La Stagione Viola

di XanaX
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo ***
Capitolo 2: *** Secondo ***



Capitolo 1
*** Primo ***



 

P u r p l e P r o j e c t


Il Periodo Viola dell'Amore

 

 

I Purple Cat aspettavano i loro frontman nel dorato atrio del grattacielo più alla moda della città. Rob osservava concertrato le sue All Star viola, forse sparando che tutti i tagli e la stoffa lacera si aggiustassero miracolosamente da soli, temeva che non lo facessero salire ai piani superiori senza un vestito elegante e adatto al posto. La mani di Rob tremavano, non si capacitava del perché, per il servizio fotografico, gli avessero raccomandato di non portare la chitarra. Lui era un musicista, mica un modello. Dave tamburellava nervoso sullo schienale, nel suo cinismo naturale e un po’ irritante pensava al lusso inutile come ultima spiaggia di musicisti annoiati e invecchiati precocemente, anche loro sarebbero diventati così. Scassi le chitarre e i timpani dei vicini nel tuo garage, diventi famoso e tutto è accessibile e l’industria musicale inizia a succhiarti sangue, passi di moda e diventi un cd d’antiquariato.

Quando le porte di sottile vetro si aprirono e mostrarono Elias, tutti i presenti, segretarie, vecchie rockstar passate di moda, giovani fotografi, anonimi in cerca di contratto, vagabondi che tentavano di convincere gente senza cuore a comprargli un panino pieno di maionese e insalata, rimasero strabiliati alla vista di quella creatura che pareva provenire da Marte, o forse da Plutone, anche se era stato declassato e non era più un pianeta. Elias portava con disinvoltura un caschetto castano chiaro, degli occhialetti rotondi di pesante vetro ocra gli addolcivano il profilo affilato e rendevano i tratti già sfumati della mascella ancora più femminei, però celavano gli occhi blu. Vestiva un paio di pantaloni bianchi attillati, dei winklepicker color sabbia, un foulard leopardato fungeva da cintura e una delicata camicetta candida di cui i bottoni superiori erano, come casualmente, lasciati aperti.

Rob trattenendo il fiato gli chiese come mai aveva ritardato tanto. Elias indicò una chiazza violacea che prima era coperta da un ciuffo di capelli sul viso.

- Un banale imprevisto con il fratello del nostro carissimo batterista.- Dave sentendosi tirato in causa e capendo immediatamente la situazione fece cenno ad Elias di stare zitto e si avviò verso l’ascensore. Quando le pesanti porte del montacarichi ultraconfotevole, straricco e assolutamente silenzioso si furono richiuse, inspirò profondamente l’aria e strinse i pugni.

- Mio fratello, come faccio a farlo smettere? Lui dice che la nostra musica fa schifo, è per isterici ragazzini che vogliono soltanto trovare uomini per scopare, dice che si vergogna ad avere un parente come me, si vergogna che io suoni nella stessa band di un ragazzo discusso come te, Elias. Ripete come una dolorosa nenia il suo disgusto per Rob, lo “strafatto sfigato”.- Elias si buttò con uno slancio contro il petto di Dave, e lo strinse dolcemente, come per scusarsi di essere parte dei problemi del batterista con suo fratello. Dave gli accarezzava i morbidi capelli e osservava Rob che si massaggiava le nocche del pugno sinistro dopo aver tirato un violento colpo contro i bottoni con i numerini dorati.

- Ti piacerà il fotografo, è diverso, e credo che abbiate molto in comune…- Sussurrò Dave appoggiando un bacio leggero su capo di Elias. – Adorerei l’averti come fratello.-


Eric sonnecchiava ad occhi aperti nel suo ufficio, aveva tirato i pesanti tendoni viola per godere dei benefici del buio, la web-cam installata nel portatile sulla scrivania gli rimandava l’immagine di un seducente ragazzo con lunghi e soffici capelli neri, iridi di un serio e caldo color cioccolato fondente, forse una leggera ombra di stanchezza, ma comunque fresco e abbastanza presentabile. Attendeva con impazienza la band per il servizio fotografico, si rigirava tra le mani lattee il cd, non sapeva se ascoltarle o no, poi si decise e, stando particolarmente attento a non vedere la foto presente sulla copertina, avviò lo stereo.

 

Chiudendo gli occhi vedeva passionali ma folli vampiri aggirarsi per una stanza completamente bianca con il pavimento macchiato da chiazze rosse, sangue, forse.

 

Rabbrividiva ad immaginare il cantante desnudo coricato su una tavola autoptica, con i resto della band attorno, con la mascherina da chiriugo e bisturi alle mani.

 

La terza traccia parlava di una crisi da astinenza da cocaina, ma il significato reale era l’astinenza da sentimenti. Allora provò a delineare nella sua mente un’altra stanza vuota, questa però meno abbagliante, piena di tinte fosche, e appoggiati mollemente alla parete si trovavano tutti e tre i componenti della band, forse un poco sfocati, avvolti da una nebbia fitta e con dei rami di edera a ricoprirli.

 

- Dio, Eric, non ci sai proprio fare. Che fine ha fatto la tua dannata immaginazione?-

 

Sussurrò rivolto a sé stesso stringendo forte i pugni, fino a farsi sanguinare i palmi delle mani, già notevolmente martoriati.

 

Nell’altra stanza, quella riservata alla sua fedele segretaria, Corinna, si udì un forte scampanellio, i Purple Cat erano arrivati.

 

Eric diede una svelta occhiata allo specchio, afferrò il lucidalabbra alla ciliegia che alloggiava nel portapenne e lo passò pesantemente sulle labbra, rendendole di un bel rosso carminio, si scompigliò leggermente i capelli e stropicciò un po’ gli occhi per rendeli arrossati, e languidi.

 

- Signore Eric, i Purple Cat sono arrivati, si ricorda, avevano un appuntamento… posso farli entrare?- Eric non ebbe il tempo di rispondere che la band entrò come un tornado nel laboratorio adibito ad ufficio, Dave si accomodò elegantemente in una delle due poltrone davanti alla scrivania, Rob prese alloggio su una piccola brandina dall’altra parte della stanza. Elias, seduto nella poltrona di Eric, appoggiò con noncuranza gli stivaletti sulla scrivania.

 

- Ora mi spiegate cosa volete dimostrare con questo atteggiamento…- Chiese loro il fotografo arricciando il naso, gesto delizioso, pensò subito Elias.

 

- La noia…- Accennò Dave.

 

- La frustrazione di un gruppo di musicisti della periferia…- Continuò Elias.

 

- Nei confronti del’industria musicale.- Concluse Rob in una nuvola di fumo sospetto.

 

Eric anzò un sopracciglio guardandoli con curiosità mista a fastidio. Scrutava Elias cercando di comprendere come poteva un ragazzo così affascinante comportarsi in un modo così infantile.

 

- Tu, come ti chiami e quanti anni hai?- Gli domandò il fotografo agguantando il mento del cantante per catturare il colore dei suoi occhi.

 

- Io sono Elias, ho diciotto anni e sono il cantante ed il bassista.- Borbottò egli fingendosi ferito per i modi bruschi, ma tremando leggermente per lo sguardo duro e sensuale di Eric.

 

- Allora, l’idiota elegante suona la batteria e il drogato è un chitarrista- Commentò il ragazzo dai capelli neri, pregustando il finale della vendetta così vicina. Eh no, lui non avrebbe perdonato a dei ragazzi così giovani quel comportamento così superiore.

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Capitolo 2
*** Secondo ***


- Elias! Smettila di dimenarti! Sei morto, lo vedi? Sei deceduto! Se non la smetti, giuro che ti lego al lettino!- Lo rimproverò il fotografo.

- Ti piacerebbe legarmi al letto, eh?… Ho freddo! Dannato metallo!- Ringhiò Elias tra i denti, mostrando un perfetto broncio.

Eric ed i Purple Cat si trovavano nella cripta asettica e tecnologica dell’ospedale. Eric era riuscito il ad avere il permesso speciale di usare quella stanza come location per le fotografie grazie ad un suo amico capo reparto. Elias era sdraiato su un tavolo autoptico, nudo, tranne per i leggeri boxer neri. Eric si inginocchiò fino a trovarsi alla stessa altezza del cantante, gli sussurò vicino all’orecchio: - Se fai il bravo bambino e stai fermo, e la smetti di urlare… dopo ti porto a casa mia a vedere il mio letto…-

Elias tremò a sentire il caldo fiato del fotografo sul collo, ad eccitare le terminazioni nervose, cercò subito di calmarsi e ignorare il freddo che gli lambiva la pallida pelle della schiena, non tanto per essere invitato a casa di Eric, ma per non dargli un pretesto per stuzzicarlo ulteriormente. Non voleva immaginare neanche quali avrebbero potuto essere le conseguenze.

Eric si alzò e, riprendendo la compostezza folle che si riesce a notare solo nei direttori d’orchestra, ordinò a Rob e Dave di appostarsi attorno ad Elias, e spostò di pochi centimetri un faretto per far cadere il fascio di luce direttamente su gli occhi, spalancati, del malcapitato cantante. Elias emise un gemito di dolore e di sorpresa. Una piccola candela di sadismo dentro Eric si infiammò. Rob cercava di capire perché quel fotografo si comportava in un modo così antipatico e sconveniente. Dave ridacchiava, conoscendo già i piani di Eric.

In tutto si scattarono solo una quindicina di foto. Ma il risultato fu meraviglioso.

Per quel pomeriggio avevano finito, Eric consigliò ai Purple Cat di andare subito a casa, di farsi una doccia, di mangiare leggero ed evitare di fare le ore piccole, per il giorno successivo li voleva splendenti.

Rob, Dave, Elias e Eric viaggiavano in una autovettura scoperta, con il sole che li accarezzava dolcemente e la radio che diffondeva una melodia calda come le notti caraibiche. Osservavano tutti un particolare silenzio, quasi religioso. Era Dave che guidava, Rob occupava il posto anteriore del passeggero, Elias e Eric tentavano di non considerarsi - sennò si sarebbero scannati, teneva a precisare Dave- nei sedili posteriori.

Eric, fasciato nei suoi attillati panni neri, era mollemente adagiato con le braccia allargate, ed un sorriso a metà tra il compiaciuto ed il malizioso a illuminargli il viso, scatenato dallo sguardo offeso e triste di Elias.

- Porca miseria! Mi viene da vomitare… Dave! Ferma qui, c’è un chiosco, aspetto che mi passi la nausea e poi torno a casa a piedi- Annunciò agitato Elias portandosi le mani allo stomaco.

Eric sorrise a quella finta così plateàle e, quando Dave accostò vicino ad un parco, decise di scendere anche lui, per tormentare un po’ il cantante, ma soprattutto per passare ancora del tempo con quella creatura infantile ma affascinante.

- Dovresti smetterla di seguirmi…- Accennò Elias dirigendosi ad ampie falcate verso una gelateria. Eric si immobilizzò per un attimo, poi prese il biondino sottobraccio e gli sussurrò: - Non ti sto mica seguendo, io, stiamo facendo una deliziosa passeggiata, in un adorabile parco, osservando il tramonto,e tra poche decine di secondi io ti offrirò un gelato. E tutto perché tu hai inscenato un malessere, per stare solo con me.-

- Oh, commovente. Sei melenso. Però il gelato lo accetto volentieri.- Rispose bruscamente Elias senza però staccarsi di un centimetro dal fianco del fotografo.

Ordinarono due coni gelato piccoli.

Fragola e cioccolato per Elias. Limone e nocciola per Eric.

Il cantante pensava che poi la compagnia di quell’invadente non gli era così sgradita, e aveva degl’occhi talmente belli. In fondo si stava godendo quei piccoli, teneri, e temeva irripetibili, attimi. Il caldo del sole morente, il freddo del gustoso gelato. Il ragazzo in nero, il ragazzo vestito di luce. Era strepitoso.

Gli sarebbe piaciuto afferrare la nuca di Eric, sentire scorrere i lunghi capelli corvini tra le dita, avventarsi sulle sue labbra rosse, Dio, che colore vivido, accarezzare per ore la pelle candida come la neve, quella pura, quella che non esiti a mettere in bocca quando sei piccolo, così, semplicemente,davanti a tutti.

- Eli? Posso abbracciarti?- Pronunciava quelle parole col viso arrossato, imbarazzato.

Silenzio. Silenzio assenso.

Eric provò a cingere i fianchi di Elias. Lui non reagiva, poggiava le mani su un muretto, osservava l’orizzonte, ed oltre. Gli posò il mento sulla spalla. Petto contro schiena. Bacio leggerissimo sul collo. Labbra contro pelle.

- Perché mi hai trattato così, oggi?- Chiese Elias a bruciapelo.

- Scusami.- Eric lo abbracciò più forte.

- Me ne vado a casa.- Disse con enfasi Elias, sciogliendosi dalla stretta del fotografo.

Vorrei averlo incontrato tre anni fa. Pensava il ragazzo dai lunghi capelli neri, osservando il puntino bianco che di dileguava, illuminato dal rossore del sole morente. Almeno tutto sarebbe più facile .E avviandosi mestamente verso casa si era fermato a comprare un panino per un uomo anziano, svitato e allegro che non aveva altri famigliari oltre i piccioni e l’alcol.

Il biondo correva incontro alla notte, sfiorava con le dita sottili un cancello, alto quattro metri, di ferro battuto. Arrivato in prossimità di un albero, svelto si arrampicò sui rami scheletrici e si lasciò scivolare lentamente lungo l’inferriata, le prime volte si feriva, ma adesso tutte le ferite si erano cicatrizzate, tranne quella più profonda.

Lasciandosi guidare dalla sacralità del luogo, oltre che dalla conoscenza di ogni sentiero, di ogni cipresso, di ogni lapide, raggiunse un piccolo, apparente, spiazzo.

Apparente perché la lapide c’era, ma non era rialzata, ma il nome e le date, quella allegra di nascita e quella funesta di morte erano incise orizzontalmente, su una lastra di marmo prezioso. Ma nessun materiale, per quanto regale potesse essere, poteva anche minimamente restituire alla accoglienti e morbide braccia della vita, giovane beata, una persona che si trovava nelle grinfie taglienti di vecchia, morte, vecchia signora avvolta in pelle, umana. Pensava con sgomento Elias.

Si era coricato sulla lapide di ghiaccio, ah, quale giaciglio più tremendamente tenero, per una sensuale anima in pena? Passave le dita nei piccoli interstizi delle lettere.

Tristan Wild.

Non mi lasciare vita mia.

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