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di Malecsis
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The one who's never gonna learn it ***
Capitolo 2: *** The one on his first date ***
Capitolo 3: *** The one who gets his first bite mark ***
Capitolo 4: *** The one in exchange ***
Capitolo 5: *** The one in love ***
Capitolo 6: *** The one lost in pain ***



Capitolo 1
*** The one who's never gonna learn it ***


01

Le porte aperte dell'Istituto furono la conferma del suo sospetto.
Stava succedendo qualcosa di serio, se Hodge l'aveva contattato, e soprattutto se i Cacciatori avevano lasciato le porte della loro preziosa roccaforte spalancate in quel modo.
Magnus inspirò leggermente, serrando le labbra.
L'hai giurato, ricordi? Niente più interferenze nel loro mondo.
Hai già visto abbastanza di come va a finire, per i mortali.
Non è il caso di replicare.
E non è te che dovrebbero chiamare, per risolvere i loro guai.

Oh si, se lo era ripetuto più volte. Hodge aveva chiesto aiuto per uno dei suoi giovani allievi, rimasto ferito durante una lotta contro uno dei demoni superiori.
Perchè lui? Perchè non chiedere aiuto ai Fratelli Silenti?
Non lasciarti coinvolgere, come secoli fa.
Diamine, in ottocento anni, qualcosa dovresti averla imparata.

E ciò nonostante, i piedi si mossero autonomamente per farlo entrare nell'Istituto, silenzioso come un felino, un ciuffo di capelli corvini che, diversamente dagli altri, gli ricadeva penzoloni sulla fronte. Non aveva avuto il tempo di curarsi, come faceva ogni mattina. Non era neppure l'alba. E Hodge non aveva mentito riguardo al demone, perchè l'intenso odore di sangue demoniaco non poteva sfuggire alle sue narici.
Non lasciarti coinvolgere.
E' una storia già vissuta.
Quanto può sopravvivere un mortale al veleno di un demone superiore?
Sei venuto ad assistere alla morte di un ragazzino, questo hai fatto.
Ottocento anni, e non hai imparato niente.

Non si accorse di star stringendo leggermente i pugni, mentre saliva le scale dell'Istituto, avvolto in uno spettrale quanto strano silenzio. Non che si fosse aspettato un comitato di benvenuto, o Hodge sulla soglia della porta, ma sembrava che quell'edificio a lui fin troppo familiare fosse vuoto.
Potresti sempre voltarti e andartene adesso. Non è troppo tardi.

 

“Hodge, dove diavolo sei!! Jace! Clary!”


La voce della ragazza che aveva urlato era intrisa di terrore, oltre che di una certa isteria. Magus era appena arrivato sul ballatoio, quando la vide scendere di corsa dalle scale del piano superiore, i lunghi capelli lisci sconvolti e insanguinati, il viso teso in una smorfia di angoscia. Così tanto diversa dalla bellissima e sensuale gatta che si era presentata alla sua festa. Così tanto simile alla ragazzina terrorizzata che doveva essere al momento.
Una storia che conosci, no?

“...Magnus Bane?”

Isabelle aveva messo d'istinto la mano sul pugnale nella cintola, in un primo momento pronta a scattare per difendersi, poi geuinamente basita. Sava succedendo troppo, e troppo in fretta.

“L'unico e inimitabile.” Magnus avanzò verso di lei, le mani in tasca e il passo sicuro. “Dov'è Hodge?”

“E' quello che vorrei sapere anche io," replicò frettoosamente Isabelle, guardandosi in giro. Sembrava frenetica e sgraziata nei gesti. “Non trovo nè lui, nè Jace-nemmeno Clary, e i maledettissimi Fratelli Silenti dovrebbero essere già qui! Quanto tempo credono che abbia Alec?”

 

Magnus la osservò per un momento, e gli occhi di giada si posarono sul brutto taglio che le sfigurava uno zigomo. Il sangue si era già incrostato, e a giudicare dal modo in cui le parole le uscivano cariche di angoscia, probabilmente nemmeno si accorgeva del dolore al viso. Gli venne del tutto spontaneo sfiorarle la guancia con le dita, e in pochi istanti il taglio si richiuse, pulito.

Isabelle allargò gli occhi, toccandosi lo zigomo. Non appena realizzò che cosa le aveva fatto, si avvinghiò agli avambracci di Magnus, che per riflesso inarcò le sopracciglia.

 

“Devi aiutarlo! Magnus, per favore-

 

“Devo essermi perso il contratto in cui è esplicitato questo mio dovere…”

 

Isabelle ringhiò qualcosa in una lingua incomprensibile, al limite della frustrazione.

 

“Non mi importa se dovrò costringerti o supplicarti, maledizione! E’ mio fratello quello che sta morendo in quella dannata stanza, tutti quelli che dovrebbero aiutarlo gli stanno voltando le spalle! I Fratelli Silenti che per un Cacciatore adolescente nemmeno si scomodano, Hodge che è sparito-sei l’unica speranza che mi resta, e per l’Angelo, farò qualsiasi dannata cosa perché almeno tu lo aiuti!”

 

Magnus rimase in silenzio, stringendo appena gli occhi da gatto. Aveva già visto quella disperazione negli occhi di una donna, e non una sola volta. Aveva già sentito quel tono, l’arroganza che la disperazione è in grado di darti, la prepotenza di chi non ha più nulla da perdere, perché sta già perdendo tutto nella persona più cara che scivola via.

Ci stai ricadendo.

Ti sei ripromesso di non interferire mai più nei loro affari.

Non dopo la rivolta. Non dopo William.

 

“Dov’è tuo fratello?”

 

Ci sei ufficialmente ricaduto.

Ottocento anni di idiozia.

 

Isabelle si concesse pochi istanti di sollievo, prima di lanciarsi in una corsa sfrenata lungo il corridoio. Arrivò per prima nella stanza, probabilmente l’infermeria dell’Istituto, dato che di letti ce n’erano parecchi, esattamente come la collezione di vasetti e calici etichettati come pozioni curative. Magnus la vide chinarsi sull’unica sagoma sdraiata, e fu allora che lo riconobbe. Era il ragazzo dagli occhi blu che aveva visto alla festa, l’unico del gruppetto che avesse dimostrato un po’ di umiltà, e non quell’arroganza tutta giovanile che aveva letto nello sguardo del suo amico biondo.

A chi vuoi mentire, quegli occhi ti hanno ricordato lui.

La genetica è una gran puttana.

Soprattutto considerando che agisce secondo una logica strana.

 

“Non riusciamo a curarlo, gli iratze non hanno alcun effetto, e nemmeno i soliti intrugli di Hodge,” mormorò frenetica Isabelle, voltandosi a guardarlo, i grandi occhi scuri velati dal panico.

 

Magnus la superò, avvicinandosi al letto dalla parte libera. Alec, questo quindi era il nome del ragazzo con gli occhi blu. Anche lui era irriconoscibile, rispetto alla sera della festa. Mortalmente pallido, il viso contratto in una smorfia di dolore, i capelli corvini in parte appiccicati alla fronte, in parte sparati in tutte le direzioni. Gli appoggiò una mano sulla fronte, per rendersi conto della situazione. Era ghiacciata, sotto la patina di sudore.

 

“Alec?” mormorò leggermente. “Puoi sentirmi?”

 

“Non ha più ripreso conoscenza da quando siamo arrivati qui.”

 

Magnus non sollevò gli occhi su Isabelle, non ne aveva bisogno. Poteva intuire che nel suo sguardo ci fossero disperazione e speranza insieme, perché probabilmente in lui vedeva la soluzione al problema.

Soluzione? Quale?

Il veleno è già arrivato al cuore, sta morendo.

E’ il veleno di un demone superiore, la magia curativa non funzionerebbe.

Ed è debole, ferito gravemente, anche senza il veleno non potrei scommettere che si riprenderebbe.

Isabelle aspettò che lo stregone scansasse la mano, prima di riprendere la pezzuolina per asciugare il viso e il collo del fratello. Era sui carboni ardenti, come se temesse che dandogli fretta, Magnus si sarebbe rifiutato di guarirlo.

Dille la verità. Suo fratello morirà.

Non può farcela.

Magnus inspirò a fondo, serrando le mascelle. L’immagine di Alec alla festa gli era appena tornata in mente. I suoi occhi blu onesti, così diversi da quelli di Gideon e Gabriel. Così umili, semplici, ripuliti da ogni forma di arroganza a cui ormai era abituato. Una qualità di blu così terribilmente simile a quella di Will, eppure più pacati. Lo sguardo semplice di un ragazzo che era arrossito ad un complimento, e aveva abbassato gli occhi sentendo parlare del male compiuto dai suoi predecessori.

Si può morire a diciott’anni? Con il mondo intero che non aspetta che te?

E’ la loro legge, la venerano tanto. Sacrificano i loro figli a queste stronzate.

Non c’è niente che tu possa fare per cambiare questa follia.

 

“Magnus?”

 

“Esci dalla stanza, e chiudi la porta.”

 

Nota personale: niente più inutili giuramenti che tanto infrangerai comunque.

Sobrio o ubriaco che sia.

 

Isabelle esitò, come se le risultasse difficile anche solo l’idea di lasciare il fratello, ma non osò replicare. Girò sui tacchi e obbedì, chiudendosi la porta alle spalle con un rumore netto.

 

“Mi devi un favore, Alec Lightwood…” mormorò piano Magnus, mentre si liberava dalla giacca viola acceso, lasciandola cadere sulla sedia poco distante. Guardò ancora una volta il ragazzo, scansandogli i capelli dalla fronte, accarezzandogliela. “…e io non sono uno che dimentica i propri crediti. Quindi, vedi di sopravvivere abbastanza da ripagarmi.”

 

Alec non replicò né si mosse, il respiro ridotto ad un rantolo terribilmente lento e appena percepibile. Era questione di minuti. Magnus inspirò a fondo e chiuse gli occhi, posando entrambe le mani sul suo petto. Sussurrò alcune parole che i mortali non avrebbero saputo distinguere, perché non era una lingua del loro mondo, e percepì l’energia fluirgli attraverso le vene fino alle dita. Ma non era abbastanza, non per Alec, che stava per essere sconfitto dal veleno del demone. Le parole mutarono ritmo e intensità, e la lingua divenne quella ancora meno nota, una lingua che lui per primo avrebbe pagato pur di non conoscere. La lingua dei demoni. La lingua di suo padre. Magnus Bane stava per intingere il piede nel lago maledetto della magia nera, per un Cacciatore adolescente che neppure conosceva.

A dopo l’ironia della cosa, eh.

Quella specie di mantra che continuava a ripetere era diverso dalle solite magie curatrici a cui era abituato. Sentì nettamente l’energia triplicarsi, scorrere insieme al sangue come fosse una linfa maledettamente vitale, quasi avesse una voce suadente tutta sua che gli ricordava quanto le sue origini gli avrebbero concesso, se solo lui si fosse concesso a loro. Magnus restò concentrato, cercando di focalizzare solo su Alec. Sul modo in cui lo aveva guardato mentre si parlava della rivolta. Sul rossore tenero che gli aveva colorato le guance pallide, quando gli aveva lanciato l’invito a fine festa. Un ragazzo, era solo un ragazzo. Non poteva morire. Non doveva morire. Il mantra divenne più frenetico, le parole pronunciate più in fretta, e Magnus avvertì distintamente la sensazione di poter sfiorare il veleno quasi fosse una sorta di corda, un serpente che stava iniziando a danzare ai suoi ordini. Perse la cognizione del tempo, perché non seppe mai realmente quanto ci impiegò, ma alla fine il serpente scuro si piegò al suo volere, dissolvendosi in una nuvola nera in mezzo a scintille rosse come il fuoco.

Magnus socchiuse gli occhi, sbattendoli un paio di volte prima di riaprirli del tutto. Si scansò un velo di sudore dalla fronte, sbuffando fuori l’aria, e per un momento sentì  le forze vacillare.

Era un po’ che non mettevi mano a questa magia, mh?
Un po’ fuori esercizio.

Alec era ancora immobile, sul letto. Ad eccezione di un debole singulto, non sembrava fosse cambiato nulla. Ora il suo corpo era tornato libero dal veleno del demone, ma le ferite gravi erano ancora tutte lì. Magnus si chinò su di lui, prendendogli il viso fra le mani, portandogli le dita alle tempie.

 

“Sono abbastanza sicuro che tu possa sentirmi, perciò ascoltami bene…” gli sussurrò. “Adesso dobbiamo lottare insieme, d’accordo? Non puoi pretendere che faccia tutto io. Sto anche lavorando gratis, per cui sei doppiamente tenuto a fare la tua parte. Sono stato chiaro, Alec Lightwood?”

 

Non ti arrendere.

Non adesso.

Hai tutta la vita davanti, maledizione.

 

~ * ~*~

 

Isabelle si stava torcendo le dita, seduta per terra come quando era piccola, le ginocchia strette al petto e la schiena appoggiata al muro, davanti a quella porta che continuava ad essere chiusa da ore. Jace non era tornato, e neppure Hodge. Nessuno dei Fratelli Silenti si era scomodato, e Magnus Bane era chiuso nell’infermeria da oltre due ore. Aveva provato a contattare il Circolo, ma non era servito a nulla. Avrebbe dato metà della sua vita perché su quel letto ci fosse stata lei, e non suo fratello. Alec avrebbe saputo cosa fare, come comportarsi, a chi rivolgersi. Lei al momento si sentiva così maledettamente insicura, fragile, travolta dal terrore. Non era pronta a perdere suo fratello. E non riusciva a capire come Jace e Hodge li avessero lasciati in quelle condizioni, sebbene in quanto Cacciatrice, il sospetto che fosse successo qualcosa di grave si stava insinuando prepotente nel fiume di pensieri rivolti a suo fratello. Si scansò i capelli dal viso, asciugandosi una lacrima tardiva con nervosismo, tirando su col naso. Non riusciva neppure a sentire il dolore fisico dei colpi presi da Abbandon, o meglio, era grata ad ogni livido che con quella fitta la faceva sentire ancora viva, ancora con i piedi per terra. Doveva riprendersi la lucidità, rialzarsi, riprovare con il Circolo. Doveva semplicemente rimettersi in piedi, da guerriera, come sempre. Ma da sola, questa volta. Senza i suoi fratelli. Si stava alzando lentamente, come se le pesasse, ma quando vide la porta socchiudersi scattò in piedi, il respiro mozzo in gola.

Magnus aveva lo stesso aspetto di quando era arrivato, apparentemente distaccato, tranquillo, sebbene il colorito olivastro fosse un po’ più pallido di prima. Lasciò la porta socchiusa alle sue spalle, incrociando le braccia al petto.

 

“Siete abituati così, voi?” le domandò, placido. “Sono quasi le sette, e non c’è l’ombra di un caffè. Dopo la sveglia che mi avete dato, ce ne vorrebbe un pentolone, non credi?”

 

“Alec?”

 

“E’ vivo,” rispose Magnus, e il tono scherzoso scemò in uno più serio. Rimase appoggiato con la spalla alla soglia della porta, le braccia incrociate al petto, l’aria almeno in apparenza tranquilla. “Ma se vuoi che ti dica che è fuori pericolo, mi dispiace ma non ne ho la certezza. Non ancora. Le sue ferite erano molto gravi, è già un miracolo che abbia resistito tanto.”

 

Isabelle si morse le labbra, cercando di trattenersi.

 

“Voglio andare da lui.”

 

Magnus la osservò per un interminabile momento. Isabelle Lightwood era una ragazzina. Probabilmente un’ottima Cacciatrice, ma anche e soprattutto una ragazzina spaventata. E sola, al momento. Perché Hodge, almeno all’apparenza, si era volatilizzato con uno dei suoi allievi in fin di vita, e non era rimasto nessuno a tenerle la mano durante quelle ore di attesa.

In poche parole, stai avendo pena di lei.

Andiamo bene.

 

“A questo punto, madamigella, procederei per ordine di priorità. Per cui partiamo dal mio ettolitro di caffè. Poi torni qui, ti lasci sistemare, dal momento che non sarebbe molto utile che tuo fratello ti vedesse ridotta così, e poi forse sarebbe il caso di capire che fine ha fatto Hodge.”

 

“Devo-devo ricontattare il Circolo. Non riesco a raggiungere né lui né Jace, se riesco a dare l’allarme, o almeno a raggiungere i miei genitori- ”

 

“Vedi, ce ne sono di cose da fare,” Magnus le rivolse un sorrisetto sghembo. “Dopo il mio caffè, naturalmente.”

 

Isabelle serrò le labbra, mordendosele con forza. Avrebbe voluto mandare al diavolo lui, il suo caffè e la sua gelatina glitterante, ma quell’uomo aveva probabilmente salvato la vita di Alec. E ora come ora, era l’unico riferimento in un momento in cui sarebbe stata completamente sola. Inghiottì la risposta, dunque, e con un sospiro stizzito si diresse verso le scale.

Magnus aspettò che si fosse allontanata, prima di staccarsi dal muro e tornare verso nell’infermeria. Era molto meno buia, ora che la luce filtrava dal finestrone al lato della stanza. Era ancora immersa in un silenzio irreale, sebbene ora fosse spezzato dal respiro ansante di Alec. Magnus si sedette sul bordo del letto accanto a lui, osservandolo per un momento. Per quanto ancora sofferente, ora sembrava molto più vivo di quando aveva iniziato a curarlo. Il viso mortalmente pallido adesso era più colorito, il battito era più regolare, il respiro meno debole. Gli aveva saldato le ossa e richiuso ogni ferita, sebbene quelle alla gamba e i morsi al petto avessero avuto bisogno di un bendaggio, esattamente come la tempia, ancora livida per il colpo preso. La magia curativa aveva fatto il suo dovere, ora toccava a lui resistere e riprendersi. E il suo corpo stava lottando, a giudicare dalla febbre alta che non sembrava dargli tregua. Continuava ad agitarsi nel letto, mugugnando qualcosa di poco chiaro, stringendo la coperta con forza nel pugno. Magnus avrebbe voluto alleviargli quella pena, pronunciare un incantesimo che gli riportasse la temperatura ai livelli normali, ma quel ragazzo non era più in condizioni di reggere altri incantesimi, non dopo aver sopportato magia oscura, veleno di un demone superiore e ferite mortali, tutto insieme in poche ore.

Non posso aiutarti di più, Alec.

Devi farcela da te.

 

“Shh…” Alec biascicò qualcosa di poco chiaro, e Magnus si sporse ad accarezzargli la tempia sana con il dorso delle dita. “Ti manca davvero poco, sai. Devi solo resistere ancora un po’. Presto starai meglio.”

 

Alec singultò bruscamente, socchiudendo gli occhi. Li spostò su Magnus, senza veramente vederlo, ma guardando nella sua direzione. La mano che stringeva il lenzuolo si serrò disperatamente attorno al suo polso, mentre inghiottiva un singulto, sforzandosi di parlare.

 

“Is-Isabelle… e Jace… in p-pericolo…”

 

“Stanno bene, tutti e due” replicò pacato Magnus, continuando ad accarezzargli la tempia e la guancia madide di sudore.

Tu stai facendo a cazzotti con la morte, e ti preoccupi per loro.

 

“…d-demone…”

 

“Spedito in vacanza da un Cacciatore con un gran bel sedere,” gli rispose Magnus, sorridendo appena. Scrollò leggermente le dita, e la pezzuolina con cui gli aveva ripulito le ferite tornò completamente linda, umida di acqua fresca. La usò per rinfrescargli la fronte, accarezzandogli con insolita dolcezza il viso. “Andrà tutto bene, Alec. Puoi fidarti.”

 

Alec sbattè leggermente gli occhi, guardandolo. Mormorò qualcosa, ma aveva la voce impastata e forse non aveva neppure pronunciato qualcosa di sensato. Richiuse gli occhi, cercando col viso quella sensazione di fresco che avvertiva grazie alle carezze, e inspirò più a fondo, senza lasciare la presa sul polso dello stregone. Magnus non osò scrollarsi quella mano di dosso, né ammettere a se stesso quanto quella situazione lo stesse coinvolgendo. Alec Lightwood non poteva morire, doveva poter riaprire quegli occhi incredibilmente blu e godersi la vita. Doveva semplicemente farcela, perché lo meritava molto più di tanta gente che in ottocento anni gli era capitata davanti. Perché sarebbe diventato un grande Cacciatore, e non nel senso guerriero del termine. Aveva dimostrato di avere il cuore al posto giusto, cosa tutto fuorchè scontata in uno della sua razza.

Forza e coraggio, Alec.

Sei arrivato. Ti manca solo lo sprint finale.

Scommetto su di te.

 

~*~*~

 

Isabelle non riusciva a contenere il sorriso, seduta sul letto del fratello, mentre gli accarezzava il viso umido con la pezzuolina. Dopo ore di ansia e angoscia, finalmente poteva tirare un sospiro di sollievo. Alec riposava tranquillo, il respiro regolare, il battito più stabile, il viso ancora pallido ma non più arrossato dalla febbre violenta, che era andata via da sola. Le sembrava quasi irreale ammetterlo ad alta voce, ma finalmente suo fratello era fuori pericolo. Non osò dire nulla, mentre Magnus posava la mano sulla sua fronte, controllando probabilmente per l’ultima volta le sue condizioni.

 

“Direi che è come nuovo. Più o meno.” Magnus piegò le labbra in un sorriso sghembo, senza nascondere una certa fierezza. Spostò la mano dalla fronte di Alec, accarezzandogli la tempia un’ultima volta, prima di infilare entrambe le mani nelle tasche. “Le fasciature che gli ho lasciato, sarà meglio che le tenga fino alla fine della settimana. Cambiale una volta al giorno, vedrai che le ferite cicatrizzeranno abbastanza in fretta, nonostante tutto.”

 

“Ricevuto,” Isabelle annuì, mettendo via la pezzuolina. “Non so come avrei fatto se non ci fossi stato tu.”

 

Magnus scrollò le spalle. “Avresti preparato un caffè meno forte.”

 

Isabelle alzò gli occhi al cielo, senza impedirsi un mezzo sorriso. C’era ancora da capire dove fossero Jace e Hodge, ma era riuscita a sentire sua madre ed avvertirla. Alec era fuori pericolo. Sentiva di essere tornata in sé, nel pieno delle sue capacità di Cacciatrice, lucida e razionale. E pronta a fare il sedere di Jace a stelle e strisce per essere scomparso senza avvertirla.

 

Magnus inclinò il capo, accarezzando con lo sguardo Alec. Il suo sonno era finalmente tranquillo, e gli faceva venire una gran voglia di sdraiarsi accanto a lui, e aspettare il suo risveglio giocherellando con quei capelli tanto spettinati, o sfiorandogli con le dita le labbra piene, per il solo gusto di vederlo arrossire nell’istante in cui avesse riaperto gli occhi.

Forse è arrivato il momento di andare, mh?

Decisamente.

 

Con aria del tutto tranquilla e naturale, raccolse la giacca viola dalla sedia su cui l’aveva lanciata, infilandosela. “Bene, se non ci sono altri fuori programma…” si sistemò meglio il colletto, infilando le mani nelle tasche dei jeans. “…posso tornare ai miei affari.”

 

Isabelle si alzò in piedi, umettandosi le labbra. “Magnus… grazie. Grazie davvero.”

 

“A buon rendere, Isabelle.” Lo stregone scrollò una spalla, pizzicandole il mento, prima di dirigersi verso l’uscita.

 

“Magnus, aspetta!”

 

“Devo curare anche il gatto, o posso andare?”

 

“Come facevi a sapere… chi ti ha detto di venire?” Isabelle inclinò il capo, accigliandosi. “Alec ti deve la vita, e non sappiamo nemmeno perché tu fossi qui.”

 

Magnus schioccò le labbra, con un mezzo sorriso. Quella si che era una buona domanda. Hodge lo aveva chiamato, ma l’aveva deciso lui di venire. Oh si. Di restare, di lottare assieme a quel ragazzo, di aspettare che fosse fuori pericolo, tutte scelte sue.

Già, perché eri qui?
Per farti di nuovo trascinare nei loro casini?

Non le rispose, se non con un cenno di saluto, prima di uscire dalla stanza e in pochi passi, dall’Istituto.

Almeno lo sai, si, di aver fatto una cazzata?

Forse. O forse no.

Come si dice… il tempo è galantuomo, e svelerà quel che c’è da svelare.

Qualsiasi cosa sia.

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Capitolo 2
*** The one on his first date ***


Tutto ciò aveva dell’ironico.

Alec aveva affrontato battaglie ben più grandi della sua età, e stare dietro a Jace significava anche mettersi in costante pericolo per il puro gusto di farlo, ammesso che di gusto si potesse parlare. E mai, in una di queste occasioni, si era ritrovato a maledire i palmi delle sue mani… perché sudaticci e malfermi.

Camminava – o meglio, zoppicava – per la strade di Brooklyn da qualche decina di minuti, sicuro di non essere in ritardo ma non volendo neppure presentarsi in anticipo. Nascondeva le mani sudate con ostinazione nelle tasche del giubotto, i capelli corvini spettinati dal vento, i grandi occhi blu che al solito spiccavano nettamente sul colorito pallido. Il maglione che indossava li metteva ancora più in evidenza, maglione che, ovviamente, per puro caso una totalmente inconsapevole Isabelle aveva fatto trovare sul letto del fratello.

Tutto questo è assurdo.

Jace mi darebbe della mondana tredicenne.

…e si era detto niente Jace stasera, quindi no.

Me lo dico da solo, il che è anche peggio.

Probabilmente ci avrà già ripensato, oltretutto.

Ecco, quel pensiero se da un lato gli lasciò una stretta amara alla bocca dello stomaco, dall’altro lo incoraggiò a procedere alla volta della casa di Magnus. Di sicuro uno come lui, per giunta con la sua fama e la sua storia, non si sarebbe presentato a un appuntamento smozzicato a fil di voce da un ragazzino incasinato come lui. Si, Alec era abbastanza certo che Magnus non si sarebbe presentato al loro appuntamento.

Il che gli fece tornare l’onnipresente smorfia corrucciata, e le mani asciutte in pochi istanti.

E mi ci sono anche illus-

 

“Alexander?”

 

La voce divertita gli fece spalancare gli occhi, e in quel momento Alec realizzò che aveva superato il portone di casa Bane, procedendo senza pensare verso la fine del marciapiede. Si voltò, il viso ancora più pallido, e riconobbe immediatamente il divertimento nello sguardo felino di Magnus, che lo stava osservando con la testa inclinata.

 

“Ahm…”

 

Magnus curvò le labbra in un sorrisetto storto, incrociando le braccia al petto. “Ti avrei anche salutato, quando mi sei passato davanti stile metropolitana, ma non volevo interrompere il flusso di coscienza.”

 

“Io, uhm…” Alec arrossì, passandosi la mano sulla nuca e sentendosi profondamente idiota. E ovviamente, le mani erano tornate a sudare. “Scusa, ero sovrappensiero e non mi sono accorto di essere arrivato.”

Non solo è venuto.

Ci ho anche fatto una figura pessima.

Fantastico. E’ così che si inizia un degno primo appuntamento.

 

Magnus sembrò leggergli nel pensiero, perché il suo sorriso si sciolse in una smorfietta divertita, ma benevola. “La classica ansia da prestazione del primo appuntamento, Alec, non la scampa nessuno. Tranne me, ovviamente.”

 

Sempre più rosso, Alec accennò un sorriso, prendendosi qualche istante per osservare lo stregone. I capelli scuri erano ovviamente cosparsi di una gelatina glitterata che li teneva su, in una sorta di cresta, che tutto sommato calzava bene con i jeans di pelle di drago e la giacca bianca. Magnus aveva un suo stile, probabilmente discutibile, ma una cosa non si poteva negare: che gli stesse non bene, ma di più.

 

“Mi fa piacere che ti piaccia quello che vedi.”

 

Alec arrossì furiosamente, affrettandosi a scuotere la testa. “Ehi, non è che ti stessi fiss-”

 

Non riuscì a finire la frase, comunque, perché Magnus si avvicinò e lo baciò, le labbra ancora piegate in un sorriso. Non approfondì il contatto, per quanto il profumo del ragazzo e della sua pelle lo richiedessero a gran voce, ma si limitò ad un bacio a stampo che si concluse in pochi istanti.

 

“Regola numero uno dei primi appuntamenti,” gli disse, tornando a guardarlo sornione. “Si è autorizzati a fissare e apprezzare la controparte.”

 

Alec bofonchiò qualcosa di poco chiaro in risposta, ma non c’era molto da obiettare. Non con il sapore di Magnus sulle labbra, e la sensazione di pizzicore al cuore che richiedeva di più. Rabbrividì quando sentì la mano dello stregone sulla propria schiena, mentre gli faceva cenno in direzione dell’incrocio davanti a loro.

 

“Non so tu, ma stasera ho voglia di cibo italiano. C’è un posticino abbastanza buono a cinque isolati da qua, che ne dici?”

 

“Per me va benissimo,” Alec inspirò appena, infilando le mani di nuovo nelle tasche del giubotto. “Non sono mai stato in un ristorante italiano.”

 

“E’ una delle mie cucine preferite.” Magnus sorrise largamente, e ad Alec non sfuggì quanto fosse luminoso quel viso, con quell’espressione divertita e tranquilla. “Sarà che amo l’Italia in generale. Ci sei mai stato?”

 

Alec scosse la testa, camminando. “No, conosco solamente Idris e New York.”

 

Magnus strabuzzò gli occhi. “Dici davvero?”

 

Alec fece spallucce. “Beh, non abbiamo molto tempo per viaggiare, quando studiamo, intendo. Fino a sedici anni, fra teoria e pratica, abbiamo un casino di materie da-”

 

“E io resterò sempre dell’idea che troppo studio nuoce gravemente alla salute,” rispose rilassato Magnus. “Il mondo è pieno di luoghi interessanti, magici anche senza la magia per come la conosciamo noi. E meritano tutti di essere visti e vissuti.”

 

“Hai girato il mondo?”

 

“Non abbastanza. Ma qualcosina l’ho vista.”

 

“Tutto considerato, potresti partire in qualsiasi momento con uno zaino e la tua magia… insomma, non ti mancherebbe niente, no?”

 

Magnus inarcò appena le sopracciglia, e per un momento rimase chiuso in un enigmatico silenzio, prima di increspare le labbra in una smorfia vispa. “Chi lo sa. Ma prendo per buono il tuo suggerimento, la mia prossima vacanza sarà un giro intorno al mondo con uno zaino in spalla.”



~*~*~


Ed ecco la seconda cosa che stava facendo ricredere Alec su Brooklyn: il ristorante italiano aveva una cucina più che buona, Magnus aveva scelto i piatti migliori, quelli che già aveva assaggiato e qualche novità, e già da un po’ il loro tavolo si era trasformato in un trionfo di manicaretti dai colori accesi, un piatto in legno ricoperto di fritturine miste troneggiante al centro.

 

“Adesso hai capito perché sono di casa, qui?”

 

“Diamine, mi meraviglio del fatto che non hai ancora sequestrato il cuoco!”

 

Magnus ridacchiò, assaporando a piccoli morsi un bocconcino di mozzarella. “L’idea mi ha sfiorato, una volta o due,” gli rispose, guardandolo divertito. “Ma non credo che il Presidente gradirebbe.”

 

Alec inghiottì la sua cucchiaiata di ravioli freschi, osservando le altre portate con la semplicità e l’avidità di un ragazzino, strappando un sorriso a Magnus.

 

“Jace mi ucciderebbe, se sapesse che conosco un posto dove si mangia tanto bene, e non ne abbiamo mai approfittato in assenza di mia madre.”

 

Sentendosi osservato dagli occhi da gatto di Magnus, Alec alzò lo sguardo per incontrarli. Sembrava incuriosito, e al tempo stesso disposto a lasciargli scegliere quanto rivelare di sé.

 

“Mia madre e mio padre non sono ancora tornati, e in genere è mia madre a cucinare. Izzy è incapace, anche se le diamo atto che si impegna. Ma in genere quando lei si avvicina ai fornelli, noi abbiamo il tacito accordo di uscire a procacciarci cibo commestibile come piano B.”

 

Magnus increspò le labbra e rise leggermente, rilassandosi contro lo schienale della sedia, e Alec non potè fare a meno di notare che aveva davvero un bel suono, la sua risata. La tensione di poco prima era scemata in gran parte, ora si sentiva più a suo agio. Non che fosse questo gran chiacchierone, insomma, ma almeno aveva smesso di sentire la lingua appiccicata al palato.

 

“La dura vita da giovani Cacciatori,” esclamò Magnus, portandosi il dorso di una mano alla fronte e ridendo piano. Scrollò una spalla, prendendo con le dita una delle fritturine dal piatto di legno. “Non smetterò mai di pensare che voi ragazzi siete tutto lavoro, e niente spasso.”

 

“Ne hai conosciuti parecchi di Nephilim?”

 

“Anche troppi, oserei dire.”

 

“Quanti anni hai?”

 

“Non lo sai che non si chiede l’età, né alle signore né agli stregoni?” Magnus gli rivolse un sorriso sfacciato, inghiottendo il boccone e facendo un cenno vago con la mano. “Più o meno, trecento. Diciamo che non sono così interessato a tenere il conto.”

 

“Wow” Alec inarcò le sopracciglia, contenendo un’esclamazione stupita.  “Deve essere strano.”

 

“Avere trecento anni?”

 

“Aver visto il mondo cambiare per tanto tempo,” Alec inclinò appena il capo, guardandolo pensieroso. “Assistere a tutti i cambiamenti che ci sono stati. Nel nostro mondo, fra i mondani…”

 

Per qualche istante, Magnus rimase in silenzio. Alla fine si limitò a fare spallucce, prendendo un pezzetto di pane. “E’ molto meno appariscente di quanto immagini, Alec. E’ come vedere un figlio che da bambino, diventa adulto. E commette sempre gli stessi errori, bambino o adulto che sia.”

 

Alec non rispose. Non avrebbe saputo cosa dire, non era il Jace della situazione lui, ma aveva percepito tanto dietro quelle parole apparentemente mormorate a caso. Magnus probabilmente voleva apparire come il classico menefreghista, ma gli era sembrato di percepire qualcosa nel suo tono. Quasi una certa triste nostalgia.

In trecento anni, avrà avuto anche più di una storia seria.

Hai mai perso qualcuno che amavi?

…domanda da mondana tredicenne, vero Jace?

 

“Ti perdi spesso a pensare, tu?”

 

Alec arrossì furiosamente. “No, non… stavo solo-”

 

“Pensando?” Magnus ridacchiò, facendogli un occhiolino. “E’ un difetto di chiunque non abbia avuto una sana infanzia di videogiochi.”

 

“…come?”

 

“…non dirmi. Non hai mai giocato-non ci credo!” Magnus trabuzzò gli occhi, scuotendo la testa come fosse sdegnato al solo pensiero. “Mai abbattuto un aeroplanino a colpi di fucile?”

 

Alec scrollò il capo, grattandosi una tempia. “E’ come decapitare demoni, no?”

 

“Ci mancherebbe, è molto meglio! Ho capito, ci penso io. Appena finiamo di mangiare, andiamo a casa mia e ti faccio vedere cosa intendo. E non ho intenzione di morderti, non ancora, almeno, quindi non c’è bisogno che mi diventi un peperone.”

 

Inutile anche dirlo, Alec arrossì e brontolò qualcosa, fissando il suo piatto quasi vuoto.

 

~*~*~

 

Il primo pensiero di Alec nel vedere quella specie di affare con cui stava trafficando Magnus di fronte alla televisione, era stato quanto dovesse essersi affezionato ai mondani nel corso di quei lunghi trecento anni. Il secondo pensiero, dedicato alla sua posizione china con il sedere bene in vista, era stato prontamente soffocato dal consueto rossore sulle guance. Il terzo pensiero, arrivato dopo il controller dell’affare infernale e la spiegazione sulle regole del gioco, era stato molto più tipico di Alexander Lightwood.

 

“I mondani desiderano davvero fare la guerra, se insegnano questo ai loro figli,” mormorò poco convinto, premendo a ripetizione i tasti per evitare gli attacchi del fantoccio mosso da Magnus.

Non avete mai provato che significa usarla davvero, una spada come quella?
Non è divertente, è un compito ed è una cosa seria.

A meno che non siate tutti replicanti di Jace.

E la cosa sarebbe seriamente inquietante.

 

“Tutta questa serietà perché ti sto facendo il culetto a stelle e strisce, Alexander?” Magnus arricciò gli occhi felini in una smorfietta furba e divertita, intensificando gli attacchi del suo guerriero. Poche mosse, e il fucile a raggi laser del suo fantoccio abbattè senza pietà quello di Alec, facendolo esplodere in un’esultanza con tanto di ballettino improvvisato.

 

“Si, ti ci vorrei vedere dal vivo, a te e questi affari.” brontolò Alec, vagamente arrossito più per lo sculettare di Magnus che non per la sconfitta in sé. Quando gli sedette di nuovo accanto, fece una smorfia e gli porse il controller. “Sul serio, i ragazzini mondani giocano così?”

 

“Mh, non fare tanto lo sdegnoso, tesoro” Magnus si sedette più che comodo sul divano, facendogli una carezza alla guancia col dorso della mano. “Voi figli dell’Angelo, non mi pare che scherziate. A che età iniziano ad addestrarvi, ricordami un po’?”

 

“Ma è diverso, noi abbiamo… è il nostro dovere, siamo nati per questo” replicò Alec, il tono serio e deciso, ma non duro o saccente. “Ci addestriamo fin da piccoli perché i demoni non fanno differenza fra adulti e bambini, dobbiamo poterci difendere. Ma questo…”

 

“Si?”

 

Alec si mordicchiò le labbra. “Non voglio offendere nessuno, ma è come insegnare che la violenza è l’unico divertimento, ecco tutto.”

 

Magnus non rispose, si limitò a guardarlo negli occhi per un lungo momento, lungo abbastanza perché Alec avvampasse di nuovo. Erano così vicini che il suo profumo gli invadeva le narici, una fragranza esotica, piacevole. E quando le lunghe dita affusolate presero a giocherellare con i capelli alla base della sua nuca, Alec si trattenne dal socchiudere gli occhi.

 

“Sei così… unico nel tuo genere,” mormorò Magnus, continuando ad accarezzarlo con lo sguardo e le dita. “Sono molto più abituato a Cacciatori come il tuo amico Jace, o tua sorella.”

 

Alec deglutì, senza osare sottrarsi alla piacevole tortura sulla nuca. Era abbastanza certo di avere la pelle d’oca. “E’… negativo?”

 

Magnus sorrise e scosse la testa. “Al contrario.”

 

I brividi si moltiplicarono nell’istante in cui la mano libera di Magnus risalì lungo il suo fianco, infilandosi sotto il maglione per accarezzarlo direttamente, e Alec si morse appena le labbra, senza distogliere lo sguardo. Potè giurare di aver letto qualcosa di indefinibile nello sguardo di Magnus, ma dimenticò tutto nell’istante in cui sentì di nuovo le sue labbra sulle proprie. Fu un po’ come prendere fuoco, sentire tutto il corpo prendere vita ovunque quelle mani affusolate scorressero esperte. Nessun gesto era lasciato al caso, qualsiasi movimento del corpo di Magnus, delle sue labbra, gli stavano suscitando sensazioni che non aveva mai provato prima. Rispose al bacio con l’irruenza dell’inesperienza, una mano avvinghiata ai suoi capelli, l’altra più ardita si fece strada sulla schiena dello stregone, infilandosi sotto la maglia viola. Magnus emise un sospiro di piacere contro le sue labbra, stringendolo di più a sé. Quando si ritrasse dal bacio, Alec si morse le labbra per non lamentarsi ad alta voce, anche se non potè trattenere il gemito successivo, quando le labbra di Magnus presero ad attaccare una porzione del suo collo proprio sotto l’orecchio, accanendosi in una dolce tortura.

Il tempo si prolungò in un un lungo istante di fuoco, e Alec non realizzò che era il suo il respiro leggermente affannoso che riempiva l’aria, non finchè sentì le labbra di Magnus sfiorare nuovamente le proprie in un bacio più lento, lungo, e poi fu la volta del suo indice, che gli sfiorò le labbra piene altrettanto lentamente.

 

“Tu nemmeno puoi immaginare quanto ti desideri in questo momento,” gli mormorò all’orecchio Magnus, e solo un attimo dopo, pigiandogli appena le labbra, si fece indietro.

 

Alec sbattè gli occhi, cercando di recuperare la lucidità. Ok che non aveva esperienza in materia, ma dopo tutto quello e quelle parole, perché Magnus si era allontanato sul divano? Lo guardò confuso, accigliandosi.

Ho fatto qualcosa di sbagliato…?

 

Magnus sembrava rilassato e tranquillo, sebbene il suo sguardo tradisse tutto il suo tumultuoso desiderio. Sorrise leggermente, appoggiando la guancia ad una mano, senza smettere di fissarlo. “Da quanto tempo sei innamorato di Jace?”

 

Alec rimase senza fiato per un paio di secondi. Socchiuse le labbra, cercando di pensare ad una risposta logica, ma le parole lo stavano fregando più del solito. Sentiva ancora troppo forte ogni sensazione di qualche istante prima, per di più quello era l’argomento tabù della sua vita, più ancora del suo stesso essere gay.

Ma come-come diavolo lo sa?
Gliel’ha detto Clary.

Lo sapevo.

Avrei dovuto-

 

“Lo stai facendo di nuovo,” canticchiò Magnus, ridendo e appoggiandogli una mano sul ginocchio. “Rilassati, Alexander. Non voglio metterti in difficoltà. Nessuno mi ha detto nulla, se te lo stai chiedendo. Sono un buon osservatore.”

 

Alec si morse le labbra, abbassando lo sguardo. Non sapeva davvero cosa rispondergli. Anche perché quel discorso proprio in quel momento…

Ma certo.

Pensa che io sia qui solo perché voglio vedere cosa si prova.

 

“Ascolta, se-se pensi che io sia venuto qui stasera per… non volevo prendermi gioco di te, n-”

 

La risata di Magnus lo interruppe, e Alec lo fissò confuso. Non era scherno, sembrava davvero divertito.

 

“Tesoro, ti assicuro che non è facile prendermi in giro, mi vanto di non lasciar accadere mai niente che non voglio.” Il sorrisetto sghembo di Magnus non vacillò, neppure quando sfiorò con la punta delle dita una runa che spuntava dal colletto del maglione di Alec, strappando un brivido a entrambi. “Mi chiedo solo… vuoi dimenticarlo?”

 

Alec deglutì, inspirando profondamente. “Tra me e lui non potrà mai esserci niente.”

Se solo sapesse…

No, per carità.

 

“Mh.” Magnus continuò a giocherellare con le dita lungo la runa sul collo di Alec, guardandolo. “Dunque io sarei la seconda scelta…?”

 

“No,” Alec scosse la testa, gli occhi blu, se possibile, di un colore ancora più intenso del solito. “Io non-non so cosa sei, o siamo, non so nemmeno che sta succedendo qui. Ma non…”

Non sei una seconda scelta, ok?

 

Magnus tornò ad avvicinarsi, posandogli una mano sulla guancia. Gli accarezzò lo zigomo col pollice, senza smettere di guardarlo negli occhi. “Ehi,” sussurrò. “Non c’è bisogno di dare un nome a tutto questo. Tutto ciò che ti chiedo… voglio solo sapere, Alec, se davvero sei disposto… un passetto alla volta… a lasciarti alle spalle il suo amore per lui.”

 

Alec si morse le labbra, accigliandosi appena.

Jace? Lui è tutto ciò che io non potrò mai avere.

Non lo può nemmeno sapere.

 

“Non ho fretta, ti posso aspettare” continuò lo stregone, sorridendo appena e passandogli il pollice sulle labbra. “Posso anche aiutarti a dimenticarlo, ma devi volerlo tu. E’ tutto ciò che voglio sapere.”

 

Alec inspirò a fondo. Era una richiesta più che giusta, e al tempo stesso… nella sua giusta fermezza, non gli faceva paura. Si, non era convinto di poter imbavagliare i suoi sentimenti per Jace dalla sera alla mattina, ma una cosa non poteva negarla: Magnus riusciva a toccare corde che nessuno aveva fatto prima, e non solo fisicamente parlando. I suoi occhi così strani, quel suo stile bizarro, la sua voce calda e tranquilla, tutto di lui gli faceva desiderare di più. Non gli aveva chiesto una promessa d’amore, ma semplicemente la certezza che non lo avrebbe usato e gettato se Jace si fosse accorto di lui. E questo non sarebbe mai, mai accaduto. Forse lui era davvero l’unico… l’unico che poteva prenderlo per mano, e fargli sognare qualcosa di diverso.

E perché sapeva bene di non essere bravo con le parole, Alec si sporse e replicò con un bacio, affidando a quel contatto molto meno impacciato la sua risposta, e quelle sensazioni che non si sarebbero concretizzate facilmente a parole. Di una cosa fu certo: la risposta altrettanto impetuosa di Magnus era la prova che stavano davvero parlando la stessa lingua.

Non te ne andare, ok?
Non te ne andare.

 

 

 

Ma che emozione, tre recensioni *____* grazieeeeee ♥ ♥ ♥

Adamantina: sai che anche io ero Jalec in origine? :D poi seguendo l’evoluzione delle cose, sono diventata una Malec di cuore J grazie da morire per i tuoi complimenti, mi hanno resa felice *__*

Mizar: grazie mille *___* sai, della storia del padre di Magnus si sa ancora molto poco, fa parte di quel che Cassandra (e Magnus) si tengono ancora stretti… si sa solamente che suo padre è uno dei Principi dell’Inferno, i demoni superiori, ma per nome e cognome, restiamo in attesa…

Ginny Potter: grazie mille carissima *___* i tuoi aaaws sono motivo di gioia J corro a recensirti, fra l’altro, che non l’ho ancora fatto!

 

Alla prossima, e grazie ancora! :D

 

 

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Capitolo 3
*** The one who gets his first bite mark ***


Jace slid the blue shirt over his head. Dressed, he padded after Alec into the hallway. “You have something on your neck," he observed.

Alec's hand flew to his throat. “What?”

“Looks like a bite mark,” said Jace. “What were you doing out all night, anyway?”

“Nothing.” Beet red, his hand still clamped to his neck, Alec started down the corridor. Jace followed him. “I went walking in the park. Tried to clear my head.”

“And ran into a vampire?”

“What? No! I fell.”

“On your neck?”

                                                            Cassandra Clare, City of Ashes

 

 

 

Una delle cose che accomunava Magnus e il Presidente, era l’udito. Avevano entrambi percepito, prima ancora che il citofono gliene desse conferma, che quei passi un po’ trascinati lungo le scale appartenevano proprio ad Alec. Sorpreso quanto contento, Magnus abbandonò il suo progetto di prepararsi la cena da solo e gli andò incontro, raccogliendo il Presidente lungo il tragitto con un movimento agile del polso, e aprendo la porta con la mano libera.

 

“Quindi siamo alla fase delle sorprese, eh?”

 

Alec si trascinò dentro l’appartamento, e il sorriso scivolò via dalle labbra di Magnus. Non era tanto l’aria trasandata, se possibile, più del solito. Non erano passate neppure due settimane dallo scontro con Abbandon, Alec si era ripreso bene, nonostante si ciondolasse ancora un po’ su quella gamba. Adesso però ci stava zoppicando pesantemente. E aveva un’aria tutto fuorchè allegra. Magnus mise giù il Presidente, che andò a strusciarsi contro la gamba sana del nuovo arrivato, per poi sfilare elegantemente via.

 

“Stai zoppicando.”

 

“Sono due settimane che zoppico,” Alec fece una smorfietta vaga, come se fosse l’ultimo dei suoi problemi. “L’hai detto anche tu, deve sistemarsi la ferita…”

 

“Sono due settimane che ti trascini la gamba, stasera non ti ci appoggi.” Magnus agganciò un dito alla tasca dei jeans di Alec, trascinandoselo verso uno dei tre divani di fronte al finto camino. Lo fece sedere con un gesto piuttosto imperativo, prendendo posto sul tavolino di fronte e tirandosi sulle proprie gambe quella dolorante del ragazzo. “Che hai fatto?”

 

Alec si massaggiò la nuca, spettinandosi di più. “Ahm… un demone dragone.”

 

“Un demone dragone?” Magnus alzò gli occhi, accigliandosi. In quel momento notò anche il brutto graffio lungo la guancia, già in fase di cicatrizzazione. “Ma non si erano estinti?”

 

Alec alzò gli occhi al cielo. “Jace è riuscito a provare il contrario.”

 

Magnus serrò le mascelle e non replicò, spostando la sua attenzione sulla gamba. Soffiò a fil di voce poche parole, e la mano, avvolta da un bagliore blu, passò sicura lungo la stessa porzione di pelle che solo due settimane prima aveva curato con tanta difficoltà.

Ovvio.

Jace decide di fare il pazzo, e tu gli vai dietro.

Cosa importa se questo ti mette in pericolo di vita.

O è il Concilio, o è Jace.

 

“Meglio?”

 

“Molto,” Alec buttò fuori un sospiro profondo, scrollando appena il capo. “Ma non era importante. Voglio dire… non sono qui perché mi curassi. Jace mi ha fatto un paio di iratze-”

 

“Forse Jace avrebbe potuto provare a pensare, prima di giocare a uccidere la noia e i demoni che neppure esistono più,” replicò sferzante Magnus, la cui mano era tornata normale. “E magari ricordarsi che, fino a due settimane fa, la tua gamba era un simpatico puzzle da seicento pezzi.”

 

“Non è un buon momento per lui, ok?” replicò stancamente Alec, passandosi le dita lungo la fronte come fosse esausto. “Non mi ha costretto nessuno a seguirlo.”

 

Come se non lo sapessi.

E come se non fosse anche peggio, questo.

 

Magnus inclinò il capo, lasciando che gli occhi felini scorressero lungo il viso e il corpo del ragazzo alla ricerca di altri danni. A parte una immensa stanchezza, sembrava a posto. E molto triste. Inghiottì, lasciando andare la sua gamba e prendendo posto accanto a lui. Ironia della sorte, per una volta avevano qualcosa di simile addosso: entrambi una felpa blu. Ovviamente, quella di Magnus era blu elettrico.

 

“Scusa, non volevo piombare qui senza avvertire.”

 

“A me non dispiace per niente,” Magnus abbozzò un sorriso, facendogli scorrere il dito lungo il graffio sulla guancia e risanandoglielo completamente. L’istinto di gelosia che il solo nome di Jace gli dava, aveva ceduto il posto alla preoccupazione. “Ti fermi qui a cena? Stavo provando a fare una pizza. Ma credo che il tentativo possa classificarsi come fallito.”

 

“Lo vorrei da morire, credimi” Alec si sporse in avanti, i gomiti sulle ginocchia, passandosi stancamente le mani sul viso. “Ma è tornata mia madre. Insieme a… un bel po’ di brutte nuove.”

 

Magnus inarcò appena le sopracciglia. Infilò con dolcezza la mano sotto la felpa del ragazzo, sfiorandogli la pelle della schiena lentamente, dolcemente. Lo sentì rabbrividire, poi rilassarsi un po’.

 

“Del tipo?”

 

“Del tipo, che Jace non ci aveva detto niente su Hodge.” Alec si morse le labbra, serrando i pugni. “Isabelle e io eravamo ancora convinti che fosse disperso, e invece… a quanto pare, era alleato di Valentine. E’ stato lui a consegnare Jace a suo… padre.”

 

“E’ stato lui anche a chiamare me, per dirmi che tu eri ferito gravemente.”

 

“Tutti questi anni insieme!” Alec scattò in piedi, anando ad appoggiarsi con un gomito contro la finestra. Non gli era semplice aprirsi, rivelarsi… scoprirsi vulnerabile con qualcuno. “L’ho sempre considerato il nostro maestro. Ho provato pena per lui, ogni volta che ho pensato a quanto dovesse essere dura la sua condanna.”

 

Magnus non si mosse. Aveva imparato a conoscerlo, quel ragazzo. Uno sfogo… aprirsi. Probabilmente era quanto gli risultava più difficile. E il fatto che fosse lì, da lui, che fosse proprio a lui che si stava mostrando vulnerabile, gli gonfiava il cuore di un milione di emozioni diverse.

 

“Perché tutto questo dovrebbe cambiare?”

 

“Stai scherzando, o non mi hai sentito?”

 

“Né l’uno, né l’altro.”

 

“E’ un alleato di Valentine!”

 

“Ed è così facile tracciare una linea fra bianco e nero, quando c’è la guerra di mezzo?” Con un lieve sospiro paziente, Magnus si alzò in piedi, raggiungendolo. Infilò le mani nelle tasche dei jeans strappati, facendo spallucce. “La vostra legge è durissima, e spesso parziale. Hodge ha pagato per i misfatti di molti, a suo tempo, e ha pagato un prezzo carissimo. Ti rendi conto cosa significhi dover rinunciare alla propria libertà, Alexander? Si può dire che il tappeto rosso verso Valentine, gliel’abbia praticamente steso il Circolo.”

 

Alec si voltò, basito. “Stai forse dicendo- ”

 

“Che Hodge è un agnellino innocente? No, assolutamente no.” Magnus incrociò le braccia al petto, alzando il mento. “Ho combattuto contro quelli come lui a suo tempo, Alec. Ma è vero che ha pagato un prezzo troppo alto, qualcosa che lo ha messo in condizione di attendere, desiderare il ritorno dell’unico che poteva tirarlo fuori dai guai.”

Tu non sei come loro, non ragioni per bianco o nero.

Esiste il grigio, Alec.

Non dimenticarlo.

 

Alec non replicò, incapace di staccare gli occhi dallo sguardo magnetico di Magnus. Alla fine, esitando, tornò ad appoggiarsi alla finestra, la fronte contro il braccio. “Credevo che significassimo qualcosa per lui…”

 

“E infatti è così.” Magnus fece un piccolo sorriso, avvicinandosi e appoggiando entrambe le mani sui fianchi di Alec. Gli depositò un bacio sulla spalla, appoggiandovi poi il mento. “Guarda che cosa ha fatto prima di fuggire. Ha chiamato l’unico che potesse salvarti.”

 

“Ma ha consegnato Jace…”

 

“…a suo padre, sapendo che non gli avrebbe torto un capello.” Magnus strofinò leggermente il naso contro il collo di Alec, incrociando il suo sguardo nel riflesso della finestra, al di sopra di una Brooklyn straordinariamente illuminata. “Nessuno di voi tre è mai stato realmente in pericolo per mano sua. Se ci rifletti, sei libero di pensare quel che vuoi di Hodge Starkwheater. Ricordati solo che non ce l’ha mai avuta con voi, e che anzi, ti ha protetto e salvato, a modo suo.”

 

Alec si morse le labbra, abbassando gli occhi sulle luci in lontananza, sotto la finestra. Rimase in silenzio, lasciandosi cullare dai brividi che gli davano le carezze di Magnus sui fianchi. Sospirò più profondamente quando le lunghe mani affusolate risalirono leggermente lungo la sua pelle, percorrendo le ossa del bacino, e gli sfuggì un tremito.

 

“Sei più teso di una corda di violino,” Magnus gli sfiorò l’orecchio con le labbra, depositandogli un bacio sul collo. Suo malgrado, tirò via le mani e le appoggiò sulle spalle del ragazzo, costringendolo a voltarsi. Si prese un istante per godere del rossore sulle sue guance, prima di dargli un buffetto al mento. “Non è solo Hodge il problema. Non è così?”

 

Alec esitò. Sembrava fosse sui carboni ardenti.

 

“Alexander…” Magnus sorrise leggermente, scrollando il capo e guardandolo quasi intenerito. “E’ dura essere sempre quello responsabile del gruppo. Perché non ti apri, almeno con me? Non c’è nessuno che andrà dire che cosa mi hai detto, il Presidente ha il suo tonno, figurati se possiamo interessargli noi. E anche se non sembra, il gossip dei Nephilim non mi riguarda affatto, non sarà oggetto di racconti alla mia prossima festa.”

Meglio fuori che dentro, no?

Sempre quel broncio…

Non è giusto che sia sempre tu quello responsabile.

Sei un ragazzo quanto gli altri, che diavolo.

 

“Si… si tratta di Jace.”

 

Avrei dovuto intuirlo.

 

Alec si ciondolò sui talloni, tirando su col naso. Era accigliato, come se stesse cercando di tenere sotto controllo la rabbia prima che gli sfuggisse di mano. “Noi siamo parabatai, eppure non mi ha detto niente di Hodge. Non mi ha detto niente di un’infinità di altre cose… le ho dovute scoprire stasera da mia madre. E quindi non ho nemmeno potuto giustificarlo con lei.”

 

“Perché avresti dovuto?” Magnus fece un enorme sforzo a non sembrare infastidito. Alec gli stava aprendo il suo cuore, non poteva permettere alla gelosia di mettersi in mezzo. “Non devi sempre prendere le sue difese, può farlo anche da solo.”

Proprio non te ne rendi conto.

Tutti accecati dalla bellezza del pericolo, dal fascino del rischio…

Jace, Will, è un cerchio che non si chiude.

 

“Lo fa uno schifo,” replicò Alec, scuotendo la testa, il broncio più visibile ora. “Nasconde le cose, attacca chi gli fa delle domande, lui e quella sua maledetta ironia…”

 

“Ma se è innocente, è innocente.”

 

“Non è così semplice, non se tutti credono che sia una sorta di spia.”

 

“In effetti come identikit...”

 

“Appunto.” Alec si appoggiò di schiena alla parete, sbuffando e passandosi una mano fra i capelli neri. “Io so che non è così, so che Jace non sapeva niente del suo vero padre. Ma sono il suo parabatai, a me non darebbero ascolto. Direbbero che gli crederei in ogni caso.”

 

Magnus reclinò leggermente il capo prima verso destra e poi verso sinistra, quasi come volesse allentare la tensione dei muscoli del collo. “Ahimè, sei un po’ di parte.”

 

“E’ per questo che dovrebbe essere lui a rispondere nel verso giusto, una volta tanto! E ovviamente non lo fa. E il bello è che non lo fa nemmeno con noi.”

 

“Cosa ne dice tua madre?”

Un velo di tristezza incupì gli occhi blu di Alec. “Ha... bisogno di conferme.”

Magnus annuì lentamente. Le poche parole dette, le mille non dette e lo sguardo basso di Alec gli avevano fatto capire finalmente il vero problema. Non era così frustrante che il Circolo dubitasse di Jace, perchè credendo in lui, gli sarebbe rimasto accanto finchè la verità non fosse venuta fuori, caratteraccio o meno. Il vero problema era sua madre, Maryse Lightwood. Alec non aveva il coraggio di ammetterlo ad alta voce, ma lo faceva soffrire che perfino sua madre, che per Jace ricopriva lo stesso ruolo, fosse fra quei dubbiosi. Anche perchè questo metteva Alec in mezzo ad un'altra brutta faccenda: come aiutarli a capirsi, pur dando ragione ad entrambi, visto che nessuno dei due lo avrebbe ascoltato o avrebbe fatto il primo passo indietro?
Oh, Alec.
E’ dura essere papà orso.
E tu sei troppo piccolo per questo ruolo.
Guarda quanto ti pesa.

Alec aveva ancora il mento chino, quando se lo sentì sollevare da Magnus. Non si era accorto che fossero così vicini, e in qualche modo il suo profumo di sandalo riuscì a distrarlo da quella sensazione opprimente che provava da che aveva parlato con sua madre. Magnus gli accarezzò la guancia col dorso delle dita, appoggiandosi con il braccio al muro, senza smettere di guardarlo negli occhi.

“Non hai una posizione facile, lo so” gli mormorò, lasciando che le dita scivolassero fin sul lato del collo, dove la mano si distese, carezzevole. “Credi a chi ne ha viste di tutti i colori in questi anni, l'innocenza non può essere nascosta a lungo. Tua madre e gli altri si renderanno conto che Jace, per quanto meriterebbe un vaso in fronte, non ha alcun legame con Valentine Morgenstern. Ok?”

Alec annuì, rivolgendogli uno sguardo grato. Fu lui a baciarlo per primo, più sicuro di sè, eppure al tempo stesso impacciato per lo slancio. Magnus sospirò contro le sue labbra, rispondendo al bacio e rallentandone i ritmi, accarezzandogli la nuca fino alla base dei capelli. Rabbrividì quando si sentì attirare con decisione contro di lui, e quasi sorrise. Alec era letale per i suoi sensi. La sua innocenza, la sua disarmante inesperienza, il fatto che si lanciasse in ogni contatto di getto, di cuore, con quella passionalità
che al resto del mondo era preclusa, perfino a Jace, era abbastanza da fargli perdere la testa come non gli era mai capitato in tutti quei secoli. Gli bastò sentire le sue mani callose lungo la schiena, per desiderare di più. La mano con cui gli stava accarezzando i capelli scese a stringergli con dolce fermezza la spalla, spingendolo di schiena contro la parete, mentre interrompeva il bacio per poter marchiare ogni centimetro della sua pelle. Si accanì su un punto del collo proprio sotto l'orecchio, un punto che, aveva scoperto, lo faceva rabbrividire di più. Quando sentì Alec soffiare il suo nome in un gemito, non si trattenne dal succhiare la piccola porzione di pelle con più enfasi del solito, lasciandovi un segno rosso ben visibile.

Che lo sappiano, che sei mio.

Diavolo, Alec.

Mi stai facendo perdere la testa, e nemmeno lo sai.

 

Non fu molto chiaro chi dei due avesse cominciato, ma in una manciata di secondi, le due felpe erano volate per terra. Alec era letteralmente avvinghiato a Magnus, una mano stretta forte alla sua spalla, alla ricerca del battito stabile e rassicurante del suo cuore. Magnus non interruppe il bacio, molto più audace di tutti quelli che si erano scambiati in quelle due settimane, e lasciò le dita affusolate libere di percorrere ogni muscolo, ogni runa, ogni cicatrice che ricoprisse il suo addome e il suo petto. Quando la mano scivolò oltre il bordo delle mutande, Alec sussultò bruscamente e si sottrasse al bacio, arrossendo furiosamente.

 

…ah. Giusto.

E’ la tua prima volta.

 

Magnus riprese fiato, inspirando a fondo. Si appoggiò di nuovo al muro, accarezzando la guancia violacea di Alec, guardandolo dritto negli occhi blu. Avevano assunto una tonalità, se possibile, ancora più profonda e intensa. “Io non posso fare niente per aiutare Jace,” mormorò, la voce arrochita dal desiderio. “Ma posso aiutare te. Posso aiutarti a sentire. Ad avere il… il tuo angolo di pace.”

 

Alec deglutì, rosso in viso come forse non era mai stato. La verità era che gli stava costando restare separato, seppur tanto poco, da quelle labbra e quelle mani. Voleva sentirsi vivo, come solo Magnus lo faceva sentire. Voleva impazzire dal piacere, e vederlo a sua volta dimenarsi per le sensazioni forti. Lo accarezzò avidamente con lo sguardo, tornando a incrociare i suoi occhi. Non era Jace, con la frase giusta al momento giusto, ma voleva trovare qualcosa di brillante da dire, per esprimere quella matassa ingarbugliata di emozioni e sensazioni.

 

“…tu non hai l’ombelico.”

 

Passò qualche interminabile secondo di silenzio e immobilità, prima che Magnus inarcasse appena le sopracciglia, e Alec si sbattesse entrambe le mani in faccia, maledicendosi in tutte le lingue conosciute. Magnus non potè proprio evitarselo… scoppiò a ridere, e di cuore anche.

 

“Arguta osservazione.”

 

“Ah, i-io…uhm.”

 

Ancora ridendo piano, Magnus scosse la testa, tornando a guardare il ragazzo. Gli baciò a stampo le labbra, pizzicandogli il mento fra le dita, gustandosi ogni dettaglio della timidezza espressa da quel viso così bello. Quegli occhi. Per quegli occhi si sarebbe anche dannato l’anima.

Io sono più fottuto di quel che mi rendo conto di essere.

 

Alec si mordicchiò le labbra già gonfie per i baci, guardandolo dritto negli occhi d’ambra. “Vuoi-vuoi stare con me?”

 

“Anche se non ho l’ombelico?”

 

Alec emise una specie di protesta poco chiara, e Magnus ridacchiando lo zittì con un bacio. Ogni pensiero divertito si volatilizzò a quella nuova ondata di carezze, e questa volta, quando le dita esperte e sicure di Magnus sbottonarono i suoi jeans per infilarsi all’interno, Alec si limitò a un gemito soffocato, ma non osò sottrarsi a quella dolce tortura. Si inarcò bruscamente, mordendosi forte le labbra e stringendo gli occhi, e per quanti splendidi amanti potesse aver avuto in quei lunghi ottocento anni, Magnus realizzò che mai prima di allora il cuore gli aveva mancato un battito come per Alec Lightwood.

 

~*~*~

 

Il Presidente sarebbe stato la sveglia peggiore, se Magnus non lo avesse afferrato al volo per la collottola prima che potesse zampettare sul letto. Morbidamente adagiato sul fianco, la testa sorretta dal braccio piegato, lo stregone sorrise al suo gatto, ignorandone l’espressione poco felice.

 

“Scusa tanto, Presidente,” sussurrò, mettendo giù il felino. “Diamogli altri cinque minuti.”

 

Il gatto non sembrò molto convinto della scusa, e filò via dalla stanza con un’offesissima coda dritta in bell’evidenza. Magnus sorrise divertito, e riprese ad accarezzare a fior di pelle il braccio nudo di Alec, che dormiva della grossa accanto a lui. Avevano fatto l’amore più volte, completamente dimentichi anche del tempo, o dell’iniziale desiderio di Alec di tornare subito a casa. E alla fine erano crollati entrambi, sebbene il sonno di Magnus fosse durato un’oretta scarsa. Aveva addosso troppe emozioni, per riuscire a dormire. Troppe sensazioni. Si sentiva vivo come mai si era sentito in tutti quei secoli. Stare con Alec era stato semplicemente incredibile, come se fossero nati per poter stare insieme, lì dove l’uno iniziava, l’altro lo completava. E ogni gesto, ogni emozione, era come amplificata proprio dall’unicità dell’esperienza. Perché Alec, così come l’aveva visto e sentito lui, non era mai stato di nessuno. Magnus ne accarezzò nuovamente il profilo con lo sguardo, seguendo la curva delle ciglia nere, il movimento lento del respiro fra le labbra socchiuse, i capelli più spettinati del solito che gli ricoprivano la fronte, la pelle tonica e vibrante del torace, ricoperta dalle rune antiche, il petto nudo che si alzava e abbassava lentamente. Il consueto broncio era rilassato in un’espressione pacifica, tranquilla. Avendo potuto fare a modo suo, Magnus lo avrebbe lasciato dormire ancora. Ma conoscendolo, non gli avrebbe fatto un favore.

 

“Principessa Aurora…” canticchiò a bassa voce, pizzicandogli il naso fra le dita e pigiandoglielo. Come non ridere, quando gli vide fare una smorfietta quasi infantile, con tanto di labbra arricciate. “Sono le quattro del mattino, il mondo dorme e il principe Filippo sta ufficialmente svegliando la sua bella.”

 

Alec, il viso ancora arricciato, aprì un occhio soltanto. “Chi sarebbe tutta questa gente?” mormorò, la voce ancora impastata dal sonno.

 

Magnus ridacchiò, rubandogli un bacio. “Mondani con un gran senso dell’attesa, considerando che la principessa aveva oltre cent’anni e il fiato di un sonno secolare, quando l’aitante principe ventenne l’ha baciata.”

 

“Troppe informazioni tutte insieme,” brontolò Alec, rovesciandosi sul fianco contro di lui e nascondendo la faccia nel cuscino. Avrebbe poltrito con gioia, se solo non si fosse ricordato di sua madre a casa. Alzò la testa di scatto, mancando di un pelo il mento di Magnus. “Devo tornare prima che si accorgano che non c’ero.”

 

Magnus imbronciò le labbra, restando languidamente disteso mentre Alec rimbalzava giù dal letto. Gli venne da ridere quando lo vide affrettarsi a cercare le mutande.

Solo tu puoi essere timido dopo stanotte.

Ah, Alexander.

 

“La smetti di fissarmi?”

 

“Chi, io?”

 

“No, il tuo gatto.”

 

“Ricordami di menzionare al Presidente che gli hai dato del guardone.”

 

Per quanto indaffarato a tirarsi su i jeans, Alec si lasciò scappare un sorrisetto sghembo. Gli gettò un’occhiata di sfuggita, mentre recuperava la felpa dal corridoio. “E’ presto, rimettiti a dormire.”

 

“Dopo,” replicò semplicemente Magnus, alzandosi. Molto meno vergognoso dell’altro, si prese tutto il tempo necessario a cercarsi mutande e pantaloni, senza nascondere una certa soddisfazione quando vide Alec stentare a chiudersi la lampo della giacca per guardare lui. “Hai fatto una specie di voto all’angelo?”

 

“Mh?” Alec, i capelli sparati in aria per essersi infilato in fretta la felpa, lo fissò confuso.

 

“Ci torni scalzo a casa?”

 

Alec si guardò i piedi… era completamente vestito, ma effettivamente non aveva le scarpe. Borbottò qualcosa fra i denti, cercandosi le scarpe, mentre Magnus rise di gusto.

 

“La pianti di ridere?”

 

“Nemmeno per idea.”

 

Magnus gli si avvicinò, prendendo a sistemargli alla meglio i capelli. I suoi, ovviamente, stavano su perfettamente dritti e glitteranti nonostante l’attività notturna. “Ti presto un po’ di gel per questo casino?”

 

“Non è il mio stile, lasciali così.” Alec si rimise in piedi, questa volta vestito per intero. Inspirò profondamente, come se solo in quel momento avesse realizzato che se ne stava andando. Uncinò le dita al bordo dei pantaloni felpati dello stregone, abbozzando un sorriso. “Se non hai da fare, posso ripassare domani. Cioè, oggi in realtà. Insomma, stasera.”

 

“Non mi devi sempre chiedere il permesso di venire, lo sai?” Magnus gli passò un dito sotto il mento, sollevandoglielo per poterlo baciare. Era inteso come un piccolo bacio fugace, ma Alec gli si avvinghiò ai fianchi, e la cosa si protrasse. Ci volle parecchia forza di volontà per tirarsi indietro, e non trascinarlo di nuovo sul letto ancora disfatto. “O fili via adesso, o ti faccio tornare direttamente domani a casa tua.”

 

Alec sorrise, arretrando di un paio di passi. “Ok, allora.”

 

“Aspetta,” Magnus schioccò le dita, e il ragazzo si ritrovò in mano una piccola chiave di ottone. “Così non avrai bisogno di citofonare ogni volta.”

 

Alec osservò stupito la chiave, prima di infilarla nella taschina della giacca, offrendo allo stregone un sorriso contento. “Grazie.”

 

Magnus incrociò le braccia al petto, rispondendo al cenno di saluto e restando ad osservare mentre Alec saltellava giù per le scale, evidentemente di buonumore. Schioccò le dita ancora una volta… e gli vide apparire all’improvviso in mano un sano caffè rubato dallo Starbucks a pochi isolati. La bevanda calda, apparendo di colpo, sie ra rovesciata in parte sui jeans. Alec fece una smorfia e si voltò con il suo solito broncio, e Magnus, facendo un enorme sforzo per non ridere, sollevò le mani in cenno di scuse. Quando chiuse la porta, si lasciò andare alla risata che quella faccia imbronciata meritava.

 

Ottocento anni, e restare fregati da un ragazzino.

Si, sono io.

Magnus Bane, grande stregone di Brooklyn.

E gran rincoglionito.

 

 

 

Ma che bello, quante recensioni *____* grazie!!! Non prevedevo di finire così in fretta questo terzo capitolo, ma devo dire che mi ha ispirato una canzone che secondo me è tantissimo Magnus/Alec (soprattutto in COLS), “Please don’t go” dei Barcelona… com’è struggente  ç_ç e un’altra ispirazione, devo dire, è stata questo picspam (che ha inquadrato Alec e Magnus proprio come li vedo io): http://piccolo-poo.livejournal.com/46437.html

 

Chibikitsune: grazie infinite *___* è uno dei complimenti più belli che potessi farmi! Comunque concordo, e ti dico che se ancora non hai letto l’ultimo libro di Cassandra, City of Lost Souls, lì c’è molto più di Magnus/Alec :P

Mizar: ma quanto sei dolce *^^* in effetti si, mi sono sempre immaginata Magnus un bel mix di modernità e buone vecchie maniere da gentleman :D

Adamantina: grazie mille anche a te, cara! Anche io adoro Alec e anche Magnus :D comunque non ti sei sbagliata, Magnus ha davvero ottocento anni… solo che all’inizio, il furbone ad Alec ne millanta trecento :D mi sembra sia in Città di Cenere che Alec lo scopre, con Magnus che fa il vago “700… 800… tanto non li dimostro!” ahahaha XD

IWillFindTheWords_J: oh ma grazie *__* anche io li adoro moltissimo, e sì, ho letto tutta la saga. Calcola che però io i libri di Cassie li ho letti in inglese, preferisco di gran lunga, anche perché altrimenti morirei nell’attesa, i tempi di pubblicazione qui in Italia sono geologici -___-

 

Un bacio a tutti e grazie sempre! Alla prossima!

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Capitolo 4
*** The one in exchange ***


Alec swallowed. "We're going," he said. He spoke the words like an apology. "Jace—a request from the Seelie Court—it would be stupid to ignore it. Besides, Isabelle's probably already told them we're coming."

"There is no chance I'm going to let you do this, Alec," Jace said in a dangerous voice. "I'll wrestle you to the ground if I have to."

"While that does sound tempting," said Magnus, flipping his long silk sleeves back, "there is another way."

"What other way? This is a directive from the Clave. I can't just weasel out of it."

"But I can." Magnus grinned. "Never doubt my weaseling abilities, Shadowhunter, for they are epic and memorable in their scope. I specifically enchanted the contract with the Inquisitor so that I could let you go for a short time if I desired, as long as another of the Nephilim was willing to take your place."

"Where are we going to find another—Oh," Alec said meekly. "You mean me."

Jace's eyebrows shot up. "Oh, now you don't want to go to the Seelie Court?"

Alec flushed. "I think it's more important for you to go than me. You're Valentine's son, I'm sure you're the one the Queen really wants to see. Besides, you're charming." Jace glared at him. "Maybe not at the moment," Alec amended. "But you're usually charming. And faeries are very susceptible to charm."

"Plus, if you stay here, I've got the whole first season of Gilligan's Island on DVD," Magnus said.

"No one could turn that down," said Jace.

[City of Ashes, Cassandra Clare]

 

~*~

 

 

-on ha convinto il Segretario di Stato Holden, che dopo un colloquio con l’ambasciatore libanese…

 

Il Presidente Miao soffiò in direzione del televisore, con la stessa felina rapidità con cui Alec sollevò di scatto la testa, interrompendo il bacio e causando un mugolio di protesta da parte di Magnus. Il gatto ignorò tranquillamente l’occhiataccia del suo padrone. Non era certo colpa sua se il telecomando dell’enorme tv aveva avuto la malcapitata idea di finirgli sotto le zampe.

 

“Che diavolo sto facendo…”

 

“Interrompi senza un motivo una magnifica sessione di pomiciaggio,” Magnus si appoggiò sui gomiti, ancora sdraiato sul divano, una smorfia scontenta a piegargli le labbra mentre schioccando le dita riportava il silenzio nella stanza. “Andiamo, non ti starai sconvolgendo per un telegiornale mondano?”

 

Alec gli lanciò un’occhiata esasperata, mentre si riabbottonava alla meglio la camicia. “Non sono ancora tornati”

 

“E quindi?” Magnus fece un sorrisetto odiosamente divertito, accompagnato da un occhiolino. “Paura di dover restare mio prigioniero a vita?”

 

Proprio non ti entra in testa, eh?

 

“Se così fosse, saresti nei guai anche tu… quindi non mi esalterei così tanto alla prospettiva”

 

Magnus si alzò con i suoi soliti movimenti felini, i capelli cosparsi di glitter ancora in disordine per la felice attività di poco prima. “Alexander, quando imparerai che io non lavoro per voi ragazzi? Io faccio delle cortesie, tutte dietro compenso, sicchè non sono mai nei guai”

 

Alec gli rivolse un’occhiata imbronciata, cercando di evitare di guardarlo. A differenza sua, Magnus non si era minimamente preoccupato di darsi una sistemata, ed era in piedi con i soli jeans verdi. Sbottonati, per di più.

 

“Suvvia, non sono nemmeno due ore. Non ci metteranno poco, che senso ha farsi venire gli attacchi d’ansia?”

 

Già, perché tu non lo conosci.

Non sai come ragiona, quell’imbecille.

Ma a cosa diavolo stavo pensando quando ho accettato?

…eh.

 

Quasi senza accorgersene, Alec si massaggiò assentemente la spalla sinistra proprio nel punto in cui aveva la runa da parabatai. Magnus si limitò ad inarcare le sopracciglia, incrociando le braccia al petto. Decisamente gliela stava rendendo difficile.

 

“Non mi fido di Jace”

 

“Mh, in fondo è solo il tuo parabatai, perché dovresti”

 

“Non è questo il punto,” Alec sospirò, appoggiandosi di schiena alla parete. Infilò le mani nelle tasche dei jeans, cercando lo sguardo felino di Magnus. “Jace è… incasinato. Non solo per la questione di suo padre, lo hai visto anche tu. Quando c’è Clary di mezzo, non è lucido. E’ per questo che volevo andare al posto suo, farà di sicuro qualche cazzata”

 

Magnus non disse nulla, si limitò a incrociare le braccia al petto, inarcando le sopracciglia. Ma ormai Alec aveva imparato a conoscerlo abbastanza da sapere che c’era irritazione, dietro quello sguardo apparentemente distaccato.

 

Perché ogni volta che salta fuori questo argomento, ti girano?

 

“Si può sapere perché fai quella faccia?”

 

“Quale faccia?”

 

“Quella che hai appena fatto,” Alec accennò col mento nella sua direzione, arricciando a sua volta il viso in una smorfia infastidita. “Come se stessi dicendo qualcosa di male”

 

“Non è quello che dici, è quello che pensi. Ti comporti come se fosse tuo compito assicurarti che nemmeno l’aria faccia soffrire Jace”

 

Alec lo fissò indignato. “E’ il mio parabatai, forse non sai cosa vuol dire, ma è proprio-”

 

Non venire a dire a me che non so cosa significa il legame che unisce due parabatai, Alexander” Magnus strinse appena gli occhi, per un attimo attraversati da un’insieme di emozioni inclassificabili. Avanzò di un paio di passi, finchè non fu a pochi centimetri dal viso di Alec. “Ne ho conosciuti di talmente legati, da smettere di essere due entità per diventarne una sola. So perfettamente cosa diventa uno di voi quando l’altro soffre, o è in pericolo. Ed è proprio per questo che mi da fastidio che ti ripari dietro una scusa, perché questa è una scusa”

 

“Quale scusa, stai scherzan-”

 

“Non è per il vostro legame che non riesci a stare lontano da Jace,” Magnus inclinò appena il capo, senza smettere di fissarlo. “E’ perché ne sei ancora innamorato. E sei geloso di Clary, questa è la verità” Alec aprì la bocca per replicare, ma Magnus inarcò le sopracciglia con una smorfia, quasi sfidandolo a dire il contrario. “Ti prego, correggimi se sbaglio”

 

“E se anche fosse?” Alec serrò i pugni. “Non si smette di amare una persona dalla sera alla mattina, maledizione, e non solo nel senso che intendi tu! Si, è vero sono geloso di Clary. Ma non perché Jace può stare con lei e non con me, perché ti ho sempre detto che non mi aspetto proprio niente da lui. Non gli direi mai niente. Ma nessuno lo conosce come lo conosco io, e so che di Clary si è innamorato… sapendo che non può combinarci niente perché è sua sorella. E se già non fosse sufficiente la solita dose di autolesionismo che si infligge, adesso ha una scusa in più per odiarsi, per mettersi in pericolo mentre ci ride su. Normalmente ci sono io a guardargli le spalle, ora chi c’è al mio posto?”

 

“Quindi tu più che il parabatai, sei la badante di Jace?”

 

“Ma ti stai ascoltando?!” Alec scosse la testa, indiavolato. “Non hai sentito una sola parola di quello che ti ho detto?”

 

“Ho sentito perfettamente, Alexander, ma a questo punto te la faccio io una domanda: hai cambiato idea?”

 

“…come?”

 

“Quando sei venuto qui, quando abbiamo iniziato a uscire insieme, mi hai detto che volevi imparare a lasciarti alle spalle quello che provi per lui. Ora, perché mi sembra che tu abbia cambiato idea?”

 

“Perché non stai ragionando, ecco perché!” replicò duro Alec, scuotendo la testa. “Sono preoccupato per lui-”

 

“Tu sei SEMPRE preoccupato per lui!”

 

Sarebbe stato interessante fare una classifica di chi fosse il più sorpreso da quell’urlo, se Magnus stesso, Alec, o il Presidente Miao, che fu comunque l’unico a reagire con un miagolio infastidito. Alec rimase immobile, gli occhi di un blu più scuro del solito, incapace di decifrare l’espressione di Magnus. E forse neppure lo stregone si aspettava di avere una reazione simile, perché scosse la testa, facendo un passo indietro.

 

“Sapresti dirmi che cosa sta succedendo fra noi, Alexander?”

 

Alec inghiottì, colpito da quel tono come un pugno allo stomaco. Non era un rimprovero, non era duro come fino a un attimo prima. Sembrava… vulnerabile. Una domanda onesta, come se davvero proprio lui, uno stregone centenario, non riuscisse a trovare la strada giusta con un cacciatore adolescente.

 

Ti sto facendo del male?

Ma soprattutto, hai ragione tu… io qui che ci faccio?

 

Magnus reagì a quel silenzio con una piccola smorfia amareggiata, voltandosi e avviandosi in direzione della sua camera da letto.

 

“Se hai intenzione di guardare la televisione, non sopporto il volume troppo alto”

 

Alec non battè ciglio, neppure quando la porta della camera si chiuse con una certa violenza, accompagnata da una spruzzata di scintille blu. Inspirò a fondo, ignorando l’occhiata seccata del Presidente, cercando di rielaborare tutto quello che era appena successo. E soprattutto, cercando di capire perché lo sguardo ferito di Magnus fosse stato così devastante, da fargli dimenticare per un momento qualsiasi altra cosa fuori da quelle mura.

 

 

~*~*~

 

Quando bussò leggermente alla porta, Alec sapeva già che non avrebbe ricevuto alcuna risposta. Ma non provò di nuovo, per quanto sarebbe stato più corretto. Socchiuse la porta della stanza da letto, sporgendo appena il capo per dare a Magnus tutto il tempo di sbattergliela magicamente in faccia, se avesse voluto. Ma la botta non arrivò, e dunque potè entrare. Magnus se ne stava in piedi davanti alla parete in vetro, le braccia incrociate al petto, perfettamente immobile a fissare le luci di una Brooklyn avvolta dal buio della sera ormai iniziata. Non poteva vederne il viso o cogliere il suo sguardo, ma Alec non potè impedirsi di accarezzare con gli occhi ogni singolo muscolo di quella schiena ancora nuda, visibilmente irrigidita.

 

“Non mi pare di averti detto di entrare”

 

Alec inghiottì, tornando coi piedi per terra. Il tono asciutto e palesemente infastidito di Magnus era stato una sveglia sufficiente. “Lo so,” mormorò, facendo un paio di passi nella stanza. Infilò le mani nelle tasche dei jeans, un gesto tipico di quando si sentiva a disagio. “Mi sono… preso da solo il permesso. Non mi piace lasciare le discussioni irrisolte”

 

Magnus non replicò, ma dal modo in cui aveva allargato le scapole, non sembrava essersi rilassato proprio per niente.

 

Ha ragione lui. In parte.

 

“Ok, uhm…” Alec si morse le labbra, ciondolando i piedi finchè non fu accanto al letto. Si sedette sul bordo, strofinandosi le mani umidicce, come se fissarsele e non dover guardare la schiena di Magnus fosse una buona soluzione. “Non serve che tu risponda, mi accontento che mi ascolti, va bene? Poi sarai anche libero di sbattermi fuori a calci nel sedere”

 

“Ti ricordo che non posso farlo”

 

“Si, beh, il concetto l’hai capito” Alec storse le labbra, evitando di commentare.

 

Razza di testa dura…

 

“Hai ragione quando dici che provo ancora qualcosa per Jace, anche se non porterà mai a nulla. Ci mancherebbe, per quanto mi riguarda lui non deve sapere niente, quindi…” Alec si grattò il sopracciglio, mordendosi di nuovo le labbra. Non si era preparato un discorso prima di entrare, aveva passato un’ora a cercare di capire cosa gli stesse capitando… e la soluzione che aveva trovato era proprio parlarne con l’unica persona con cui gli riusciva di essere onesto fino al midollo. L’unico che lo conoscesse senza il minimo muro. “E hai ragione a darmi dello stronzo se prima non sono stato in grado di rispondere alla tua domanda”

 

Magnus non si voltò, ma fece una sonora smorfia ironica. Alec si ostinò ad ignorare la provocazione.

 

“Non lo so,” mormorò il ragazzo, continuando a fissarsi le mani. “Non lo so come si fa a smettere di amare qualcuno che non puoi avere, e non so cosa sta succedendo fra me e te”

 

“Sei decisamente uno con le idee chiare, complimenti”

 

“Non ho mai detto di esserlo,” Alec si alzò in piedi, affiancando Magnus e cercando inutilmente di incrociare il suo sguardo d’ambra. “E mi rendo conto di aver fatto un casino, perché avrei dovuto prima sbarazzarmi completamente di qualsiasi emozione sbagliata verso Jace, e solo dopo avvicinarmi a te. Forse sarei in tempo a frenare questa cosa… qualsiasi nome abbia… che c’è fra noi, ma la verità è che non voglio frenarla. Ok?”

 

Magnus finalmente staccò gli occhi dal panorama, avvertendo il fremito nella voce di Alec, e lo guardò dritto negli occhi.

 

“Sono un egoista, hai ragione a pensarlo,” Alec si massaggiò la nuca, facendo una smorfia mortificata, ma ebbe il coraggio di sostenere quello sguardo con tutta l’onestà di cui era capace. “Perché non ti so dire che cosa siamo, ma so cosa sei tu per me. So che sei l’unico che mi conosce completamente, che ha visto anche il peggio di me, le mie paure, i miei difetti, e ancora non mi ha defenestrato. Sei quello che… a cui penso quando-uhm, quando… insomma, ti è chiaro che intendo,” borbottò, col solito broncio e un vago rossore sulle guance. “Credevo che fossi solo una cotta, ma ci deve essere dell’altro se mi arrivi fin qui,” Alec si portò una mano sul petto, all’altezza del cuore. Inspirò leggermente, prima di scuotere la testa. “Perciò, ecco la tua risposta. No, non voglio continuare ad amare Jace se non come un fratello, e non smetterò di avere paura che la sua fottuta vena masochista gli incasini la vita. No, non è corretto chiederti di aspettare che la mia testa del cavolo si riordini, e al tempo stesso se penso a te fuori dalla mia vita, mi sembra di ricominciare un altro incubo, solo con un nome diverso. Quindi in realtà… devi essere tu a decidere che cosa vuoi fare, perché… io non ho tipo alcun diritto di importi proprio un accidente”

 

Magnus si prese un lungo momento prima di rispondere, e quando lo fece, le labbra erano curvate in qualcosa di molto simile a un sorrisetto malcelato.

 

“Non credo di averti mai sentito parlare tanto, da che ti conosco”

 

“Fatti un po’ due domande…” Alec alzò gli occhi al cielo, dando un colpetto di reni alla parete a cui si era appoggiato. Tornò a sedersi sul bordo del letto, mettendosi a giocherellare con un filo della camicia fra le dita, come se servisse a sciogliere la tensione che ora sentiva alla bocca dello stomaco. Non era abituato ad aprirsi, ma Magnus rompeva tutti gli schemi ogni santa volta. Non si mosse quando sentì il materasso piegarsi leggermente sotto il peso dell’altro, che a quanto pare era scivolato a sedergli accanto con i suoi soliti movimenti felini e silenziosi.

 

“Non mi è mai capitato di dover dividere le attenzioni di chi mi piace,” mormorò Magnus con calma, appoggiandosi con i gomiti alle ginocchia e guardando avanti. “Non sono mai stato geloso di qualcuno, perché non ne avevo bisogno. Ho sempre avuto accanto compagni che non avevano occhi che per me,” un sorriso gli sciolse la smorfietta pensierosa in una quasi divertita, mentre si voltava a incrociare lo sguardo di Alec. “Ma poi giustamente arrivi tu, che ti disperi per un amore impossibile, che vorresti fare il palo al culo e struggerti correttamente al balcone di Giulietta, piuttosto che fra le mie braccia…”

 

Non che sapesse dove stesse andando il discorso, ma Alec ridacchiò, abbassando gli occhi.

 

“…e non riesco a pensare ad altro che al giorno in cui sarò io, l’unico viso nel tuo cuore”

 

Per un momento gli sembrò che il cuore si fosse fermato. Alec guardò Magnus dritto negli occhi, perché non c’era bisogno di aggiungere altro a quello sguardo. Nessuno gli aveva mai detto qualcosa del genere. Nessuno gli aveva mai fatto provare quella sensazione. E per la prima volta nella sua vita, la stella abituata a risplendere di luce riflessa, osava sentirsi una vera e propria supernova.

 

“Credo che tu valga la mia attesa,” Magnus sorrise appena. “Quindi puoi smetterla di sentirti un egoista, perché è una mia scelta aspettarti. Manterrò il segreto su di noi fintanto che non avrai messo ordine in quella zucca vuota che ti ritrovi, e se riesci a stringere i tempi, ti assicuro che stappo un dannato champagne” aggiunse, con una impagabile faccia da schiaffi.

 

Probabilmente, ripensandoci, sarebbe stato giusto dargli una risposta. Ma in quel momento, l’unica risposta di Alec fu sporgersi e baciarlo, e non certo con grazia e delicatezza. Si avvinghiò con la mano a quei capelli assurdi, baciandolo come se un domani non fosse garantito a nessuno dei due, e Magnus fece altrettanto, accarezzandogli il collo con la mano. Non si interruppero, perché per un momento non c’erano i mille problemi della vita reale in quella stanza, ma solo due persone travolte dalle proprie emozioni. E fu proprio Alec che per primo lasciò scivolare le labbra lungo il corpo di Magnus, assaporandone ogni millimetro quasi con devozione, rabbrividendo ai suoi brividi, provando una miriade di sensazioni speculari alle sue, quando lo ricoprì di attenzioni. Traendo piacere semplicemente dal piacere del ragazzo dai capelli assurdi, che sussurrava il suo nome come nessuno aveva mai fatto. E Jace, i casini, le emozioni difficili da gestire, tutta quella situazione contorta… almeno per qualche ora, svanirono in una nuvola di fumo, lasciandoli finalmente in pace.

 

 

 

 

Innanzitutto scusate l’assenza, al trasloco si sono aggiunti un po’ di casini vari, poi metteteci studio e lavoro, non si ha mai un istante libero @_@ poi ci sono stati tutti i Clockwork Princess feelings XD e quindi ho rimandato un po’. La prossima volta cercherò di essere più puntuale :D ma voglio ringraziarvi tutti per le bellissime recensioni *___*

Odlisny: grazie mille! Eh si, le traduzioni in italiano hanno davvero tempi troooooppo lunghi -.-“ baci baci!

Chibikitsune: grazie davvero per tutti i complimenti *_* si, io sono fortemente convinta che per quanto paziente, Magnus abbia avuto il suo momento di “sbrocco” da geloso, ed è giusto… poveretto insomma, all’inizio Jace è un “avversario” duro da battere :D bacioni!

Mizar: *____* sono ufficialmente onorata, grazie per ogni parola! Adoro Magnus, sarà che siamo schizzati in due XD un bacissimo!

Adamantina: ne sono contentissima! Spero ti piaccia anche questo! Un bacione!

Melon: *-* le tue parole mi hanno proprio scaldato il cuore… speriamo di non deluderti, né con questo capitoletto, né coi prossimi! Un bacissimo!

Faffina: e io mi commuovo di fronte alla tua recensione :D grazie ancora tantissimo, un bacione! 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** The one in love ***


Alec put his hands out. They were pale in the moonlight, wrinkled from water and dotted with dozens of silver scars. Magnus looked down at them, and then back at Alec, confusion darkening his gaze.

"Take my hands," Alec said. "And take my strength too. Whatever of it you can use to—to keep yourself going."

Magnus didn't move. "I thought you had to get back to the ship."

"I have to fight," said Alec. "But that's what you're doing, isn't it? You're part of the fight just as much as the Shadowhunters on the ship—and I know you can take some of my strength, I've heard of warlocks doing that—so I'm offering. Take it. It's yours."

 

[City of Ashes, Cassandra Clare]

 

~*~

 

 

Magnus tracannò letteralmente la birra, continuando a rigirarsi il bicchiere fra le dita. Con quelle luci psichedeliche, il liquido sembrava del colore di uno di quegli strani succhi fatati che aveva ordinato per la festa, e che stava accuratamente evitando. Non quanto i suoi ospiti, Nascosti di tutta Brooklyn e dintorni, che ora affollavano il suo appartamento invaso da musica ad alto volume e bibite e corpi sudati che si strusciavano senza falsi pudori.

Non che si fosse aspettato grandi risultati, ma neppure quel party organizzato all’ultimo minuto stava funzionando. Continuava ad essere di malumore, a desiderare di spaccare qualcosa, e l’unico essere vivente che avebbe potuto placare quella frustrazione non si faceva vedere né sentire da più di una settimana.

 

Che stronzo.

 

Sbuffando, Magnus si appoggiò di schiena alla parete, passandosi una mano sul viso imperlato dal sudore. Si sentiva soffocare dentro quella casa, eppure una volta quelle feste gli facevano saltare a mille l’umore. Adesso gli ricordavano soltanto quanto fosse vuota la sua vita prima che Alexander Lightwood ci fosse scivolato inspiegabilmente dentro, sconvolgendo tutti i suoi schemi e le sue strambe abitudini.

Era passata un’intera settimana dalla notte dell’attacco alla nave. Ricordava ogni dettaglio di quelle ore, ogni sensazione quando aveva stretto le mani di Alec, aveva sentito fluire la sua energia insieme alla propria, in un gesto talmente intimo per uno stregone che forse neppure si poteva spiegare ad alta voce. I Cacciatori si esprimevano in rune, ebbene lui avrebbe chiesto l’aiuto del più coinvolgente di quei simboli, per definire l’emozione provata a sentirsi un’unica energia con quella del ragazzo per cui sospettava di avere molto più che un interesse. Alec era scivolato in una pacata incoscienza e Magnus l’aveva stretto fra le braccia, beandosi per pochi istanti di quella calma assurda in mezzo alla tempesta. Solo due ragazzi fortemente uniti, uno stretto all’altro, su una specie di camioncino mezzo rotto a galleggiare in mezzo al casino. Una bella illusione durata il tempo che la magia facesse il suo corso, curando entrambi e restituendoli alla battaglia nell’unica forma che quel mondo pazzo e rompipalle sembrava voler accettare: un cacciatore e uno stregone.

 

Che razza di stronzo.

 

“Magnus, non balli?”

 

“No, Darlene, non mi va”

 

“Oh santo cielo, sei malato?”

 

Più di quanto tu creda.

 

Sette giorni e non un cenno, un saluto, una visita. E quando il giorno prima Maryse Lightwood era venuta a parlargli del portale, della sua richiesta di trasportare se stessa e i figli assieme a Jace ad Alicante, ad accompagnare la madre si era presentata Isabelle. Isabelle, non lui. E dal suo sguardo lievemente a disagio, aveva dovuto scoprire che stavano per trasferirsi ad Alicante per chissà quanto tempo.

 

Ti odio.

Odio non riuscire a odiarti.

Sei proprio uno stronzo.

 

“Magnus, che razza di festa è questa?” un giovane vampiro coi capelli neri gli si avvicinò ridendo, evidentemente già ubriaco, ciondolandosi a tempo di musica. “Dov’è l’artiglieria pesante, eh?”

 

Magnus lasciò scorrere lo sguardo sul corpo del ragazzo. Chett, Jett, aveva un nome strano che aveva sentito prima, ma ovviamente non lo ricordava. In altri tempi, se lo sarebbe trascinato volentieri in camera da letto. Ora riusciva solo a vedere quanto i suoi occhi non fossero i suoi.

 

“Ah, lascialo stare, Wyatt” una bionda con le orecchie dalla forma strana gli gettò un occhiolino. “Il grande stregone di Brooklyn stasera è avvolto nei suoi pensieri”

 

Magnus fece una smorfietta, allontanandosi dalla parete con un colpetto di reni. “Siete un branco di ragazzine piagnucolose,” mormorò col suo miglior sorriso sghembo, pallida imitazione di quello che faceva di solito. “E ciò nonostante, non vi lancerò di sotto perché ho voglia di divertirmi”

 

Wyatt e la ragazza accolsero la novità con degli urletti di approvazione, prendendo subito a strusciarsi contro di lui quando Magnus posò il bicchiere, scendendo in quella che era effettivamente diventata la pista da ballo della casa.

La cosa migliore era concentrarsi sui movimenti. Pensare a muoversi secondo il ritmo frastornante della musica, sentire il calore dei liquori scivolargli lungo le vene, sperare che arrivassero presto ad offuscargli il cervello. Abbastanza presto da fargli dimenticare tutto.

Anche quella sera passata in casa con lui, poco prima che tutto cambiasse, quando si era divertito a metterlo in imbarazzo in tutti i modi nel tentativo di farlo ballare. Decisamente Alec era il peggior tronco di legno con cui avesse cercato di danzare, eppure non si era mai divertito o emozionato tanto.

 

Pensa ai movimenti.

Si muove bene, questo Chett.

Perché dovrei essere fedele a qualcosa che non esiste?

Perché è evidente che mi sono sognato tutto.

 

“…ma che diavolo…?”

 

C’era un frastuono assordante di musica house in quella casa, eppure quella voce Magnus la percepì immediatamente. Lui. Alec era appena entrato, per quel che poteva vedere, dato che aveva ancora la giacca addosso, e si stava guardando in giro a dir poco basito. Magnus lo vide e incontrò il suo sguardo, ma non fece un solo movimento nella sua direzione. Anzi, mostrandosi più divertito di quanto in realtà non si sentisse, uncinò le dita nei pantaloni di pelle del vampiro con cui stava ballando, incollandoselo ancora più scandalosamente addosso.

 

“Magnus!” Alec sgomitò nella folla per raggiungerlo, guardandosi attorno ancora infastidito e perplesso. “Ma che sta succedendo qui?”

 

“Non lo vedi?” Magnus nemmeno si volse, continuando a ballare con un più che soddisfatto Wyatt. “E’ una festa, hai presente? Si balla, si beve, ci si diverte…”

 

Alec sentì un fiotto d’acido allo stomaco, nel vedere come la mano di Magnus accarezzasse voluttuosamente il collo del vampiro con cui ballava. Si impose di mantenere i nervi saldi, comunque. “Ti devo parlare”

 

“Sono occupato”

 

“E’ importante”

 

“Ah davvero?” Magnus scansò con una manata piuttosto improvvisa Wyatt, deciso a baciarlo, tenendoselo comunque stretto mentre ballava, ma lo sguardo e l’attenzione erano tutti per Alec. Ed erano improvvisamente freddi e duri. “Ne hai avuto di tempo, per venire a parlarmi. Se ti serve lo stregone che di recente ripara i cocci di voi cacciatori, mi dispiace ma è fuori servizio. E come puoi vedere, qui c’è una festa. Quindi… se proprio vuoi fare qualcosa…” con un ghignetto divertito e vagamente crudele, Magnus riagguantò il vampiro, per riprendere la loro danza sensuale. “Balla, giovane cacciatore”

 

Alec inarcò le sopracciglia, fissandolo come se fosse ubriaco, prima di inclinare il capo con fare irritato. Il suo solito broncio si incupì ancora di più, dal momento che Magnus sembrava davvero preso da quello che stava facendo. E soprattutto era deciso ad andare oltre, e farlo alla sua presenza. Magnus lo vide andare via con la coda dell’occhio, diretto verso il tavolo con le bevande.

 

“Nephilim,” brontolò Wyatt, senza nemmeno troppo fiato e in evidente stato di eccitazione. Sorrise divertito, stringendo Magnus per i fianchi. “Non sanno neppure cosa sia il divertimento”

 

In realtà, è proprio così.

 

Magnus non riuscì a impedirselo. Stava ballando per inerzia, ma con lo sguardo seguiva Alec. Gli aveva sempre detto di tenersi alla larga dalla roba che servivano ai suoi festini, a meno che non fosse proprio lui a dargliene, e sembrava che gli stesse obbedendo, visto che se ne stava di spalle alla parete, con le braccia conserte e lo sguardo truce, in attesa.

 

Guarda, guarda pure.

Impara che cosa significa farsi salire la bile perché c’è qualcun altro.

E non è un quarto di quello che succede a me quando tiri fuori il tuo Jace.

 

“E’ troppo affollato qui,” Wyatt sorrise allusivo, passandogli le braccia attorno al collo. “Perché non facciamo un salto di là…?”

 

“Più tardi, Matt” rispose sbrigativamente Magnus, accigliandosi. Il tizio che si era appena avvicinato ad Alec gli era molto più che familiare, considerando che amava sbandierare la sua abilità nell’ammaliare le menti umane per soggogarle. Non che con un cacciatore avesse delle speranze, ma la sua vicinanza lo infastidiva comunque.

 

Che diavolo vuoi, Flanaghan?

 

“Magnus, mi stai ascoltando?”

 

Flanaghan fece scorrere un dito lungo il braccio scoperto di Alec, che lo guardò con un sopracciglio inarcato, e un momento dopo Wyatt si ritrovò a ballare da solo.

 

“Magnus complimenti, mi piace quando inviti questo genere di bocconcin-”

 

Alec non fece in tempo a replicare, dato che Magnus lo stava trascinando per un braccio, con una forza che non gli aveva mai mostrato. Lo spinse sbrigativamente nella stanza da letto, dove due creature dalla carnagione verdastra si stavano divertendo alla grande contro l’armadio.

 

“Fuori, prima che vi polverizzi”

 

I due rimasero sorpresi dall’ingresso e dallo sguardo duro del padrone di casa, quindi si affrettarono ad obbedire, correndo fuori. Magnus sbattè la porta chiusa, appoggiando le mani sui fianchi con aria annoiata.

 

“Che cosa diavolo vuoi?”

 

Alec allargò appena le braccia. “Parlarti in maniera civile? Non sapevo che avessi una fe-”

 

“Certo che non lo sapevi, Alexander, non avresti potuto saperlo, dato che non ti fai vivo da una settimana” Magnus intrecciò le braccia al petto. “In fondo, non ti servivo a niente. Perché dovevi venire?”

 

“Non dire stronzate,” Alec inghiottì, facendo un paio di passi verso di lui. Lo sguardo duro di Magnus rivelava una ferita aperta che gli mozzò il respiro. “Sai che mio padre è ancora convalescente, la situazione non è esattamente facile all’Istituto”

 

“Oh si, tua madre mi ha accennato qualcosa. Ad esempio, che ve ne andate ad Alicante”

 

Alec inspirò profondamente, facendo una smorfia. “Mi aveva detto di restare con nostro padre e Max, per questo non sono-”

 

“Certo, perché tu fai sempre tutto quello che ti viene ordinato!” Magnus sembrò finalmente esplodere, sciogliendo l’intreccio delle braccia, avanzando verso di lui. Avrebbe tanto voluto che il suo sguardo tradisse solo offesa e rabbia, non quella ferita che sentiva aperta da giorni. “Sei un soldato eccellente, il figlio modello, un fratello talmente premuroso che si prende anche la briga di innamorarsi del proprio parabatai, perché immagino che tutto il tuo tempo libero anche questa volta sia stato devoluto alla missione Salviamo l’eroe tormentato!”

 

“Questo è ridicolo! Jace non c’entra niente stavolta, la mia famiglia è in un momento difficile e io sto solo facendo il mio dovere di figlio!”

 

“Doveri, doveri, solo doveri! Tu nemmeno te ne rendi conto, Alexander. Non ti ascolti. Non ti ascolti mai,” Magnus scosse la testa, sbattendo le mani sui fianchi. “O forse sono io che mi sono illuso che stesse succedendo qualcosa fra me e te. Che tu avessi lo stesso bisogno che avevo io di vederti, e che quel bisogno fosse più forte di qualsiasi dannato dovere”

 

Vaffanculo. Vaffanculo.

 

Alec aprì la bocca… ma poi sembrò ripensarci, perché rimase in silenzio. Quell’espressione confusa, quell’onnipresente broncio furono una coltellata.

 

Quindi è vero che mi ero illuso.

Mi ero illuso di poter subentrare al tuo maledettissimo grande amore impossibile.

Mi ero illuso che potessi amarmi.

 

Magnus fece per superarlo, deciso a uscire da quella stanza prima che la sua espressione potesse svelare tutta la sua delusione.

 

“Il problema sono io! Non è Jace, non sei tu, sono io!”

 

Il tono di profonda disperazione gli impedì di uscire. Magnus si fermò di fronte alla porta, senza voltarsi. Se si fosse voltato, se lo avesse guardato negli occhi a quel tono così sofferente, avrebbe ceduto di nuovo.

 

Alec sembrava sui carboni ardenti. Per qualche istante rimase in silenzio, mentre i rumori assordanti della musica fuori dalla stanza riempivano l’aria. Si passò una mano fra i capelli, incasinandoseli ancora di più.

 

“Mio padre e mia madre non sanno che sono gay,” mormorò alla fine, con un tono che sapeva di sconfitta. “Non lo immaginano, e non la prenderebbero bene. La nostra famiglia è già guardata male, con la storia di Jace figlio di Valentine, e tutto il passato dei miei. Non riesco a immaginare che cosa mi direbbero, ma so che se lo sapessero adesso… adesso che sono diventato un cacciatore adulto, che mio padre deve rimettersi… mia madre lo prenderebbe come l’ennesimo scandalo. Ne sono maledettamente sicuro”

 

Fantastico.

Una insicurezza dopo l’altra.

Prima era Jace. Adesso questo.

Non finirà mai.

 

“E che cosa vorresti fare?” Magnus cedette all’impulso, e si voltò. “Mentirgli per il resto della tua vita? Fingere di essere qualcuno che non sei, solo per far contenti i tuoi genitori?”

 

“Non ho detto questo,” replicò Alec, altrettanto duro. “Sto solo dicendo che non è il momento migliore. E che se fossi venuto qui prima, si sarebbero insospettiti… mi sarei tradito, lo sai che sarebbe successo”

 

Magnus emise un versetto di incredula frustrazione, scuotendo il capo.

 

“Perché non vuoi capire-”

 

“No, Alexander, sei tu che non vuoi capire” Magnus gli si avvicinò, guardandolo dritto negli occhi blu. “E la cosa peggiore è che non vuoi capire te stesso. Continui a nasconderti dietro un milione di insicurezze e divieti, ma io so che c’è dell’altro in te, perché l’ho visto, maledizione. Ti impedisci di amare perché sei legato a Jace, perché vorresti amare lui ma al tempo stesso non vuoi dirgli niente, neppure che sei gay, dimostrando che hai paura di essere rifiutato dalla persona di cui dovresti fidarti di più. Ti impedisci di avere una relazione con me, perché hai la responsabilità del buon nome di famiglia. Quale buon nome, Alec, i tuoi l’hanno calpestato quando eri troppo piccolo per riuscire a parlare. Loro sono andati contro le leggi, tu che leggi infrangi nell’essere te stesso? A chi fai del male se ti liberi di queste paranoie ottuse, e continui a fare quello che hai sempre fatto da persona felice e appagata?”

 

Alec non riuscì a rispondere. Sembrava sui carboni ardenti.

 

E stronzo io, che adesso vorrei solo poterti abbracciare.

 

Magnus si ficcò le mani nelle tasche, unico sistema per non cedere e accarezzargli la guancia. Avrebbe voluto mantenere un tono duro, ma non ci riuscì.

 

“Tu sei passionale, Alexander. Il mondo questo non lo sa perché non gliel’hai mai mostrato, ma io lo so e l’ho visto. Non sei solo il soldatino che obbedisce. Hai un cuore enorme, che ha posto per tutti tranne che per se stesso. Eppure tutto questo lo rinneghi, e ti nascondi dietro delle paure che uno come te potrebbe vincere in un battere di ciglia, se solo lo volesse davvero. Credevo di valere la pena per te… di essere un buon motivo per trovare la grinta di cui hai bisogno, ma a quanto pare mi sono sbagliato”

 

Questo sembrò scuotere Alec. “Non è così, non sarei qui se davvero-”

 

“Se davvero cosa, Alec?” Magnus sospirò, scuotendo tristemente la testa. “Sono stanco di aspettare che tu scelga me. C’è sempre qualcosa che viene prima. C’è sempre qualcuno che viene prima. Forse dovresti fermarti e chiederti cos’è che vuoi veramente”

 

“Io so che non ho il diritto di chiederti altro tempo,” Alec scosse appena la testa. Era esitante, sembrava quasi non sapere cosa dire, come comportarsi. Perché le parole di Magnus gli erano arrivate dritte al cuore, con tutto ciò che questo significava.

 

Magnus attese qualche istante il ‘però’ che sembrava sospeso nell’aria… ma la frase restò incompleta, sebbene gli occhi di Alec ne tradissero ogni emozione. Oh no, non gli era indifferente, e lui questo lo sapeva bene. Ormai quello sguardo lo conosceva bene.

 

Non cambierà mai nulla se adesso ti abbraccio, e ti dico che capisco.

Devi capire tu che cosa vuoi, Alec.

Io posso solo sperare che tu voglia me.

Ma non posso continuare così.

 

“No, infatti” replicò piano, inumidendosi le labbra. “Torna a casa, Alexander. Scegli chi e cosa vuoi essere. Perché per quanto… nonostante tutto, io non riesco né voglio andare avanti in questo modo”

 

Alec esitò, sul punto di rispondere. Inghiottì, chiudendo per un momento gli occhi, e annuì. Lo superò in silenzio, e Magnus si impose di restare di spalle, o avrebbe mandato all’aria tutta la sua spavalderia per trattenerlo. Scrollarlo fino a fargli entrare in quella zucca dura il ragionamento più logico. Ma doveva capirlo da solo, in fondo. Anche se questo significava rischiare di perderlo. Avrebbe pagato oro perché quell’esitazione si fosse trasformata in un discorso, una presa di posizione, ma ormai conosceva bene Alec Lightwood. Conosceva i suoi silenzi, e i suoi sguardi.

 

Ti serve tempo.

Posso solo dartelo, no?

 

La porta si aprì, lasciando entrare il frastuono della festa, per poi richiudersi e rendere di nuovo quel caos come ovattato. Magnus chiuse gli occhi e sbuffò, passandosi le mani sul viso. Avrebbe volentieri dato un calcio a qualcosa, se questo non avesse rovinato le sue scarpe verde pisello. Si lasciò cadere sul letto, sdraiandosi di schiena a gambe e braccia larghe. E sbuffò di nuovo.

 

Tu guarda di chi dovevo andare ad innamorarmi, io.

Karma del cazzo.

 

 

Con un pochino di tempo libero in più e l’ispirazione, gli aggiornamenti sono più rapidi :D

Un grazie specialissimo per le mie tre recensioni *_____*

Maggyeberty: ti ringrazio tantissimo *-* la penso come te, la loro storia è bella proprio perché sono due casini che ne creano uno ancora più grosso… e più amabile!

Dontblinkcas: ma grazie mille *_* si, il progetto è quello di “riempire i buchi” fino all’ultimo libro, ovviamente non sono Cassie ma immaginare non costa nulla :D

Terrybells85: grazie tantissimo anche a te *-* spero di continuare a non deludere le tue aspettative!

 

Un bacio a tutti, scappo a nanna! E grazie fin da ora a chi mi lascerà un commentino :D

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Capitolo 6
*** The one lost in pain ***


“Non stare qui mentre mi alleno, Max”

 

“Ma Jace mi lascia guardare quando lo fa!”

 

“Perché è un pezzo d’idiota, sei ancora piccolo”

 

“Lui queste cose non le dice mai”

 

“…Max, aspetta…”

 

“Non mi piace essere insultato!”

 

“Non ti stavo insultando…”

 

“Hai detto che sono piccolo. Non è così, fra due anni papà dice che potrò cominciare ad addestrarmi anche io!”

 

“Hai ragione, scusami. Però per adesso non sei ancora pronto per… armi e rune, e demoni col caratteraccio e l’alito pesante”

 

“Ma quando anche io sarò un cacciatore, potrò venire con te e Jace?”

 

“Certo”

 

“Allora insegnami a tirare con l’arco!”

 

“Fra due anni, di sicuro”

 

“No, non fra due anni… adesso!”

 

“Hai le dita troppo piccole, ti faresti solo male. E poi serve potenziare i muscoli delle braccia… altrimenti come fai a tendere la corda? Guarda che è bella dura”

 

“Davvero? Tu lo fai sembrare così semplice…”

 

“Se ti alleni, lo è. Lo sarà anche per te, vedrai”

 

“Mi aiuterai?”

 

“Ovvio. Quando riceverai le tue prime rune, ti insegnerò a tirare”

 

“…e mi regalerai il tuo arco!”

 

“E ti regalerò il mio arco. Adesso fila, se ti infilzo come un pollo, non ci sarà nessuno a cui insegnare un bel niente”

 

“Izzyyyyy! Jaaaace!! Alec ha detto che mi darà il suo arcooooo!”

 

 

L’acqua bollente continuava a scendere copiosa sulla testa e sulle spalle di Alec, ma sembrava che lui non se ne accorgesse affatto. Era dentro la doccia da quasi un’ora, i pugni stretti fino a farsi sanguinare i palmi contro la parete, i capelli che gli gocciolavano sul viso, la pelle arrossata dal calore dell’acqua. Ma il dolore fisico non si faceva sentire in alcun modo. Non abbastanza da coprire quello che gli stava frantumando il cuore in pezzi da poche ore.

 

E’ morto.

Max non c’è più.

Max non c’è più.

 

Sembrava assurdo, continuava a ripeterselo e continuava a suonare irreale. Max era un bambino innocente, non era ancora un guerriero, non aveva preso parte alla battaglia che aveva lasciato tanti cadaveri sul suolo di Alicante quella notte. Eppure il suo corpo sarebbe stato bruciato assieme agli altri l’indomani. Perché Max era morto. E per quanto potesse ripeterselo come un orribile mantra, Alec continuava a non trovare alcun senso concreto in quelle parole.

 

E’ un bambino, Max è solo un bambino.

Ma è morto.

Perché? Che motivo c’era?

Non era una minaccia, e non sapeva neppure difendersi.

Max è un bambino, non può essere morto.

…lo è…

 

Alec chiuse forte gli occhi e i pugni, abbassando la testa sotto il getto d’acqua della doccia. Ricordava distintamente ogni istante di quelle ore terribili. Le urla di sua madre contro la famiglia Penhallow, suo padre completamente spento e senza la forza di replicare ad alcunchè, la disperazione di Izzy, il silenzio sgomento di Jace.

E lui?

Lui aveva fatto il bravo figlio.

Aveva cercato di calmare sua madre, chiedere aiuto a Jace, a suo padre… placare il pianto di Izzy, perfino. Fin quando suo padre, per impedire che la moglie sfoderasse le armi contro Jia Penhallow, gli aveva messo in braccio Max.

 

E’ morto.

Max non c’è più.

 

L’acqua stava diventando fredda.

Il piccolo corpo di Max fra le sue braccia lo era stato anche di più.

Alec appoggiò la fronte contro il muro, gli occhi serrati ancora più forte. Ricordava perfettamente il modo in cui il collo spezzato del fratellino si era reclinato innaturalmente sul suo braccio, e aveva sentito il gelo che solo un corpo senza vita può trasmettere. Non si era reso conto di aver praticamente smesso di respirare, fin quando non aveva sentito la mano di Jace stringergli appena la spalla, mentre l’altra accarezzava i capelli di Max. Alec lo aveva fissato quasi inebetito, incapace di distinguere quel momento da tutte le volte che lo aveva riportato a letto, perché avevano sempre detto che Max era una specie di gatto capace di addormentarsi ovunque. E poteva sembrare che dormisse, ma non era così. Non respirava. Max non respirava più.

 

“Un cacciatore mantiene sempre una promessa, vero?”

 

“Certo, è una questione di onore”

 

Max era morto. Ucciso da chi avrebbe dovuto difenderlo. Senza la sua protezione.

 

Ti ho mentito.

Non ho mantenuto la mia promessa.

Ti ho mentito, Max.

 

“Alec?”

 

La voce appena sussurrata sembrò il frutto della sua immaginazione, confusa con il rumore dell’acqua che gli scrosciava addosso. Alec socchiuse gli occhi, scorgendo un’ombra alta oltre il vetro smerigliato della cabina della doccia.

 

Max non c’è più.

 

“Alec…” Magnus esitò. La sua voce era bassa, pacata. “Mi ha fatto entrare Jace. Sei lì dentro da parecchio”

 

Magnus era lì? Alec si scansò i capelli bagnati dal viso, tirando su col naso. Cercò di mettersi dritto, gettando un occhio alla doccia come se la vedesse in quel momento per la prima volta. Dov’era finita la spugna con cui si era letteralmente scartavetrato di violenza il sangue di dosso?

 

“Sono andato a porgere le mie condoglianze ai tuoi genitori,” continuò Magnus, appoggiando una mano contro il vetro. Inclinò appena il capo, cercando disperatamente di vedere qualcosa. S’inumidì le labbra, prima di riprendere. “So che ti sta a cuore sapere di loro, prima che di te stesso. Tua madre si è calmata, ora. Sono con tuo fratello”

 

No, non è così.

Non c’è nessuno con Max, Max era solo nel momento del bisogno.

Non c’era nessuno.

Non c’ero io.

 

“E’ tutto sotto controllo,” Alec fu grato al rumore dell’acqua, che in parte camuffò la sua voce rauca. Inghiottì, rabbrividendo. L’acqua gelida sembrava una cascata di coltellate alla schiena. Niente che riuscisse a superare quel senso di vuoto che lo stava mangiando vivo, comunque. “Esco fra un momento”

 

Magnus sospirò. Alec ne vide la sagoma scuotere leggermente il capo.

 

“Niente è sotto controllo, e neppure deve esserlo. Hai perso tuo fratello. Hai tutto il diritto di vivere questo dolore senza nasconderti”

 

“N-Non è tempo di lacrime,” la voce di Alec tremò appena. “Isabelle è convinta che sia colpa sua, non capisce… mia madre e mio padre, loro non si parlano da una vita… Alicante è sotto attacco-”

 

“E tu?” Magnus sentì il cuore stringersi in una morsa. Lo stava facendo di nuovo. “Alexander, metti via il peso del cielo dalle tue spalle per un momento, d’accordo?” gli disse, parlando piano. Era come parlare ad un cavallo furioso, aveva paura di vederlo sgretolarsi o esplodere, alzando la voce anche solo di un soffio. “Stanno soffrendo tutti, lo so. Ma stai soffrendo anche tu”

 

Alec non rispose. Strinse i pugni contro la parete, gocce di sangue a macchiare l’acqua che scivolava giù, e se non fosse stato ossessivamente preso a ripetersi quel tragico mantra, si sarebbe accorto che Magnus era appena entrato all’interno della doccia. Non lo sentì imprecare a bassa voce, né schioccare le dita per riscaldare immediatamente l’aria e l’acqua, né tantomeno distinse il rumore della maglietta che veniva sfilata via. Capì che era entrato solo quando si sentì circondare i fianchi con le braccia, avvertendo il contatto fra la propria schiena gelida e il suo petto caldo, pulsante di vita. Lo sentì sospirare, mentre spostava un braccio a cingerlo dalla spalla, per poterlo avvolgere meglio nella sua stretta.

 

“Alec… sono qui con te. Possiamo affrontare questa cosa insieme, va bene?”

 

“Sto bene”

 

“Non è così,” Magnus sospirò, stringendolo meglio a sé e depositandogli un bacio sulla spalla ancora gelida. Se possibile, prese a parlare ancora più piano, le labbra accanto al suo orecchio, mentre si affidava al proprio calore corporeo perché riportasse alla normalità quello del ragazzo. “E non sarebbe neppure giusto, perché… sarebbe come negare quello che è successo. E non si può”

 

Passò qualche istante di interminabile silenzio, mentre Alec continuava a fissare come in trance un punto della parete.

 

“Max è morto”

 

“Lo so,” soffiò fuori Magnus, chiudendo gli occhi a sentire la voce di Alec tanto atona. Gli baciò a fior di pelle la tempia, accarezzandogli con dolcezza il fianco. “E non è colpa di nessuno”

 

Alec fece una smorfia amara, senza distogliere lo sguardo da quel punto perso chissà dove, oltre la parete. “Isabelle è convinta del contrario,” replicò, quasi come se stesse raccontando qualcosa a cui era estraneo. Perché era impossibile, no?

 

In guerra muoiono i soldati.

Gli adulti.

Non i bambini.

 

“Esiste il nome e il cognome del vero assassino di Max, e di sicuro non è il suo”

 

“Non è stata colpa di Izzy”

 

“Certo che no”

 

“La colpa è solo mia”

 

Max.

 

Alec percepì a stento la stretta in cui era avvolto farsi più protettiva. Che lo volesse o meno, il corpo stava tornando alla temperatura normale, e aveva smesso di tremare.

 

“Ero sicuro che lo avresti detto,” Magnus sospirò tristemente, scansandogli i capelli dall’orecchio. “Alexander, non farlo. Non serve a niente, ti farai solo del male ingiustamente”

 

“Ingiustamente…” Alec sembrò perdersi di nuovo in quel senso di vuoto, incapace di percepire altro. “Max era un bambino. Era solo un bambino. Non poteva fare del male a nessuno, eppure nessuno di noi l’ha protetto, nessuno lo ha aiutato, e lui credeva in noi. Lo abbiamo tradito, io l’ho tradito. E’ come se l’avessi ucciso io”

 

“Sebastian Verlac ha ucciso tuo fratello,” il tono di Magnus si fece leggermente più duro. “Ha tradito voi tutti, e si è macchiato di un crimine putrido quanto la sua anima. Nessuno di voi poteva prevedere-”

 

“Non dovevo uscire,” qualcosa cambiò nella voce di Alec. Divenne sottile, tremula… come se stesse facendo l’impossibile per trattenere un fardello di emozioni pronto ad esplodere. “Non dovevo lasciare soli Izzy e Max. I miei genitori me li avevano affidati, dovevo restare con loro”

 

“Hai fatto solo il tuo dovere,” Magnus riuscì finalmente ad incrociare lo sguardo di Alec nello specchio all’angolo della doccia. Il cuore gli si attorcigliò dolorosamente, nel vedere in che stato fossero i suoi occhi. Vuoti, smarriti. Occhi blu vuoti e smarriti, ancora una volta. “Sei un cacciatore, il tuo posto era a combattere per la tua città che stava cadendo sotto l’attacco dei demoni. Fermare quei mostri era il tuo modo di proteggerli”

 

“Se fossi rimasto, forse Max sarebbe ancora vivo”

 

“O forse sarei morto io,” con una delicatezza quasi surreale, Magnus gli scansò i capelli dagli occhi e lo strinse meglio a sé, continuando a guardarlo attraverso lo specchio. “Ricordi che mi hai salvato la vita, prima? Per di più, so che avete affrontato in tre Sebastian Verlac e per poco non ha avuto la meglio lui. Se fossi rimasto, forse ora i tuoi genitori piangerebbero due figli, invece di uno. Certe cose… certi eventi non possono essere evitati, Alec, e cercare una spiegazione all’impossibile può solo farci impazzire”

 

Alec rabbrividì bruscamente. Un fremito che non riconobbe come il singhiozzo che reclamava di uscire. Un pianto che non si era concesso, ma che gli si era imbottigliato proprio al centro del petto, impietoso. Reclamava di uscire.

 

“Ti prego… amore, ascolta la mia voce,” nessuno dei due fece caso al termine usato d’istinto da Magnus, a sua volta troppo preso ad accarezzare con dolcezza la nuca del ragazzo. “Io sono uno stregone, e sono anche potente, lo sai. Eppure ci sono cose che neppure io so spiegarmi, limiti che nemmeno io posso oltrepassare, anche se richiamo tutta la magia di cui dispongo. Lo stesso vale per te… non hai abbandonato tuo fratello, hai cercato di proteggerlo impedendo che altri demoni lo raggiungessero. Né tu né Isabelle potevate immaginare che Sebastian fosse un traditore. Jia Penhallow è una cacciatrice con anni di esperienza alle spalle, per di più è una sua parente, e non si è accorta di niente. Questo non è il momento di cercare delle colpe… il tempo della vendetta verrà,” Magnus gli baciò leggermente il collo, accarezzandogli il braccio. “Ora è il momento di dire addio a tuo fratello, solo questo conta”

 

Se fosse stato in sé, Alec si sarebbe accorto del sollievo nello sguardo di Magnus, quando si decise a smettere di fissare il vuoto per cercare i suoi occhi nello specchio. Era come se in tutta quella nebbia di emozioni convulse, le parole di Magnus fossero riuscite a fare breccia. A scavarsi un piccolo passaggio, così da raggiungere il suo cuore. E fu come sentire un milione di punture d’aghi, su quel cuore, perché la prima sensazione che lo risvegliò da quel torpore da shock fu il dolore.

 

Max è morto.

 

Alec scosse appena la testa, mentre gli occhi gli si riempivano di lacrime. Magnus lo avvolse più saldamente nella sua stretta, baciandogli la spalla con dolcezza.

 

“Siamo solo io e te… non c’è nessuno, ho insonorizzato la stanza. Non ti vedranno e non ti sentiranno, Alec, siamo solo io e te… piangi. Hai perso tuo fratello. Non negarti il dolore, impazziresti, e questo non posso permetterlo”

 

Max è morto.

 

Il primo singhiozzo fu forte abbastanza da lasciarlo senza fiato. E poi ne venne un secondo. E un terzo. E alla fine Alec non capì neppure se quel pianto disperato fosse davvero il suo, se fossero state le sue gambe a cedere, trascinando entrambi in ginocchio a terra. Il dolore gli irruppe nella mente e nel cuore con una prepotenza che non si aspettava, e lacerò definitivamente quella sensazione di vuoto e apatia. Il suo fratellino non sarebbe tornato mai più. Non gli avrebbe mai insegnato a tirare con l’arco, e neppure lo avrebbe aiutato ad addestrarsi, come gli aveva promesso. Non riconobbe come propria la voce che continuava a scusarsi, a ripetere fra i singhiozzi quanto gli dispiacesse. Il dolore era così forte da impedirgli di stare dritto, curvo sotto il peso di un’emozione troppo violenta e impietosa.

E pianse.

Alec pianse come avrebbe voluto fare fin dal primo istante, e neppure seppe per quanto tempo.

L’acqua non si raffreddò mai, e nemmeno la stretta di Magnus si allentò. Qualche volta gli sentì mormorare qualche parola in una lingua che non riconobbe, o più semplicemente iniziò ad accorgersi delle carezze e del suo calore mentre lo abbracciava forte, come a volerlo inglobare in sé. E fu un gesto così naturale cercare la sua mano e stringerla, quasi a volersi arpionare ad uno scoglio solido durante la peggiore delle tempeste.

Pianse finchè il corpo non reclamò attenzione, indebolito e massacrato dai crampi alle gambe per la posizione innaturale. In qualche modo Magnus se ne rese conto, perché si mise seduto di spalle contro il vetro della doccia, attirandolo a sé e facendolo appoggiare con la schiena contro il proprio petto. Alec aveva il corpo ancora scosso dai sussulti e dai singhiozzi, anche se le lacrime ormai sembravano finite. Stanco, reclinò la testa indietro sulla spalla di Magnus, che gli baciò dolcmente la tempia, la guancia e il collo. Alec sospirò appena, cercando di nuovo la sua mano. Si sentiva talmente sfibrato e confuso che non riusciva neppure a pensare. L’unica cosa che continuava a vedere era il corpo senza vita di suo fratello fra le proprie braccia.

 

“So che fa male,” Magnus inclinò appena il capo, cercando lo sguardo di Alec nello specchio. Aveva il viso rigato da due impercettibili linee umide… lacrime. “Vorrei poter fare qualcosa, ma non posso. Non posso alleviare il tuo dolore”

 

Alec socchiuse gli occhi, limitandosi a scuotere leggermente il capo. Non credeva neppure di avercela, una voce su cui fare affidamento. Non sarebbe riuscito a dire nulla.

 

“Imparerai a convivere con il dolore,” continuò piano Magnus, appoggiando il mento sulla sua spalla. “E’ come ritrovarsi senza la mano destra. Non sei morto… continui a vivere. Ma tutta la tua vita deve essere ridisegnata, perché… tutto quello che facevi con la mano destra, devi imparare a farlo con la sinistra. E non è facile, anzi, ma alla fine diventa solo un’altra abitudine. Il tempo non medica nessuna ferita, ma ti insegna a convivere con le cicatrici”

 

Forse fu il tono morbido che stava usando, il calore nella sua voce, o più semplicemente quella presenza forte e rassicurante insieme. Il cuore continuava a fargli male, ma oltre al dolore c’era qualcosa di diverso che Alec stava iniziando a percepire. Si mosse piano, usando solo la mano libera, tirandosi seduto in modo da poter guardare Magnus negli occhi. Gli vide inclinare appena il capo e accennare un sorriso, pizzicandogli il mento.

 

Non voglio che tu te ne vada…

 

Iniziò come un bacio lento, senza alcuna fretta, senza frenesia. Alec fu il primo a ricercare quel contatto, e Magnus lasciò che fosse lui a dettare i tempi, accarezzandogli lentamente la nuca. Alec lasciò scivolare la mano lungo il suo petto, soffermandosi all’altezza del cuore. Aveva un battito strano, Magnus. Più lento, eppure talmente stabile che sembrava il ritmo più rassicurante che avesse mai scandito la sua vita. Staccò le labbra dalle sue, cercando avidamente quel punto sul collo che ogni volta gli strappava un gemito rauco, e divincolò la mano dalla sua per sbottonargli i pantaloni grigi. Il gemito arrivò, ma accompagnato da un gesto malfermo con cui Magnus lo allontanò leggermente, guardandolo dritto negli occhi. Alec questa volta lesse chiaro e tondo il dubbio nel suo sguardo d’ambra.

 

Non voglio perderti.

Non voglio perderti mai più.

 

“Voglio stare con te”

 

Magnus sbattè gli occhi, socchiudendo le labbra. Lo stava guardando come se non credesse a quelle parole, come se le avesse aspettate da troppo tempo. Abbastanza da non credere che sarebbero mai arrivate. 

 

“Non… non lo so che cosa succederà da domani,” Alec scosse appena la testa, senza distogliere lo sguardo. “Non so quanto mi resta da vivere, non so che cosa ci trovi di speciale in me… però so che voglio stare con te. Fino a che avrò respiro in corpo, ok?”

 

Alec fece a stento in tempo a finire la frase, che Magnus lo stava divorando avidamente. Un bacio che sapeva di gioia inattesa, di frenesia, di bisogno. E lui rispose allo stesso modo, perché in mezzo a tanto dolore soffocante, quel sentimento non si stava lasciando schiacciare, anzi. Aveva finalmente trovato forza e voce. E quel che restava dei vestiti dello stregone finirono appallottolati in un angolo della doccia, mentre continuavano a cercarsi e divorarsi, ad unirsi ripetutamente, a gemere l’uno il nome dell’altro come fosse la più dolce delle preghiere. E ore dopo, quando si rifugiarono sotto il calore delle coperte ancora stretti l’uno all’altro, Alec chiuse gli occhi quasi immediatamente. Non ebbe il tempo di pensare a tutti gli incubi che lo aspettavano, al dolore, alla tristezza, alla paura di quello che sarebbe successo. Le braccia di Magnus lo circondavano e lo stringevano, e il sonno lo accolse senza problemi.

In qualche modo, sarebbe andata bene.

In qualche modo, avrebbe avuto la forza di andare avanti.

E avrebbero affrontato ogni cosa insieme.

 

 

 

Che voglia che avevo di scrivere questo capitoletto *-* ooh, finalmente tutto come dovrebbe essere :D E io devo un grazie grande quando un grattacielo a tutti, perché mi avete commossa con le vostre recensioni *____* quindi special thanks to:

Mizar: ma grazie, che complimento importante *____*

Dontblinkcas: mille grazie *-* anche io adoro Alec, perché nella sua fragilità è uno di quelli che cresce di più (lui e Simon) nell’arco dei libri… ci si identifica facilmente, è un insicuro cronico perennemente messo alla prova dalla realtà, povero cuore XD e si, questo è stato il suo punto di svolta perché secondo me aveva bisogno di un evento davvero forte, il classico ceffone in faccia, che ti fa rendere conto di cosa vuoi davvero. Bacini!

Pulla68: grazie mille, sei gentilissima! *-*

Maggyeberty: siamo in due a voler andare a quelle feste :D e grazie tipo GRAZIE XD perché mi hai detto delle cose bellissime *o* e anche questa volta, abbiamo Malec struggenti… ma finalmente si sono trovati. Non ce n’è, per me sono proprio due calamite *-* in qualsiasi emozione, dolore o gioia, si attraggono e si attirano anche se si sforzano di fare il contrario *___* Bacissimiiii :3

Emilia_asr: anche io amo molto Magnus *___* e ti sono più che grata per le cose bellissime che hai detto *-*

 

Bene, adesso sgattaiolo via… un baciozzo enorme a tutti, grazie a chi leggerà, a chi recensirà… e ci si vede al prossimo capitoletto! :D

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