Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli: Capitolo 1: *** Prologo: La Cacciatrice *** Capitolo 2: *** Primo capitolo: La Radura *** Capitolo 3: *** Secondo capitolo: Il cinghiale *** Capitolo 4: *** Terzo capitolo: Sete di sangue *** Capitolo 5: *** Quarto capitolo: Il Sacrificio *** Capitolo 6: *** Quinto capitolo: Il Dono *** Capitolo 7: *** Sesto capitolo: Il prezzo della Pace *** Capitolo 8: *** Epilogo: Fides ***
Un prologo, sei capitoli e un epilogo, già scritti e pronti ad essere
postati…
Questa storia deriva in parte da un sogno e l’ho scritta di getto per
cui accetto ogni tipo di commento costruttivo o… distruttivo!
E’ la prima storia originale (che parolone… diciamo non scritta su
personaggi e mondi creati da altri) che posto per cui mi farebbe
davvero piacere conoscere le vostre opinioni in merito!
Buona lettura!
Il Torneo
Prologo: La Cacciatrice
L’aria era
fredda, il giorno era agli albori e il cielo era azzurro: una giornata
perfetta.
Il villaggio
si risvegliò, l’eccitazione rendeva l’atmosfera scoppiettante. I bambini
urlavano mentre le madri accendevano i fuochi preparando le colazioni. Gli
uomini si radunarono presto in gruppi, chiacchierando a bassa voce, alcuni
limavano una lama, altri oliavano una fibbia. Taluni erano ciarlieri e
chiassosi talaltri tesi e taciturni.
La donna
uscì dalla propria tenda e chiuse gli occhi, assaporando l’aria fresca e i
sapori che questa le portava. Il gruppetto di uomini che chiacchierava poco
distante le fece cenni di saluto e lei ricambiò inchinando appena la testa.
Portava al collo la testa di lupo, era il loro Cacciatore, tutti la
conoscevano.
Attraversando
il villaggio ricevette saluti, sorrisi e numerosi inviti a unirsi per la
colazione, ringraziando continuò a camminare, la sua destinazione era più
avanti.
Salì sulla
collina che dominava sulle tende e, per un attimo, si voltò a guardarle. Anche
da lì era chiara l’animazione che le pervadeva. Accarezzò la testa di lupo
mentre il suo sguardo abbracciava la pianura e la foresta: loro erano già lì.
I Clan, così
si facevano chiamare, al villaggio avevano dato loro nomi diversi: razziatori,
barbari, assassini. Per vent’anni erano stati un flagello. Avevano iniziato
razziando le greggi, poi quando il loro numero era aumentato si erano
organizzati e avevano rivolto le loro brame ai centri abitati. Avevano ucciso e
depredato. Lei lo sapeva: in una di quelle scorrerie aveva perso sua madre e
poi, quando i Villaggi avevano iniziato a difendersi, in uno scontro aveva perso
suo padre.
Da alcuni
anni però era cambiato qualcosa, i Clan si erano raggruppati e avevano iniziato
a costruire. Sono allora si era passati al dialogo. Ora i Villaggi e i Clan si
incontravano per commerciare e per il Torneo, ovviamente.
La donna
distolse lo sguardo dalle tende di pelle dei Clan e raggiunse la sommità della
collina. L’aria ora le sembrò meno tagliente, oppure dipendeva dalla leggera
fatica causata dalla salita. La Cacciatrice si tolse i comodi stivali in pelle
lasciandoli fuori dal cerchio, poi, assaporando il contatto dei piedi con
l’erba ancora bagnata dalla rugiada della mattina, entrò tra le pietre sacre.
Con un sospiro si sedette a gambe incrociate sul ceppo tagliato della grande
quercia al centro del cerchio e chiuse gli occhi.
La sua mente
si rilassò e lei lasciò andare ogni pensiero, dimenticò il freddo dell’aria e
la durezza della quercia, sola al centro del nulla sentì la foresta, percepì
il cervo che brucava l’erba tenera, l’agitazione della lepre, la fame del lupo,
udì, con orecchie non sue, il grido
dell’aquila e si tuffò assieme ai
salmoni nell’acqua del fiume, lottando con coraggio contro la corrente.
Il sole le
sfiorò la fronte riscaldandola e richiamandola in sé. La Cacciatrice aprì gli
occhi sorridendo al nuovo giorno, si alzò stiracchiando i muscoli indolenziti
dall’immobilità e, in un gesto d’abitudine, accarezzò le testa di lupo che
portava al collo. Un usignolo la guardò, inclinando la testa curioso, un
istante prima di volare via e lei sorrise, ancora.
“Cacciatrice!”
Si voltò, riconoscendo la voce della donna che la chiamava.
“Aria,
buongiorno.” La ragazza le sorrise e il volto le si illuminò.
“Sei andata al
cerchio?” Chiese, affiancandosi a lei.
“Sì.” La ragazza
annuì come se avesse conosciuto la risposta.
“Lo immaginavo.”
Affermò infatti, poi aggiunse: “Vieni, ti ho tenuto da parte la colazione.”
La donna annuì,
sorridendole. Lei e Aria erano nate lo stesso inverno e, malgrado fossero molto
diverse, erano sempre state come una cosa sola: quando erano bambine era
difficile vedere una di loro senza che ci fosse anche l’altra.
La tenda in cui
Aria la condusse era posta al centro del villaggio, non essendo ancora sposata
la giovane viveva con la famiglia. Quando entrarono sua madre era intenta a
sistemare un abito e fece loro un sorriso nel vederle, si era occupata di lei
da quando i suoi genitori erano morti. In quando moglie del capo villaggio era
un suo compito, ma non era mai sembrato un dovere pesante, lo dimostravano i
due bambini che si precipitarono all’interno in quel momento, due fratelli
orfani da poco che la donna aveva accolto con tutto l’affetto di una madre.
“Bambini, non si
corre in casa!” Li redarguì, ottenendo in cambio due sorrisi monelli. I
fratelli fuggirono via e Aria li guardò sparire scuotendo la testa.
“Madre, dovremmo
far fare delle scarpe nuove per quei due, presto si vedranno le dita dei piedi.”
“Li consumano
alla velocità con cui li consumavate voi due.” Commentò la donna con una finta
smorfia, Aria sorrise lanciando uno sguardo alla Cacciatrice che aveva cercato
con complicità i suoi occhi.
Si sedettero
alla tavola e la giovane le posò davanti del pane con della carne fredda.
“Cosa hai
visto?” Le chiese poi Aria, lanciandole un’occhiata. La donna si strinse nelle
spalle, mangiando.
“Lo sai che è
difficile da spiegare…” Aria sospirò a quella risposta evasiva.
“Rysa, continuerò a chiedertelo se tu rispondi sempre in
questo modo.” Le posò una mano sulla spalla stringendo appena, la Cacciatrice
fu sul punto di rispondere quando il capo del villaggio entrò nella tenda.
“Oh, bene, Rysa sei qui.” La donna posò la mano sul pugnale, che
teneva sempre alla vita, in segno di rispetto per il ruolo del nuovo arrivato e
l’uomo la imitò in modo frettoloso, prima di proseguire con le sue parole. “Fuori
sono tutti eccitati, avrò bisogno anche di te, ti rispettano come rispettano me
e staranno buoni se sarai nei paraggi. Non voglio nessun tipo di incidente con
gli uomini dei Clan.” Rysa annuì, con aria seria.
Aveva
venticinque anni, eppure aveva già il rispetto del villaggio, si era guadagnata
quel diritto ottenendo la testa del lupo due anni prima. Era a capo dei
cacciatori e procurava la carne per tutti.
L’uomo sospirò
soddisfatto poi lanciò un occhiata ad Aria.
“E tu, non farti
vedere troppo in giro.” La ragazza corrugò la fronte, mentre la bocca assumeva
una linea dura, il padre alzò le braccia. Rysa lo
aveva visto affrontare più volte uomini che avevano già estratto i coltelli,
pronti ad uccidersi per una lite e riportarli alla calma, ma, neppure una volta,
lo aveva visto trionfare sulla figlia.
“Era solo un
consiglio, non voglio che ti succeda nulla di male.” Il volto di Aria si
rilassò e la ragazza sorrise al padre.
“Non mi
succederà nulla, starò con Rysa.” L’uomo lanciò un’occhiata
alle due donne, scosse la testa e uscì.
“Forse tuo padre
ha ragione…” Iniziò Rysa, ma lei scosse la testa.
“Starò con te,
cosa può succedermi?” Sorrise e le strinse la mano.
“Cacciatrice?”
La voce di un uomo all’esterno della tenda richiamò l’attenzione di Rysa, Aria le lasciò la mano e fece un passo indietro.
“Vai. Ci vediamo
dopo, al Torneo.” Sorrise e si voltò facendo oscillare i lunghi capelli biondo
oro.
Rysa la guardò andare via poi uscì.
Il sole ormai
aveva raggiunto il villaggio e le strade era ancora più animate che in
precedenza. Dinal, appoggiato ad una botte
rovesciata, la stava aspettando.
“Rysa.” Disse nel vederla, toccando l’elsa del pugnale gesto
che lei imitò. Dinal era più vecchio di lei, era stato
lui a insegnarle a cacciare, ma ora era lui a toccare il pugnale per primo nel
vederla.
“Il Capo mi ha
detto che non vuole incidenti.”
“Sì. Lo hai già
detto ai ragazzi?” L’uomo annuì poi guardò il sole che si alzava nel mattino.
“I Clan sono in
fermento… Sta succedendo qualcosa.” Rysa corrugò le sopracciglia,
non era da Dinal esagerare, essere pessimista o avere
fantasie.
“Anche il villaggio
è in fermento, il Torneo mette tutti in agitazione.” L’uomo si strinse nelle
spalle, ma non sembrò molto convinto.
I tamburi presero
a suonare e Rysa sorrise.
“Ci siamo!”
Il villaggio si
svuotò mentre ogni persona: anziano, uomo, donna o bambino, raggiungeva lagrande Radura.
La Radura, come
il cerchio di pietra era un luogo sacro per i Villaggi, costruito molto tempo
prima poteva accogliere centinaia di persone sui gradini in pietra, lasciando
al centro uno spazio libero nel quale si sarebbe svolto il Torneo.
Rysa insieme a Dinal seguì la
folla, raggiungendo la Radura che era già occupata dagli uomini dei Clan. I due
gruppi si lanciavano occhiate non troppo amichevoli, ma nei caotici momenti in
cui ognuno trovò il proprio posto, non scoppiarono tafferugli.
I tamburi
smisero il loro ritmico richiamo e il Capo del villaggio entrò nella spianata,
alzò le braccia per richiedere il silenzio, poi non appena ne ebbe ottenuto una
parvenza, annunciò con voce stentorea:
“Che il Torneo
abbia iniziò!”
Il pubblico
scoppiò in applausi e urla, erano settimane che occupava i pensieri di tutti,
finalmente era iniziato.
Il Torneo era
una tradizione antica e si svolgeva ogni cinque anni, ma era la prima volta che
vi partecipavano anche i Clan. Il Capo osservò gli uomini vestiti di pelli, dai
capelli lunghi e neri poi il suo popolo, dagli abiti colorati e dai volti
pallidi, infine con voce chiara disse:
“Che gli
sfidanti si facciano avanti!”
Rysa osservò i giovani del villaggio alzarsi, conosceva la
maggior parte degli uomini che avrebbero partecipato, non sono del suo villaggio,
ma anche quelli provenienti dai paesi limitrofi. Una testa più bionda delle
altre, però, distrasse la sua attenzione dagli sfidanti, Aria la raggiunse e le
sorrise, aveva il volto leggermente arrossato, segno che aveva corso.
“Stavo per
perdermi l’inizio! Mia madre non mi ha permesso di uscire con il vestito
azzurro.” Rysa inclinò la testa valutando il vestito
verde dai delicati ricami che la ragazza indossava, forse quello azzurro le
faceva risaltare gli occhi dello stesso colore, ma questo non le toglieva
nulla.
Nell’arena il
gruppo di giovani si era fatto piuttosto nutrito, anche i guerrieri dei Clan
erano pronti alla sfida e i due gruppi erano ben separati sul terreno brullo al
centro della Radura.
Uno spintone la
fece voltare verso la folla, poco più avanti si era accesa una lite, Rysa si mosse scivolando tra la folla come tra gli alberi
della foresta fino a quando non si ritrovò davanti ai due contendenti.
“Cosa succede
Redi?” Il ragazzo era rosso come una fragola di bosco e teneva il pugno stretto
attorno al pugnale il un gesto minaccioso e non di rispetto, di fronte a lui
c’era un uomo dei Clan: era alto, le spalle larghe e il torace ampio, non
portava la barba, ma aveva i tipici capelli lungi e neri. Vestito con una pelle
di orso nero, appariva minaccioso, anche se le sue mani erano lontane dalle
armi.
“Mi ha offeso!” Rysa tornò a guardare Redi.
“Come?” L’uomo
arrossì ancora e distolse lo sguardo, allora parlò l’uomo dei Clan,
sorprendendola con una voce melodiosa anche se profonda.
“Ho chiesto a
lui, perché non partecipare.” Rysa fermò Redi con un
gesto della mano. Il giovane aveva perso la sorella in un incursione dei Clan
qualche anno prima ed era chiaramente in cerca di uno scontro.
“Non mi sembra
una domanda offensiva Redi, per favore, vai da Dinal
e digli che sarai il suo galoppino per la giornata, tutto chiaro?” Redi
digrignò i denti, ma allentò la presa sul pugnale. Con una smorfia sfiorò il
pugnale in segno di accettazione e si voltò sparendo tra la folla.
Rysa alzò gli occhi sull’uomo dei Clan che però non la
guardava più, il suo sguardo era perso, rapito da qualcosa alle sue spalle. Con
la gola secca la Cacciatrice si girò intuendo cosa avrebbe visto: Aria era lì,
i suoi occhi azzurri e la sua chioma d’oro illuminati dal sole. Rysa fece un passo di lato frapponendosi tra lei e l’uomo
che inclinò la testa, sorpreso di vederla.
“Mi dispiace per
l’incidente.” Affermò cercando di chiudere la faccenda. L’uomo agitò la mano scacciando
l’accaduto poi sorrise e indicò con il dito Aria.
“Ho già visto
capelli d’oro, ma mai come lei, brillano!” Sorrise ancora, contento poi, nel
vedere che Rysa si voltava per andarsene, la afferrò
per un braccio. Attorno a loro l’aria si condensò, tutti gli uomini del villaggio
li stavano guardando ora. Rysa fissò negli occhi il
guerriero dei Clan che si guardò attorno, incuriosito più che timoroso, dalla
reazione che quel semplice gesto aveva creato. Perplesso le lasciò il braccio.
“Tu sei solo
donna.” Disse come se quello spiegasse la sua incomprensione, poi si strinse
nelle spalle e sorrise. “Solo sapere…” Si interruppe alla ricerca della parola.
“Sposa?” Disse infine quando l’ebbe trovata. Nel vedere lo sguardo
interrogativo di Rysa indicò di nuovo Aria che
guardava l’arena riempirsi di giovani.
“No, ma è la
figlia del Capo.” Gli occhi dell’uomo si illuminarono e Rysa
si rese conto di aver commesso un errore.
“Bene.” Disse
infatti lui poi sorrise e scese tra la folla fino a raggiungere l’arena.
Il suo arrivo fu
accompagnato da un boato da parte dei Clan che smisero di inneggiarlo solo
quando lui alzò le braccia per parlare.
“Cosa succede?” Dinal l’aveva raggiunta e guardava, come tutti, il nuovo
arrivato nell’arena. Rysa non gli rispose stava
attendendo con timore le parole del guerriero dei Clan.
“Io sono Orsoi, mio padre era Artiglio d’Aquila e mio nonno Toro
Grigio, sono del Clan Grigio e sono il primo re dei Clan!” Metà dell’arena
saltò in piedi, inneggiante, mentre l’altra metà rimase in uno sbigottito
silenzio, nessuno aveva saputo che i Clan, ora, avevano un re. L’uomo però non
aveva finito.
“Sono qui per
onorare il Torneo.” Questa volta aveva parlato nella lingua dei Clan e un uomo
aveva tradotto per lui. “E quale miglior modo per onorarlo se non
partecipandovi?” Di nuovo i Clan esultarono, mentre metà del pubblico attese la
traduzione per poi iniziare a valutare le qualità fisiche del re e le sue
possibilità. Rysa non aveva bisogno di sentire i discorsi
per immaginarsi i più anziani decantare la sua evidente forza.
Il re si diresse
verso il Capo e gli tese la mano, era un saluto tipico dei Clan e l’uomo,
abituato a trattare con loro, non esitò a stringergliela.
“Capo!” Urlò poi
il re, ottenendo l’immediato silenzio. “Sono re da un giorno e sono alla
ricerca della mia regina.” Rysa lanciò un occhiata ad
Aria che poco più in là stava guardando la scena senza nessuna apprensione, a
differenza di lei, non aveva visto lo sguardo che le aveva lanciato Orsoi.
“Chiedo…”
Continuò lui, questa volta nella lingua dei Villaggi. “Chiedo la mano di vostra
figlia.” Concluse, dopo essersi consultato con l’uomo che traduceva accanto a
lui.
Il Capo lo
guardò sbigottito, era un uomo alto e forte, eppure appariva piccolo e vecchio
accanto a quel gigante vestito di pelli.
Rysa guardò Aria che si era voltata per cercarla, il
terrore era chiaramente leggibile nei suoi occhi, insieme a una silente
supplica. I suoi meravigliosi occhi azzurri la imploravano di aiutarla e lei
non sapeva cosa fare.
Tutti erano in
attesa della risposta del Capo villaggio che sembrava incapace di dire
alcunché.
“Capisco che non
posso averla senza aver dimostrato il mio valore.” Intervenne ancora Orsoi, aiutato dal traduttore. “Ma se vincerò il Torneo
avrò provato di essere il miglior guerriero e avrò la mano di vostra figlia.”
A nessuno
nell’arena sfuggì la minaccia che quella proposta implicava, non c’era spazio
per un rifiuto.
“Sarà un onore,
per me, concedervi la mano di mia figlia, se vincerete il torneo” Fu quindi
obbligato a dire il Capo. Dalla folla ottenne un boato di soddisfatto, ma il
suo volto era teso.
“Rysa…” Aria ora l’aveva raggiunta ed era praticamente
aggrappata a lei, il viso pallido e il cuore che batteva veloce. “Vincerà!”
“No.” La mano
della ragazza tremava in quella asciutta e ferma di Rysa.
La Cacciatrice prese un profondo respiro, sapeva cosa fare. Si separò da Aria
scendendo lentamente i gradini dell’arena.
“Rysa?” La interrogò, perplesso, Dinal
al quale lei si era avvicinata e aveva teso il ciondolo intagliato con la testa
di lupo. Il volto serio e fermo della donna lo bloccò dall’insistere. Il Capo
la guardò interrogativo nel vederla entrare nell’arena.
“Cosa fai Rysa?” La donna non rispose, ma come prevedeva il cerimoniale
porse il suo pugnale all’uomo e pronunciò le parole di rito.
“Sei la nostra Cacciatrice,
non puoi partecipare…”
“Ho ceduta a Dinal la testa di lupo, saprà a chi consegnarla se non
dovessi vincere.”
“Cosa?” Era
chiaro che l’uomo aveva già sopportato troppo quel giorno, ma a intervenire fu
invece il re dei Clan.
“Una donna?” Era
più sorpreso che offeso e Rysa lo ignorò, alzando lo sguardo
sulla folla individuò con facilità Aria, la ragazza teneva i pugni stretti, sul
suo volto si alternavano paura e speranza.
“Rysa…” La bambina
nascose il volto nell’incavo del gomito, cercando invano di nascondere le
lacrime che le rigavano il volto. “Rysa, mamma mi ha
detto del tuo papà.” Alla bambina sfuggì un singhiozzo e Aria le fu accanto in
un istante stringendola tra le braccia e provocando un fiume di lacrime.
“Abbiamo messo un altro letto nella mia tenda, staremo insieme, sempre, vuoi?” Rysa alzò gli occhi gonfi di lacrime per incontrare il
sorriso triste della bambina e annuì.
“Non capisco.” Rysa sbatté le palpebre allontanando il ricordo.
“Non sarà mai
vostra.” Lo disse con voce pacata, ma la sorpresa del re fu uguale a quella che
avrebbe avuto se lei avesse urlato. La Cacciatrice si allontanò da lui
raggiungendo le gradinate e poi allontanandosi dalla Radura, l’avrebbero
chiamata quando sarebbe giunto il suo momento.
Il sole
illuminava il cerchio di pietra, ma agli occhi di Rysa
era totalmente diverso dal posto che aveva visitato solo poche ore prima. Si
tolse gli stivali e prese un profondo respiro poi entrò, sedendosi sulla
quercia.
“Cacciatrice.” Rysa aprì gli occhi e si voltò, all’esterno del cerchio
c’era un gruppo di giovani, i cacciatori del villaggio.
“Non sono più la
vostra Cacciatrice.” Alle sue parole Dinal annuì.
“Siamo qui per
prepararti.” La ragazza guardò i suoi compagni di caccia, ragazzi con cui era
cresciuta e che sapeva essere suoi amici e acconsentì.
I cacciatori si
tolsero gli stivali e, con un certo senso di riverenza, entrarono nel cerchio.
Nessuno di loro parlò mentre le assicuravano le protezioni in cuoio che, di
solito, portava nella pericolosa caccia al cinghiale e lei rimase immobile fino
a quando non ebbero finito. Ad un cenno di Danil si
mosse controllando che nessuna cinghia le impedisse i movimenti. Non ci fu
nulla da cambiare.
“Rysa.” Nel sentirsi chiamare si voltò verso Dinal che tra le mani teneva una lunga spada: la spada di
suo padre.
Il volto era bianco, eppure sembrava che
l’uomo dormisse. Rysa guardò i guerrieri che
portavano suo padre: erano sporchi e stanchi, ma nessuno accennava a posare
l’uomo che sorreggevano sulla barella di rami. Dinal,
uno degli amici di suo padre diede l’ordine e lentamente i guerrieri posarono
il corpo sul tavolo. Quello colpì la bambina più di tutto: non si dormiva sul
tavolo.
Rysa si avvicinò al padre, ma Dinal le si parò davanti, per poi inginocchiarsi. Tra le
mani aveva la grande spada di suo padre.
“Portala con
orgoglio, era di un grande uomo.” Rysa annuì
prendendo la spada dalle mani del maestro. La estrasse dal fodero sorpresa da
quanto fosse leggera, ricordava la prima volta che l’aveva ricevuta, le era
sembrata così pesante.
“Grazie.” Gli
uomini le sorrisero, sfiorandosi il pugnale, dimenticando, ancora una volta,
che non era più il loro capo caccia.
“Il tuo primo avversario
sarà un uomo dei Clan.”
“L’ho visto
combattere una volta, è lento, ma forte.”
“Non ti devi
preoccupare, lo stendi in un attimo!” Rysa sorrise
nel sentire l’implicito incoraggiamento e la partecipazione che le parole dei
suoi compagni esprimevano.
“Quando?” Chiese,
perfino da lassù si udì l’urlo che segnava la fine di un combattimento.
“Ora.” Rysa annuì, sentiva già la tensione tenderle il ventre, le
succedeva sempre prima di una caccia pericolosa.
Scesero la
collina in silenzio, i ragazzi avevano di nuovo perso le lingue e Dinal era taciturno anche nelle occasioni più normali.
“Avevi ragione,
i Clan erano in agitazione, stavano scegliendo un re.” Rysa
vide l’uomo più anziano annuire, ma il suo tentativo di distrarsi cadde nel
vuoto perché lui non aggiunse nulla.
Fuori dalla
Radura incontrarono i due perdenti dei primi incontri, uno era un volto
conosciuto: il figlio del falegname del villaggio e ora li guardò con un sorriso
tirato dalla sofferenza. Aveva una gamba rotta, ma era fiero del suo duello
durato a lungo, l’altro era uno straniero, aveva una lunga ferita sul fianco,
non sorrise: era svenuto.
La folla iniziò
una cantilena, i duellanti erano chiamati ad affrontarsi.
“Rysa!” La ragazza si voltò nel sentire la voce tesa di
Aria, ma Dinal la spinse nell’arena e i cacciatori
fermarono la ragazza.
“Deve
concentrarsi, ora. Non può essere distratta.”
“Ho visto i
duelli, si farà uccidere!” Affermò allora Aria tentando di superare la barriera
dei cacciatori, erano tutti suoi amici, ma le loro braccia erano salde.
Il rombo dei
tamburi attrassero l’attenzione di tutti, il duello stava per iniziare senza
esitazione salirono, insieme, sugli spalti.
Rysa prese dei profondi respiri, i tamburi sembravano
incitare il suo cuore ad accelerare, però aveva bisogno di calmarsi. Dinal le era accanto, ma lei vedeva solo la folla urlante
sulle gradinate e l’uomo che le stava di fronte.
“E’ solo un
altro cinghiale messo alle strette.” Gli sussurrò lui, un attimo prima di
lasciarla sola.
Erano immobili nel fango da un tempo ormai
lunghissimo. La bambina di dieci anni fu sul punto di agitarsi, ma la mano
stretta alla sua caviglia era un ricordo continuo dell’uomo che la accompagnava
e al quale lei obbediva, poi un movimento attrasse la sua attenzione. Era un
grosso cinghiale e le zanne gli spuntavano dal muso nero. Una leggera pressione
alla caviglia le fece ricordare di respirare. Il cinghiale non si accorse di
loro, il loro odore era spento dal fango e la loro immobilità li nascondeva.
L’animale si avvicinò ancora e la bambina tremò, la bestia alzò il muso,
immobilizzandosi, poi si allontanò di alcuni passi, fu a quel punto che
sbucarono i piccoli dell’animale. La presa del maestro si fece forte sulla sua
caviglia. Si trovavano tra la madre e i suoi piccoli, se fossero stati scoperti
allora il cinghiale avrebbe caricato.
Rysa sapeva che non doveva muoversi così
represse tutto e in un perfetto momento percepì il cinghiale e i suoi piccoli,
fu un istante poi sparì e un piccolo gridò. Dinal
scattò rapido, la estrasse dal fango lanciandola lontano per poi affrontare con
solo pugnale il cinghiale che attaccava.
L’uomo che aveva
di fronte era alto e robusto, doveva anche essere giovane, la barba gli era
appena spuntata e ancora non gli copriva il volto. Indossava una pelle di volpe
e impugnava una spada lunga. Sputò a terra nel vederla, era un gesto di
disprezzo per i Clan che consideravano l’acqua sacra. I Clan risero mentre ci
fu indignazione tra il suo popolo. Rysa cercò di
escludere ogni cosa se non l’uomo che aveva di fronte: doveva batterlo e lo
avrebbe fatto. Le sue mani si strinsero sull’elsa e i suoi occhi si fissarono
in quello del ragazzo. Il giovane guerriero dovette leggervi qualcosa in quello
sguardo determinato perché, intimorito, fece un passo indietro. Le risa del
pubblico gli fecero arrossare le orecchie e il ragazzo attaccò. I suoi fendenti
erano forti e rapidi, ma poco precisi e prevedibili. Rysa
li evitò ruotando con abilità e spostandosi rapida sui piedi.
Il cinghiale aveva attaccato Dinal e lui si era gettato di lato all’ultimo istante
lasciando nel fianco dell’animale un lungo taglio. Rysa,
che era stata scagliata lontano e il suo atterraggio non era stato morbido, si
rialzò in tempo per vedere il cinghiale attaccare la seconda volta. Senza
pensare, le dita rese goffe dalla tensione la bambina estrasse una freccia
dalla sacca che aveva al fianco, la incoccò e rapida la lasciò partire. Era una
freccia senza le pesanti cuspidi adatte alla caccia al cinghiale e ferì
soltanto superficialmente l’animale, ma quella piccola ferita lo aveva
distratto da Dinal che caduto a terra era riuscito ad
alzarsi e a spostarsi per permettere al cinghiale di fuggire assieme ai suoi
piccoli.
Il suo
avversario appoggiò il piede destro per lanciarsi ancora in un attacco, ma
oramai Rysa aveva capito come l’uomo combatteva. Parò
il fendente e poi calò la sua lama nella difesa del ragazzo anticipando la sua
mossa. La lama di suo padre si fermò a pochi centimetri dalla gola del giovane
guerriero che sgranò gli occhi arrestando a stento il suo movimento, rischiando
di ferirsi da solo. Un istante in cui tutto si fermò poi il ragazzo lasciò
cadere la spada, ammettendo sconfitta. I tamburi suonarono tra le ovazioni del
pubblico: altri due duellanti fecero il loro ingresso nella Radura.
Rysa si mosse verso l’esterno e fu fermata dal Capo del villaggio.
“Rysa, cosa stai facendo? Non avevi mai fatto intendere che volevi
batterti nel Torneo.” La donna lo guardò, come poteva non capire?
“Lascerete
davvero che vostra figlia sposi uno dei Clan?” Gli rispose invece, l’uomo
sembrò colpito dalla sua domanda poi scosse la testa.
“Non è, solo,
uno dei Clan, è il loro re, non capisci che opporsi potrebbe voler dire una
nuova guerra? E questa volta sarebbero organizzati, uniti! Un matrimonio
potrebbe legare i nostri popoli, potrebbe voler dire pace, era quello per cui
tuo padre lottava!” Un dubbio si disegnò sul volto del Capo. “Non sarà per
evitarle il matrimonio che sei scesa nella Radura?” Rysa
scosse la testa senza sapere come rispondere all’uomo che l’aveva cresciuta
nella sua famiglia come una figlia. “Lo hai visto Orsoi?
Ti spezzerebbe in due e io non voglio perdere due figlie nello stesso giorno!”
La donna si
allontanò in fretta ignorando Dinal che le veniva
incontro, lasciò cadere la spada e si mise a correre, mentre le grida della
seconda sfida la rincorrevano.
Si aggirò per il
villaggio deserto, solo alcuni animali si muovevano tra le case, nessuno si
perdeva il Torneo. Cosa stava facendo? Cosa doveva fare? La sua mente era
affollata di domande e dubbi.
“Rysa!” Aria le corse incontro, finendo tra le sue braccia e
la strinse a sé. “Ho avuto così paura, non voglio che tu muoia, preferisco
sposare Orsoi, non voglio più vederti affrontare un
nemico nella Radura!” Rysa si separò dall’abbraccio,
prendendole il volto tra le mani e cercando in quegli occhi chiari la verità.
“Dove sei finita?” Rysa
fece una smorfia, era ricoperta di bolle che bruciavano ogni centimetro della
sua pelle.
“Dell’edera velenosa, ho dovuto nascondermi
in un cespuglio per più di mezzora prima che il branco di lupi decidesse di andare
a giocare da un'altra parte.” Aria la aiutò a togliere la giubba sgranando gli
occhi davanti all’estensione delle ferite.
“Siediti, vado a prendere un unguento.” Disse
sorridendole dolcemente, la mano che le sistemava in un gesto spontaneo i
capelli sfuggiti alla sua severa treccia nera.
“No.” Aria piegò
la testa osservando gli occhi verdi della Cacciatrice, leggendovi la
determinazione. “Non permetterò che ti abbia…”
Rysa strinse la ragazza tra le braccia chiudendo gli occhi,
era scesa nell’arena in un gesto impulsivo, ma ora sapeva che non avrebbe permesso
che le separassero.
Ritornarono alla
Radura mentre era in corso l’ultimo combattimento che fu rapido anche se, a
detta degli spettatori, non rapido come quello del re dei Clan che aveva
spezzato il suo avversario in un solo attacco.
Sessantatré
erano i duellanti che avevano voluto destreggiarsi nel Torneo, ora solo più
ventiquattro erano in grado di duellare. Anche tra i vincitori alcuni avevano
subito ferite troppo gravi per sostenere un secondo duello.
Prima che si
affrontassero di nuovo i duellanti si svolse la gara di tiro, i più giovani
poterono così mostrare le loro abilità con gli archi. Nessuno dei Clan
partecipò, l’arco non era mai stata una loro arma di predilezione, avevano solo
archi corti che non permettevano una mira accurata o lanci lunghi.
Rysa osservò la competizione con poca attenzione, la sua
mente continuava ad andare alle parole del padre di Aria e alla decisione che
malgrado ciò aveva preso.
Quando
riiniziarono i duelli si affrontarono due uomini del Clan, la sfida durò a
lungo e il vincitore ricevette numerose ferite. La sfida successiva vide in
opposizione l’uomo dei Clan che aveva rotto la gamba al figlio del falegname e
un guerriero proveniente da un villaggio limitrofo.
Fu presto chiaro
che i due contendenti si equiparavano per abilità e tecnica. A un buon attacco
rispondeva un’efficace difesa e viceversa. Le due spade risuonavano nell’arena
mentre sugli spalti si distribuiva il cibo per il pranzo. Poi l’uomo dei Villaggi
inciampò e cadde a terra. Tutta l’attenzione della folla tornò al centro
dell’arena, nel cuore della Radura. Il guerriero dei Clan alzò la lama in segno
di vittoria, mentre il suo pubblico già si alzava in piedi a festeggiare.
“Non si è
arreso…” Affermò però Rysa e mentre pronunciava
quelle parole l’uomo dei Villaggi si mosse. Con un calcio colpì la gamba
dell’avversario appena sotto il ginocchio provocandone la caduta poi si alzò
rapido in piedi, puntando la propria lama alla gola dell’avversario, un sorriso
felice sulle labbra.
“C’è qualcosa
che non va.” Dinal seduto accanto a lei indicò
l’arena con il mento, aveva notato l’immobilità dell’uomo steso a terra e ora
lo notò anche il suo avversario. Alzò lo sguardo verso il Capo indeciso sul da
farsi poi tornò a fissare il suo rivale.
Rysa a differenza degli altri guardò verso Orsoi, il neo-re era in piedi come i suoi uomini e guardava
con intensità il centro dell’arena.
Nessuno poteva
entrare nello spiazzo centrale mentre si svolgeva un duello, così l’uomo dei Villaggi
si avvicinò al suo avversario e lo scosse, poi lo voltò: l’uomo era morto, dal
petto gli spuntava un pugnale, che infrangendo le regole, non aveva voluto
abbandonare.
Il Capo fece
suonare i tamburi, ma il re scese nell’arena sollevando personalmente il caduto
e trasportandolo fuori.
I due incontri
successivi si tennero tra uomini dei Villaggi e nessuno si ferì gravemente, poi
tocco a Orsoi.
L’uomo era
chiaramente fuori di sé, incrociò la spada con l’avversario che riuscì a
contenere la sua furia solo per pochi istanti prima che Orsoi
gli rompesse la mascella usando l’elsa dell’arma. Il guerriero dei Villaggi
lasciò cadere la spada, portandosi istintivamente le mani alla faccia, il
dolore che lo faceva gemere nel silenzio fattosi nell’arena. Ma il re non aveva
finito, gli fu addosso con un balzo, gli afferrò la testa e con un gesto brusco
della spada gli tagliò la gola.
La Radura era impietrita,
quell’uccisione deliberata aveva sorpreso anche i Clan. Orsoi
alzò la testa verso la folla, poi mostrò la spada sporca di sangue.
“Questo è solo
il primo!” Disse. A quelle parole i Clan iniziarono a battere i piedi
provocando un rumore ritmico. La mano che Aria teneva allacciata alla sua tra
la stoffa verde del suo abito ebbe un fremito.
I tamburini
guardavano interrogativi il Capo che era incerto sul da farsi quanto loro. Solo
quando Orsoi si decise ad uscire dall’arena segnalò
loro di suonare.
“Tocca a voi.” Rysa quasi sussultò nell’udire le parole di Dinal, mentre la presa di Aria si fece, se possibile, più
forte.
“Scopri perché Orsoi ha deciso di trasformare il Torneo in un bagno di
sangue.” Dinal annuì, il volto più serio del solito,
poi gli consegnò la spada di suo padre che doveva aver raccolto quando lei
l’aveva lasciata cadere. Con un cenno della testa Rysa
lo ringraziò poi scese la scalinata ed entrò nell’arena per la seconda volta.
L’atmosfera era
cambiata, c’era una tensione nuova e lei la poteva sentire nell’aria. Il suo
avversario entrò poco dopo, era un uomo dei Villaggi, Rysa
lanciò un occhiata al Capo, lui seduto sugli spalti non lasciò trapelare nulla,
ma Rysa sapeva che aveva modificato l’incontro,
voleva smorzare la tensione. I tamburi smisero di suonare e il suo avversario
attaccò.
Non ci fu più
tempo di pensare, ci furono solo più la sua spada e quella dell’avversario. Il
guerriero era più lento del precedente e forse meno forte. Lei schivò i suoi
attacchi e ben presto lui cambiò strategia, doveva aver seguito il precedente
incontro perché non fece gli stessi errori del giovane dei Clan che lei aveva battuto.
Il sole ormai
era alto nel cielo e Rysa si ritrovò presto madida di
sudore, ma il suo avversario sembrava risentirne più di lei, più i minuti
passavano più i suoi movimenti si facevano lenti. La sua tecnica di attacco era
molto più dispendiosa di quella di cauta difesa di Rysa.
Alla fine compì un errore, Rysa sapeva che ce ne
sarebbe stato uno e ne approfittò: rapida, sfruttando la sua esile figura
penetrò nella difesa dell’uomo e gli puntò la spada alla gola. Sorprendendola
l’uomo sorrise poi inchinò la testa.
“Quella spada fu
l’ultimo lavoro di mio padre, è un onore che sia in simili mani.” Sorrise
ancora e poi lasciò andare la sua arma dichiarandosi sconfitto.
Rysa abbassò la spada. Il suo respiro era affannoso, i
capelli le si erano incollati alla fronte e si sentiva esausta, lei, che poteva
seguire un cervo per giorni nella foresta senza risentirne. Eppure la tensione
del duello aumentava la fatica fisica, non era sicura di riuscire ad affrontare
un terzo avversario. Si voltò per uscire dall’arena e incontrò lo sguardo di
Aria che l’aveva aspettata all’esterno, probabilmente incapace di guardare lo
scontro.
“Sali un po’ più su…” La bambina afferrò il
ramo superiore con una certa difficoltà, issandosi più in alto. “Ecco ci sei!” Rysa guardò in basso verso Aria, un secco rumore la avvisò
che il ramo stava cedendo, un istante prima che il suo corpo si rendesse conto
che non aveva più sostegno.
“Rysa!” Il cuore
della bambina batteva rapido mentre i suoi muscolisi sforzavano di mantenere la fragile presa
che le impediva di cadere. La voce di Aria le arrivava attutita come se le
orecchie non le funzionassero più come dovevano.
Aria dovette correre al villaggio e suo
padre dovette salire l’albero per poter portare a terra Rysa.
“Mi dispiace, mi dispiace!” Aria la guardava
con gli occhi spalancati.
Dinal le raggiunse prima che lei potesse parlarle.
“Ho scoperto
cosa ha scatenato l’ira di Orsoi, il guerriero
rimasto ucciso era suo fratello.” Il cacciatore scosse la testa, sospirando,
poi proseguì. “I Clan dicono che il re è furioso e ucciderà tutti i contendenti
dei Villaggi che incroceranno la sua spada, dice che è l’unico modo per onorare
suo fratello.”
“Mio padre non
può permetterlo!”
“E cosa mi
consigli di fare per fermarlo, Aria?” Il Capo li raggiunse, nella sua voce
l’amarezza era evidente, la ragazza passava lo sguardo da Rysa
al padre a Dinal aspettando che uno di loro fornisse
una soluzione. L’uomo sospirò, quelle poche ore lo stavano incurvando, come se
la vecchiaia gli fosse piombata sulle spalle all’improvviso.
“Non posso fare
nulla, il Torneo ha le sue regole, non posso intervenire in un duello, non
posso interromperlo, non posso fermare il re e la sua voglia di vendetta.”
“Ma dovete fare
qualcosa!”
“Se agissi
contro il re, potrei scatenare una guerra.” C’era rassegnazione nelle sue
parole. “Potrebbe esserci un bagno di sangue, una sola azione sbagliata e
scatenerei i Clan, devo ricordarti dei bambini, delle donne, dei vecchi che
sono qui a vedere il Torneo? Vuoi che agisca provocando la loro morte?”
“Potrebbero
ritirarsi.” La voce di Aria era flebile eppure la ragazza guardava il padre con
forza.
“No, non posso
chiederlo, sono guerrieri, non si tireranno indietro, ne va del loro onore.”
“Ma…”
“No figlia,
nessun ma, il Torneo andrà avanti e gli spiriti vogliano che la sete di sangue
di Orsoi si plachi presto.”
L’acqua non era
particolarmente calda, ma Rysa ne assaporò comunque
il contatto con la pelle. I suoi abiti giacevano a terra poco lontano, un cambio
fresco era già appoggiato li accanto. Rysa chiuse gli
occhi per un istante mentre una mano le passava sulle spalle.
“Mio padre
dovrebbe fare qualcosa.”
“Tuo padre ha
ragione Aria, non può chiedere ai duellanti dei Villaggi di ritirarsi.” Aria
scosse la testa mentre la mano le scivolava lungo il braccio della Cacciatrice,
sfiorando una vecchia cicatrice dovuta alla caduta da un albero, molti anni
prima. Rimasero in silenzio, ma Rysa sentiva la sua
ira anche se le dava le spalle.
“Aria…” Iniziò,
ma un nuovo boato proveniente dall’arena la interruppe, sentì le mani di lei
irrigidirsi.
“Non…” Rysa si alzò uscendo dall’acqua, si avvolse nel telo pulito
e si voltò, fissando la giovane che cercava le parole da dirle.
“Ne abbiamo già
parlato.” Aria assunse un’aria caparbia, ma la voce di Dinal
all’esterno della tenda pose fine al discorso.
“Rysa, altri due duellanti sono stati uccisi.”
Oramai non c’era
più ritegno nell’arena, i Clan seguendo l’esempio del loro re uccidevano gli
avversari sconfitti e per vendetta i guerrieri dei Villaggi facevano lo stesso.
“Il Capo cercava
di non opporre i duellanti dei Clan a quelli dei Villaggi, ma il re non è uno
stupido e ha chiesto di vedere il momento dei sorteggi.” Rysa
osservò l’arena vuota senza commentare.
I duellanti
rimasti erano dodici, cinque uomini dei Clan e sette dei Villaggi. I morti
erano arrivati a cinque, due dei Clan e tre dei Villaggi.
La pausa non
durò a lungo, presto i tamburi ripresero a risuonare chiamando due nuovi
duellanti. E con la nuova sfida arrivò il nuovo morto, la pausa non era servita
a calmare gli animi: il duello era stato cruento già dal primo tocco e in pochi
istanti per l’uomo dei Clan era stata la fine.
Rysa che osservò quell’ennesima uccisione si chiese come
fosse in battaglia. Gli uomini morivano così in fretta, un duello poteva durare
minuti interi oppure risolversi in un istante, ma, come in guerra, anche lì
nell’arena la fine implicava la morte di uno dei contendenti, per poi passare
al prossimo, sembrava che il sangue chiedesse altro sangue, nessuno era in
grado di fermarsi.
Quando fu il suo
turno il cuore le batteva di nuovo rapido, Dinal le
aveva detto che il suo avversario sarebbe stato l’uomo dei Villaggi che aveva
accidentalmente ucciso il fratello del re, scatenando tutta quella carneficina.
Entrò nell’arena
ormai silenziosa, i bambini erano stati allontanati e così molte donne, Rysa sapeva che il Capo aveva detto loro di allontanarsi
nella foresta. Temeva la violenza che si sarebbe potuta scatenare quel giorno,
ogni uomo rimasto sembrava pronto a uccidere e anche il più piccolo rumore
avrebbe potuto far precipitare le cose.
Il suo
avversario indossava un corpetto di cuoio molto simile al suo, la spada era
leggermente più lunga, ma lui la teneva con la punta bassa. Rysa
cercò il suo sguardo, ma l’uomo fissava la terra. Rysa
fece alcuni passi avanti non appena i tamburi smisero di suonare, ma il
guerriero non si mosse.
Quando notò ciò
che aveva focalizzato tutta l’attenzione dell’uomo Rysa
abbassò la spada. Una chiazza di sangue era ben visibile anche se era stata, in
parte, assorbita dalla sabbia.
Finalmente
l’uomo alzò la testa per guardarla, la sua spada rotolò a terra e lui si piegò
su un ginocchio, la testa china.
“Poni fine alla
mia vita e riporta Pace tra noi.” Lo sussurrò appena, ma nessuno nell’arena
perse quelle poche parole. Rysa alzò lo sguardo sul
Capo che teneva la mascella stretta, ma le rivolse un cenno di assenso appena
percettibile. Chiuse gli occhi poi si voltò verso Orsoi,
che stava seduto tra i suoi uomini, teso in avanti, un espressione furente gli
illuminava il volto.
Il cervo alzò la testa attento, un paio di
magnifiche corna gli decorava la fronte, gli occhi vivaci si mossero alla
ricerca del nemico. Rysa tese la corda dell’arco
appena oltre l’orecchio mentre il cervo abbassava di nuovo la testa per
mangiare. Riusciva a mantenere l’arco in quella tensione solo per poco, avrebbe
dovuto rilasciare la corda e permettere alla freccia di fare il suo dovere. L’animale
forse percepì la sua tensione perché la sua testa si alzò di scatto, di nuovo
alla ricerca di minacce. Rysa incontrò i suoi occhi
neri e lucidi e rilasciò lentamente l’arco, incapace di uccidere una bestia
così bella. Un sibilò lacerò l’aria e il cervo stramazzò a terra, l’impennaggio
della freccia che usciva dal suo manto chiaro. Rysa
corse in avanti raggiunta da Dinal che estratto il
pugnale glieloporse. Rysa passò con rammarico le mani lungo il possente fianco
del cervo e Dinal le posò una mano sulla spalla.
“La sua morte permetterà all’intero villaggio
di mangiare.”
La spada era
improvvisamente un fardello pesante tra le sue mani. Rysa
fece un passo indietro e l’uomo in ginocchio alzò la testa per guardarla. Occhi
verdi, frementi di paura, coraggio, indecisione, fermezza, era combattuto: non
voleva morire eppure era in ginocchio davanti a lei, in attesa.
Rysa abbassò l’arma, non poteva uccidere, non così.
“Fallo, prima
che la mia famiglia veda le mie mani tremare!” Questa volta fu l’unica a sentire
il bisbiglio.
“Il suo sacrificio è necessario, poni fine
alle sue sofferenze.” Rysa strinse con più forza il
pugnale e colpì.
Alzò la spada e
la calò con precisione. Il guerriero morì in pochi istanti, la tensione che
svaniva dal suo volto.
“Vai fratello,
che il tuo sacrificio non sia vano.” Rysa alzò la
testa verso Orsoi che però non era più al suo posto,
i tamburi suonarono e Rysa si allontanò. Un uomo dei Villaggi
la stava aspettando all’esterno, aveva i capelli grigi, ma anche se aveva i
lineamenti di un vecchio gli occhi erano una copia di quelli che Rysa aveva appena visto spegnersi.
Come il figlio
prima anche lui si mise in ginocchio.
“Grazie,
guerriera.”
“Non sono una
guerriera. Vi prego non ringraziatemi per aver ucciso vostro figlio…” L’uomo scosse
la testa, non permetteva a se stesso di piangere, ma era chiara l’emozione nei
suoi occhi.
“Vi ringrazio
perché è morto con onore, la sua colpa non ricadrà sui suoi figli che potranno
vivere in pace.” Rysa gli tese la mano.
“Vostro figlio è
tra gli spiriti ora, accolto come Sacrificio.” A quelle parole gli occhi
dell’uomo non trattennero più le lacrime, posò la mano sul pugnale poi si voltò
andandosene.
“Speriamo che
non sia stato invano.” Aggiunse alle sue spalle Dinal.
Nella radura si
stavano affrontando due uomini dei Villaggi, uno vinse e tutti e due uscirono
dall’arena sulle loro gambe, lo stesso fu per il duello successivo tra due
uomini dei Clan, poi entrò Orsoi. Non aveva più
assistito ai duelli, indossava la solita pelliccia di orso, ma questa volta
aveva una striscia dipinta sul volto. Il suo avversario era un uomo dei Villaggi,
che guardava il guerriero nervosamente, come tutti nell’arena si chiedeva se il
re dei Clan era ancora alla ricerca di vendetta.
Quando i
tamburini cessarono di suonare il re rimase immobile, era la prima volta che
permetteva all’avversario di attaccare. L’uomo gli girò attorno poi tentò un
timido attacco che Orsoi respinse senza tuttavia
attaccare a sua volta.
“Cosa sta
facendo?” Aria guardava perplessa l’arena così come la maggior parte degli
spettatori.
“Gioca.” Disse Rysa e Dinal aggiunse:
“Come un gatto
fa con la sua preda.”
Orsoi schivò ancora qualche colpo e quando l’uomo dei Villaggi
iniziò a farsi più sicuro, più spavaldo, il re contrattaccò. In pochi istanti aveva
spinto, in un turbinio di colpi, l’avversario contro le tribune. Con un colpo
violento gli fece cadere la spada e poi lo trafisse.
Rysa strinse i pugni.
“La pagherà per
questo!”
“Rysa…” Dinal cercò di fermarla,
ma la donna lo ignorò e raggiunse l’entrata nell’arena dove trovò Orsoi. Sul volto ora aveva dipinto una seconda striscia.
“Voi!” L’uomo si
voltò, negli occhi c’era ancora la luce omicida, ma la rabbia che la pervadeva
le impedì di temerlo. “Il Sacrificio era stato compiuto!” L’uomo indicò le strisce
sul suo volto poi indicò con la mano il numero quattro.
Rysa aprì la bocca per urlargli contro la sua rabbia, ma
l’uomo si voltò andandosene.
I due incontri
successivi portarono alla morte di uno dei contendenti, il Sacrificio era stato
vano.
Sei. Sei
contendenti erano rimasti e l’equilibrio era perfetto, tre uomini dei Villaggi
e tre dei Clan. Il Capo sorteggiò gli incontri, gli Spiriti desideravano
sangue, tutti e tre gli incontri videro l’opposizione tra Clan e Villaggi, ma
ancora una volta Rysa non avrebbe incrociato le spade
con Orsoi.
Salì la collina,
ma non entrò nel cerchio di pietra. Sapeva cosa desiderava, sapeva che quando
sarebbe rientrata nell’arena avrebbe ucciso o sarebbe stata uccisa, non avrebbe
permesso all’avversario di arrendersi, no, non più. Le sue mani si erano
sporcate di sangue, si era detta che era un Sacrificio: un dono sacro agli
Spiriti. Quello che aveva fatto, però, era stato uccidere un padre, un figlio,
un marito. Ucciso a sangue freddo.
La rabbia che
l’aveva colta nel vedere Orsoi uccidere il suo
avversario ancora una volta, si era trasformata dentro di lei, non era più una
massa rovente, ma una gelida punta. L’avrebbe usata contro il suo avversario e
per questo, malgrado i suoi passi l’avevano portata fino alla collina, lei non
vi entrò. Stava per fare quello che le era stato insegnato di non fare mai,
avrebbe usato il suo dono per uccidere.
“Dinal, cosa mi
succede?” Il suo cuore batteva veloce, per un istante aveva corso insieme alla
lepre che stava cacciando. L’uomo sorrise.
“Il tuo dono è apparso. In tua madre era
molto forte, ma in genere salta una generazione.” Sorrise ancora ed era strano
vederlo così contento, soprattutto visto che la lepre era sfuggita.
“Dono, Dinal?”
“Sì, tua madre sapeva…” Cercò la parola.
“Sentire…” Le tese la mano facendola alzare, “Neanche lei sapeva spiegare, ma
l’anziana che le aveva insegnato vive ancora, andremo da lei non appena saremo
al villaggio.” Si incamminarono poi Dinal si fermò,
come se avesse dimenticato qualcosa, si voltò e si mise in ginocchio di fronte
a lei di modo che i loro occhi fossero allo stesso livello.
“Non devi raccontarlo a nessuno.”
“Perché?” Dinal
scosse la testa, era strano che avesse parlato così tanto.
“Perché il Dono può essere usato per il
male, non voglio che le persone sbagliate tentino di corromperti.” Rysa che aveva sette anni, non comprese le parole del
maestro, ma la serietà con cui lo disse fu sufficiente.
“Sì, Dinal.”
Disse, mentre già pensava a quando lo avrebbe raccontato a Aria, perché a lei
non nascondeva nulla.
Tre incontri. Orsoi uccise il suo avversario nel primo. Rysa non vi assistette, lo stesso valse per il secondo.
Quando udì i tamburi suonare la terza volta era pronta.
L’uomo di fronte
a lei era alto, possente, aveva combattuto con abilità i suoi incontri e ora la
guardava con un ghigno di divertimento: era chiaro che sapeva di vincere. Però
anche Rysa sapeva chi avrebbe vinto tra loro due e
non sarebbe stato lui.
I tamburi
cessarono di battere e il guerriero si avventò su di lei. Come sempre Rysa non cercò di opporsi a quei colpi violenti, ma iniziò
a schivare, puntando su agilità e velocità. La sua mente era vuota, libera da
ogni pensiero. Sentiva il cuore del suo avversario, sentiva tutti i cuori degli
uomini nell’arena, ma solo quello gli importava. Permise all’uomo di colpirla,
un taglio superficiale che bruciò come fuoco, ma la sua mente non udì il
dolore, il sangue scorse rapido e l’uomo sogghignò. Rysa
schivò ancora poi, sorprendendolo, si allontanò da lui e piantò la spada nel
terreno, alzò la mano sulla sua ferita e si sporcò del suo stesso sangue che
gettò a terra. L’uomo le corse incontro pregustando l’uccisione. E Rysa strinse.
Il guerriero dei
Clan spalancò la bocca mentre gli cadeva la spada e si portava la mano al
cuore.
Rysa si avvicinò a lui e gli prese la spada poi alzò
l’arma. Aveva già ucciso un uomo a terra, lo avrebbe rifatto.
Improvvisamente
non era più lei a controllare il suo corpo e la sua mente, qualcosa di così
vasto che solo pensarci l’avrebbe resa pazza si era impossessata di lei, o
forse era lei che si era riversata in qualcosa di troppo grande. Ora non
sentiva più solo i cuori degli uomini attorno a lei, ora sentiva tutto, era
tutto, e comprese, l’armonia, la forza, la vita stessa.
Quando aprì gli
occhi la spada era ancora nelle sue mani e l’uomo era ancora a terra.
“Pace! Io invoco
Pace!” Nel silenzio della Radura Rysa rabbrividì, non
sapeva cosa le era successo, sapeva solo che qualcosa le aveva strappato via la
rabbia, l’aveva svuotata riempiendola invece di vita. Quello che la Natura voleva
era la vita. Natura: questo era l’unico termine che riuscisse a trovare per
definire quello che l’aveva invasa.
Tese la mano
all’uomo dei Clan che, nel gesto a lui comune, la prese, era frastornato, con
l’altra mano si stringeva ancora il petto, ma nei suoi occhi ora c’era
sollievo.
Orsoi entrò nell’arena, guardò l’uomo dei Clan che abbassò
lo sguardo ed uscì, poi fissò lo sguardo su di lei. Il suo volto era marchiato
da tre linee.
“Ho fatto patto
con gli Spiriti. Quattro anime.” Indicò il numero con le mani. Lei faticava a
comprendere le sue parole, la sua testa era ancora frastornata, i colori erano
più vivi, i rumori più forti.
“Pace.” Rispose
scuotendo la testa e cercando di liberarsi dalla strana sensazione che la
pervadeva. L’uomo la guardò a lungo poi indicò qualcuno tra la folla, Rysa non riusciva a vedere distintamente chi indicasse, i
colori si mescolavano davanti ai suoi occhi, eppure percepì con altri sensi chi
stesse indicando.
“Lei, mia?” Rysa scosse la testa.
“No.” La lingua
sembrava cercare di disobbedirle. Vita, suggeriva una voce, un pensiero. Ma non
a quel prezzo, rispose lei, non in cambio di Aria.
“Allora io
ucciderò te.” Rysa sentì la testa farsi leggera e
cadde al suolo, il buio che la sommergeva.
“Ricorda siamo solo un canale, chi possiede
il dono è un veicolo più facile, niente di più, solo un mezzo.” Rysa annuì, la sua insegnate era a letto, era vecchia e
stanca, eppure l’aveva guidata nel dono insegnandole tutto quello che sapeva. “Rysa, bambina mia, onora il tuo dono, non abusarne mai.”
Capitolo 7 *** Sesto capitolo: Il prezzo della Pace ***
Sesto capitolo: Il prezzo della Pace
“Cosa ha fatto?
Perché non si sveglia?” La voce di Aria penetrò nella coltre di tenebre e Rysa cercò di aprire gli occhi.
“Non lo so, ma
il sole sta per tramontare.”
“Padre! Non
entrerà nella Radura!”
“Sì…” La sua
voce uscì roca, ma tutte e tre le persone presenti nella tenda si voltarono a
guardarla.
Era stesa in un
giaciglio, la luce era fioca, segno che il Capo non esagerava quando diceva che
il sole stava per tramontare.
Rysa tentò di alzarsi e represse un gemito, Aria le fu
subito accanto.
“Rimani stesa.”
“No, devo
raggiungere la Radura, aiutami.” Tentò di nuovo, ma la mano ferma di Aria le
impedì di muoversi.
“No.”
“Aria…” Iniziò
suo padre.
“No!” Ripeté con
forza Aria. “Rysa non affronterà Orsoi,
non morirà più nessuno oggi!”
“Capo, Dinal uscite per favore.” I due uomini annuirono e
lasciarono lei e Aria sole.
“No…” Disse lei,
ma Rysa sorrise dolcemente mentre alzava la mano per
raccogliere una sua lacrima.
“Lo batterò.”
Aria scosse la testa, ma Rysa la bloccò. “Devo
crederlo, perché non posso vivere senza di te.” Un lontano rumore di tamburi
fece sobbalzare Aria.
Il Capo guardò
all’interno della tenda.
“E’ l’ultima
chiamata, il sole tramonta.”
Rysa si alzò le sue gambe la reggevano con difficoltà, ma
mentre camminava si fecero più stabili. Indossò le protezioni di cuoio aiutata
da Aria le cui mani tremavano anche se tentava di non mostrarlo. Uscì dalla
tenda e prese un profondo respiro, il sole sfiorava il lontano profilo delle
montagne, pochi minuti e sarebbe scomparso.
Percorse tutto
il tragitto in silenzio, Aria, il Capo e Dinal la
accompagnavano, ma nessuno dei tre trovò qualcosa da dire. La Radura era
silenziosa quasi quanto loro, solo l’occasionale movimento di qualcuno tra il
pubblico faceva capire che erano ancora vivi.
Prese la spada
di suo padre ed entrò nell’arena.
Orsoi era in attesa, immobile. Aveva abbandonato la
pelliccia d’orso ed era nudo dalla cintola in su, i possenti muscoli ben in vista.
La grande spada con cui aveva già ucciso tre avversari era tra le sue mani, la
punta rivolta verso il basso.
Nel vederla
entrare il pubblico si animò e molti iniziarono a mormorare, Rysa li ignorò. Guardava il suo avversario, lo aveva visto
combattere: era il guerriero perfetto. Forse da qualche parte c’era qualcuno
più abile di lui, ma quel qualcuno di sicuro non era lei. L’uomo alzò la spada
e se la portò alla fronte in un gesto curioso, poi la abbassò, ma malgrado i
tamburi avessero smesso di suonare lui non attaccò.
Rimasero
immobili a guardarsi fino a quando il sole non tramontò del tutto lasciando di
sé solo un ricordo in un bagliore che tingeva il cielo di rosa.
“Avete detto
Pace, ma ora qui, perché?” Rysa rimase stupita dalle
sue parole, non si aspettava che volesse comprendere.
“Lo sapete, non
l’avrete mai.” Rysa alzò il mento in atteggiamento di
sfida e lui lentamente annuì, poi alzò la spada. Nei suoi occhi sparì
l’incomprensione, sparì ogni cosa e Rysa seppe che
sarebbe morta.
Il primo colpo
le fece vibrare le braccia e per poco la spada non le sfuggì dalle mani, riuscì
miracolosamente a spostarsi in tempo per il secondo fendente, ma l’uomo
continuò a incalzarla. Parò un fendente, ma il successivo penetrò nelle sue
difese. Si piegò in due portandosi la mano al fianco, era un taglio
superficiale, ma bruciava e quando ritirò la mano la ritrovò sporca di sangue.
Aveva tagliato di netto la protezione di cuoio e le aveva lacerato la pelle. Orsoi fece un passo indietro permettendole di rimettersi in
posizione poi attaccò ancora.
Prima che
potesse accorgersene lui la colpì con l’elsa sul volto, una mossa che aveva già
usato, spaccando la mandibola a un uomo, lei fu più fortunata, il colpo giunse
più in alto finendole sullo zigomo. Non cadde a terra solo perché lui le aveva
afferrato la giubba e torto il braccia sinistro dietro la schiena. Il rumore
secco che fece il suo braccio spezzandosi risuonò nell’arena seguito dai
lamenti del pubblico. Rysa non li udì, il dolore era
l’unica cosa che occupava la sua mente.
Come in un sogno
sentì che veniva messa in ginocchio e poi la sua testa fu violentemente tirata
indietro. Provò a muoversi, ma la presa sui suoi capelli si fece più dura e lei
desistette.
“No!” Quella
voce penetrò nel velo di dolore calato su Rysa e lei
vide Aria entrare nell’arena. La spada sotto la sua gola incise la carne, quel
piccolo taglio le riempì gli occhi di lacrime, ma non distolse lo sguardo da
Aria, sapeva che la stava guardando per l’ultima volta.
“Orsoi, re dei Clan, mi avete, sono vostra.” Aria fece
ancora un passo avanti, i biondi capelli erano sciolti e Rysa
si sorprese nel notare i mille riflessi che potevano creare al bagliore delle
torce, che lei non aveva visto accendere. “Ma ogni giorno della mia vita io lo
dedicherò a uccidervi, dovrete temere di addormentarvi al mio fianco, perché
potrei usare un pugnale, dovrete sperare che il vostro piatto non sia passato
tra le mie mani perché vi avrei aggiunto del veleno… oppure…” Si interruppe, i
suoi occhi che fino a quel momento avevano fissato Orsoi
ora guardarono lei. “Oppure potrete lasciarla vivere e io vi obbedirei e vi
onorerei e vi sarei fedele fino alla mia morte.”
“No.” Sibilò Rysa, ma la stretta tra i suoi capelli le impedì di dire
altro.
“Bene, Pace.” La
stretta la abbandonò e lei crollò a terra. Alzò gli occhi fissandoli in quelli
di Aria.
L’aria era tiepida, era una bella giornata
di primavera e l’albero sotto cui era sdraiata stava dando inizio a una nuova
folta schiera di foglie, che ora, di un tenero verde chiaro, spuntavano timide
dai rami.
“Drenir mi ha
chiesto di te oggi…” Aria si voltò appoggiando la testa su una mano.
“Ah sì?”
“Sì…” Lei sorrise.
“Suo padre è un mercante di grano, un uomo
ricco.” Rysa fissava il cielo tra i rami dell’albero
e non le rispose così lei continuò. “Sono sicura che sarebbe un buon partito.”
“Il Capo approverebbe…” Riuscì infine a dire
Rysa facendola scoppiare a ridere. Stupita la ragazza
la guardò e Aria rise ancora poi si mise a giocare con i capelli ribelli di Rysa. Non la guardava quando disse:
“Non voglio Drenir.”
Il cuore di Rysa batteva veloce, mentre chiedeva in
un respiro:
“Chi allora?” Aria alzò lo sguardo su di
lei, aveva le guance leggermente arrossate, gli occhi inquieti si muovevano
rapidi, sembravano non riuscire a fissarsi sui suoi occhi.
“Non è ovvio?” Disse alla fine, la sua mano
lasciò andare i capelli scuri di Rysa e con dita
leggere le sfiorò il viso.
Rysa chiuse gli occhi e Aria si piegò su di lei
sfiorandole le labbra in un bacio. Si separarono guardandosi e si sorrisero. Un
istante dopo erano di nuovo allacciate in un bacio che si fece sempre più
profondo.
“Le ha spezzato
un braccio e ha una ferita al fianco.”
“E il volto?”
“Le verrà un bel
livido, ma non dovrebbe aver nulla di rotto.”
La sua pelle era così morbida, affondò le
mani tra i suoi capelli mentre si perdeva nei suoi occhi che non aveva mai
visto così scuri. Ansimò mentre Aria faceva passare le mani sul suo corpo. Le
loro labbra si trovarono e lei si perdette nel mare di sensazioni.
“Rysa?”
“E’ rinvenuta?”
“Non lo so… Rysa?”
“Beh spero per
lei che sia svenuta, perché questo le farà male.”
Il
prato era fiorito e la terra era umida, ma il sole scaldava la loro pelle nuda.
Aria stava giocando con la testa di lupo, l’unica cosa che lei portasse ancora
addosso. Rysa guardò il cielo e si sentì felice.
“Sono tua, per sempre.” Disse, mentre Aria
inclinava la testa sorridendo.
“Lo so, il mio cuore è tuo e il tuo è mio,
per sempre.” Si chinò per baciarla. Le sue labbra: poteva morire per un suo
bacio. L’amava e l’aveva sempre amata.
Dinal le era accanto, la sua testa ciondolava, i suoi
capelli grigi rilucevano nei bagliori del fuoco.
Rysa era nella sua tenda, stesa sulla sua branda. Tentò di
muoversi, ma il dolore la tenne inchiodata. Alzò la mano sana fino alla gola
sentendo sotto le dita il taglio superficiale che le aveva procurato la lama di
Orsoi.
Sentì che aveva
qualcosa al collo e vi trovò la testa di lupo, Dinal
doveva avergliela restituita mentre era priva di conoscenza. Guardò di nuovo
l’uomo, la stava vegliando, aspettava che si svegliasse. Lo sguardo di Rysa si posò sul pugnale che aveva lasciato a terra accanto
alla sedia.
Dinal si svegliò e aprì gli occhi, si era addormentato e
stava sognando, poi il sogno si era fatto troppo vivido, l’odore di sangue
troppo intenso per un semplice incubo. Il fuoco mandava solo bagliori rossicci,
ma il cacciatore non ebbe bisogno di ulteriori luci per vedere il corpo senza
vita di Rysa.
Nel pugno teneva
il pugnale, mentre nell’altra mano aveva la sua testa di lupo.
“Tieni.” Rysa la
guardava con imbarazzo e Aria le sorrise mentre scioglieva il piccolo pacco che
la Cacciatrice le porgeva. L’oggetto che rotolò tra le sue mani la stupì.
“Ma questa…”
“No.” Rysa
estrasse dalla giubba la testa di lupo. “E’ solo… l’ho intagliata io, per te.”
Aria sorrise mentre si metteva al collo la piccola testa di lupo.
“E’ bellissima!”
“E’ solo legno.” Aria le si avvicinò e la
baciò.
“E’ bellissima!”
Orsoi si svegliò nell’udire i lamenti provenienti dal villaggio
e con orrore si ritrovò accanto il corpo freddo di sua moglie. Un pugnale
scintillava al suo fianco, tra le mani teneva una piccola testa di lupo.
Il nuovo ciondolo sembrava pesarle al collo.
Onore e responsabilità, quello significava la testa di lupo. Lo estrasse dalla
giubba per guardarlo ancora una volta, dietro vi era una scritta quasi
illeggibile, tante erano stati i cacciatori che lo avevano portato.
“Significa fedeltà.” Rysa
si voltò verso Dinal, il suo maestro, l’uomo che le
aveva consegnato la testa di lupo poche ore prima.
“Fedeltà?” Chiese stupita.
“Sì.” Vedendo la sua perplessità sorrise.
“Lo so che ti ho insegnato che portare al collo il lupo è un onore, ma anche
una responsabilità, ma questo è quello che implica, non quello che è…” Rysa non riusciva ad afferrare quello che Dinal voleva dirle e lui le indicò il villaggio.
“Il cacciatore che porta la testa di lupo è
il capo dei cacciatori e quindi giuda la caccia ed è suo dovere riuscire a
sfamare il villaggio, fornendo la carne.” Questa volta Rysa
annuì e Dinal continuò. “Onore e responsabilità
appunto, ma FIDES, la parola incisa sulla testa di lupo, significa fedeltà, io
credo che colui che lo intagliò nel dente di lupo abbia voluto che esso
incarnasse questa caratteristica sopra tutte le altre. Perché senza il
sacrificio, che solo la fedeltà estrema può generare allora non si è davvero al
servizio di chi si ama.”