I will burn your heart

di Meramadia94
(/viewuser.php?uid=166895)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'inizio ***
Capitolo 2: *** Situazioni difficili ***
Capitolo 3: *** Ricatti, misteri e speranze ***
Capitolo 4: *** Memories ***
Capitolo 5: *** Lotta contro il tempo... ma il gioco è sporco ***
Capitolo 6: *** Per te andrò nelle fiamme dell'inferno ***
Capitolo 7: *** Alla fine ti ho trovato... ma quanto ho cercato ***
Capitolo 8: *** Lotta per la vita ***
Capitolo 9: *** Ritorno alla normalità ***



Capitolo 1
*** L'inizio ***


''Sherlock''- urlò John mentre si abbottonava la giacca davanti allo specchio per andare al lavoro-:'' non torno a pranzo, nel frigorifero ci sono pollo e carote. Tornando mi fermo a fare la spesa, preferenze per la cena?''

Nessuna risposta.

''Ti consiglio di sputare il rospo adesso, perchè non ci penso minimamente a mollare il posto alla cassa per andare a prendere chissà quali ordinazioni tramite SMS e affrontare di nuovo le casse automatiche!!!''

Nessun segno di vita, nemmeno questa volta.

Erano ormai tre ore che il suo amico si era chiuso nel bagno, e il povero John era stato costretto ad usare quello di Mrs Hudson.

Non si sarà mica sentito male?, fu il pensiero che piano piano s'impossessò della sua mente e che gli stringeva lo stomaco come una morsa d'acciaio.

Iniziò a bussare alla porta della stanza da bagno, una, due, tre volte, ma nessuno rispondeva. Provò ad aprire la porta.

''Sherlock, perchè ti sei chiuso?''

A quel punto John perse la pazienza e decise di sfondare la porta.

Però nel bagno non c'era anima viva. Guardandosi allo specchie vide che alla sua giacca mancava un bottone. Strano, perchè se l'era abbottonata giusto ventotto secondi fa e i bottoni c'erano tutti.

Unica spiegazione a tutti gli indizi: era caduto mentre sfondava la porta.

''Accidenti... prima Sherlock che sparisce, ora perdo i bottoni... qui finisce che faccio tardi al lavoro.''- sospirò accucciandosi e a gattonare alla ricerca dell'oggetto perduto.

La sua ricerca lo portò fino alla vasca da bagno, infilò una mano sotto di essa e lo trovò.

''Trovato.''

''Che cosa?''

''AHHHHH.... MA SEI SCEMO?!?''- urlò John portandosi una mano sul cuore e respirando affannosamente. Si, perchè nell'esatto momento in cui il medico aveva trovato il bottone, dalla vasca riempita fino all'orlo era uscito uno Sherlock grondante d'acqua e completamente vestito.

''Se va avanti così mi costerà di più il cardiologo che le spese per l'affitto...''- pensò John-'' Ma sei matto ad entrare nella vasca completamente vestito? Ora va bene, lavarsi e lavare i vestiti, ma non era questo quello che intendevo.''

Sherlock riprese lentamente fiato-:''Due minuti...esperimento riuscito. Dovevo assolutatamente sapere quanto ci mette una persona ad annegare sott'acqua.''

''Si, e a momenti ti ammazzavi per una cosa che potevi benissimo chiedere a me, sono un medico, certe cose le saprò, non credi?''- sbuffò John.

''Mi conosci, quando mai ho preso la via più semplice?''- fu la pronta risposta.

John giunse le mani e iniziò ad agitarle avanti e indietro-:'' E poi queste prove non puoi andare a farle in piscina come tutti, invece che nella vasca di casa?''

Anche se entrambi non avevano dei grand bei ricordi di quel luogo pubblico...

John tese una mano all'amico per aiutarlo a uscire dalla vasca senza scivolare e poi lo coprì con il proprio accappatoio per evitare che prendesse troppo freddo.

'' Asciugati e mettiti dei vestiti, o prevedo che presto in ospedale ci sarai anche tu, per una brutta polmonite.''- gli consigliò caldamente John.

E non aveva sbagliato a dire ospedale invece di ambulatorio. Da qualche giorno all'ospedale vicino all'ambulatorio dove lavoravano lui e Sarah c'era una notevole carenza di medici, e lui, l'ex fidanzata e i medici più qualificati lavoravano li, e non avevano un minuto di pace con tutto il lavoro arretratoche c'era.

La sera quando rientrava a casa era talmente a pezzi che non aveva nemmeno la forza di arrabbiarsi con Sherlock se trovava i cuscini o il materasso sventrati, lingue nei vasetti di marmellata o segni evidenti di esplosione.

''Allora, che vuoi stasera per cena?''- richiese John.

''Senti, a proposito di cena...''- iniziò Sherlock-:'' Ieri mi ha chiamato Angelo dicendo che è un po' che non ci vede... ti va se stasera andiamo a cena da lui?''

''Ok... ti va bene alle sette sotto l'ospedale?''- chiese John. Sherlock annuì, e poco dopo fece un violento starnuto che fece trasalire lo stesso John.

''Mettiti qualcosa di asciutto prima di raffraddarti o peggio.''- ripetè il medico usciendo di casa, deciso come non mai a fare presto e bene il suo lavoro quel giorno, pensando che alla sera si sarebbe ritrovato seduto a un tavolo vicino alla finestra al lume di candela a mangiare uno dei manicaretti di Angelo con il suo migliore amico.

''... fagli fare un check-up ( si scrive così vero?) completo e assicurati che stia a riposo.''- John dette queste disposizioni a Sarah e le porse la cartella clinica del paziente appena ricoverato.

Un ragazzo di circa diciassette anni, che stava tornando a casa da scuola in moto assieme alla ragazza, e avevano sbattuto violentemente contro un camion.

Fortunatamente la ragazza ne era uscita illesa, mentre lui se l'era cavata con parecchie escoriazioni e qualche osso rotto.

''Agli ordini.''- sorrise Sarah. Dopodichè guardò l'orologio-:'' abbiamo fatto l'una e mezzo... di nuovo. Che ne diresti di scendere alla caffetteria qui sotto e prenderci un panino o qualcosa di commestibile?''

A John non parve una cattiva idea, non toccava cibo dalla sera prima, e con lo spavento che gli aveva fatto prendere Sherlock la mattina, ovvero giocare al piccolo sommozatore nella vasca di casa, si era completamente dimenticato di fare un salto al bar sotto casa per prendere almeno un cornetto da sgranocchiare. Quindi diede l'ok alla collega e insieme si avviarono.

''Stasera hai voglia di uscire e di vedere un film?''- chiese Sarah speranzosa.

''Mi piacerebbe, ma stasera non posso: ho gia un altro impegno.''- si scusò John. Sarah capì al volo e sorrise complice.

''Ah, così hai un appuntamento con Sherlock''- John arrossì e fece per ribattere di non essere gay, e che Sherlock non era il suo fidanzato, ma ci rinunciò.

Ormai lo sapevano tutti all'infuori di lui.

In quel momento arrivò la caposala, una donna sui trent'anni con i capelli biondo-ramato e con qualcosa in mano che sembrava una cartellina.

''Dottor Watson, mi scusi potrebbe andare in archivio a cercare l'originale di questa cartella clinica?''- chiese la donna porgendo al medico le fotocopie.

Sarah ebbe da ribattere-:''Mi scusi, ma questo non è compito degli infermieri di solito?''

La donna l'apostrofò acidamente-:''Gli sto chiedendo una cortesia, dottoressa Sawyer.''- detto questo si allontanò e sparì dietro il corridoio.

John iniziò ad avviarsi per compiere il proprio compito quando Sarah gli domandò-:'' Vuoi che t'accompagni?''

John sorrise e rifiutò cortesemente-:''Non preoccuparti. Vado e torno, ci vediamo al bar.''

Detto questo sparì anche lui.

Nel frattempo, alla centrale di New Scotland Yard tutto procedeva come al solito: un via vai di agenti che smanettavano al computer, che controllavano carte e registri e gente che veniva per le solite denunce.

Lestrade era talmente rilassato che ne approfittò per mangiare una scatoletta di spaghetti confezionati e per telefonare al fioraio per chiedergli di mettere da parte un mazzo di rose rosse per Molly. La patologa e l'ispettore in quel momento erano un pettegolezzo sulla bocca di tutti, ma non gliene importava nulla, anche perchè era vero.

Stavano assieme da sei mesi, oramai e fra due mesi la ragazza avebbe abbandonato il buco di stanza che aveva in affitto vicino alla postazione di lavoro e si sarebbe trasferita a casa del suo fidanzato.

Era un momento felice per entrambi, soprattutto per Molly che aveva finalmente trovato qualcuno che le voleva sinceramente bene, l'amava e la faceva sentire la ragazza più speciale del mondo.

A distruggere le sue fantasticherie ci pensò Sherlock che entrò nel suo ufficio senza nemmeno bussare.

''DIsturbo?''- chiese con voce rauca. Senza nemmeno aspettare la risposta del DI domandò a bruciapelo-:'' nessun caso interessante?''

Lestrade s'affrettò a rispondere-:''No, stranamente oggi è stata una giornata tranquilla, abbiamo fatto solo un sacco di multe per i divieti di sosta... ma ti è venuto il mal di gola?''

Sherlock fece cenno di no con la testa-:''E' un esperimento.''

In quel preciso istante suonò il telefono sulla scrivania-:''Gregory Lestrade.''- rispose prontamente il DI. Divenne pallido come un cencio quando il suo interlocutore iniziò a parlare e lasciò cadere la cornetta a peso morto sulla scrivania.

''Problemi? E' morto qualcuno?''- fece Sherlock speranzoso.

Lestrade sospirò: non sapeva come dirlo.

''Sherlock... John....''

Il CI sentiva che c'era qualcosa che non andava, che voleva e non voleva sapere allo stesso momento.

''è stato rapito.''- concluse Lestrade. 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Situazioni difficili ***


Arrivarono in Ospedale a tempo record.

Sherlock non permise nemmeno al taxi che aveva chiamato di fermarsi e scese correndo verso l'ospedale, urtando medici, pazienti, infermieri e finendo su una barella.

''Sto bene!!!''- disse scontroso liberandosi delle persone che lo avevano abbrancato per aiutarlo a rialzarsi.

E quando avrò capito dov'è John e scoperto chi è stato, starò meglio!!!

''Prego, da questa parte.''- fece la caposala della cartellina con un cenno della mano. L'archivio dell'ospedale era nel sotterraneo, poca illuminazione e parecchi gradini.

Appena aperta la porta dell'archivio, videro subito Anderson e la sua squadra della polizia scientifica, mentre Sally cercava di confortare una disperata Sarah che piangeva come una fontana, e la cosa non le aggraziava il trucco che iniziava a colare e lasciarle strisce nere sul viso, comparabili a delle frenate.

L'archivio era completamente a scatafascio: un intero scaffare rovesciato, cartelle cliniche e fogli e segni di lotta sparsi ovunque.

''Guardate che disastro...''- fece la caposala mettendosi le mani tra i capelli-:'' ci vorranno... settimane, mesi come minimo per rimettere tutto com'era prima.''

Lestrade non poteva capacitarsi che con un rapimento di mezzo, l'unica cosa di cui ci si preoccupava al momento era il disordine in archivio.

''Donovan, organizza dei posti di blocco intorno alla clinica, non voglio che nessuno esca o entri fino a quando non avremmo scoperto cos'è successo.''- disse Lestrade. La donna si affrettò ad obbedire.

Cos'era accaduto era alquanto ovvio: John si era accorto di essere in pericolo e aveva iniziato a lottare con veemenza prima di decidere di arrendersi ai suoi aggressori.

Erano più di uno, Sherlock ne era certo.

''Scusate, la domanda, in questo posto ci viene molta gente?''- domandò Sherlock.

La caposala rispose immeditamente-:''Solo gli infermieri addetti, ma tutti indossano delle speciali scarpe per non portare batteri dall'esterno, e tutti i giorni ogni singola stanza della clinica, archivio incluso, vengono disinfettate accuratamente. Me ne occupo personalmente, da anni e nessuno ha mai avuto nulla da ridire sul mio operato.''

''E mi dica...''- continuò Sherlock-:'' prima del dottor Watson... era venuto qualcun altro oggi?''

La caposala fece cenno di no con la testa.

''Bene''- concluse Sherlock-:'' adesso sappiamo che i rapitori erano almeno in tre... per quanto John avesse potuto combattere per ribellarsi, anche aggiungendo la sua esperienza di guerra... ha potuto fare ben poco contro tre uomini, forse armati.''

Lestrade lo fissò e poi chiese-:''Come fai a dire che erano tre persone?''

Oh, per l'amor del cielo... pensò Sherlock alzando gli occhi al soffitto-:'' Basta guardare sul pavimento: se è vero che questa stanza viene pulita e disinfettata ogni giorno e prima di John non c'è venuto nessuno, a chi appartengono queste impronte?''

''A noi no di certo...''- rimebeccò Anderson-:'' tutta la mia squadra, me incluso, indossano l'attrezzatura adeguata per non compromettere la scena del crimine.

''Ma l'attrezzatura per usare il cervello vedo che è un optional''- disse Sherlock-:'' ci sono quattro paia di impronte di scarpe, tra le quali un paio appertengono a John, gli altri sono per forza dei rapitori.''

''Faccio fare dei calchi delle impronte che hanno lasciato?''- chiese Anderson.

''Si... e gia che siamo in ospedale fatti dare un' occhiata da un medico, e pure bravo.''- suggerì Sherlock esaminando la scena del crimine.

Anderson lo guardò come se avesse appena detto che due più due è uguale a cinque-:''Ma di che stai parlando, io sto benissimo.''

''Lo dici tu, hai appena avuto una buona idea.''- ribattè Sherlock. Lestrade si lasciò sfuggire una risatina.

 

''Quindi dottoressa Sawyer...''- fece Lestrade seduto alla poltrona del direttore sanitario, che aveva loro gentilmente prestato l'ufficio per gli interrogatori-:''Lei è stata l'ultima persona a vedere John prima del rapimento.''

''Dicci con dovizia di particolari cos'è successo, anche il minimo dettaglio può essere importante, e se ti riesce evita di frignare.''- fece Sherlock.

Quest'ultima richiesta la fecesenza il minimo tatto, ragion per cui si beccò un' occhiataccia da Lestrade.

''Si...''- rispose lei asciugandosi il naso-:'' avevamo appena ricoverato un ragazzo che aveva avuto un incidente in moto, e mi aveva ordinato di fargli fare un check-up completo. Allora ho guardato l'orologio e ho visto che era ora di pranzo, così avevamo deciso di mangiare qualcosa assieme. Poi è arrivata la Scott per chiedergli di andare a prendere una cartella clinica in archivio.''

''E non vedendolo tornare, vi siete preoccupate, siete scese a cercarlo e avete capito che era stato portato via con la forza.''- concluse Lestrade.

Sarah annuì-:'' Gli ho chiesto se dovevo accompagnarlo, ma lui ha rifutato... oh, è tutta colpa mia!!! Se solo avessi insistito di più forse a quest'ora...''- fece lei riprendendo a piangere.

''Cos'avresti fatto?''- la aggredì Sherlock-:'' se, se, se...è troppo semplice dire se avessi saputo, se avessi fatto così quando ormai il danno è fatto. E comunque a noi interessano i fatti, non i se o i ma.''

Lestrade gli mollò un calcio, ma Sherlock non parve nemmeno accorgersene.

''Tu sei molto amica di John... ti ha mai detto di essere spaventato da qualcuno o che c'erano persone che lo avevano minacciato o roba simile?''- chiese Lestrade-:'' chi lo sa, magari sapeva che nell'archivio lo aspettavano e ha rifiutato che tu lo accompagnassi proprio per...''

Sherlock non era della stessa idea. Viveva con John da tre anni, si consideravano fidanzati da uno, se qualcuno avesse minacciato John o fosse stato spaventato da qualcosa o qualcuno, lo avrebbe capito e poi avrebbe costretto John a sputare il nome o i nomi dei miserabili che gli stavano facendo del male.

''No, niente. John era un uomo socievole e sempre sorridente, ma sul lavoro era molto serio e non parlava quasi mai delle sue faccende personali.''- rispose Sarah-:'' e poi non credo che qualcuno potesse avercela con lui. Era sempre pronto a dare una mano e un sorriso a tutti, con un profondo senso del dovere, non ho mai sentito ne pazienti ne colleghi dire una sola mala parola contro di lui.''

Eccetto quando non rispondeva alle chiamate perchè Sherlock lo aveva tenuto tutta la notte a cercare un libro per decifrare un codice cinese.

''Concordo, ma fammi un piacere...''- fece Sherlock-:'' non parlare di John al passato, d'accordo? Finchè non lo ritroviamo è vivo.''

''Può andare''- la liquidò Lestrade-:'' per favore mi mandi la Scott, la caposala.''

Sarah annuì e uscì dall'ufficio.

''Per una sola persona posso mettere la mano sul fuoco, qua dentro...''- fece Sherlock-:'' ed è proprio Sarah Sawyer. Lei non c'entra nulla.''

''Sono d'accordo con te, inoltre ci sono parecchie prove a suo favore. A questo punto possiamo concentrare le nostre risorse su tutti gli altri che lavorano qui... un ago nel pagliaio.''- sospirò Lestrade massaggiandosi le tempie.

Avevano mille sospetti e nessuna prova concreta contro nessuno, eccetto quelle impronte.

 

 

''...si, lo ammetto... l'ho mandato io nell'archivio, mi serviva una cartella clinica. Le luci purtroppo non funzionano bene, e pensavo che fosse per quello che tardava...''- disse la Scott.

''E ha trovato l'archivio in disordine e segni di lotta, e ha pensato bene di chiamare la polizia.''- concluse Sherlock-:'' ma mi scusi, le incombenze come cercare carte in archivio non sarebbero compito degli infermieri? Perchè chiedere a un medico competente e qualificato di andare a cercare una cartella clinica?''

''Se vivete insieme lo saprà...''- si difese la Scott intuendo che il CI stava sospettando di lei per quel sequestro di persona-:'' in questi giorni c'è carenza di personale e non è strano che anche i medici più bravi svolgano certe mansioni.''

Lestrade disse che con lei avevano finito, e la donna se ne andò.

Erano al punto di partenza, se non con l'aggiunta che i rapitori avevano avuto il favore delle tenebre. Ma questo non migliorava il quadro delle indagini, lo rendeva sempre più complicato.

''Ma chi può aver interesse a fare una cosa simile? Tantopiù che John non è ricco, non ha parenti influenti che possono pagare un riscatto.''- disse Sherlock.

Avrebbe avuto senso se avessero rapito lui al suo posto. Lui, Sherlock Holmes, fratello minore della personificazione del Governo Britannico... Mycroft avrebbe tolto lo stipendio per un anno a mezza Inghilterra, rinunciato alla sua comoda poltrona e chi più ne ha ne metta per liberare il fratello... nell'ipotetico e impossibile caso nel quale il rapimento avesse avuto successo.

''Sherlock, lo so che mi ritieni vergognosamente nella media...''- disse Lestrade-:'' ma se c'è una cosa che ho imparato in tanti anni di fedele servizio alla polizia... è che a volte le persone sono molto crudeli.''

Sherlock lo guardò con sguardo stranito.

''Senti, da quando hai iniziato a lavorare, per quanto si possa definire lavoro un passatempo, hai pestato i piedi a un bel po' di persone, forse troppe... così tante che potrebbero fondare un fan club. Una di queste potrebbe essersi risentita e potrebbe averti giocato un dispetto.''- chiarì Lestrade.

Sherlock sentì il mondo crollargli addosso, sperando con tutto il cuore che sosteneva di non avere, che Lestrade si sbagliasse perchè se aveva ragione...

John non era stato rapito da un uomo.

Dal demonio.

 

Quando John si riprese si avvide subito di essere in un posto che più ad una stanza assomigliava a una prigione. Era su un tavolino con la testa appoggiata a una coperta piegata su se stessa. Una finestrella inchiodata con due assi ad x, un tavolino impolverato e una sedia sgangherata.

Tutto quello che ricordava era che... era sceso per cercare qualcosa in archivio... l'aveva quasi trovata... quando si era sentito afferrare energicamente da dietro.

Subito aveva cercato di reagire mollando dei calci allo scaffale facendo cadere tutto, con quell'uomo che gli teneva un braccio attorno al collo e una mano sulla bocca.

Cercava di arrivare ad un pulsante rosso per far sapere a tutti che era nei guai, se si fosse messo ad urlare nessuno l'avrebbe sentito. Ma poi era arrivato un secondo uomo che gli aveva afferrato le gambe, nonostante John non smettesse di scalciare.

Infine il terzo che gli mirò un coltello e che colpì un nervo alla base della nuca...

Poi solo il buio.

''Bensvegliato, Johnny boy, mi stavo preoccupando.''- fece una voce nell'oscurità.

Oh bontà divina... pensò John quando vide il proprietario della voce-:''Moriarty...''

''Niente male questo positicino, vero?''- gli chiese sedendosi di fianco a lui. John era attanagliato dalla paura ma si sforzò con tutte le sue forze di non farglielo capire.

SI ritrasse al contatto con Jim.

''Che cosa hai intenzione di farmi?''- gli chiese con una punta di paura nella voce. Jim gli posò una mano sulla spalla per tranquillizzarlo-:''Non preoccuparti, voglio solo vedere fino a che punto arrivano le doti di Sherlock. Vediamo se ti ritrova. Nel frattempo considerati mio ospite gradito.''

John in risposta si alzò dal letto improvvisato e fece per dirigersi verso la porta, ma dall'oscurità spuntò un altro uomo pronto a bloccarlo.

''Lascialo e fai piano.''- ordinò Jim. Quell'energumeno costrinse John a sedersi di nuovo vicino a Moriarty con la forza-:'' chiariamoci subito: questo è un magazzino abbandonato e non c'è nessuno nel raggio di cinquanta kilometri. Perciò puoi anche metterti a urlare e sbraitare fino a che non hai più voce, tanto nessuno ti sente.''

Ok, sono fottuto...- pensò John.

Solo alla mercè della mente più pazza dell'intero universo.

Ma c'era una consolazione... non poteva andare peggio di così.

O si?

''Ehy, non fare quella faccia, Johnny Boy...''- fece Jim prendendogli il mento-:'' verrò a farti visita tutti i giorni.''

Ma che gioia...- fu il pensiero di John.

''Ora devo andare...''- fece lo psicopatico-:'' tra poco passerà un uomo a portarti del cibo e delle coperte. Mi servi vivo e in salute... almeno per un po' di tempo.''

John sogghignò-:''Puoi anche risparmiarteli certi gentili pensieri, qualunque sia il tuo scopo dammi retta, sei un povero illuso!!!''- detto questo gli sputò dritto in un occhio, ricevendo uno schiaffo dal gorilla di Moriarty.

Quest'ultimo mise una mano in tasca e mise accanto a John un fischietto d'argento attaccato a una cordoncina come se fosse un medaglione.

''Te lo lascio: se hai bisogno di qualcosa fai un fischio e i miei uomini saranno subito ad esaudirti... da domani.''- poi si rivolse al gorilla-:'' lasciatelo senza cibo e acqua per un giorno. Scommettoche dopo sarai molto più...malleabile.''

Dopodichè uscirono entrambi, chiudendo a chiave.

John si mise le mani nei capelli per la disperazione: era in una situazione talmente disperata che solo un miracolo poteva aiutarlo. Sapeva che sarebbe stato ucciso. Era questione di giorni, settimane forse, ma sarebbe morto.

Poteva solo sperare in Sherlock, che lo trovasse... e che entrambi ne uscissero incolumi o perlomeno vivi.

''Mi affido a te''- pensò prima di accoccolarsi su quello pseudoletto e cercare di prendere sonno. 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Ricatti, misteri e speranze ***


 

''Sherlock, per favore mangia.''- fece Mycroft seduto all'estremità opposta del tavolo, osservando che il fratello stava divertendosi a punzecchiare la fetta di carne nel piatto con la forchetta, anzichè mangiarla.

Lestrade lo aveva chiamato, informato dell'accaduto e il maggiore degli Holmes aveva riportato il fratello a Baker Street e aveva deciso di rimanere almeno il tempo necessario per assicurarsi che Sherlock mangiasse.

La signora Hudson invece, sconvolta com'era dalla notizia era davanti alla tv, con gli occhi spenti e vacui, senza nemmeno accorgersi di ''guardare'' un programma dedito alla fisica nucleare.

''Non mi va il polpettone.''- disse Sherlock apatico giocherellando ora con la carne ora con l'insalata.

''Beh, se vuoi ti riscaldo qualcos'altro.... c'è la bistecca, la pasta, pollo... dimmelo tu, di che cos'hai voglia?''- insistè Mycroft con espressione preoccupata.

Era dalla mattina che Sherlock non toccava cibo e si ostinava a non voler mangiare, nonostante le suppliche Che doveva fare secondo lui? Chiedere al cuoco della regina di venire a cucinare per uno che non sentiva mai fame, sete e sonno?

''Non mi va di mangiare niente.''- rispose Sherlock spingendo via il piatto-:'' mangiare non mi aiuterà certo a scoprire dov'è John e a salvarlo.''

''E credi che facendo sciopero della fame ad oltranza, ti aiuterà a risolvere il caso più in fretta?''- lo rimbeccò il fratello.

Sherlock cambiò discorso-:'' I tuoi agenti hanno scoperto qualcosa di interessante?''

Mycroft fece cenno di no con la testa-:''Purtroppo non sappiamo ancora niente... ma John è forte, starà tenendo testa a Moriarty meglio di chiunque altro, non devi mollare.''

Sherlock lo trafisse con lo sguardo di ghiaccio-:'' Non era mia intenzione, infatti, ma ti ringrazio per avermelo ricordato.''

A quel punto Mycroft perse la pazienza: da fratello maggiore era li per aiutarlo, per fargli forza, come minimo si aspettava un minimo di riconoscenza.

''Senti, mi vuoi spiegare cosa ti ho fatto? Non capisco perchè tu debba odiarmi così....''

Sherlock rise divertito-:''Chi, io odiare te? Naaahhh... io non ti odio, non che tu mi faccia impazzire dalla gioia però...''- e qui divenne aggressivo-:'' ma se proprio lo vuoi sapere, mi urta il sistema nervoso che tu mi stia sempre addosso e mi controlli come se fossi un lattante.

Seconda cosa, non sopporto che tu stia qui a parlarmi di quello che devo fare per John, a dire quanto è forte... perchè tu non sai quanto è forte. Io, la signora Hudson, Lestrade, forse anche Molly lo sappiamo. Noi siamo parte della sua vita.''

''Senti, fai come vuoi, d'accordo? Trattami male, odiami, quello che vuoi.... ma bada bene, che nulla potrà mai cancellare un semplice dato di fatto: siamo fratelli.''- disse Mycroft-:'' e invece di stare qui a litigare con me, dovresti concentrarti solo su come salvare John, perchè non ti puoi permettere di perdere l'unica persona che ti vuole bene e che forse....''

Qui avrebbe preferito aver taciuto.

''... Moriarty potrebbe gia aver ucciso come un cane. E' questo che volevi dire?''

In un impeto di rabbia, il CI rovesciò a terra tutto quello che c'era sul tavolo e corse su per le scale fino alla camera di John, chiudendosi a chiave a doppia mandata con il fratello che batteva sulla porta.

''Sherlock, non fare il bambino, apri questa dannata porta.''

''MYCROFT VATTENE DA CASA MIA!!! LASCIAMI SOLO, NON RIESCO A PENSARE CON QUALCUNO CON IL FIATO SUL COLLO!!!!''- strillò Sherlock-:'' HAI CAPITO? VIA!!!''

Sherlock si accoccolò nell'armadio di John, stringendosi forte a una camicia a quadri blu e bianchi.

La camicia che indossava al loro primo incontro.

Venti minuti più tardi sentì bussare alla porta.

''Mi pareva di averti detto di levarti dalle scatole o sbaglio?''- disse Sherlock in direzione della porta.

''Calma, me ne vado subito... ti ho riscaldato qualcosa, te lo lascio qui e quando ti viene fame mangi.''

Ma Sherlock non uscì da quell'armadio per tutta la notte, senza mai riposare, nemmeno chiudere gli occhi per rilassarsi.

Lui non c'era...

ma il tempo continuava a scorrere

Le stelle continuavano a splendere.

Il vento a soffiare.

La vita non si fermava, nemmeno se scompariva una persona.

Uscì da quella camera alle sette del mattino, fregandosi alla grande di aver urtato il vassoio con la pasta e scese in cucina.

Caffè.

Non gli serviva altro se non un po' do caffè.

In quel momento sentì suonare un telefono, ma molto debolmente perchè era chiuso in un cassetto.

La caffettiera gli cadde dalle mani e si ruppe in pezzi.

Quella suoneria per i messaggi... era quella che veniva da un telefono molto particolare e decisamente troppo casa di barbie per essere stato aquistato da un uomo.

Il telefono di uno studio in rosa, come l'aveva chiamato Lestrade.

E solo una persona poteva essere a conoscienza del numero che corrispondeva a quel telefono.

Andò verso il cassetto della scrivania dove l'aveva rinchiuso.

Hai un nuovo messaggio, fece la voce della segreteria telefonica.

Senza pensarci due volte andò nella sezione '' posta in arrivo'' e lesse:

Sei libero? Posso chiamarti? JM

Sherlock digitò un ''OK'' e lo inviò.

Un nanosecondo dopo squillò il telefono.

''Pronto?''

''Ciao Sexy... ho saputo tutto. Come stai?''

Sherlock non perse la calma e rispose-:''Ho avuto giorni migliori se proprio ti interessa... e comunque non fare l'innocentino, lo so che sei stato tu. Ho capito tutto.... hai pagato i medici dell'ospedale per prenderso delle ferie in modo che John lavorasse li, il medico che ha ordinato alla caposala quella cartellina medica eri tu...''- povera donna, era stata l'inconsapevole complice di un rapimento-:'' avevi organizzato tutto da un pezzo, vero?''

''Oh santo cielo Sherlock, che dire... mi hai beccato!!! Ebbene si, la carenza di medici è stata tutta opera mia, e anche il trasferimento di un paziente in una struttura più avanzata è stata una mia ordinazione.''

Gia... dalle testimonianze raccolte, non risultava nulla di sospetto con eccezione di una cosa: i medici di servizio il giorno del rapimento al pronto soccorso sostenevano che tre dottori avevano ordinato un ambulanza per trasportare un paziente in un altro ospedale.

Peccato che quell'ambulanza non fosse mai tornata indietro.

''Dimmi di John.''- fece Sherlock andando subito al sodo.

''Calmati tesoro... il tuo cucciolo sta benissimo, in questo momento dorme come un angioletto.''

''Ed io perchè dovrei crederti?''- rise nervosamente Sherlock. Anche se in cuor suo sapeva che quasi sicuramente John era vivo e in salute.

Era troppo prezioso per Moriarty, sapeva che se gli fosse accaduto qualcosa si sarebbe trovato in una gran brutta situazione.

''Vediamoci alle cinque al bar sotto casa tua e porta 200.000 sterline in contanti.''

Sherlock strabuzzò gli occhi per la sorpresa.

''Qualcosa non torna...''- pensò e aveva ragione. Jim non rapiva la gente per denaro, i suoi affari fruttavano più di quanto avrebbe potuto guadagnare chiunque, anche se avesse lavorato tutta la vita.

''Solo se avrò una prova tangibile che John sta bene... scattagli una fotografia con il giornale di oggi e portamela.''

''Come desideri. Una volta li ti spiegherò tutto.''

Li si chiuse la chiamata.

Duecentomila sterline, in contanti poi... e dove le andava a prendere alle otto di mattina per averle pronte alle cinque dello stesso giorno?

''Mi ha scambiato per Bill Gates?''- pensò sorridendo.

A chiedere soldi in prestito a Mycroft non ci pensava nemmeno...

Però c'era un'altra soluzione...

Tempo fa, aveva risolto per un vecchio compagno di università un caso di effrazione che lo aveva portato sulle traccie di un organiizzazione criminale a livello globale, e gli aveva intestato una discreta sommetta, ma Sherlock non aveva mai toccato quell'assegno, i soldi non gli erano mai piaciuti.

Infatti, dopo quel caso John aveva rinchiuso la busta nella cassaforte a muro ben mascherata con un'enorme smile giallo canarino.

''Scontato.''- fece Sherlock dopo aver digitato la combinazione: la data del suo compleanno-:'' Potevi avere un po' più di fantasia, John.''

Presa la busta si diresse subito verso la banca d' Inghilterra, uno dei posti più inespugnabili della nazione, per riscuotere l'assegno.

Era tranquillo come se stesse semplicemente facendo una corsetta nel parco.

In fin dei conti erano soldi intestati a lui, e ognuno disponeva delle proprie finanze come più gli aggradava, no?

 

''Eppure ci sarà pure un modo per uscire da qui.''- pensò John continuando ad osservare le pareti della sua ''stanza'' e a toccarle ogni piastrella con meticolosa attenzione.

Doveva assolutatamente trovare un modo per uscire da li, altrimenti chi o cosa avrebbe impedito a Moriarty di manovrare, o meglio provare, Sherlock come un burattino?

Finchè John era in mano sua non poteva fare alto che obbedire, ma non avrebbe tirato il gioco troppo in lungo.

Jim si annoiava a giocare troppo a lungo con lo stesso giocattolo.

Quarantotto ore al massimo e poi li avrebbero uccisi.

Tutti e due.

Jim non doveva dare a Sherlock di organizzarsi contro di lui, troppo pericoloso.

Perchè John lo sapeva... che Jim, in cuor suo... lo temeva.

Sentì dei rumori di passi che si stavano avvicinando e si mise a sedere su quella specie di letto.

Nella stanza entrarono i ''gorilla'' di Moriarty.

Uno portava una macchina fotografica, di quelle che scattavano le foto e le sviluppavano il secondo dopo, l'altro invece una copia del Times.

Forse ho trovato...- pensò John.

''Prendi il giornale''- ordinò Jim-:'' dobbiamo scattarti una fotografia per il tuo innamorato: tienilo aperto davanti a te e ben visibile.''

John obbedì. Non poteva fare altrimenti.

La fotografia venne scattata e sviluppata.

''Beh, io vado...''- fece Jim prendendo la foto-:'' io e il tuo amato abbiamo un appuntamento.''

John lo fissò con rabbia-:'' Qualunque sia il tuo piano, non riuscirai a farla franca. Sherlock ti fermerà e ti farà a pezzi!!!''

''Oh, ma che carino...''- fece Jim fingendosi commosso-:'' la piccola e coraggiosa principessa sopporta tutto con rassegnazione certa che il suo bel principe correrà a salvarla... povero illuso. Gli darò la possibilità di salvare la sua dolce fanciulla, ma non ci riuscirà stavolta e sai il perchè? Perchè il nostro amico è completamente innamorato di te e si starà struggendo dall'ansia... e le emozioni rendono la gente incapace di pensare e agire razionalmente.''

''Lui no.''- lo difese John.

Jim rise-:''Ma fammi il favore... è talmente innamorato di te che non crederebbe che tu saresti capace di rubare o uccidere innocenti a sangue freddo nemmeno se ti vedesse compiere il fatto. Ad ogni modo... quando vedrò che non è capace di svolgere bene il suo lavoro, gli regalerò un bel biglietto di sola andata per l'altro mondo, e tu, in quanto causa della sua incapacità farai la stessa fine.

Poi farò in modo che la malavita mondiale sappia... nessuno mai oserà minacciare più l'impero dell'uomo che ha ucciso Sherlock Holmes.''

Dopodiche chiusero la porta a chiave, lasciandolo solo.

John sospirò e si stese.

''Sherlock... stai molto attento te ne prego.''- pregò dentro di se.

Non aveva la minima intenzione di arrendersi ed era sicuro che nemmeno Sherlock l'avebbe fatto.

Ma doveva resistere ancora un po'.

 

''Sono in ritardo, scusa se ti ho fatto aspettare.''- fece Jim sedendosi al tavolo del bar di fronte a Sherlock-:'' posso offrirti qualcosa per farmi perdonare?''

''Sono io ad essere in anticipo''- fece freddamente Sherlock-:'' sono a posto così.''

Jim allora mandò via la cameriera venuta a prendere l'ordinazione.

''Avanti, parla. Cosa vuoi veramente da me? Non hai rapito John per i soldi, dal momento che puoi permetterti abiti così costosi e non faresti mai una cosa che si adatta a un delinquente comune.''

''Ma si da il caso che debba pagare gli straordinari ai miei dipendenti... comunque è vero.''- confermò Jim. Gli passò una busta con dentro la fotografia.

''E' vivo ed è in perfetta salute come puoi ben vedere...''- commentò Jim mentre Sherlock fissava la carta lucida-:'' solo che si rifiuta tassativamente di mangiare.''

''Prendi la valigetta con il denaro. Li vuoi controllare?''- chiese Sherlock scettico.

''Non importa mi fido. Adesso vediamo quanto sono efficaci le tue abilità deduttive in un caso dove sei emotivamente coinvolto.''- sorrise Moriarty-:'' ti do a disposizione trentadue ore e dieci secondi esatti per ritrovare il tuo amante, in memoria dei bei tempi. Trovalo entro questo tempo e lo puoi riportare a casa. In caso contrario lo ammazzerò. Ammazzerò anche te ovviamente.''

Sherlock lo guardò allontanarsi. Come al solito era solo per puro divertimento che agiva così.

E anche il tempo che gli aveva dato non era dato a caso, era una somma.

Dodici ore per scoprire l'omicidio di Carl Powers.

Otto per sventare la truffa di Ian Monkford e signora in associazione con la Jenus Cars.

Dodici per svelare l'assassino di Connie Prince.

Dieci secondi per capire che il dipinto era falso.

''Sono certo che John abbia approfittato di questa occasione per comunicare con me... ma in che modo?''- si chiese riguardando la foto. 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Memories ***


ORE 10.00 A.M ( - 15 ore)

Lestrade battè furiosamente un pugno sulla scrivania-:''Sei soltanto un incosciente!!!''- altrochè se era arrabbiato-:'' ti rendi conto dell'opportunità che avevamo per ritrovare John, e che tu hai buttato al vento assieme a duecentomila sterline?''

Sherlock era in piedi davanti alla scrivania del Director Inspector che ascoltava senza guardare in faccia. Più che altro fissava con odio il fratello maggiore, che il giorno prima l'aveva fatto perdinare e aveva riferito a Lestrade tutto quello che Jim e il fratello si erano detti.

Ma quando impari a farti gli affari tuoi?!?- avrebbe voluto urlare

''Pure tu, Mycroft, digli qualcosa!!!''- fece l'ispettore rivolgendosi all'amico.

Mycroft lo guardò con sufficienza-:''E cosa gli dovrei dire, Greg? Ormai non è più un bambino, sa lui cos'è meglio per se stesso o per quelli che contano per lui. E poi anche se volessi rimproverarlo, non mi ascolterebbe.''

''Ma perchè hai fatto una sciocchezza del genere?''- ricominciò a rimproverarlo Lestrade-:'' dovevi avvertire la polizia, avremmo tenuto sotto controllo il locale, messo degli uomini in borghese e avremmo anche potuto seguirlo.''

Sherlock rise nervosamente-:'' Lestrade, qui non abbiamo a che fare con un rapitore come tutti gli altri o con un essere umano normale... abbiamo a che fare con il diavolo in persona, un Napoleone Del Crimine e se si fosse accorto che qualcuno ci stava spiando o che cercavate di prenderlo in giro, sarebbe stata la condanna a morte di mezza Scotland-Yard.''

''D'accordo, d'accordo ho recepito il messaggio...''- fece Lestrade-:'' quindi sei sicuro che questo Jim Moriarty e il dinamitardo che si è divertito a imbottire di esplosivo la gente nemmeno fossero tacchini il giorno di Natale un po' di tempo fa siano la stessa persona? E che non ha preso John per spillarti dei soldi?''

Sherlock annuì-:'' Sicuro, quello vuole me, vuole vedere quanto posso essere nel pieno delle mie facoltà mentali quando c'è di mezzo una persona che conosco.''

''E quindi cosa conti di fare?''- chiese il fratello.

''Quello che devo... scoprirò dove si trova, è una faccenda mia personale, informerò i tuoi agenti solo quando avrò in mano la situazione, inutile dire che sono sicuro di potercela fare.''- detto questo uscì dall'ufficio e in seguito dalla centrale di polizia, seguito a ruota dal fratello maggiore.

''Sherlock, aspetta.''- fece Mr Governo Britannico accellerando il passo-:'' metti il freno a mano, non ce la faccio a starti dietro.''

''Primo,io l'ho sempre detto che mangi troppo, fratello''- rispose Sherlock con un tono tutt'altro che delicato-:'' secondo, cosa ti fa credere che voglia essere raggiunto da te?''

Mycroft lo raggiunse e gli afferrò un polso con forza, in modo che Sherlock non potesse ripartire.

''Lasciami subito andare, Mycroft!!!''- si ribellò Sherlock cercando di liberarsi.

''Sherlock, cerca di calmarti adesso... non capisci che è troppo pericoloso affrontare quel tipo? Non ricordi quello che ha fatto mesi fa?''- cercò di farlo ragionare.

''E a te cosa importa?''- fece Sherlock riuscendo a liberarsi.

''M'importa...''- ribattè Mycroft-:'' perchè siamo fratelli, ed essendo il più grande sono responsabile per te. E tu puoi arrabbiarti con me e odiarmi finchè ti pare, ma nulla potrà cambiare il dato di fatto che siamo fratelli e che ti voglio bene.''

Sherlock rise freddamente-:'' Mycroft... ti ricordi quando avevo nove anni, e mamma e papà erano in giro per il paese per un viaggio d'affari importante?

Era una giornata di aprile, il sole splendeva ed erano le 14,30... dovevi badare a me e mi avevi portato al Luna Park vicino casa, eravamo sulle macchine dell'autoscontro quando è arrivata...''

Mycroft abbassò gli occhi-:''Sherlock... io...''

''Fammi finire: mi hai piantato in asso per stare con Jennifer, la tua fidanzata dell'epoca. Nessun problema, quello potevo capirlo, sai bene che sono fermamente convinto che l'amore sia una cosa molto pericolosa... quindi salì da solo su quella macchinina azzurra a righe bianche.

Mentre tu e la tua colombella eravate occupati a chiaccherare, ricordi cos'è accaduto o devo rammentartelo io?''

''Sherlock per favore...''- implorò Mycroft. Non si era mai perdonato per quello che era accaduto quel giorno, in quel dannatissimo parco giochi.

''In quel momento ero da solo... finchè non arrivarono due bambini, due ragazzini che ce l'avevano con me perchè a scuola prendevo sempre voti più alti dei loro e che deridevo proprio per quel motivo. Presero una macchina a testa e si divertirono a darmi un po' addosso... un ultimo colpo, e poi sono sbalzato dalla macchinina dov'ero salito battendo una bella testata sul pavimento magnetico.. e tu eri talmente occupato a civettare che non te ne sei nemmeno accorto. Salvo quando mi ha visto steso con una tempia insanguinata. Quando ho riaperto gli occhi ero su un lettino d'ospedale, con qualche tubo sparso qua e la, con l'aggiunta di un fastidioso e continuo bip, e quando guardai l'orologio digitale vidi che erano passati due mesi...''

''Che hai passato in coma, a lottare tra la vita e la morte. Hai lottato, hai combattuto... e alla fine ce l'hai fatta.''- disse il fratello come per elogiare la volontà gratinica del detective.

Il tono di quest'ultimo si fece sprezzante-:'' Quindi come non t'importò di me all'epoca, perchè dovrebbe importartene ora che sono adulto e perfettamente in grado di badare a me stesso?''

Detto questo fermò un taxi e vi salì sopra lasciando il fratello immobile appoggiato al suo inseparabile ombrello.

 

ORE 14.00 P.M ( - 11 ore)

''Tutto bene?''- domandò Jim tornando al magazzino.

''A dire il vero, signore...''- fece uno degli scagnozzi con aria mista a paura e imbarazzo. Jim iniziò ad assomigliare a un drago sputafuoco.

''Cosa...?''- fece il CC con aria minacciosa che avrebbe messo paura anche a un campione di lotta libera-:'' mi sembrava di avervi detto che non dovevate torcergli un capello, fino a quando io non l'avrei deciso!!!''- poi parve calmarsi un poco-:'' forza, vediamo che avete combinato.''

Quando entrò nella stanza di John, comprese che i suoi uomini non avevano trasgredito gli ordini: John era sdraiato sulla panca con la testa appoggiata sul ''cuscino'', respirava affannosamente e dalle tempie scendevano goccie di sudore, che gli imperlavano i capelli biondi sulla fronte.

Jim gli appoggiò una mano sulla fronte-:'' Ha solo un po' di febbre. 37-38 gradi come minimo.''- detto questo prese il proprio fazzoletto, lo piegò su se stesso e lo bagnò nella bacinella d'acqua sul tavolo.

Finita l'operazione lo poggiò sulla fronte del medico.

''Tipico dei medici...''- commentò Jim sogghignando-:'' si adoperano, curano tutti, anche i peggiori assassini... ma per salvarsi da soli non sanno da dove cominciare.''

Con gli occhi socchiusi, John iniziò a mormorare-:'' Sherlock... sei tu? No, non entrare... è troppo buio, dobbiamo andare via...''

''Vuole che vada in città a cercare un medico?''- chiese lo scagnozzo di poco fa. Jim lo guardò con un falso sorriso.

''Ma ceeertooo, caro...''- il suo tono era dannatamente sarcastico-:'' e gia che ci sei, perchè non vai da Lestrade a dirgli l'identità di Jack Lo Squartatore, quando E SE LA SCOPRI?!?''- tono arrabbiato, con una faccia a dir poco spaventosa. Detto questo frugò nelle giacche del Westwood e ne tirò fuori una boccetta rettangolare, molto piccola.

''So ben io, cosa bisogna fare in certi casi''- disse inclinando leggermente la testa di John e tenendogli aperta la bocca. Gli avvicinò la boccetta e rovesciò il liquido marrone in bocca-:'' dagli tempo tre ore e ti sentirai molto meglio.''- poi gli sussurrò in un orecchio-:'' ma io non mi preoccuperei di una banale febbre... tra qualche ora potrebbe iniziare a fare davvero caldo.''

John aprì minimamente gli occhi... Sherlock!!!, avrebbe voluto urlare ma si sentiva troppo debole.

Lo guardava dall'alto.

Molto in alto.

Gli sorrideva, mettendo in mostra due file di denti bianchissimi, paragonabili a perle di fiume.

Sorrideva mentre gli carezzava la fronte rovente con le sue mani lunghe, affusolate come quelle di una donna, e incredibilmente fresche.

''Cerca di farti coraggio... presto verrò a prenderti.''- leggendo il labbiale.

John sorrise-:'' Ti aspetto qui.''

Intanto sentiva le risate dei suoi aguzzini-:'' Ma tu guarda questo, tra meno di due giorni sarà morto e sorride... è impazzito.''

Da una parte sapeva che avevano ragione.

Sherlock non era seduto li con lui...

Tutto quello che vedeva e credeva di sentire era solo fantasia, solo immaginazione... un tentativo del suo inconscio di combattere la quasi certezza che Sherlock non sarebbe riuscito a decifrare il messaggio in codice che gli aveva spedito e che non sarebbero riusciti a salvarsi.

Ma era l'unica cosa che in quel momento gli dava la forza di andare avanti, di non disperare e impazzire per la paura...

Non doveva arrendersi o mollare, in nessun modo...

Le promesse ai morti sono sacre.

FLASH-BACK

''PAPA'!!!PAPA'!!!''- urlava un giovane John Hamish Watson. Erano su un campo di battaglia in Afghanistan, aveva seguito suo padre che faceva il medico militare, e del quale aveva deciso di seguire le orme.

Mentre erano in una specie di ospedale da campo, un gruppo di terroristi fece irruzione sparando a destra e a sinistra. Quel giorno erano entrambi di turno, e il padre di John si parò davanti a un soldato steso su una brandina con una gamba quasi del tutto amputata.

Il colpo lo prese in pieno petto.

''Solo i vigliacchi... sparano a qualcuno che non può difendersi o che è prossimo a morire...''- ansimò l'uomo tenendosi il petto con una mano-:'' ricordatelo sempre, John.''

John, con le mani tremanti inziava a slacciargli la camicia-:''Devo arrestare subito l'emorragia.''- il genitore lo fermò.

''E' inutile figliolo... qualsiasi cosa tu farai, non cambierà le cose, mi rimangono pochi minuti da vivere.''

John tratteneva a stento le lacrime-:''No... non è vero, smettila di scherzare... non puoi andartene... ho bisogno di te, mamma ha bisogno di te... e Harrieth più di tutti.''

''John, non sto scherzando...''- ansimò il genitore-:'' sono un medico, ricordi? Il proiettile mi ha preso l'aorta... è finita. Ma non importa... me ne vado tranquillo. Perchè ho avuto la fortuna di conosciere, amare e sposare la donna più meravigliosa dell'universo che mi ha dato due figli splendidi.''

''E allora, per queste persone, ti supplico combatti, lotta per tornare da noi...''- implorò John. Una vita senza suo padre... non c'era nulla di peggio. Suo padre, il suo migliore amico, un abbraccio sempre pronto, una spalla su cui piangere...

''John... quando studierai Bowlby capirai che alla sesta fase, un uomo nella sua vita fa una specie di bilancio... e il mio è positivo, ho adempiuto a tutti i miei doveri e la vita è stata generosa con me, quindi posso accettare con tranquillità l'idea di dover morire e anche tu devi fartene una ragione e farti forza... e farne anche a tua madre e tua sorella.''

John si lasciò sfuggire una lacrima che il padre subito raccolse.

''Senti, ti posso chiedere un ultimo favore, figlio mio?''- fece l'uomo raccogliendo le ultime enerige. John annuì.

''Vivi sempre secondo i principi che ti ho insegnato: onestà, misericordia e compassione e soprattutto, anche quando ti sembra che ci sia solo un cielo nero... non arrenderti mai. So bene quanto sei coraggioso, e so che mi renderai orgoglioso di te. E vedrai che un giorno, queste tue grandi virtù verranno apprezzate e troverai qualcuno che sarà pronto a dare la vita per te.''

John promise e giurò di rispettare le volontà del padre. Questi sorrise, accarezzo il figlio e dopo pochi secondi che lo fissava... Lionel Watson si spense tra le braccia del figlio ventenne, che ora non smetteva di urlare e piangere.

FINE FLASH-BACK

Ore 19.00 P.M ( - 6 ore)

Intanto, nel salotto di Baker Street, Sherlock era seduto scompostamente sul divano con un braccio ricoperto di cerotti alla nicotina.

Aveva passato così le ultime dieci ore. Un po' dormiva, un po' pensava... ma non riusciva a concentrarsi su nulla, aveva ragione Moriarty.

Era difficile pensare con razionalità quando di mezzo c'era l'unica persona al mondo che per te valeva più di tutto e che stava rischiando la vita per una faccenda in cui non c'entrava nulla, a meno che non fosse...

''No''- si autocomandò. John non era morto, era ancora vivo.

Jim lo avrebbe tenuto in vita fino a che non gli avrebbe fatto comodo...

John non si sarebbe arreso almeno fino a quel momento, e nemmeno lui l'avrebbe fatto.

''Cu-cu''- fece la signora Hudson affacciandosi alla porta, vedendo l'investigatore sul divano.

''Che fine aveva fatto?''- le chiese Sherlock.

''Ero a fare la spesa''- fu la giustificazione della donna. Sherlock si avvide subito che mentiva. Ma che bisogno aveva di mentire, se tanto sapeva che l'avrebbe scoperta un nanosecondo dopo.

''Lo scontrino sulla scrivania dice che ha pagato alla cassa alle 17.48 e che ha speso in tutto cento sterline...''- dedusse Sherlock-:'' sono le diciannove, ed è andata a fare un altra spesa per coprire la sua reale destinazione. Ha le ginocchia arrossate, come se fosse stata in ginocchio a lungo, e dal momento che oggigiorno si possono utilizzare altre cose per pulire il pavimento... deduco che è stata a lungo inginocchiata sulla panca di una chiesa.''

La donna annuì-:'' Si, è vero. Sono stata in chiesa a pregare la Vergine Maria, affinchè faccia in modo che il dottore ritorni a casa sano e salvo. Lo faccia anche lei... aiuta.''

Sherlock finse di non aver sentito e guardò l'orologio: erano gia passate ventisei ore dal suo incontro con Moriarty e il tempo stringeva. Tra poche ore e dieci secondi, la persona che gli stava più a cuore, l'unica, sarebbe morta e lui si sentiva impotente, senza nulla in mano...

L'una e dieci secondi di quella notte.

Doveva ritrovare John entro quel tempo... altrimenti avrebbe firmato la loro condanna a morte

Ok, questo cappy fa schifo, ma siate clementi ve ne prego. 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Lotta contro il tempo... ma il gioco è sporco ***


 

Almeno su una cosa Jim non aveva mentito: la medicina che lo aveva forzato a bere era miracolosa, aveva fatto subito effetto e si sentiva molto meglio.

Nella pienezza delle sue facoltà mentali tutto quello che riusciva a fare era pensare a Sherlock.

Chissà se sta bene...

chissà se dorme e mangia come si deve...

chissà se si sta preoccupando per me...

solo dell'ultima domanda era assolutatamente sicuro che la risposta fosse affermativa. E per il resto era assolutatamente certo che in tutto quel tempo era seduto da qualche parte con i piedi appoggiati sul sedile della poltrona e le mani giunte come se stesse pregando... ma Sherlock Holmes non pregava mai. Se gli scienziati normali non credevano a cose incerte come le divinità, lui che era il Super-Scienziato non ci credeva il doppio.

Oppure stava battendo Londra cenitmetro per centimentro per cercarlo... chissà se lo avrebbe ritrovato.

''Eppure Sherlock non è uomo da arrendersi davanti a un indovinello...''- pensò cercando di farsi coraggio-:'' sono sicuro che riuscirà a tradurlo... deve riuscire.''

In quel momento arrivò Jim Moriarty con un vassoio, che trasportava un piatto di minestra, pane e acqua e delle posate. Appoggiò tutto sul tavolo e si sedette accanto a lui.

''Ti secca se mangio con te?''- chiese Moriarty. John distolse lo sguardo.

''Non ho fame.''

''Non ne avevi nemmeno ieri. Sono due giorni che non tocchi cibo, lo so che stai morendo di fame.''- insistè lo psicopatico.

''Perchè non mi lasci in pace?''- replicò secco-:'' mi hai prelevato con la forza, rinchiuso in uno stanzino per le scope, credo che almeno un po' di privacy me la devi.''

''Lo sai, Johnny...''- fece Jim dandogli delle amichevoli pacche sulla spalla. L'interpellato iniziava ad inquietarsi, sapeva che quando Jim usava quel tono bisognava iniziare a temere per la propria vita-:'' io non volevo farlo, ma non mi lasci alternative.''- detto questo si mise una mano in tasca e con l'altra afferrò il braccio di John, piegandoglielo, tanto da farglielo scricchiolare e gli infiò l'ago della siringa nella carne viva.

L'ago si ruppe, e rimase li, mentre John si grattava furiosamente il punto dolente.

''Rilassati, non è nulla... solo un integratore che ti impedirà di essere troppo debole.''- poi fece per andarsene, ma sulla porta si bloccò-:'' sai, non mi è ancora giunta voce che Sherlock sappia dove sbattere la testa. Credevo che fosse molto... affezionato al suo cagnolino. Non sei sorpreso del fatto che il tuo padroncino ti lasci qui a morire?''

John chiamò a se tutta la dignità di soldato accumulata negli anni e disse-:''Come faccio a sapere cosa pensa Sherlock se sto in una fetida cella?''

im lo guardò in cagnesco-:'' Bada bene...sono gia le venti. Cio vuol dire che se tra cinque ore e dieci secondi il tuo bel cavaliere non si fa vivo... questa fetida cella sarà l'ultima cosa che vedrai in vita tua.''

Se ne andò e chiuse la porta a doppia mandata. John si portò la mano al braccio ferito, gemendo. Doveva liberarsene primache poteva o gli avrebbe causato una brutta infezione.

Allora si ricordò di essere un chirurgo, e del coltellino con il manico rosso che portava sempre in tasca come portafortuna.

Era l'ultimo regalo di suo padre prima che quel proiettile lo portasse via.

Arrotolò la manica della camicia per avere libero accesso alla ferita e trattenendo a stento qualche mugolio di dolore fece un incisione a x nell'esatto punto dove l'ago si era rotto in modo da poterlo togliere con facilità. Lo tolse grazie a due stuzzicandenti che ogni tanto i suoi carcerieri buttavano.

Poi se la bendò con un pezzo di stoffa strappato dal cuscino.

''A volte essere un medico militare è un bel vantaggio.''- pensò ridendo. Anche se sapeva che se Sherlock non si faceva sentire entro cinque ore sarebbero morti entrambi non potè fare a meno di farsi sfuggire una risatina.

Se riesco a sopravvivere gli dico tutto, pensò in un attimo di disperato ottimismo Ma nel caso fosse tardi lo consolava solo l'idea che almeno da morti sarebbero potuti stare insieme per sempre, senza che ne Moriarty ne chicchessia avrebbe più potuto separarli.

 

Sherlock riadagiò la tazza vuota sul piattino posato sul tavolo della cucina sospirando.

''Adesso si che mi piaci...''- commentò Greg seduto di fronte a lui-:'' vedi che hai gia ripreso colore?''

''Non è il mio colorito a preoccuparmi.''- rispose Sherlock. Greg era andato a casa sua per sapere se i rapitori di John si erano rifatti vivi, e l'aveva trovato a testa in giu nella doccia. L'aveva costretto a rialzarsi e a stendersi sul divano mentre gli riscaldava del tè e tirava fuori dei biscotti.

In realtà Sherlock sapeva il vero motivo di quella visita.

L'aveva mandato Mycroft.

Mentre Lestrade armeggiava in cucina aveva iniziato a giocherellare con il cellulare del DI.

Messaggi in arrivo.

Vai da Sherlock. Assicurati che mangi. MH.

''Possibile che creda abbia bisogno della bambinaia?''- borbottò tra se e se-:'' notizie di John?''

''Non ancora, ma abbiamo ancora tempo e gli uomini di Mycorft stanno battendo Londra centimetro per centimetro...''

Sherlock battè le mani sul tavolo-:''E' tutto inutile, non lo troverete mai. Sa come ragionate ancora prima che voi possiate formulare un pensiero e nessuno conosce Londra meglio di lui. E soprattutto... c'è sempre qualcuno disposto a dargli una mano.''

''Allora siamo in un vicolo cieco...''- sospirò Lestrade-:'' non abbiamo in mano nessun indizio.''

''Tranne la foto.''- borbottò Sherlock. Ne era convinto: John era un uomo in gamba e non poteva aver sprecato un occasione per comunicare con lui. Era per questo che aveva richiesto una foto di John. Sapeva che John avrebbe cercato di mandargli un messaggio, un indizio...

La riprese dalla propria tasca e riprese a fissarla con meticolosa attenzione.

''Sherlock, non credo che John sia stato capace di...''- s'intromise Lestrade.

''John è un soldato...''- lo contraddisse prontamente-:'' la prima cosa che insegnano ai soldati è come parlare o comunicare con chiunque possa aiutarli in situazioni di pericolo.''

Si ricordava della sera che aveva dato appuntamento a Moriarty nella piscina... e si era ritrovato davanti al suo migliore amico avvolto in un cappotto pieno di esplosivo.

Paura.

Angoscia.

Sgomento.

Ecco cosa aveva provato in quel momento.

Pochi nanosecondi più tardi e aveva notato che l'amico sbatteva gli occhi decisamente troppe volte perchè fossero gesti istintivi e non controllati. Infatti stava cercando di avvertirlo del pericolo con il codice morse, ed era certo l'aveva fatto anche stavolta.

''D'accordo ammettiamo per un istante che tu abbia ragione, d'accordo?''- la voce del DI era rilassante-:'' quale sarebbe il messaggio in questa foto?''

Gia, quale? Era da quando l'aveva in mano che continuava a rimuginarvi sopra, era sicuro che ci fosse un collegamento... quella foto era tutto quello che lo teneva legato a John.

''Ha cercato di mandarmi un messaggio, ne sono certo... ma quale?''- pensò. Guardò molto bene il giornale.

Nuovo incidente sul lavoro: magazziniere ucciso.

Donna morta per ipotermia. Ritrovato il cadavere nel Tamigi.

''Forse ho capito...''- fece Sherlock dirigendosi verso la scrivania nel soggiorno piazzando la foto sotto la lampada accesa, seguito a ruota da Lestrade e afferrando il giornale del giorno prima.

''Ecco il messaggio, mi stupisco solo di non esserci arrivato prima...''

Lestrade fece del sarcasmo-:''Guarda, non sai quanto sono felice che per te sia tutto chiaro come uno specchio... ma saresti così gentile da rendermi partecipe della tua intuizione?''

Sherlock lo guardò con aria scettica-:''Oh, andiamo è talmente banale che perfino tu, perfino Anderson potreste arrivarci... la posizione delle dita!!! Guarda attentamente come tiene il giornale... l'indice della mano sinistra copre la notizia fino a magazziniere. La mano destra copre la parola Tamigi.''

''E allora, hanno dato a John il giornale da fotografare e lui lo ha preso in mano, magari non si è nemmeno accorto che...''- meglio tacere. Una tigre a cui avevano minacciato i propri cuccioli sarebbe stata meno pericolosa-:''ok, va bene... ma cosa c'entrano una magazziniere morto e il Tamigi con il rapimento di John?''

''Assolutatamente nulla per quanto riguarda il magazzino, ma il Tamigi c'entra eccome... con questo John voleva farci capire che si trova in un magazzino abbandonato sulle rive del Tamigi. Il collegamento non può che essere questo.''- ora si riconoscieva. Finalmente il suo cervello era ritornato a pensare con razionalità. Lestrade aveva preso il telefono e iniziò a parlare in modo da organizzare l'operazione di salvataggio in tempo. Avevano ancora tre ore, tutto il tempo per organizzare una bella sorpresina a Moriarty.

ORE 23.00 P.M.

Ok, ora inziava davvero a preoccuparsi... mancavano solo tre ore all'ora della loro morte...

chissà se sarebbero riusciti a salvarsi...

In quel momento arrivarono gli aguzzini arruolati da Moriarty.

''Qualche ultimo desiderio?''- chiese uno di loro. John era letteralmente terrorizzato, ma anche confuso: era all'una che scadeva il tempo... aveva ancora tre ore, avevano...

''C'è ancora tempo...''- balbettò pensando di poter avere un punto a suo favore. Jim apparve sulla soglia e rise.

''Oh Johnny, come sei ingenuo...''- ridacchiò il consulting criminal-:'' ho dato a Sherlock la somma delle ore che ha avuto per risolvere una serie di enigmi, ricordi...''

''Si, lo so, c'ero pure io!!!''- fece John esasperato.

''Ehy, rilassati tigre...''- Jim continuò-:'' ad ogni modo io gli avevo dato dodici ore per risolvere il caso del piccolo Carl, ma lui l'ha risolto in nove ore... quindi è come se le tre ore mancanti fossero gia passate, ergo... pronto a rendere l'anima?''

John si sentì un vero idiota... ma come aveva potuto anche solo pensare che Jim avrebbe giocato pulito, per una volta?

Sherlock sarebbe arrivato li da un momento all'altro, doveva prendere tempo... corse dal letto improvvisato dietro al tavolino e afferrò la sedia per le gambe.

''Se mi vuoi dovrai prendermi!!!''- da bravo soldato avrebbe lottato fino alla fine per avere la speranza di salvarsi. Jim non parve preoccuparsene.

''John, non fare così, non ti conviene far arrabbiare papà...''- lo prese in giro-:'' anche perchè non è solo la tua vita o quella di Sherlock, ad essere appesa ad un filo.''

John s'incuriosì a quelle parole, ma sapeva che la risposta non era affatto piacevole.

Jim tirò fuori dalla tasca della giacca un scatolina di cartone.

''Aprilo pure: è per te.''- gli ordinò Jim con il tono di chi non ammetteva repliche. John posò la sedia e con le mani che tremavano e ne tirò fuori un pezzo di stoffa verde-acqua, con il pizzo.

Una smorfia di orrore e di disprezzo si dipinse sul volto del medico.

''Eh si...''- sorrise Jim-:'' questo fazzoletto appartiene proprio a tua sorella Harrieth, che nonostante i quarant'anni e il fatto di essere alcolizzata è ancora una donna desiderabile... non obbligarmi a farle del male.''

Avrebbe voluto ucciderlo.

Se avesse potuto non si sarebbe fatto troppi problemi ad afferrare il tavolo, la sedia o la panca e tirargli tutto in testa, ma in quel caso Sherlock, Harry.. tutti quelli che amava sarebbero morti e non poteva sopportare che accadesse una cosa simile.

Alzò le mani in segno di resa.

''E va bene, maledetto bastardo... hai vinto. Fa di me cio che vuoi, ma lascia in pace Sherlock e mia sorella, d'accordo?''- come se potesse fidarsi della parola di quel maledetto, ma la disperazione ci fa dire cose che non hanno alcun senso.

Anche in quel frangente e in un momento tanto drammatico per la sua vita, aveva ancora un pensiero per le persone che amava e che avevano reso la sua vita meravigliosa.

Poteva dirsi soddisfatto: aveva conseguito tutti gli obiettivi che si era prefissato, aveva conosciuto il dolore della perdita alla morte di suo padre, la rabbia e la sofferenza quando Harry aveva iniziato a bere, il dolore psicosomatico alla gamba... e tutto era stato compensato dall'amore e dall'amicizia per l'unico consulente investigativo.

Il bilancio della sua vita era dunque positivo e quindi poteva accettare l'idea di morire.

Il suo unico grande dolore era che avrebbe dovuto dire addio a tutto e tutti quelli che amava.

''E va bene, i desideri di un condannato a morte sono sacri e inviolabili e poi a me basta vedere Sherlock soffrire... sapere che tu sei morto, per causa sua poi, e che non è riuscito a salvarti sarà un dolore abbastanza forte da farlo morire di crepacuore. E magari è la volta buona che mi lascia lavorare in santa pace.''- fece con aria teatralmente speranzosa. Poi gli tese una mano-:'' forza, vieni con me.''

Joh non oppose la minima resistenza e li seguì. A che serviva ribellarsi poi? Solo che lo spaventava l'idea di come sarebbe morto, ma di certo non in maniera indolore.

Arrivati nell'enorme stanza che costituiva la maggior parte del magazzino John notò che c'erano parecchie colonne in metallo. Lo fecero mettere controschiena con una di quelle che sembrava quella portante dell'edificio.

''Metti le braccia dietro la colonna.''- ordinò uno degli aguzzini. John obbedì con la rassegnazione di chi sa che deve morire e sentì qualcosa di freddo e gelato intorno ad ambedue i polsi. Capì che lo avevano ammanettato alla colonna, ci mancava solo la benda sugli occhi per non fargli vedere mentre gli puntavano contro la pistola o il fucile.

''John, un ultima cosa...''- fece Jim-:'' la carne ti piace al sangue o ben cotta?''

John gli diede ad intendere di non aver capito.

''Allora, scelgo io... vediamo cosa sarà capace di fare per te il nostro Sherlock, adesso.''- fece Jim tirando fuori un accendino e accendendolo lo buttò sul pavimento.

Tutto intorno prese fuoco.

Ora capiva la minaccia di quella notte....

era stata fatta a Sherlock, ma il destinatario era lui.

Ti brucierò il cuore.

E il cuore di Sherlock non era ne un organo anatomico ne un oggetto.

Una persona.

John Hamish Watson.

''Sherlock...''- pensò John lasciandosi scappare una lacrima. Chissà cos'avrebbe provato Sherlock quando sarebbe arrivato sul posto, vedere che l'edificio era in fiamme e quando avrebbe saputo che lui era la dentro-:'' Se davvero mi fosse concesso un desiderio piccolo piccolo... vorrei rivederti e parlarti almeno per un ultima volta... dirti che non è colpa tua se cio è accaduto, e ringraziarti per aver reso ogni attimo che ho passato con te, unico, magico e interminabile.

Addio Sherlock... chi lo sa, magari prima di quanto tu non immagini ci rincontreremo.''

Detto questo chiuse gli occhi e lasciò che le fiamme lo circondassero. 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Per te andrò nelle fiamme dell'inferno ***


 

''Niente nemmeno qui.''- fece la Donovan uscendo seguita a ruota da Anderson e alcuni poliziotti.

Era gia il terzo magazzino che perlustravano ma di John e dei suoi aguzzini non c'era neanche l'odore.

Il massimo che avevano trovato erano due fidanzatini intenti a farsi delle effusioni e che tra l'altro avevano lanciato un mattone al povero Lestrade.

Evitato per un soffio, tra le risate di Sherlock e del resto del corpo di polizia.

''Lo dicevo io, che a dare retta allo Strambo c'erano guai...''- commentò Anderson-:'' se penso che a quest'ora potrei essere in un bel cafè di Londra a bere un caffè, e invece sto dietro a uno psicopatico che vede rapitori e messaggi strani in fotografie.''

''Prima di tutto, sono un sociopatico iperattivo''- rettificò Sherlock fulminandolo con lo sguardo-:'' e poi, di piuttosto che preferiresti farti pulire casa da una certa signora che conosciamo bene.''

Inutile dire che Sally e Anderson avrebbero voluto legarlo a un asse di legno, metterlo a pancia in giu e buttarlo nel Tamigi, ma si limitarono a lanciargli un occhiataccia.

''Chi lo sa, magari hai interpretato male il messaggio...''- tentò Lestrade.

Non era possibile che si fosse sbagliato, lui era Sherlock Holmes, e Sherlock Holmes non sbaglia mai...

e non doveva sbagliare...

Non stavolta, non la volta che l'unica persona che per lui contava davvero,

l'unico uomo per il quale il cuore aveva cominciato a battere era in pericolo di vita.

Se fosse stata la sua vita ad essere in pericolo ben venga, ma c'era di mezzo il suo John.

Il suo uomo.

In quel preciso istante suonò un telefono.

Il cellulare rosa.

Sherlock lo afferrò a tempo record e rispose in ancor meno tempo.

''Metti in vivavoce, così cerchiamo di captare qualche indizio.''- disse Lestrade.

Parole al vento.

''Pronto.''- fece Sherlock con il cuore in gola.

''Sembra che stavolta tu non riesca a ritrovare il tuo cagnolino eh? Perchè non provi a cercarne un altro al canile?''- lo canzonò la voce dall'altro capo del telefono.

Irritante e angosciante allo stesso tempo.

Come poche.

''Ti domando scusa sexy, ma il mio orologio si è bloccato e quindi non so se...''

Aveva capito tutto... aveva risolto un enigma in meno tempo di quello pattuito, e c'era un altro messaggio in quel caso, sottinteso, ma che lui non era riuscito a captare.

''Ti ho dato 33 ore e dieci secondi ma mi aspetto che tu risolva il mio indovinello in 30 ore.''

Idiota, idiota, idiota... come hai potuto non arrivarci prima? -si maledì Sherlock.

''Dimmi. Dov'è. John.''- sembrava tanto una minaccia.

''Sei quasi arrivato, con un piccolo sforzo lo trovi... o meglio quello che ne resta.''

Il cuore del CI era come un pezzo di legno. Nel senso di un pezzo di legno imbevuto in almeno mezzo litro di benzina, che avvicinato ad una piccola scintilla prende fuoco.

Era avvampato.

''Che gli hai fatto?!?''- urlò facendo sobbalzare tutti i presenti. Sherlock o Lo Strambo come lo chiamavano Anderson e Donovan era sempre così tranquillo, calmo, pacato e indifferente...

''Sai che se fossi nato nel Medioevo ti avrebbero bruciato come stregone?(*) E dal momento che Johnny-Boy sarebbe il tuo... chiamiamolo apprendista... mi pare che sia giusto che subisca il destino del suo padrone, ti pare?''

Anche se l'argomento della conversazione era il fuoco, si sentì gelare dentro.

Aveva capito fin troppo bene...

Non potè fare a meno di voltarsi...

Molto più in la c'era del fumo, cielo colorato di rosso e arancione... lasciò cadere il cellulare a peso morto sul suolo, incapace di parlare o muoversi mentre Lestrade l'aveva afferrato energicamente per le spalle scuotendolo e urlando di spiegargli che succedeva.

Lui non ci badò e fece per andarsene, ma Lestrade lo trattenne.

''Lasciami andare!!! Io devo andare...''- fece urlando senza staccare gli occhi di dosso a quel rogo.

''No, tu non vai da nessuna parte fino a quando non mi avrai spiegato cosa succede.''- lo ammonì l'ispettore-capo.

''Ti ho detto di lasciarmi andare!!!''- fece il detective cercando di liberarsi i polsi dalla stretta-:'' IL MIO JOHN E' IN PERICOLO!!!''

A quelle parole la stretta intorno alle braccia di Sherlock si annullò tra lo stupore dei presenti.

Non se ne curò e prese la moto rossa parcheggiata fuori dal magazzino e che apparteneva ai due fidanzatini. Si mise il casco.

''Sherlock, che succede?!?''- insistè Lestrade mettendosi di fianco alla moto. Era sinceramente preoccupato.

''Ora non ti posso spiegare...''- fece lui spiccio-:'' solo ti dico di mandare un camion dei vigili del fuoco e un ambulanza nei pressi della vecchia fabbrica di fuochi d'artificio abbandonata.''

Detto questo partì di gran carriera con la moto, a tutta velocità e con le luci della città che si riflettevano nel paprabrezza del casco.

E con la voce di Moriarty che lo canzonava...

'' Le conviene sbrigarsi prode cavaliere... prima che la sua dama faccia una brutta fine.''

Arrivò sul posto in pochissimo tempo e quando arrivò c'era gia il camion dei vigili del fuoco che lavorava egregiamente per spegnere o almeno tentare quel terribile rogo.

Abbandonò casco e moto li e fece per entrare nel capanno, ma un vigile lo fermò.

''Ma è pazzo, non può entrare, finirebbe arrostito!!!''

''C'è un uomo, la dentro!!!''- urlò in preda alla rabbia mista alla disperazione. In quel momento vide Lestrade e gli corse incontro farfugliando-:''Lestrade... John è la dentro...''

L'interpellato lo prese per le spalle cercando di confortarlo-:''Stai calmo, faremo tutto quello che possiamo...''

 

In quel terribile rogo il fumo iniziava a farsi sempre più forte, il caldo sempre più insopportabile e rimanere coscienti e respirare era diventata un' impresa impossibile.

Iniziava a sentirsi svenire...

Non arrenderti John. Non arrenderti mai, qualunque cosa accada non mollare la presa e la speranza - recitava le parole che suo padre gli aveva ripetuto nei momenti critici per farsi coraggio.

''Perdonami papà... ma non sono riuscito a mantenere la promessa.

Perdonami Sherlock.... ormai, non potrò più dirti quel ti amo riservato alla persona più speciale che si incontra nella vita... un giorno ci scorderemo a vicenda del male che ci siamo fatti... ma non ci dimenticheremo mai del bene che ci siamo fatti a vicenda.''

Voci in lontananza...

''Aumentare la pressione dell'acqua, forza con quegli idranti!!!''

''Sissignore!!!''

''Le ho detto che non può entrare, è un inferno!!!''

''Ma insomma, le ho appena detto che c'è un uomo la dentro, aspettate che sia morto per tirarlo fuori da li?!?''

Sherlock...- sorrise John collegando quella voce arrabbiata e esasperata all'angelo più bello del mondo.

Ce l'aveva fatta a trovarlo e cosa più importante era vivo e stava bene...

Doveva richiamare la sua attenzione fargli capire che era vivo.

Provò a gridare con tutte le sue forze e a far rumore con le manette, ma il timore di svenire si faceva sempre più forte ogni secondo che passava.

Allora gli venne un idea, dettata più dalla disperazione di un uomo che tenta disperatamente di salvarsi anche quando è evidente che ogni speranza è persa, più che dalla ragione.

Si era ricordato del fischietto che Moriarty gli aveva dato e che aveva messo al collo in caso potesse tornargli utile in un modo o nell'altro.

Con un grande sforzo di volontà e aiutandosi con denti e lingua riuscì a prenderlo e a metterselo in bocca e vi soffiò dentro con tutto il fiato che gli rimaneva.

 

''Senti, se Moriarty e i suoi sono riusciti a uscire da li incolumi, posso farcela pure io!!! Possiamo...''- urlò Sherlock facendo per andare dentro il rogo, ma Lestrade lo fermò energicamente.

''Senti, se entri la dentro hai buone probabilità di morire appena entrato, quindi mi spiace ma finchè ci sono io tu li dentro non entri.''- con il tono di chi non ammetteva repliche.

''E poi non sai nemmeno se è ancora vivo.''- affermò la Donovan. In risposta Lestrade e Sherlock la fulminarono con lo sguardo.

John era ancora vivo, Sherlock se lo sentiva, se fosse morto avrebbe sentito il vuoto intorno a lui.

Tre fischi.

FIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII!!!!!!!! FIIIIII!!!! FIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII!!!!!!!!!!!!!!

S O S

''E' John!!! E' vivo, è vivo, lo sapevo.''- fece Sherlock euforico. Lestrade non potè che condividere l'entusiasmo del, chiamiamolo, amico.

''Devo andare a prenderlo...''- pensò Sherlock-:'' Lestrade, prestami il tuo fazzoletto.''

L'ispettore obbedì.

Sherlock si avvicinò a uno dei pompieri e gli strappò di mano la pomba dell'acqua e puntandola contro la sua stessa persona, bagnandosi da capo a piedi, sotto gli sguardi straniti di Lestrade, Anderson, Sally e i pompieri.

Il capo della scientifica si scambiò uno sguardo con l'amante come a dire-:''Gli è partito tutto il macchinario del cervello.''

Sherlock intuì i loro pensieri e li liquidò con questa frase-:''Che c'è? Mai fatto il bucato e la doccia nello stesso momento?''- detto questo entrò nel magazzino in fiamme.

Era tutto in fiamme e fu solo grazie ad una prontezza di riflessi senza eguali che era riuscito a non finire sotto due travi che erano cadute consumate dal fuoco che divorava tutto quello che trovava.

''John, mi senti?!? Continua a fischiare così ti trovo!!!''- urlò nelle fiamme. Con quella guida riuscì ad arrivare alla colonna dove era incatenato John. Il sudore gli imperlava la pelle del viso e i capelli biondi. Gli poggiò la testa sul petto e sospirò sollevato: il respiro e il battito cardiaco erano presenti.

Deboli ma c'erano.

Gli diede due colpetti sulle guancie per aiutarlo a svegliarsi. John aprì lentamente gli occhi e nel vedersi davanti il viso di Sherlock messo in risalto dalle fiamme e con i capelli grondanti d'acqua non potè fare a meno di sorridere.

Nemmeno una statua greca avrebbe potuto raggiungere il livello di Sherlock in quanto a bellezza in quel momento.

''Coraggio, cerca di tenere duro, tra pochi secondi sarà tutto finito.''- fece Sherlock determinato come mai in vita sua. Aveva ritrovato il suo uomo e pur di metterlo in salvo era pronto a tutto, anche alla morte.

Prese il coltello che sapeva di trovare nelle tasche di John e con un colpo secco tranciò le manette, liberandolo.

Gli cadde subito tra le braccia che lo strinsero subito.

L'arco delle braccia di Sherlock... da una prigione all'altra, pensò John. Ma con una differenza: la prigione dove si trovava ora, sul petto, sul cuore di Sherlock... da quella gabbia non avrebbe mai tentato di scappare.

Sherlock gli posò un bacio tra i capelli imperlati di sudore e inziò a portarlo fuori abbrancandolo e mettendogli su naso e bocca il fazzoletto umido.

Lui non aveva bisogno di respirare, troppo noioso.

Con un ultimo sforzo riuscì ad uscire dal magazzino in fiamme trascinando con se l'amico.

Furono fortunati. Molto fortunati.

Uscirono appena in tempo per vedere il magazzino consumato dalle fiamme crollare davanti ai loro occhi come un castello di carte. S'inginocchiò di fianco a John-:'' John, riesci a sentirmi?''- ma venne trascinato via da Sally e Lestrade, mentre due infermieri avevano messo una mascherina per l'ossigeno sulle vie respiratorie dell'ex militare.

''Sherlock, vieni qui per favore...''- fece Lestrade obbligandolo a sedersi in auto-:'' prendi aria e poi buttala fuori... ecco, così.''

''Di un po' Strambo hai idea del rischio che hai corso? C'era un sacco di materiale tossico la dentro...''- lo rimproverò Sally per non ammettere che in quel momento lo ammirava per essersi lanciato nelle fiamme al fine di salvare chi amava, a discapito della sua vita.

Appena riprese a respirare un po meglio corse subito verso la barella dove avevano sistemato John e si aggrappò alla stoffa bianca. L'uomo aveva ancora quella specie di respiratore attaccato a naso e bocca e una perdita di sangue coperto con un fazzoletto.

''Come sta?!?''- urlò fuori di se.

Uno degli nfermieri cercò di tranquillizzarlo-:'' Stia calmo, ha un ustione di terzo grado e sarà necessario un intervento, ma al momento è inosciente a causa del fumo che ha respirato. Lei è un parente?''

''No, sono un suo amico, il suo migliore amico...''- fu la risposta. L'infermiere di prima gli impedì di salire facendo da scudo con il proprio corpo.

''Mi spiace, ma se non è un parente non può salire.''

Sherlock perse leggermente la pazienza e buttò a terra l'infermiere e salì lo stesso sulla vettura-:''Maledizione, ho finito di fare il gentlaman inglese!!!''- e si sedette di fianco a John iniziando a comprimere il suo petto senza togliergli la camicia.

Mai togliere i vestiti di dosso a una persona con un ustione grave se non sai come fare ripeteva sempre John.

Comprimeva e immetteva aria.

''Resisti, mi hai capito?''- fece lottando contro se stesso per tenere dentro le lacrime che scalpitavano per uscire-:'' IO TI AMO!!! Ti amo non morire... non devi morire, io non posso vivere se non ci sei tu al mio fianco. Ho voluto te, ho scielto te, se muori tu, muoio anch'io (2) perchè... perchè tu sei il mio cuore e se smetti di esistere, io non ci sono più.''

Era ben altra la situazione in cui avrebbe voluto dirlo, ed erano ben altre parole che avrebbe voluto usare ma John si sarebbe accontentato.

Per tutto il tragitto, Sherlock non smise di fargli la respirazione bocca a bocca e il massaggio cardiaco e arrivarono in breve tempo all'ospedale dove ad aspettarli c'erano Mike e Sarah.

I portelli dell'ambulanza si aprirono.

 

* Lo dice Watson a Holmes nel racconto '' Uno scandalo in Boemia''

(2) Bellissima scena d'amore tra Meredith Grey e suo marito Derek nella 6x24

 

 

 

  

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Alla fine ti ho trovato... ma quanto ho cercato ***


''Sherlock, per favore levati, dobbiamo portarlo...''- fece Mike cercando di allontanare il conosciente dal suo ex-compagno di scuola-:'' quanto fumo ha respirato?''

''Non lo so, non lo so...''- rispose lui senza staccare gli occhi di dosso a John e senza smettere di comprimergli il petto-:'' è ancora vivo... è vivo.''

''Si, abbiamo capito''- fece Sarah mettendosi dietro la testa di John-:'' ora però dobbiamo portarlo dentro o non resterà vivo troppo a lungo.''

Con l'aiuto di Mike riuscì a portare via la barella dall'ambulanza e lo sistemarono su un lettino del pronto soccorso. Gli slacciarono la camicia portando alla luce il petto smagrito dai giorni di sciopero della fame e gli attaccarono delle ventose a loro volta collegate a un computer che registrava il respiro e il battito cardiaco. Sarah gli mise una mascherina per respirare e dargli ossigeno.

''E' solo svenuto per fortuna''- fece Mike. I presenti fecero un sospiro di sollievo.

''Come sta allora, si riprenderà presto?''- domandò Sherlock.

''Avrà bisogno di un intervento per l'espianto dei tessuti danneggiati: l'ustione ha raggiunto il derma e dobbiamo trapiantargli dei tessuti nuovi prima che l'ustione gli causi una brutta infezione.''- spiegò Mike mentre la dottoressa prenotava la sala operatoria.

In quel momento suonò il telefono di Lestrade.

''Gregory Lestrade''- rispose il DI-:'' Allora, che novità?''

Quando buttò giu il telefono sospirò e si rivolse a Sherlock-:'' Senti...''

Sherlock gli impedì di parlare e iniziò a parlare-:''Fammi indovinare, di Moriarty nessuna traccia ma avete trovato i suoi, chiamiamoli, dipendenti morti. Allora tanto vale che te lo dica subito, lui è vivo.

E' uscito con una botola nel pavimento del magazzino e ha percorso un corridoio sottoterra che l'ha portato dietro il magazzino, ci ha messo dieci minuti a percorrerlo tutto e per finire ha ucciso uno dei vigili del fuoco, lo ha spogliato dell'uniforme e si è mescolato a loro.''

Lestrade sospirò rassegnato. Aveva indovinato tutto, anche se non sapeva quanta ragione potesse avere riguardo al pompiere. Vedeva l'angoscia e la paura nel suo sguardo, e forse per la prima volta riusciva a vedere com'era fatto veramente Sherlock: un cuore colmo d'amore per una persona che teneva accuratamente celato sotto una corazza di arroganza e insensibilità per proteggere se stesso e gli altri da Dio solo sa quali pericoli.

''Vedrai che ce la farà. E' forte, ha sopportato di peggio.''- fece il DI appoggiando una mano sulla spalla del ''collega''.

''Non puoi saperlo, non lo so io...''- rispose Sherlock. Ma non dipendeva da loro: i medici. Era tutto nelle loro mani... e nella voglia che John aveva di lottare e di quanto desiderasse tornare a vivere.

''Ispettore...''- prese fiato Mike-:'' Sherlock rimarrà seduto qui ad aspettare sul pavimento o su una poltroncina. Se crede che si stia alzando per entrare in sala operatoria o anche solo per dare un occhiata... lo fermi. Non voglio sapere i mezzi che userà, le do carta bianca, ma lo fermi.''

Sherlock inarcò le braccia sui fianchi risentito: era la persona più vicina a John in tutta la penisola britannica e forse nell'intero universo dimenticato...

''E' il mio fidanzato.''- replicò acido.

 

Nel frattempo, nella camera del pronto soccorso occupata da John, Sarah aveva iniziato a tagliuzzare la camicia di John.

''Ahia!!!''- strillò il medico svegliato dal dolore del pezzo della camicia che veniva separata dalla ferita al braccio, contorcendosi appena.

''John, per favore cerca di stare fermo e tranquillo per qualche minuto...''- fece Sarah leggermente preoccupata-:'' ti ho fatto male e mi dispiace, ma ora ti portiamo in sala operatoria e vedrai che tra poco passa tutto.''

In quel momento John prese coscienza di dove si trovava, di avere una mascherina per respirare, e rammentava tutto: le minacce di Jim, il fuoco che lo circondava... e per finire il viso di Sherlock esaltato dalle fiamme...

Sherlock!!! Oddio chissà se sta bene...- fu il suo pensiero, e fu proprio quel pensiero che lo incitò a cercare di togliersi quella maschera dalla faccia e ad alzarsi dal letto per andare alla ricerca del detective.

Sarah lo fermò-:'' John, fai piano, o peggiori la situazione.''- lo ammonì la ragazza. In risposta, il medico si aggrappò alle braccia della collega facendole intendere di volersi togliere la mascherina. La dottoressa lo esaudì.

''Sherlock... lui dov'è.. sta bene...?''

La donna sorrise rassicurante-:''Certo. E' qui fuori.''

John le sorrise grato... Sherlock stava bene, era vivo, quel demonio non era riuscito a fargli nulla di male...

Ora posso anche morire sereno...- pensò grato, mentre Sarah preparava il narcotico. Il medico le fermò la mano prima che riuscisse a posargli la mascherina sulle vie respiratorie, implorando-:''Per favore... fammi vedere Sherlock... un'ultima volta.''

''Potrai vedere chi vorrai, ma domani d'accordo? Ora hai bisogno di aiuto.''- cercò di tranquillizzarlo la ragazza riprovando a somministrargli il narcotico, ma John continuò a ribellarsi.

''Non prendermi in giro... ne ho visti morire io... per favore.''- la implorò. Sarah non riuscì a resistere e decise di esaudirlo.

 

''Sherlock, calmati''- cercò di tranquillizzarlo Mike-:'' non possiamo portare anche te in sala operatoria, se non sei un parente. Rimani qui e aspetta, in un oretta sarà tutto finito.''

In quel momento uscì la dottoressa Sawyer-:''Mike... fallo passare, John vuole vederlo.''

Sherlock non se lo fece ripetere due volte e si fiondò al pronto soccorso.

L'amico era disteso su un lettino verde, privo della camicia e con una mascherina per ossigeno sulle vie respiratorie. Sorrise nel vederlo...

''Come ti senti?''- chiese Sherlock.

''Diciamo che me la sono passata meglio...''- anche se avrebbe voluto dirgli-:''Beh, ora che ti vedo sto benissimo.''

Sherlock iniziò ad accarezzargli febbrilmente la faccia-:''Andrà tutto bene, vedrai... te lo prometto.''- si sforzava di rimanere il più calmo e compassato possibile, ma dentro di luiavrebbe voluto urlare a più non posso, spaccare e prendere tutto a calci per dare sfogo a tutta la rabbia che provava, che gli offuscava i sensi impedendogli di pensare razionalmente.

''Baciami.''- non fu una richiesta, ma un chiaro ordine-:''Sherlock, dammi un bacio.''

L'interpellato non se lo fece ripetere due volte e si chinò sull'amico, in modo che le loro labbra s'incontrassero. Iniziarono con un bacio casto che divenne via via sempre più passionale, l'uno sentiva dentro di se il respiro dell'altro.

Il respiro freddo di Sherlock si mischiava a quello caldo del medico.

John gli cinse la vita con le braccia pur sapendo che non avrebbe dovuto affaticarsi per via della ferita, ma era un dolore che sopportava volentieri.

Finalmente le loro labbra si separarono.

''Non morirò, te lo prometto.''- promise John.

Sherlock sorrise nervosamente-:''Sarà meglio per te che sia così...''- lo minacciò scherzosamente-:'' perchè in quel caso passeresti dei guai molto grossi.''

In quel momento arrivò Sarah che gli somministrò il narcotico.

''Ti amo anch'io, sai?''- fece John mentre aspettava che il farmaco facesse l'effetto desiderato.

Con l'immagine di Sherlock negli occhi, il medico si addormentò pacificamente.

 

Sherlock tornò in sala dove c'era Lestrade ad attenderlo.

''Come sta?''- chiese l'ispettore.

''Almeno era cosciente... mi ha detto... ti amo e che sarebbe tornato da me.''- fece Sherlock sedendosi su una poltroncina della sala d'attesa.

''Allora stai pur certo che sarà così: quando un militare da la sua parola la mantiene a tutti i costi. Comunque ora pensiamo a te, vuoi?''- propose Lestrade sedendosi accanto a lui prendendo una bottiglietta d'acqua minerale e il suo fazzoletto.

''Ma di che parli, io sto benissimo...''- ma non fece in tempo a dire altro che l'ispettore gli afferrò il braccio destro e glielo scoprì portando alla luce una cicatrice che partiva dal polso e si fermava a metà avambraccio.

''Come sospettavo.

Ho capito che ti eri fatto male al braccio da come te lo proteggevi con la mano.Sei sempre stato bravo a nascondere il dolore.''- disse Lestrade-:'' ora cerca di rilassare il braccio. Ti farò un po' male, forse, ma non durerà molto.''

Una parte della bottiglietta la usò per lavarsi le mani, prima regola e cosa che gli era stata insegnata. Il resto del liquido lo fece scorrere sulla ferita.

Al posto del fazzoletto preferì farsi dare da un infermiera della garza sterile: si erano formate delle vesciche sulla pelle e doveva impedire che venissero a contatto con l'aria in modo da prevenire delle possibili infezioni.

Per tutto il procedimento Sherlock non diede segno di sentire alcun dolore, riuscì anche a controllare il suo corpo

''Hai sentito molto male?''- chiese l'ispettore. Sherlock fece cenno di no con la testa... cosa voleva che fosse un ustione paragonabile a una che poteva procurarsi scottandosi con il latte o il tè a colazione, paragonata alla morsa che gli stringeva il cuore che sosteneva di non avere?

''E' qui che ci siamo conosciuti...''- mormorò Sherlock, senza rendersi conto che era la sala d'attesa della sala operatoria del Barth e non il laboratorio di analisi.

Aveva passato tutta una vita a cercare John Watson, la parte mancante del suo cervello, quella che ti fa pensare che nonostante tutto ci sia speranza.

L'aveva trovato poi, e anche li ci aveva messo una vita a capire che era lui la persona che cercava. Inizialmente lo considerava uno dei tanti coinquilini avuti in passato e che avrebbe levato le tende in meno di tre giorni, poi aveva ucciso un uomo per lui e aveva capito che John non era come gli altri...

Poi la sera alla piscina, quando lo vide avvolto nell'esplosivo... li capì di volerlo proteggere e che era la persona che aveva cercato.

''E ora che finalmente l'ho trovato... è steso su tavolo freddo con un suo collega e mio conosciente e con la sua ex ragazza con le mani nel suo braccio...''- borbottò Sherlock.

''Lo sai che la fuori non c'è un gran futuro per voi, vero?''- gli fece notare Lestrade-:'' ad, esempio...''

''Se ti riferisci al fatto che non potremo avere figli e sederci in veranda circondati da nipotini festanti, non importa. I ragazzini non mi sono mai andati a genio.''

A discapito di quanto aveva predetto Mike l'operazione durò almeno sette ore, ore durante la quale Sherlock non fece altro che stare seduto sul pavimento, perfettamente immobile a pensare a chissà cosa, dimostrando di essere ancora vivo solo per guardare l'ora sul suo orologio al quarzo.

Ogni cinque minuti. Sembrava spaventato.

Invece era sicuro che John ce l'avrebbe fatta. Ricordava quando portarono lui in ospedale, quando aveva avuto quell'incidente all'autoscontro, era in condizioni critiche, quasi disperate, ma ce l'aveva fatta. E se ce l'aveva fatta lui... anche John sarebbe uscito da li con le sue gambe.

Lestrade invece camminava avanti e indietro minacciando di fare un buco nel pavimento.

''Ora so perchè si chiama sanità lenta...''- disse l'ispettore lanciando un sorriso d'intesa a Sherlock. Quest'ultimo lo ignorò.

In quel momento uscirono dalla sala operatoria: John era steso sul lettino a rotelle con la mascherina antigas sul viso.

Lestrade e Sherlock gli furono subito attorno.

''Allora dottore, come sta?''- chiese l'ispettore.

''Ha superato l'atto operatorio per fortuna... purtroppo...''- rispose Mike.

''Purtroppo?''- lo incoraggiò Sherlock.

''Durante l'intervento ci sono state delle complicazioni, e il flusso di sangue al cervello si è interrotto per un breve periodo, ma troppo lungo. Abbiamo dovuto metterlo in coma farmacologico. Era l'unica maniera per salvargli la vita.''

Un proiettile alla spalla o in qualche altra parte vitale del corpo e il doverla togliere senza anestesia sarebbe stato meno indolore.

''Ma ne uscirà, vero?''- più che una domanda sembrava una minaccia.

Fu Sarah a prendere la difesa del collega e rispondere-:''Nessuno può dirlo con certezza, dobbiamo aspettare che il sangue al cervello riprenda il normale flusso.''

Lestrade prese il consulente per le braccia, come per impedire che svenisse. Lui non venne meno e schivando tutto e tutti si precipitò in una stanza che sembrava il reparto di rianimazione e si mise di fianco a John.

''Non azzardarti a mollare la presa o mi arrabbierò sul serio, capito?''- mentre dentro di se pensò-:''John, resisti... giuro che troverò Moriarty o qualunque cosa che mi possa portare a lui, e gliela farò pagare per quello che ha fatto. Sarò io la mia polizia, mi farò giustizia da solo.''

 

Spero che Sherlock non sia di nuovo OOC ( ma quando uno è innamorato...)

A proposito, per le nozioni mediche in questo capitolo... non prendetemi in parola.  

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Lotta per la vita ***


 

TERAPIA INTESIVA RIANIMAZIONE.

Questo era il nome della stanza dove dormiva John.

Dormire... almeno dormisse, avrebbe potuto svegliarlo con facilità, conoscieva mille sistemi.

Invece era li, in un letto con le sbarre ai lati, le braccia distese lungo i fianchi con una flebo attaccata al braccio destro, e un tubo in bocca fissato con il nastro adesivo... attaccato a un computer.

Chissà se un uomo in coma poteva sognare? E John cosa poteva sognare, se era possibile?

Era certo che se John fosse stato cosciente e gli avessero chiesto cosa avrebbe sognato se avesse potuto deciderlo, lui avrebbe senz'altro risposto-:''Io non ho bisogno di dormire per sognare... da sveglio ce l'ho gia il mio sogno.''

Sherlock Holmes era il suo sogno, come John lo era di Sherlock.

Era sempre li con lui, non si muoveva mai, eccetto per andare a prendere un caffè o qualcosa da mangiare al bar dell'ospedale su rigida ordinanza dei medici, di Lestrade e Mycroft, che passavano tutti i giorni in ospedale per vedere come stava John.

''E' ancora stazionario.''- era sempre la risposta.

Sempre la stessa parola... se la sentiva di nuovo avrebbe fatto del male a qualcuno.

Tre giorni che la sentiva, eppure da un lato avrebbe dovuto tranquillizzarlo, significava che non era peggiorato... ma nemmeno migliorato, e questo lo faceva andare fuori di testa.

Il terzo giorno, verso le undici e mezzo del mattino si decise a fare un salto al bare dove prese un caffè, lungo, macchiato, freddo, in tazza calda e si sedette da solo in un angolo a fissare meditabondo il liquido anzichè berlo.

''Posso sedermi?''- chiese una voce.

Sherlock alzò gli occhi e rispose-:''Preferirei essere lasciato solo, ho bisogno di pensare e...''- ma non finì mai la frase, perchè quello si sedette comunque di fronte a lui, e nel volto di Sherlock si dipinse l'orrore, la rabbia e il disprezzo-:''Tu...''

''Ciao, contento di vedermi?''- chiese Jim con la sua voce irritante-:''Ti spiace se... visto che non lo bevi...''

''Strozzatici.''- fece Sherlock offrendogliela-:'' come mai da queste parti?''

Jim finì di bere e poi posò la tazzina-:'' Volevo solo farti tanti complimenti... sei riuscito a trovare e salvare il tuo amichetto alla fine. Eh, cosa non si fa per l'uomo che si ama...''

''E' in coma.''- sibilò Sherlock-:'' grazie a te. Perchè l'hai fatto?''

''E te lo domandi pure, eppure ti credevo tanto intelligente...''- fece Jim offeso-:'' Da quando lo conosci, John occupa tutto il tuo tempo, te lo porti dietro ovunque tu vada, e non abbiamo mai tempo per giocare assieme... ma ora che gli ho regalato una vacanza, leggermente più lunga di quello che credevo, ti avrò tutto per me, non sei contento?''

Sherlock si allarmò... Jim non solo sapeva che John era entrato in coma dopo l'intervento, ma era come se sapesse che non ce l'avrebbe fatta.

In quel momento venne raggiunto da una dottoressa, vestito rosso sotto il camice bianco, capelli tagliati a caschetto che tendevano al biondo-ramato, trucco leggero.

''Signor Holmes, deve venire immediatamente, il dottor Watson ha una crisi ipertensiva.''

Con gli occhi sgranati dall'orrore tornò a fissare Moriarty, che con l'aria della persona più innocente del mondo mormorò un-:''Ops!!! Scusami, si vede che quando parlo...''

Lo avrebbe ucciso se avesse potuto, ma non c'era tempo: doveva correre, John aveva bisogno d'aiuto.

Nella sala di rianimazione si protraeva un bip velocissimo e continuo, Mike, Sarah e un infermiere sui quarantanni con i caplli neri e grigi erano agitatissimi.

''Come sta?!?''- gridò Sherlock entrando nella stanza.

L'infermiere, gli misurò la pressione-:''E' tachicardico. Rischia un arresto cardiaco.''

''Maledizione, ma com'è possibile?''- urlò Mike.

''Non lo so, sono passata a controllarlo non più di dieci minuti fa ed era stabile...''- balbettò Sarah.

''Dobbiamo somministrargli una fiala di adrenalina.''- nel dirlo gli praticò l'iniezione sul braccio destro.

La pressione era sempre uguale e il cuore minacciava lo stesso di arrestarsi.

''No, non reagisce.... un altra fiala.''- ordinò Mike-:''andiamo amico, non mollare, non mollare adesso.''

Una volta che il farmaco gli venne nuovamente iniettato la pressione tornò ad alzarsi e i valori rientrarono nella norma.

''Appena in tempo...''- sospirò Sarah sollevata.

Sherlock era rimasto in piedi ad aspettare con ansia il responso e adesso buttava fuori tutta l'aria repressa fino ad ora, mentre Mike ordinava un emogas ogni due ore per tenere sotto controllo la pressione e Sarah metteva all'amico una flebo nuova.

In quel momento arrivò Lestrade.

''Come sta?''- chiese visibilmente preoccupato. Era andato a cercare Sherlock e aveva saputo che le condizioni di John si erano aggravate.

''Ha avuto una crisi, ma ora è fuori pericolo. E' di nuovo stabile.''- li rassicurò l'infermiere-:'' non riesco proprio a capire come sia collassato così in fretta... l'unica spiegazione è che abbia avuto un improvviso attacco cardiaco.''

Sherlock la pensava diversamente....

il tubicino che era precedentemente fissato al braccio di John presentava un minuscolo forellino, quasi invisibile ad occhio nudo... e una siringa sotto il letto.

''Qualcuno è entrato qui dentro e ha bucato il tubo con una siringa, in modo che passasse aria...''- borbottò Lestrade.

''Brillante deduzione.''- fece Sherlock atono. E lui sapeva pure chi.

Moriarty. Era la seconda volta in una settimana che cercava di uccidere John e temeva che la prossima volta ci sarebbe riuscito per davvero.

''Faccio mettere la stanza sotto controllo e nessuno potrà più entrare senza essere controllato.''- non fu una richiesta di Lestrade, ma una decisione irrevocabile.

Come se servisse a qualcosa... Moriarty era abituato ad entrare da dove nessuno avrebbe mai pensato, sarebbe riuscito ad eledure i controlli di nuovo...

''Senti, Sherlock...''- tentò Lestrade, ben sapendo che non era il momento più adatto per certe cose-:'' ho bisogno di te per un caso di omicidio.''

''Non posso, mandami i dettagli per SMS o chiedi a Mycroft di indagare, o a uno dei suoi, io non posso.''- fu la risposta.

Per un attimo Lestrade fu tentato di commentare-:''Chi sei tu, e che ne hai fatto dello Sherlock egocentrico, presuntuoso, esibizionista che conosco e con cui vado d'accordo a tratti?''

Ma poi optò per un-:''Sherlock, sei preoccupato e lo capisco, ma non puoi rimanere qui a marcire per sempre. Vieni con me per cinque minuti e poi se vorrai potrai tornare qui.''

Sherlock guardò un numero infinito di volte prima Lestrade poi John... da una parte avrebbe voluto andare e risolvere il caso, ma la ragione gli diceva che il suo posto era li con John.

''Sherlock... che tu sia qui o altrove non cambierà le cose, non possiamo aiutarlo. Lo so che in questo momento hai paura, sono spaventato anch'io, ma bisogna continuare a vivere. Se John potesse... ti direbbe la stessa identica cosa.''

Sherlock sospirò-:''Puoi concedermi un minuto, per favore?''

Lestrade annuì e fece come gli veniva richiesto.

''John... mi senti?''- fece Sherlock accarezzando la fronte dell'amico-:'' non so se puoi sentirmi, ma adesso devo proprio andare. Non preoccuparti, do una mano alle teste vuote e torno subito.

Se ci riesci... fatti trovare sveglio, d'accordo?''- in quel momento John strinse la mano dell'amico, sbattee gli occhi e sorrise.

Quelli che si chiamavano riflessi e reazioni riflesse e per niente volontarie... eppure niente gli levava dalla testa che l'avesse sentito.

''Allora, visto che mi senti... scusami. Non potevo immaginare che Moriarty ti avrebbe ridotto così. Perdonami.''

Mycroft ( da dov'è uscito questo? Boh...-nd me) gli diede una pacca sulla spalla.

''Si risveglierà presto.''

Parole vuote, morte nel momento in cui le aveva pronunciate.

''Non ho bisogno di conforto, e smetti di dirmi cose che gia so.''- e nel dir così se ne andò.

 

Risolse l'omicidio in quattro e quattr'otto, il suo cervello aveva lavorato a dieci, cento, mille, più in fretta del solito. Doveva fare presto e almeno per un po' non voleva pensare che il suo amico era in un letto d'ospedale a lottare tra la vita e la morte.

''... quindi, la moglie ha drogato pesantemente suo marito con la morfina, prima nel caffè e poi via endovenosa, l'ha sistemato sul divano, ha fissato al lampadario del soggiorno una bacchetta da cucina con il nastro adesivo, alla quale era fissata una pistola carica, con la sicura disinserita. Al grilletto era legato un filo da pesca, l'altro capo era legato alla coda di una grossa trota poggiata sul tavolino da caffè ed è uscita come se niente fosse. Il gatto non mangiava da due giorni, ha visto il pesce e....''- disse Sherlock parlando a raffica.

''... e il tenero micino ha fatto fuori il padrone. Che faccio, lo arresto?''- chiese Anderson.

''La mia idea è anche meglio...''- fece Sherlock sarcastico-:'' primo, porti dentro la signora nonchè mente organizzatrice dell'omicidio... due, creati un lavoro dove ti pagano per abbassare il QI. Farai affari d'oro, fidati.''

In quel momento suonò il telefono di Lestrade: con un lampo lo tirò fuori dalla tasca, e rispose.

''Ispettore Lestrade.''- la sua faccia si allarmò di secondo in secondo-:''Come?!? Davvero? Si, tempo di trovare un taxi e siamo li.''- riattaccando si rivolse a Sherlock-:''Era Molly. Dice che è andata a trovare John, ha avuto un'altra ricaduta, stavolta è più grave.''

Quelle parole fecero malissimo, a Lestrade pronunciarle, Sherlock sentirle.

Si fiondarono entrambi fuori dall'edificio per salire sulla macchina della polizia, Lestrade al posto di guida, Sherlock sul sedile del passeggiero.

 

Mike stava tenendo sotto controllo dei fogli nella camera di John mentre quest'ultimo era ancora immerso nel buio dell'oscurità...il suono dell'elettrocardiogramma di fecero più continui, guardò il monitor e vide con orrore che l'amico era in fibrillazione.

Chiamò Sarah, diede cenno a Molly di avvisare qualcuno mentre Mycroft era fuori a guardare e portò il defribrillatore vicino al letto.

Codice blu.

 

Molly era fuori con Mycroft ad aspettare.... non sapevano nemmeno loro che aspettavano.

In quel momento arrivarono sia Lestrade che Sherlock. La patologa si gettò tra le braccia del fidanzato, mentre Mycroft fermava il fratello che voleva entrare a tutti i costi.

''Lasciami passare, potrebbe essere ancora vivo!!!!''- urlava il CI mentre Lestrade tentava di calmarlo.

''No, mi spiace ma tu non vai da nessuna parte Sherlock, se vuoi entrare dovrai passare sul mio corpo.''- in quel momento colse negli occhi del fratello una furia omicida.

Infatti, senza farselo ripetere, afferrò il fratello maggiore per le spalle e lo buttò a terra, riuscendo così ad entrare.

Lestrade e Molly lo aiutarono ad alzarsi, mentre Mycroft inveiva contro il fratello-:''Ehy!!! Hai letteralmente buttato gio il governo inglese, lo sai?''

 

''Carica a 300 millivolt!!!''- ordinò Mike alla collega tenendo in mano le piastre del defibrillatore-:''Libera!!!''- le appoggiò sul petto di John.

Gli diede la scossa, John si alzò leggermente per poi ricadere sul letto a peso morto.

La pressione era a 29.

''John, andiamo....''- supplicò Sherlock mentre ricaricavano il defribrillatore-:'' tieni duro, non mollare...''

Un altra scarica, un'altra caduta, i macchinari sembravano impazziti....

''Un'altra volta.''

BIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIPPPPPPPPPPPPPPPPPPPPPPPPPPPPPPPPPPPPPP

''L'abbiamo perso.''- mormorò Sarah vedendo che l'elettrocardiogramma segnava una linea retta e piatta.

In quel momento entrarono Mycroft, Lestrade e Molly che non poterono far altro che assistere impotenti alla scena e fissare Sherlock con gli occhi sospesi nel vuoto.

Lestrade prese a se la fidanzata coprendole gli occhi con una mano, mentre la ragazza affondava la faccia nella camicia soffocando a stento le lacrime.

Sherlock si avvicinò all'amico, s'inginocchiò e poggiò la testa sul suo petto.

Dopo alcuni secondi, Mycroft gli diede una pacca sulla spalla e lo afferrò-:''Sherlock, vieni via per favore... stai solo peggio.''

Tum... tum... tum-tum....

Sherlock si alzò come se lo avesse morso la tarantola.

''Il suo cuore ha ripreso a battere!!!''- urlò.

''Co-come hai detto?''- balbettarono Mike e Lestrade.

''Il. Suo. Cuore.''- ripetè Sherlock scandendo parola per parola-:''Batte. Ancora.''

Sul monitor la linea piatta scomparve e la pressione e il respiro salirono.

Sherlock non smise di massaggiargli il petto e insufflare aria nemmeno per un attimo, finchè Mike non gli diede un'altra scossa.

''Ora sta meglio....dobbiamo solo aspettare che si svegli per essere sicuri che l'arresto cardiaco non abbia procurato lesioni a livello celebrale.''- disse Mike.

''Forza John... ancora un piccolo sforzo e ce l'hai fatta...''- era il pensiero comune di tutti.

In quel momento, come se li avesse sentiti, John aprì debolmente gli occhi e sotto le coperte videro i piedi muoversi.

''John? John, mi senti?''- fece Sherlock-:''Sono io... mi senti? Ascoltami, facciamo così...ora io muovo la mano... seguila.''- nel dir così alzò la mano destra e iniziò a muoverla.

John ci provò, ma le palpebre erano troppo pesanti, nemmeno avesse sopra due bilancieri.

In risposta però afferrò la mano del detective e la strinse con tutte le sue forze.

''Ti amo.''- mormorò John, ormai fuori pericolo.

Le lacrime di disperazione sul volto dei presenti ( eccezion fatta per il Governo Inglese) vennero sostituite da lacrime di gioia, mentre Sherlock abbracciava l'uomo della sua vita

 

  

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Ritorno alla normalità ***


 

Ora signore e signori il gran finale, con una piccola vena di romaticismo... non scannatemi per favore, so che questo cappy non regge il confronto con gli altri.

Spero che non rimaniate troppo schifati.

 

John riaprì lentamente gli occhi...

la prima cosa che vide fu Sherlock,

la prima cosa che strinse tra le mani erano quelle gelide e bianche come la neve del coinquilino... era stanco, si sentiva a pezzi e il braccio dove aveva riportato l'ustione faceva malissimo... ma a parte questo il bianco candore delle lenzuola gli sembrava il paradiso... l'uomo con i capelli color dell'ebano, gli occhi di ghiaccio e la pelle bianca... l'angelo più splendente del paradiso.

''Ti amo...''- riuscì a sussurrare come se avesse una gran paura di sparire per sempre e di non poter più dire quelle poche parole.

In un attimo si ritrovò tra le braccia scheletriche ma forti del coinquilino.

Fu costretto ad inspirare profondamente per riuscire ad avere almeno un po' d'ossigeno.

Avrebbe voluto che quell'abbraccio non finisse mai.

''Stringimi Sherlock, tienimi tra le tue braccia...''- pensava con un'espressione beata sul volto-:'' sei la mia medicina...''

Alla fine però furono costretti a separarsi.

''Bentornato tra noi, amico.''- fece Mike con gli occhi lucidi per la commozione mentre staccava dal medico militare tutti quei macchinari-:'' sei fortunato ad essere ancora vivo. Qualcuno lassù deve volerti bene.''

Facendo leva con il braccio sano si tirò su mettendosi a sedere su quel materasso duro come la pietra-:''Moriarty... dov'è finito? Era tutto in fiamme.''

Sarah gli mise le mani sulle spalle per tranquillizzarlo e costringerlo a stendersi, mentre il medico opponeva un po' di resistenza.

''Hai passato un brutto momento, ma ora è tutto passato, cerca di calmarti, stai ancora male non devi agitarti.''- lo redarguì Sarah preoccupata: sul monitor vedeva un notevole aumento di intensità.

Con l'aiuto di Sherlock riuscì a farlo stendere nuovamente.

''Cos'è successo....?''- domandò John calmandosi piano piano.

''Ne riparliamo in un altro momento, ok?''- fece Lestrade. Questo era uno dei pochi casi dove non era necessario che facesse domande a una vittima di rapimento per sapere. Tanto grazie a Sherlock sapeva gia tutto.

Prese Molly per la mano ed entrambi si avviarono verso la porta.

Nel giro di pochi minuti i due amici si ritrovarono da soli.

''Sherlock, per favore dimmi cosa mi è successo...''- implorò John stancamente mettendosi a sedere sul letto. Sherlock lo imitò.

''Tu che cosa ricordi?''- domandò Sherlock-:'' Cos'è successo quel giorno?''

John chiuse gli occhi, come per voler rilassare le palpebre, e poi li riaprì.

Iniziò a raccontare.

FLASH-BACK

John arrivò fino al sotterraneo percorrendo la lunga scalinata poco illuminata che finiva in cantina. Dopo tre porte si fermò davanti alla porta che recava la scritta ''ARCHIVIO''.

Appena entrato percepì l'acre odore del disinfettante e si coprì il naso che iniziava a bruciare.

'' E poi parlano di scarsità igienica in ospedale...''- pensò sedendosi al computer dell'archivio selezionando i dati della cartella da cercare.

In circa undici secondi trovò tutto quello che gli serviva.

Scaffale F, ripiano B, e la cartella che gli serviva era nel terzo portadocumenti partendo dalla sua sinistra.

Mentre si dirigeva alla meta gli parve di sentire la porta aprirsi e inizialmente sussultò spaventato.

''C'è qualcuno?''- domandò ad alta voce.

Nessuno rispose.

Forse era solo stanco e sentiva rumori che in realtà non c'erano...

Prese il portadocumenti e iniziò a sfogliarlo alla ricerca del foglio che doveva portare...

Eppure sentiva dei passi che si avvicinavano, aveva una gran brutta sensazione...

Sensazione che diventò realtà quando due braccia gli cinsero il collo da dietro. Poi un braccio gli teneva strettamente il collo, mentre la mano dell'altro andò a posarsi violentemente sulla bocca.

Gli sembrava di soffocare, dal canto suo era impossibilitato anche a chiamare aiuto, ma anche se fosse stato in grado non sarebbe corso nessuno. Erano nei sotterranei, in una stanza del tutto insonorizzata.

Certo che però avrebbe venduto cara la propria pelle.

Iniziò a tirare calci a tutto quello che capitava e a contorcersi come se un serpente velenoso lo avesse appena morso. Nella loro direzione corse un secondo uomo.

''Eh, così però non vale!!!''- avrebbe voluto contestare John, mentre il secondo brutto ceffo gli afferrava le gambe per impedirgli di continuare a divincolarsi.

Ok, ora la situazione non era brutta... era disperata.

Si, perchè alla loro allegra, chiamiamola conversazione, si unì un terzo uomo con una siringa piena di un liquido argentato. Ma John riuscì a liberare una mano e la fece cadere a terra, e la minaccia si ruppe in mille pezzi.

''STA BUONO!!!''- gli venne ordinato.

''Non ci penso nemmeno!!!!''- avrebbe voluto gridare, continuando a muoversi come una trota fuori dall'acqua.

''Oh, beh... a mali estremi... estremi rimedi, no?''- il terzo uomo afferrò un coltellino svizzero e gli colpì un nervo alla base della nuca.

Poi più niente.

Solo il buio.

FINE FLASH-BACK

''... quando mi sono svegliato ero rinchiuso in uno stanzino, e Moriarty è venuto a farmi visita... ha detto che voleva vedere quanto tempo ci avresti messo a capire cos'era successo e dov'eravamo, altrimenti ci avrebbe uccisi tutti e due.''- concluse John-:'' pensavo a un modo per aiutarti a risolvere il caso, poi ho capito che eravamo presso il Tamigi e quando mi hanno portato il giornale da fotografare mi è venuta l'idea. Hai capito subito?''- domandò.

Sherlock scosse la testa in cenno di dissenso.

''Intuivo che mi stavi mandando un messaggio, ma ci ho messo un po' di tempo a decifrarlo.''- ammise il CI arrossendo fino alla punta dei capelli per la vergogna.

''Ero talmente concentrato a cercare di dissipare quell'enigma che non mi sono minimamente preoccupato di capire che mi aveva dato tre ore meno di quanto sosteneva di avermi dato. Sono stato un vero idiota.''

''Non potevi certo immaginare che avrebbe giocato sporco un'altra volta. Non angustiartene, non è colpa tua.''- lo rassicurò John-:'' e poi alla fine ci sei arrivato comunque.''

''No... è stato Jim ad avvisarmi. Non so perchè ma anche se ha fatto di tutto perchè tu morissi... era come se sperasse nel fatto che io arrivassi in tempo per salvarti.''

In realtà sapeva bene che Jim aveva costruito quella storia per vedere se le incredibili doti di cui la natura aveva dotato Sherlock funzionavano come non mai anche quando era evidente il suo attaccamento all'oggetto dell'indagine.

Ma non avrebbe veramente ucciso John, l'unico punto di debole di Sherlock e potenziale arma contro di lui. Infatti contava sul tempestivo intervento del rivale per salvarlo, anche se il gioco si era spinto un po' troppo in la e John aveva davvero rischiato di finire arrostito.

Ma questo non poteva certo dirglielo. Gli piaceva non mettere del tutto al corrente gli altri di cio che sapeva e pensava.

''Come ti senti adesso?''- chiese Sherlock. La cera dell'amico non era delle migliori.

''Mi gira la testa...''- ammise John. In quel momento vide la mano bianca e fredda del coinquilino posarsi sulla sua.

''No, non hai la febbre.''- sospirò sollevato-:''Sembri stanco, perchè non ti riposi un po'?''

John sospirò, sdraiandosi-:''Ci proverò.''

Nel frattempo il coinquilino versò una strana mistura in un bicchiere d'acqua minerale e lo porse all'amico.

''Cosa mi dai?''- chiese John incuriosito. Pur fidandosi cecamente di Sherlock era fuori discussione che bevesse qualcosa senza sapere di cosa si trattava.

''Un tranquillante. Ti farà dormire tranquillo almeno per qualche ora.''- spiegò con tutta la calma del mondo. John gli diede retta e prese il bicchiere con ambedue le mani e iniziò a berlo lentamente, finchè nel bicchiere non rimasero che poche goccie cristalline sul fondo.

Poi si ristese e man mano che il sonno si impadroniva di lui si rimboccò le coperte, anche con l'aiuto di Sherlock.

Aveva bisogno di dormire qualche ora, dimenticare quello che aveva passato.

Ci mise poco più di tre minuti a cedere al sonno.

Non appena Sherlock ebbe la certezza che l'amico dormiva si distese di fianco a lui, addormentandosi a sua volta. Al diavolo chi sarebbe entrato e li avrebbe visti... tutto quello di cui aveva bisogno era li, steso di fianco a lui.

Finalmente gli sembrava che l'universo avesse ripreso il suo normale equilibrio.

 

''Ok, Watson... oggi ha il giro di visite di controllo.''- gli ordinò la Scott.

Era una settimana che era di nuovo in piedi e quel giorno ricominciava il lavoro. E per tutta la giornata lavorativa non aveva fatto altro che ascoltare pazienti e colleghi che avevano seguito il caso del suo rapimento, chiedergli come stava, se voleva parlarne per reprimere l'orrore vissuto, cosa si provava ad avere un arresto cardiaco, a morire e a rinascere e mille altre sciocchezze.

Tra l'altro aveva quasi litigato con Sarah che si era permessa di fare una richiesta di congedo al suo posto, affinchè potesse riposarsi come si deve.

Apprezzava molto il gesto fatto con le migliori intenzioni, ma come tutto il resto delle persone non gli piaceva quando la gente metteva il naso nei suoi affari.

''Allora, ascoltatemi bene tutti...''- fece John alzando le braccia al cielo-:''Io sto benissimo. Mi sono perfettamente rimesso, non sono ne devastato ne sotto shock.''

''E io le ripeto...''- fece la Scott-:'' che per me lo può ripetere finchè non diventa blu. Ha rischiato di morire per anossia e nella migliore delle ipotesi di perdere l'uso del braccio per un'ustione di terzo grado, poi è andato in coma, due crisi nel giro di poche ore con arresto cardiaco e il rischio di lesioni celebrali. Deve rimettersi.''

John sospirò rassegnato, anche se era leggermente arrabbiato: si era laureato a Oxford, in chirurgia, ottenendo centodieci e lode.

Un chirurgo rinomato e che aveva preferito fare il medico di guerra ai mille ospedali che avevano fatto a botte tra loro pur di averlo.

E invece, era li a fare il giro per vedere chi poteva essere dimesso o meno quando avrebbe potuto, e soprattutto dovuto, essere in sala operatoria a salvare vite umane, unica cosa che sapeva fare e per la quale aveva affrontato un sacco di sacrifici.

''Meno male che tra dieci minuti me ne vado a casa...''- sospirò come a volersi consolare.

Qualcuno lo afferrò con energia da dietro, portandolo dietro a una colonna del corridoio che stava percorrendo e che gli premeva le mani sulla bocca.

Oddio, ti prego no,no,no.... di nuovo no!!!- strepitò dentro di se, terrorizzato come non mai, ah, ma stavolta Jim non l'avrebbe messo con le mani nel sacco.

Riuscì a spalancare la bocca e a mordere la mano dell'aggressore.

''Ahia!!!''- si lamentò quello.

John riconobbe subito la voce.

''Sherlock?!?''- fece John visibilmente sollevato ma anche furioso per lo spavento che gli aveva fatto prendere. Non sapeva nemmeno che faccia avesse in quel momento.

''E' questo il modo di salutare il fidanzato che viene a trovarti al lavoro?''- si lamentò Sherlock mentre John stava guardando l'impronta che aveva lasciato sulla mano del coinquilino.

''E a te pare questo il modo di presentarti?''- poi lo rassicurò-:'' non è nulla di grave, dagli qualche minuto e non si vedrà più nemmeno il segno. Ad ogni modo, ho pensato di passarti a prendere. Stasera usciamo.''

''Non offenderti, ma stasera non ho per niente fame, ho mangiato troppo alla mensa dell'ospedale.''- fece John stringendo a se la cartellina dei pazienti da controllare.

''Nemmeno io, ma uscire la sera non significa obbligatoriamente andare al ristorante...''- fece notare Sherlock.

John lo guardò per un momento e poi gli sorrise-:''E va bene, dammi dieci minuti per finire il turno e poi sono subito da te.''- fece John allontanandosi.

Non si fece attendere: Sherlock lo stava aspettando su una moto rossa e aveva due caschi, uno blu e uno nero.

''Ti piace? Direttamente dal Surrey dove sono nato, me l'aveva regalata mio padre per i miei diciotto anni.''- spiegò Sherlock anticipando le domande che John stava gia meditando nella sua mente.

Aspettò che quest'ultimo fosse salito per dargli il casco blu, per poi allacciarsi il suo. Sussultò appena quando sentì le braccia di John cingergli la vita. Mise in moto e partì alla volta di Hyde Park.

 

Entrambi si sedettero su una panchina del parco, e con grande stupore del medico, anche Sherlock aveva comprato una granita e adesso se la stava gustando.

Per John quella panchina era La Panchina, era la stessa sulla quale si era seduto mesi prima e aveva saputo per la prima volta dell'esistenza di Sherlock. Da quando l'aveva conosciuto aveva sempre fatto dei sogni, dove lui e Sherlock sedevano li.

''A che gusto è?''- chiese Sherlock ammiccando alla granita dell'amico.

''Amarena.''- fu la risposta.

''Posso assaggiare?''- chiese Sherlock.

John gli porse il bicchiere. Ma invece di servirsi da li, Sherlock prese il volto bruno incorniciato dai capelli biondi dell'amico, lo portò a se e lo baciò con passione.

Inizialmente John fu sorpreso e avrebeb voluto allontanarlo, ma poi capì che quelle labbra fredde e perfette erano la cosa che più gli era mancata in quei giorni di prigionia e lo lasciò fare.

Con una mano teneva il bicchierino di plastica con l'altra si era aggrappato ai fluenti riccioli dell'amico.

Finalmente Sherlock gli permise di tornare a respirare.

''Tocca a me, adesso.''

''Pensavo odiassi la menta...''- ma non gli lasciò finire la frase e gli coprì la bocca con la sua, esplorando la bocca del CI con la sua lingua.

Era da tutta la vita che aspettava di essere e di sentirsi così felice e appagato.

Quando era con Sherlock sentiva il suo cuore battere così forte da voler scoppiare e il sangue scorreva nelle vene, era caldo... e tutto scompariva. 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1008770