ciclabili che la collegavano a qualsiasi zona della città. Se si allungava lo sguardo verso l'alto si potevano vedere i gabbiani svolazzare allegramente sull'azzurro piano divino, scrutando con indifferenza e giudicando tutte le creature che non erano in grado di alzarsi al loro livello.

Quando era piccolo Kane tentava sempre di avventarsi sulle ignare creature che si poggiavano sugli scogli, lo dimostrava il fatto che il suo corpo era costellato da tante piccole cicatrici dovute a brutte cadute, ma non era mai riuscito neanche a sfiorare una di quelle splendide e candide piume. Ripensando a quei momenti però, egli non poteva fare altro che sorridere ed essere contento di non averne mai catturato uno, dato che per lui vedere una di quelle creature in trappola avrebbe significato la caduta di un mito.

Riposando lo sguardo verso il basso si accorse ben presto che in quel posto, a quell'ora del mattino, c'era soltanto lui e che un piacevolissimo venticello stava iniziando a muovere gli alberi facendoli ondeggiare in modo sinistro. All'improvviso però la quiete fu interrotta dallo stridio del freno che Kane premette per evitare di investire una bambina che si era precipitata in mezzo alla pista nel tentativo di recuperare un palla fluorescente. La piccola rimase paralizzata per un attimo a causa del rumore freddo ed acuto che la aveva impaurita, premendo contro il suo petto il giocattolo che per poco non le faceva rimediare un biglietto per l'ospedale.

Kane sistemò il cavalletto e scese dalla bici in tutta tranquillità, incrociando lo sguardo imbarazzato e spaventato color nocciola della bambina.

< Ti sei persa? >

Mormorò con un filo di voce che andò a fondersi al vento dando l'impressione alla piccola di essere circondata da tante copie di quel ragazzo che la scrutavano in modo sinistro. Lei scosse il capo facendo ballonzolare le treccine color grano dietro al sua testa a destra ed a sinistra.

< Che ci fai qui? Dovresti essere a scuola... o all'asilo, perché no... >

Aggiunse lui, muovendo qualche lento passo e contorcendo le labbra in un piccolo ghigno, mentre gli occhi si stringevano mirando il bersaglio che stava di fronte a loro.

< Alice! Mi sono spaventato a morte! Cosa è successo? >

Tuonò una voce che ben presto venne impersonata da un uomo sulla quarantina piuttosto impaurito e sudato. L'uomo si avvicinò alla bambina e la strinse forte a se. Kane capì che quell'uomo doveva essere il padre e mutò la sua espressione tetra in una più cordiale.

< E' sbucata fuori all'improvviso, è stata una fortuna che mi sia fermato in tempo. >

Commentò poi, tornando in sella alla bici e sospirando.

< Mi scusi! Alice quante volte ti ho detto che devi stare attenta a dove vai! Ti saresti potuta fare male o peggio! >

Disse l'uomo, trascinando via la bambina con una certa violenza che, però, lasciava intravedere il terrore che aveva provato non appena il pensiero di perdere la figlia era entrato nella sua testa distruggendo tutto ciò che vi era all'interno e diventandone così il padrone assoluto.

< Sarebbe stato bello Alice... Che peccato... >

Sibilò Kane, mostrando i denti e leccandosi le labbra. Ricordava ancora quando iniziò a sentirsi attratto dalla purezza delle bambine che abitavano nel centro di accoglienza dove viveva. All'inizio si era sentito male, spesso si svegliava la notte e correva in bagno a vomitare, cercando in tutti i modi di reprimere quel maledetto istinto che gli avrebbe sicuramente fatto compiere qualche sciocchezza. Tuttavia, con il tempo cominciò ad essere divorato da quella malsana tentazione di violare l'innocenza di quelle piccole anime indifese e cominciò a sfogarsi da solo, come facevano tutti gli adolescenti della sua età, anche se i pensieri erano totalmente diversi dalla norma. Quando però un giorno fece ciò che tutti consigliavano di fare per liberarsi dalla sofferenza causata da quei disturbi: Ne parlò con qualcuno. Dopo averlo fatto finalmente si sentì meglio, infinitamente meglio.

Tornando indietro con la mente e ricordando la paura seguita poi da una sensazione che lui riusciva ad accomunare solo a quella che provavano i gabbiani mentre volavano liberi nell'aria, Kane uscì dal parco e raggiunse finalmente l'ospedale psichiatrico. Notò che di fronte ad esso vi era parcheggiata una volante della polizia, cosa che gli fece saltare il cuore in gola dato che sicuramente due tutori della legge non si trovavano lì per puro caso dopo i recenti avvenimenti.

Una volta entrato all'interno della struttura chiese le indicazioni per raggiungere la stanza di Brutus, spacciandosi però prima per un suo amico venuto da fuori città in preda alla preoccupazione. Attraversando i corridoi, talmente bianchi da far male agli occhi, portò qualche sguardo dentro le camere che precedevano quella che lui stava cercando. Ebbe l'occasione di vedere persone legate ai letti, altre raccolte insieme ed intente a camminare senza motivo o a discutere da sole, infine un paziente catturò la sua attenzione. Riusciva a vederlo oltre il lucido vetro di cristallo, con lo sguardo perso nel vuoto, la testa china e i lunghi capelli neri crespi che cadevano sulle candide lenzuola creando un contrasto artistico sorprendente. In quel momento una donna aprì la porta, si trattava di un'anziana infermiera con un flacone di medicine alla mano, il volto usurato dal tempo ed un paio di grossi occhiali che la facevano somigliare ad un tafano irritato.

< E' un conoscente? >

Mugugnò, fissando Kane e tirando una smorfia di disgusto per dio solo sa cosa.

< No... Mi ha incuriosito il fatto che se ne stava li immobile e non sono riuscito a fare a meno di fissarlo... Chi è? >

Chiese Kane, tentando di non incrociare lo sguardo della vecchia e tornando a fissare il paziente che non accennava a muoversi.

< Ma dove vive? Quello è Isac Foster... Uno degli indiziati per la strage di bambini avvenuta quattordici anni fa, dove perse la vita anche Judas Saviour. >

< Sapevo che Judas Saviour fu etichettato come colpevole... >

La donna storse lo sguardo e sospirò, facendo capire a Kane che aveva sicuramente di meglio da fare che riesumare una storia tragica e macabra accaduta anni prima, quando magari il suo aspetto era ancora godibile per qualcuno.

< Se l'unico testimone sa solo ripetere con voce disperata "Ho ucciso Judas Saviour", i bambini parlano di un mostro divora uomini ed il caso rimane irrisolto le persone tendono a dare la colpa a chi non ha potuto avere voce in capitolo... ed i morti non possono parlare. >

Puntualizzò la vecchia, aggiustandosi gli occhiali e voltando la testa verso Isac.

< Anche se... Forse Judas, colpevole o no che sia, è stato quello a cui il fato ha sorriso di più. >

< Cosa intende dire signora? >

< Che razza di vita si potrà mai trascorrere quando nella tua mente giace o un mostro che fa a pezzi i tuoi compagni di classe oppure il ricordo di aver ammazzato a sangue freddo il tuo migliore amico? Provi a farci un pensierino. >

Concluse poi in tono sconsolato, lasciando Kane a fissare quell'uomo vivo nel corpo ma morto nell'anima.

< Isac Foster... >

Mormorò, cercando di intravedere, tra la selva nera di capelli, gli occhi o magari il volto di quel dannato. All'improvviso sembrò che egli sollevasse la testa, facendo saltare in aria i capelli a causa del movimento improvviso e mostrando il volto pallido e talmente magro da far risalire i tratti del teschio. I bulbi oculari color pece divorarono Kane che vide un enorme essere dalla forma umanoide, le mani estremamente grandi e dotate di gigantesche unghie violacee, le gambe divorate da una fitta cortina di fumo oscura e tetra che le avvolgeva singolarmente una per una, gli occhi scarlatti, le fauci possenti, due gigantesche protuberanze giallastre a forma di corna che fuoriuscivano dalle scapole per poi protendersi verso il cielo e la pelle composta da squame nerastre e luccicanti come il metallo colpito dal sole estivo.

< JUDAS SAVIOUR! JUDAS SAVIOUR! JUDAS SAVIOUR! >

Rimbombò come mille sussurri nella testa di Kane, mentre questo si lasciò cadere a terra in preda a quello che poteva sembrare un attacco d'asma. Quando toccò il gelido pavimento del corridoio ospedaliero riuscì a riprendersi dalla crisi respiratoria, emettendo anche un grido soffocato, si alzò di scatto e notò che Isac non si era minimamente mosso, al contrario di ciò che però aveva visto nel lasso di due secondi.

 

 

Ore 10: 40

 

 

Per Anya era già troppo essere la figlia di un presunto assassino di bambini e venire a sapere che adesso era anche la figlia della stirpe prescelta per combattere dei mostri chiamati Sinners le aveva totalmente demolito ogni speranza di avere una vita normale. Lasciò scivolare la sua schiena sulla sedia e fece cadere gli occhi sul pavimento, mentre Anton, o meglio il suo pupazzo, continuava a spiegarle la lunga storia della sua famiglia. Anche se non la vedeva, sapeva senza dubbio che la madre la stava scrutando col timore di una possibile reazione sgarbata nei riguardi di tutti, ma quella era una preoccupazione inutile, dato che la visione della dentatura di Anton la aveva terrorizzata a tal punto da evitare di far arrabbiare una persona del genere.

Ascoltando la lezione della marionetta aveva compreso il perché Dylan fosse svenuto alla vista del Sinner di Brutus, mentre lei era rimasta cosciente e soprattutto era riuscita a capire come Frozen avesse potuto combattere una simile entità. L'idea che anche dentro di lei ci fosse una sorta di spirito, pronto a venire fuori e controllarla a suo piacimento, le faceva stringere il cuore dalla paura ed il ricordo della furia omicida della sorella che combatteva dilaniando l'avversario con i denti non le era certamente di aiuto.

< E questo è tutto. >

Concluse il pupazzo, portandosi la mano rigida e legnosa sulla fronte, come se dovesse asciugare il sudore dovuto ad una giornata lavorativa. Il silenzio regnò per qualche secondo, e gli sguardi ricaddero su Anya, come se tutti fossero in attesa di una sua risposta. Non sapeva cosa avrebbe dovuto dire, ne cosa avrebbe dovuto fare, in effetti non c'erano reazioni da cui prendere spunto per una situazione del genere.

< Signor Vernon... >

Mormorò Angela, attirando l'attenzione e gli occhi della marionetta su di lei.

< ... Se non le spiace. Sono sicura che Anya ha capito perfettamente la situazione, non è una stupida, ma anche la più brillante delle menti rimarrebbe interdetta di fronte ad una rivelazione come questa perciò... >

< Signora Saviour... >

La interruppe l'uomo con la divisa scarlatta di fianco ad Anton.

< ... Si rende conto che i Sinners minacciano questo mondo da anni? Lei più di tutti in questa stanza dovrebbe sapere cosa si prova ad avere una di quelle creature dentro se stessi giusto? E' solo colpa sua se abbiamo rischiato di perdere un soggetto prezioso per la nostra guerra come la sua primogenita, perciò non venga a cercare scuse per sua figlia, piuttosto cerchi di porle per giustificare la sua terribile condotta come moglie di Judas Saviour. >

Tuonò l'uomo, senza però scomporsi dalla sua posizione di attenti.

< Sì... Lo so che quello che ho fatto è stato quasi come un tradimento nei vostri confronti signor Vernon e me ne scuso... E' solo che dopo aver visto Judas disperarsi per il fatto di aver avuto come solo scopo nella vita combattere mostri e dopo aver visto Anya a quattro anni disperata per la morte del padre, non me la sono sentita di rivelarle ciò che c'era nel suo sangue. >

Ci fu un breve silenzio, interrotto soltanto dai lievi schiocchi prodotti dagli occhi del burattino che si spostavano a destra ed a sinistra.

< La perdoni signor Spielberg! Ha sempre detto che Angela è una donna rigida e fiscale per quanto riguarda i Sinners. Non lo può aver fatto con cattive intenzioni! Voleva solo evitare ulteriore dolore alla figlia! Secondo me è una madre fantastica e merita di essere trattata come tale! >

Esclamò Zack, sorridendo prima ad Angela e poi ad Anton.

< E'... E' così... Io ho scoperto tutto per caso, non si sarebbe mai permessa di farmi entrare in questo mondo così violento senza la mia approvazione. >

Lo supportò Frozen con un filo di voce, evitando però di incrociare gli enormi occhi lucidi della marionetta. Anton sospirò, poi fissò Anya che se ne stava ancora immobile, intenta a rimuginare su tutto ciò che aveva scoperto.

< Anya Saviour... Tu detesti tuo padre? >

Le chiese, senza però utilizzare il pupazzo. Quel gesto risvegliò Anya dalla sua trans temporanea, quasi come se in quel modo Anton avesse dimostrato una sorta di contatto più caldo e piacevole.

< Ci ho provato... >

Mormorò.

< ... Ma non ci sono mai riuscita. >

< Vuoi sapere la verità su cosa è accaduto quel giorno? Quando lui morì? >

Anya sollevò lo sguardo incredula, pensava di averne abbastanza di rivelazioni, ma quella era una cosa che doveva sapere a tutto i costi.

< Io vado a farmi una passeggiata! >

Disse Zack in tono annoiato.

< La ho già sentita troppe volte questa storia. >

Aggiunse poi allegramente e sbattendo la porta uscendo.

< Sempre la solita allegra insolenza. >

Sbottò padre Josep, accennando un sorriso e tirando un forte sospiro. Nonostante Zack si dimostrasse il più delle volte irrispettoso e fin troppo vivace non riusciva a rimproverarlo. In un certo senso quel ragazzo, nonostante ciò che aveva dovuto passare per nascere e nonostante la perdita della madre, sparita in circostanze misteriose, gli faceva pensare che a questo mondo c'erano delle persone che da sole potevano superare le forze del male semplicemente con un sorriso.

< Lasci stare padre Josep, anzi direi che Angela Saviour non sia l'unica a meritarsi dei complimenti per come ha cresciuto dei bambini. >

Lo tranquillizzò Anton, tornando poi a fissare Anya in attesa di una risposta.

La ragazza rimase in silenzio, ancora una volta il continuo di quella riunione dipendeva da lei e da ciò che avrebbe detto.

< Sì.. Voglio sapere la verità. >

Disse in tono deciso, pronta a sapere cosa fosse realmente accaduto a suo padre.

< Bene Anya. Innanzi tutto devi sapere che tuo padre, nonostante eliminasse i Sinners, nutriva una sorta di pietà verso queste creature rifiutate da tutto e tutti. A dire la verità egli era un uomo sin troppo buono, il mondo non se lo meritava affatto. Già da prima che tu venissi alla luce, Judas stava svolgendo una importantissima ricerca su come entrare in contatto con i Sinners in modo da poterci parlare senza pericolo e trovare una soluzione per porre fine a quel massacro continuava da troppi anni.

Riuscì a comprendere che ogni Sinners aveva bisogno di sacrifici materiali od emotivi per vivere e soprattutto riuscì ad ideare un modo per richiamarli. Come le creature che dimorano dentro i Saviour, i Sinners non hanno un aspetto che noi non possiamo vedere, allorché siamo legati a questa realtà e non possiamo vedere ciò che non possiamo comprendere. Di conseguenza queste entità prendono l'aspetto di mostri o di animali, cose che i Saviour ed i portatori di Sinners riescono a vedere basandosi su ciò che esiste nella realtà materiale. Tuo padre, sapendo che molti di questi spiriti vennero utilizzati come divinità, cominciò a realizzare l'aspetto dei Sinners secondo le testimonianze religiose. Una volta generate le immagini allora tentò di creare un oggetto che, se collegato alla giusta persona, avrebbe potuto evocare il Sinner. Insomma, per farti capire meglio: Brutus era un violento ed il Sinner che lo ha infettato era un essere che voleva azioni violente per rinforzarsi.

Prima di morire Judas portò a termine un solo oggetto, sotto forma di medaglione con su scolpito il volto del Sinner. Tuttavia dopo accurate ricerche scoprimmo che l'entità in questione era troppo pericolosa per essere evocata. Suggerì così io stesso a Judas di tentare nuovamente, ma poco dopo lui morì. Morì perché il suo migliore amico, Isac Foster, fu posseduto da un Sinner talmente potente da essere immune agli esorcismi di alcun tipo e che necessitava della vendetta per vivere. Ancora oggi non abbiamo idea di come un essere così maestoso e forte possa essersi manifestato, ma siamo certi che Judas riuscì a fermarlo nell'unico modo possibile: usando le regole che dominano i Sinners. Soddisfacendo il suo bisogno egli lo mise a tacere assieme al corpo ospite in un ospedale psichiatrico. >

< E quale era il suo bisogno? >

< Uccidere la persona che si odiava di più. >

Rispose Anton, facendo calare il silenzio per diversi secondi.

< Uccidendo Judas, Isac perse il suo istinto di vendetta e sia il Sinner che il suo corpo diventarono delle marionette ciondolanti. >

Spiegò, facendo imitare al suo burattino la posa delle marionette appese ai fili che ciondolano prive di vita come degli impiccati.

< Io non so perché Isac odiasse così tanto il suo migliore amico, ma una cosa è certa: tuo padre ha probabilmente salvato questo mondo da una delle maggiori minacce esistenti, vista la potenza distruttiva del Sinner in questione ed il fatto che nessuna entità all'interno del corpo dei Saviour potesse minimamente rivaleggiare con esso, dubito fortemente che la razza umana avrebbe avuto qualche speranza. Anya, tuo padre non è un assassino, ma un eroe. >

"Eroe", quella parola risuonò più e più volte nella sua mente. In un solo giorno aveva perso la normalità che tanto amava, ma ora che sapeva la verità quasi non le importava più. Lei si era costruita una vita sulla base di un padre assassino e sapere che invece questo era tutt'altra cosa le aveva fatto capire che ciò che si era creata era una menzogna, come lo era l'etichetta che era stata data a suo padre. In un certo senso si sentiva come superiore agli altri, solo per il semplice fatto di sapere che questo mondo ne nascondeva un altro tutto da scoprire e, come quando si vuole lavorare per ottenere il primo stipendio quando si è adolescenti, sentiva quasi di voler provare ad essere ciò che suo padre era stato in vita.

< E' la verità, mamma? >

Chiese poi, quasi come se volesse la conferma di ciò che era Anton le aveva detto.

< Sì. Lo è... Papà ha sacrificato se stesso per incatenare quel mostro... Visto che il Sinner avrebbe reagito se fosse stato attaccato fu deciso che sarebbe stato meglio se Isac vivesse i suoi ultimi giorni nello stato di coma in cui si ritrova... >

< Proprio così. >

Concluse il pupazzo di Anton muovendo la bocca di legno un paio di volte.

< Adesso che siamo entrati in argomento, Angela cosa volevi dirmi riguardo al Sinner che vi ha attaccate? >

Chiese poi la marionetta, incrociando le braccia ed accavallando le gambe.

< Quel Sinner era diverso. >

< Diverso? >

< Ovviamente sappiamo che i Sinners vagano nel mondo da molto tempo e che cercano le occasioni migliori ed i soggetti più adatti per dare luogo ad una possessione che dovrebbe "anestetizzare" ogni volontà dell'ospite. Quello che ci ha attaccate invece ha detto che non voleva più tornare in una prigione e doveva uccidere Anya perché Brutus lo voleva... insomma... è normale questo? Brutus sembrava davvero desiderare ciò che stava facendo, tanto è che non appena esorcizzato ha tentato di uccidermi comunque. >

Anton socchiuse gli occhi e tirò un forte sospiro, facendo intendere ad Angela che la spiegazione non sarebbe stata semplice come sperava.

< Se ben ricordo sono sparite alcune delle carte riguardanti i Sinners quando tuo marito è morto... Avevamo ipotizzato un suo tentativo di combattere il fuoco con il fuoco o semplicemente perché voleva dedicarsi alla creazione degli oggetti che gli avevo chiesto... però... >

< Però... ? >

< ... Però, come il medaglione in tuo possesso, Judas aveva creato qualcosa che andava oltre i normali Sinners. Egli era riuscito a riprodurre le entità più potenti delle schiere, che vennero sigillate allorché troppo potenti da poterle piegare con una semplice punizione. Se Brutus avesse trovato quelle carte forse... no... Impossibile... quello lì non sarebbe in grado di creare l'oggetto adatto all'evocazione di un Sinners che a quanto mi hai detto, prima che Anya arrivasse, è riuscito a prendere a pugni Frozen che ospita dentro di se un'entità del male discretamente potente. >

< Mentre delirava, Brutus ha detto " benedico il giorno in cui quel tipo mi ha donato questa creatura che adesso vive dentro di me". >

Lo interruppe Anya, sorprendendosi da sola riguardo all'interessamento che la aveva pervasa.

< Interessante. >

Commentò la marionetta.

< Se c'è qualcuno in grado di capire ed applicare gli esperimenti di Judas allora dobbiamo solo augurarci che non ci siano esseri potenti come quello che dimora dentro Isac Foster... >

Aggiunse poi, cadendo lentamente con il volto sul tavolo, mentre il suo padrone si alzava in modo educato e composto.

< Allora Anya... Ti affido a tua madre, lei ha già dimostrato di saper insegnare cosa significa essere un Saviour. Mi dispiace se sono stato rude, ma non c'era altro modo... Anche se quella tua sfuriata mi ha ricordato i tempi in cui tuo padre si infuriava perché non davamo credito ai sentimenti di tutti gli esseri viventi, Sinners compresi.

Ti ringrazio per il tuo tempo. >

< Si figuri signor Spielberg. >

Rispose Anya, alzandosi in piedi e porgendo la mano ad Anton che, nel vedere una rinnovata sicurezza nell'espressione della ragazza, fece fare capolino ai suoi denti sfoggiando un terribile ed affilato sorriso.

< Tuo padre era una peste, lo ha inventato lui... Spielberg... Lo ho aggiunto come secondo nome per ricordarlo, davvero un tipo geniale... >

Spiegò Anton, stringendo la mano di Anya.

 

 

Ore 11: 05

 

 

Kane era entrato da pochi minuti nella stanza dove era stato sistemato Brutus. Assieme a lui vi erano due poliziotti che tentavano di comunicare con il gigante, ma senza riuscirci in modo decente.

< Lo hai fatto apposta? >

Bisbigliò Elay stringendo i pugni. Inutile dire che parlare con l'uomo che aveva quasi ammazzato la sua amica le faceva ribollire il sangue nelle vene, senza contare che in quel momento il processo era stato rimandato e forse si sarebbe addirittura concluso con l'infermità mentale.

< Cosa? Cosa?... >

Sibilò Brutus, facendo roteare gli occhi e sorridendo come un imbecille. Sentirlo parlare con quel vocione mentre aveva l'espressione di un idiota dotato di un massimo record di due neuroni generò una leggere voglia di ridere in Kane che però dovette trattenersi.

< Smettila di recitare... >

Ringhiò la poliziotta in preda alla rabbia.

< Elay, forse non sta fingendo... >

Disse Justin, che sembrava provare pena per quel povero malato di testa che continuava a ridere come se stesse per morire soffocato dal singhiozzo.

< .. Guardate guardate... Serve dei dolci così buoni, le bambine ne devono andare matte! ... >

Esclamò Brutus portando i suoi occhi malati e dondolati verso Kane che sentì il cuore stringerglisi e strizzarsi come un panno appena lavato.

<... Ehi poliziotta otta otta ... Perché non prende la sua amica e va a prendersi un bignè alla crema? Visto che non la dà a nessuno allora mettere su kili non sarà un problema! E intanto le bambine saltano la catena rossa rossa rossa, guardale come sono felici! PICCOLA STRONZA BASTARDA PERCHE' LEI E' FELICE?? PUTTANA PUTTANA!!! >

Urlò poi tentando di saltare addosso ad Elay, rimanendo però bloccato dalle cinghie del letto.

< Dove cazzo sei!! Voglio i soldi per i dolci! I dolci maledizione! Devo ammazzare quella troia... La droga... La droga per mia madre vi prego... vi prego... datemi i soldi signore verrò con lei ... Oddio... >

Continuò, delirando e lasciandosi cadere disperato e privo di forze sul letto. Elay lo fissò inorridita, senza sapere come comportarsi di fronte ad un essere così malato. Era venuta solo per sapere il perché Brutus avesse attaccato Angela, ma evidentemente si trattava sul serio di una paranoia mentale del gigante che era invidioso di Anya e della sua famiglia.

< Kane! Fatemi parlare con Kane! >

Urlò Brutus, tentando inutilmente di liberarsi dalle cinghie strette ai polsi ed alle caviglie. I due poliziotti si voltarono verso il ragazzo che avevano alle loro spalle.

< Sono io... >

Disse lui, avvicinandosi al lettino.

< Vieni qua ... E' un segreto... eto... ettino ... >

Sibilò l'uomo, costringendo Kane, sotto gli occhi increduli di Elay e Justin, ad abbassarsi per essere il più vicino possibile.

< Lo hai visto quello là? Lo hai visto sì? Sì che lo hai visto... Tu non ti devi preoccupare con me starai bene, non dirò nulla a nessuno... E' il più grande dolore separarsi da loro... Potessi riaverlo indietro ci vorrei scopare ... Si... Anche quella Anya non era male aveva delle belle tette... Portami della droga quando puoi! Mi serve... La mamma ... Per favore ... >

Kane tirò indietro la testa lentamente, inspirando con sollievo. Bensì Brutus stesse dicendo svariate cose senza senso, non gli era stato difficile capire a cosa si riferisse con quel "E' il più grande dolore separarsi da loro". Egli si riferiva alle entità che stavano dentro di loro, quelle che li facevano sentire diversi e superiori, come il gabbiano che scruta chi non è in grado di volare accanto a lui. Evidentemente lui e Brutus non erano poi così diversi, in fin dei conti neanche Kane sarebbe stato in grado di privare qualcuno di una cosa che faceva stare così bene, neppure il suo peggior nemico.

< Posso sapere cosa ti ha detto? >

Chiese Elay.

< Elay... Potrebbe essere un parente, piantala! >

La ammonì Justin.

< Mi ha chiesto... bé... >

Mormorò Kane in tono insicuro.

< Ti ha chiesto? >

< Mi ha chiesto... di portargli i dolci che ha comprato da me prima che facesse ciò che ha fatto tutto qui. >

Rispose infine, cercando di sembrare più naturale possibile.

< Capisco... >

Commentò Elay.

< Bé... Arrivederci... >

Salutò Kane sogghignando, mentre udiva ancora, uscendo dalla stanza, i discorsi senza senso i Brutus.

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Capitolo 9
*** Ciò che piace ai Sinners. ***


Cap: 09

Ciò che piace ai Sinners.

 

13 Ottobre 2006

Ore 23: 30

 

 

Il freddo cominciava ad abbracciare anche quella cittadina che, fino a qualche settimana prima, era uno dei luoghi più caldi e soleggiati. Il buio attanagliava numerose strade, trasformandole nei ritrovi di persone sfortunate e violente. I lampioni tentano di dare un aspetto più sicuro a piacevole ai marciapiedi ed ai parchi, ma la loro fioca luce biancastra riesce solo a peggiorare la situazione.

Certamente, Sea Paradise potrebbe essere paragonata ad un paradiso, come suggerisce il suo nome, ma solo di giorno, quando i raggi di calore e potere scacciano i diavoli, costringendoli a rifugiarsi lontano dagli innocenti. Durante la notte però, i demoni escono dalle loro caverne, riparati dal mantello nero fornitogli dalle nuvole ed armati della paura dell'atmosfera notturna. Loro si sentono padroni della città e se qualcuno osa uscire di casa ed invadere il loro territorio allora è il momento di aggredirlo e rubargli tutto ciò che possiede inclusa, alle volte, anche la vita.

C'è però una cosa che questi diavoli non hanno mai imparato o che impareranno troppo tardi: di demoni a Sea Paradise ce ne sono di due tipi, quelli che ne hanno solo il nome e quelli che lo sono di fatto.

In uno dei vicoli si possono udire dei singhiozzi deboli ed affaticati. Singhiozzi preceduti prima da uno sparo, dal grido di una donna e poi da un secondo sparo ancora.

< Razza di imbecille che ti è saltato in testa? E se qualcuno avesse udito lo sparo!? >

Sbraitò Carl, uno dei rapinatori, chinandosi sul cadavere di una donna, di una madre, e tentando di slacciarle la collana di pelle che posava sopra la camicetta intrisa di sangue.

< Non se ne stavano fermi... E' stato un riflesso incondizionato... Non volevo... >

Balbettò Ricky, il compagno, con la voce cosparsa di nevrosi e paura. Di fronte ai due vi era una coppia di cadaveri, un uomo ed una donna, distesi sul loro sangue e, in mezzo ai due corpi, c'era una bambina che tentava disperatamente di svegliare il padre che la fissava con gli occhi spenti.

< Papà! Mamma! Papà! >

Strillò la piccola Jennifer, mentre le punte dei suo capelli corvini si macchiavano di sangue ed i suoi splendidi occhietti verdi venivano divorati dalle lacrime.

< Spara anche a questa qui. >

Ordinò Carl, cercando di infilarsi in tasca tutto quello che era riuscito ad arraffare. Nell'udire quelle parole il compagno venne ulteriormente pervaso dal tremore, che già si era impossessato di lui. Che Carl fosse stato un poco di buono Ricky lo aveva sempre saputo, ma addirittura sparare ad una bambina di circa dieci anni?

< Sei sordo? Spara! >

Tuonò l'uomo, costringendo le braccia di Ricky a puntare verso il viso della piccola in lacrime.

< Perché spararle? Abbiamo i soldi... Lasciamola stare... >

Si oppose Ricky, assicurandosi che la sua ansia non gli facesse partire nuovamente un proiettile imprevisto.

< Imbecille! Quante volte te lo ho spiegato? Gli adulti non denunciano il più delle volte perché hanno paura di immischiarsi in qualche disastro! Noi gli facciamo una paura diversa da quella che incutiamo ai bambini! Se questa bambina avrà l'opportunità di parlare alla polizia saremo fottuti! E ADESSO SPARA. >

Ricky cominciò a sudare. Quando aveva deciso, per disperazione, ad aiutare l'amico non si sarebbe mai aspettato che sarebbe andata in quel modo.

< Non ce la posso fare... Io non... >

Balbettò, notando poi la nota di rabbia nel volto di Carl che gli strappo la pistola di mano.

< Fottiti Ricky. >

Lo insultò poi, puntando l'arma sulla piccola Jennifer.

Improvvisamente però una risata femminile fece spostare la direzione dell'arma al rapinatore, che andò a puntarla alla sua destra, dove vi era un altro vicolo ancor più oscuro di quello dove si trovavano lui, Ricky e Jennifer.

< C'è qualcuno? >

Chiese Carl al buio, ma nessuno rispose, o meglio, non rispose come voleva lui. Una seconda risata, identica alla precedente risuonò per la piccola strada oscura, facendo accapponare la pelle a Ricky che, involontariamente, si avvicinò al compagno, quasi come se volesse essere protetto.

La risata si ripeté ancora, poi ci fu il totale silenzio, fino a che una sorta di rumore, simile ad un tintinnio di monete si fece largo lungo i timpani dei due rapinatori.

< CHI CAZZO C'E' LAGGIU'! ?>

Urlò Carl, agitando l'arma e facendo qualche passo in avanti furioso. Ma la rabbia dell'uomo ebbe breve durata, perché una sorta di lungo oggetto metallico color cremisi fuoriuscì dal buio, si annodò sulla sua pistola e glie la portò via di mano, facendo sparire con essa anche il poco coraggio che era rimasto nel corpo di Ricky che, dopo aver visto quella lunga catena rientrare nel buio, esplose in un grido di terrore e si mise a correre verso le strade illuminate dalla luce.

< Dove vai?! Torna qui! >

Sbraitò Carl, tentando di seguire il compagno in fuga, ma inciampando su qualcosa e cadendo a terra con il volto sul sangue dei due sposi defunti da pochi minuti. Tentò di alzarsi, ma non vi riuscì e si accorse che una lunga catena scarlatta, proveniente dal vicolo, si era annodata ai suoi piedi. Tirò un forte strattone, nella disperata speranza di trascinarsi lontano da chiunque vi fosse dall'altra parte del capo metallico, ma fu tutto inutile. Pochi secondi dopo una nuova catena squarciò le tenebre e si piazzò sulla bocca del rapinatore, cominciando a tirarlo brutalmente. L'uomo oppose resistenza, dando così motivo gli anelli di tirare via la carne sulle sue labbra.

Un urlo agghiacciante rimbombò per il vicolo, mentre la testa del rapinatore veniva come tagliata in due parti, una superiore ed una inferiore. Jennifer si tappò le orecchie e chiuse gli occhi, il suo piccolo cuore era sull'orlo di impazzire e la sua testa stava per saltare letteralmente in aria.

Carl venne torturato per circa un minuto, fino a che uno sparo pose fine alle sue urla disperate, facendogli affondare il volto nella pozza di sangue che lui stesso aveva generato.

< Putrido animale privo di ali. >

Commentò Kane, lasciando cadere la pistola sul corpo del proprietario, mentre le catene color cremisi si rintanavano nell'ombra.

< Prendi l'altro. >

Aggiunse poi il ragazzo dai capelli rossi, come se stesse parlando con un'altra persona, per poi portare il suo sguardo verso Jennifer, ancora intenta a cercare di non vedere cosa stava accadendo. Si avvicinò a lei lentamente, senza nascondere la tremarella dovuta all'eccitazione di aver trovato una preda così facile, poi si chinò e le accarezzò la testa.

< Piccola... Non preoccuparti... Presto ti dimenticherai di questa esperienza, di tuo padre e di tua madre. Però prima... Dovrai rendere felice me... >

 

Ore 23: 50

 

 

Ricky stava correndo da circa dieci minuti, senza mai voltarsi alle spalle. Sapeva che Carl non lo stava seguendo, lo aveva intuito dagli urli di dolore sentiti prima di allontanarsi del tutto dalla zona dove aveva appena ucciso due innocenti. Il fatto che Carl fosse vivo o meno non lo preoccupava più di tanto, voleva solo scappare, allontanarsi da tutto quell'orrore che aveva visto e generato.

Continuando a correre giunse, senza accorgersene, all'interno del parco centrale, dove la luce era decisamente più intensa, rispetto a quella dei vicoli.

Sfinito si fermò qualche secondo per riprendere fiato, piegandosi in avanti e sputando sull'asfalto della pista ciclabile.

< Signore non trovo la mia palla... >

Sibilò una voce debole e triste. Ricky si irrigidì dal terrore nel vedere l'ombra sul terreno di qualcuno che stava di fronte a lui. Alzò con insicurezza la testa, per poi schizzare in posizione eretta non appena vide le condizioni della bambina che si era posata davanti ai suoi occhi.

La sua pelle era bianca, adornata dai rilievi delle vene, il suo corpo semi-svestito e talmente magro da mettere in esposizione tutte le costole dove, al centro di esse, risedeva un grosso anello rossastro da cui ne partivano altri molto più piccoli che formavano centinaia di altre piccole catene che entravano ed uscivano dalla carne della bimbetta, tingendo il suo pallidume con il colore del sangue che grondava all'infinito.

< O Mio dio... o mio dio >

Balbettò Ricky, voltandosi ed iniziando a correre verso l'uscita del parco che si chiuse, spinta da una forza misteriosa, producendo un sinistro rumore metallico dovuto alla serratura del cancello.

Preso dalla disperazione più nera il rapinatore insicuro e terrorizzato si voltò e si lanciò verso destra, sperando di trovare un'altra uscita.

< Cosa sta succedendo, cosa sta succedendo... La mia mente deve essere impazzita... >

Disse a se stesso, mentre con la coda dell'occhio non riuscì a fare a meno di non guardare la macabra bambina che continuava a tendere la mano verso di lui con una smorfia di dolore sul volto.

Continuando a correre sull'erba giunse verso un'altra uscita, ma quello che vi era di fronte ad essa gli fece passare qualsiasi voglia di attraversarla.

Altre tre bambine, identiche alla prima, si erano piazzate proprio di fronte all'uscita. Due di esse stavano facendo roteare una grossa catena nera che le univa agganciandosi agli anelli rossi che si ergevano imponenti sul loro petto, mentre la terza era intenta a saltare il filo metallico come se fosse il gioco della fune che tutti i bambini fanno durante la ricreazione.

Non appena Ricky si fermò e rimase immobile a fissarle, le tre bambine, che stavano tenendo lo sguardo basso, si voltarono di scatto contemporaneamente e portarono i propri occhi su di lui.

< Non è possibile... >

Disse disperato, sentendo poi qualcosa attaccarsi alla sua gamba destra.

< Signore vuole giocare a nascondino? Ma la avverto, sono molto brava... >

Squittì una quinta bambina che si era appena arrampicata sui pantaloni di Ricky che, appena posò gli occhi su di lei, non riuscì a fare a meno di urlare. Tentò la fuga, ma la presa dalla piccola e cadaverica bimba sembrava quella di una morsa d'acciaio. Disperato, posò le mani sulla testa sporca di sangue della bambina e tentò di spingerla via, ma fu tutto inutile.

Lentamente le tre bambine che stavano giocando di fronte all'uscita cominciarono ad avvicinarsi a lui, facendolo cadere ancora di più nella paura più pura che lo portò a riempire di pugni la testa della piccola che lo stava trattenendo. Alla fine, una seconda mano si posò su di lui che, senza voltarsi, capì immediatamente a chi apparteneva.

< Ha trovato la mia palla? >

 

 

14 ottobre 2006

Ore 7: 45

 

Frozen si sedette sul posto accanto alla sorella, mentre l'autobus lasciava la fermata di fronte a casa loro per dirigersi verso la scuola. Da quando Brutus aveva attaccato Anya il rapporto tra di loro si era come rafforzato, o meglio, si era creato. Benché fossero sorelle Frozen ed Anya non avevano mai condiviso niente, se non il sangue dei Saviour e qualche battibecco, visto che possedevano anche caratteri totalmente diversi. Tuttavia gli ultimi avvenimenti avevano fatto sì che Anya si avvicinasse di più alla sua famiglia, quasi come se l'aver scoperto la realtà sul padre avesse anche mutato ciò che Frozen e la madre erano state per ben diciotto anni.

< Cosa hai dentro quel sacchetto? >

Chiese Anya, fissando incuriosita la busta di plastica che la sorella aveva poggiato con cura sulle proprie gambe.

< Nulla... >

Rispose in un sussurro lei, cercando di non far notare ad Anya che era lievemente arrossita.

< Uhm.. Come vuoi... >

Sospirò, arrendendosi all'idea che Frozen non era mai stata il massimo con i dialoghi. Decise quindi di cambiare argomento.

< A scuola come stai andando? Io mi sto strappando i capelli ed è passato solo un mese! >

< Nulla di particolare, psicologia sta diventando sempre più interessante. >

Frozen abbassò lo sguardo, quasi come se volesse evitare di mettersi in mostra, ma ciò non bastò a far tornare in mente ad Anya che sua sorella sognava da quando era piccola di poter aiutare le persone con i problemi che potevano scaturire dalla loro mente. Ricordava ancora il giorno in cui fece la decisione di diventare una psicologa, fu proprio perché si era sbucciata un ginocchio da piccola e la madre le aveva messo un cerotto che le venne in mente questo sogno, voleva diventare una sorta di cerotto per le paranoie mentali altrui o qualcosa del genere.

< Senti... Riguardo allo spirito, quello dentro di te... Ci hai parlato?! >

Chiese Anya, tentando di moderare la voce. Ogni giorno chiedeva qualcosa alla sorella sullo spirito che viveva dentro di lei, questo perché la curiosità la stava nettamente divorando dal giorno in cui Anton Vernon gli aveva spiegato cosa erano i Sinners.

< Solo un po'... Ha detto di chiamarsi Aigon. >

< Che nome del cazzo... >

< Ne va molto fiero invece e ha le sembianze di un corvo enorme, con una gigantesca apertura alare che... >

Frozen si accorse del proprio entusiasmo e del fatto che sua sorella la stava fissando sorpresa, come se non la avesse mai vista così entusiasta di qualcosa.

< C..Comunque... Non è questo il momento di parlarne. >

Disse infine, assicurandosi di non aver dato nell'occhio con quella sua reazione. Anya sorrise e si portò indietro una ciocca di capelli castani. Non lo aveva ancora detto a nessuno, ma la possibilità di conoscere una creatura sovrannaturale che sarebbe vissuta dentro di lei era una cosa che la incuriosiva da morire, però c'era un solo problema: per risvegliare la creatura un Saviour doveva avere fede, non una in particolare, ma doveva comunque credere in qualcosa che andasse oltre la realtà, cosa che ad Anya non riusciva molto bene. Nonostante il fatto che si fosse accorta pure lei del suo cambiamento durante l'arco di pochissimo tempo le risultava ancora impossibile staccarsi dalla realtà e liberare la propria mente. In quel momento l'autobus si fermò di fronte alla scuola.

 

 

Ore 8: 15

 

 

< Come sarebbe a dire non c'è?! >

Urlò Karen, facendo innervosire il pasticcere già abbastanza adirato dal fatto che doveva svolgere il lavoro di due persone.

< Sarebbe a dire che questa mattina Kane ha telefonato comunicandomi che non si sentiva molto bene e che sarebbe rimasto a casa e adesso o compri qualcosa o te ne vai fuori, c'è fin troppa confusione. >

Karen sbuffò ed uscì dal negozio sbattendo la porta e suscitando anche qualche lamentela da parte del pasticcere. Lei andava tutte le mattine a comprare la colazione solo per poter parlare con Kane e tutte le volte veniva liquidata. Il ragazzo sembrava detestarla e, nonostante si fosse scusata per ciò che era avvenuto prima dell'inizio della scuola con Frozen, lei non riusciva più a avere le attenzioni di quest'ultimo. Decise di non restare un minuto di più davanti alla pasticceria, dato che le sue compagne si sarebbero presto recate lì per fare colazione, ed imboccò la strada che la avrebbe portata ad un bar poco distante dalla scuola. Benché non lo desse a vedere, Karen, provava una sorta di odio represso verso quelle ragazze che la seguivano come tante piccole zecche, pronte a succhiarle la sua popolarità che si era guadagnata con le unghie e con i denti, dando sempre il massimo per risultare la migliore.

Una volta entrata all'interno del bar si fece riscaldare un toast al formaggio e si sedette su uno degli sgabelli. Notò con soddisfazione che un paio dei ragazzi del quinto anno, che sedevano poco distanti da lei, la stavano mangiando con gli occhi, cosa a cui era ora mai abituata. Quando poi diede il primo morso alla sua colazione, vide Frozen entrare dentro la pasticceria a consegnare al pasticcere, con una insolita allegria, una busta, facendo così rinascere in lei quel sospetto che le dilaniava la mente da più di un mese. Da quando Kane era intervenuto in difesa di quella cadaverica ragazza la vedeva spesso entrare nel negozio dove lavorava il ragazzo, sorridendogli e scherzando con lui. La sola idea che Kane, il suo amato Kane, potesse trovare qualcosa di interessante in una come Frozen mentre lei era destinata a rimanere il bersagli di qualche adolescente arrapato la faceva infuriare tanto da farle mordere involontariamente il proprio labbro inferiore, facendo fuoriuscire da esso un piccolo rivolo si sangue che pulì immediatamente con il tovagliolo del toast.

< Posso sedermi? >

Chiese Zack, posizionando il suo tè caldo sul tavolino prima che Karen avesse tempo di rispondergli. Lei lo fissò per un secondo, poi nella sua mente preparò tutte le motivazioni di rifiuto per evitare appuntamenti che non le interessavano.

< Se proprio devi. >

Rispose in tono neutro, cercando di far intendere al ragazzo che a lei non importava nulla della sua esistenza.

< Bé sì... devo... Mangiare in piedi è scomodo! Allora posso? Sicura? >

Karen socchiuse gli occhi, fissando storto Zack che ricambiò con un sorriso intriso di allegria e spensieratezza.

< Sicura, ma non scassare. >

Disse infine, mentre lui si metteva comodo sullo sgabello, pronto a dedicarsi alla sua tazza di tè ed ai suoi due cornetti alla marmellata.

< Piacere io sono Zack, tu sei? >

Chiese poi, inzuppando uno dei cornetti e mettendo a dura prova la pazienza della ragazza che desiderava solo restare con i suoi pensieri in santa pace.

< Non ti avevo detto di non scassare? Comunque mi chiamo Karen. >

< Karen. >

Ripeté Zack, addentando la sua colazione con una soddisfazione paragonabile solo a quella di un leone mentre sbrana la preda catturata dopo una sfiancante lotta all'ultimo sangue.

< Oh! Adesso ricordo, sei un amica di mio fratello Kane vero? Vi ho visti insieme a volte. >

Karen sgranò gli occhi, quasi come se fosse stata colta di sorpresa da quella domanda.

< Sì... Ma abbiamo litigato adesso. Non sapevo avesse fratelli, non è orfano? >

< Non sono suo fratello di sangue ecco... Siamo cresciuti insieme e mi ha pure visto nascere, quindi per me è come un fratello maggiore! >

Spiegò lui, finendo la prima delle due paste ripiene.

Karen sospirò, le stava lentamente passando la fame e l'idea di entrare a scuola a sorbirsi le adulazioni sui suoi capelli e sulle sue unghie non la faceva certo impazzire. In quel momento, come tutti i giorni prima di entrare a scuola, rimpiangeva il periodo in cui Kane la considerava e la trattava con immensa gentilezza, momento che terminò quando lei le dichiarò i suoi sentimenti, cosa che trasformò quel ragazzo disponibile e dolce in una persona scortese e scontrosa. Ancora non capiva dove aveva sbagliato, in fin dei conti voleva solo stare con lui, essere coccolata e viziata, ma fatto stava che da quel giorno Kane aveva iniziato ad evitarla.

< Ti piace mio fratello? >

Domandò Zack, assumendo un tono di voce più grave e serio. Quelle parole la fecero sussultare, forse perché aveva visto in quel ragazzo solo un bimbetto fastidioso, incapace di fare una domanda così seria e diretta.

< Non sono affari tuoi. >

Rispose poi, riaquisendo la propria freddezza che le serviva a concludere discorsi imbarazzanti o inopportuni. Lui ingoiò ciò che restava del secondo cornetto e terminò il tè, poi si sporse sul tavolo e sussurrò in modo che solo Karen potesse sentirlo.

< Vero. Non sono di certo io quello che si ritroverà tante piccole cicatrici sulle braccia che dovranno essere assolutamente coperte costantemente non è vero? >

Karen sentì il proprio sangue gelarle nelle vene. Come faceva quel ragazzino che conosceva solo da cinque minuti sapere che lei, a causa della sua rabbia repressa, arrivava al punto tale di auto lesionarsi? La aveva spiata? Anche se lo avesse fatto non avrebbe mai avuto l'occasione di vedere quelle cicatrici, visto che erano oscure anche ai suoi genitori.

< Come fai a sapere che... >

Zack la interruppe avvicinandole un dito alle labbra ed avvicinandosi ulteriormente.

< Non puoi stare con Kane, lui è un mostro ed i mostri devono stare con i mostri. Vorresti diventare un mostro per lui? Risolverebbe ogni tuo problema lo sai? >

< Cosa stai dicendo? >

< Vuoi saperlo? Non hai paura? Se no allora potrei presentarti qualcuno che ti amerebbe senza neanche poter vedere il tuo bel corpo da modella. >

Karen deglutì, se fosse stata assieme alle sue amiche allora avrebbe preso in giro Zack, forte del fatto che tutte la avrebbero spalleggiata, ma in quel momento lei era sola, senza nessuno in grado di farla sentire superiore.

< Non capisco... >

< Tu hai qualcosa che piace ad un mio amico, il tuo auto lesionismo lui lo trova così eccitante. Pensaci, se tu diventassi un mostro allora Kane potrebbe amarti. >

Sussurrò Zack, per poi scendere dallo sgabello in tutta tranquillità, tornando ad essere quel ragazzo allegro e spensierato che era ogni giorno.

< Busserò tre volte alla tua porta questa notte. Se mi aprirai allora potremmo discutere. >

< Ma i miei genitori.. >

< I tuoi genitori sono fuori per affari. Lo so, deve essere dura per te rendere fiere due persone così importanti. Ci vediamo questa notte, non tagliarti troppo in profondità o potresti morire mi raccomando. >

La ammutolì lui, uscendo dal bar quasi saltellando.

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Capitolo 10
*** Sentimenti nascosti. ***


Cap: 10

Sentimenti nascosti.

 

 

 

14 ottobre 2006

Ore 11:30

 

 

Brutus era finalmente tornato in se. Ci era voluto quasi un mese purché il suo cervello malconcio accettasse completamente la perdita del potere che lo aveva accompagnato per così tanto tempo.

Ricordava ancora come gli era stato proposto. Quel ragazzino così felice da sembrare quasi tetro gli aveva consegnato il monopolio su di una creatura sovrannaturale e lo aveva fatto con totale disinvoltura!

Tuttavia, ricordare di come era riuscito ad ottenere una cosa che adesso non possedeva più serviva solo a peggiorare il suo stato emotivo già per niente solare. Da quando aveva ripreso a fare discorsi e ragionamenti sensati i dottori e soprattutto la polizia lo stavano tempestando di domande. Ovviamente lui evitava di esporsi troppo, fingendo alle volte di avere alcune ricadute sul suo disordine mentale e parlando in modo contorto e totalmente privo di senso. Cominciava però a considerare l'idea di finire in carcere, lì almeno avrebbe potuto dormire in un letto privo di cinghie che gli immobilizzavano tutti gli arti. Magari una volta uscito, se mai sarebbe accaduto, avrebbe potuto cercare nuovamente quel ragazzino, anche se non sapeva ne come si chiamasse ne che faccia avesse. Di lui ricordava solo un'immagine scura che continuava a ridere in mezzo ad una rissa da bar e niente altro. Se non fosse stato che l'intera Sea Paradise aveva risentito delle sue ultime azioni, Brutus, avrebbe potuto anche pensare che fosse stato tutto uno scherzo della sua mente e che si trovava in quell'ospedale da molto più di un mese, afflitto da sogni malvagi con ragazze più fortunate di lui e mostri dalla forma disgustosa.

< Ci sono visite per te Brutus. >

Lo informò l'infermiera di turno, spalancando la porta della stanza.

Brutus sbuffò. Si trattava sicuramente di poliziotti, o magari addirittura di Elay, che lo odiava ogni giorno di più e che non vedeva l'ora di sbatterlo nel peggiore carcere esistente. Le sue aspettative furono però totalmente infrante, quando l'ospite venuto a fargli visita varcò la porta facendolo rimanere paralizzato dalla sorpresa.

< Ciao ragazzone. Come stai? >

Chiese Angela, varcando la soglia e salutandolo con una mano.

 

 

 

 

Ore 11:45

 

Elay sembrava in procinto di saltare in aria dalla rabbia. Senza rendersene conto lanciò un pugno direttamente contro la fiancata della macchia della polizia, ammaccandola e facendosi un male terribile alle nocche.

< Elay sta calma! >

Le ordinò Justin, prendendole la mano e controllando che non si fosse rotta niente. Questa volta la giustizia verso la quale era così devota gli aveva seriamente lanciato un colpo talmente basso da risultare scorretto anche per il più sleale degli uomini.

I due si trovavano davanti al tribunale dove, a causa di un inchiesta, era stata affidata a Brutus la libertà vigilata una volta che si fosse confermata la sua riabilitazione dall'ospedale. Quella notizia aveva ovviamente sostituito il sangue di Elay con lava bollente, facendola lottare contro se stessa per non pestare giudice e giuria quando era ancora all'interno della sala.

< Non dirmi di stare calma! Cazzo! >

Ringhiò, liberando la mano dalla presa del collega e lanciando un calcio alla gomma anteriore. In quell'esatto momento, il responsabile della liberazione ora mai prossima di Brutus stava uscendo dal tribunale. Si trattava di un uomo piuttosto anziano, vestito con una divisa color rosso scuro di nome Jhonatan. Prima che l'uomo potesse entrare nella propria limousine fu ostacolato da Elay, che si parò tra lui e la vettura senza che Justin potesse fare nulla per fermarla.

< Adesso lei mi spiega per quale motivo volete lasciare quel criminale libero di fare tutto quello che vuole. >

< Quello che doveva essere detto lo è stato in aula signora Elay Stans. >

Ribatté Jhonatan, mantenendo un tono composto ed intriso di superiorità.

< Adesso, se mi fa il favore di farmi entrare nella mia macchina, sono molto impegnato. Le assicuro che il Signor Brutus Allen resterà sotto la nostra custodia e che non le recherà più alcun disturbo. >

Aggiunse, senza battere ciglio.

< Sinceramente: Vaffanculo. >

Lo insultò Elay, senza però ottenere neanche uno sguardo irritato o altro.

< Brutus Allen ha ucciso delle persone, ha attentato alla vita di una mia amica e delle sue figlie! Deve scontare la pena che merita! >

< Signora Stans, il compito dei poliziotti è quello di consegnare i malviventi alla legge, non di decidere il loro destino. Adesso, se posso, avrei molte altre faccende da sbrigare. >

Concluse Jhonatan, superando la fin troppo adirata Elay incapace di smentire la teoria appena esposta sul dovere di un tutore della legge.

La limousine si mise in moto ed una volta chiuse le portiere prese il via, abbandonando i due poliziotti impotenti di fronte a quello che doveva essere il luogo dove sarebbe dovuta essere scelta la pena per Brutus.

Elay non riusciva a fare altro se non stringere i pugni e fissare il vuoto, mentre Justin cercava in qualche modo di trovare le parole per mettere a posto quella situazione che sembrava troppo anche per lui.

< Lo voglio ammazzare... >

Sussurrò lei, facendo quasi sobbalzare il collega per la freddezza di quella frase.

< … Li voglio ammazzare tutti, la giustizia non funziona... >

< Elay? >

< Ho una pistola, potrei farlo. Magari quando ce li assegnano per scortarli, ci inventiamo che hanno tentato di scappare e che abbiamo dovuto agire drasticamente. >

Continuò, quasi in preda ad un delirio psicotico degno del peggiore dei tiranni.

< Un colpo alla testa, non parlo di farli soffrire, solo di farli sparire per sempre... >

Quell'ultima frase intrisa di paranoia fece saltare i nervi al povero Justin, ora mai fin troppo frustrato dagli ultimi avvenimenti, che la afferrò per le spalle scuotendola. Quella era la prima volta che si azzardava a toccarla in quel mondo, ma pensò che in fin dei conti si era anche trattenuto un po, avrebbe preferito mollarle uno schiaffo ben piazzato per svegliarla da quella trance omicida.

< Ma ti rendi conto di quello che stai dicendo? Non eri tu quella che detestava gli assassini? Quella che non riusciva a comprendere come si potesse far del male al prossimo tanto da porre fine alla sua esistenza? Elay svegliati! Questa storia di Brutus... Devi lasciartela alle spalle, io non ne posso più di vederti corrodere l'anima per quel bisonte furioso pieno di problemi mentali mi hai capito?!

Che soddisfazione vuoi dargli? Quella di fargli capire che ti ha sfinita a tal punto da farti rinunciare ai tuoi ideali? Non voglio più sentire niente a riguardo mi hai capito bene? O giuro che ti prendo a pugni anche se sei una donna! >

La rimproverò, ottenendo da lei uno sguardo incredulo e leggermente velato dalle lacrime, uno sguardo nuovo all'interno del loro rapporto.

< … Non riusciresti mai a prendermi a pugni. E poi sei tu la donna del duo lo hai dimenticato? >

Ironizzò poi lei, che sembrava essere appena tornata in se. I due rimasero in silenzio, poi, quasi contemporaneamente, si strinsero in un abbraccio.

Justin avrebbe voluto dire altro, anche se forse Elay aveva letto i suoi sentimenti già da molto tempo, ma non voleva rischiare di rovinare quel momento. Trovava incredibile come dire un “ti amo” potesse risultare così difficile, specie se lo tieni nascosto da anni. Mentre abbassava lo sguardo però la sua attenzione cadde su qualcosa che gli rovinò la piacevole sensazione che stava provando nell'abbracciare Elay. Un giornale era stato lasciato a terra ed il vento lo aveva sfogliato in modo quasi sinistro, mettendo in evidenza il ritrovamento di due cadaveri, un uomo ed una donna, freddati con due colpi di pistola la notte precedente, e la sparizione della figlia di questi ultimi: la piccola Jennifer. Fu così che il poter stringere la persona che amava lo fece sentire quasi egoista. Era troppo tempo che sparivano bambine e non se ne trovava il colpevole, se poi adesso questi si prendeva la libertà di ammazzare anche i genitori la cosa prendeva una piega ancora più devastante.

Infine, con l'aggiunta di un tipo come Brutus, che presto sarebbe tornato di nuovo in circolazione, Justin capì che quello sarebbe stato l'inverno più caldo della sua vita.

 

 

Ore 12:00

 

Era passata mezzora da quando Angela era entrata nella stanza dove Brutus era ricoverato e si era limitata a parlare solo ed esclusivamente di cosa stavano facendo le sue amate bambine. Dal tono di voce Brutus aveva capito che lo diceva per fargli capire che, nonostante il danno che aveva loro recato, stavano bene ed in salute. Tuttavia non gli era chiaro quale fosse lo scopo di quelle parole, voleva semplicemente vendicarsi facendogli notare quanto erano felici mentre lui aveva perso tutto?

Oppure semplicemente cercava di tranquillizzarlo facendogli capire che non aveva nessun risentimento verso di lui? Qualunque fosse stata la risposta non gli interessa, perché la presenza di quella donna gli aveva ancora una volta illuminato la giornata.

< Dunque. >

Si interruppe Angela, portando lo sguardo verso il corridoio visibile da una finestra su di una parete.

< Adesso che non c'è più nessuno, posso dirti il vero motivo per cui sono venuta qui. >

Spiegò poi, attirando ovviamente l'attenzione di Brutus, che la scrutò incuriosito.

< Se dimostrerai che il tuo stato mentale è nella norma sarai libero. Niente prigione, niente di niente. >

Lo informò con totale naturalezza. Sentendo quella frase lui ebbe un sussulto. Era un uomo libero quindi? Sarebbe bastato chiamare lo psicologo e fargli capire che stava più che bene mentalmente parlando.

< Però, ragazzone... c'è un motivo per cui Anton Vernon ha lottato per farti ottenere la libertà vigilata. Tu potresti risultare un prezioso alleato per noi Saviour. >

Aggiunse Angela.

< Ascolti... >

< Dammi pure del tu, hai cercato di uccidermi in fin dei conti, abbiamo più che superato la fase del “lei” non credi? >

Lo rassicurò in tono scherzoso. Quella cinica battuta lo costrinse a sfoggiare un debole sorriso sincero, il primo dopo tanto tempo.

< Io non so chi mi ha dato quei poteri, non so chi siate voi Saviour e non mi interessa. Io sono soltanto un grosso ragazzo che ama le risse, non vedo come potrei... >

< Anche io ho avuto un Sinner dentro di me Brutus. >

Lo interruppe Angela.

< Sai cosa succede ad una persona normale come me e te quando si salva dalla possessione di un Sinner? Diventiamo degli Esorcisti... certo non possiamo combattere come i discendenti di sangue Saviour, ma possiamo effettuare i rituali per scacciarli, come io ho fatto con te del resto, ma soprattutto possiamo sopportare la loro visione senza svenire o cadere in paranoia. >

Brutus non disse una parola. Egli ricordava alla perfezione come venivano ridotte le persone che vedevano l'aspetto macabro e malato del suo Sinner e non gli servivano di certo ulteriori spiegazioni a riguardo.

< Sono stata io stessa a fare pressione per lasciarti andare, perché credo che in fin dei conti tu non sia affatto malvagio, ti serve solo l'occasione per dimostrarlo. >

Lo rassicurò raggiante e liberandolo dalle cinghie che gli bloccavano le mani. Se i medici la avessero vista sarebbe sicuramente scattato l'allarme, ma per fortuna non ce ne erano in giro in quel momento.

< Allora? Vuoi aiutarmi a proteggere le mie bambine? >

Chiese Angela, porgendogli la mano che Brutus strinse senza pensarci due volte, ma creando delle piccole postille riguardo il contratto che aveva, metaforicamente parlando, appena firmato.

 

 

 

 

Ore 2: 00

 

 

Kane era appena uscito di casa. Doveva ammettere di essersela presa comoda quel giorno, forse anche fin troppo. L'essere riuscito ad ottenere quello che più bramava durante quelle ore di follia notturna lo aveva letteralmente mandato su di giri. Persino lui il più delle volte si sorprendeva di quanto fosse diverso nelle interazioni sociali rispetto a ciò che faceva a quelle bambine che gli capitavano sotto mano. Senza dubbio avrebbe potuto crearsi un oscar fatto a mano ed auto-premiarsi per le sua abilità recitative, ma non lo faceva per il semplice fatto che non fingeva affatto.

Ogni volta che parlava con un cliente, ogni volta che sorrideva, ogni volta che aiutava qualcuno, egli non era mai altri se non se stesso.

Kane attribuiva quell'innaturale equilibrio tra le sue due “fasi della vita” al fatto che approfittare di quella carne giovane ed innocente gli facesse scaricare qualsiasi altro problema. Gli faceva pensare che se tutte le persone avessero potuto scatenarsi nell'ombra grazie ad un Sinners allora nessuno sarebbe stato infelice nel mondo, certo fatta eccezione per le vittime, ma non c'è vittoria senza perdite.

< Kane? Non avevi detto di sentirti poco bene? >

Chiese una voce femminile che gli costrinse a sollevare lo sguardo dalla sua stessa ombra. Di fronte a lui c'era Karen, probabilmente appena uscita da scuola. Era insolito vederla tornare a casa a piedi, per quanto ricordasse Kane, lei era una di quelle tipe che se avessero potuto usare un passaggio, come l'autobus o la macchina dei genitori, per andare nel bagno di casa lo avrebbero fatto con tutta l'allegria che avevano in corpo, il tutto pur di non muovere le gambe.

< Mi sembra di averlo detto al mio capo, non a te. >

Rispose Kane, con un tono che vacillava tra la nevrosi e l'odio più puro. Per lui Karen era come una zecca. Una zecca che voleva solo il suo sangue per vivere, nulla di più. Non negava però che se ci fosse stato un premio per il secondo migliore attore allora sarebbe andato sicuramente a Karen. Quella ragazza riusciva a nascondere molto su chi fosse veramente ed era anche estremamente egoista, una combinazione di cose che potevano solo generare un essere insopportabile quale era lei.

< Capisco... >

Mugugnò, con il solito sguardo da cerbiatto ferito rivolto verso il basso.

< Sei pregata di non venire a cercarmi a casa Karen, visto che era sicuramente ciò che stavi per fare. Tu non torni mai a casa a piedi ed oggi non c'era nessuno sciopero dei bus. >

La rimproverò poi, notando con una certa soddisfazione di aver colto nel segno, visto che non aveva neppure tentato di ribattere. Notando poi che non otteneva nessuna risposta e si era creata una situazione di stallo pensò di superarla e raggiungere il posto di lavoro. Il pasticciere doveva essere davvero infuriato con lui e l'ultima cosa che gli serviva sarebbe stata perdere il lavoro. Avrebbe fatto un turno pomeridiano in più quella settimana e la cosa si sarebbe risolta. Tuttavia, proprio mentre passava accanto alla ragazza, assorto nei suoi pensieri su come mantenere il posto di lavoro, questa le se attaccò improvvisamente al braccio, stringendolo con tutta la forza che aveva in corpo.

< Mi spieghi perché ti comporti così? Kane? Cosa ti ho fatto? >

Singhiozzò, schiacciando il proprio viso con la spalla del sorpreso ragazzo che mai sarebbe aspettato di vedere quella matasse di orgoglio ed egoismo piangere di fronte a qualcun altro.

Persino Karen era sorpresa di fronte a ciò che aveva appena fatto. Mai si era ridotta a supplicare qualcuno piangendo, lei affrontava gli altri e si ostinava ad avere ragione su qualsiasi cosa. Per tutto il tempo aveva sempre pensato che fosse Kane in errore, ma dopo il dialogo avvenuto con Zack quella stessa mattina gli erano sorti dei dubbi spaventosi e voleva finalmente capire il perché della tanta riservatezza personale del ragazzo che le piaceva.

< Karen, sei una ragazza marcia dentro ecco cosa. >

Ringhiò Kane, liberando il braccio dalla presa.

< Perché?! Cazzo mi spieghi perché mi odi? Io ti ho solo detto che ti amavo! Ti amo ancora! Ti costerebbe tanto darmi una motivazione? >

Kane fece qualche passo in avanti, si fermò, lasciò trascorrere qualche secondo e diede fiato alle corde vocali.

< Tu non mi ami. Non sai niente di me, non sai cosa mi piace bere, non sai cosa mi piace mangiare, non sai quale sia il mio colore preferito. Inutile continuare questa discussione, tu ami l'immagine di qualcuno che ti vizi e niente altro. Addestra un cane e fatti viziare da lui. >

Con quella ultima frase le poche barriere che dividevano il pianto dall'ira nell'anima di Karen andarono in pezzi.

< Sei solo un bastardo! Cosa ne sai tu di me allora?! Rispondimi! >

Kane non rispose, si voltò e si avvicinò a lei con una freddezza che le fece accapponare la pelle. Le afferrò il polso strattonandolo tanto da farle male e le sollevò la manica dalla pelle che si rivelò essere piena di piccole cicatrici dovute a tagli.

< Ti basta? O vuoi che ti dica quale è il tuo piatto preferito? Adesso vattene a casa ad aggiungere nuovi tagli, visto che penserai ancora una volta di avere tu la ragione assoluta e che sono il l'infame che ti sta trattando male. >

Aggiunse, mollando la presa ed allontanandosi il più veloce possibile per non continuare quella fastidiosa discussione.

Karen si portò la mano al polso, massaggiandolo, poi alzò lo sguardo verso Kane e lasciò che tutta la sua collera cadesse sull'unico punto su cui avrebbe potuto sfogarsi in quel momento.

< Ma certo... Adesso parli di amore tu? Forse lo so io il perché! Vi ho visti! Tu e quello scheletro di Frozen! Vi sorridete sempre! Forse prendete in giro proprio me vero?! >

< Che stai insinuando adesso? >

< Ma per favore Kane! E' ovvio che ti sei innamorato di quello spaventapasseri dai capelli tinti! E' tutta colpa sua! Lei mi odia e lo ha fatto apposta! >

< Piantala di vaneggiare Karen. Vattene a casa. >

Finalmente, tutte le speranze di Kane si realizzarono. Karen strinse i pugni e se ne andò via, lasciandoselo alle spalle. Sapeva benissimo che non era finita lì, ma in quel momento gli interessava solo andare sul posto di lavoro e non pensare a quella fastidiosa macchia di petrolio appiccicoso sulle sue stupende ali bianche da gabbiano.

Quando finalmente giunse in pasticceria, dove vi era l'orario continuato, trovò sorprendente il fatto che il proprietario non lo attendesse con un fucile tra le mani di fronte alla porta. Le cose andarono addirittura meglio quando, oltre ad aver avuto un dialogo pieno di comprensione con il datore di lavoro, seppe che c'era un pacchetto per lui portato quella stessa mattina.

Senza neppure indossare il grembiule, prese in mano la piccola busta sigillata e la aprì, tirando fuori il contenuto che si rivelò essere una sciarpa di lana color rosso accesso e con un paio di gabbiani cuciti in nero, dall'aspetto a doppia onda identico a quello usato nei fumetti, che attraversavano quel cielo scarlatto dove vi era anche qualche nuvoletta del loro stesso colore.

< Chi lo ha portato? >

Chiese.

< Quella ragazza per cui mi hai fatto preparare le Sea Pie alla marmellata. >

Rispose il pasticcere, contento di poter lasciare tutto nelle mani del suo aiutante per qualche ora.

Kane sorrise, stringendo la sciarpa tra le mani, cercando di scacciare dalla sua mente le insinuazioni che Karen gli aveva lanciato contro poco prima. Le parole di quell'egoistica fanciulla si erano trasformate in una sorta di profezia, nel momento in cui lui sentì una sorta di piacevole fastidio allo stomaco, molto differente da quello che lo invadeva quando finalmente poteva lanciarsi su una piccola preda. Dovette ammetterlo entro pochi secondi, Frozen Saviour gli piaceva, gli piaceva molto.

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