Oblivious

di Logic Error
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** - ***
Capitolo 2: *** - ***
Capitolo 3: *** - ***



Capitolo 1
*** - ***


Oblivious

 

Stay by my side 
A quiet love will begin 
Someday while trembling 
We will look to our future

 L’idea di un meteorite che impatta sulla terra basta a farci paura. Proviamo allora ad immaginare due pianeti in collisione; oppure addirittura due galassie. Un impatto tremendo, senza precedenti che può solo concludersi in due modi – nessuna terza opzione, nessuna via di mezzo: la distruzione completa o la creazione di un universo completamente nuovo.

 Paragonare Adachi ad una galassia sarebbe esagerato: non ne aveva né la forza, né la lucentezza, né l’imponenza. Assomigliava piuttosto a un satellite vagante, semi-distrutto da continui impatti con vari asteroidi, alla ricerca di un centro stabile intorno a cui orbitare. Quattordici anni di galera non sono pochi: nonostante nel profondo sentisse che, probabilmente, se ne meritava di più, ogni minuto trascorso dietro le sbarre aveva lasciato crateri profondi nell’animo dell’uomo che una volta aveva attentato alla vita di centinaia di persone. Dov’era l’Adachi di un tempo? La rabbia, la delusione, la sofferenza erano sempre lì, in agguato, ad attenderlo, pronte a ri-trasformarlo nell’ombra di se stesso, nella creatura dagli occhi gialli; quella smania di potere, però, era stata attutita dalla sconfitta, dagli anni trascorsi e, soprattutto, dalla consapevolezza d’aver perso anche quel poco che era riuscito a costruire. Le serate trascorse dai Dojima, i dialoghi occasionali con Souji e il suo gruppo, un lavoro stabile….tutto era andato distrutto, tutto era stato sacrificato all’altare del Nuovo Mondo. L’Adachi di 14 anni fa non si sarebbe fatto tanti scrupoli: lui si meritava quel mondo, si meritava quella rivincita ed era disposto a dare in pasto alle Shadows chiunque pur di ottenere ciò che gli spettava. Eppure…adesso non ne era più tanto convinto. Adesso sentiva il peso delle sue scelte, sentiva che forse sarebbe stato meglio modificare qualcosa di se, piuttosto che provare a distruggere il mondo. Adesso si sentiva di nuovo al punto di partenza.

Nonostante tutto, aveva deciso di restare ad Inaba. In realtà, neanche lui capiva bene il motivo della sua scelta: perché decidere di vivere in una città dove tutti ti odiano, ti considerano un criminale, un animale da sgozzare? Non ne aveva la più pallida idea, ma sentiva la necessità di restare lì, di vivere in quel tanto odiato sputo sulla cartina geografica. Probabilmente si tratta di masochismo, pensò, mi auto-punisco in questo modo. Nulla di nuovo.
Aveva ovviamente già calcolato che prima o poi gli sarebbe toccato incontrare gli altri. L’unico contatto –se così si può definire- che aveva avuto con i ragazzi dell’Investigation Team era stata quella lettera scritta in un momento di confusione. Sapeva che non era proprio d’aiuto, ma era tutto ciò che ricordava: i ricordi di quel giorno erano ancora sfocati, forse è meglio parlare di sensazioni, più che ricordi, ma sentiva il dovere di buttare giù quei quattro righi e spedirli. In cuor suo –anche se tentava di non ricordarselo- sapeva che non era stata tutta opera sua. C’era…qualcosa, qualcuno di superiore che…descriverlo era inutile, non sapeva neanche da che parte iniziare. Comunque, qualsiasi cosa fosse, Adachi credeva d’avere il diritto di sapere. Sapere chi aveva deciso di rovinare la sua vita, chi e soprattutto perché aveva scelto lui per….

Oh no, di nuovo. Fottuto orgoglio, non andrò molto avanti così.

Sospirò e mise le mani nelle tasche: reprimersi era difficile. Il suo ego era troppo grande perché fosse incatenato nel ruolo del capro espiatorio. Ma è necessario, così dev’essere.

Mentre camminava nei pressi del fiume –si era deciso per una zona poco frequentata: quella mattina non aveva proprio voglia di occhiatacce e insulti- si chiedeva in che modo avrebbe reagito quando il momento sarebbe arrivato.
Hanamura gli avrebbe certamente spaccato il muso; e forse anche Satonaka……e Tatsumi; Amagi…non ne aveva la più pallida idea; e chissà Seta cosa----

“Adachi-san…?”

No, quello non l’aveva previsto. Anzi, aveva sotterrato quella possibilità metri e metri sottoterra, nella speranza di dimenticarsene. Perché, tra tutte le persone, perché proprio ora non sono ancora pronto davvero non so cosa, perché proprio Nanako?

 Paragonare Nanako al sole era alquanto ovvio. Anche adesso che era più alta, capelli lunghi, stretta in un delicato cappottino rosa, ora che era una donna, non aveva perso quella leggerezza, quella delicata forza che l’aveva sempre accompagnata. Già, anche adesso che aveva rivisto per la prima volta dopo 14 anni il collega di suo padre, quell’espressione stravolta non era durata che un secondo: si era trasformata in un sorriso, in un moto spontaneo di gioia nel rivedere quell’uomo.

 Lei non sapeva. Lei non lo sa. Cosa alquanto scontata: né Dojima, né Souji le avevano raccontato la verità. E d’altronde, che bisogno c’era? Perché raccontare d’uno squilibrato killer che l’aveva quasi uccisa? Nanako si stava avvicinando quasi correndo ed ogni suo passo costringeva Adachi ad una decisione: dirglielo o no? Perché farlo? Avrebbero continuato a vivere così, lei contenta d’aver ritrovato un vecchio conoscente, lui soddisfatto d’aver finalmente incontrato qualcuno che non lo riempisse di offese. Però c’era qualcosa di sbagliato in tutto ciò: dove andavano a finire i buoni propositi, il suo desiderio di cambiare e di smetterla con le bugie? Dopotutto, se le avesse raccontato la verità, Nanako sarebbe sicuramente scappata via e Adachi avrebbe evitato di qualsiasi rimorso. Tuttavia…tuttavia

Adachi-san! Sono Nanako-chan! Non mi hai riconosciuta?” 
“…N-nanako-chan! Non mi aspettavo di…i-incontrarti!”
Ahaha, neanche io! Quanti anni sono passati? Una…decina, giusto? Souji mi ha detto che sei andato all’estero per lavoro!
Ah, così è questo che le hanno detto.
B-beh, sì, in America o…giù di lì.”
Ma ora sei qui di nuovo! Vuol dire che ritornerai a lavorare ad Inaba?”
“Oh, no in realtà…sono solo in ferie. Sono passato per…così, per…n-nostalgia.”
Altre menzogne.
“Uh…però è già fantastico che tu sia tornato! Mio padre sarà felicissimo di---“
“N-NO!”
“Cosa?”
N-non dire nulla a Dojima-san, per favore.”
Perch---
“Voglio…fargli una sorpresa! Pensavo di…bussare alla sua porta e, bum!, i-immagina la faccia che farà, eheh!”
Ahaha, sì, papà sorriderà come non mai! Mi ha fatto piacere incontrarti di nuovo, Adachi-san!”
Non dirlo, non è vero, non è così.
S-sì! Ha fatto tantissimo piacere anche a me…!”
“Potrei venire a trovarti qualche volta! Ahah, così mio padre non si accorgerà di nulla!
No, allontanati da me. Vai via.
“E’ un’ottima idea…! Vivo…b-beh, sempre nella stessa casa in periferia, non so se…ricordi.”
“Certo!Ho capito! Oh! A-Adachi-san, posso chiederti una cosa?”
Oh no. Allora…lo sa? Stava…fingendo?
“….c-cosa c’è?”
M-mh, frequento l’università ora e…o-ogni tanto ho qualche problema nel capire certe cose…m-ma ricordo che Adachi-san è davvero intelligente! Mi chiedevo se…potresse darmi una mano…”

“Oh, s-sì, non c’è alcun problema!”
“Grazie mille, Adachi-san!”
Un sorriso, un inchino e se ne andò. Quella conversazione non era durata più di cinque minuti; ma il tempo aveva perso il suo significato ancestrale in quegli istanti, si era dilatato così tanto da rendere ogni secondo lungo un’intera vita. La vita di due persone che non si sarebbero mai dovute incrociare: due corpi vaganti che tentavano di sfuggire alla forza gravitazionale del destino che li spingeva l’uno contro l’altra.

L’asteroide si preparava ad essere inghiottito dal sole e da esso divorato.

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Capitolo 2
*** - ***


Adachi aveva però la sensazione che fosse lui il sole…no, il buco nero pronto ad inghiottire la piccola stella di nome Nanako. Era tornato a casa con quelle parole che gli fluttuavano in testa e la vaga speranza che la ragazza non mantenesse la sua promessa.

Non è errato affermare che Adachi aveva una scusa per tutto: ci stava provando davvero a prendersi tutte le responsabilità del caso, a convincersi che era stata tutta colpa sua. Eppure, nel profondo, aveva sempre una scusa pronta nel momento in cui le sue speculazioni si fossero fatte troppo intime, troppo veritiere.
Ma per Nanako…non ne aveva.
Nanako non avrebbe mai dovuto trovarsi su quel letto d’ospedale. Non avrebbe mai dovuto provare un’esperienza tanto terribile. Tutti, in quella città, avevano avuto un ruolo fondamentale, per quanto piccolo, nel crollo psicologico di Adachi: nelle sue precarie condizioni, anche un saluto negato o una parola di troppo poteva avere un effetto devastante. Tutti erano colpevoli, tranne Nanako: nonostante tutto, lei sorrideva, lei sopportava le bugie e le dimenticanze del padre, lei aveva trattato Adachi come…quasi come un amico, senza pregiudizi o altro. Certo, idealizzare così una bimba di 5 anni può apparire esagerato, ma quella di Adachi era una realtà aumentata, una realtà a più dimensioni tanto fragile quanto complessa.
Fragile. Alla fine, ecco cos’era: tanto fragile che il suono del campanello della sua porta lo fece sobbalzare.
Si diresse verso la porta e l’aprì, con un’espressione preoccupata sul volto: tanto già so chi è.
“Disturbo?”
N-no, Nanako-chan, non ti preoccupare…”
“Sono qui per…”
“Sì lo so. Dai, entra.”
 Nanako era arrivata a casa di Adachi piena d’entusiasmo. Aveva bei ricordi di quelle serate con suo padre e il suo sbadato collega e in cuor suo sperava di trovare un po’ della stessa allegria che aleggiava in casa Dojima anni ed anni prima. Con suo padre, le cose non…stavano andando troppo bene. E per questo s’era chiesta: chissà se l’arrivo di Adachi-san è un intervento del destino! Un aiuto dal cielo! La persona che aspettava per far ritornare il sorriso sullo stanco volto di Dojima e…per finalmente capire quelle criptiche pagine dal suo libro universitario.
Il suo entusiasmo stava però andando scemando a mano a mano che Nanako osservava Adachi, i suoi movimenti e la sua casa. Tutto sembrava coperto da un velo di…malinconia. I gesti con cui l’aveva invitata a sedersi al modesto tavolino nella sala da…pranzo- ma che era probabilmente anche la sua camera da letto, dal momento che c’era un futon appoggiato in un angolo-  sembravano quasi meccanici, non c’era quasi più nulla dell’impacciato Adachi di cui si ricordava.
Nanako scosse la testa: No, è solo una mia suggestione.

Come professore era impeccabile, niente da dire. Tralasciando l’angosciata espressione nel venire a conoscenza che la ragazza stava studiando per diventare avvocato –adesso capisco il lavoro di mio padre e…l’ammiro! Credo che sia nel giusto! Mi piacerebbe tanto aiutarlo, ma la polizia non fa per me, ahahah! Per questo vorrei fare il giudice…amministrare la giustizia dall’alto!- era stato in grado di spiegarle tutto ciò che non le era chiaro. Se da un lato quella prova d’intelligenza faceva sentire Adachi un vero figo, era pur sempre la dimostrazione che nonostante avesse una mente simile, non era stato in grado di combinare nulla con la sua vita.
“Hai capito tutto?”
Mh! Sì, grazie!”
Con un mezzo sorriso, Adachi si alzò per andare a prendere dell’acqua in cucina.
A-adachi-san…”
Voleva davvero chiederglielo? Non ne aveva il diritto, chi era lei per chiedere ad Adachi cosa c’era che non andava? Lei era fatta così, voleva rimediare, voleva sempre aiutare gli altri…ma questo non le permetteva d’essere irrispettosa. Deglutì quando lo vide tornare e rispondere ‘cosa c’è?’ mentre le porgeva un bicchiere d’acqua.
“…m-mi chiedevo se…c’è qualcosa che…t-ti dà da pensare.”
“…c-come?”
N-non lo so! E’ come se…Adachi-san fosse meno…felice di com’era un tempo! Credevo che, magari, avrei potuto aiutare Adachi-san a…
“…no. E’ tutto okay, davvero, non…”
M-ma…è come se…t-tu fossi cambiato…”
Adachi sorrise beffardo. Già, cambiato. Diverso. Per tutti, l’Adachi triste, era l’Adachi diverso. Peccato, che non fosse così: quando sorrideva o rideva, nell’80% dei casi, stava fingendo. Si era obbligato per anni e anni a portare quella maschera dell’impacciato e inesperto detective come difesa. Più facile mentire che dire la verità. Una verità scomoda anche per lui.
Quindi era assolutamente normale che Nanako la pensasse a quel modo.
“Non preoccuparti. E’ solo…”
“E’ successo qualcosa? Problema a lavoro? Vita sentimentale o…”
Nanako si portò le mani alla bocca per fermarsi: cosa stava facendo? Basta con tutte quelle domande, Adachi-san si potrebbe infastidire!
Dal canto suo, Adachi, continuò a sorridere con un velo di tristezza. Non era comico che proprio la ragazza che aveva rischiato di morire a causa sua voleva aiutarlo? Quasi grottesco.
Adachi si portò il bicchiere alla bocca, mentre nella sua mente contemplava l’ingenuità della figlia del suo ex-boss.
Tsk, lavoro…non che ci fosse molto da fare in prigione---

Ma non completò il movimento; anzi, il bicchiere gli cadde da mano.
Chi era l’ingenuo? Chi era lo stupido? Tutti quegli anni e si dimenticava ancora di collegare la bocca al cervello.
Il suo segreto era ormai scoperto, via, rivelato da quei pezzi di vetro sul pavimento; e a Nanako. Che lo osservava con gli occhi sbarrati, senza capire.
“…prigione?”
Non c’era tempo da perdere: farla andare via prima che la situazione potesse peggiorare era l’unica scelta rimasta. Adachi si alzò, corse verso la porta della stanza e l’aprì. Poi, tenendo gli occhi abbassati, disse:
“E’ meglio se vai.”
Nanako non si mosse.
“Va via, Nanako.”
“…Adachi-san…”
T-tho detto di andare via!”
Stava urlando. Stava urlando a Nanako di andare via. Sei sempre lo stesso, non cambierai mai. Adachi alzò lo sguardo per vedere la sua reazione. I suoi occhi stavano per bagnarsi di lacrime. Perfetto, congratulazioni Adachi, gran bella mossa. Meglio che soffra ora, piuttosto che soffrire ancora di più in futuro.
Lei si alzò, ma non si mosse. Anzi, strinse i pugni.
A-adachi-san! N-non sono più una bambina! Va bene se non vuoi dirmi cosa succede, ma…non trattarmi così! Credo sia normale se…se mi dispiaccio per te!
Cosa diavolo…cosa diavolo stava accadendo. Era dispiaciuta per lui?! Ma aveva la minima idea…Non hai la minima idea di quello che sono…!”
"Non lo saprò mai se non me lo dici!”
“Tu non sai cosa t’ho fatto!”
“…a me? A-adachi-san, ma…!”
“D’accordo, se vuoi saperlo…”
Abbandonò la porta e si diresse verso Nanako. A quel punto..cos’aveva da rischiare? Era colpa di Nanako, tutta colpa sua, l’aveva provocato ed ora stava per pagarne le conseguenze, ecco tutto, era la verità sarebbe venuta a galla e, bum, la sua vita si sarebbe arrestata tutta d’un colpo, ottimo Adachi gran bel piano, che schifo che mi fai.
“Ricordi gli omicidi di  14 anni fa? Quelle due donne trovate morte sull’antenna televisiva? Bene. E’ colpa mia. Sono io l’assassino. E…ti ricordi, di quando fosti ricoverata all’ospedale? Già, anche in quel caso era colpa mia. Ecco l’uomo che sono Nanako! Il tuo caro Adachi-san!”
Parlava velocemente e gesticolava, guardando la ragazza fissa negli occhi, come per imprimerle la verità sulla retina. Quando ebbe finito, sospirò ed abbassò finalmente le braccia.
Lei era incredula. Ovvio. Aveva la bocca semi-aperta e gli occhi fissi.
“E’-è…la verità…?”
“Sì, esatto.”
Silenzio. Nanako abbassò gli occhi mentre Adachi ritornò alla porta, pronto per aprirla, prima che una frase della ragazza non lo bloccò.
“Non capisco.”
“Cosa?”
“Non capisco perché tu sia qui.”
“…”
Come spiegarglielo, quando non conosceva neanche lui la risposta? E se le avesse risposto…no, le avrebbe riempito la testa di false speranze.
“Non avevo altro posto dove andare. Nient’altro.”
“…m-ma perché ritornare in un paese dove tutti ti odiano!”
“Cosa t’importa! Cosa cambia questo?! Io rimango un assassino e tu…”
“Cambia tutto! Io…io non riesco a crederci! Non riesco a credere che tu sia ciò che dici! Ho così bei ricordi che…”
“Erano tutti falsi! Tutte menzogne! Dimentica quei giorni, okay? Fa come se non fossero mai esistiti, come se io non fossi…
“Perché? Se non t’importa di me…o-o degli altri, perché dici queste cose?!”
Già, perché. Aveva dimenticato quella caratteristica di Nanako: dolce, gentile, ma determinata e cocciuta. E con quell’innocenza che le era rimasta, stava scardinando la maschera di menzogne che Adachi continuava a costruire nonostante i suoi buoni propositi.
P-perché…lo faccio per me! Non voglio semplicemente più avervi intorno, i-io…”
Ma quelle parole facevano male, troppo male. Com’era semplice mentire, 14 anni prima! Quando non si rendeva conto di cosa stava perdendo! Le serate dai Dojima, lo strano, ma piacevole rapporto con Dojima-san e Nanako…solo ora si rendeva conto cosa significassero. Solo ora che aveva perso quelle briciole che era riuscito a raccogliere lungo la strada, si rendeva conto di quanto fossero importanti per lui.
Lui, del mondo intero…non se n’era mai fregato un accidente. A lui interessava soltanto se stesso. Interessava essere finalmente gratificato, considerato, amato. Solo adesso lo capiva: capiva che cambiare il mondo intero era un’impresa tanto impossibile quanto stupida. Sarebbe bastato creare un piccolo Mondo…una colonia di pace nel caos per poter vivere in serenità. Peccato che ora fosse impossibile fare ciò: i legami s’erano spezzati. La colonia era capitolata sotto l’attacco dell’egoismo.
Ma Nanako…non era una donna che s’arrendeva facilmente. Lei non ci credeva, o almeno, non aveva abbastanza motivazioni per credere nella colpevolezza di Adachi. Le date e lo strano silenzio di suo padre non potevano essere solo delle coincidenze, ma…adesso, lei lo vedeva. Vedeva un Adachi diverso, un Adachi che aveva voglia di pentirsi, ma che non riusciva a superare l’ostacolo dell’orgoglio.
Lei gli si avvicinò e lo fronteggiò con una dolce espressione.
“Adachi-san…non ci credo. Non posso crederci. Io…posso anche credere a ciò che dici. Che…hai ucciso quelle due donne. Che mi hai fatto del male. M-ma i tuoi occhi mi dicono qualcosa di diverso. Un assassino andrebbe fiero di ciò che hai fatto. Tu…tu stai soffrendo, quindi…fatti aiutare. Io…voglio aiutarti.”
Adachi la guardò con stupore. Quelle parole. Nessuno gliele aveva mai dette. Nessuno si era mai offerto spontaneamente di aiutarlo. Il mondo era popolato di lupi pronti a sbranarsi l’un l’altro: da dove veniva quel piccolo cerbiatto capace di fronteggiare la bestia più disperata del branco?

Quindi…quindi si arrese. Si arrese a lei. Adesso, era lui a piangere, ad abbassare il capo, a prenderle le mani e a premersele sugli occhi. Erano anni che non piangeva: piangere, voleva dire essere debole. Anche in prigione, se piangevi, eri una checca. Alla fin fine, aveva indossato una maschera anche in quel buco puzzolente.
E poi, lì, era arrivata una ragazzina con dei codini gialli ed era riuscita a farlo piangere.
Mentre piangeva le chiedeva scusa: scusa per ciò che aveva fatto, per cose che non c’entravano nulla con gli omicidi di Konishi e Yamano, scusa per aver saltato il lavoro e per aver tentato di rubare un ombrello a Junes. Perché sapeva che lei l’avrebbe capito e perdonato: era il sole che avrebbe spazzato via la polvere da quel vecchio e malandato suolo lunare.
Dopo che Adachi ebbe finito di sfogarsi, si sedettero di nuovo e lui le raccontò tutto per filo e per segno: evitò però di nominare le Personae e il mondo nella TV, non ce n’era bisogno. Nanako lo ascoltò e comprese, non finse tranquillità quando non ce n’era bisogno, si spaventò, fece domande, si meravigliò e rise ad alcuni errori di Adachi. Era così viva che quasi faceva paura: nessuna maschera le aveva mai sfiorato il viso.
Poi, com’era ovvio, se ne andò. Un po’ di sano imbarazzo li accompagnò verso la porta.
“…allora ci vediamo.”
“…s-se hai bisogni di altre spiegazioni…sai dove trovarmi.”
Nanako annuì e sorrise.
Ed Adachi sperò che, beh, mantenesse quella promessa.                              

 

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Capitolo 3
*** - ***


Andò avanti così per una settimana circa: i pomeriggi passavano tra una spiegazione e l’altra, diminuendo il tempo dedicato allo studio per dedicarne altro alla più pura e disinteressata arte della conversazione. Adachi non credeva che potesse esistere una persona capace di farlo sorridere: eppure, quando lei gli ripeteva che non era più una bambina, quando arrossiva e gonfiava la guance, le tristi labbra dell’ex-poliziotto non potevano che  inarcarsi in un sorriso. Avere una persona accanto era un piacevole lusso a cui Adachi non era abituato. Ma sentiva che ci avrebbe fatto l’abitudine molto in fretta.
Andò avanti così per una settimana circa: finchè lei non disse.
“Dovresti incontrarlo.”
“…”
Non c’era bisogno di aggiungere altro, sapeva benissimo a chi si riferisse.
“M-ma…”
“Non dico ora, Adachi-san. Ma, in un futuro…”
“S-sì, lo so…”
“…non troppo distante…”
“Mh.”
“Ti accompagnerò io con la mia auto.”
“Oh! Nanako-chan sa guidare?!”
La mano della ragazza raggiunse la guancia di Adachi per dargli un colpetto.
“Ti ho detto che non sono più una ragazzina!”
 
Le sue guanciotte e gli occhi dolci erano stati decisamente convincenti. Era l’unica risposta che riusciva a darsi alla domanda “Perché lo sto facendo?” che si poneva ad ogni semaforo che incontravano.
Nanako aveva mantenuto un’espressione rilassata e vagamente soddisfatta lungo tutto il tragitto: che lo facesse per tranquillizzarlo? Beh, in realtà era soltanto riuscita ad irritarlo ulteriormente: dopotutto, era lui che doveva affrontare il suo ex boss!
Una volta arrivati dai Dojima, Nanako si fermò di fronte la residenza.
“Eccoci qui.”
“G-già…”
Dojima. Cosa…cosa gli avrebbe detto? Tsk, sempre se avesse avuto il tempo di dirgli qualcosa prima che il suo collega gli sbattesse la porta in faccia. Dojima era la persona che Adachi aveva ingannato più di tutte; e, tra tutte, era proprio quella a cui teneva di più. Poteva sembrare assurdo, se si pensa agli schiaffi, cazzotti ed insulti che volavano tra i due –sempre a senso unico, da Dojima verso Adachi- ma era così. Da qualche parte, nel suo inconscio, Adachi lo considerava un amico. O qualcosa del genere.
Ma a cosa serviva farsi tutti quei problemi? Nel migliore dei casi, Dojima lo avrebbe di nuovo denunciato alla polizia.
Nananko sembrò intuire il turbamento dell’uomo: dopo un piccolo sospiro, poggiò la sua mano sulla sua e gli sorrise.
Adachi sussultò e si voltò incredulo: doveva avere un’espressione davvero sconvolta perché Nanako diventò rossa e mosse via la sua mano.
Tsk, già, non sei più una ragazzina.
Lui le sorrise, nonostante sapesse che non poteva vederlo: ma fu una reazione spontanea a quel dolce gesto  cui non era abituato.
“Allora vado.”
“Ti aspetto qui.”
 
Adachi ci stava mettendo più tempo del previsto. Era un buon segno: suo padre doveva averlo perdonato ed ora stavano parlando come ai vecchi tempi, da vecchi colleghi. Nanako sospirò ed appoggiò la testa sul volante: avrebbe voluto essere lì. Le mancavano quelle serate in…famiglia, sì, famiglia. Ma adesso persino cenare con suo padre era impossibile: perché era così cocciuto? perché non lo capiva che prima o poi avrebbe comunque dovuto andarsene? Nanako era l’ultima persona al mondo che restava a Dojima, e lei questo lo capiva. Precludere a Nanako la possibilità d’una vita migliore, però, era ciò che suo padre stava facendo, ma non sembrava capirlo.
Anche per questo aveva sperato che Adachi potesse ritornare in buoni rapporti con lui: un amico non avrebbe mai potuto rimpiazzare una figlia, ma meglio di niente, no?
E poi, riaverlo tra i piedi –così come usava dire Dojima anni prima- non era così male, anzi. A Nanako piaceva stare con lui. Dopo quell’episodio, dopo quella scenata e dopo le lacrime era più o meno ritornato l’uomo di un tempo: aveva, di tanto in tanto, dei momenti di cupa tristezza, ma era più solare, più imbranato, più Adachi. Le stava venendo in mente la scena di qualche giorno prima, quando era inciampato in uno dei suoi calzini sull’uscio della porta. Rise tra sé e sé, coprendosi il volto tra le mani quando si sentì arrossire. A-A cosa pensi, Nanako…m-meglio dormirci su…
 
Nanako si era addormentata con la testa sul volante. Eh, aveva fatto decisamente tardi. Nonostante l’imbarazzo iniziale però l’incontro era andato meglio del previsto. Per fare un riassunto, adesso Adachi aveva di nuovo un amico. Purtroppo non più un collega, ma…un amico di certo. Era andato via con una piacevole sensazione nel petto, quella che probabilmente si chiama speranza. Non credeva possibile rammendare, aggiustare, mettere a posto le cose dopo ciò che aveva fatto. Ma c’era riuscito. E allora tutto diventava un po’ più semplice. L’idea di poter contare anche su qualcun altro e non solo su se stesso sembrava aver alleggerito il carico di rimorsi che portava sulla sua schiena.
La porta era aperta: entrò in macchina e osservò Nanako. Sembrava una bambolina, coi capelli lasciati morbidi sulle spalle e le ciglia che le sfioravano le guance. Il muoversi ritmico del petto era il solo indizio per capire che era reale.
Gli dispiaceva svegliarla, ma doveva farlo: portò una mano sulla sua guancia e la pizzicò.
“Nanako-chan…”
Il suo risveglio fu lento: le palpebre si alzarono con dolcezza offrendole un graduale ritorno alla realtà. Peccato che non appena i suoi occhi incontrarono quelli di Adachi, saltò letteralmente dal sediolino, afferrò le chiavi e mise in moto.
Lui dovette trattenersi dal ridere. Sapeva che non doveva, non dopo ciò che aveva fatto anni prima, ma…stuzzicarla e vederla imbarazzata era troppo, incantevolmente divertente.
“C-c-com’è andata?”
“Tutto bene. La prossima volta vieni anche tu, così facciamo una bella cena tutti insieme!”
Ad un tratto, sembrò allarmata.
“Gli hai detto di me?”
“Uh? No, in realtà no…perchè?”
Lei sospirò, un misto di sollievo e rassegnazione.
“C’è qualcosa che non va?”
Lei non rispose.
“Nanako…”
E quel Nanako voleva dire molto: c’era un ‘voglio aiutarti perché tu hai fatto lo stesso con me, ma non solo, mi interessa davvero vederti stare bene!’.
Apparentemente, la ragazza sembrò capirlo ed iniziò:
“La mia università cambia sede e si sposta in una città alquanto lontana da Inaba…quando mio padre l’ha saputo ha iniziato ad urlare e…e a dire che avrei dovuto cambiare corso di studi. Capisco che si sente solo, ma…! Non può impedirmi di andare avanti con la mia vita!”
Aveva alzato un po’ il tono della voce e le sue mani stringevano forte il volante. Dopo essersi calmata, ricominciò a parlare.
“E quindi mi ha cacciato di casa. E non ho soldi per vivere nel campus universitario.”
Adachi la guardò shockato.
“C-cosa? E dove vivi ora?!”
Nanako indicò il tettuccio della macchina; Adachi ci mise un po’ a capire.
“In macchina?! Sei impazzita!? E se---“
Nanako rise d’istinto alla reazione esagerata dell’uomo, non senza arrossire lievemente al pensiero che Adachi fosse davvero preoccupato per lei.
“Non c’è nulla da ridere!”
“L’università inizierà tra qualche giorno, troverò un modo.”
“C’è posto da me se vuoi.”
Ok, beh, diciamo che era stato semplicemente spontaneo. Infatti, non appena finì di pronunciare quelle parole, una bella tinta di rosso acceso gli infiammò il volto.
Stessa reazione in Nanako: la ragazza frenò improvvisamente, tamponando la macchina davanti alla sua. Qualche insulto volò dal conducente, ma lei non se ne curò, anzi, le fischiavano troppo le orecchie per sentirlo.
“E-er…”
“….”
“Era per dire…”
“T-troverò un modo…”
“Certo…”
“….”
E così fino all’abitazione dell’ex-poliziotto.
Si augurarono buonanotte, incerti sul da farsi: guardarsi, non guardarsi, scambiarsi un sorriso, o un abbraccio anche, dopotutto devo ringraziarla per quello che ha fatto, no? , e se poi lo metto in imbarazzo?
E inevitabilmente i pensieri vinsero sull’azione: un timido buonanotte, due mani che si salutavano e niente più.
Adachi sospirò prima di mettere la chiave nella porta: che deficiente.

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