Lifeboats

di Rin Hisegawa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** One. ***
Capitolo 2: *** two. ***
Capitolo 3: *** three. ***
Capitolo 4: *** four. ***
Capitolo 5: *** five. ***
Capitolo 6: *** six. ***
Capitolo 7: *** seven. ***
Capitolo 8: *** eight. ***
Capitolo 9: *** nine. ***
Capitolo 10: *** ten. ***



Capitolo 1
*** One. ***


Qualcosa è andato storto mentre editavo la storia, e mi vedo costretta a ripostarla perché la precedente versione è scomparsa nel nulla. ò_o Ho perso tutti i commenti! *vuole suicidarsi*. Sono la solita imbranata.

Ancora ci spera. Dopo mesi, anni di reclusione (quanto tempo sia passato in realtà non lo sa nemmeno lei), dopo tutte le interminabili nevicate e i giorni di sole vissuti al di là delle sbarre di quella gelida cella, in un angolo della sua mente sempre più distante e inafferrabile esiste ancora il pensiero che un giorno, presto o tardi, il suo Principe Azzurro arriverà.
Non importa quanto tempo impiegherà, né quali strade sceglierà per raggiungerla. Del resto laggiù, nelle segrete del castello, i giorni scorrono tutti uguali, e c'è ben poca differenza fra un minuto passato ad osservare un filo d'erba ed un'intera stagione. Emily se ne sta seduta con il mento appoggiato sulle ginocchia, le spalle curve, lo sguardo perso nel vuoto, e sogna.
Ogni giorno, brandello dopo brandello, i ricordi di quella che deve essere stata la sua vita fino ad ora vanno sfaldandosi sempre di più, sostituiti dalle storie fantastiche che la ragazza inventa senza sosta, cercando una spiegazione (irrazionale) a tutte le sfortune che le sono capitate. Ormai non ha neppure idea di che faccia abbia suo padre, che è soltanto un nome (Moe French) scritto sui documenti ufficiali che conservano i suoi carcerieri.
Probabilmente Moe era soltanto un uomo spaventato, pavido e assente, che ha preferito far rinchiudere sua figlia in manicomio piuttosto che combattere giorno dopo giorno assieme a lei la lunga battaglia che l'avrebbe portata alla guarigione. Tuttavia, nella mente di Emily, il signor French è un nobile appartenente ad una qualche ricchissima casata, possessore di terre e di castelli, che ha assistito impotente alla reclusione della sua unica erede nelle segrete di un oscuro maniero da una strega che voleva punirlo per qualche torto subìto.
Questa strega malvagia (Emily non ne ha dubbio) porta il nome di Regina e a lei appartengono gli occhi, neri come la più malvagia delle maledizioni, che sbirciano di tanto in tanto attraverso la porta di metallo della sua cella, fissandola con uno sguardo privo di alcuna pietà o compassione. Lo sguardo che si riserverebbe al più infimo dei traditori, ad un assassino, ad una persona malvagia; ma Emily non è affatto sicura di essere una persona malvagia e anzi, guardando le proprie braccia scheletriche e le gambe magre, si domanda spesso se in tutta la sua vita sia mai stata in grado di fare del male a qualcuno.
Una cosa di cui la ragazza è certa, invece, è di essere completamente e inequivocabilmente pazza. Questo è quello che diccono le infermiere quando le somministrano le medicine - che la fanno sentire intorpidita e distratta - e quello che è scritto nei documenti ufficiali. Emily French, una povera demente, un'innocente che qualcuno ha fatto rinchiudere in manicomio per non dover soffrire guardandola perdere sempre più il senno con ogni giorno che passa.
Emily French, una principessa ridotta in schiavitù. Chissà dov'è, il suo Principe Azzurro, e chissà se è ancora vivo, se si è perso, se la sta cercando. Ogni sera Emily prega - nessuno in particolare, perchè non crede in nulla, ma prega - affinché il suo salvatore giunga a portarla via e la conduca con sé nel proprio regno fatato, dove potranno finalmente sposarsi e dimenticare tutto quel dolore. Poi si alza in piedi, si guarda attorno, e riconosce la piccola stanza nello scantinato dell'ospedale. Osserva, senza vederli sul serio, le proprie mani sporche, i capelli spettinati, la lama di luce che entra dalla finestra con le sbarre e piange, fino ad addormentarsi di un sonno senza sogni.
Non ci sono nessun Principe e nessun reame fatato: quando il farmaco inzia a fare effetto, riportandola in questo mondo ingiusto e crudele, è allora che la realtà la assale con la violenza di uno schiaffo in pieno viso. Tutto ciò che possiede sono quella stupida casacca azzurro spento, un corpo troppo sfinito per poter anche solo pensare di scappare e la sua immaginazione, per fortuna ancora abbastanza vivida talvolta da farla volare lontano in qualsiasi luogo osi desiderare.
E poi c'è quel bambino. Quel bambino con gli occhi castani, magrolino e vivace, che si è avvicinato un bel giorno alla sua piccola finestra, incuriosito dal ruomore dei suoi lamenti insensati. Emily aveva alzato gli occhi e l'aveva visto lì, incerto, con un mezzo sorriso spaventato stampato sul volto da uccellino.
- Hey... ciao, - gli aveva detto asciugandosi le lacrime, cercando di suonare il meno spaventosa che poteva. - Io sono Emily.. e tu come ti chiami?
Il bambino aveva continuato a fissarla, con un'espressione a metà fra lo stupito e l'affascinato. Sembrava conoscerla, o averla riconosciuta in qualche modo, ed in un momento di follia la ragazza si era chiesta se per caso avesse avuto un fratello nella sua vita al di fuori, confrontando istintivamente i lineamenti di lui con il poco di sé che ricordava.
- Mi chiamo Henry Mills. Cosa ci fai rinchiusa nello scantinato dell'ospedale? Sfrontato, il ragazzino. Ma almeno sembrava trattarla gentilmente, ed Emily aveva davvero bisogno di parlare con qualcuno che non tentasse di somministrarle calmanti appena alzava un po' la voce.
- Sono prigioniera di una regina cattiva, - aveva sorriso lei, con un'alzata di spalle, - oppure sono stata rinchiusa qui dentro perché sono pazza e pericolosa, e Storybrooke non è un posto adatto a gente come me. Scegli tu l'opzione che preferisci, è quello che di solito faccio io quando mi dimentico chi sono. Aveva sorriso di nuovo, a fatica. Era da molto tempo che non faceva un discorso così lungo, e si sentiva esausta come se avesse parlato per ore. Henry aveva ricambiato il sorriso, raggiante, e si era seduto nell'erba bagnata per osservarla più da vicino.
- La storia della principessa mi piace di più. Anche io ho tutta una mia teoria riguardo alla gente di questo posto, ma non mi hanno mica rinchiuso in manicomio per questo. Trovo che sia profondamente ingiusto che lo abbiano fatto con te.
- Io non ho dieci anni, - aveva replicato Emily con un sorriso amaro. In realtà, non sapeva neppure se quello è il vero motivo per cui l'hanno segregata laggiù. Ma deve esserci un motivo, ed è meglio essere dei pazzi sognatori piuttosto che dei pazzi pericolosi. - E secondo te io chi sarei, nel tuo mondo delle favole?
Henry l'aveva osservata attentamente, aggrottando un po' le sopracciglia. Poi aveva chiuso gli occhi per un istante, li aveva riaperti, aveva preso a contare qualcosa sulle dita di una mano. Infine aveva scosso la testa, dispiaciuto.
- Non lo so ancora. Vedi, non ho abbastanza informazioni; ma ti prometto che lo scoprirò, e te lo farò sapere! - Si era rialzato, spolverandosi i pantaloni. - Accidenti! Sto facendo tardi per pranzo, e mia madre andrà tutte le furie se non mi presento puntuale. A presto!
Ed era scappato via, salutandola con una mano.
Dopo quel giorno, Emily aveva visto di nuovo Henry almeno un paio di volte. Una di esse, se ne stava rannicchiata in un angolo a canticchiare ed era davvero, davvero un brutto momento per le visite. Henry aveva tentato di domandarle qualcosa che lei non aveva sentito, poi lo aveva visto allontanarsi attraverso il prato con espressione seria.
Un'altro giorno, aveva portato con sé una donna dai capelli biondi e l'aria preoccupata e severa.
- E' illegale che la tengano chiusa qui dentro, - stava dicendo ad Henry in un sussurro adirato, probabilmente per non farsi sentire dagli infermieri che ogni tanto passavano da quelle parti, - ma non possiamo portarla via come se niente fosse. Ti ha almeno detto come si chiama?
- Emily French, - aveva risposto lui, serio, - penso che sia la figlia del fioraio, ma è chiaro che lui non ne vuol sapere di lei. L'ha rinchiusa qui dentro, non viene mai a trovarla, non ne parla nemmeno...
La donna aveva annuito, fissando Emily come se lei non potesse capire. Lei aveva ricambiato lo sguardo con un'occhiata spaventata, rannicchiandosi ancora di più sul suo letto umido, il mento appoggiato alle ginocchia e le mani allacciate strette attorno alle caviglie.
- Lui no, - aveva detto poi la bionda, riscuotendosi, - ma la sera in cui lo arrestai, ho sentito Mr. Gold dire a Moe French qualcosa riguardo ad una figlia che lui aveva lasciato morire... o qualcosa del genere. Potrebbe entrarci qualcosa, o potrebbe addirittura essere lei.
Henry aveva spalancato gli occhi, esterrefatto.
- Pensi che Emily conosca Mr. Gold? - Il bambino si lasciò sfuggire una risata nervosa. Poi, voltandosi verso di lei e chinandosi in modo essere più o meno allo stesso livello dei suoi occhi, aveva domandato gentilmente: - Ti dice niente questo nome, Emily? Hai mai sentito parlare di Mr. Gold?
Lei aveva alzato gli occhi, socchiusi per schermare la luce troppo forte del sole. Poi aveva scosso la testa. Non conosceva assolutamente nessuno su questa Terra che portasse quel nome.

A/N: Ho scelto il nome Emily perchè è il nome dell'attrice. Mi sarebbe piaciuto chiamarla anche Isabelle, ma mi ricordava troppo Bella Swan di Twilight (Isabella abbreviato in Bella) ed ho preferito risparmiarvi una simile ... una simile ... beh, non mi esprimo, ma DICIAMO che non aprezzo particolarmente Twilight, quindi ho lasciaro stare. >U<

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Capitolo 2
*** two. ***


Mr. Gold solleva lo sguardo, un po' accigliato, scrutando dal sotto in su la shiluette dello Sceriffo Swan che si staglia fra la porta ed il bancome del suo negozio.
- Buongiorno, Sceriffo, - la apostrofa con un mezzo sorriso, che sembra più un ghigno di sfida. Posso esserle utile in qualche modo?
Emma solleva un vecchio libro da uno scaffale ed inizia a sfogliarlo con deliberata lentezza, assaporando la soddisfazione di percepire l'antiquario che, dietro al bancone, la osserva con crescente impazienza.
Solitamente, Mr. Gold conosce sempre il motivo delle visite nel suo negozio. Solitamente la gente viene da lui per stipulare contratti, ed ha fretta di andarsene prima che qualcosa possa fargli cambiare idea. Non ci sono sorrisi, non ci sono chiacchiere amichevoli, solo affari portati a termine con sguardo grave ed occhi fissi al terreno.
Emma Swan, invece, sta proprio sorridendo. Rimette il libro al suo posto, con cautela, alzandosi appena sulle punte dei piedi, poi si volta di nuovo verso Mr. Gold incrociando le braccia con aria un po' saccente. Assurdamente l'uomo pensa ad un prestigiatore che stia per tirar fuori un coniglio dal cappello, ma quel pensiero non contribuisce a migliorare il suo umore.
- Mi domandavo se conosce una certa Emily, - dice Emma con voce casuale, dimenticandosi di mettere il punto di domanda infondo alla frase. Più che una curiosità, sembra un'affermazione. - Donna, circa venticinque anni, capelli scuri... molto carina in effetti.
Mr. Gold scuote la testa, scettico: che razza di domanda inutile è mai quella? Rapidamente, ripensa a tutte le persone con cui ha fatto affari - come se ce ne fosse realmente bisogno... le ha ben impresse nella memoria, una per una - in cerca di qualcuno che porti quel nome: non esiste, né in questo mondo né nell'altro, e se lo dice lui allora vuol dire che è vero.
- So che stenterà a crederci, - dice quindi, ritrovando il suo sogghigno un po' sghembo, - ma non conosco ogni singolo abitante di Storybrooke, e nessuna Emily ha mai stipulato un accordo con me.
Emma fa qualche passo avanti, appoggiando entrambi i palmi sul bancone. Il sole filtra attraverso il vetro della porta incorniciando il suo volto con un'aureola di capelli dorati, ma la sua espressione è tutt'altro che angelica. Quella donna sta ancora pregustando qualcosa, e Mr. Gold non sa di che cosa possa trattarsi, ma è certo che volente o nolente lo scoprirà presto.
- Beh, immaginavo. - Una scrollata di spalle. - Del resto, Emily non è un nome che si ricorda facilmente. E se invece le dicessi Emily French? Adesso le viene in mente qualcuno?
Mr. Gold sente il cuore mancare un battito. French? Come Moe French, il fioraio, l'uomo che nell'altro mondo era un mercante, un nobile, e adesso non possiede nient'altro che un negozio ed un ridicolo furgone. L'uomo che un tempo era il padre di quella ragazza, e che l'ha lasciata morire pur di non subire la vergogna di una figlia innamorata di un mostro.
- E' viva? - domanda semplicemente Mr. Gold sforzandosi di ritrovare la voce e il colorito, mentre le mani annaspano freneticamente verso il bastone.
In men che non si dica è in piedi, proteso verso lo Sceriffo, il volto deformato da una smorfia di impazienza mista a collera che Emma non riesce a capire. La donna si limita ad annuire, seria: non si aspettava una simile reazione, nemmeno dopo tutto ciò che Henry le aveva detto a riguardo.

- Pensi che Mr. Gold abbia qualcosa a che fare con quello che è successo a Emily?
Emma osservava Henry con aria scettica, temendo che il bambino facesse funzionare troppo l'immaginazione. Lui, il suo libro di favole aperto sulle ginocchia, aveva fatto cenno di no con la testa, vigorosamente.
- Non ad Emily, te l'ho detto! A Belle! Non credo che Mr. Gold sappia nemmeno che Emily esiste, se è per questo. Penserà che sia morta, a quest'ora, dopo tutto quello che gli ha raccontato mia madre.
Lo Sceriffo aveva sorriso, paziente. Da un lato aveva paura che Henry se ne uscisse fuori con qualche altra assurda teoria, che avrebbe fatto infuriare Regina e messo nei guai una buona quantità di persone. Tuttavia, razionalmente, si rendeva anche conto che lasciar sfogare il bambino senza soffocare la sua immaginazione era l'unica soluzione (suggerita persino da Archie) per permettergli di affrontare la realtà dell'adizione, e tutto il resto, senza troppi inutili traumi.
- Ma Belle ed Emily non sarebbero la stessa persona? - aveva domandato, paziente. - E Mr. Gold, oltre a essere Mr. Gold, dovrebbe essere anche un mago mostruoso che l'avrebbe imprigionata nel suo castello, se ho capito bene?
Henry aveva annuito. Sfogliando le pagine ormai un po' sciupate del vecchio libro, aveva indicato un disegno a colori raffigurante un uomo che tesseva oro da un arcolaio mentre una ragazza, seduta su una sedia accanto a lui, leggeva un gigantesco tomo dall'aspetto malconcio.
- Questo farebbe di Mr. Gold Rumplestiltskin, lo stregone, - aveva spiegato - ma, cosa ancora più importante, sarebbe la dimostrazione che si ricorda ancora del mondo delle favole. Ti immagini la fortuna di avere Mr. Gold come alleato contro mia madre? Potremmo salvare questa gente in un batter d'occhio, non credi?
Emma gli aveva messo un braccio attorno alle spalle, guardandolo di sottecchi con apprensione. Finché si trattava di congetture infantili,fini a se stesse, poteva anche essere divertente e simpatico da parte sua. Ma quando il bambino iniziava a mettere in mezzo personaggi importanti di Storybrooke accusandoli di essere maghi malvagi.. beh allora la situazione prendeva un'altra piega.
- Hem.. Henry... - aveva sospirato, cercando di sembrare il più possibile persuasiva, - forse sarebbe meglio che Mr. Gold non sapesse che abbiamo scoperto la sua... hum... la sua vera identità, okay? Del resto se è veramente malvagio come dice il tuo libro non sappiamo come potrebbe reagire. Intanto lascia che sia io a parlargli di Emily e vediamo come si comporta, che ne dici? Se le cose stanno come mi hai raccontato, avrà accumulato talmente tanto rancore che ritrovare Belle lo farà automaticamente uscire allo scoperto contro Regina.
Henry aveva sorriso, raggiante.
- Sei un genio, Emma, - e l'aveva abbracciata.

Mr. Gold se ne sta in piedi al centro della stanza, entrambi i palmi appoggiati al pomello del suo bastone. Le spalle dritte, l'espressione determinata, osserva Regina firmare le carte che permettono la liberazione di Emily dalla sua prigionia.
E' stata sufficiente una parola da parte dello sceriffo Swan, che le facesse notare come fossero precarie e rischiose le condizioni della ragazza, vissuta per anni in quello scantinato; una visita da parte di Archie, che ne aveva constatato lo stato di buona salute mentale (nonostante il profondo stato di shock); ed un please detto al momento giusto con la giusta intonazione.
Nonostante la tentazione iniziale fosse quella di irrompere nell'uffico di Regina brandendo il suo pugnale (il suo prezioso pugnale, quello con un nome inciso sopra), Mr. Gold ha deciso alla fine di dar retta al buon senso. Uccidere Regina lo metterebbe in una situazione difficile con la legge, considerando che ha già un arresto alle spalle per lesioni a persone. Invece, portarle il suo giocattolo, la sua arma di ricatto, sarà immensamente più piacevole. Ad Emma era occorsa una giornata intera per convincerlo di questa teoria, ma ne era valsa la pena.
Mr. Gold se ne sta in piedi, senza far niente per nascondere il ghigno soddisfatto che attraversa il suo volto. Molti piani più in basso, un infermiere sta conducendo Emily (la sua Belle, che è viva, è viva e respira) fuori da quella prigione, lontano da qualsiasi tormento e sofferenza abbia dovuto subire.
Adesso non vuole pensare a come debba sentirsi quella povera ragazza, trascinata all'improvviso nella frenesia della città. Non vuole rendersi conto di come, per tutti quegli anni, lui abbia attraversato le strade così familiari senza sapere che da qualche parte, sola e spaventata, lei esisteva ancora. Soprattutto non vuole ammettere a se stesso di essere un codardo; il solito, inguaribile, codardo Rumpelstiltskin di un tempo.
Non ha imparato niente dai suoi vecchi errori. Non ha avuto il coraggio di scendere quella scala, e varcare quella porta. Non ha voluto guardarla negli occhi, e vedere quello sguardo acquamarina posarsi sul suo, senza riconoscerlo, senza il familiare sorriso o peggio, carico di un odio maturato negli anni verso la creatura che è causa di ogni suo tormento.
Mr. Gold se ne sta in piedi perfettamente immobile, e giura a se stesso (per quanto un suo giuramento possa valere) che qualunque cosa accada non le farà più del male.

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Capitolo 3
*** three. ***


Molto più in basso, una ragazza di nome Emily riemerge dal sonno senza sogni indotto dai farmaci, e si guarda attorno senza ricordare. Dove si trova? Ci mette un attimo per rendersi conto di essere in una specie di cella... una stanza piccola e buia, troppo scomoda per essere la camera da letto del castello di suo padre.
Suo padre, il fioraio. Chissà che cosa le è passato per la testa; un fioraio non può vivere in un castello. Semmai in una villetta a schiera, uguale a tutte le altre, a lato di una strada piena di pozzanghere. Pozzanghere come quelle che si formano, per l'umidità, nelle segrete a cui è ormai abituata, dove qualcuno l'ha rinchiusa per giorni lasciandola completamente sola.
Ma non sono segrete, è una stanza di ospedale. Un ospedale un po deprimente, e probabilmente l'igiene non è il suo punto forte, ma sicuramente non si tratta di una prigione sotterranea. Qualcuno armeggia con la chiave nella toppa, e la porta si apre lentamente con un cigolio di cardini vecchi. Probabilmente è lui, che sta venendo a urlarle contro tutta la sua rabbia, ad ucciderla, a perdonarla, a lasciarla andare.
Una testa biondo rossiccio appare nello spiraglio fra la porta ed il muro. Un giovane infermiere si fa strada all'interno della stanza, con un sorriso incerto dipinto sul volto magro. Emily calcola che il ragazzo deve avere si e no ventiquattro anni (uno meno di lei, secondo quei maledetti documenti), eppure lavora, vive, mentre lei non è niente, soltanto un rifiuto abbandonato nei recessi di un qualche maniero intriso di magia nera.
- Ciao, - dice il ragazzo, leggermente imbarazzato.
Sembra non sapere cosa farsene delle sue lunghe braccia coperte di lentiggini, mentre con gli occhi cerca invano quelli di lei. Emily ha sepolto il viso fra le mani, e cerca di districare la realtà dall'immaginazione: che cos'è vero, il castello o l'ospedale? Chi sta aspettando, un principe o un mostro? Rapidamente, cerca i calcolare quante possibilità ci sono di riuscire a stendere il giovane infermiere e scappare via: poche, considerando quanto è sfinita e confusa dalle medicine.
Sbircia fuori dal suo nascondiglio con la coda dell'occhio: il ragazzo le sorride ancora, sempre meno sicuro di star facendo la cosa giusta. Nella cornice della porta, come due sagome indistinte e spiritate, scorge la donna e il bambino che sono venuti a parlarle qualche volta dalla finestra. Come si chiamavano? He... Henry? E poi...?
- Vieni, ti faccio uscire. - Il ragazzo la solleva delicatamente per un braccio, aiutandola ad alzarsi, ma è costretto ad afferrarla saldamente attorno alla vita quando le gambe le cedono.
Emily arranca in avanti, verso la porta, mentre il mondo attorno a lei inizia ad oscillare. Chi ha acceso tutte quele luci? Perché improvvisamente hanno deciso di portarla fuori da lì? Il mondo sembra così immenso, al di là di quelle quattro mura, così vasto che sembra volerla inghiottire piegandosi minaccioso su di lei. Il mondo è spaventoso, è vero, ma la prigionia lo è ancora di più. Nonostante i muscoli che urlano per lo sforzo, inabituati all'esercizio come sono, e la testa che gira, Emily sa di dover mettere più spazio possibile fra sé e quel luogo maledetto: avanti, e avanti, presto prima che qualcuno cambi idea!
La ragazza riesce apena a vedere la luce del sole attraverso le portefinestre del pian terreno; poi si affloscia a terra, svenuta, e l'infermiere è costretto a portarla in braccio fino ad un letto più comodo in corsia.

- Come sta?
L'espressione di Mr. Gold è tesa, le sopracciglia aggrottate. E' sceso al piano terra dell'ospedale, soltanto adesso che è tutto finito, ed Emily è già al caldo fra le lenzuola di un giaciglio più confortevole.
- Sta dormendo, - dice il medico, serio ma gentile, - può entrare se lo desidera, ma stia attento a non svegliarla; lo shock della liberazione è stato troppo forte per lei.
Mr. Gold annuisce; non aveva intenzione di farsi vedere, in ogni caso. Non adesso, non in quel luogo orribile che a lei ricorda solo sofferenza e paura. Ha deciso di non denunciare Regina o l'infermiera che l'ha assecondata in quella follia: sarebbe inutile, perchè nessuno può uscire da Storybrooke e nessuno, nessuno deve sapere quello che è accaduto.
Entra nella stanza d'ospedale, che puzza di disinfettante e di malattia. La sua Belle se ne sta distesa nel letto, le palpebre chiuse circondate da un alone violaceo, l'ago della flebo che le spunta da un braccio. Non dovrebbe essere così. Non dovrebbe assolutamente essere così. Se solo lui non fosse stato tanto sciocco, e fifone, ed egoista al punto da mettere il proprio orgoglio davanti ad ogni altra cosa... se solo fosse stato tutto diverso, non sarebbe finita in questo modo.
Emily è immobile. Non somiglia nemmeno lontanamente alla ragazza sorridente che Mr. Gold conosceva, eppure i lineamenti del viso sono ancora quelli, ed i capelli, lunghi e castani, formano un'aureola di onde attorno al suo volto tanto familiare. Eppure è troppo magra (si vedono le vene dei polsi, e gli zigomi sono troppo pronunciati), e pallida, sembra così assente... così MORTA, come nei suoi incubi peggiori. Mr. Gold non vuole rendersene conto, non vuole ricordare; eppure sa, adesso, che è giunto il momento di smettere di fuggire. Deve affrontare la realtà, bella o brutta che sia, e prendersi le responsabilità che ha sempre rifiutato.
Emily deve vivere, vivere la vita a cui Belle è stata costretta a rinunciare per causa sua. Ha una seconda possibilità, la possibilità di rimettere a posto le cose e, per una volta, di non essere un egoista ed un codardo. Lei può ricominciare da capo, ed essere felice, e non è poi tanto difficile darle una mano. Deve solo mantenere le distanze e lasciarla libera, perchè (per quanto possa fargli male anche solo pensarlo) è questo il meglio per lei.
Così si volta, e se ne torna al suo negozio. Non rimane per vederla svegliarsi, sorridere ad Henry, cercare faticosamente mangiare il cibo che le viene offerto. Non assiste alle discussioni concitate su chi debba prendersi cura di lei adesso, perchè (così debole, e stanca, e sconvolta) quella povera ragazza non può badare a se stessa, almeno per ora.
E poi, non ha una casa a cui tornare. Suo padre certamente non ha il diritto nè il desiderio di occuparsene; sta ancora passando dei guai con la legge per via di quel furto con scasso, e comunque non si è dimostrato il miglior genitore del mondo abbandonando la sua unica figlia in simili condizioni. Dovrà pagare anche per questo, pensa Mr. Gold, ma stavolta con qualcosa ben peggiore di qualche colpo con un bastone.
Alla fine, Granny e Ruby si offrono di ospitare Emily alla pensione, almeno finché la ragazza non sarà in grado di guadagnarsi da vivere e prendere in affitto un appartamento da qualche parte.
- E come potrò ricambiare? - domanda lei, con un filo di voce. Sembra talmente giovane, e fragile, che per un attimo Ruby è tentata dal dirle di non preoccuparsi. Ma poi vede la determinazione nei suoi occhi, la consapevolezza di dover ricominciare tutto da capo, e capisce che troppa gentilezza probabilmente la offenderebbe soltanto.
- Puoi servire alla tavola calda, e dare una mano con le pulizie. Avevamo proprio bisogno di personale extra con l'avvicinarsi della bella stagione, quindi capiti al momento giusto.
Emily capisce che è una bugia, ed è grata a quella strana ragazza con i capelli rossi e l'espressione gentile, quasi timida, nonostante tutto quel trucco e all'abbigliamento aggressivo.
Mr. Gold non è presente nemmeno il giorno in cui viene dimessa. Emma le consegna un paio di jeans e una camicia a quadri trovati in una vecchia valigia nera dall'aspetto antiquato, che contiene tutti i possedimenti di Emily in questo mondo. Ci sono un paio di stivali, delle Converse, ancora jeans e magliette, un golfino, qualche gioiello dall'aspetto economico ed una giacca pesante.
Il resto dello spazio è interamente occupato da decine e decine di libri, e alla ragazza viene da ridere pensando che, se non altro, un vantaggio di aver perso la memoria è che potrà rileggerseli tutti come se fosse la prima volta.
Emily esce dall'ospedale a testa alta, nonostante il passo malfermo e l'incavo di un braccio tumefatto dalle continue flebo. I pantaloni, che dovevano essere stati suoi, sono adesso troppo grandi e le danno un'aria da ragazzina sperduta. Si lascia condurre diligentemente verso l'auto rossa sgargiante di Ruby, verso la pensione e poi su, nella sua stanza, che è piccola e confortevole e con una strana carta da parati color rosa antico.
Mr. Gold passa davanti alla tavola calda con espressione casuale, osservando con la coda dell'occhio la sua Belle che parla a Granny (ma lui non riesce a udire le parole) con quel sorriso che conosce così bene. Sembra incredibilmente piccola e fragile, niente a che fare con la ragazza dalle guance rosee e lo straordinario dono di apparire sempre alle sue spalle, trattenendo a malapena una risata, quando meno se lo aspettava.
Emily è Belle, eppure allo stesso tempo non lo è affatto. Così Mr. Gold distoglie lo sguardo e si allontana a passo spedito (per quanto la gamba malata glielo conceda), e non si accorge di Granny che lo fissa in cagnesco, le labbra ridotte ad una fessura, mentre col braccio spinge gentilmente la sua nuova ospite verso casa, lontano da lui.

A/N: Gold pensa ovviamente che dopo tutto il male che ha (involontariamente) fatto a Belle sia meglio per Emily vivere la propria vita lontano da lui. Riuscirà a mantenere il suo proposito? Io ho i miei dubbi.. ^ ^ Moe French, invece, avrà modo in seguito di spiegare le sue ragioni, quindi cercate di non farvi troppe domande sul perché non sia ancora apparso. >_O

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Capitolo 4
*** four. ***


Mr. Gold non ha mai amato le persone. Ogni volto che incontra per strada è un sorriso ipocrita, una stretta di mano fasulla, un saluto che vorrebbe essere una maledizione. E lui sa riconoscere le maledizioni, quando le vede. Ne ha scagliate tante, e tante ne ha ricevute, ma nessuna ha mai avuto il potere di spezzarlo. Per questo motivo continua a camminare, lento e un po' malfermo sulla gamba malata, consapevole di essersi meritato in qualche modo tutto quell'odio.
Ci sono giorni in cui schiaccerebbe il mondo nel palmo di una mano, e ridurrebbe in cenere chiunque osasse mancargli di rispetto in qualche modo. Ci sono giorni in cui sente la magia trasudare fuori dal terreno, i draghi addormentati sospirare nelle profondità della Terra, e gli alberi protendere i loro rami come dita pronte ad afferrare l'incauto viaggiatore. Ma oggi, oggi è un giorno differente.
C'è una ragazza, così reale, e umana, e semplice nelle sue Converse sciupate, con i capelli che brillano al sole di riflessi ramati; una ragazza che lavora alla tavola calda, e trasuda una magia così antica che sembra provenire direttamente dalle viscere del mondo.
Lei non lo sa, di essere così speciale; non è a conoscenza del potere immenso che possiede, perché ad una sua sola parola il più temuto dei maghi sarebbe capace di rinunciare a tutto il suo potere - se solo lei ricordasse, se solo ritrovasse se stessa da qualche parte al di là delle flebo, le magliette a quadri, i muffin ai mirtilli e tutte le cose che ha scoperto in questa inutile vita e che l'hanno distratta facendole dimenticare ciò che è importante davvero.
Mr. Gold si ritrova di fronte alla porta del piccolo ristorante come per caso, e prima di rendersene conto ha già varcato la soglia. Nonostante non abbia mai amato le persone (lo giura, non le ha mai amate, mai una in tutta la sua vita), si guarda attorno e siede ad un tavolo in un angolo, accanto alla finestra. Tutto sembra così tranquillo, così normale, che in giorni come quelli il passato appare come un sogno, e potrebbe dare ragione a chi prende in giro il piccolo Henry ed il suo libro di storie.
Qualcuno lo saluta con un cenno del capo e lui ricambia; del resto, cos'altro potrebbe fare? Una ragazza qualunque, dietro al bancone, sta preparando il caffè, e oggi non è il giorno giusto per iniziare una guerra o uccidere un drago.

- Vorrei che mi permettessi di parlare con Emily. Lei mi crederebbe.
Emma porge ad Henry il cono gelato, e gli dedica al contempo una delle sue lunghe occhiate a metà fra l'arrabbiato e il divertito. Quel bambino è una vera forza della natura, ma come potrebbe fargliene una colpa? Del resto, è figlio suo.
- Non penso che sia una buona idea, - commenta cercando di suonare persuasiva (sa benissimo che quando Henry si mette in testa una cosa è estremamente difficile convincerlo del contrario) - quella povera ragazza è appena uscita dal manicomio, se vogliamo dire le cose come stanno. Non puoi parlarle di favole e Principi Azzurri così, come se niente fosse.
- Non si tratta di Principi Azzurri, - Henry diventa serio all'improvviso, - si tratta di Mr. Gold.
E poi le ripete di nuovo la storia del Bacio di Vero Amore, la Maledizione della Strega Cattiva e tutto il resto. Emma ascolta paziente per la centesima volta, si finge di nuovo stupita, sorride o diventa seria quando bisogna sorridere o diventare seri. Poi mette un braccio attorno alle spalle del bambino (il suo bambino) e sospira.
A volte ci sono parole, in questa vita, più pericolose di qualsiasi incantesimo.

Emily lavora alla tavola calda ormai da una settimana. Ha imparato a preparare un caffè decente, un cappuccino discreto e dei cupcakes a dir poco fenomenali. Ha lavato decine di tazze, spazzato miliardi di granelli di polvere, sorriso a centinaia di clienti con quel sorriso vivace e sincero che è suo, e suo soltanto. Giorno dopo giorno, Mr. Gold si è seduto a quel tavolo presso la finestra, e l'ha osservata lavorare. Ha bevuto litri e litri di caffè (nero, senza zucchero né latte) e finto di leggere pagine e pagine di giornale. Giorno dopo giorno, ha cercato in lei qualcosa che lo tranquillizzasse, gli desse pace, gli dimostrasse che quella ragazza magrolina non è più la sua Belle, è il momento di dimenticarla di nuovo, ma sapendo stavolta che lei è viva, e anche se adesso è debole e bisognosa di cure presto tornerà ad essere forte e si ricostruirà una vita.
Invece, Emily ride ad una battuta di Ruby e i suoi occhi ridono con lei, una risata color acquamarina. Un cliente la rimprovera perché il caffè che ha preparato è troppo freddo e lei gli risponde a tono, gentile ma determinata a non lasciarsi maltrattare da nessuno. Ogni mattina è lì, perfettamente vestita e pettinata nonostante le occhiaie e la stanchezza, cercando di riacquistare la propria identità nonostante non ricordi niente di ciò che era.
E Mr. Gold non riesce ad allontanarsi. Vorrebbe convincersi che quella ragazza merita di meglio, vorrebbe starle lontano, ma ogni volta che passa di fronte alla tavola calda non può fare a meno di sbirciare all'interno per vedere se Emily è lì a lavorare. E lei è sempre lì, quindi lui sospira, ed entra, e ordina un caffè nero e fa finta di leggere il giornale.
- Chi è quel signore laggiù?
Emily indica Mr. Gold con un cenno del capo, cercando di non farsi notare. Le labbra di Granny sono due linee sottilissime, leggermente piegate all'ingiù, le sopracciglia aggrottate. Non le piace affatto quell'uomo, non le è mai piaciuto. Sembra tutto gentile e rispettoso e poi zacc, quando meno te l'aspetti se ne esce con qualcosa di veramente egoista e meschino.
- Mr. Gold, - risponde, lasciando trapelare nel tono della voce tutta la sua disapprovazione, - è un antiquario. Ma, più che altro, gestisce un monte dei pegni. Insomma, non è una persona granché raccomandabile, tuttavia è piuttosto influente a Storybrooke quindi perlopiù viene lasciato in pace.
Granny agita una mano in aria come a voler scacciare una mosca invisibile, poi fa per tornare a lavoro. Emily guarda prima Mr. Gold, poi lei, e decide che non le importerebbe granché nemmeno se lui fosse un pazzo omicida (del resto, si potrebbe pensare legittimamente che la pazza sia prima di tutto lei).
- Ha un viso familiare. So che è praticamente impossibile, ma penso che magari potrebbe aiutarmi a ricordare qualcosa di quello che ero... Nel bene o nel male.
Granny scrolla le spalle, ma la sua espressione è preoccupata sotto all'abituale atteggiamento sbrigativo. Mr. Gold ha firmato tutti i documenti necessari a liberare Emily, impegnandosi a garantire per lei. Ha contattato il Dr. Hopper, affinché rilasciasse un certificato che ne accertasse la salute mentale. Ha praticamente smosso mari e monti, per liberarla dalla sua prigionia, e nessuno ha capito il motivo di un simile interesse, di tutta quella premura.
Quell'uomo non fa mai niente per niente, e Granny trema al pensiero del pagamento che prima o poi potrebbe pretendere da lei. Emily non possiede praticamente nulla di suo, e non sarà mai in grado (raramente qualcuno lo è, del resto) di cancellare il debito verso l'antiquario.
D'altra parte, tuttavia, quella ragazza ha venticinque anni, è adulta e ha il diritto di ritrovare la propria memoria; senza contare che Archie ha detto che la sua mente è perfettamente sana, quindi perchè non dovrebbe essere in grado di prendere da sola le proprie decisioni?
- Fai come vuoi, bambina, - le dice, porgendole il blocchetto delle ordinazioni.
Infondo, che lei sappia Mr. Gold non ha ancora mai ucciso nessuno.

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Capitolo 5
*** five. ***


- Desidera ordinare?
Mr Gold alza gli occhi dal giornale, e sente il colorito abbandonare il proprio volto. Conosce quella voce, riemersa attraverso secoli di incantesimi e battaglie. Il suo cuore inizia a martellare come i tamburi degli Orchi all'orizzonte, e lui non riconosce quella sensazione così simile alla paura.
Gli occhi di Belle (Emily, è costretto a ricordare a se stesso) gli sorridono. Quegli occhi sono cambiati, sono più cupi, più consapevoli. Ma è ancora lei, dopo tutti quegli anni, dopo tutte quelle segrete di castelli che non avrebbe mai dovuto vedere.
- Un caffè espresso, grazie, - dice lui, ricambiando lo sguardo.
Non è stato affatto difficile, anzi, parlarle gli è venuto spontaneo, come se si fossero scambiati qualcuna delle solite battute proprio il giorno prima. La cosa peggiore è questa: il tempo sembra non essere passato affatto. Nonostante lei sia così diversa, nonostante lui abbia passato i giorni a ripetersi che è diversa, rivederla così da vicino è come non averla mai perduta.
Emily annuisce, sorride di nuovo, scrive qualcosa sul taccuino. Le hanno detto che Mr. Gold è una persona orribile. Le hanno detto che il suo sorriso è falso, e che appena abbassi la guardia trova il modo di ingannarti e ricattarti e renderti suo debitore.
Lei non se la sente di giudicare nessuno: ha sentito i clienti della tavola calda mormorare qualcosa fra i denti a proposito della ragazza uscita dal manicomio, la ragazza rifiutata da suo padre, la ragazza che vive alle spese di Granny e sua nipote. Si è sentita in colpa, si è sentita crudele. Quella sera, ha preso un rasoio e si è incisa dei tagli all'interno delle braccia, dove nessuno li avrebbe potuti vedere.
Poi si è sentita stupida, stupida e infantile; ha indossato una camicia a maniche lunghe e si è presentata al lavoro, la mattina dopo, sorridendo come se nulla fosse accaduto. Ed ha giurato di non farlo mai più (per quanto un suo giuramento possa valere).
Ogni tanto, è come se si destasse all'improvviso da un sonno profondissimo. Un attimo prima stava leggendo un libro, quello dopo si ritrova a camminare per strada, senza giacca, nel vento gelido. Non sa come questo possa accadere, ma ha paura di parlarne ad Archie ed ha paura che lui la faccia tornare nella sua stanza nella cantina dell'ospedale.
Ogni tanto, si sente come se si fosse risvegliata in un luogo che non le appartiene. Guarda le auto e le case e la gente che cammina e parla e si muove in un modo che a lei sembra strano. E vuole morire. Non l'ha mai detto a nessuno, e cerca di combattere questa sensazione fingendosi felice e grata di tutto ciò che le è stato dato, ma vuole morire.
Si ritiene fortunata, infondo, perché non ricorda di aver mai avuto così tante persone che si prendessero cura di lei. Ha una casa in cui stare, un lavoro onesto, e sicuramente un giorno ricomincerà a ricordare, e il mondo sarà di nuovo felice e rosa e pieno di sorprese (se mai lo è stato, le viene da pensare, ma siccome non ha memorie che la smentiscano di vuole credere di avere ragione).
Però il suo Principe Azzurro s'è perso per strada, il suo castello è stato dato alle fiamme, i suoi ricordi strappati via da una qualche maledizione. Non riconosce nessun volto fra la gente, eppure le hanno detto che questo è il luogo dov'è nata. E, certi giorni, Emily vuole morire.
- Il suo caffè.
Mr. Gold allunga la mano appena in tempo per riacchiappare al volo il cucchiaino che è scivolato dal vassoio, e si lascia sfuggire un mezzo sorriso sghembo. Possibile che quella ragazza sia sempre così distratta? Emily ride.
- Ottimi riflessi, - commenta, appoggiando un piattino con un cupcake accanto alla tazza di caffè. - Offre la casa. Sto imparando a cucinare i dolci e vorrei un'opinione: c'è troppo cioccolato?
Mr. Gold solleva un sopracciglio. Essere gentile senza far capire di farti un favore è una cosa estremamente da Belle. E fa male, ma male in un modo piacevole.
- Grazie. Prometto che le farò sapere, - risponde, senza cambiare espressione.
Emily si allontana, sorridendo fra sé. Non sa perché le sia venuto in mente di fare una cosa del genere, forse perché Granny le ha lasciato intendere che quell'uomo non merita la sua attenzione. Forse perché, se qualcuno non fosse stato carino con lei, adesso sarebbe ancora a marcire in una stanza buia. Forse, perché in una parte minuscola della sua mente affiora l'immagine di una tazza scheggiata, una tazza che lei ha fatto cadere tanto tempo fa e che non si può riparare.

Quella notte, Emily sogna un castello immerso nell'oscurità di una notte antica come l'Universo intero. All'orizzonte il cielo è tinto di rosso, il rosso del sangue di tutti coloro che sono morti in battaglia (questo almeno è ciò che dicono le leggende), ma in alto, sulla sua testa, le stelle risplendono come perline cucite sull'abito di una principessa.
A oriente, lontano, si odono i tamburi di guerra degli Orchi, ed Emily sa (senza vederla) che laggiù sta infuriando la battaglia, ma non ha paura. In silenzio, raccoglie il suo pugnale e la sacca contenente le erbe magiche che le servono per preparare le sue pozioni. I capelli, lunghi fino alla vita e intrecciati di biancospino ed edera, si agitano nella brezza notturna con un suono come di centinaia di ali.
Senza timore Emily cammina, e cammina ancora, e improvvisamente non è più se stessa ma una creatura antica milioni di anni, nelle cui vene prosciugate scorre magia allo stato puro. Cammina e cammina, e si dirige verso il campo di battaglia, per combattere e uccidere e strappare con i denti la carne dei suoi nemici.
Tutti coloro che amava sono morti (questo è quello che le ha detto la Strega), e non vale più la pena di affannarsi a compiacere dei cadaveri ormai putrefatti sottoterra. Lui non lo avrebbe voluto, lui non l'avrebbe permesso. Le avrebbe detto di essere se stessa, cara, e non perdere stupidamente il proprio tempo dietro alle convenzioni.
E allora Emily che è Belle, e Belle che non è più se stessa, continuano ad avanzare insieme attraverso i boschi immersi nel buio, il volto dipinto coi simboli che hanno appreso dagli stregoni durante il loro vagabondare, al collo la collana di denti affilati che un Re ha donato loro come premio per averlo aiutato a uccidere il drago.
- Non hai paura?
- Certo che ce l'ho.
- E allora perché lo fai?
- Perchè è il mio dovere.
- Non è il tuo dovere, è una follia, e lo sai bene.
- Ma dai, lo faresti anche tu, Emily. Dopotutto, ragazza, sei me...
Lui non vorrebbe vederla piangere in quel modo. La guarderebbe con quell'aria di fastidio misto a dispiacere, incerto se abbracciarla o prenderla in giro, e magari alla fine farebbe entrambe le cose. Eppure l'ha scacciata, e lei non può fare a meno di disperarsi, perchè le principesse delle storie si sposano col Principe Azzurro e lei invece si è innamorata del Mago cattivo.
Il suono lugubre dei tamburi di guerra risuona nella gabbia toracica di Belle a ritmo col battito del suo cuore. Ed Emily si sveglia, intrisa di sudore, disperata mentre il sogno lentamente scivola via dalla sua memoria. Non vuole dimenticare, non deve dimenticare, non adesso che era così vicina alla verità!
Si alza come una sonnambula (in seguito non ricorderà niente di quello che è successo), trova una penna ed un foglio spiegazzato ed inizia a disegnare. Disegna un castello immerso nell'oscurità di un cielo antico come l'Universo intero, con le stelle che osservano dall'alto come tanti occhi malvagi.
Poi entra nel piccolo bagno e si siede nella vasca, completamente vestita. L'acqua calda inizia a scorrere su di lei, inzuppando la maglietta bianca e i pantaloni della tuta che le fanno da pigiama. Quando la lama del rasoio affonda nel suo polso, si rende conto di aver inciso troppo in profondità.
Il sangue inizia a gocciolare implacabile lungo il suo braccio e sparisce nelo scarico, e insieme al sangue se ne va anche la paura. Fuori dalla finestra, il vento soffia incessantemente scuotendo le chiome degli alberi ed ululando come un branco di lupi, ma presto tutto questo sarà finito.
Per far sì che il dolore passi il più in fretta possibile, Emily affonda la lama nella carne una seconda volta, e si sforza di non pensare.

A/N: la parte in cui Belle marcia verso il campo di battaglia si colloca nei (due?) anni che vanno dal momento in cui viene cacciata dal castello di Rumpelstilstkin a quando la Regina lancia la maledizione. Avrò modo di spiegare in seguito, promesso. O magari in un'altra storia. >_O
Scusate per il momento emo. Non è che sia proprio nel mio stile descrivere personaggi che si tagliano, ma spero che leggendo il finale del capitolo, e compreso a cosa questo gesto voleva condurre, mi abbiate perdonato.

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Capitolo 6
*** six. ***


- Come sta?

Una voce concitata. Belle conosce quella voce. Una sagoma si china sul suo letto, capelli non troppo corti, lisci, un completo elegante. Non riesce a vederla con chiarezza, ha gli occhi appannati e la mente confusa, ma sa di averla già incontrata prima ed istintivamente le riempie il cuore di tranquillità.

Anche Emily ha riconosciuto l'accento familiare. Ricorda un arcolaio, e una stanza enorme con spessi tendaggi alle pareti. E sa che sono ricordi di Belle, ricordi che lei ha rubato, ma non le importa perché in tutta quella confusione Belle deve averli presi per suoi.

- Sta meglio. Ma penso che dovrebbe essere seguita giornalmente da uno psicologo, d'ora in poi. Chiederò al Dr. Hopper se può fare qualcosa.

Emily sbatte le palpebre, e si strofina gli occhi con una mano. Resta impigliata in una flebo (oh, no, un altro ago, non di nuovo!) e percepisce un movimento improvviso accanto a sé. Qualcuno la libera dal tubicino che si è avvolto attorno al suo braccio, con delicatezza, come se avesse paura di romperla toccandola con troppa forza.

Ma Emily non è affatto fragile, non è un soprammobile di porcellana. E' una ragazza che ha visto la morte in faccia, è stata più un'eroina che una principessa. E' un essere umano, ma anche una creatura antica di millenni, come tutti quanti in quella maledetta cittadina, solo che nessuno se ne rende conto e nemmeno lei riesce, quando è completamente cosciente, a ricordarselo bene.


- Vi lascio soli.


Il dottore si allontana, soppesando la cartella clinica di quella strana ragazza. Emily spalanca gli occhi e tenta di mettersi a sedere. Le stesse mani gentili che l'hanno aiutata un attimo prima la sorreggono, adagiandola contro il cuscino; Mr. Gold la scruta con un misto di apprensione e sollievo, mentre lei riprende lentamente coscienza di sé.


Non riesce a credere di essere andato così vicino a perderla di nuovo. Chi poteva immaginare che quella ragazza avrebbe compiuto un atto così sconsiderato? Purtroppo, la risposta la conosce già: lui avrebbe dovuto prevederlo, se lo sarebbe dovuto immaginare. Prendi una persona che ha dimenticato qualsiasi dettaglio del proprio passato, la abbandoni da sola nel mondo con un buona fortuna ed una pacca sulle spalle, e ti aspetti che lei non si faccia delle domande, non ne soffra in alcun modo.
 

E' da sciocchi, sciocchi ed irresponsabili. Se veramente il bene per lei è non conoscere il proprio passato, forse spetta a lui fare in modo che Emily abbia qualcosa di nuovo e di felice da ricordare. Del resto, anche se in tutti quegli anni solitari si è sempre rifiutato di ammetterlo, è lui la causa di tutte le sofferenze di quella ragazza, e non chiede niente di meglio che un'occasione per redimersi dal male che le ha fatto.


Ad avvalorare la sua tesi, Emily gli sorride come se fosse genuinamente contenta di vederlo. Non sono gli occhi di una persona che ha tentato il suicidio la notte prima. Tiene le mani in grembo (le punte delle dita sono ancora un po bluastre) e, col capo leggermente reclinato da una parte, lo osserva come se fosse la prima cosa bella che vede da giorni. 
Poi fa una risata, la risata più strana e sincera e cristallina che lui abbia mai sentito.


- Buongiorno Mr. Gold. Allora, com'era il muffin?


Lui non può che lasciarsi sfuggire un sorriso, ma una strana tristezza gli serra lo stomaco.
 

- Il migliore che io abbia mai mangiato, signorina French.



I giorni trascorrono pigri e lenti mentre la primavera si trasforma lentamente in estate. Le ore di luce aumentano notevolmente, e quando Mr. Gold chiude il negozio per andare a trovare Emily in ospedale il sole è ancora ben visibile all'orizzonte. Le nuvole sono tinte di rosso, rosso come il fuoco degli accampamenti nemici, rosso come le lame delle spade al termine di una lunga battaglia.


L'uomo cammina da solo attraverso le strade di Storybrooke, sentendo la vita pulsare attraverso i muri delle case. Si domanda come faccia, tutta quella gente, ad accontentarsi di una vita a metà, divisa fra gli impegni quotidiani e le ombre del passato che di notte (appena al di là della normale percezione) tormentano i loro sonni agitati.


Poi entra nell'ospedale, saluta l'infermiera all'ingresso con un cenno del capo, attraversa il triste corridoio tinto di quell'odioso verde acqua spento. Anche in futuro, quando non sarà più Mr. Gold, continuerà per sempre ad odiare quel colore; è il colore del dispiacere, della solitudine, della malattia.


Emily lo aspetta seduta sul letto, e ogni giorno che passa sembra acquistare un po' di colorito. Ha ricominciato a mangiare da sola, e a sorridere, e le ferite profonde sui suoi polsi sono solo delle lineette rosa leggermente in rilievo. Mr. Gold evita il più possibile di guardarle, perché sa che a lei non piace, ma ogni tanto il suo sguardo vi si posa e si sente incredibilmente in colpa per aver lasciato accadere una cosa del genere (di nuovo? ha il sospetto che non sia la prima volta, ma non lo dice mai).


- Grazie per essere venuto, - gli dice Emily, come ogni giorno.


Non sa perché quella ragazza continua a salutarlo in quel modo. Lui è ben felice di vederla, sarebbe lui a doverla ringraziare. Trascorre ogni singola giornata in trepidante attesa di poter varcare la soglia di quella stanza deprimente e passare un po' di tempo con lei. Anche se non parlano molto, e talvolta sente un immotivato peso all'altezza dello stomaco, Mr. Gold non può fare a meno di quelle piccole visite serali.


- Cosa sta leggendo? - le domanda quel giorno, scorgendo il libro che lei si è affrettata a chiudere appena lo ha visto entrare.


Emily sorride, e gli mostra la copertina.
 

- Orgoglio e Pregiudizio. Mi spiace di essere così banale nelle mie scelte, ma vede, mi sono resa conto improvvisamente di non ricordare affatto la trama.


Mr. Gold non può fare a meno di sollevare un angolo della bocca in un mezzo sorriso, un po' amaro e un po' divertito. Quella ragazza scherza con i clienti della tavola calda alle dieci di mattina, tenta il suicidio alle undici di sera e meno di una settimana dopo è lì, di nuovo gioiosa e con le guance rosse, a fare battute sul proprio tragico passato.
Vorrebbe dirle di non fingere di essere felice, vorrebbe chiederle di raccontarle tutto, ma teme di offenderla o di prendersi troppa confidenza. Del resto lei è ancora la sua Belle, ma lui è un semplice ed anonimo Mr. Gold qualunque.


- Un libro meraviglioso, anche se non è esattamente il mio genere, - commenta invece, facendo un cenno di approvazione col capo. - Ammiro la prontezza di Elizabeth, ma temo di non comprendere a fondo perché accetti la mano di un personaggio umorale e orgoglioso come Mr. Darcy.


Emily sorride di nuovo. Non si stupisce che Mr. Gold abbia letto la Austen, perché sembra il genere di persona che conosce un po' di tutto e con cui può parlare quasi di qualunque cosa.


- Ci sono giorni in cui non lo capisco nemmeno io, e giorni in cui saprei spiegarle esattamente il motivo.


Restano un po' a fissarsi in silenzio, e un mezzo sorriso furbetto spunta sulle labbra di lei. Per un attimo, a Mr. Gold sembra di essere tornato nel castello oscuro, fra le pile di vecchi oggetti impolverati e gli scaffali traboccanti di incantesimi che lui stesso ha creato.



- Che cos'è? - domanda Belle curiosa, indicando una fiala che emana una debole luce rosata.


Rumpelstilstkin appoggia sul tavolo il tomo che stava consultando, e si avvicina a lei.


- Preferirei che non toccassi le pozioni, cara, - le dice, dandole un colpetto per metà scherzoso e per metà ammonitore sulla mano, - ho visto come tratti le porcellane del castello, e non voglio che il mio prezioso lavoro faccia la stesa fine.


Ridono entrambi, e gli occhi di lui brillano di malizia mentre Belle scuote la testa, incredula e divertita al tempo stesso. E' questo l'uomo che tutti ritengono una Bestia, lo stesso che ha interrotto la Guerra semplicemente camminando fra le due fazioni nemiche ed ha macchiato le proprie mani col sangue di decine e decine di innocenti?


L'uomo che ha davanti, quello che conosce lei, si diverte ad incantare le armature perché le tendano agguati da dietro le porte, ha scagliato una maledizione sull'orologio a pendolo dell'ingresso in modo che canti una canzoncina volgare da balera allo scoccare di ogni ora, se ne va senza dire una parola e poi ricompare dopo giorni di misteriosa assenza portando sotto braccio un gatto spelacchiato.


- Non potevo lasciarlo solo, dopo che il suo padrone ha onorato il suo debito, - sogghigna, e Belle sa che dovrebbe aver paura, ma lui è così buffo con quel gatto in braccio e gli stivali infangati...



- Signorina French, è l'ora delle medicine! 


L'infermiera entra nella stanza, l'espressione allegra che hanno tutte le infermiere in quella stramaledetta cittadina. Mr. Gold si alza in piedi, entrambi le mani appoggiate sul bastone, e fa un cenno col capo.


- La lascio alle sue incombenze, allora. Buona notte, Emily.


Lei lo saluta a sua volta, ma è già immersa nei propri pensieri. Per un attimo (un attimo solo) le è sembrato di scorgere nello sguardo di Mr. Gold un frammento di qualcosa di antico, qualcosa che (è imperdonabile, da parte sua, non riuscirci) avrebbe dovuto certamente ricordare.


A/N: naturalmente il flashback di Rumpel è un momento che ho inventato, cercando di immaginare azioni nel suo stile. Il gatto lo voglio riutilizzare anche più avanti.

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Capitolo 7
*** seven. ***


Henry cammina al fianco di Emma, lo zaino troppo pesante sulle spalle minute. Si ostina a portarsi dietro quel maledettissimo libro ovunque vada, nonostante sia praticamente distrutto e grande quasi quanto lui. Le ricorda un po' se stessa da piccola, quando non voleva assolutamente separarsi dalla sua coperta bianca col proprio nome ricamato in viola chiaro.

Vorrebbe che suo figlio la smettesse di parlare della maledizione e del Regno delle Favole, vorrebbe che fosse un bambino normale ed avesse una vita normale (una famiglia normale, non una madre pazza ed arrivista come Regina) ma, non potendogli dare niente di tutto questo, si accontenta di andare a prenderlo all'uscita da scuola qualche volta e comprargli un gelato.

- Sceriffo Swan, posso parlarle un attimo? 
Granny emerge dal suo locale, brandendo un vassoio pieno di tazze vuote. E' chiaro, dalla sua espressione preoccupata, che deve dirle qualcosa di veramente importante (e presumibilmente privato), quindi si fruga in tasca ed estrae qualche moneta.

- Perché non vai a comprarti un pacchetto di patatine, Henry?

Il bambino le lancia una lunga occhiata indagatrice, ma alla fine decide che è meglio lasciarla stare. Muore dalla voglia di sapere che cosa è successo, ma lo verrà a scoprire in ogni caso. Come ha saputo la verità riguardo all'incidente di Emily, di cui nessuno voleva parlargli, tentando di ingannarlo con la storia che si era fatta male rompendo accidentalmente uno specchio. Ceeerto.

Osservando Henry che si allontana, Granny sospira.

- Si tratta di Emily. Temo che non possa più restare qui da noi. Voglio dire, è una ragazza carinissima, ma non possiamo prenderci una simile responsabilità. Sia io che Ruby siamo sempre indaffarate, ed è solo un caso che a mia nipote sia venuto in mente di restituirle il libro che lei le aveva prestato proprio la sera in cui a fatto quello che ha fatto.

Emma annuisce, seria. Si era spettata una cosa del genere, visto e considerato che (per quanto buone e disponibili possano essere) Granny e Ruby sono per Emily due perfette estranee. Non si può chiedere a qualcuno di prendersi cura di una ragazza apparsa dal nulla, che tenta il suicidio e non può essere lasciata da sola.

- Vedrò che cosa posso fare , Granny, - risponde lo Sceriffo, - Domani Emily verrà dimessa, e io cercherò di trovarle una sistemazione più... hem... adeguata, per allora.

La vecchietta annuisce soddisfatta, e torna verso il locale a dare la notizia alla nipote. Ruby non è ancora stata messa al corrente della decisione, è troppo buona quella ragazza, rischierebbe di mettersi nei guai se non ci fosse sua nonna ad usare un po' di buon senso. E il dover giustificare un cadavere nella stanza da bagno della propria casa, vedere un cadavere nella vasca da bagno della propria casa, in primo luogo, non è qualcosa che la giovane sopporterebbe tanto facilmente.

Emma fa per allontanarsi alla ricerca di Henry, quando praticamente va a sbattere contro una cravatta rossa perfettamente annodata sotto ad un'impeccabile giacca nera.

- Ho sentito per caso il vostro discorso. Mi spiace che sia stata proprio quella povera ragazza a trovare la signorina French. E' un po' schizzinosa per queste cose, mi dicono, e doveva esserci molto sangue in giro.

Cerca di suonare affabile, ma Emma nota che è pallido e teso, un leggero alone blu sotto gli occhi come se quella notte non avesse dormito.

- E' bene che le dispiaccia. E' lei il garante di Emily, e il suo contatto nel caso in cui succedano cose come questa. Avrebbe potuto fare qualcosa per prendersi effettivamente cura di lei, invece di sparire appena risolte le questioni burocratiche.

Per la prima volta da che lo Sceriffo ha memoria, Mr. Gold sembra veramente dispiaciuto. Abbassa gli occhi, fissando con apparente interesse le proprie mani strette attorno al bastone.

- Me ne rendo conto, - dice, e la sua voce è un sussurro appena udibile, - spero di essere ancora in tempo per rimediare.

Emma gli lancia un'occhiata stupefatta, dubitando di aver sentito bene. Mr. Gold si sta scusando e, cosa ancor più sorprendente, Mr. Gold ha davvero intenzione di dare una mano.

- E come avrebbe intenzione di aiutare? - domanda, scettica, incrociando le braccia in un'inequivocabile accento di sfida, - Il Dr. Hopper si è raccomandato che Emily sia tenuta costantemente sott'occhio, per evitare che faccia qualche altra sciocchezza, almeno finché il ciclo di sedute non sarà completo e lei non sarà completamente guarita. Significa che non potrà lavorare, o guadagnarsi da vivere, o pagare chiunque decida di prendersi questa responsabilità.

Mr. Gold alza gli occhi, e quando parla il suo tono ha riacquistato la sicurezza abituale.

- Questo lo so benissimo, Sceriffo Swan; mi dica qualcosa che non so.
Sogghigna. Emma non è altrettanto allegra, non ci trova proprio niente da ridere.

- Se le succederà qualcosa, qualunque cosa, verrò personalmente da lei e gliela farò pagare.

Drammatica, la ragazza. L'antiquario ridacchia la sua stridula risata, accenna un inchino e si allontana, un po' zoppicante, lungo la strada. Henry riappare poco dopo saltellando, pescando di tanto in tanto una manciata di patatine fritte da un sacchetto.

- Ho visto Mr. Gold che si avvicinava, quindi ho pensato di aspettare ancora un po'. Cosa vi siete detti?

I suoi occhi brillano di curiosità, ed Emma decide che non vale neppure la pena di provare a mentire. Così racconta tutto al bambino, che diventa sempre più eccitato a mano a mano che lei continua a parlare.

- Quindi, - esclama alla fine, pulendosi le mani sporche sui pantaloni costosi che la madre adottiva si ostina a fargli mettere, - Emily andrà ad abitare da Mr. Gold? Sul serio?

Emma si stringe nelle spalle.
- A meno che non troviamo una qualche alternativa, direi di si.

- Oh, ma non la dovete assolutamente trovare! - Henry alza la voce, gli occhi spalancanti in un'espressione di entusiastica sorpresa. - In questo modo Emily si ricorderà di essere Belle, e forse Mr. Gold diventerà buono e ci aiuterà a sconfiggere la Strega Cattiva!

Lo Sceriffo solleva entrambe le sopracciglia vistosamente. 
- Henry, - sospira paziente, per l'ennesima volta, - ci sono problemi più urgenti al momento. Per prima cosa, Mr. Gold è malvisto da praticamente tutta Storybrooke, ed Emily al momento non ha decisamente bisogno di un altro motivo per essere guardata in cagnesco. E poi, forse non dovrei fare questi discorsi a un bambino, ma se una ragazza così giovane va ad abitare da un uomo del genere, poi si spargono delle voci strane come è successo con Mary Margaret e David.

Henry si ferma di botto, mentre una vasta gamma di espressioni passa in rapida successione sul suo volto da topolino.
- Beh, ma è quello che succede nella storia. Non ci vedo niente di male, del resto loro si amano, solo che non lo sanno ancora.

Emma gli tira uno scappellotto scherzoso, invitandolo a rimettersi in cammino verso casa.

- Andiamo, piccola peste. Tanto alla fine l'avrai vinta tu, come al solito.

A/N: Innanzitutto grazie infinite dei commenti, davvero, ho risposto privatamente a tutti ma volevo ricordarvi anche qui. Grazie anche a chi ha messo la storia fra i preferiti o i seguiti, fa davvero molto piacere ricevere dei feedback, soprattutto se positivi! ;D Secondariamente, come avrete notato se siete assidui "guardatori" (?) della serie, in OUAT le cose si stanno spiegando più o meno tutte da sole. Essendo inevitabile che prima o poi la mia versione delle cose venga smutandata in pubblico in modo imbarazzante, vi invito a questo punto a leggerla come un AU (metterò il tag a tempo debito) e cercare di godervela quanto possibile nonostante tutto. Buona serata e grazie ancora!

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Capitolo 8
*** eight. ***


Il mattino successivo, di buon'ora, Mr. Gold raggiunge l'ospedale di Storybrooke e si siede su una delle tetre sedie di plastica arancione nell'atrio, entrambe le mani poggiate sull'impugnatura argentea del suo bastone. Aspetta, in silenzio, senza domandare niente a nessuno; poco dopo anche Emma e Ruby varcano la soglia, mormorando uno svogliato saluto nella sua direzione.
La ragazza-lupo si siede accanto a lui, lasciandosi cadere sulla sedia. La sua espressione è afflitta, e Gold ne conosce il motivo: Ruby si sta tormentando al pensiero di dover spiegare ad Emily perché non può più abitare da Granny's, e lui non la può certo biasimare. Dover affrontare quegli occhi azzurri pieni di domande, e sensi di colpa, e dispiacere è qualcosa che, personalmente, non vuole essere più costretto a fare.
Emma si allontana, invece, verso il bancone al centro della sala. Si sofferma a confabulare con l'infermiera seduta dietro alla scrivania, che gesticola vagamente in direzione del corridoio e poi le dice di aspettare. Alza il telefono, e inizia a parlare concitatamente mentre Emma se ne torna a sedere in silenzio accanto agli altri due.
Dovrebbe essere un giorno felice, oggi, invece l'atmosfera è talmente tesa da rendere tutti cupi ed imbarazzati per riflesso. Ruby si sente in colpa ed è vagamente in collera con sua nonna per la decisione presa, Lo Sceriffo odia Mr. Gold e non sopporta l'idea di mandare Emily ad abitare con un personaggio simile, ma non ha trovato nessuna alternativa valida e quindi è costretta a lasciarglielo fare; Mr. Gold, dal canto suo, cerca di non lasciar trapelare il nervosismo ogni volta che pensa al momento in cui sarà costretto a spiegare alla ragazza che deve trasferirsi da lui.
E se lei si rifiutasse? Del resto, potrebbe decidere di non fidarsi e accettare di tornare da suo padre, anche se non ricorda niente del suo passato, anche se le hanno detto più volte che il suo unico genitore non ha fatto nulla per impedire che la rinchiudessero e non è mai andato a trovarla nemmeno una volta, in tutti questi anni.
Eppure Emily sembra provare simpatia per Mr. Gold, cosa che certamente non accade nei confronti di Mr. French, e probabilmente i brandelli di ricordi che conserva giocano a favore dell'antiquario. La ragazza lo considera una figura amica, o perlomeno era suo amico qualcuno che ha incontrato tanto tempo fa, di cui non ricorda il nome e l'aspetto, ma che rivede nei suoi gesti e nella sua risata.
Quando finalmente esce dall'ospedale, seguendo docilmente l'infermiera, accetta senza lamentarsi la decisione che è stata presa per lei e sorride affettuosamente a tutti senza dare segno di provare imbarazzo o rancore. Emily è una ragazza forte, dopotutto, e decisa, e non permetterebbe mai a qualcuno di scegliere al posto suo se non sapesse che è la cosa migliore per lei.
- Non preoccuparti, Ruby, e ringrazia Granny per tutto quello che ha fatto finora. Vi capisco benissimo, anche io avrei agito allo stesso modo, - dice alla rossa passandole accanto, e a Mr. Gold sfugge un amaro sogghigno perché sa benissimo che non è così.
La Belle che conosce, che sogna di diventare un eroina e di vedere il mondo, si sarebbe lasciata morire per onorare un impegno preso. E' quello che stava tentando di fare, tanto tempo fa, se solo lui non l'avesse convinta che non ne valeva la pena... se solo non l'avesse costretta ad andarsene, ma questa è un'altra storia.
Emily cammina al suo fianco, immersa nei propri pensieri, mentre lui la conduce verso casa propria, che adesso è anche quella di lei. Non sa cosa dire, Mr. Gold, perché non è certo di che cosa sia esattamente la ragazza che le sta accanto. I suoi capelli, molto più lunghi di come li ricordava, ondeggiano leggermente nella brezza mattutina; i jeans le stanno troppo grandi, e la maglietta (nera, con una rosa rossa stampata sul davanti) la fa sembrare ancora più pallida di quanto non sia.
Eppure, gli occhi sono ancora gli stessi, color acquamarina; e la sua intera persona (così piccola, così minuta, così diversa da come la ricordava) emana un'aura magica che la fa sembrare immensa, un potere che inghiotte tutto il paesaggio circostante così che sembra esistere soltanto lei, una ragazza magrolina che canticchia una canzone mentre si avvia tranquillamente verso casa.
Mr. Gold si ferma davanti ad un enorme edificio vittoriano a tre piani. Tre piani e un'enorme quantità di scale, per niente il luogo adatto ad una persona con un bastone, ma infondo è sempre stato il genere di persona a cui piace farsi del male. L'uomo fa ad Emily un cenno con la mano, fingendo un inchino ed invitandola ad entrare. Lei gli sorride, accenna una riverenza e si fa avanti lungo il vialetto che attraversa il giardino ben curato.
L'ingresso è immerso in una penombra vellutata, che ammorbidisce i contorni delle cose. La poca luce che filtra attraverso la vetrata a mosaico della porta si frammenta in una miriade di verdi, gialli e rossi che sembrano animare gli oggetti dando la sensazione di essere entrati in un gigantesco caleidoscopio.
Emily si guarda attorno, rapita, e potrebbe giurare di aver visto un vecchio candelabro dorato agitare un braccio in segno di saluto. L'intero luogo odora di antiquariato, legno e libri nuovi. Le piace.
- Benvenuta nella mia umile dimora. - Mr Gold le sorride ancora con quel suo sorriso sbieco, e fa un gesto con la mano. - Purtroppo non ho ospiti da molto tempo, quindi mi perdoni se qualche volta dimentico le buone maniere.
La ragazza sorride, scuote la testa, e lo segue in silenzio su per due piani di strette scale scricchiolanti e lungo un corridoio beige e giallo ed accogliente (per quanto possa esserlo un corridoio, almeno). Mr. Gold apre una porta scura, la seconda a destra, e fa cenno ad Emily di entrare. Davanti a lei si apre una stanza dall'aria piuttosto antiquata ma gradevole, con un letto dalla spalliera metallica decorata con un fitto intrico di rose.
Sulla parete opposta rispetto alla porta, una finestra a ghigliottina con la cornice dipinta di bianco. Alle pareti, la carta da parati è di un tetro color verde smeraldo scuro, decorata in un motivo floreale-geometrico, ma l'ambiente è ravvivato da un copriletto color crema e spessi tendaggi dello stesso colore. Sul pavimento, una folta moquette beige, la stessa che c'è anche in salotto al piano terra. Emily si fa avanti, si guarda attorno, ammira i vecchi mobili di legno lucido e nodoso, e si sente a casa.
- Grazie di tutto quello che sta facendo per me, Mr. Gold, - dice semplicemente, un'espressione di sincera gratitudine dipinta sul volto magro.
Lui abbassa lo sguardo, incerto su cosa rispondere. Percepisce un improvviso calore pervadere il suo stomaco, un calore buono che lo fa sentire finalmente in pace, e stranamente (invece di sentirsi orgoglioso delle proprie azioni, e fiero), ha la sensazione di non aver fatto abbastanza, di essere in debito di qualcosa.
E' quello sguardo, quello sguardo affettuoso e pieno di una riconoscenza che già in passato lui non ha saputo accettare. Due occhi azzurrissimi che lo fissano con l'espressione di chi non ha mai conosciuto una persona più buona, ma che (lui lo sa bene), possono trasformarsi in occhi tristi, pieni di risentimento e delusione, un attimo prima che quella sagoma a lui così cara, così pura, così bella nel suo abito semplice color acquamarina, varchi la soglia di un gelido castello verso il mondo là fuori.
Oggi, invece, quell'occhiata gentile è rivolta a lui soltanto, ed una ragazza piccola e fragile di nome Emily si muove come danzando sulla moquette della stanza adiacente alla sua. Mr. Gold alza finalmente lo sguardo, sorride (e non è il solito sorriso sghembo, ma uno più largo, più sincero, che raramente lascia scorgere a qualcuno) e parla con voce bassa, incerto su cosa dire.
- Dovere, - risponde semplicemente, e voltatosi si allontana lungo il corridoio.
Quella sera consumano una cena silenziosa. Mr. Gold si sente improvvisamente imbarazzato dalla presenza di lei, che sembra riempire tutta la piccola cucina al pian terreno. Emily appare invece tranquilla, e si guarda attorno con la sua solita espressione furba e un po' dimessa mentre tenta di finire la sua porzione di spaghetti, troppo grande per un fisico abituato più alle medicine che al cibo.
Non sembra rendersi conto di quello che sta accadendo, e soprattutto non sembra affatto ricordare. Mr. Gold si domanda se per caso non sia a causa del suo volto, così diverso da quello che lei conosceva; così umano... forse meno attraente, ora che è privo del potere e della magia che un tempo lo permeavano?
Magari, adesso che è un comune mortale privo di ogni attrattiva e del suo fascino misterioso, un semplice uomo, magro e con una gamba malata, se per caso Emily ricordasse qualcosa proverebbe soltanto pena per lui. Oppure, trovato finalmente il responsabile della sua prigionia e delle sofferenze a cui è stata sottoposta in tutti questi anni, si limiterebbe a odiarlo ed esserne disgustata. Forse è meglio che non ricordi affatto; in questo modo, Mr. Gold può fingere di non saper nulla nemmeno lui, ricominciare da capo, dimenticare quel bacio e tutto ciò che esso ha significato per entrambi. Possono essere amici, e lei sarà felice, con la sua nuova vita e dei sogni buoni stavolta, non impossibili e sciocchi come quelli di Belle.
Terminata la cena, Emily si alza in piedi per aiutarlo a sparecchiare, ma è troppo stanca, e debole, e sembra sul punto di perdere l'equilibrio ad ogni passo. Mr. Gold vede in lei la ragazza coraggiosa, forte e sana che conosceva, abituata a dare il massimo di sé, che non riesce ad adattarsi a quel corpo mingherlino e così fragile. Ma non se ne lamenta e, stoicamente, tenta di spingersi oltre i propri limiti anche a costo di farsi del male.
- Lasci stare, cara, ci penso io, - mormora, mettendole delicatamente una mano sulla spalla.
Lei si volta, l'espressione sperduta e atterrita, e Mr. Gold per un attimo teme di averla offesa. Ma Emily sorride, annuisce e appoggia i piatti nell'acquaio.
- La ringrazio, - risponde, sincera.
La sua piccola, coraggiosa ragazza. A quanto pare, nel corso di questi anni, ha imparato a riconoscere i propri limiti; non può essere che un bene, per lei. Belle avrebbe insistito fino allo stremo, col sorriso sulle labbra ma l'ostinazione di un mulo, avrebbe continuato per la propria strada e non si sarebbe voltata a vedere cosa stava dimenticando, salvo rimpiangerlo in seguito ma essere troppo orgogliosa per ritrattare.
- La accompagno alla sua stanza, - si offre Mr. Gold, porgendole il braccio come un perfetto gentiluomo d'altri tempi.
- Grazie, - mormora lei una volta raggiunta la porta, un angolo della bocca leggermente sollevato in una specie di sorriso scherzoso.
Non è abituata a tutta quella premura. Non è abituata a nulla, a parte quattro gelide mura di mattoni e un letto umido su cui raggomitolarsi nelle notti piovose. Il suo sguardo è talmente sincero, talmente puro che per un attimo esiste soltanto lei, un fantasma presente e futuro che lo ha seguito per tutti questi anni e continuerà a dargli la caccia finché non troverà pace.
Emily lo scruta, incerta, dal sotto in su. Si piega leggermente in avanti, le labbra rosee che chiedono solo di essere baciate. E in quel momento, nella tranquillità della propria casa, circondato dalla quiete immutabile di un mondo morto, privo di magia, a Mr. Gold sembra quasi una buona idea. Si china su di lei, appoggiando la mano allo stipite della porta per sorreggersi, rimanendo a fissarla negli occhi, il volto a pochi centimetri dal suo.
Emily sorride timidamente, è così vicina, così reale, e lui in un attimo potrebbe riscrivere la storia, fingere che nulla sia successo, approfittare di quella provvidenziale amnesia che l'ha resa un'altra persona, una Belle che non possa odiarlo né provare disprezzo per lui.
- Emily... - dice a bassa voce, quasi parlando fra sé.
E' sufficiente quella parola. La ragazza che ha di fronte non è Belle, almeno non ancora, e non merita di soffrire (di nuovo) per mano sua. Ha il diritto di farsi una vita nuova, è un foglio bianco, al contrario di chiunque altro in Storybrooke possiede alcun ricordo né legame con nessuna delle sue vite passate.
Può ancora essere libera. Mr. Gold fruga nella tasca della giacca, ed estrae un contenitore semitrasparente dal familiare color arancio. Lo porge ad Emily, che lo accetta, confusa, rigirandoselo fra le mani troppo pallide.
- Antidepressivi, - le dice, con un ghigno furbo, allontanandosi di qualche passo da lei - niente tentativi di suicidio, in casa mia.
La ragazza lo guarda perplessa, e di nuovo Mr. Gold teme di averla offesa. Di nuovo, lei sorride: è inutile, non la capirà mai, ma forse (di nuovo) è meglio così. Emily non è Belle, ed il suo corpo non sarà forte come il suo, ma il suo spirito è lo stesso e la magia che scorreva un tempo in quella ragazza è pronta a ridestarsi in un battito di ciglia.
- Non si preoccupi, non ho più intenzione di uccidermi, ora, - risponde allegra, e in men che non si dica, con una risata ed un cenno della mano, è già sparita in camera sua.

A/N: Capitolo pieno di citazioni da La Bella e la Bestia, che ho rivisto di recente. Una è facile e la lascio trovare a voi. L'altra è il «dovere», che è la stessa cosa che la Bestia dice a Belle quando lei lo ringrazia di averla salvata dai lupi. Per il resto, boh, ci sono talmente tanti riferimenti a cose che mi piacciono che mi perderei ad elencarli tutti, quindi ve lo risparmio. Buona notte e grazie per la lettura! RECENSITE! ❤

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Capitolo 9
*** nine. ***


Il mattino successivo, Emily si sveglia di buon'ora. Non è mai stata una gran dormigliona, soprattutto perché il suo letto nel reparto psichiatrico dell'ospedale era decisamente scomodo, ma anche adesso che potrebbe permettersi di riposare non riesce a farlo per più di sei ore alla volta. Per questo motivo si sente sempre stanca, stordita, come se vivesse la vita attraverso gli occhi di qualcun altro. Come se fosse intrappolata nel proprio corpo... ma naturalmente questo non è possibile, vero?
Cercando di non far rumore, scende la rampa di scale che la conduce al piano terra di quella insolita abitazione. Tutto è ordinato e silenzioso come in un museo, antico ed eterno e senza tempo. Sono appena le sei di mattina, e nessuno è ancora per strada; nemmeno gli alberi del giardino sembrano muoversi, ed il cielo terso promette un'altra giornata di caldo asfissiante.
Emily si guarda attorno con reverenza, sfiora appena un soprammobile di fattura indiana che sembra fissarla con occhi spiritati e, agile e leggera come uno scoiattolo, scivola fuori dalla porta principale. I raggi del sole nascente solleticano la pelle chiara delle sue braccia, e l'erba fresca di rugiada fruscia dolcemente sotto i piedi nudi. Ed allora Emily si siede fra gli steli nuovi, respirando l'odore umido e fresco della terra, cercando di ricordare quando (tanto tempo fa) ha provato una simile sensazione.
Non può essere stato nella triste camera-prigione dell'ospedale. Non può essere stato (come effettivamente le sembra) in un bosco illuminato a chiazze dai raggi del sole che filtravano fra gli alberi altissimi, le chiome immobili, i tronchi secolari. Un bosco intriso di magia come non ne esistono su questa Terra, percorso dai draghi sinuosi e dagli orchi sgraziati, dalle bellissime dame e dai coraggiosi cavalieri.
Probabilmente, decide infine, tutti quei ricordi derivano dai sogni folli che le capita di fare, e devono essere causati da tutte le strane medicine che si ostinano a somministrarle. Del resto, a quanto ha capito, suo padre fa il fioraio, e lei deve aver vissuto con lui per un breve periodo della sua vita: niente di strano, dunque, se l'odore dell'erba bagnata crea in lei un senso di nostalgia e di dolore.
Emily se ne resta seduta per un periodo indefinibile di tempo, talmente immersa nei propri pensieri da dimenticare persino dove si trova. I primi rumori della città che si sveglia la riportano alla realtà, la piccola strada trafficata di Storybrooke, la villa in stile vittoriano, l'uomo ancora addormentato a cui ha promesso di aver cura d sé.
Saluta con un cenno del capo il panettiere che si avvia verso il proprio negozio, sbirciandola dal sotto in su e forse chiedendosi perché se ne sta seduta in mezzo alle primule coi pantaloni appena messi tutti sporchi di terra. Non ci vuole niente, in quella cittadina, perché una voce si sparga; e, dal momento che tutti sono certi della sua follia, Emily dovrebbe evitare di fare cose all'apparenza insensate. Per questo motivo si alza, spolvera i jeans ormai macchiati e torna in casa, sospirando, giurando a se stessa di cercare di essere più prevedibile, d'ora in poi.
Mr. Gold si alza ogni mattina alle sette e un quarto precise, si veste con uno dei suoi soliti completi eleganti (pantaloni, camicia, giacca e cravatta, con qualsiasi stagione) e alle sette e quarantacinque scende in cucina dove si prepara distrattamente un caffè. Poi esce, alle otto in punto, e cammina da solo fino al suo negozio di antiquariato, dove aspetta (senza sperarci troppo) che qualcosa di insolito giunga a movimentare la vita monotona di quella stanca cittadina.
Quella mattina, Mr. Gold sente che c'è qualcosa di diverso nell'aria. Lo percepisce alzandosi, quando vede il cielo privo di nuvole distendersi infinito verso l'orizzonte; mentre si veste, avvicinandosi allo specchio scorge nei suoi occhi uno strano bagliore: è un po' più vicino al vecchio se stesso, questa mattina, e anche se tenta di non pensarci e fa finta di non capire sa benissimo che tutto questo è dovuto soltanto a lei.
La casa intera è invasa dal profumo di qualcosa che sta cuocendo in forno. Mr. Gold scende le scale in silenzio, un po' curioso ed un po' preoccupato, e sempre in silenzio osserva la scena dalla porta della cucina: Emily è di spalle, i pantaloni sporchi d'erba sulle ginocchia e sul sedere, i capelli mossi che ondeggiano ad ogni suo movimento, le braccia esili che si ingegnano ad estrarre una meravigliosa crostata di more dal forno aperto.
Mr. Gold si lascia scappare un sorriso, ma non dice niente; non vuole interromperla, né rovinare quel momento magico e stranissimo in cui lei è lì, nella sua cucina, che canticchia felice come se non se ne fosse mai andata. Come se lui non l'avesse mai costretta ad andare.
- Oh! - Emily si volta, ed arrossisce trovandoselo davanti all'improvviso come una bambina colta in fallo a rubare i dolci dalla dispensa - credevo che stesse ancora dormendo! Ho fatto troppa confusione?
Lui scuote la testa, ridacchiando fra sé.
- Al contrario. Se avesse fatto confusione sarei sceso molto tempo fa, ed avrei preteso di darle una mano, cosa che certamente avrebbe rovinato la sua bellissima torta.
Ridono entrambi. E' strano essere così formali, tutto ad un tratto, di nuovo. Molto tempo prima, in un altro mondo, probabilmente lui avrebbe semplicemente lanciato un incantesimo sulla crostata perché corresse via ogni volta che qualcuno tentava di tagliarne una fetta, e Belle si sarebbe arrabbiata come una matta nel vedere la marmellata gocciolare su tutti i mobili appena spolverati.
Qui, invece, non c'è bisogno della magia per avere tutti i mobili cosparsi di marmellata. Mr. Gold osserva le dita di Emily, bruciacchiate e tagliate, e la pila di recipienti da lavare ammassata nel lavandino. Ancora, scuote la testa e sorride.
- Sono convinto che il risultato sia ottimo, ma è sicura che valga tutte quelle scottature?
Lei si stringe nelle spalle. Appoggia la crostata sul tavolo, e inizia a tagliarla con un coltello pulito; l'odore è delizioso, esattamente come quello dei dolci che Belle preparava tanto tempo fa...
- Mi sono alzata troppo presto e non sapevo cosa fare. Ma il suo sarcasmo non mi tocca, è normale che faccia qualche danno, all'inizio visto che mi sento come se fosse la prima cosa che cucino da secoli!
E probabilmente è così, almeno in questa vita. Ma Mr. Gold questo non lo dice. Si limita a sedere in silenzio, finire la sua fetta di torta e ringraziare. Oggi non sa veramente come sentirsi, diviso fra ciò che è diventato (un uomo che vorrebbe dire ad Emily di uscire, di farsi dei nuovi amici, di non affezionarsi troppo a lui) e ciò che era (un mostro che la terrebbe con sé, solo per sé, mostrando i denti a chiunque osasse avvicinarsi alla sua preziosa ragazza).
- Devo portarla da Mr. Hopper per il suo ciclo di sedute, - dice infine, cercando un appiglio nella sua vita di ora che lo costringa a prendere la giusta decisione. Emily gli lancia un'occhiata tetra e carica di delusione, che lo fa sentire colpevole come se l'avesse ingannata. - Mi dispiace, ma è per il suo bene.
Lo studio del Dottor Hopper non sembra affatto uno studio; l'arredamento ricorda più un salotto senza pretese, e non esiste un'anticamera. I pazienti si limitano ad aspettare il proprio turno davanti alla porta, in piedi, ed è lo stesso Archie a chiamarli uno dopo l'altro, perché non può permettersi una segretaria: non sono molti i pazienti in una cittadina piccola come quella, ma dopotutto a lui va bene così.
Emily si lascia accompagnare docilmente fino al portone, saluta Mr. Gold con un cenno nervoso del capo e bussa timidamente contro il legno chiaro. Quasi subito le viene aperto, e un uomo sorridente coi capelli rossi spettinati la invita ad entrare.
- Lei deve essere Emily Fisher, - sorride allegro, porgendole la mano. - Io sono il Dottor Hopper, ma preferirei che mi chiamasse Archie se non le dispiace. Si accomodi!
La giovane risponde al saluto, annuisce, siede ubbidiente sul divano malridotto. Si sente frastornata da quel fiume di parole, da tutta quella gentilezza, dal modo spontaneo del Dottore di relazionarsi ai suoi clienti: poco professionale, direbbero alcuni, uno psicologo non dovrebbe curare i propri amici, o diventare amico dei propri pazienti, non è normale.
A quanto ha capito, invece, Archie è considerato il consigliere di tutti e in alcune occasioni evita persino di farsi pagare. Non c'è da meravigliarsi se il suo studio sembra un po' troppo antiquato, un po' troppo spelacchiato, e non può nemmeno permettersi una vera e propria sala d'attesa.
- Bene, signorina French, - esordisce lui, sistemandosi gli occhiali sul naso, - come va in questi giorni?
Emily sorride. Qualcosa nello psicologo, nel suo semplice essere uno psicologo piuttosto che un panettiere, o un insegnante, o un tassista, la terrorizza, ma non vuole darlo troppo a vedere.
- Molto meglio, - mormora, sforzandosi di non distogliere lo sguardo.
Davvero, Archie è un amico, non la farà rinchiudere. Lui solleva un angolo della bocca in una specie di sorrisetto, mentre scrive chissà cosa sul foglio che tiene in grembo. La parola scrivania non deve mai essere stata nemmeno pronunciata in quella stanza, ma lui non sembra far caso alla scomodità della situazione.
- Continua a prendere le sue medicine?
Emily annuisce, seria. Sa bene dove vuole arrivare il Dottore; tanto vale agevolargli il lavoro.
- Non ho intenzione di uccidermi, Dottor Hopper. Non so cosa mi sia preso, quella sera.
Con sua grande sorpresa, Archie sorride. Le crede. Fruga fra i documenti che tiene sul tavolino basso che si estende fra loro, ed estrae un disegno un po' sgualcito. Lo porge ad Emily, che lo osserva come se avesse appena visto un fantasma.
- Potrebbe avere qualcosa a che fare con questo? - le dice, sereno.
E' il disegno che la ragazza ha scarabocchiato la sera dell'incidente, e che aveva praticamente dimenticato. Il castello la fissa con finestre simili ad occhi indagatori, mentre le stelle si affacciano fra le nuvole immense ed illuminano le guglie aguzze come denti famelici. Ed Emily sa di sapere, ma non riesce a ricordare.
- Una ragazza, - cerca di spiegare, arrancando per trovare le giuste parole, che sembrano appartenere ad un'altra lingua o ad un altro tempo. - Ho sognato una ragazza. E' stata lei a dirmi che cosa fare.
Adesso, Archie la prenderà per pazza. Emily Fisher, che sente le voci. Emily Fisher, che tenta il suicidio perché le hanno detto di farlo. La rinchiuderanno di nuovo, e questa volta per sempre, e non ci sarà nessun Mr. Gold a salvarla, perché anche lui non potrà far altro che dare ragione all'evidenza. Spaventata, alza gli occhi per incontrare quelli seri e preoccupati del Dottor Hopper.
- Mi farà tornare in quel posto terribile? - domanda a voce bassa, troppo spaventata persino per ribellarsi.
Archie sembra stupito dapprima, poi scoppia in una fragorosa risata.
- Oh, ma certo che no cara! - le dà un leggero colpetto sulla mano, che anziché rassicurarla la fa sussultare. - E' perfettamente normale avere incubi di questo genere, quando si è subito un trauma come il tuo. Però, è necessario ricordarsi che si tratta soltanto di sogni, okay?
Emily annuisce vigorosamente. Qualunque cosa, qualunque pur di non dover tornare in manicomio. Archie annuisce soddisfatto, poi si alza in piedi e si mette a cercare qualcosa in un vecchio mobile stracolmo di libri. Torna indietro tenendo in mano un quadernetto di pelle dall'aspetto sgualcito, la copertina nera priva di qualsiasi decorazione.
- Facciamo un esperimento, - esclama, porgendolo ad Emily, - le prossime volte che sogni la ragazza, prova a scrivere qui dentro quello che succede e quello che lei ti dice. Puoi anche scrivere quello che hai fatto durante il giorno, quello che ti spaventa o ti rende felice. Poi, quando torni da me, ne discutiamo insieme. E' molto importante che cerchi di esternare i tuoi sentimenti, che tu non tenga niente dentro, perché siamo in una fase molto delicata e hai bisogno di una mano per uscirne. Che ne pensi?
Per l'ennesima volta, la ragazza si limita ad annuire. Prende il quaderno, se lo rigira fra le mani. E' ruvido e più pesante di quello che pensava; Emily non sa se ha mai tenuto un diario prima di allora, ma si ritrova a pensare che ci sono troppe pagine da riempire, per una persona che non ricorda una sola cosa del proprio passato.
- Spero di aver qualcosa da raccontare, - mormora, più a se stessa che al dottore.
Archie sorride benevolo, dandole una leggera pacca sulla spalla.
- Non preoccuparti, cara, tutti hanno qualcosa da raccontare.

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Capitolo 10
*** ten. ***


Il tempo sembra non passare mai, in quella piccola cittadina. I giorni scorrono tutti uguali, nonostante l'orologio sul campanile della biblioteca abbia ricominciato a ticchettare. La biblioteca è vuota, non ci lavora nessuno, e i vetri sono coperti da fogli di giornale malamente attaccati col nastro adesivo.
Emily ci passa davanti ogni giorno, diretta verso il negozio di Mr. Gold per portargli il pranzo o aiutarlo a mettere in ordine la sua collezione. Non si tratta di un lavoro vero e proprio (non sa nemmeno se può effettivamente averlo, un vero lavoro, visto che è ancora costretta a prendere tutti quegli psicofarmaci), ma almeno l'aiuta a tenersi impegnata durante le monotone giornate di luglio che sembrano non finire mai.
Piano piano, Emily ha imparato a cucinare. Ha smesso quasi completamente di tagliarsi e bruciarsi le dita, e quando le succede Mr. Gold è sempre pronto a medicarla, con una parola gentile ed una canzonatoria dette in quel tono che le ricorda tanto qualcosa di lontano, di speciale... ma che cosa, effettivamente, non lo sa mai dire.
La sera, nonostante le sembri di non far mai abbastanza, Emily torna a casa stremata e con la schiena dolorante. E' ancora molto fragile, ma qualcosa nella sua anima ostinata la spinge a dare sempre il massimo, anche quando dare il massimo non è esattamente la cosa più furba da fare. Per questo motivo, anziché riposarsi, si siede alla scrivania ed estrae il quaderno che Archie le ha regalato.
Come non ha tardato a scoprire, scrivere è un'attività che la rilassa quasi quanto la lettura. E' anche meglio, anzi, perché per la prima volta in tutta la propria vita è lei, Emily, a raccontare una storia. Non si tratta più di osservare passivamente la gente che passa davanti ad una cella, lasciandosi trasportare dai pensieri; si tratta di agire, osservare, scegliere e descrivere.
E ricordare. Stranamente, per quanto concerne la sua vita attuale, ricordare è la parte che le riesce alla perfezione: Emily legge una poesia, e quella resta impressa a fuoco nella sua memoria. Sente un profumo, ed è certa che non lo scorderà mai più. Forse, pensa, è perché la sua mente è stata fino a quel giorno un foglio bianco: come quel quaderno, che non aspetta altro che essere riempito, il suo cervello ha sete di nuove esperienze e di memorie da accumulare.
Così Emily scrive, annota ogni minimo dettaglio, descrive ogni cosa con dovizia di particolari. Oggi Granny mi ha salutata. Stava spazzando davanti alla tavola calda, e indossava uno scialle color sabbia. Io ho pensato: uno scialle con questo caldo? Ma non ho detto niente, perché è anziana e magari soffre di cervicale, e non voglio metterla in imbarazzo facendole domande invadenti. Quindi ho ricambiato il saluto, sono passata oltre e ho notato che...
Scrive di getto, e non si interessa affatto dello stile. E' il contenuto, l'importante, quello che conta è che se un giorno vorrà sfogliare di nuovo quelle pagine potrà provare le stesse sensazioni che hanno accompagnato quei giorni così surreali, i primi giorni della sua nuova libertà.
E poi, ci sono i sogni, naturalmente. Quelli sono i più difficili da raccontare. Come in un film, hanno iniziato a dipanarsi in ordine cronologico, tanto che quando Emily va a dormire sa che riprenderà la storia dal punto dove l'aveva lasciata.
La protagonista è una ragazza dai lunghi capelli scuri, intrecciati di edera e piume screziate. Gli occhi sono azzurri come la superficie di un lago, i piedi scalzi, il collo adorno di una collana di ossa e rametti spezzati. Non è sempre stata così: un tempo era una principessa, con enormi gonne dorate. Un tempo era una cameriera, sempre sorridente in attesa che il suo futuro si dispiegasse davanti a lei.
Poi, improvvisamente, qualcosa era andato storto. Non è certa di cosa sia, probabilmente si tratta di un bacio. Un bacio che non avrebbe mai dovuto dare. Era stata cacciata, allontanata dall'uomo che ama. Era fuggita, mentre i cavalieri di suo padre e i soldati di una strega cattiva la braccavano attraverso i boschi come un animale selvaggio o una ladra.
Si era nascosta, terrorizzata, fiutando il vento con gli occhi spalancati come una volpe inseguita dai cani. Aveva strisciato nel sottobosco, dormito nelle grotte, raccolto le bacche per non morire di fame. Spinta dalla disperazione e dalla fame, infine, aveva impugnato il coltello e si era ingegnata a cacciare.
Adesso brandiva un arco, era in grado di colpire il nemico da lontano e di procurarsi la cena quasi ogni sera, e ventitré anni di vita in un castello sfarzoso non erano in alcun modo paragonabili alla libertà che provava nel correre scalza fra le foglie autunnali, respirando l'odore della pioggia e danzando assieme alle fate.
Tutti coloro che amava erano morti, le avevano detto. Le voci viaggiano rapide e lei, nascosta sotto ad un pesante mantello nero, era abile nell'ascoltare. Si recava al mercato, scambiava i conigli ed i fagiani con qualche moneta, comprava vestiti o un pezzo di sapone, pane, formaggio e qualche arma nuova.
Suo padre era partito; la guerra degli Orchi si era protratta più del necessario, e per salvare la sua piccola città anche il Re aveva dovuto scendere in battaglia. Ogni cosa ha un prezzo, le aveva detto una volta qualcuno. Tutti coloro che amava erano morti, e lei non aveva un singolo posto dove andare. Per questo motivo era tornata nei boschi, aveva aspettato, e la risposta era arrivata da lei in una gelida mattina invernale.
Camminando silenzioso sulla neve, un vecchio le si era avvicinato. Un Druido, le aveva detto, ma lei non si era fidata. Troppe persone l'avevano ingannata, fingendosi creature buone e poi rivelandosi mostri spietati, e Belle non era più la ragazza sprovveduta di un tempo. Si stava già allontanando, quando il vecchio aveva pronunciato quelle parole.
- C'è della magia, in te, ragazza, - aveva detto, - che aspetta soltanto di sbocciare.
Belle non era certa di aver capito bene: lei, una maga? Era mai possibile? Ma il Druido le aveva sorriso, e le aveva spiegato che a volte, passando del tempo con una creatura dotata del Potere, se si è predisposti si ottiene una parte del Potere stesso, e si può imparare a padroneggiarlo per compiere piccoli incantesimi.
- I Druidi non sono maghi convenzionali, - le aveva spiegato poi, - noi non facciamo pozioni e non scagliamo maledizioni. La Terra è la fonte della nostra magia, e come tale la rispettiamo. Posso insegnarti quello che so, ragazza, perché il mio tempo sta per finire e non voglio che quello che ho appreso nel corso degli anni vada perduto.
Così, Belle rimane nel bosco assieme al vecchio per mesi e mesi, e quando alla fine si allontana è cambiata nel profondo della propria essenza. Sente il Potere scorrere dentro di sé, ma è un potere buono che vive con lei, e non contro di lei come quello delle streghe. Tuttavia le manca qualcosa: un uomo, che un tempo conosceva e che adesso, se solo potesse vederla, sarebbe certamente fiero di lei.

Rumpel...

Emily si sveglia all'improvviso, destandosi al suono delle proprie urla che risuonano, come un lamento incessante, in tutta la casa. Si sveglia sentendo due braccia che la stringono il viso sepolto nell'incavo fra il collo e la spalla di qualcuno, così familiare. Sente le ossa della clavicola a contatto con la sua guancia, e un profumo strano che le ricorda qualcosa di passato e non le ricorda assolutamente niente al contempo.
Ci mette un po' a capire che si tratta di Mr Gold che, richiamato dalle urla, è corso in camera sua. Il suo volto stanco sembra spaventato.
- Che cos'è successo, cara? - domanda, la voce forzatamente bassa nel tentativo di mantenere la calma.
- Soltanto un brutto sogno, - risponde Emily confusa, e si vergogna per aver fatto tutta quella confusione e averlo svegliato.
Tuttavia, sa che non è vero; non stava facendo un brutto sogno, niente affatto. Era un sogno bellissimo, e lei era sul punto di ricordare. Sente le lacrime premere agli angoli degli occhi, lacrime di frustrazione e delusione per la propria incapacità, ma non dice niente. Mr. Gold le sorride, ancora un po' preoccupato, sforzandosi tuttavia di sembrare rassicurante di fronte a lei.
- Era solo un incubo, cara, - le dice, accarezzandole i capelli spettinati.
Poi si siede sul bordo del letto, e le tiene la mano finché lei non si è riaddormentata.

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