Over the Edge

di Backyard Bottomslash
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Prologo -2° parte- ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Note: 
Sarò chiara: tutto quello che concerne questa storia è pura follia. L'ho pensata in un momento in cui probabilmente ero appena stata colpita da un fulmine e, dunque, eccomi qui a cimentarmi in un qualcosa che non so esattamente dove mi porterà… Bah, vedremo un po'!
Nel frattempo vi lascio con questo prologo, ma vi avviso che sarà solo dal primo capitolo ufficiale che capirete davvero l'impronta che voglio dare al tutto.
Detto questo non voglio annoiarvi oltre e farvi scappare via, dunque, se ne avete voglia, fatemi sapere cosa ne pensate.
A presto.

-BB




Prologo



“Tesoro! Ti manca molto? Hai bisogno di una mano con il fermaglio?”

La voce di Leroy corse veloce e limpida lungo le scale fino a giungere alla camera della figlia.

La piccola Rachel era ferma da almeno 5 minuti davanti allo specchio a contemplare la sua figura minuta. Pensò che, dopotutto, non era poi molto bassa per i suoi 6 anni. Avrebbe sicuramente avuto tutto il tempo per crescere. Senza contare che poi, forse, quel nuovo fermaglio rosso che le avevano comprato i suoi papà alla festa la rendeva un po' più alta.

Aveva quell'accessorio solo da pochi giorni e già era diventato il suo preferito, superando in classifica persino il braccialetto che sua zia Tracy le aveva portato direttamente da Broadway. Lo adorava o, più semplicemente, adorava tutto ciò che riguardava la festa che, ogni anno, durante i mesi estivi, si teneva nel centro di Lima.

Come probabilmente ogni bambino della città, viveva tutto l'anno nell'attesa di quell'odore di zucchero filato, del suono scoppiettante dei fuochi d'artificio e dei colori che, inevitabilmente, investivano la vita di tutti, rendendola almeno per quei giorni meno monotona del solito.

Il cambiamento era tangibile e la gioia di grandi e piccoli si respirava nell'aria.

“Principessa, sei pronta? E' ora di andare o ci perderemo le giostre”.

I pensieri della piccola ebrea vennero interrotti dal rumore della porta della sua stanza che si apriva, lasciando intravedere la figura del padre, Hiram, che con fare premuroso si accertava che la figlia fosse pronta ad uscire.

“Si, papà! Datemi solo un altro minuto per aggiustare meglio il fiocco e possiamo anche andare”.

Hiram acconsentì con un sorriso e senza aggiungere altro si richiuse la porta alle spalle. Amava la voce squillante e cristallina della sua principessina. Rachel avrebbe potuto chiedergli qualsiasi cosa con quella voce e lui avrebbe acconsentito senza il minimo problema.

“Allora? Qual è l'ultimatum?” chiese Leroy con evidente impazienza.

“Solo un altro minuto e possiamo andare” rispose il marito pur non essendo totalmente convinto che la bambina avrebbe rispettato quei tempi.

“Questa brutta abitudine l'ha ereditata da te. Saresti in grado di far aspettare anche Carlo d'Inghilterra per dare un ultimo ritocco al nodo della cravatta”.

“Non è affatto una brutta abitudine” si trovò a controbattere Hiram, difendendo automaticamente anche la figlia. “Ogni signora che si rispetti si fa attendere per un giusto lasso di tempo prima di degnare gli altri della sua presenza”.

“Ma non è una signora! Ha solo sei anni. Non voglio neanche immaginare cosa accadrà quando scoprirà dell'esistenza del trucco” realizzò il più basso dei due.

In camera sua, Rachel era ancora persa a guardare la sua immagine riflessa nello specchio. Le piaceva particolarmente prendersi qualche istante per sé, anche se, il più delle volte perdeva la cognizione del tempo. Si rese conto che era ora di andare, ma proprio non riusciva a staccare i suoi occhietti vispi dal rosso così acceso del suo fiocco.

Si, aveva deciso che il rosso sarebbe stato il suo nuovo colore preferito!

Mentre questi pensieri affollavano la mente della piccola diva, al piano inferiore la situazione non era cambiata neanche di una virgola.

“Non andrò di nuovo in camera sua. Non voglio che una volta cresciuta, mia figlia si renda conto di essere stata privata della sua privacy” Hiram era stato categorico pur mantenendo un tono basso, come sempre avveniva durante le loro piccole discussioni.

“Non ti sembra di esagerare? Rachel subirà traumi ben più grandi nella sua vita... Voglio dire: prima o poi Barba si ritirerà dalla scena...”

“Vedrai che Barba accetterà di buon grado i nostri solleciti a non abbandonare la carriera fino a quando la nostra piccola non sarà abbastanza grande da poterlo accettare”.

Lo sguardo di Leroy non lasciava spazio a possibili fraintendimenti: era fermo, ed invitava il marito a tornare con i piedi per terra. Tant'è che l'altro si spostò, sfidandolo a completare l'opera che aveva, ingiustamente, fatto iniziare a lui:

“Avanti! Voglio proprio vedere con quale coraggio riuscirai ad invadere il suo spazio personale ed a privarla per sempre della sua autostima”.

Hiram si fermò a guardare suo marito con lo stesso sguardo severo che non aveva abbandonato per l'intero battibecco. In un istante il suo aspetto cambiò completamente per lasciare spazio ad un'espressione sensibilmente più rilassata o semplicemente arrendevole.

“Cosa dovrei fare?”

“Ho un'idea!” sentenziò Hiram mentre recuperava parte del suo entusiasmo.

Si diressero verso il salone, illuminato esclusivamente dalla luce opaca di una piantana, situata al fianco del pianoforte in mogano scuro. Proprio lo strumento sarebbe stato l'arma segreta che avrebbero sfruttato a loro vantaggio.

“Seguimi!” ordinò Hiram con sguardo divertito ed allo stesso tempo fiero della propria idea, iniziando dunque a suonare:When the night has come, and the land is dark
... And the moon is the only light we will see... 
No, I won't be afraid, oh, I won't be afraid
.... Just as long as you stand, stand by me

Se almeno inizialmente era scettico, ora Leroy non solo era evidentemente più rilassato, ma addirittura divertito. Volse al marito uno sguardo colmo di ammirazione per l'originalità con la quale era solito pensare, per la sua adorabile tendenza ad esagerare nella sua lucida razionalità. E sperava con ogni singola particella del suo corpo che Rachel ereditasse quelle caratteristiche che, tempo addietro, lo avevano fatto innamorare di quell'uomo.

Senza il minimo cenno di titubanza prese anche lui a cantare, seguendo la voce di Hiram.

So darlin', darlin' stand by me... 
Oh stand by me
... Oh stand, stand by me, stand by me

Una melodia ben nota le giunse all'orecchio, distogliendola da ogni altro pensiero che una bambina di sei anni potesse avere e d'un tratto sembrò come riprendere improvvisamente vita: un gigantesco sorriso prese forma sul suo viso e con uno scatto, per il quale ringraziò i suoi già quattro anni di danza, si trovò in un attimo al piano inferiore.

Giusto il tempo di focalizzare l'immagine dei suoi genitori seduti al pianoforte e via... tra le braccia di Leroy. Vide le dita di Hiram muoversi con grazia e disinvoltura, quasi danzare sui tasti del pianoforte e si sentì come protetta da un impenetrabile scudo.

 

 

***

 

 

Ancora una volta!”

Era seduta su quello scomodo sgabello ormai da tre ore e quella cinica donna al suo fianco non sembrava volerle dare neanche un po' di sollievo.

I suoi grandi occhi verdi erano inattivi, spenti, troppo stanchi per continuare a subire quel calvario. Faticava addirittura a tenerli aperti.

E le dita. Le dita continuavano pesantemente a premere i tasti bianchi e neri in un movimento del tutto autonomo, non più dettato dal cervello.

Lo ripeterai fin quando non terrai quei polsi alti!” le intimò arcigna.

Quando la madre le aveva annunciato, un anno prima, che avrebbe iniziato a prendere lezioni private di pianoforte, Lucy era stata a dir poco entusiasta. Amava la musica ed il solo pensiero di dedicarsi finalmente a qualcosa che piaceva anche a lei, oltre che a Judy, le aveva riempito il cuore di gioia. Non avrebbe mai immaginato che anche quello si sarebbe trasformato in una costrizione.

Non le piaceva la sua insegnante. La trovava tanto spaventosa che talvolta era stata addirittura protagonista di alcuni suoi incubi. Ed in quei momenti avrebbe tanto voluto stringersi al petto del suo papà, ma Russell era stato categorico: lei era una Fabray ed i Fabray non si lasciavano spaventare da sciocchezze come quelle.

Ma Lucy era davvero terrorizzata da quella donna. L'aveva privata di una passione ed ormai subiva passivamente le parole, mai gentili, che quella perfida donna le riservava, nella speranza che la lezione terminasse in fretta.

Quella sera, però, la fine sembrava non voler arrivare in alcun modo: di tanto in tanto alzava lo sguardo verso l'orologio, attendendo con impazienza il ritorno del padre.

Le aveva fatto una promessa: quella sera l'avrebbe portata alla festa.

Non vedeva l'ora di poter vedere altre persone, di poter giocare con bambini come lei. Magari, con un po' di fortuna, Judy le avrebbe concesso anche di comprare quelle caramelle colorate che vendevano solo alle feste.

Come se stesse ascoltando i pensieri della piccola, Russell fece il suo ingresso in casa. Il volto di Lucy si illuminò improvvisamente e con un balzo si lasciò il pianoforte alle spalle. Non aveva fatto i conti, però, con la signorina Person, che non esitò ad afferrarla per un polso e strattonarla in malo modo.

Dove pensi di andare, signorina? Speravo che non fosse necessario, ma mi costringi ad usare le maniere forti!”

Senza lasciarla andare, la donna estrasse dalla sua borsa un lungo bastoncino con il quale iniziò a percuoterle le mani.

Lucy rivolse una muta richiesta d'aiuto al padre, ma quest'ultimo distolse in fretta lo sguardo, evidentemente poco interessato, e continuò per la sua strada, raggiungendo la moglie nell'altra stanza.

Non era la prima volta che accadeva una cosa del genere: aveva perso il conto delle volte in cui mentre suonava le aveva piazzato delle candele sotto i polsi. In tal modo, per non scottarsi, li avrebbe alzati a sufficienza.

La madre aveva chiuso gli occhi di fronte alle, sempre più frequenti, escoriazioni e da quel momento la piccola si era imposta di non piangere più se non nella sua solitudine.

Soffriva. Soffriva ogni volta quell'arpia la maltrattava. Soffriva ogni volta che i suoi genitori la ignoravano. Soffriva di un male sia fisico che mentale, ma preferiva soffrire nella sua stanzetta, piuttosto che davanti agli occhi di qualcun altro.

Quando finalmente la donna se ne fu andata, Lucy si sentì sollevata e felice davanti alla prospettiva di una serata di divertimento in città, ma nei suoi silenziosi pensieri si insinuò un rumore. Dalla sua camera poteva chiaramente sentire i suoi genitori discutere ed, incuriosita, li raggiunse. Come era ovvio che fosse, però, i suoi genitori non la degnarono neanche di uno sguardo, continuando a parlare tra loro:

Tutte le mie amiche mi hanno sconsigliato le scuole pubbliche in Europa” lo informò Judy, mentre passava al marito un bicchiere di Scotch.

Te l'ho già detto: chiederò alla mia nuova segretaria di informarsi su qualche collegio.”

Solo quando anche la donna di servizio entrò nella stanza, Judy e Russell si avvidero della presenza della piccola biondina. Judy le andò incontro con un evidente sorriso di circostanza in volto, ignorando completamente le domande dell'altra donna, mentre Russell si lasciava andare sulla poltrona, gustandosi ad occhi chiusi la bevanda.

Lucy, tesoro! Cosa ci fai qui? Dov'è la signorina Person?”

La bambina non si stupì del fatto che la madre non si fosse accorta che aveva smesso di suonare il piano da un po'... In realtà aveva smesso di ascoltarla già da tanto tempo. Prima che potesse darle una risposta però venne prontamente interrotta dalla domestica, che, nel frattempo, non aveva cessato neanche un istante di reclamare l'attenzione della signora Fabray.

Mi scusi ancora Mrs Fabray, ma le vorrei ricordare che la prossima settimana andrò a trovare mia sorella e di conseguenza sarò fuori città.”

Come sarebbe a dire che sarai fuori città?” chiese in un tono di stizza la donna.

Gliene avevo parlato lo scorso mese e mi confermò che non c'era alcun problema, ricorda?” la donna di servizio la guardò con uno sguardo ovviamente irritato anche se, allo stesso tempo, fortemente intimorito.

Susan... Susan... Ho così tanti di quei pensieri al momento che non riesco a ricordare neanche quando sia il mio compleanno e tu pretendi che io tenga a mente una cosa accaduta un mese fa? Mi spiace ma dovrai rimandare la tua visita. Da domani inizieremo a selezionare le cose che Lucy dovrà portare con sé” la bionda si voltò poi verso la figlia. “Ti piace la Francia, tesoro?”

E' lì che andremo in vacanza quest'anno?” la domanda nacque spontanea.

La piccola doveva ammettere che l'idea non le dispiaceva affatto. Aveva visto delle foto su quelle riviste che la madre comprava, ma non sfogliava mai e doveva ammettere che aveva sognato ad occhi aperti di poter correre tra i prati della campagna.

Non sarà una vacanza” la corresse il padre.

Lucy non era molto convinta da quelle parole, non capiva per quale motivo dovessero andare in Francia se non per una delle vacanze che la sua famiglia organizzava sempre. Lo sguardo della bambina vagò ancora una volta alla ricerca degli occhi della madre. Judy sembrava davvero molto entusiasta. Era evidente che lei sapesse e che morisse dalla voglia di comunicare il motivo alla figlia.

Ci trasferiremo in Provenza, amore!” le comunicò con gioia. “Andrai in una scuola dove ci saranno tante altre bambine con le quali potrai fare amicizia e giocare, potrai finalmente imparare a parlare francese come si deve e naturalmente continuerai lì le tue lezioni di piano. Così quando tutte le altre bambine ti ascolteranno suonare, penseranno che sei davvero bravissima e saranno tanto, tanto invidiose”.

La piccola Fabray odiava quel modo di parlare. La madre utilizzava quel tono infantile solo quando doveva farle mandare giù un boccone amaro. Ma questo era troppo! Come poteva pensare che sarebbe stato così semplice?

La guardò con uno sguardo spaurito. I suoi occhioni verdi erano pieni di paura ed allo stesso tempo di rabbia.

Non voglio!” disse sottovoce, come se non volesse realmente farsi sentire.

Come, prego?” si intromise ancora una volta Russell, questa volta alzandosi dalla poltrona ed avvicinandosi anche lui alla figlia.

Non voglio!” ripeté questa volta a voce alta.

Le piaceva viaggiare, scoprire nuovi posti, nuovi profumi, nuovi colori e non si poteva dire che avesse poi molto da lasciare a Lima. Aveva terminato il suo primo anno di scuola in un istituto privato, ma non aveva degli amici. I suoi genitori avevano delle grandi aspettative nei suoi confronti e dunque, pur essendo una minuta bambina di sei anni, Lucy era sottoposta a delle enormi pressioni. Gli studi, le lezioni di danza classica tre volte alla settimana e le estenuanti ore che, quotidianamente, passava seduta al piano non le permettevano di fare la vita di una qualunque bambina della sua città.

Era per questo che aspettava l'estate con tanta ansia: sentire, nel silenzio di casa sua, le grida di felicità che prendevano vita al di là di quella porta le faceva montare un'incredibile tristezza per la consapevolezza che non le sarebbe mai stato permesso di far parte di quei giochi, ma con la festa in città tutto poteva cambiare. Certo, non si sarebbe potuta scatenare su giostre o cose del genere, ma si sarebbe sentita meno sola.

Ascoltami bene, signorinella... Non voglio mai più sentire una cosa del genere uscire dalla tua bocca con quel tono. Ci trasferiremo in Provenza, imparerai il francese e frequenterai un collegio femminile esattamente come io e tua madre abbiamo deciso! Ho lavorato giorno e notte per avere quest'opportunità e l'ho fatto anche per te, per assicurarti un futuro e per questo tu mi darai il rispetto che merito!” terminò visibilmente nervoso.

Il suo sguardo lasciava trasparire tutta la rabbia accumulata e Lucy si teneva ben lontana dal guardarlo negli occhi: il padre l'avrebbe considerata una sfida e l'avrebbe punita. Si trovò, dunque, ad abbassare ulteriormente la testa ed a sussurrare un, a dir poco incerto, ringraziamento.

Ora, se volete scusarmi devo preparare le ultime cose per la riunione di domani” le congedò Russell, dopo essersi ricomposto.

Una stilettata trafisse il cuore della piccola, che rimase immobile sul posto, limitandosi a spalancare di colpo gli occhi.

Possibile che se ne fosse dimenticato?

Possibile che stesse preferendo dedicarsi al lavoro piuttosto che dar spazio a sua figlia?

Non che non ci fosse abituata, certo, ma la delusione si poteva leggere chiaramente negli occhi della bambina.

Ma... La festa? Hai dimenticato che me l'avevi promesso? Avevi detto che saremmo andati al circo tutti insieme...”

L'uomo non la degnò neanche di uno sguardo. A preoccuparsi di risponderle fu la madre:

Lucy, tesoro... Tuo padre ha cose più importanti a cui pensare...”

Perchè in fondo la verità era quella: Russell viveva solo ed esclusivamente per il suo lavoro. La famiglia era semplicemente una naturale conseguenza, ma questa non era una giustificazione.

Cosa voleva dire sua madre?

Stava davvero insinuando che non era abbastanza importante?

Ormai era stata messa da parte così tante volte che stava iniziando a pensare che fosse vero.

Alcune lacrime iniziarono a pungerle agli angoli degli occhi, ma rimase ferma, senza piangere.

Ti accompagnerà Susan!” concluse in fretta la madre. “Susan va' a cambiarti!”

La domestica annuì senza un minimo di convinzione, trascinando via anche la più piccola, che corse in camera sua con il pretesto di doversi preparare.

Solo allora, da sola, Lucy si arrese a quelle gocce salate.

 

 

***

 

 

E hai visto quando ho preso al volo la paperella? Stava cadendo, ma poi papà mi ha aiutata a tirarla su!”

Rachel era piena di gioia. Continuava a saltellare mentre camminava davanti ai suoi genitori, gli occhi le brillavano di una luce particolare e parlava ininterrottamente, vittima di un'euforia impellente.

Si, piccola! Ho visto e sei stata davvero bravissima! Magari avrai un futuro nella pesca... Magari diventerai una professionista!” la prese in giro Leroy, altrettanto felice.

La piccola fece una smorfia, seguita da un sorriso pieno... Consapevole.

Non credo proprio, papi... A Broadway non è molto praticata.”

Leroy non smetteva mai di stupirsi davanti a quell'atteggiamento della figlia. Quella creaturina era così piccola, così minuta eppure così grande e matura... A volte troppo.

Almeno ti è piaciuto il peluche che abbiamo vinto?” si intromise Hiram

Avrei preferito la maschera da gatto. Avrei potuto usarla per improvvisare qualcosa su 'Cats'...” rispose in tutta sincerità la piccola.

Mi spiace Peggy... Non sei molto gradita in famiglia...” disse di conseguenza l'uomo, rivolgendosi all'orsacchiotto rosa che portava in braccio come un vero e proprio bimbo.

Hai dato un nome al peluche?” chiese l'altro con stupore.

Non credi che sarebbe stato moralmente scorretto non darle un nome?” ribatté il più alto come se la cosa fosse del tutto normale.

Leroy scosse la testa divertito: quei due erano la sua fonte di felicità personale. Viveva per i sorrisi di Rachel, viveva per lo sguardo pieno di comprensione ed amore di Hiram, viveva per quelle esibizioni di famiglia improvvisate nel salotto di casa sua, viveva persino per quella “voglia di fare” della figlia che la portava ad essere forse un po' logorroica, ma ogni parola emessa da quella bocca era musica per le sue orecchie.

Continuava a sorridere al marito che perseverava nella sua discussione a senso unico con l'orsacchiotto e, lanciando un'occhiata verso la figlia, si rese conto che quest'ultima si era fermata di colpo, come ipnotizzata da qualcosa. Quando sia lui che Hiram alzarono lo sguardo non riuscirono ad evitare un piccolo sorriso.

Il circo.

Perchè, per quanto era evidente che non si trattava di una rappresentazione teatrale di Broadway o di un concerto di Celine Dion, era pur sempre uno spettacolo... E la piccola Rachel era attratta come una calamita da qualsiasi cosa riguardasse, anche solo lontanamente, un'esibizione artistica.

Probabilmente era per tutte quelle luci colorate, probabilmente per la maestosità del tendone che si ergeva dinanzi ai loro occhi, ma sarebbe stato impossibile anche solo tentare di dissuaderla dal mettersi in fila alla biglietteria.

 

 

***

 

 

Signorina Fabray, la prego non si allontani! Non riesco a stare al suo passo! Per favore mi aspetti!”

La povera Susan stava sbraitando da diverso tempo. La sua età non le permetteva di ricoprire i metri di vantaggio che Lucy aveva guadagnato.

Dal canto suo la biondina non faceva certo nulla per agevolarla in questa impresa, anzi, più la donna le esponeva a gran voce le sue richieste, più lei faceva finta di non ascoltarla.

La ignorava.

La ignorava come era stata ignorata lei.

Continuava a camminare per conto suo, senza una meta ben precisa. Cosa importava, ora, dove andare? Non aveva più motivo di essere in quel posto. Avrebbe dovuto ricordare quella serata come una delle più belle della sua infanzia.

Ci aveva sperato.

Ci aveva sperato così tanto che alla fine ci aveva creduto ed ora essere stata delusa faceva ancora più male.

Stavano calpestando i suoi sogni e non se ne accorgevano neanche. Nessuno si rendeva conto delle sue richieste di aiuto e di attenzione se non quella povera donna della sua badante, che, del resto, era pagata per farlo. Ma non era il suo interesse che voleva. Pretendeva quello dei suoi genitori. Voleva essere amata e coccolata come ogni bambino, ma sapeva bene che i suoi erano solo sogni.

Signorina Fabray, dove sta andando? Il circo è qui! La prego torni indietro!” continuava ad urlare la donna.

Persa nei suoi pensieri Lucy non si era neanche resa conto di aver ormai superato il tendone del circo e la voce di Susan le arrivò alle orecchie giusto in tempo per far sì che si fermasse. Così alla fine aveva ceduto ed era tornata indietro, posizionandosi in fondo alla fila della biglietteria.

Aveva perso tutto l'entusiasmo che era cresciuto in lei in quei giorni di attesa e nessuno sarebbe stato più in grado di restituirglielo... Neanche quel circo che aspettava di vedere da un intero anno.

Senza un reale interesse aspettava che giungesse finalmente il suo turno mentre la voce della domestica continuava a colpirle i timpani.

Allora signorina, sua madre mi ha specificato più volte che non posso in alcun caso comprarle né zucchero filato, né popcorn, ma in compenso mi ha dato un pacco di cracker che può mangiare durante lo spettacolo. Mi ha assolutamente vietato di farla entrare nella casa degli orrori o avrà gli incubi e non riuscirà a dormire...”

Era incredibile quanto parlasse quella donna. Le voleva urlare di smetterla, di fermarsi perchè sapeva già tutte quelle cose! Tutto quello che desiderava era essere trattata come una bambina normale, magari proprio come quella bambina che ora, davanti a lei, si stava sistemando un adorabile fermaglio con un fiocco rosso.

Mentre la donna continuava a straparlare e la piccola era ancora immersa nei suoi pensieri qualcuno le spinse bruscamente in avanti. Lucy si girò irritata, notando delle risate provenire da un gruppo di ragazzi. Tornò a voltarsi con l'intenzione di avanzare, un po' spaventata all'idea di essere nuovamente scaraventata via e, nel farlo, per poco non pestò qualcosa.

Prese il fermaglio e se lo rigirò tra le piccole manine. Solo dopo alcuni secondi si ricordò improvvisamente di doverlo restituire, ma la bambina davanti a lei si stava avviando verso l'entrata.

Il secondo dopo Lucy stava già correndo verso la bambina, suscitando ancora una volta le urla di una Susan iperprotettiva.

Corse il più che poteva e con un ultimo balzo finalmente la raggiunse, prendendole una mano.

Quando quest'ultima finalmente si girò, Lucy poté ammirare un'adorabile bambina, con degli occhi profondamente espressivi, quasi quanto il sorriso che dipingeva il suo viso, un naso forse un po' troppo grande eppure così perfetto nella sua imperfezione e non riuscì a trattenere un sorriso.

Questo dovrebbe essere tuo...”

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Capitolo 2
*** Prologo -2° parte- ***


Note:
Ok, ammetto di avere un mucchio di cose da farmi perdonare, ma c'è una spiegazione a tutto!
Avevo detto che terminato l'esame di Stato mi sarei dedicata anima e corpo alle mie adorate bambine (si, chiamo così le mie ff), ma sono stata presa da un'euforia post-Maturità che mi ha impedito di prendere una penna in mano o di mettere mano sulla tastiera del pc.
Quando poi mi è parso che l'euforia fosse svanita mi sono allegramente sfracellata contro l'asfalto.
Eccoci dunque qua: alle 2.37 della vigilia dell'incontro con Dianna a Giffoni, al quale tra le altre cose parteciperò con le stampelle (non si sa mai che magari si impietosisce e mi permette, che so, di sfiorarle un capello).
Perdonata? Bon… Spero di si!

-BB


Prologo (Seconda Parte)

“Continuano da ormai due settimane le ricerche della piccola Lucy Fabray. Le autorità locali continuano a svolgere il loro compito senza interruzione alcuna, ma nonostante le svariate rassicurazioni, le indagini non sembrano trovare un punto di svolta.

L'ultimo avvistamento della bambina risale alle 20.30 del 2 luglio e da allora ogni traccia di lei è svanita. Le accuse volte ad inchiodare la domestica della famiglia Fabray, Susan Freeman, non sono ancora crollate e gli inquirenti non sembrano voler abbandonare questa pista nonostante la donna si sia più volte dichiarata completamente estranea ai fatti.

Il legale dei Fabray, dei quali non siamo riusciti ad avere dichiarazioni, afferma di essere ostinato ad andare in fondo alla questione: <>...”

 

Hiram ripiegò il giornale sul tavolo senza neanche terminare di leggere l'articolo, si tolse gli occhiali per massaggiarsi gli occhi, volgendo poi uno sguardo a Rachel, che, al suo fianco, aveva quasi terminato la sua colazione.

Guardava Rachel, ma vedeva Lucy. E come se il destino si stesse prendendo gioco di lui, quel volto comparve ancora una volta sul piccolo schermo della TV presente in cucina. Era piuttosto certo che non avessero mai visto la televisione così tanto come in quei giorni.

 

“...Vi ricordiamo, quindi, il numero da comporre nel caso qualcuno dovesse avvistare la piccola Lucy...”

 

“Oh questo è troppo! Ho visto così tante volte la faccia di quella bambina che sto iniziando a sognarla anche di notte!” si intromise Leroy, spegnendo il televisore.

“Benvenuto nel club!” affermò Hiram con un pizzico di sarcasmo, unico superstite della malinconia che attanagliava la sua voce.

Era impossibile evitare che la mente vagasse, andando a scovare le sue paure più grandi come un ago che, incurante di ogni cosa, pungeva un nervo scoperto.

Se fosse successo alla sua piccola principessa?

Se ora ci fosse stata la faccia di Rachel su tutti i rotocalchi piuttosto di quella della piccola Fabray?

Probabilmente la sua vita, come quella di suo marito, non avrebbe più avuto un senso.

“Pensi che la troveranno?” chiese a bruciapelo, con gli occhi che gli brillavano di speranza, come se dalla risposta di Leroy dipendesse davvero il futuro della bambina.

E Leroy se ne avvide. Perchè se c'era stato qualcosa che da sempre li contraddistingueva era la capacità di saper decifrare l'uno i sentimenti dell'altro semplicemente con uno sguardo. Non voleva deluderlo, ma Hiram era un uomo adulto e capiva bene la situazione: “Due settimane non sono poche”.

Non ci fu bisogno di aggiungere altro mentre l'ennesimo sospiro malinconico fuoriusciva dalla bocca dell'uomo con gli occhiali.

Avevano sempre accuratamente evitato quel tipo di discorsi davanti a Rachel, cercando addirittura di limitare la visione del telegiornale per non urtare la sua sensibilità. Fu per questo che, quando tornarono a rivolgere le loro attenzioni verso la figlia rimasero stupiti da quanto insistentemente la bambina guardasse la foto di quella Lucy sulla prima pagina del quotidiano locale.

Sembrava vivere in un mondo a parte e, di sicuro, non aveva ascoltato neanche una parola del breve discorso dei suoi genitori, Quasi come fosse rimasta incantata o, meglio ancora, quasi come se, quegli occhi avessero avuto la facoltà di ipnotizzarla pure essendo stampati su carta.

“Sembrava così triste quella sera...”

Rachel aveva ripetuto quella frase milioni di volte. L'aveva ripetuta anche davanti alla polizia, come se il fatto che quella piccola bambina bionda le fosse sembrata tanto giù di morale potesse cambiare qualcosa, potesse fare qualche differenza.

Hiram e Leroy si erano accollati tutte le responsabilità del caso decidendo di far deporre alla figlioletta quella testimonianza. Si erano resi conto che, nel migliore dei casi, sarebbero passati inosservati. E così era stato: la deposizione era stata valutata come non propedeutica ai fini delle indagini. Un bel modo, insomma, per lavarsene le mani davanti ad una dichiarazione ritenuta poco pertinente e, soprattutto, decisamente infondata.

Gli stessi Berry erano consapevoli di quanto poche fossero le possibilità che quanto detto dalla loro piccola venisse preso in considerazione, ma una delle prime cose che le avevano insegnato era il rispetto verso il prossimo e la sua parola, e non intendevano deluderla dandole un cattivo esempio. Questo, unito all'immensa caparbietà della bambina li aveva spinti ad assecondarla, non senza qualche ripensamento.

“Lo sappiamo, amore... Lo sappiamo”

Il tono di Hiram sembrava particolarmente solenne, mentre lanciava un'occhiata preoccupata a Leroy che, in tutta quella storia, aveva sempre mantenuto con maestria le redini della razionalità.

“Stellina...” iniziò, proprio Leroy, rivolgendosi alla figlia.

“Leroy, cosa stai facendo?” gli chiese il marito con apprensione, ben consapevole di quali fossero le sue intenzioni.

L'uomo però continuò, riservando un semplice sguardo al contrariato Hiram: “Tu sai che io e papà saremo sempre dalla tua parte e ti difenderemo qualunque cosa accada, vero?”

Rachel annuì, non risparmiando ai genitori la vista di un'espressione crucciata.

“Sei davvero sicura di quello che hai detto ai signori della polizia?”

Tentò di porle quella domanda con la maggior delicatezza possibile, ma ciò nonostante non poté fare a meno di stringere gli occhi in un moto d'incertezza.

Si fidava di Rachel, ma quella era una situazione delicata ed era possibile che la piccola mora si fosse lasciata trasportare dalle emozioni, come spesso le accadeva quanto cantava. Era plausibile: era così piccola ed, in quel caso, Rachel non avrebbe avuto nulla da rimproverarsi, non avrebbe avuto nessuna colpa se non quella di essersi eccessivamente preoccupata ed immedesimata nelle vesti di una bambina come lei.

Ma non voleva trarre conclusioni affrettate. Voleva aspettare di sentire, ancora una volta, le parole della figlioletta.

“Sono sicurissima, papi!” dichiarò con un'espressione che lasciava trasparire con esattezza tutta la sua sicurezza e determinazione.

In realtà, dietro quelle parole pronunciate con così tanta spavalderia si nascondeva abilmente una buona quantità di speranza.

Speranza di essere creduta.

Speranza che non si fosse trattato davvero solo di un sogno.

Già, perché a volte lei stessa si chiedeva se davvero avesse visto quella bambina, indotta a dubitare dalle parole incredule di gente malpensante.

Persa in quell'oblio d'incertezza, la consapevolezza giungeva, poi, fugace ed, allo stesso tempo, incombente e prepotente come un pugno allo stomaco: quegli occhi.

Nessuno al mondo sarebbe stato in grado di creare nella propria immaginazione tale scenario, degli occhi così perfetti.

Tanto perfetti quanto malinconici.

E decise di continuare, decise di dire anche questo: “E sono sicura che le era successo qualcosa di davvero brutto perché io non sarei stata così triste neanche se la signorina Seymour avesse deciso di dare la parte di Cappuccetto Rosso a quella spilungona di Sandra Fletcher, invece che a me!”

 

 

***

 

 

Alcune testoline si piegarono contemporaneamente verso destra, come se stessero seguendo ed imitando i movimenti di qualcun altro. Le sopracciglia corrugate a sancire quelli che erano degli sguardi crucciati, per certi versi curiosi e, perchè no, anche un po' sorpresi.

Ma, d'altronde, bisognava ammettere che la scena che si era presentata ai loro occhi era effettivamente singolare, per quanto esilarante.

“Sembra che non abbia mai mangiato un panino al burro d'arachidi...” constatò una di quelle testoline - precisamente bionda - che stavano seguendo la scena tanto appassionatamente.

Lucy ingoiò velocemente un pezzo di quel quantomai delizioso spuntino, affrettandosi il più possibile a dare una risposta a quella che, in fondo, una domanda non era: “E' così! Davvero non ne avevo mai mangiato uno.”

Pronunciò quella frase con una tale innocenza che, se possibile, lo sgomento che già di per sé si era fatto largo tra quei visini, aumentò sostanzialmente.

“E cosa mangiavi prima?” chiese la stessa bambina che aveva dato il via alla discussione.

La piccola sembrò pensarci un po' su: “Tante cose...” si limitò a dire, “Tante verdure...” concluse poi, dopo una più accurata selezione.

“Che schifo!” commentò un bambino che Lucy, durante quei giorni, aveva appurato fosse decisamente troppo alto per la sua età.

“Ma non avevi mai mangiato un panino al burro d'arachidi?”

Cavolo, quella bambina dagli occhi blu sembrava davvero dura di comprendonio.

“Mai.” replicò Lucy, questa volta con un pizzico di preoccupazione nel tono di voce.

“E perchè non sei scappata prima?”

La domanda stavolta provenne da un altro bambino, uno con una strana cresta in testa e che, subito dopo, si meritò uno scappellotto da quella che le sembrava si chiamasse Santana: “Lo sappiamo tutti che sei stupido. Non servono le prove.”

Durante il tempo trascorso a nascondersi, passando da una roulotte all'altra, Lucy aveva imparato a conoscere almeno un po' tutti quei bambini ed aveva capito quasi subito che Santana era la più sveglia del gruppetto. Spesso si era dimostrata un po' sopra le righe, talvolta le era parsa addirittura sgradevole. Le sue uscire erano brusche, certo, ma mai insensate.

“San! Non puoi usare la parola con la «s».” si affrettò a rimproverarla la biondina dagli occhi blu.

Quello era un'altro difetto dell'ispanica: usava decisamente troppe parole “cattive” e la piccola Fabray non aveva potuto fare a meno di pensare che sua madre, Judy, non avrebbe esitato a punirla più e più volte.

Santana alzò gli occhi al cielo: evidentemente non era nuova a quel tipo di rimproveri.

Britt, «stupido» non è una parolaccia.” si difese.

Ma l'altra non sembrava voler demordere: “Ma i grandi non vogliono che tu la usi!”

Ma i grandi ora non sono qui!” si trovò a ribattere con un tono piuttosto duro che fece immediatamente incupire Brittany.

La mora se ne rese conto e sembrò dispiacersi lei stessa di quella risposta così sgarbata che le aveva riservato, ma cercò, in qualche modo, di non darlo troppo a vedere.

Lucy aveva notato anche questo: Brittany era il punto debole di Santana.

Non le riservava mai parole poco gentili e nel caso in cui capitava, come poco prima, sembrava rimanerci più male lei che la stessa biondina.

Abbandonò i suoi pensieri quando Puck le concesse nuovamente attenzione: “Hai ancora fame?”

E la dolce biondina dagli occhi blu - almeno al momento - non riuscì ad evitare di annuire, sorprendendosi nello scoprirsi così sfacciata.

Wow! Mangi più dell'orso Yoghi!” constatò Brittany con tutta l'innocenza di questo mondo.

E Finn mangia davvero tanto!” concluse Santana con un grande sorriso stampato sul viso.

Non poteva proprio lasciarsi sfuggire l'opportunità di prendere per i fondelli il povero bambino.

D'altra parte, mentre i due continuavano a battibeccare abbastanza animatamente, Lucy si perse nel constatare quanto strano fosse effettivamente il suo comportamento. Non era da lei accettare in maniera tanto meccanica un invito. D'altronde Judy le aveva insegnato anche quanto fosse di buon uso declinare gentilmente una prima proposta, accettando poi, con un mascherato e fintissimo sorriso, la seconda. Senza contare che non era suo solito mangiare così tanto e con tanta voracità.

Era come se si stesse nutrendo a dispetto della ferrea dieta che, da un anno a quella parte, era stata costretta a seguire a causa delle smanie di una madre e di un padre troppo legati all'idea di una perfezione che, nel caso fosse esistita, non rispondeva al nome di Lucy Quinn Fabray.

Non che non potesse esserlo, certo.

La verità era che non voleva esserlo.

La verità era che Lucy non si stava nutrendo di quel cibo “proibito”... Almeno non solo.

Seppur del tutto inconsciamente, Lucy si stava nutrendo di un'intera vita “proibita”.

Paradossalmente quelle due settimane trascorse in un angolino buio di una roulotte qualsiasi, in una vecchia seppur alquanto spaziosa cassapanca, in uno sgabuzzino in disuso, ecco, quelle due settimane passate a nascondersi, traslocando da un posto all'altro, erano state due settimane di vita.

Lo stesso non poteva dire degli ultimi sei anni.

In quel momento si sentì bambina, nonostante non lo fosse mai realmente stata, nonostante non fosse mai stata educata a pensare come tale. E percepì chiaramente il suo cuore riempirsi di una felicità che non sarebbe stata passeggera, fugace, bensì comprese che, da quell'esatto momento, quello stato d'animo avrebbe fatto per sempre parte di lei.

Ti porteremo qualcosa più tardi. Ora dobbiamo andare se non vogliamo farci scoprire da qualcuno... Lo spettacolo sta per finire...” le spiegò Santana, stranamente quasi dispiaciuta, mentre usciva dalla roulotte seguita dagli altri bambini.

Ed anche questa volta Lucy non si trovò d'accordo con la bambina ispanica perchè il suo spettacolo era solo all'inizio.

 

 

***

 

 

Non sapeva con precisione quanto tempo fosse passato da quando Brittany, Santana, Finn e Puck erano andati via, ma a giudicare dal fatto che aveva ripetuto nella sua mente tutte le melodie che aveva imparato a suonare al piano, dovevano essere volate via almeno un paio d'ore.

Quando suonare non diventava un obbligo, ma soltanto un piacere suggerito da una vocina interiore, il tempo imparava a scorrere via veloce, come inseguito da una forza strana ed ignota. E a lei piaceva.

Certo, la sua gambina magra non era all'altezza dei tasti del pianoforte, ma la sua immaginazione, durante gli anni, aveva imparato a giostrarsi anche in quelle situazioni, riuscendo a dare il meglio di sé.

Venne distolta dai suoi pensieri quando percepì un rumore provenire dall'esterno e fu ovvio pensare immediatamente a Santana ed agli altri. Ci sperò, probabilmente, più che crederci sul serio: quel languorino di qualche ora prima si era trasformato in una vera e propria fame da lupo.

Quando, però, si rese conto che i passi fuori dalla roulotte si facevano sempre più marcati e ben più pesanti di quelli di qualsiasi bambino, capì che la sua “copertura” era in pericolo.

Si guardò intorno, cercando freneticamente una via di fuga o, per lo meno, un nascondiglio migliore di un armadio colmo di eccentrici e polverosi vestiti.

Sentì i passi avvicinarsi nello stesso istante in cui si stava dando da fare per riuscire a raggiungere una finestra, perfetta per quell'occasione, ma un po' troppo alta.

Quando finalmente riuscì a raggiungerla le fu inevitabile pensare che, in fondo, quel campo di cheerleading al quale era stata costretta a partecipare l'estate precedente le era servito a qualcosa.

Sgattaiolò via giusto in tempo per sentire la porta chiudersi dalla parte opposta della roulotte ed ancora una volta assaporò quel senso di libertà che per troppo tempo le era stato negato. Perchè in fondo anche quella era una vittoria, magari non tanto importante, ma in grado di darle quella giusta dose di autostima, quell'immenso e bellissimo senso di indipendenza che una bambina di sei anni non dovrebbe e, soprattutto, non vorrebbe provare.

A quell'età si dovrebbe vivere alla continua ricerca di una protezione, di qualcuno intento a guardarti le spalle, a rialzarti ed a sorreggerti in seguito ad ogni caduta, durante l'avventurosa ed incerta scoperta del mondo.

Ma lei no.

Era ovvio.

Per forza di cose doveva essere così.

Perchè quelli che dovevano essere i suoi “angeli custodi” si erano trasformati in dei veri e proprio sicari, dei “succhia-anime” avrebbe azzardato, che, piuttosto che guidarla lungo un percorso di vita, l'avevano rinchiusa in una sorta di bolla trasparente. Una vera e propria macchinazione volta ad illuderla, a fare credere come realtà un qualcosa che era del tutto inconsistente.

Infinite volte si era chiesta il perchè di tanta premura.

Mai aveva trovato risposta. Ed in quell'esatto istante decise che non ne avrebbe più cercata una.

Ridestatasi dai suoi pensieri si rese conto che sarebbe stata una buona idea allontanarsi da quel posto tanto compromettente, non arrivando a pensare, paradossalmente, che, all'aria aperta, ogni luogo potesse esserlo.

Si riempì i polmoni d'aria, godendosi la tiepida brezza che le accarezzava la pelle e le scompigliava i capelli, facendo scaturire sul suo visino un timido sorriso.

Ma non poteva cullarsi sugli allori oppure tutti gli sforzi fatti per evitare di essere scoperta sarebbero stati vani. Dunque si guardò intorno con fare circospetto... almeno per avere un'idea approssimativa dello spazio circostante: il tendone era decisamente distante da lei ed, a giudicare dal luccichio delle luci colorate e dall'inconfondibile musica, l'ultimo spettacolo della giornata doveva essere in corso proprio in quel momento.

Probabilmente proprio in seguito allo spettacolo serale i bambini le avrebbero portato la cena e le avrebbero raccontato tutte le vicende più rilevanti. Grazie a quei racconti riusciva, in qualche modo, ad immaginarsi al loro fianco durante tutti gli avvenimenti, riuscendo a provare persino le loro stesse emozioni. Ed in cuor suo sperava che, un giorno, avrebbe partecipato anche lei ad una di quelle avventure.

Solo allora realizzò che, quando sarebbero andati a consegnarle il suo pasto, non l'avrebbero trovata.

Velocemente cercò di farsi venire in mente qualcosa, ma l'unica idea era quelle di avvicinarsi al tendone, evitando, in un modo o nell'altro, di farsi vedere e sperare di riuscire a parlare almeno con uno dei suoi nuovi amici, preferibilmente con Santana.

Lei avrebbe saputo sicuramente cosa fare ed, in men che non si dica, le avrebbe trovato un nuovo nascondiglio. Perchè la cosa peggiore, al momento, non era saltare la cena, ma che non avesse un posto dove stare e l'idea di dormire all'aperto non era per nulla allettante.

Cercò di non farsi scoraggiare da quei pensieri, ma di essere ottimista: presto avrebbe trovato Santana ed insieme avrebbero deciso cosa fare, come se non ci fosse mai stato alcun problema.

Le sue esili gambine si muovevano, diminuendo lentamente la sua distanza da tutto lo sfarzo che poteva comportare uno spettacolo circense. E si muoveva nel buio perchè l'unica luce della quale quella zona disponeva era quella lunare, eccezion fatta per gli sporadici riflessi lunari delle luci colorate che, per altro, lei cercava di evitare in ogni modo.

Con incertezza continuava la sua avanzata, barcollando, di tanto in tanto, dinanzi a qualche piccola depressione nel terreno. Era, infatti, inciampata almeno un paio di volte, ma altrettante volte aveva trovato un giusto sostegno nelle varie strutture poste nella zona in cui si trovava.

Non si era minimamente curata di ciò che quelle strutture potessero contenere: probabilmente l'adrenalina che era in circolo nel suo corpo aveva fatto particolarmente effetto. Ciò che, però, era impossibile ignorare era l'odore decisamente poco gradevole presente nell'aria.

Anche volendo, Lucy non avrebbe saputo distinguere quell'accozzaglia di odori, né tantomeno avrebbe saputo giudicarne la provenienza. Sembravano infestare completamente la zona. Era come se quell'olezzo non fosse causato da una sola e distinta fonte.

Di conseguenza il suo naso, abituato a percepire esclusivamente essenze ben più raffinate, iniziò a pizzicare, infastidito da quell'aria così aspra e pungente.

Più camminava, più andava avanti, tanto più quell'odore nauseante diventava insopportabile, a tal punto che decise di tapparsi le narici e respirare con la bocca, sperando di alleviare quel fastidio.

Aveva sentito una puzza simile solo quando aveva visitato il maneggio degli Sheffield: per mesi aveva insistito affinché suo padre le comprasse un pony e caso volle che il signor Sheffield, uno dei clienti di suo padre, fosse proprietario di un piccolo maneggio; l'uomo, venuto a conoscenza dell'insistenza della bambina, aveva deciso di soddisfare almeno in parte quella richiesta, ospitando l'intera famiglia Fabray per un weekend.

La biondina aveva passato l'intero fine settimana a cavallo di un adorabile, piccolo pony che sembrava ricambiare l'affetto dimostratogli da quella piccola ospite. Per due interi giorni avevano vissuto in simbiosi e Lucy aveva scoperto di amare la natura in tutte le sue sfaccettature.

Il lunedì mattina Russell Fabray lasciò il maneggio con in tasca un contratto firmato da Steven Sheffield e Lucy non andò mai più a cavallo.

Gli odori così forti sentiti in quel weekend, per quanto sgradevoli per certi versi, non potevano neanche essere paragonati a ciò che al momento le impediva persino di respirare con il naso.

Chi va là?!” urlò qualcuno in quella che più che una domanda sembrava una vera e propria minaccia.

La piccola non riuscì a distinguere la figura, ma a giudicare da quanto distintamente avesse sentito quelle parole, l'uomo non doveva essere affatto lontano.

Il fiato le si spezzò in gola, gli occhi si spalancarono, le gambe ed il resto del corpo si rifiutarono di compiere un qualsiasi movimento, a dispetto di ciò che, invece, il cervello le diceva di fare.

Si ritrovò a sperare con tutta se stessa che quella voce non si riferisse a lei, che magari ci fosse qualcun altro nelle vicinanze, ma sapeva che era decisamente improbabile.

Corse.

Corse come non aveva mai fatto prima in vita sua.

Corse come aveva sempre sognato di fare, più veloce che poteva. Le sembrò quasi di volare e per qualche istante dimenticò addirittura che stava scappando da una possibile minaccia alla sua libertà.

A ricordarglielo ci pensò nuovamente quella voce: “Hey! Non puoi stare qui!”

Ma quell'avvertimento volò via e Lucy non diede alcun peso alle parole dell'uomo. Continuava a correre, estraniandosi da tutto il resto, come se si trovasse in una sorta di dimensione parallela nella quale l'unica cosa a cui pensare era il movimento frenetico e scomposto delle sue gambe.

Un correre talmente convulso ed irregolare che era difficile, se non impossibile, rendersi conto del percorso svolto e di quello da svolgere.

L'istinto le suggerì di voltarsi a guardare se avesse seminato o meno l'uomo, ma fu una mossa alquanto azzardata, troppo per una bambina che aveva corso poche volte durante la sua breve esistenza. Era come se, paradossalmente, le mancasse l'esperienza.

E cadde.

Come era ovvio, cadde.

Rimase a terra per alcuni, interminabili istanti, tramortita da quell'esperienza surreale più che dallo stesso impatto contro il suolo terroso.

Respirò lentamente ed il più silenziosamente possibile cercò di verificare i danni di quella caduta. Quando però poté udire, abbastanza chiaramente, dei passi avvicinarsi scattò in piedi, presa dal panico... O almeno credette si trattasse di panico, perchè quello che provò un secondo più tardi era molto più che semplice paura: trovarsi a poco più di 20 cm dalla faccia di un leone non fu panico, fu un vero e proprio trauma.

Mandò al diavolo tutti i suoi propositi di muoversi e spostarsi in relativo silenzio e lanciò un urlo a dir poco agghiacciante.

Presa com'era da quella situazione non badò neanche ai veloci passi che si facevano sempre più vicini. A malapena sentì le mani che la avvolgevano ed allontanavano di qualche metro dalla “gabbia incriminata”. Probabilmente si rese conto di essere stata spostata solo nel momento in cui si ritrovò faccia a faccia con colui dal quale stava scappando.

Lo guardò con attenzione e quei ricci tenuti a bada da una dose eccessiva di gel le suggerirono che non c'era poi molto per cui spaventarsi.

“Non dovresti essere qui!” ripetè quello che, ora, poteva giudicare a tutti gli effetti come un ragazzo. Il tono di voce era piuttosto duro, ma compresa la paura della piccola la sua espressione si addolcì, così come il suo tono: “Hai avuto paura, vero?”

Lucy non se la sentì di parlare e con un pizzico di indecisione si limitò ad annuire.

“Grace è nata poche settimane fa... E' ancora piccola e vuole giocare. Non voleva farti del male.” le spiegò con un amorevole sorriso, nella speranza di tranquillizzarla, “ora, però, mi spieghi come mai sei qui?”

La bambina, però, non sembrava del tutto convinta. Era evidente che, per quanto volesse rispondere, qualcosa glielo impediva. E dunque decise di iniziare da capo, facendole delle semplici domande, per metterla, in un certo senso, più a suo agio: “Eri allo spettacolo con i tuoi genitori?”

Ancora una volta Lucy ebbe timore di parlare, come se anche solo il far ascoltare la sua voce potesse in quale modo comprometterla, ma dopo aver scosso la testa decise di sillabare un flebile: “No...”

“Da quanto tempo sei qui?” chiese sempre più confuso il ragazzo. C'era qualcosa di familiare in quella piccola bambina bionda. Qualcosa gli diceva che aveva già visto quel visino spaurito.

“...Da un po'.” rispose dopo diversi attimi di esitazione, decidendo che sì, poteva fidarsi di quel tizio.

“I tuoi genitori sanno che sei qui?” le porse quella domanda, sorprendendosi lui stesso del suo sesto senso.

E, di fatti, questa volta, la bambina non esitò a rispondere, ma al contrario si affrettò a parlare: “No! Loro non lo devono sapere... E' per questo che sono qui!” tentò si spiegargli le sue motivazioni il più frettolosamente possibile, ma si rese conto che quelle poche informazioni non potevano bastare affinchè non decidesse di riportarla a casa, “Io voglio solo essere una bambina!”

Quelle parole fecero l'effetto desiderato: Will si chiese come potesse, una bambina così piccola, parlare in quel modo e capì quell'implicita e disperata richiesta.

“Dov'è casa tua?” continuò dopo qualche attimo.

“Vengo da Lima, Ohio... Ma quella non è casa mia!” si impose prepotentemente la piccola, alzando un po' il tono della voce, che fino a quel momento aveva mantenuto basso, quasi impercettibile.

Lima. Ohio.

Il giovane uomo scorse velocemente il calendario degli spettacolo e ad un tratto sbarrò gli occhi, improvvisamente consapevole: “Sei qui da due settimane?”

Il tono con il quale aveva posto la domanda aveva, però, spaventato la piccola. Era shockato e Lucy ne ebbe quasi paura, per questo preferì non rispondere, anche se, mai come in quell'occasione, il suo silenzio acconsentiva in maniera quasi imbarazzante.

“Sei quella bambina, giusto?” tentò di chiederle più gentilmente, salvo poi rendersi conto che se effettivamente era lì da due settimane non aveva avuto modo di rendersi conto di quanto la stessero cercando, “Sei Lucy?”

Quella domanda lasciò quantomai interdetta la piccola Fabray. Come faceva quello sconosciuto a conoscere il suo nome? Lo guardò con attenzione e poi annuì piano, tornando al suo stato di silenzio.

Il giovane sentiva chiaramente gli occhi della bambina puntati su di lui e non riuscì a non ricambiare lo sguardo. In quegli occhi, nonostante non riuscì a capirne il colore, poteva scorgere un mare di emozioni: paura, disperazione, sconforto, ma soprattutto speranza.

E Will decise di non tradire quelle aspettative.

“Sono sicuro che tu e Grace diventerete grandi amiche!”

 

 

 

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