Il Torneo

di Najara
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: La Cacciatrice ***
Capitolo 2: *** Primo capitolo: La Radura ***
Capitolo 3: *** Secondo capitolo: Il cinghiale ***
Capitolo 4: *** Terzo capitolo: Sete di sangue ***
Capitolo 5: *** Quarto capitolo: Il Sacrificio ***
Capitolo 6: *** Quinto capitolo: Il Dono ***
Capitolo 7: *** Sesto capitolo: Il prezzo della Pace ***
Capitolo 8: *** Epilogo: Fides ***



Capitolo 1
*** Prologo: La Cacciatrice ***


(Revisionata nel settembre 2016)

 

Un prologo, sei capitoli e un epilogo, già scritti e pronti ad essere postati…

Questa storia deriva in parte da un sogno e l’ho scritta di getto per cui accetto ogni tipo di commento costruttivo o… distruttivo!

E’ la prima storia originale (che parolone… diciamo non scritta su personaggi e mondi creati da altri) che posto per cui mi farebbe davvero piacere conoscere le vostre opinioni in merito!

Buona lettura!

 

 

 

Il Torneo

 

 

Prologo: La Cacciatrice

 

L’aria era fredda, il giorno era agli albori e il cielo era azzurro: una giornata perfetta.

Il villaggio si risvegliò, l’eccitazione rendeva l’atmosfera scoppiettante. I bambini urlavano mentre le madri accendevano i fuochi preparando le colazioni. Gli uomini si radunarono presto in gruppi, chiacchierando a bassa voce, alcuni limavano una lama, altri oliavano una fibbia. Taluni erano ciarlieri e chiassosi talaltri tesi e taciturni.

La donna uscì dalla propria tenda e chiuse gli occhi, assaporando l’aria fresca e i sapori che questa le portava. Il gruppetto di uomini che chiacchierava poco distante le fece cenni di saluto e lei ricambiò inchinando appena la testa. Portava al collo la testa di lupo, era il loro Cacciatore, tutti la conoscevano.

Attraversando il villaggio ricevette saluti, sorrisi e numerosi inviti a unirsi per la colazione, ringraziando continuò a camminare, la sua destinazione era più avanti.

Salì sulla collina che dominava sulle tende e, per un attimo, si voltò a guardarle. Anche da lì era chiara l’animazione che le pervadeva. Accarezzò la testa di lupo mentre il suo sguardo abbracciava la pianura e la foresta: loro erano già lì.

I Clan, così si facevano chiamare, al villaggio avevano dato loro nomi diversi: razziatori, barbari, assassini. Per vent’anni erano stati un flagello. Avevano iniziato razziando le greggi, poi quando il loro numero era aumentato si erano organizzati e avevano rivolto le loro brame ai centri abitati. Avevano ucciso e depredato. Lei lo sapeva: in una di quelle scorrerie aveva perso sua madre e poi, quando i Villaggi avevano iniziato a difendersi, in uno scontro aveva perso suo padre.

Da alcuni anni però era cambiato qualcosa, i Clan si erano raggruppati e avevano iniziato a costruire. Sono allora si era passati al dialogo. Ora i Villaggi e i Clan si incontravano per commerciare e per il Torneo, ovviamente.

La donna distolse lo sguardo dalle tende di pelle dei Clan e raggiunse la sommità della collina. L’aria ora le sembrò meno tagliente, oppure dipendeva dalla leggera fatica causata dalla salita. La Cacciatrice si tolse i comodi stivali in pelle lasciandoli fuori dal cerchio, poi, assaporando il contatto dei piedi con l’erba ancora bagnata dalla rugiada della mattina, entrò tra le pietre sacre. Con un sospiro si sedette a gambe incrociate sul ceppo tagliato della grande quercia al centro del cerchio e chiuse gli occhi.

La sua mente si rilassò e lei lasciò andare ogni pensiero, dimenticò il freddo dell’aria e la durezza della quercia, sola al centro del nulla sentì la foresta, percepì il cervo che brucava l’erba tenera, l’agitazione della lepre, la fame del lupo, udì, con orecchie non sue, il grido dell’aquila e si tuffò assieme ai salmoni nell’acqua del fiume, lottando con coraggio contro la corrente.

Il sole le sfiorò la fronte riscaldandola e richiamandola in sé. La Cacciatrice aprì gli occhi sorridendo al nuovo giorno, si alzò stiracchiando i muscoli indolenziti dall’immobilità e, in un gesto d’abitudine, accarezzò le testa di lupo che portava al collo. Un usignolo la guardò, inclinando la testa curioso, un istante prima di volare via e lei sorrise, ancora.

Dopo tutto quello poteva essere un bel giorno.

 

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Capitolo 2
*** Primo capitolo: La Radura ***


Ecco il primo capitolo…

Buona lettura!

 

 

Primo capitolo: La Radura

 

Poco dopo camminava di nuovo nel villaggio.

“Cacciatrice!” Si voltò, riconoscendo la voce della donna che la chiamava.

“Aria, buongiorno.” La ragazza le sorrise e il volto le si illuminò.

“Sei andata al cerchio?” Chiese, affiancandosi a lei.

“Sì.” La ragazza annuì come se avesse conosciuto la risposta.

“Lo immaginavo.” Affermò infatti, poi aggiunse: “Vieni, ti ho tenuto da parte la colazione.”

La donna annuì, sorridendole. Lei e Aria erano nate lo stesso inverno e, malgrado fossero molto diverse, erano sempre state come una cosa sola: quando erano bambine era difficile vedere una di loro senza che ci fosse anche l’altra.

La tenda in cui Aria la condusse era posta al centro del villaggio, non essendo ancora sposata la giovane viveva con la famiglia. Quando entrarono sua madre era intenta a sistemare un abito e fece loro un sorriso nel vederle, si era occupata di lei da quando i suoi genitori erano morti. In quando moglie del capo villaggio era un suo compito, ma non era mai sembrato un dovere pesante, lo dimostravano i due bambini che si precipitarono all’interno in quel momento, due fratelli orfani da poco che la donna aveva accolto con tutto l’affetto di una madre.

“Bambini, non si corre in casa!” Li redarguì, ottenendo in cambio due sorrisi monelli. I fratelli fuggirono via e Aria li guardò sparire scuotendo la testa.

“Madre, dovremmo far fare delle scarpe nuove per quei due, presto si vedranno le dita dei piedi.”

“Li consumano alla velocità con cui li consumavate voi due.” Commentò la donna con una finta smorfia, Aria sorrise lanciando uno sguardo alla Cacciatrice che aveva cercato con complicità i suoi occhi.

Si sedettero alla tavola e la giovane le posò davanti del pane con della carne fredda.

“Cosa hai visto?” Le chiese poi Aria, lanciandole un’occhiata. La donna si strinse nelle spalle, mangiando.

“Lo sai che è difficile da spiegare…” Aria sospirò a quella risposta evasiva.

Rysa, continuerò a chiedertelo se tu rispondi sempre in questo modo.” Le posò una mano sulla spalla stringendo appena, la Cacciatrice fu sul punto di rispondere quando il capo del villaggio entrò nella tenda.

“Oh, bene, Rysa sei qui.” La donna posò la mano sul pugnale, che teneva sempre alla vita, in segno di rispetto per il ruolo del nuovo arrivato e l’uomo la imitò in modo frettoloso, prima di proseguire con le sue parole. “Fuori sono tutti eccitati, avrò bisogno anche di te, ti rispettano come rispettano me e staranno buoni se sarai nei paraggi. Non voglio nessun tipo di incidente con gli uomini dei Clan.” Rysa annuì, con aria seria.

Aveva venticinque anni, eppure aveva già il rispetto del villaggio, si era guadagnata quel diritto ottenendo la testa del lupo due anni prima. Era a capo dei cacciatori e procurava la carne per tutti.

L’uomo sospirò soddisfatto poi lanciò un occhiata ad Aria.

“E tu, non farti vedere troppo in giro.” La ragazza corrugò la fronte, mentre la bocca assumeva una linea dura, il padre alzò le braccia. Rysa lo aveva visto affrontare più volte uomini che avevano già estratto i coltelli, pronti ad uccidersi per una lite e riportarli alla calma, ma, neppure una volta, lo aveva visto trionfare sulla figlia.

“Era solo un consiglio, non voglio che ti succeda nulla di male.” Il volto di Aria si rilassò e la ragazza sorrise al padre.

“Non mi succederà nulla, starò con Rysa.” L’uomo lanciò un’occhiata alle due donne, scosse la testa e uscì.

“Forse tuo padre ha ragione…” Iniziò Rysa, ma lei scosse la testa.

“Starò con te, cosa può succedermi?” Sorrise e le strinse la mano.

“Cacciatrice?” La voce di un uomo all’esterno della tenda richiamò l’attenzione di Rysa, Aria le lasciò la mano e fece un passo indietro.

“Vai. Ci vediamo dopo, al Torneo.” Sorrise e si voltò facendo oscillare i lunghi capelli biondo oro.

Rysa la guardò andare via poi uscì.

Il sole ormai aveva raggiunto il villaggio e le strade era ancora più animate che in precedenza. Dinal, appoggiato ad una botte rovesciata, la stava aspettando.

Rysa.” Disse nel vederla, toccando l’elsa del pugnale gesto che lei imitò. Dinal era più vecchio di lei, era stato lui a insegnarle a cacciare, ma ora era lui a toccare il pugnale per primo nel vederla.

“Il Capo mi ha detto che non vuole incidenti.”

“Sì. Lo hai già detto ai ragazzi?” L’uomo annuì poi guardò il sole che si alzava nel mattino.

“I Clan sono in fermento… Sta succedendo qualcosa.” Rysa corrugò le sopracciglia, non era da Dinal esagerare, essere pessimista o avere fantasie.

“Anche il villaggio è in fermento, il Torneo mette tutti in agitazione.” L’uomo si strinse nelle spalle, ma non sembrò molto convinto.

I tamburi presero a suonare e Rysa sorrise.

“Ci siamo!”

Il villaggio si svuotò mentre ogni persona: anziano, uomo, donna o bambino, raggiungeva la  grande Radura.

La Radura, come il cerchio di pietra era un luogo sacro per i Villaggi, costruito molto tempo prima poteva accogliere centinaia di persone sui gradini in pietra, lasciando al centro uno spazio libero nel quale si sarebbe svolto il Torneo.

Rysa insieme a Dinal seguì la folla, raggiungendo la Radura che era già occupata dagli uomini dei Clan. I due gruppi si lanciavano occhiate non troppo amichevoli, ma nei caotici momenti in cui ognuno trovò il proprio posto, non scoppiarono tafferugli.

I tamburi smisero il loro ritmico richiamo e il Capo del villaggio entrò nella spianata, alzò le braccia per richiedere il silenzio, poi non appena ne ebbe ottenuto una parvenza, annunciò con voce stentorea:

“Che il Torneo abbia iniziò!”

Il pubblico scoppiò in applausi e urla, erano settimane che occupava i pensieri di tutti, finalmente  era iniziato.

Il Torneo era una tradizione antica e si svolgeva ogni cinque anni, ma era la prima volta che vi partecipavano anche i Clan. Il Capo osservò gli uomini vestiti di pelli, dai capelli lunghi e neri poi il suo popolo, dagli abiti colorati e dai volti pallidi, infine con voce chiara disse:

“Che gli sfidanti si facciano avanti!”

Rysa osservò i giovani del villaggio alzarsi, conosceva la maggior parte degli uomini che avrebbero partecipato, non sono del suo villaggio, ma anche quelli provenienti dai paesi limitrofi. Una testa più bionda delle altre, però, distrasse la sua attenzione dagli sfidanti, Aria la raggiunse e le sorrise, aveva il volto leggermente arrossato, segno che aveva corso.

“Stavo per perdermi l’inizio! Mia madre non mi ha permesso di uscire con il vestito azzurro.” Rysa inclinò la testa valutando il vestito verde dai delicati ricami che la ragazza indossava, forse quello azzurro le faceva risaltare gli occhi dello stesso colore, ma questo non le toglieva nulla.

Nell’arena il gruppo di giovani si era fatto piuttosto nutrito, anche i guerrieri dei Clan erano pronti alla sfida e i due gruppi erano ben separati sul terreno brullo al centro della Radura.

Uno spintone la fece voltare verso la folla, poco più avanti si era accesa una lite, Rysa si mosse scivolando tra la folla come tra gli alberi della foresta fino a quando non si ritrovò davanti ai due contendenti.

“Cosa succede Redi?” Il ragazzo era rosso come una fragola di bosco e teneva il pugno stretto attorno al pugnale il un gesto minaccioso e non di rispetto, di fronte a lui c’era un uomo dei Clan: era alto, le spalle larghe e il torace ampio, non portava la barba, ma aveva i tipici capelli lungi e neri. Vestito con una pelle di orso nero, appariva minaccioso, anche se le sue mani erano lontane dalle armi.

“Mi ha offeso!” Rysa tornò a guardare Redi.

“Come?” L’uomo arrossì ancora e distolse lo sguardo, allora parlò l’uomo dei Clan, sorprendendola con una voce melodiosa anche se profonda.

“Ho chiesto a lui, perché non partecipare.” Rysa fermò Redi con un gesto della mano. Il giovane aveva perso la sorella in un incursione dei Clan qualche anno prima ed era chiaramente in cerca di uno scontro.

“Non mi sembra una domanda offensiva Redi, per favore, vai da Dinal e digli che sarai il suo galoppino per la giornata, tutto chiaro?” Redi digrignò i denti, ma allentò la presa sul pugnale. Con una smorfia sfiorò il pugnale in segno di accettazione e si voltò sparendo tra la folla.

Rysa alzò gli occhi sull’uomo dei Clan che però non la guardava più, il suo sguardo era perso, rapito da qualcosa alle sue spalle. Con la gola secca la Cacciatrice si girò intuendo cosa avrebbe visto: Aria era lì, i suoi occhi azzurri e la sua chioma d’oro illuminati dal sole. Rysa fece un passo di lato frapponendosi tra lei e l’uomo che inclinò la testa, sorpreso di vederla.

“Mi dispiace per l’incidente.” Affermò cercando di chiudere la faccenda. L’uomo agitò la mano scacciando l’accaduto poi sorrise e indicò con il dito Aria.

“Ho già visto capelli d’oro, ma mai come lei, brillano!” Sorrise ancora, contento poi, nel vedere che Rysa si voltava per andarsene, la afferrò per un braccio. Attorno a loro l’aria si condensò, tutti gli uomini del villaggio li stavano guardando ora. Rysa fissò negli occhi il guerriero dei Clan che si guardò attorno, incuriosito più che timoroso, dalla reazione che quel semplice gesto aveva creato. Perplesso le lasciò il braccio.

“Tu sei solo donna.” Disse come se quello spiegasse la sua incomprensione, poi si strinse nelle spalle e sorrise. “Solo sapere…” Si interruppe alla ricerca della parola. “Sposa?” Disse infine quando l’ebbe trovata. Nel vedere lo sguardo interrogativo di Rysa indicò di nuovo Aria che guardava l’arena riempirsi di giovani.

“No, ma è la figlia del Capo.” Gli occhi dell’uomo si illuminarono e Rysa si rese conto di aver commesso un errore.

“Bene.” Disse infatti lui poi sorrise e scese tra la folla fino a raggiungere l’arena.

Il suo arrivo fu accompagnato da un boato da parte dei Clan che smisero di inneggiarlo solo quando lui alzò le braccia per parlare.

“Cosa succede?” Dinal l’aveva raggiunta e guardava, come tutti, il nuovo arrivato nell’arena. Rysa non gli rispose stava attendendo con timore le parole del guerriero dei Clan.

“Io sono Orsoi, mio padre era Artiglio d’Aquila e mio nonno Toro Grigio, sono del Clan Grigio e sono il primo re dei Clan!” Metà dell’arena saltò in piedi, inneggiante, mentre l’altra metà rimase in uno sbigottito silenzio, nessuno aveva saputo che i Clan, ora, avevano un re. L’uomo però non aveva finito.

“Sono qui per onorare il Torneo.” Questa volta aveva parlato nella lingua dei Clan e un uomo aveva tradotto per lui. “E quale miglior modo per onorarlo se non partecipandovi?” Di nuovo i Clan esultarono, mentre metà del pubblico attese la traduzione per poi iniziare a valutare le qualità fisiche del re e le sue possibilità. Rysa non aveva bisogno di sentire i discorsi per immaginarsi i più anziani decantare la sua evidente forza.

Il re si diresse verso il Capo e gli tese la mano, era un saluto tipico dei Clan e l’uomo, abituato a trattare con loro, non esitò a stringergliela.

“Capo!” Urlò poi il re, ottenendo l’immediato silenzio. “Sono re da un giorno e sono alla ricerca della mia regina.” Rysa lanciò un occhiata ad Aria che poco più in là stava guardando la scena senza nessuna apprensione, a differenza di lei, non aveva visto lo sguardo che le aveva lanciato Orsoi.

“Chiedo…” Continuò lui, questa volta nella lingua dei Villaggi. “Chiedo la mano di vostra figlia.” Concluse, dopo essersi consultato con l’uomo che traduceva accanto a lui.

Il Capo lo guardò sbigottito, era un uomo alto e forte, eppure appariva piccolo e vecchio accanto a quel gigante vestito di pelli.

Rysa guardò Aria che si era voltata per cercarla, il terrore era chiaramente leggibile nei suoi occhi, insieme a una silente supplica. I suoi meravigliosi occhi azzurri la imploravano di aiutarla e lei non sapeva cosa fare.

Tutti erano in attesa della risposta del Capo villaggio che sembrava incapace di dire alcunché.

“Capisco che non posso averla senza aver dimostrato il mio valore.” Intervenne ancora Orsoi, aiutato dal traduttore. “Ma se vincerò il Torneo avrò provato di essere il miglior guerriero e avrò la mano di vostra figlia.”

A nessuno nell’arena sfuggì la minaccia che quella proposta implicava, non c’era spazio per un rifiuto.

“Sarà un onore, per me, concedervi la mano di mia figlia, se vincerete il torneo” Fu quindi obbligato a dire il Capo. Dalla folla ottenne un boato di soddisfatto, ma il suo volto era teso.

Rysa…” Aria ora l’aveva raggiunta ed era praticamente aggrappata a lei, il viso pallido e il cuore che batteva veloce. “Vincerà!”

“No.” La mano della ragazza tremava in quella asciutta e ferma di Rysa. La Cacciatrice prese un profondo respiro, sapeva cosa fare. Si separò da Aria scendendo lentamente i gradini dell’arena.

Rysa?” La interrogò, perplesso, Dinal al quale lei si era avvicinata e aveva teso il ciondolo intagliato con la testa di lupo. Il volto serio e fermo della donna lo bloccò dall’insistere. Il Capo la guardò interrogativo nel vederla entrare nell’arena.

“Cosa fai Rysa?” La donna non rispose, ma come prevedeva il cerimoniale porse il suo pugnale all’uomo e pronunciò le parole di rito.

“Sei la nostra Cacciatrice, non puoi partecipare…”

“Ho ceduta a Dinal la testa di lupo, saprà a chi consegnarla se non dovessi vincere.”

“Cosa?” Era chiaro che l’uomo aveva già sopportato troppo quel giorno, ma a intervenire fu invece il re dei Clan.

“Una donna?” Era più sorpreso che offeso e Rysa lo ignorò, alzando lo sguardo sulla folla individuò con facilità Aria, la ragazza teneva i pugni stretti, sul suo volto si alternavano paura e speranza.

 

Rysa…” La bambina nascose il volto nell’incavo del gomito, cercando invano di nascondere le lacrime che le rigavano il volto. “Rysa, mamma mi ha detto del tuo papà.” Alla bambina sfuggì un singhiozzo e Aria le fu accanto in un istante stringendola tra le braccia e provocando un fiume di lacrime. “Abbiamo messo un altro letto nella mia tenda, staremo insieme, sempre, vuoi?” Rysa alzò gli occhi gonfi di lacrime per incontrare il sorriso triste della bambina e annuì.

 

“Non capisco.” Rysa sbatté le palpebre allontanando il ricordo.

“Non sarà mai vostra.” Lo disse con voce pacata, ma la sorpresa del re fu uguale a quella che avrebbe avuto se lei avesse urlato. La Cacciatrice si allontanò da lui raggiungendo le gradinate e poi allontanandosi dalla Radura, l’avrebbero chiamata quando sarebbe giunto il suo momento.

 

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Capitolo 3
*** Secondo capitolo: Il cinghiale ***


Secondo capitolo: Il cinghiale

 

Il sole illuminava il cerchio di pietra, ma agli occhi di Rysa era totalmente diverso dal posto che aveva visitato solo poche ore prima. Si tolse gli stivali e prese un profondo respiro poi entrò, sedendosi sulla quercia.

“Cacciatrice.” Rysa aprì gli occhi e si voltò, all’esterno del cerchio c’era un gruppo di giovani, i cacciatori del villaggio.

“Non sono più la vostra Cacciatrice.” Alle sue parole Dinal annuì.

“Siamo qui per prepararti.” La ragazza guardò i suoi compagni di caccia, ragazzi con cui era cresciuta e che sapeva essere suoi amici e acconsentì.

I cacciatori si tolsero gli stivali e, con un certo senso di riverenza, entrarono nel cerchio. Nessuno di loro parlò mentre le assicuravano le protezioni in cuoio che, di solito, portava nella pericolosa caccia al cinghiale e lei rimase immobile fino a quando non ebbero finito. Ad un cenno di Danil si mosse controllando che nessuna cinghia le impedisse i movimenti. Non ci fu nulla da cambiare.

Rysa.” Nel sentirsi chiamare si voltò verso Dinal che tra le mani teneva una lunga spada: la spada di suo padre.

 

Il volto era bianco, eppure sembrava che l’uomo dormisse. Rysa guardò i guerrieri che portavano suo padre: erano sporchi e stanchi, ma nessuno accennava a posare l’uomo che sorreggevano sulla barella di rami. Dinal, uno degli amici di suo padre diede l’ordine e lentamente i guerrieri posarono il corpo sul tavolo. Quello colpì la bambina più di tutto: non si dormiva sul tavolo.

Rysa si avvicinò al padre, ma Dinal le si parò davanti, per poi inginocchiarsi. Tra le mani aveva la grande spada di suo padre.

 

“Portala con orgoglio, era di un grande uomo.” Rysa annuì prendendo la spada dalle mani del maestro. La estrasse dal fodero sorpresa da quanto fosse leggera, ricordava la prima volta che l’aveva ricevuta, le era sembrata così pesante.

“Grazie.” Gli uomini le sorrisero, sfiorandosi il pugnale, dimenticando, ancora una volta, che non era più il loro capo caccia.

“Il tuo primo avversario sarà un uomo dei Clan.”

“L’ho visto combattere una volta, è lento, ma forte.”

“Non ti devi preoccupare, lo stendi in un attimo!” Rysa sorrise nel sentire l’implicito incoraggiamento e la partecipazione che le parole dei suoi compagni esprimevano.

“Quando?” Chiese, perfino da lassù si udì l’urlo che segnava la fine di un combattimento.

“Ora.” Rysa annuì, sentiva già la tensione tenderle il ventre, le succedeva sempre prima di una caccia pericolosa.

Scesero la collina in silenzio, i ragazzi avevano di nuovo perso le lingue e Dinal era taciturno anche nelle occasioni più normali.

“Avevi ragione, i Clan erano in agitazione, stavano scegliendo un re.” Rysa vide l’uomo più anziano annuire, ma il suo tentativo di distrarsi cadde nel vuoto perché lui non aggiunse nulla.

Fuori dalla Radura incontrarono i due perdenti dei primi incontri, uno era un volto conosciuto: il figlio del falegname del villaggio e ora li guardò con un sorriso tirato dalla sofferenza. Aveva una gamba rotta, ma era fiero del suo duello durato a lungo, l’altro era uno straniero, aveva una lunga ferita sul fianco, non sorrise: era svenuto.

La folla iniziò una cantilena, i duellanti erano chiamati ad affrontarsi.

Rysa!” La ragazza si voltò nel sentire la voce tesa di Aria, ma Dinal la spinse nell’arena e i cacciatori fermarono la ragazza.

“Deve concentrarsi, ora. Non può essere distratta.”

“Ho visto i duelli, si farà uccidere!” Affermò allora Aria tentando di superare la barriera dei cacciatori, erano tutti suoi amici, ma le loro braccia erano salde.

Il rombo dei tamburi attrassero l’attenzione di tutti, il duello stava per iniziare senza esitazione salirono, insieme, sugli spalti.

Rysa prese dei profondi respiri, i tamburi sembravano incitare il suo cuore ad accelerare, però aveva bisogno di calmarsi. Dinal le era accanto, ma lei vedeva solo la folla urlante sulle gradinate e l’uomo che le stava di fronte.

“E’ solo un altro cinghiale messo alle strette.” Gli sussurrò lui, un attimo prima di lasciarla sola.

 

Erano immobili nel fango da un tempo ormai lunghissimo. La bambina di dieci anni fu sul punto di agitarsi, ma la mano stretta alla sua caviglia era un ricordo continuo dell’uomo che la accompagnava e al quale lei obbediva, poi un movimento attrasse la sua attenzione. Era un grosso cinghiale e le zanne gli spuntavano dal muso nero. Una leggera pressione alla caviglia le fece ricordare di respirare. Il cinghiale non si accorse di loro, il loro odore era spento dal fango e la loro immobilità li nascondeva. L’animale si avvicinò ancora e la bambina tremò, la bestia alzò il muso, immobilizzandosi, poi si allontanò di alcuni passi, fu a quel punto che sbucarono i piccoli dell’animale. La presa del maestro si fece forte sulla sua caviglia. Si trovavano tra la madre e i suoi piccoli, se fossero stati scoperti allora il cinghiale avrebbe caricato.

Rysa sapeva che non doveva muoversi così represse tutto e in un perfetto momento percepì il cinghiale e i suoi piccoli, fu un istante poi sparì e un piccolo gridò. Dinal scattò rapido, la estrasse dal fango lanciandola lontano per poi affrontare con  solo pugnale il cinghiale che attaccava.

 

L’uomo che aveva di fronte era alto e robusto, doveva anche essere giovane, la barba gli era appena spuntata e ancora non gli copriva il volto. Indossava una pelle di volpe e impugnava una spada lunga. Sputò a terra nel vederla, era un gesto di disprezzo per i Clan che consideravano l’acqua sacra. I Clan risero mentre ci fu indignazione tra il suo popolo. Rysa cercò di escludere ogni cosa se non l’uomo che aveva di fronte: doveva batterlo e lo avrebbe fatto. Le sue mani si strinsero sull’elsa e i suoi occhi si fissarono in quello del ragazzo. Il giovane guerriero dovette leggervi qualcosa in quello sguardo determinato perché, intimorito, fece un passo indietro. Le risa del pubblico gli fecero arrossare le orecchie e il ragazzo attaccò. I suoi fendenti erano forti e rapidi, ma poco precisi e prevedibili. Rysa li evitò ruotando con abilità e spostandosi rapida sui piedi.

 

Il cinghiale aveva attaccato Dinal e lui si era gettato di lato all’ultimo istante lasciando nel fianco dell’animale un lungo taglio. Rysa, che era stata scagliata lontano e il suo atterraggio non era stato morbido, si rialzò in tempo per vedere il cinghiale attaccare la seconda volta. Senza pensare, le dita rese goffe dalla tensione la bambina estrasse una freccia dalla sacca che aveva al fianco, la incoccò e rapida la lasciò partire. Era una freccia senza le pesanti cuspidi adatte alla caccia al cinghiale e ferì soltanto superficialmente l’animale, ma quella piccola ferita lo aveva distratto da Dinal che caduto a terra era riuscito ad alzarsi e a spostarsi per permettere al cinghiale di fuggire assieme ai suoi piccoli.

 

Il suo avversario appoggiò il piede destro per lanciarsi ancora in un attacco, ma oramai Rysa aveva capito come l’uomo combatteva. Parò il fendente e poi calò la sua lama nella difesa del ragazzo anticipando la sua mossa. La lama di suo padre si fermò a pochi centimetri dalla gola del giovane guerriero che sgranò gli occhi arrestando a stento il suo movimento, rischiando di ferirsi da solo. Un istante in cui tutto si fermò poi il ragazzo lasciò cadere la spada, ammettendo sconfitta. I tamburi suonarono tra le ovazioni del pubblico: altri due duellanti fecero il loro ingresso nella Radura.

Rysa si mosse verso l’esterno e fu fermata dal Capo del villaggio.

Rysa, cosa stai facendo? Non avevi mai fatto intendere che volevi batterti nel Torneo.” La donna lo guardò, come poteva non capire?

“Lascerete davvero che vostra figlia sposi uno dei Clan?” Gli rispose invece, l’uomo sembrò colpito dalla sua domanda poi scosse la testa.

“Non è, solo, uno dei Clan, è il loro re, non capisci che opporsi potrebbe voler dire una nuova guerra? E questa volta sarebbero organizzati, uniti! Un matrimonio potrebbe legare i nostri popoli, potrebbe voler dire pace, era quello per cui tuo padre lottava!” Un dubbio si disegnò sul volto del Capo. “Non sarà per evitarle il matrimonio che sei scesa nella Radura?” Rysa scosse la testa senza sapere come rispondere all’uomo che l’aveva cresciuta nella sua famiglia come una figlia. “Lo hai visto Orsoi? Ti spezzerebbe in due e io non voglio perdere due figlie nello stesso giorno!”

La donna si allontanò in fretta ignorando Dinal che le veniva incontro, lasciò cadere la spada e si mise a correre, mentre le grida della seconda sfida la rincorrevano.

 

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Capitolo 4
*** Terzo capitolo: Sete di sangue ***


Terzo capitolo: Sete di sangue

 

Si aggirò per il villaggio deserto, solo alcuni animali si muovevano tra le case, nessuno si perdeva il Torneo. Cosa stava facendo? Cosa doveva fare? La sua mente era affollata di domande e dubbi.

Rysa!” Aria le corse incontro, finendo tra le sue braccia e la strinse a sé. “Ho avuto così paura, non voglio che tu muoia, preferisco sposare Orsoi, non voglio più vederti affrontare un nemico nella Radura!” Rysa si separò dall’abbraccio, prendendole il volto tra le mani e cercando in quegli occhi chiari la verità.

 

“Dove sei finita?” Rysa fece una smorfia, era ricoperta di bolle che bruciavano ogni centimetro della sua pelle.

“Dell’edera velenosa, ho dovuto nascondermi in un cespuglio per più di mezzora prima che il branco di lupi decidesse di andare a giocare da un'altra parte.” Aria la aiutò a togliere la giubba sgranando gli occhi davanti all’estensione delle ferite.

“Siediti, vado a prendere un unguento.” Disse sorridendole dolcemente, la mano che le sistemava in un gesto spontaneo i capelli sfuggiti alla sua severa treccia nera.

 

“No.” Aria piegò la testa osservando gli occhi verdi della Cacciatrice, leggendovi la determinazione. “Non permetterò che ti abbia…”

Rysa strinse la ragazza tra le braccia chiudendo gli occhi, era scesa nell’arena in un gesto impulsivo, ma ora sapeva che non avrebbe permesso che le separassero.

Ritornarono alla Radura mentre era in corso l’ultimo combattimento che fu rapido anche se, a detta degli spettatori, non rapido come quello del re dei Clan che aveva spezzato il suo avversario in un solo attacco.

Sessantatré erano i duellanti che avevano voluto destreggiarsi nel Torneo, ora solo più ventiquattro erano in grado di duellare. Anche tra i vincitori alcuni avevano subito ferite troppo gravi per sostenere un secondo duello.

Prima che si affrontassero di nuovo i duellanti si svolse la gara di tiro, i più giovani poterono così mostrare le loro abilità con gli archi. Nessuno dei Clan partecipò, l’arco non era mai stata una loro arma di predilezione, avevano solo archi corti che non permettevano una mira accurata o lanci lunghi.

Rysa osservò la competizione con poca attenzione, la sua mente continuava ad andare alle parole del padre di Aria e alla decisione che malgrado ciò aveva preso.

Quando riiniziarono i duelli si affrontarono due uomini del Clan, la sfida durò a lungo e il vincitore ricevette numerose ferite. La sfida successiva vide in opposizione l’uomo dei Clan che aveva rotto la gamba al figlio del falegname e un guerriero proveniente da un villaggio limitrofo.

Fu presto chiaro che i due contendenti si equiparavano per abilità e tecnica. A un buon attacco rispondeva un’efficace difesa e viceversa. Le due spade risuonavano nell’arena mentre sugli spalti si distribuiva il cibo per il pranzo. Poi l’uomo dei Villaggi inciampò e cadde a terra. Tutta l’attenzione della folla tornò al centro dell’arena, nel cuore della Radura. Il guerriero dei Clan alzò la lama in segno di vittoria, mentre il suo pubblico già si alzava in piedi a festeggiare.

“Non si è arreso…” Affermò però Rysa e mentre pronunciava quelle parole l’uomo dei Villaggi si mosse. Con un calcio colpì la gamba dell’avversario appena sotto il ginocchio provocandone la caduta poi si alzò rapido in piedi, puntando la propria lama alla gola dell’avversario, un sorriso felice sulle labbra.

“C’è qualcosa che non va.” Dinal seduto accanto a lei indicò l’arena con il mento, aveva notato l’immobilità dell’uomo steso a terra e ora lo notò anche il suo avversario. Alzò lo sguardo verso il Capo indeciso sul da farsi poi tornò a fissare il suo rivale.

Rysa a differenza degli altri guardò verso Orsoi, il neo-re era in piedi come i suoi uomini e guardava con intensità il centro dell’arena.

Nessuno poteva entrare nello spiazzo centrale mentre si svolgeva un duello, così l’uomo dei Villaggi si avvicinò al suo avversario e lo scosse, poi lo voltò: l’uomo era morto, dal petto gli spuntava un pugnale, che infrangendo le regole, non aveva voluto abbandonare.

Il Capo fece suonare i tamburi, ma il re scese nell’arena sollevando personalmente il caduto e trasportandolo fuori.

I due incontri successivi si tennero tra uomini dei Villaggi e nessuno si ferì gravemente, poi tocco a Orsoi.

L’uomo era chiaramente fuori di sé, incrociò la spada con l’avversario che riuscì a contenere la sua furia solo per pochi istanti prima che Orsoi gli rompesse la mascella usando l’elsa dell’arma. Il guerriero dei Villaggi lasciò cadere la spada, portandosi istintivamente le mani alla faccia, il dolore che lo faceva gemere nel silenzio fattosi nell’arena. Ma il re non aveva finito, gli fu addosso con un balzo, gli afferrò la testa e con un gesto brusco della spada gli tagliò la gola.

La Radura era impietrita, quell’uccisione deliberata aveva sorpreso anche i Clan. Orsoi alzò la testa verso la folla, poi mostrò la spada sporca di sangue.

“Questo è solo il primo!” Disse. A quelle parole i Clan iniziarono a battere i piedi provocando un rumore ritmico. La mano che Aria teneva allacciata alla sua tra la stoffa verde del suo abito ebbe un fremito.

I tamburini guardavano interrogativi il Capo che era incerto sul da farsi quanto loro. Solo quando Orsoi si decise ad uscire dall’arena segnalò loro di suonare.

“Tocca a voi.” Rysa quasi sussultò nell’udire le parole di Dinal, mentre la presa di Aria si fece, se possibile, più forte.

“Scopri perché Orsoi ha deciso di trasformare il Torneo in un bagno di sangue.” Dinal annuì, il volto più serio del solito, poi gli consegnò la spada di suo padre che doveva aver raccolto quando lei l’aveva lasciata cadere. Con un cenno della testa Rysa lo ringraziò poi scese la scalinata ed entrò nell’arena per la seconda volta.

L’atmosfera era cambiata, c’era una tensione nuova e lei la poteva sentire nell’aria. Il suo avversario entrò poco dopo, era un uomo dei Villaggi, Rysa lanciò un occhiata al Capo, lui seduto sugli spalti non lasciò trapelare nulla, ma Rysa sapeva che aveva modificato l’incontro, voleva smorzare la tensione. I tamburi smisero di suonare e il suo avversario attaccò.

Non ci fu più tempo di pensare, ci furono solo più la sua spada e quella dell’avversario. Il guerriero era più lento del precedente e forse meno forte. Lei schivò i suoi attacchi e ben presto lui cambiò strategia, doveva aver seguito il precedente incontro perché non fece gli stessi errori del giovane dei Clan che lei aveva battuto.

Il sole ormai era alto nel cielo e Rysa si ritrovò presto madida di sudore, ma il suo avversario sembrava risentirne più di lei, più i minuti passavano più i suoi movimenti si facevano lenti. La sua tecnica di attacco era molto più dispendiosa di quella di cauta difesa di Rysa. Alla fine compì un errore, Rysa sapeva che ce ne sarebbe stato uno e ne approfittò: rapida, sfruttando la sua esile figura penetrò nella difesa dell’uomo e gli puntò la spada alla gola. Sorprendendola l’uomo sorrise poi inchinò la testa.

“Quella spada fu l’ultimo lavoro di mio padre, è un onore che sia in simili mani.” Sorrise ancora e poi lasciò andare la sua arma dichiarandosi sconfitto.

Rysa abbassò la spada. Il suo respiro era affannoso, i capelli le si erano incollati alla fronte e si sentiva esausta, lei, che poteva seguire un cervo per giorni nella foresta senza risentirne. Eppure la tensione del duello aumentava la fatica fisica, non era sicura di riuscire ad affrontare un terzo avversario. Si voltò per uscire dall’arena e incontrò lo sguardo di Aria che l’aveva aspettata all’esterno, probabilmente incapace di guardare lo scontro.

 

“Sali un po’ più su…” La bambina afferrò il ramo superiore con una certa difficoltà, issandosi più in alto. “Ecco ci sei!” Rysa guardò in basso verso Aria, un secco rumore la avvisò che il ramo stava cedendo, un istante prima che il suo corpo si rendesse conto che non aveva più sostegno.

Rysa!” Il cuore della bambina batteva rapido mentre i suoi muscoli  si sforzavano di mantenere la fragile presa che le impediva di cadere. La voce di Aria le arrivava attutita come se le orecchie non le funzionassero più come dovevano.

Aria dovette correre al villaggio e suo padre dovette salire l’albero per poter portare a terra Rysa.

“Mi dispiace, mi dispiace!” Aria la guardava con gli occhi spalancati.

 

Dinal le raggiunse prima che lei potesse parlarle.

“Ho scoperto cosa ha scatenato l’ira di Orsoi, il guerriero rimasto ucciso era suo fratello.” Il cacciatore scosse la testa, sospirando, poi proseguì. “I Clan dicono che il re è furioso e ucciderà tutti i contendenti dei Villaggi che incroceranno la sua spada, dice che è l’unico modo per onorare suo fratello.”

“Mio padre non può permetterlo!”

“E cosa mi consigli di fare per fermarlo, Aria?” Il Capo li raggiunse, nella sua voce l’amarezza era evidente, la ragazza passava lo sguardo da Rysa al padre a Dinal aspettando che uno di loro fornisse una soluzione. L’uomo sospirò, quelle poche ore lo stavano incurvando, come se la vecchiaia gli fosse piombata sulle spalle all’improvviso.

“Non posso fare nulla, il Torneo ha le sue regole, non posso intervenire in un duello, non posso interromperlo, non posso fermare il re e la sua voglia di vendetta.”

“Ma dovete fare qualcosa!”

“Se agissi contro il re, potrei scatenare una guerra.” C’era rassegnazione nelle sue parole. “Potrebbe esserci un bagno di sangue, una sola azione sbagliata e scatenerei i Clan, devo ricordarti dei bambini, delle donne, dei vecchi che sono qui a vedere il Torneo? Vuoi che agisca provocando la loro morte?”

“Potrebbero ritirarsi.” La voce di Aria era flebile eppure la ragazza guardava il padre con forza.

“No, non posso chiederlo, sono guerrieri, non si tireranno indietro, ne va del loro onore.”

“Ma…”

“No figlia, nessun ma, il Torneo andrà avanti e gli spiriti vogliano che la sete di sangue di Orsoi si plachi presto.”

 

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Capitolo 5
*** Quarto capitolo: Il Sacrificio ***


Quarto capitolo: Il Sacrificio

 

L’acqua non era particolarmente calda, ma Rysa ne assaporò comunque il contatto con la pelle. I suoi abiti giacevano a terra poco lontano, un cambio fresco era già appoggiato li accanto. Rysa chiuse gli occhi per un istante mentre una mano le passava sulle spalle.

“Mio padre dovrebbe fare qualcosa.”

“Tuo padre ha ragione Aria, non può chiedere ai duellanti dei Villaggi di ritirarsi.” Aria scosse la testa mentre la mano le scivolava lungo il braccio della Cacciatrice, sfiorando una vecchia cicatrice dovuta alla caduta da un albero, molti anni prima. Rimasero in silenzio, ma Rysa sentiva la sua ira anche se le dava le spalle.

“Aria…” Iniziò, ma un nuovo boato proveniente dall’arena la interruppe, sentì le mani di lei irrigidirsi.

“Non…” Rysa si alzò uscendo dall’acqua, si avvolse nel telo pulito e si voltò, fissando la giovane che cercava le parole da dirle.

“Ne abbiamo già parlato.” Aria assunse un’aria caparbia, ma la voce di Dinal all’esterno della tenda pose fine al discorso.

Rysa, altri due duellanti sono stati uccisi.”

Oramai non c’era più ritegno nell’arena, i Clan seguendo l’esempio del loro re uccidevano gli avversari sconfitti e per vendetta i guerrieri dei Villaggi facevano lo stesso.

“Il Capo cercava di non opporre i duellanti dei Clan a quelli dei Villaggi, ma il re non è uno stupido e ha chiesto di vedere il momento dei sorteggi.” Rysa osservò l’arena vuota senza commentare.

I duellanti rimasti erano dodici, cinque uomini dei Clan e sette dei Villaggi. I morti erano arrivati a cinque, due dei Clan e tre dei Villaggi.

La pausa non durò a lungo, presto i tamburi ripresero a risuonare chiamando due nuovi duellanti. E con la nuova sfida arrivò il nuovo morto, la pausa non era servita a calmare gli animi: il duello era stato cruento già dal primo tocco e in pochi istanti per l’uomo dei Clan era stata la fine.

Rysa che osservò quell’ennesima uccisione si chiese come fosse in battaglia. Gli uomini morivano così in fretta, un duello poteva durare minuti interi oppure risolversi in un istante, ma, come in guerra, anche lì nell’arena la fine implicava la morte di uno dei contendenti, per poi passare al prossimo, sembrava che il sangue chiedesse altro sangue, nessuno era in grado di fermarsi.

Quando fu il suo turno il cuore le batteva di nuovo rapido, Dinal le aveva detto che il suo avversario sarebbe stato l’uomo dei Villaggi che aveva accidentalmente ucciso il fratello del re, scatenando tutta quella carneficina.

Entrò nell’arena ormai silenziosa, i bambini erano stati allontanati e così molte donne, Rysa sapeva che il Capo aveva detto loro di allontanarsi nella foresta. Temeva la violenza che si sarebbe potuta scatenare quel giorno, ogni uomo rimasto sembrava pronto a uccidere e anche il più piccolo rumore avrebbe potuto far precipitare le cose.

Il suo avversario indossava un corpetto di cuoio molto simile al suo, la spada era leggermente più lunga, ma lui la teneva con la punta bassa. Rysa cercò il suo sguardo, ma l’uomo fissava la terra. Rysa fece alcuni passi avanti non appena i tamburi smisero di suonare, ma il guerriero non si mosse.

Quando notò ciò che aveva focalizzato tutta l’attenzione dell’uomo Rysa abbassò la spada. Una chiazza di sangue era ben visibile anche se era stata, in parte, assorbita dalla sabbia.

Finalmente l’uomo alzò la testa per guardarla, la sua spada rotolò a terra e lui si piegò su un ginocchio, la testa china.

“Poni fine alla mia vita e riporta Pace tra noi.” Lo sussurrò appena, ma nessuno nell’arena perse quelle poche parole. Rysa alzò lo sguardo sul Capo che teneva la mascella stretta, ma le rivolse un cenno di assenso appena percettibile. Chiuse gli occhi poi si voltò verso Orsoi, che stava seduto tra i suoi uomini, teso in avanti, un espressione furente gli illuminava il volto.

 

Il cervo alzò la testa attento, un paio di magnifiche corna gli decorava la fronte, gli occhi vivaci si mossero alla ricerca del nemico. Rysa tese la corda dell’arco appena oltre l’orecchio mentre il cervo abbassava di nuovo la testa per mangiare. Riusciva a mantenere l’arco in quella tensione solo per poco, avrebbe dovuto rilasciare la corda e permettere alla freccia di fare il suo dovere. L’animale forse percepì la sua tensione perché la sua testa si alzò di scatto, di nuovo alla ricerca di minacce. Rysa incontrò i suoi occhi neri e lucidi e rilasciò lentamente l’arco, incapace di uccidere una bestia così bella. Un sibilò lacerò l’aria e il cervo stramazzò a terra, l’impennaggio della freccia che usciva dal suo manto chiaro. Rysa corse in avanti raggiunta da Dinal che estratto il pugnale glielo  porse. Rysa passò con rammarico le mani lungo il possente fianco del cervo e Dinal le posò una mano sulla spalla.

“La sua morte permetterà all’intero villaggio di mangiare.”

 

La spada era improvvisamente un fardello pesante tra le sue mani. Rysa fece un passo indietro e l’uomo in ginocchio alzò la testa per guardarla. Occhi verdi, frementi di paura, coraggio, indecisione, fermezza, era combattuto: non voleva morire eppure era in ginocchio davanti a lei, in attesa.

Rysa abbassò l’arma, non poteva uccidere, non così.

“Fallo, prima che la mia famiglia veda le mie mani tremare!” Questa volta fu l’unica a sentire il bisbiglio.

 

“Il suo sacrificio è necessario, poni fine alle sue sofferenze.” Rysa strinse con più forza il pugnale e colpì.

 

Alzò la spada e la calò con precisione. Il guerriero morì in pochi istanti, la tensione che svaniva dal suo volto.

“Vai fratello, che il tuo sacrificio non sia vano.” Rysa alzò la testa verso Orsoi che però non era più al suo posto, i tamburi suonarono e Rysa si allontanò. Un uomo dei Villaggi la stava aspettando all’esterno, aveva i capelli grigi, ma anche se aveva i lineamenti di un vecchio gli occhi erano una copia di quelli che Rysa aveva appena visto spegnersi.

Come il figlio prima anche lui si mise in ginocchio.

“Grazie, guerriera.”

“Non sono una guerriera. Vi prego non ringraziatemi per aver ucciso vostro figlio…” L’uomo scosse la testa, non permetteva a se stesso di piangere, ma era chiara l’emozione nei suoi occhi.

“Vi ringrazio perché è morto con onore, la sua colpa non ricadrà sui suoi figli che potranno vivere in pace.” Rysa gli tese la mano.

“Vostro figlio è tra gli spiriti ora, accolto come Sacrificio.” A quelle parole gli occhi dell’uomo non trattennero più le lacrime, posò la mano sul pugnale poi si voltò andandosene.

“Speriamo che non sia stato invano.” Aggiunse alle sue spalle Dinal.

Nella radura si stavano affrontando due uomini dei Villaggi, uno vinse e tutti e due uscirono dall’arena sulle loro gambe, lo stesso fu per il duello successivo tra due uomini dei Clan, poi entrò Orsoi. Non aveva più assistito ai duelli, indossava la solita pelliccia di orso, ma questa volta aveva una striscia dipinta sul volto. Il suo avversario era un uomo dei Villaggi, che guardava il guerriero nervosamente, come tutti nell’arena si chiedeva se il re dei Clan era ancora alla ricerca di vendetta.

Quando i tamburini cessarono di suonare il re rimase immobile, era la prima volta che permetteva all’avversario di attaccare. L’uomo gli girò attorno poi tentò un timido attacco che Orsoi respinse senza tuttavia attaccare a sua volta.

“Cosa sta facendo?” Aria guardava perplessa l’arena così come la maggior parte degli spettatori.

“Gioca.” Disse Rysa e Dinal aggiunse:

“Come un gatto fa con la sua preda.”

Orsoi schivò ancora qualche colpo e quando l’uomo dei Villaggi iniziò a farsi più sicuro, più spavaldo, il re contrattaccò. In pochi istanti aveva spinto, in un turbinio di colpi, l’avversario contro le tribune. Con un colpo violento gli fece cadere la spada e poi lo trafisse.

Rysa strinse i pugni.

“La pagherà per questo!”

Rysa…” Dinal cercò di fermarla, ma la donna lo ignorò e raggiunse l’entrata nell’arena dove trovò Orsoi. Sul volto ora aveva dipinto una seconda striscia.

“Voi!” L’uomo si voltò, negli occhi c’era ancora la luce omicida, ma la rabbia che la pervadeva le impedì di temerlo. “Il Sacrificio era stato compiuto!” L’uomo indicò le strisce sul suo volto poi indicò con la mano il numero quattro.

Rysa aprì la bocca per urlargli contro la sua rabbia, ma l’uomo si voltò andandosene.

I due incontri successivi portarono alla morte di uno dei contendenti, il Sacrificio era stato vano.

 

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Capitolo 6
*** Quinto capitolo: Il Dono ***


Quinto capitolo: Il Dono

 

Sei. Sei contendenti erano rimasti e l’equilibrio era perfetto, tre uomini dei Villaggi e tre dei Clan. Il Capo sorteggiò gli incontri, gli Spiriti desideravano sangue, tutti e tre gli incontri videro l’opposizione tra Clan e Villaggi, ma ancora una volta Rysa non avrebbe incrociato le spade con Orsoi.

Salì la collina, ma non entrò nel cerchio di pietra. Sapeva cosa desiderava, sapeva che quando sarebbe rientrata nell’arena avrebbe ucciso o sarebbe stata uccisa, non avrebbe permesso all’avversario di arrendersi, no, non più. Le sue mani si erano sporcate di sangue, si era detta che era un Sacrificio: un dono sacro agli Spiriti. Quello che aveva fatto, però, era stato uccidere un padre, un figlio, un marito. Ucciso a sangue freddo.

La rabbia che l’aveva colta nel vedere Orsoi uccidere il suo avversario ancora una volta, si era trasformata dentro di lei, non era più una massa rovente, ma una gelida punta. L’avrebbe usata contro il suo avversario e per questo, malgrado i suoi passi l’avevano portata fino alla collina, lei non vi entrò. Stava per fare quello che le era stato insegnato di non fare mai, avrebbe usato il suo dono per uccidere.

 

Dinal, cosa mi succede?” Il suo cuore batteva veloce, per un istante aveva corso insieme alla lepre che stava cacciando. L’uomo sorrise.

“Il tuo dono è apparso. In tua madre era molto forte, ma in genere salta una generazione.” Sorrise ancora ed era strano vederlo così contento, soprattutto visto che la lepre era sfuggita.

“Dono, Dinal?”

“Sì, tua madre sapeva…” Cercò la parola. “Sentire…” Le tese la mano facendola alzare, “Neanche lei sapeva spiegare, ma l’anziana che le aveva insegnato vive ancora, andremo da lei non appena saremo al villaggio.” Si incamminarono poi Dinal si fermò, come se avesse dimenticato qualcosa, si voltò e si mise in ginocchio di fronte a lei di modo che i loro occhi fossero allo stesso livello.

“Non devi raccontarlo a nessuno.”

“Perché?” Dinal scosse la testa, era strano che avesse parlato così tanto.

“Perché il Dono può essere usato per il male, non voglio che le persone sbagliate tentino di corromperti.” Rysa che aveva sette anni, non comprese le parole del maestro, ma la serietà con cui lo disse fu sufficiente.

“Sì, Dinal.” Disse, mentre già pensava a quando lo avrebbe raccontato a Aria, perché a lei non nascondeva nulla.

 

Tre incontri. Orsoi uccise il suo avversario nel primo. Rysa non vi assistette, lo stesso valse per il secondo. Quando udì i tamburi suonare la terza volta era pronta.

L’uomo di fronte a lei era alto, possente, aveva combattuto con abilità i suoi incontri e ora la guardava con un ghigno di divertimento: era chiaro che sapeva di vincere. Però anche Rysa sapeva chi avrebbe vinto tra loro due e non sarebbe stato lui.

I tamburi cessarono di battere e il guerriero si avventò su di lei. Come sempre Rysa non cercò di opporsi a quei colpi violenti, ma iniziò a schivare, puntando su agilità e velocità. La sua mente era vuota, libera da ogni pensiero. Sentiva il cuore del suo avversario, sentiva tutti i cuori degli uomini nell’arena, ma solo quello gli importava. Permise all’uomo di colpirla, un taglio superficiale che bruciò come fuoco, ma la sua mente non udì il dolore, il sangue scorse rapido e l’uomo sogghignò. Rysa schivò ancora poi, sorprendendolo, si allontanò da lui e piantò la spada nel terreno, alzò la mano sulla sua ferita e si sporcò del suo stesso sangue che gettò a terra. L’uomo le corse incontro pregustando l’uccisione. E Rysa strinse.

Il guerriero dei Clan spalancò la bocca mentre gli cadeva la spada e si portava la mano al cuore.

Rysa si avvicinò a lui e gli prese la spada poi alzò l’arma. Aveva già ucciso un uomo a terra, lo avrebbe rifatto.

Improvvisamente non era più lei a controllare il suo corpo e la sua mente, qualcosa di così vasto che solo pensarci l’avrebbe resa pazza si era impossessata di lei, o forse era lei che si era riversata in qualcosa di troppo grande. Ora non sentiva più solo i cuori degli uomini attorno a lei, ora sentiva tutto, era tutto, e comprese, l’armonia, la forza, la vita stessa.

Quando aprì gli occhi la spada era ancora nelle sue mani e l’uomo era ancora a terra.

“Pace! Io invoco Pace!” Nel silenzio della Radura Rysa rabbrividì, non sapeva cosa le era successo, sapeva solo che qualcosa le aveva strappato via la rabbia, l’aveva svuotata riempiendola invece di vita. Quello che la Natura voleva era la vita. Natura: questo era l’unico termine che riuscisse a trovare per definire quello che l’aveva invasa.

Tese la mano all’uomo dei Clan che, nel gesto a lui comune, la prese, era frastornato, con l’altra mano si stringeva ancora il petto, ma nei suoi occhi ora c’era sollievo.

Orsoi entrò nell’arena, guardò l’uomo dei Clan che abbassò lo sguardo ed uscì, poi fissò lo sguardo su di lei. Il suo volto era marchiato da tre linee.

“Ho fatto patto con gli Spiriti. Quattro anime.” Indicò il numero con le mani. Lei faticava a comprendere le sue parole, la sua testa era ancora frastornata, i colori erano più vivi, i rumori più forti.

“Pace.” Rispose scuotendo la testa e cercando di liberarsi dalla strana sensazione che la pervadeva. L’uomo la guardò a lungo poi indicò qualcuno tra la folla, Rysa non riusciva a vedere distintamente chi indicasse, i colori si mescolavano davanti ai suoi occhi, eppure percepì con altri sensi chi stesse indicando.

“Lei, mia?” Rysa scosse la testa.

“No.” La lingua sembrava cercare di disobbedirle. Vita, suggeriva una voce, un pensiero. Ma non a quel prezzo, rispose lei, non in cambio di Aria.

“Allora io ucciderò te.” Rysa sentì la testa farsi leggera e cadde al suolo, il buio che la sommergeva.

 

“Ricorda siamo solo un canale, chi possiede il dono è un veicolo più facile, niente di più, solo un mezzo.” Rysa annuì, la sua insegnate era a letto, era vecchia e stanca, eppure l’aveva guidata nel dono insegnandole tutto quello che sapeva. “Rysa, bambina mia, onora il tuo dono, non abusarne mai.”

 

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Capitolo 7
*** Sesto capitolo: Il prezzo della Pace ***


Sesto capitolo: Il prezzo della Pace

 

“Cosa ha fatto? Perché non si sveglia?” La voce di Aria penetrò nella coltre di tenebre e Rysa cercò di aprire gli occhi.

“Non lo so, ma il sole sta per tramontare.”

“Padre! Non entrerà nella Radura!”

“Sì…” La sua voce uscì roca, ma tutte e tre le persone presenti nella tenda si voltarono a guardarla.

Era stesa in un giaciglio, la luce era fioca, segno che il Capo non esagerava quando diceva che il sole stava per tramontare.

Rysa tentò di alzarsi e represse un gemito, Aria le fu subito accanto.

“Rimani stesa.”

“No, devo raggiungere la Radura, aiutami.” Tentò di nuovo, ma la mano ferma di Aria le impedì di muoversi.

“No.”

“Aria…” Iniziò suo padre.

“No!” Ripeté con forza Aria. “Rysa non affronterà Orsoi, non morirà più nessuno oggi!”

“Capo, Dinal uscite per favore.” I due uomini annuirono e lasciarono lei e Aria sole.

“No…” Disse lei, ma Rysa sorrise dolcemente mentre alzava la mano per raccogliere una sua lacrima.

“Lo batterò.” Aria scosse la testa, ma Rysa la bloccò. “Devo crederlo, perché non posso vivere senza di te.” Un lontano rumore di tamburi fece sobbalzare Aria.

Il Capo guardò all’interno della tenda.

“E’ l’ultima chiamata, il sole tramonta.”

Rysa si alzò le sue gambe la reggevano con difficoltà, ma mentre camminava si fecero più stabili. Indossò le protezioni di cuoio aiutata da Aria le cui mani tremavano anche se tentava di non mostrarlo. Uscì dalla tenda e prese un profondo respiro, il sole sfiorava il lontano profilo delle montagne, pochi minuti e sarebbe scomparso.

Percorse tutto il tragitto in silenzio, Aria, il Capo e Dinal la accompagnavano, ma nessuno dei tre trovò qualcosa da dire. La Radura era silenziosa quasi quanto loro, solo l’occasionale movimento di qualcuno tra il pubblico faceva capire che erano ancora vivi.

Prese la spada di suo padre ed entrò nell’arena.

Orsoi era in attesa, immobile. Aveva abbandonato la pelliccia d’orso ed era nudo dalla cintola in su, i possenti muscoli ben in vista. La grande spada con cui aveva già ucciso tre avversari era tra le sue mani, la punta rivolta verso il basso.

Nel vederla entrare il pubblico si animò e molti iniziarono a mormorare, Rysa li ignorò. Guardava il suo avversario, lo aveva visto combattere: era il guerriero perfetto. Forse da qualche parte c’era qualcuno più abile di lui, ma quel qualcuno di sicuro non era lei. L’uomo alzò la spada e se la portò alla fronte in un gesto curioso, poi la abbassò, ma malgrado i tamburi avessero smesso di suonare lui non attaccò.

Rimasero immobili a guardarsi fino a quando il sole non tramontò del tutto lasciando di sé solo un ricordo in un bagliore che tingeva il cielo di rosa.

“Avete detto Pace, ma ora qui, perché?” Rysa rimase stupita dalle sue parole, non si aspettava che volesse comprendere.

“Lo sapete, non l’avrete mai.” Rysa alzò il mento in atteggiamento di sfida e lui lentamente annuì, poi alzò la spada. Nei suoi occhi sparì l’incomprensione, sparì ogni cosa e Rysa seppe che sarebbe morta.

Il primo colpo le fece vibrare le braccia e per poco la spada non le sfuggì dalle mani, riuscì miracolosamente a spostarsi in tempo per il secondo fendente, ma l’uomo continuò a incalzarla. Parò un fendente, ma il successivo penetrò nelle sue difese. Si piegò in due portandosi la mano al fianco, era un taglio superficiale, ma bruciava e quando ritirò la mano la ritrovò sporca di sangue. Aveva tagliato di netto la protezione di cuoio e le aveva lacerato la pelle. Orsoi fece un passo indietro permettendole di rimettersi in posizione poi attaccò ancora.

Prima che potesse accorgersene lui la colpì con l’elsa sul volto, una mossa che aveva già usato, spaccando la mandibola a un uomo, lei fu più fortunata, il colpo giunse più in alto finendole sullo zigomo. Non cadde a terra solo perché lui le aveva afferrato la giubba e torto il braccia sinistro dietro la schiena. Il rumore secco che fece il suo braccio spezzandosi risuonò nell’arena seguito dai lamenti del pubblico. Rysa non li udì, il dolore era l’unica cosa che occupava la sua mente.

Come in un sogno sentì che veniva messa in ginocchio e poi la sua testa fu violentemente tirata indietro. Provò a muoversi, ma la presa sui suoi capelli si fece più dura e lei desistette.

“No!” Quella voce penetrò nel velo di dolore calato su Rysa e lei vide Aria entrare nell’arena. La spada sotto la sua gola incise la carne, quel piccolo taglio le riempì gli occhi di lacrime, ma non distolse lo sguardo da Aria, sapeva che la stava guardando per l’ultima volta.

Orsoi, re dei Clan, mi avete, sono vostra.” Aria fece ancora un passo avanti, i biondi capelli erano sciolti e Rysa si sorprese nel notare i mille riflessi che potevano creare al bagliore delle torce, che lei non aveva visto accendere. “Ma ogni giorno della mia vita io lo dedicherò a uccidervi, dovrete temere di addormentarvi al mio fianco, perché potrei usare un pugnale, dovrete sperare che il vostro piatto non sia passato tra le mie mani perché vi avrei aggiunto del veleno… oppure…” Si interruppe, i suoi occhi che fino a quel momento avevano fissato Orsoi ora guardarono lei. “Oppure potrete lasciarla vivere e io vi obbedirei e vi onorerei e vi sarei fedele fino alla mia morte.”

“No.” Sibilò Rysa, ma la stretta tra i suoi capelli le impedì di dire altro.

“Bene, Pace.” La stretta la abbandonò e lei crollò a terra. Alzò gli occhi fissandoli in quelli di Aria.

 

L’aria era tiepida, era una bella giornata di primavera e l’albero sotto cui era sdraiata stava dando inizio a una nuova folta schiera di foglie, che ora, di un tenero verde chiaro, spuntavano timide dai rami.

Drenir mi ha chiesto di te oggi…” Aria si voltò appoggiando la testa su una mano.

“Ah sì?”

“Sì…” Lei sorrise.

“Suo padre è un mercante di grano, un uomo ricco.” Rysa fissava il cielo tra i rami dell’albero e non le rispose così lei continuò. “Sono sicura che sarebbe un buon partito.”

“Il Capo approverebbe…” Riuscì infine a dire Rysa facendola scoppiare a ridere. Stupita la ragazza la guardò e Aria rise ancora poi si mise a giocare con i capelli ribelli di Rysa. Non la guardava quando disse:

“Non voglio Drenir.” Il cuore di Rysa batteva veloce, mentre chiedeva in un respiro:

“Chi allora?” Aria alzò lo sguardo su di lei, aveva le guance leggermente arrossate, gli occhi inquieti si muovevano rapidi, sembravano non riuscire a fissarsi sui suoi occhi.

“Non è ovvio?” Disse alla fine, la sua mano lasciò andare i capelli scuri di Rysa e con dita leggere le sfiorò il viso.

Rysa chiuse gli occhi e Aria si piegò su di lei sfiorandole le labbra in un bacio. Si separarono guardandosi e si sorrisero. Un istante dopo erano di nuovo allacciate in un bacio che si fece sempre più profondo.

 

“Le ha spezzato un braccio e ha una ferita al fianco.”

“E il volto?”

“Le verrà un bel livido, ma non dovrebbe aver nulla di rotto.”

 

La sua pelle era così morbida, affondò le mani tra i suoi capelli mentre si perdeva nei suoi occhi che non aveva mai visto così scuri. Ansimò mentre Aria faceva passare le mani sul suo corpo. Le loro labbra si trovarono e lei si perdette nel mare di sensazioni.

 

Rysa?”

“E’ rinvenuta?”

“Non lo so… Rysa?”

“Beh spero per lei che sia svenuta, perché questo le farà male.”

 

 Il prato era fiorito e la terra era umida, ma il sole scaldava la loro pelle nuda. Aria stava giocando con la testa di lupo, l’unica cosa che lei portasse ancora addosso. Rysa guardò il cielo e si sentì felice.

“Sono tua, per sempre.” Disse, mentre Aria inclinava la testa sorridendo.

“Lo so, il mio cuore è tuo e il tuo è mio, per sempre.” Si chinò per baciarla. Le sue labbra: poteva morire per un suo bacio. L’amava e l’aveva sempre amata.

 

Dinal le era accanto, la sua testa ciondolava, i suoi capelli grigi rilucevano nei bagliori del fuoco.

Rysa era nella sua tenda, stesa sulla sua branda. Tentò di muoversi, ma il dolore la tenne inchiodata. Alzò la mano sana fino alla gola sentendo sotto le dita il taglio superficiale che le aveva procurato la lama di Orsoi.

Sentì che aveva qualcosa al collo e vi trovò la testa di lupo, Dinal doveva avergliela restituita mentre era priva di conoscenza. Guardò di nuovo l’uomo, la stava vegliando, aspettava che si svegliasse. Lo sguardo di Rysa si posò sul pugnale che aveva lasciato a terra accanto alla sedia.

 

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Capitolo 8
*** Epilogo: Fides ***


Epilogo: Fides

 

Dinal si svegliò e aprì gli occhi, si era addormentato e stava sognando, poi il sogno si era fatto troppo vivido, l’odore di sangue troppo intenso per un semplice incubo. Il fuoco mandava solo bagliori rossicci, ma il cacciatore non ebbe bisogno di ulteriori luci per vedere il corpo senza vita di Rysa.

Nel pugno teneva il pugnale, mentre nell’altra mano aveva la sua testa di lupo.

 

“Tieni.” Rysa la guardava con imbarazzo e Aria le sorrise mentre scioglieva il piccolo pacco che la Cacciatrice le porgeva. L’oggetto che rotolò tra le sue mani la stupì.

“Ma questa…”

“No.” Rysa estrasse dalla giubba la testa di lupo. “E’ solo… l’ho intagliata io, per te.” Aria sorrise mentre si metteva al collo la piccola testa di lupo.

“E’ bellissima!”

“E’ solo legno.” Aria le si avvicinò e la baciò.

“E’ bellissima!”

 

Orsoi si svegliò nell’udire i lamenti provenienti dal villaggio e con orrore si ritrovò accanto il corpo freddo di sua moglie. Un pugnale scintillava al suo fianco, tra le mani teneva una piccola testa di lupo.   

 

Il nuovo ciondolo sembrava pesarle al collo. Onore e responsabilità, quello significava la testa di lupo. Lo estrasse dalla giubba per guardarlo ancora una volta, dietro vi era una scritta quasi illeggibile, tante erano stati i cacciatori che lo avevano portato.

“Significa fedeltà.” Rysa si voltò verso Dinal, il suo maestro, l’uomo che le aveva consegnato la testa di lupo poche ore prima.

“Fedeltà?” Chiese stupita.

“Sì.” Vedendo la sua perplessità sorrise. “Lo so che ti ho insegnato che portare al collo il lupo è un onore, ma anche una responsabilità, ma questo è quello che implica, non quello che è…” Rysa non riusciva ad afferrare quello che Dinal voleva dirle e lui le indicò il villaggio.

“Il cacciatore che porta la testa di lupo è il capo dei cacciatori e quindi giuda la caccia ed è suo dovere riuscire a sfamare il villaggio, fornendo la carne.” Questa volta Rysa annuì e Dinal continuò. “Onore e responsabilità appunto, ma FIDES, la parola incisa sulla testa di lupo, significa fedeltà, io credo che colui che lo intagliò nel dente di lupo abbia voluto che esso incarnasse questa caratteristica sopra tutte le altre. Perché senza il sacrificio, che solo la fedeltà estrema può generare allora non si è davvero al servizio di chi si ama.”

 

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