A modo mio di Yukino (/viewuser.php?uid=2549)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 3: *** epilogo ***
Capitolo 1 *** Capitolo primo ***
AUTORE: Yukino
TITOLO: A modo mio
FANDOM:RPF My Chemical Romance
CANZONE SCELTA: Piazza Grande
GENERE: Introspettivo/Romantico (Niente drammatico notate?Sono fiera di
me!)
RATING: Giallo
AVVERTIMENTI: Slash, AU, Gerard che parla. No davvero, parla davvero
TANTO, praticamente non fa altro, quindi è DAVVERO un avvertimento.
NOTE: Sono due capitoli più epilogo, tutto già scritto, quindi non
preoccupatevi, tempo una settimana e avrete tutto. Questa fic partecipa
al contest di Parsifal in omaggio a Lucio Dalla, come vedete la canzone
scelta è Piazza Grande e allo stato attuale delle cose non ho ancora
idea di che posizione occuperò. La canzone che canta a un certo punto
Gee è The end, dei My Chem. Oh beh, la riconoscerete tutti suppongo, ma
non si sa mai XD.
A MODO MIO
CAPITOLO PRIMO
Santi che pagano il mio pranzo non ce n'è
sulle panchine in Piazza Grande,
ma quando ho fame di mercanti come me qui non ce n'è.
Dormo sull'erba e ho molti amici intorno a me,
gli innamorati in Piazza Grande,
dei loro guai dei loro amori tutto so, sbagliati e no.
A modo mio avrei bisogno di carezze anch'io.
A modo mio avrei bisogno di sognare anch'io.
Era un azzurro così limpido e intenso che Frank avrebbe davvero voluto
racchiuderlo in una scatola, per poi tirarlo fuori nelle giornate di
pioggia, guardarlo e ricordarsi che esistevano ancora cose del genere.
Un cielo tanto azzurro da far male agli occhi, un sole che accarezzava
dolcemente i contorni delle case e dei palazzi, la musica che si alzava
lenta e dolce nell’aria.
Era la musica che l’aveva così colpito inizialmente, spingendolo a
svoltare in un quel vicolo stretto, seguendolo fino a che non si
ritrovò in una piazza che ancora non aveva visitato. Era convinto di
aver visto ogni angolo di quella città, la città che sarebbe stata la
sua casa per un tempo indefinito, quello che gli ci si sarebbe voluto
per stancarsi e trasferirsi da un’altra parte, probabilmente.
E ora che finalmente aveva trovato quella piazzetta suggestiva, piena
di palazzi d’epoca che si affacciavano in un grande spazzo, nel mezzo
del quale capeggiava una fontana, si ritrovava a guardarsi attorno
curioso, cercandone la provenienza.
La piazza non era deserta, tutt’altro. Poteva sentire il
chiacchiericcio dei ragazzi che si stendevano al sole, nello spiazzo
erboso che circondava la fontana, il gorgoglio dell’acqua accompagnava
il rumore delle risate e la musica faceva da sfondo a un quadro
decisamente rilassante e piacevole.
Non faceva per lui tutta quella quiete, tuttavia non poté fare a meno
di pensare che forse invece era proprio quello di cui aveva bisogno,
quello che cercava rifugiandosi così lontano da casa, dall’altra parte
dell’America, in una città totalmente all’opposto di quella in cui era
cresciuto. Se fosse stato un po’ più appassionato d’arte e di
architettura probabilmente avrebbe adorato infilarsi in ogni anfratto,
curiosando dentro ogni chiesa ed entrando in ogni palazzo. Non che non
lo facesse ugualmente, ma a lui più che l’arte interessavano le
persone. Qui ne aveva incontrate davvero poche, ancora, ma non poteva
fare a meno di notare come il loro modo di vivere fosse diverso da
quello a cui era abituato, come affrontavano gli stessi problemi con
una mentalità totalmente differente. Era affascinante studiare le
persone, Frank ci si era sempre perso dietro. Per quello gli
interessava tanto capire chi stesse suonando. Si avvicinò lentamente al
palazzo da cui gli sembrava provenisse il suono e lo vide. Era seduto
sugli scalini di pietra, gambe incrociate, chitarra appoggiata con
noncuranza sopra di esse, jeans e maglietta nera, logori e stracciati
entrambi. Non fu certamente quello a colpirlo, tuttavia. I capelli neri
scivolavano davanti agli occhi, in un onda scura che celava il viso, la
testa chinata per seguire gli accordi. Un grosso cane, probabilmente un
incrocio con un lupo e chissà che altro, alzò la testa non appena lo
sentì arrivare, e fu in quel momento che il ragazzo alzò il viso. Non
era la bellezza in sé; era il modo in cui lo sguardo si posò su di lui,
quasi volesse divorare l’intera sua figura e poi arrivato alla carne
volesse passare all’anima. Erano le labbra sottili ma piegate in un
sorriso gentile e un po’ storto, era il naso da folletto che arricciò
quando il sole gli finì contro gli occhi, era la pelle pallida che
contrastava così magnificamente con il nero che lo circondava. Era il
modo in cui iniziò a cantare quando lo vide.
Iniziò lentamente, quasi sussurrando le parole, vivendole in un modo
che non aveva mai sentito o visto, con tutto il viso, con tutto il
corpo.
Adesso venga uno, vengano tutti, a questa tragica vicenda
strofinatevi il volto per eliminare il trucco, il peccato è risparmiare
quindi infilate in fretta quel vestito nero, mischiatevi alla folla
potreste svegliarvi e notare che siete qualcuno che in realtà non siete
se guardate nello specchio e non vi piace quel che vedete,
potrete trovare la nostra prima mano, quello che sembra essere me
quindi, signore, radunatevi e baciate questo addio e
incoraggiate quei sorrisi, e poi dividetevi, potrete volare
Era come se una mano gli stesse stritolando lo stomaco, era come se
quel ragazzo avesse preso la sua fottuta vita, tutto quello che
sentiva, tutto quello che provava di notte, stretto nel suo letto
aspettando la pace che solo il sonno poteva dargli, e glielo stesse
gettando addosso.
Un'altra contusione, la traccia audio del mio funerale, ha la
mia dimissione
un'immensa mancanza, voi avete conservato delle file di sedie frontali
a quei penitenti, quando cresco non voglio essere proprio niente.
Non conosceva le parole o la melodia, ed era effettivamente stranissimo
considerato tutto, ma in quel momento non ci fece caso. Era occupato a
farsi trascinare via dalla voce alta e pulita, che scendeva di tono per
diventare un gemito suggestivo e poi si alzava, sottolineando parole e
dando profondità alla canzone.
Si, si si, ho detto si, avanti
metti la tua mano nella mia, dimmi che tu, dimmi che un giorno,
se riesci a sentirmi, semplicemente camminerai via.
Quando cominciò quello che doveva essere il ritornello, crebbe di tono,
diventando alta e intensa, quasi gridando, facendogli venire l’assurda
voglia di correre da lui e farlo, afferrargli la mano e semplicemente
urlare, piangere, ridere, lasciare andare tutto.
Rimase immobile quando la melodia finì e il ragazzo posò la mano sulle
corde, fermando la loro vibrazione e limitandosi a guardarlo.
Fu il cane che ruppe quello strano intreccio di sguardi, correndo verso
Frank scodinzolando allegro, guardandolo con occhioni speranzosi.
Frank si riscosse e passò una mano sul pelo morbido, sorridendo quando
l’animale posò le sue zampe sul suo petto, letteralmente saltandogli
addosso per avere più coccole.
Quando alzò lo sguardo sul ragazzo, si accorse che stava sorridendo.
Era un sorriso che gli illuminava gli occhi, riempiendo le guance tonde
di fossette e storcendo lievemente la bocca. Non riuscì a non trovarlo
dannatamente adorabile.
-Come si chiama?- chiese Frank, avvicinandosi al ragazzo e sedendosi al
suo fianco. Non aveva niente da fare dopo tutto, in più per sua stessa
ammissione gli piacevano le persone, quindi perché no?
Il ragazzo alzò le spalle, ancora col sorriso sulle labbra.
-Non so, non sono mai riuscito a deciderlo, così ogni giorno lo chiamo
in modo diverso, cercando di capire quale nome gli piace di più.-
Frank alzò un sopracciglio, questo era il discorso più strano e
ridicolo che avesse mai sentito.
-Sai che è una cosa assurda vero?- lo informò ad ogni buon conto, sia
mai che il ragazzo ritenesse normale fare una cosa del genere.
L’aveva detto con una tale tranquillità che pareva pensarlo.
L’altro si mise a ridere, guardando il cane e accarezzandogli la testa.
-Tranquillo ne sono consapevole.- rispose, guardandolo poi di
sottecchi, gli occhi verdi appena visibili da sotto la cortina di
capelli nerissimi.
-Devo chiamare anche te con un nome diverso ogni giorno?- aggiunse poi,
sorridendo come se il pensiero in realtà lo divertisse enormemente.
Frank restituì il sorriso, ritrovandosi a rilassarsi davvero per la
prima volta da che il suo viaggio era partito.
-No, sono Frank.- lo informò, osservando incantato il movimento delle
mani pallide e sottili del ragazzo, come si mossero veloci e aggraziate
ad aggiustare una ciocca vagabonda dietro l’orecchio, spostando poi
l’attenzione all’espressione felice che assunse il suo viso quando fu a
conoscenza del suo nome.
-Sono felice che alla fine tu abbia deciso di dirmelo, sai. È
divertente quel gioco ma non funziona così bene con gli esseri umani.
Sono Gerard comunque- commentò il ragazzo, posando con attenzione la
chitarra fra loro e allungandosi un po’ al sole.
-Stai insinuando che io sono meno intelligente di un cane?- osservò
Frank, un sorrisetto divertito in volto. Era consapevole che quel
dialogo era vagamente surreale, non tanto per il contenuto in sé,
quanto più per le modalità del loro incontro e la tranquillità con cui
si erano messi a parlare. Ma, invece di spaventarlo, tutto questo gli
dava un vago senso di calore.
Gerard rise di nuovo, sembrava che il suo viso fosse fatto per quello.
Quando cantava era espressivo e faceva venire i brividi per le cose che
riuscivi a immaginare solo guardandolo in faccia, ma quando rideva era
come se tutto il suo viso si accendesse di una luce che veniva da
dentro, come accendere una candela dentro una casa fatta di vetro
colorato.
-No non tu, gli esseri umani in generale…- commentò, fiero della
soluzione che aveva trovato.
-Quindi io sarei meno intelligente di un cane non in quanto io ma in
quanto appartenente alla razza umana?- si accertò Frank, fece una
piccola pausa d’effetto, poi si stese sui gradini dietro di sé, come
aveva fatto Gerard.
-Non so se questo dovrebbe consolarmi o cosa. Suppongo che tu sia salvo
dal fatto che io amo fottutamente i cani- terminò, allungando una mano
per accarezzare l’animale come a sottolineare le sue parole.
-Sono onorato di essere scampato a morte dolorosamente dolorosa allora.
Comunque oggi si chiama Anakin- replicò Gerard, ridendo apertamente
quando Frank rotolò sul fianco per osservare la pancia del cane e poi
lo guardò scandalizzato.
-Ma è una femmina!- esclamò, allargando le braccia per sottolineare il
concetto.
-Tu sei troppo legato alle forme e alle convenzioni umane, giovane
Padawan- rispose Gerard, sventolando una mano per ribadire come fosse
senza importanza quello che aveva detto l’altro.
Frank ci rinunciò.
-Ti piace Star Wars- commentò, sperando finalmente di poter avere una
conversazione che fosse in grado di seguire senza che gli venisse il
mal di testa.
Vide lo sguardo di Gerard illuminarsi e sorrise internamente.
Dopo mezz’ora in cui il ragazzo aveva parlato ininterrottamente della
Saga Cult Per Eccellenza E Chi Non L’aveva Vista Era Uno Sfigato, Frank
aveva imparato tre cose su Gerard.
La prima era che quel ragazzo era davvero logorroico, quando cominciava
a parlare di qualcosa che gli piaceva poteva continuare ad oltranza.
La seconda era che in ogni caso tentare di dare un senso logico ai suoi
discorsi era davvero pura fantascienza.
La terza era che avrebbe ucciso pur di continuare a vedere il suo
sguardo illuminarsi in quel modo, l’espressione così entusiasta e il
sorriso così ampio e sincero.
-Vivi qui?- domando Frank, approfittando di una pausa sorprendentemente
lunga in cui Gerard si stava accendendo una sigaretta.
Lui annuì, osservando con sguardo vago e affettuoso la piazza, gli
studenti che affollavano ancora il luogo, alcuni si tenevano per mano,
altri approfittavano degli angoli bui per fare molto più che tenersi
per mano.
-Ormai sono loro i miei amici- disse all’improvviso, rompendo un
silenzio che si protraeva da alcuni minuti.
-Li conosco uno per uno, li vedo sempre. A volte si siedono vicino a me
e cantiamo assieme, o dipingo per loro qualunque cosa mi chiedano. Ho
perso il conto di quanti compiti d’arte ho fatto.-
Rise, seguito da Frank. C’era qualcosa di magico in lui, con il suo
entusiasmo quasi infantile e la profondità che dimostrava quando
cantava.
-Ma davvero vivi qui? Voglio dire…- si interruppe, incerto a proposito
delle parole da usare per non essere indelicato. Lui non era bravo con
le parole, nella sua mente filava sempre tutto liscio ma poi,
puntualmente, quando parlava faceva ogni volta qualche disastro,
finendo per attorcigliarle e farle sembrare orribili.
Gerard lo salvò.
-Se sono una specie di barbone?- chiese, divertito. Frank annuì,
imbarazzato.
-Non devi aver paura di dire le cose Frank.- si strinse nelle spalle,
non sembrava offeso ad ogni modo.
-So che non vuoi offendermi. Sentiti libero di parlare come credi con
me, davvero. Odio quando la gente prende mille giri di parole per dire
una cosa così semplice.-
Frank si mise a sedere, accendendosi una sigaretta e afferrando la
chitarra vicino a lui.
-Quindi sei un fottuto barbone o no cazzo?- disse allora, ghignando
quando Gerard scoppiò a ridere, senza riprendersi la chitarra,
limitandosi a osservarlo curioso.
-Si potrebbe dire così, sì.- rispose poi, sibilino.
-E in che altro modo si potrebbe dire?- chiese ancora Frank,
cominciando ad arpeggiare delicatamente note a caso.
-In realtà ho una specie di appartamento. Un monolocale. Ok una stanza.
Ma mi limito a usarla quando le notti sono troppo fredde, piove o fa
freddo. La maggior parte del tempo la passo qui.- accennò con il mento
la custodia della chitarra aperta ai suoi piedi, con alcuni spiccioli
gettati dentro.
-E arrivi a comprarti da mangiare e pagare l’affitto?- chiese,
scettico. Sapeva che era quantomeno scortese riempirlo così di domande,
per quanto Gerard non si mostrasse seccato o infastidito. Ma non
riusciva a fermarsi. Era così distante dal modo che aveva lui di
vivere, sembrava così dannatamente libero da tutto, sereno, perfino
felice della vita che conduceva. Non riusciva a ricordare l’ultima
volta che si era sentito in questo modo.
-Non sempre- rispose Gerard, alzando le spalle.
-Alcune volte faccio qualche lavoretto qui e la, sono bravo a sistemare
le cose, decoro case, cose così. Una volta una tipa un po’ sciroccata
mi ha pagato una follia per affrescarle tutta la casa. È stata la cosa
più bella che io abbia mai fatto, penso che quella casa sia stato il
mio capolavoro.-
Si perse a descrivergli minuziosamente tutte le pareti della casa, i
colori che aveva usato, la differenza tra una pittura a muro e un
affresco, l’effetto finale. Frank si perdeva nelle sue parole,
nell’entusiasmo che aveva mentre gliene parlava e nel modo in cui
gesticolava per sottolineare i concetti e accompagnare le descrizioni.
Sarebbe rimasto ad ascoltarlo in eterno.
-È come se tutto questo fosse una risposta a tutto quello che ho sempre
implorato nei momenti peggiori della mia vita. So che è strano, ma ho
imparato che la felicità si nasconde nei posti più impensati-
Gerard sorrise, abbassando la testa e continuando a parlare piano,
sottovoce, quasi gli stesse confidando un segreto.
-Non nego che a volte mi manca la mia vecchia vita. Mi mancano le
puttanate di mio fratello, le uscite con gli amici, non dovermi
preoccupare ossessivamente delle condizioni atmosferiche.- rise
leggermente, seguito da Frank, che ascoltava attentamente.
-La cosa che mi manca di più sono le carezze di mia madre. Sai quando
hai avuto una giornata di merda e non parli con nessuno, convinto che
tanto nessuno ti capirà e tutta questa roba da adolescenti emo?-
aspettò che Frank annuisse prima di continuare. Oh se lo sapeva bene.
-E poi tua madre entra in camera e ti accarezza. Fa solo questo, ma tu
capisci che non è vero che sei solo, che non sei riuscito ad ingannarla
nemmeno per un istante e che, a modo tuo, avevi un dannato bisogno di
quella carezza.- Frank distolse lo sguardo, deglutendo a fatica.
Sembrava che Gerard sapesse esattamente cosa stava provando, perché era
così lontano da casa, che cosa stava domandando alla vita. Sembrava che
stesse cercando di rispondergli, a modo suo.
Il ragazzo allungò una mano, posandola sulla sua nuca. Frank sobbalzò,
non se l’aspettava. La pelle era fresca e il contatto così rassicurante
e benefico che avrebbe voluto mettersi a piangere.
-Tutti, a modo loro, hanno bisogno di quella carezza. Tutti hanno
bisogno di sognare un po’. Si tratta solo di capire dove si nasconde
quel sogno. Si tratta solo di trovare quella carezza.-
Frank si morse il labbro. Perché faceva così dannatamente male?
La mano continuava a massaggiargli la nuca ed era l’unica cosa che
riusciva a impedirgli di piangere.
-E quando hai trovato entrambi?- sussurrò.
La risposta arrivò immediata:
-Saresti un pazzo a lasciarteli scappare.-
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Capitolo 2 *** Capitolo secondo ***
CAPITOLO SECONDO
Una famiglia vera e propria non ce l'ho
e la mia casa è Piazza Grande,
a chi mi crede prendo amore e amore do, quanto ne ho.
Con me di donne generose non ce n'è,
rubo l'amore in Piazza Grande,
e meno male che briganti come me qui non ce n'è.
A modo mio avrei bisogno di carezze anch'io.
Avrei bisogno di pregare Dio.
Ma la mia vita non la cambierò mai mai,
a modo mio quel che sono l'ho voluto io
Era stata una settimana strana per Frank. Aveva passato tutti i giorni,
ogni ora disponibile, e dato che era tecnicamente in vacanza
erano decisamente molte, con Gerard. Era strano come
stare con lui azzerasse tutte le sue preoccupazioni. C’erano, erano
sempre lì in una parte della sua testa, ma guardarlo dipingere,
sentirlo cantare, riduceva tutto a non più che a grandezza naturale.
Quando stava con lui, semplicemente vicino a lui parlando di tutto
quello che passava nelle loro teste, sembrava tutto così fottutamente
stupido.
Affrontabile.
I momenti che preferiva erano quando lui suonava la chitarra e Gerard
cantava. Frank adorava suonare, lo faceva fin da quando era piccolino e
suo padre gli aveva messo una chitarra fra le mani. Era la sua vita si
potrebbe dire, e parte del motivo per cui aveva intrapreso quel viaggio
attraverso l’America. Quindi lui suonava, e lo faceva decisamente
meglio di Gerard, e l’amico cantava. Ecco, era precisamente quello il
momento in cui si sentiva in grado di prendere in mano la sua vita e
spaccare il mondo. Quando Gerard seguiva la melodia che lui sentiva in
testa e tirava fuori frasi, parole, concetti, che gli si incuneavano
dentro con la potenza di un colpo di pistola.
Nessuno dei due aveva parlato chiaramente del motivo per cui erano in
quella città, in quella piazza. Del motivo che aveva spinto Gerard a
lasciare tutto e vivere così e del motivo che spingeva Frank da lui.
Forse perché Frank sentiva che quello sarebbe stato portare il loro
rapporto a un livello superiore, qualcosa che non era sicuro di volere.
Gerard era la persona più dannatamente libera che
avesse mai incontrato, non si legava a nessuno, nessun luogo avrebbe
potuto contenerlo.
Era il vento e per quanto afferrarlo fra le mani potesse essere la cosa
più bella della sua vita, Frank era cosciente del fatto che sarebbe
potuta essere anche la più dolorosa.
Tuttavia era innegabile che in quel momento fosse l’unica persona che
avrebbe voluto avere vicino, l’unica persona che, lentamente, gli stava
mostrando una via che lui avrebbe potuto percorrere.
Era grazie alla tranquillità che gli aveva finalmente donato Gerard che
quel pomeriggio non era andato alla solita piazza, decidendo invece di
chiamare sua madre. Non la chiamava da settimane ed era consapevole che
era stato una merda ad andarsene in questo modo, anche se in realtà
sentiva di non avere alternative.
Per questo quando si diresse verso la piazza era piuttosto tardi, quasi
notte in effetti. Si chiese se oggi Gerard avesse mangiato, perché lui
di solito era così preso da quello che stava facendo da dimenticarsene.
Era sempre lui che lo trascinava verso qualche chiosco di hot dog o lo
convinceva a farsi offrire una pizza. Spesso aveva il dubbio che
dicesse di non avere fame perché in realtà quel giorno non aveva
raccolto abbastanza soldi; allora si alzava sbuffando, andava a
comprare qualcosa e glielo porgeva insultandolo. Il sorriso che Gerard
gli rivolgeva come ringraziamento lo faceva immancabilmente
aggrovigliare dentro. Questo amava di lui. Era orgoglioso e non avrebbe
mai chiesto aiuto, ma quando glielo porgevi lo accettava con un sorriso
grato. Era qualcosa che lui faceva una dannata fatica a fare, accettare
l’aiuto gratuito della gente, e prima di incontrare Gerard era
seriamente convinto che farcela da soli era l’unico modo per essere poi
soddisfatti del risultato. Ora non ne era più così sicuro. Forse non
era una questione di farcela da soli, ma di sapere quali erano i propri
limiti e cercare di superarli con tutto l’aiuto possibile.
Affrettò il passo. Benché fosse primavera inoltrata quella mattina
aveva piovuto e la temperatura si era decisamente rinfrescata, quello
stupido era capace di estraniarsi del tutto e restare lì fino a notte
inoltrata, ammalandosi. Non voleva che si ammalasse, significherebbe
non vederlo più. Andare a casa sua non aveva lo stesso valore
apparentemente casuale che aveva quello di piombare nella sua piazza.
Dopotutto non era davvero sua, era suolo pubblico.
Quando svoltò l’angolo aggrottò la fronte vedendo che non era nel
solito posto. Strano. In una settimana di stretta frequentazione non
l’aveva mai visto in posti diversi, se non quando ce lo trascinava lui.
Però in realtà le sue cose erano lì. In effetti
quella mattina avevano fatto colazione assieme e Frank l’aveva aiutato
a montare il cavalletto e disporre le sue tele, che erano esattamente
nella stessa posizione.
Si avvicinò ai gradini e dovette puntellarsi sui piedi abbastanza forte
per non cadere sotto l’assalto nel cane di Gerard.
-Scarlet!- esclamò dopo un momento, quello che gli ci volle per
ricordare il nome che quel giorno Gerard le aveva dato.
Il cane però non sembrava in procinto di fargli le feste, tutt’altro.
Era nervoso ed agitato e continuava ad abbaiare. Fu allora che si
preoccupò.
-Dov’è Gerard, Scarlet?- il cane guaì al nome del padrone, girando in
tondo sul posto e guardandolo ansiosa.
-Portami da lui, bella, andiamo.-
Scarlet abbaiò ancora, voltandosi e sfrecciando dalla parte opposta.
Lo trovò sotto i portici, nascosto in un angolo, le gambe rannicchiate
al petto e la testa chinata. Si precipitò verso di lui,
inginocchiandosi di fronte e cercando di capire cosa fosse successo, se
potesse toccarlo o cosa.
-Gerard- chiamò piano, senza ottenere risposta.
-Gee, andiamo… cazzo amico, mi stai spaventando.- insistette,
scuotendolo delicatamente. Ancora nessuna risposta. Si decise ad
alzargli il viso per valutare effettivamente cosa poteva fare, scostò i
capelli dalla fronte e con l’altra mano gli alzò il mento. Cazzo era
una fottuta maschera di sangue.
Emise un suono soffocato, per un attimo il panico si impadronì di lui.
Cazzo sapeva che doveva succedere prima o poi. Dei bastardi, stronzi,
figli di puttana l’avevano ridotto piuttosto male. Il sangue usciva da
un taglio sul sopracciglio e dal naso, un occhio si stava chiudendo e
il labbro era spaccato. Porca puttana a trovarli li avrebbe uccisi.
-Frankie?- lo raggiunse un sussurro, strappandolo dai suoi pensieri di
morte. Non riuscì a trattenere un sospiro di sollievo.
-Gee, ce la fai ad alzarti? Quegli stronzi potrebbero tornare…- sibilò,
strisciando accanto a lui e abbassandosi ulteriormente per essere alla
sua altezza.
Gerard annuì con una smorfia, cogliendo il suggerimento e passandogli
un braccio dietro le spalle. Si strinse a lui quasi spasmodicamente
quando Frank si alzò. Gemette stringendosi lo stomaco col braccio
libero e Frank non imprecava come un maledetto marinaio solamente
perché Gerard tremava, stretto a lui, e non voleva spaventarlo.
-Abiti lontano?- chiese delicatamente, lanciando un occhiata
rassicurante a Scarlet che li guardava inquieta.
Gerard scosse la testa facendo un cenno verso sinistra e Frank si
incamminò.
Non era davvero preparato al calore che lo avvolse camminando con
Gerard stretto al suo fianco. Era una cosa che aveva provato raramente
nella sua vita, e mai così forte. La consapevolezza che c’era qualcuno
che si fidava ciecamente di lui, che sarebbe andato ovunque lui
l’avrebbe condotto senza fare domande, semplicemente perché sapeva che
l’unico desiderio di Frank era farlo star bene, e non l’aveva mai
deluso.
Era intossicante.
-Eccoci- sussurrò Gerard, si reggeva su di lui sempre di più, camminare
doveva essere diventato un vero supplizio ormai.
Il quartiere non era decisamente dei migliori e il palazzo era
fatiscente e vecchio. Almeno non c’era nessuno intorno, anche se
dubitava che in un quartiere del genere qualcuno si prendesse la briga
di fare domande.
Le scale erano decisamente cadenti e Frank aveva il terrore che Gerard
gli capitombolasse giù da un momento all’altro, costringendolo così a
portarlo in ospedale nonostante le sicure proteste.
-All’ultimo fottutissimo piano, cazzo- borbottò Frank, lanciando un
occhiata ad un sempre più affaticato Gerard.
-Tu ti lamenti- borbottò quest’ultimo, lasciando poi
andare un piccolo gemito di dolore.
Frank lo strinse più forte, rendendosi poi conto che forse non era la
cosa migliore da fare, non sapeva dove quei bastardi l’avevano colpito,
per quel che ne sapeva lui potevano pure avergli incrinato una costola.
-Scusa- mormorò, mordendosi il labbro e lasciando un po’ la presa.
-Cosa?- chiese Gerard, aggrottando le sopracciglia, osservando per un
attimo il braccio che Frank aveva lasciato scivolare via.
-Ti sto facendo male, io…-
Non riuscì a finire la frase, Gerard si appoggiò a lui nuovamente con
un sospiro morbido, mentre armeggiava per aprire la porta.
-Non dire cazzate Frank. Ti sembro il tipo che si fa scrupoli a
lamentarsi?- chiese con un sorriso che si tramutò poi in una smorfia
alla fitta di dolore che doveva avergli rimandato il labbro spaccato.
-Sì- rispose Frank, sincero e diretto come sempre.
-Mi sembri il tipo che si lamenta per le cazzate e non fiata sulle cose
importanti- concluse, guadagnandosi un debole pugno di protesta da
Gerard.
-Non dovresti essere tutto carino e curarmi dal mio dolore micidiale?
Pensa se un pezzo di costola si è staccata ed è finita nel sangue
raggiungendolo e uccidendomi. Ti pentiresti di sicuro di avermi parlato
così!- borbottò, ostentando un cipiglio offeso e decisamente adorabile.
Oh Dio, se Frank riusciva a trovarlo adorabile anche con la faccia
devastata e piena di sangue la situazione era decisamente grave.
Cazzo.
-Un pezzo di costola Gerard? Non ti sembra un
tantino inverosimile?-
Rispose sarcastico, cercando di trattenere le risate.
-Ridi ridi. Riderò io dall’aldilà quando tu piangerai disperato perché
le ultime parole che mi hai rivolto erano insulti- rispose altezzoso il
ragazzo, trascinando Frank verso il divano e sedendosi sopra con
attenzione.
-Sai che ti stai portando una sfiga colossale da solo vero? Ti stai
toccando?-
-È una proposta?- ritrose Gerard, punzecchiandogli il fianco col dito.
Frank si contorse, ridendo e arrossendo allo stesso tempo.
Beh volendo.
-Mi appello al quinto emendamento- rise Frank alzando le mani. Gerard
doveva stare decisamente meglio adesso per scherzare così con lui,
anche se era ancora pallido e ogni tanto si lasciava sfuggire una
smorfia o un piccolo mugolio di dolore.
-Fammi vedere bene- mormorò poi, smettendo di ridere e alzando
delicatamente i capelli dalla fronte di Gerard. Scarlet si era
accoccolata ai loro piedi e ora sembrava che anche lei stesse
trattenendo il respiro.
Non era la prima volta che toccava Gerard. Aveva perso il conto di
tutte le volte in cui si erano stretti per ripararsi dal fresco della
sera, o camminato così vicini da confondere i passi dell’altro. Però
ora era diverso, c’era una consapevolezza che bruciava l’aria attorno a
loro e li spingeva a trattenere il respiro. Non poteva ritirarsi,
sarebbe stato imbarazzante e ancora più strano. E poi non voleva.
Era da tempo immemore che non si sentiva così, con quest’euforia e
questo terrore dentro, emozioni così forti e violente da togliergli il
fiato. Aveva inseguito queste sensazioni per tutta l’America,
viaggiando senza tregua, cercando qualcosa che avrebbe potuto
risvegliarlo dal suo torpore, indicargli la via da seguire, fargli
capire cosa voleva davvero.
Ora l’unica cosa che voleva era continuare a sfiorare il viso di
Gerard; la fronte, piano; scivolare lungo la tempia, saggiare la
morbidezza della guancia; perdersi sulle labbra screpolate, premendo
appena il pollice, solo per sentire la sensazione che davano sotto le
dita. Evitò il taglio, sfiorandolo con una leggerezza che non credeva
di possedere e si arenò sull’angolo della bocca, alzando finalmente lo
sguardo.
Gli occhi di Gerard stavano bruciando la pelle pallida del viso, una
fiamma di un verde impressionante. Si incatenarono ai suoi e finalmente
il mondo acquistò un senso. Gli sembrava che l’unico modo per essere
felice fosse stare lì in eterno, immobile a guardarlo e a farsi
travolgere da tutto quello che provava per Gerard.
-Frankie- sussurrò lui, le labbra si mossero sotto la pelle delle sue
dita, facendolo rabbrividire. Le immaginava sul suo corpo, trascinarsi
sul torace per divorare la strada verso le sue cosce.
Si morse le labbra, costringendosi a staccare le dita e distogliere lo
sguardo. Non era giusto, non in questo momento, non quando Gerard era
ridotto in quel modo.
-Non hai nulla per medicarti?- chiese a fatica, il cuore era partito
per vincere la gara di Formula uno che stava ingaggiando col suo
respiro. Chissà se si poteva morire d’infarto a ventidue anni.
-Forse qualcosa in bagno- mormorò Gerard, con un tono… deluso?
Represse il desiderio di guardarlo per sincerarsene e si alzò dal
divano.
Prese un grosso respiro cercando di calmarsi e finalmente si guardò
attorno. Come immaginava era un’unica stanza che conteneva la cucina,
un divano minuscolo dove si erano seduti loro, e un letto dalla parte
opposta. Era piccola e le pareti erano scrostate, però erano piene di
tele e disegni, un universo di pazzi colori, violenti e luminosi,
intervallati da altri più cupi, scuri e macabri. Immaginava che in quei
disegni doveva esserci tutto il mondo di Gerard e che fermarsi a
guardarli doveva voler dire perdersi inevitabilmente in lui e in quello
che sentiva e provava, in quello che aveva passato e che amava.
Era così dannatamente facile perdersi in Gerard.
Il bagno era decisamente meno pittoresco, piccolo e sporco. Trovò una
cassetta rossa malandata e si affrettò a tornare da Gerard.
Non aveva cambiato posizione da quando si era alzato, aveva solo
appoggiato la testa sullo schienale e chiuso gli occhi. Sembrava
sfinito.
Si sedette nuovamente accanto a lui e si armò di cotone e acqua
ossigenata. Pulì le sue ferite in silenzio e delicatamente. Gerard non
si mosse di un millimetro nemmeno quando il cotone passò sulle ferite e
doveva bruciare parecchio dalle smorfie che faceva. Era come se
riponesse una fiducia sconfinata in lui, come se sapesse, con istinto
infallibile, che non gli avrebbe mai fatto del male se non fosse stato
strettamente necessario.
Era totalmente destabilizzante, totalmente distruttivo. Lo guardava e
aveva solo voglia di baciarlo fino a divorargli il viso, graffiargli la
pelle per incidergli tutto il devastante desiderio che provava e poi
baciare i segni che avrebbe lasciato per dimostrargli la devozione che
gli portava.
Gli sembrava di poter impazzire.
-Va tutto bene- sussurrò Gerard, facendo sussultare Frank.
-Non è vero- rispose Frank, impotente. Avrebbe voluto essere lì per
proteggerlo, per prendere a calci quei bastardi e impedire che
riducessero così Gerard. Avrebbe voluto cancellarli dalla faccia della
terra.
-Se fossi stato lì…- cominciò, subito interrotto da Gerard. Non aveva
ancora aperto gli occhi.
-Non sarebbe cambiato nulla. Erano in cinque Frank. Scarlet ne ha messo
uno fuori gioco e teneva l’altro occupato, ma ne restavano sempre tre.
Non avresti potuto fare nulla, avrebbero pestato anche te e poi sarebbe
stato peggio perché nessuno ci avrebbe curato.- finì scherzando e
quando aprì gli occhi Frank vide la gratitudine che provava e
qualcos’altro che ebbe paura di identificare.
-Io vorrei andare lì e ucciderli Gerard. Ucciderli davvero. Non so come
fai a stare qui tranquillo e rassicurare me quando sono io che dovrei
rassicurare te- disse veemente, stringendo il cotone e gettandolo
dall’altra parte della stanza.
-È solo che ho trovato il mio modo di vedere le cose Frank. Penso che
il segreto sia tutto lì. È come vedere il mondo attraverso un fondo di
bottiglia o vederlo attraverso un prisma. Hai mai provato a vedere
attraverso uno di quei cristalli?- Frank scosse la testa, incapace di
parlare. La rabbia gli stava ancora divorando la testa.
-Beh ecco, vedi tutto a frammenti, è stranissimo. A seconda di come la
luce colpisce il prisma tu vedi questi pezzetti di mondo, sempre
diversi, sempre colorati. Dipende tutto dalla luce. Capisci? È questo
che ho deciso di fare. Preferisco vedere il mondo da dietro un prisma
piuttosto che da dietro una bottiglia. Ha una luce incredibilmente
migliore. È il mio modo di vedere le cose, forse è sbagliato, ma mi
rende felice. Nessuno ha il diritto di venirti a dire niente se con
fatica trovi il modo di salvarti dalla merda che il mondo ti getta
addosso. È tutto lì Frank. Non so cosa ti sia successo, non so perché
hai quello sguardo perso, non so da cosa stai scappando, ma credimi.
Fottitene. Alla fine la felicità si nasconde nelle cose più impensate.-
Frank non lo guardava, era troppo doloroso adesso. Lui era così
appassionato e sincero, così dannatamente bello di
una bellezza che esulava da ogni canone estetico conosciuto. Come
faceva a stare di fronte a una persona così, una persona che era in
grado di dire cose simili e continuare a pensare a quanto fosse
miserevole e quanto bisogno avesse di scappare dalla sua vita?
Deglutì, abbassando la testa. Gerard si era interrotto e ora lo
guardava in silenzio. Faceva male, era come cauterizzare una ferita che
si era infettata, faceva male e bene allo stesso tempo ed era
maledettamente difficile costringersi a non piangere.
-Sto scappando dalla mia vita Gee.- sospirò, inghiottendo le lacrime e
arrendendosi. Si accoccolò al suo fianco, chiudendo gli occhi e
cercando di non pensare alla fitta di sollievo che lo avvolse quando
Gerard avvolse un braccio attorno alle sue spalle e lo tirò contro di
lui.
-A mio padre hanno diagnosticato la Sclerosi Multipla tre mesi fa. È da
allora che cerca di convincermi a prendere le redini della sua azienda.
Sto studiando economia all’università perché era quello che voleva lui,
perché la mia passione per la musica non doveva impedirmi di avere
dalla vita tutto quello che volevo. Solo che io non sono certo di voler
vivere come lui, di dirigere un azienda da miliardi, vivere nel lusso e
consumare la mia passione nel tempo libero.- si interruppe, prendendo
un grosso respiro. Era dannatamente liberatorio dirlo finalmente.
-Dovrei passare tutto il mio tempo con lui, cercare di capire come sarà
la sua qualità di vita, viverlo finché è ancora lucido e capace di
insegnarmi tutto quello che sa, accettare l’eredità che mi sta
lasciando. Invece ho una paura fottuta di quello che mi sta richiedendo
e sono arrabbiato con lui perché è ingiusto. È dannatamente ingiusto
che si sia ammalato e mi stia lasciando. Non mi ha mai obbligato a fare
niente, non a parole, ma è come se lo stesse facendo, no? Lui ha così
tanto da combattere, non è giusto che debba preoccuparsi anche di me. E
io vorrei solo non tornare mai a casa.-
Gerard si limitò a stringerlo forte, senza curarsi del male che
probabilmente sentiva. Frank non riusciva a capire come un abbraccio
potesse essere così dannatamente confortante, ma lo era. Gli dava la
sensazione di poter dire tutto quello che voleva, tutto quello che gli
si agitava dentro, tutta la merda che aveva pensato di se stesso, certo
del fatto che Gerard avrebbe continuato ad abbracciarlo e basta.
Quando parlò lo fece lentamente, come se stesse pensando attentamente
alle parole da dire.
-Sai…- iniziò, senza smettere di stringerlo. Era strano sentire le
vibrazioni della sua voce provenire dal petto.
-Quando è morta mia nonna è stato il giorno peggiore della mia vita.
C’era il sole, lo ricordo bene, e questa cosa mi aveva fatto incazzare
perché… beh non pensavo fosse giusto. Essere sepolti in una fottuta
giornata di primavera, la prima bella dopo un mese di pioggia e freddo.
Quando finì la funzione mi ero rifugiato in un angolo del cimitero e le
ho sentite parlare. Sai quelle cose che si dicono sempre a un funerale,
i soliti convenevoli. Era una persona tanto buona, tanto
pronta ad aiutare gli altri, così disponibile… ha avuto una vita così
dura e difficile.-
Si interruppe un attimo, Frank non fiatò. Non sapeva come questo poteva
rispondere ai suoi dubbi, ma era un pezzo della vita di Gerard e lui lo
beveva avidamente.
-E lì mi incazzai definitivamente. Capisci? Una
vita. Come se noi ne avessimo infinite altre da poter vivere, come se
morto una volta da sfigato morto di fame tu potessi rinascere, che so,
pascià! No cazzo. La vita è quella ed è stata dura
e difficile! Non ci sono altre fottutissime
occasioni-
Non aveva ancora terminato, Frank lo sapeva. Anche se ormai aveva
capito dove voleva andare a parare.
-È stato lì che ho cominciato a pensarci. A questa vita dico. Certo,
sento ancora mio fratello, a volte vado da loro, a volte loro vengono
da me… ma è come se ci fosse qualcosa di sbagliato, come se mi sentissi
costantemente fuori posto. Ed è la sensazione più orribile del mondo,
io l’ho provata da quando ho cominciato a pensare cose più complicate di
ho fame, voglio essere cambiato. Non è nemmeno il posto,
vedi, sono io. Sono io che lì sono diverso.-
Gerard sospirò, continuando a stringerlo. Era come se avesse paura che
una volta lasciato andare, tutta la magia che si era creata fra loro,
quell’attimo di perfetta condivisione, svanisse nel nulla.
-Non dico che sia facile. Pur nel mio strano modo di amare, anche io
alle volte sento che potrei uccidere per una carezza. Mi verrebbe la
tentazione di pregare Dio solo perché possa aiutarmi a cambiare un po’,
rendermi più facile da amare, rendermi una persona più gestibile.
Rendere meno complicato lo starmi accanto. So che sto facendo soffrire
la mia famiglia. So che si preoccupano ogni giorno e io ogni giorno
tento di cambiare, tento di dirmi che andrà bene lo stesso, che
riuscirò a non sentire la dannata voglia di bere fino al collasso se
tornerò a casa. Ma poi penso che è la mia unica occasione. Penso che la
mia cazzo di vita non la potrò mai cambiare, e anche se potessi non
vorrei. Ho creato quello che sono sulla sofferenza di troppe persone,
ho raggiunto una felicità fragile e delicata sulla pelle di tutti
quelli che mi vogliono bene. A loro devo almeno un po’ di onestà verso
me stesso. Quello che sono l’ho voluto io, l’ho creato e solo adesso ho
imparato ad amarlo un po’. Anche se nel mio strano modo.-
Frank non rispose. Era un discorso che non aveva davvero bisogno di una
risposta d’altronde. Non era diverso da tutto quello che gli avevano
detto i suoi amici, ma era diversa la passione che ci aveva messo
Gerard nel dirlo. Lui non si limitava a credere in quello che diceva,
lui l’aveva vissuto sulla sua pelle. Rendeva tutto più… grande, in un
certo senso. Forse più vero.
-Devo trovare il modo in cui voglio essere. E ‘fanculo tutti gli altri-
Commentò ridacchiando. Era da cazzoni, lo sapeva, ma sentiva il bisogno
di alleggerire un po’ l’atmosfera, era diventata così densa da poterla
afferrare, se solo avesse allungato la mano.
- Perché tu hai detto in venti parole quello che io ho detto in cento?-
rise Gerard, per nulla offeso.
-Perché tu ami parlare. Penso che tu potresti fare un poema solo
descrivendo una margherita, partendo dalla creazione dell’ape che ha
impollinato sua madre.-
Gli arrivò uno schiaffo leggero sulla nuca, che lui accetto ridendo.
Era bello stare con lui, era rilassante e denso di emozioni allo stesso
tempo. Non pensava di essere in grado di rinunciarci. Se doveva essere
onesto il pensiero gli faceva una dannata paura.
-Parlando di cogliere l’attimo…- borbottò, alzando la testa in tempo
per vedere l’espressione confusa sul volto di Gerard.
-Io non ho parlato di cogliere…-
Finì la frase fra le labbra di Frank, si erano schiantate sulle sue con
una veemenza che parlava della disperazione che aveva provato e che in
parte provava ancora.
Poi tutto si annullò. C’era solo la morbidezza delle sue labbra, il
modo in cui Gerard gemette appena lui prese il labbro inferiore fra i
denti tirando un po’, l’irruenza che ci misero entrambi nell’aprire la
bocca e lasciare finalmente che le loro lingue si toccassero.
Si stavano divorando a vicenda, gemendo nel bacio e spingendosi sempre
più contro l’altro. Frank strinse con foga la maglietta di Gerard,
incastrando le dita nella stoffa, strattonandolo verso di sé. Non
doveva finire mai, non avrebbe dovuto finire mai perché era la cosa più
devastante che avesse mai provato.
-Vedo che hai fatto tesoro delle mie parole- sussurrò poi Gerard,
appoggiando la fronte contro la sua e sorridendo affannato.
Frank ghignò, tirandosi poi improvvisamente indietro quando si rese
conto che il labbro era gonfio e usciva del sangue dal taglio.
Era un cretino, Gerard stava male e lui gli saltava addosso!
-Gee, mi spiace, cazzo, ti ho fatto male, io…- cominciò, guardando
nervoso il rivolo di sangue che continuava a uscire.
Gerard scosse la testa, alzandogli il mento con due dita,
costringendolo a guardarlo negli occhi.
-Fottitene.- sussurrò, tirandolo nuovamente contro di sé e continuando
a baciarlo.
Non fecero altro per tutta la notte.
..........
NOTE:
È vero che il padre di Frank è malato di Sclerosi multipla e che lui
per un periodo ha frequentato l’università. Tutto il resto è
inventato^^.
Manca solo l’epilogo ora, arriverà presto, penso addirittura domani,
devo solo correggerlo ma è davvero corto per cui non starò molto.
Bene, detto questo, alla prossima!
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Capitolo 3 *** epilogo ***
EPILOGO
Lenzuola bianche per coprirci non ne ho
sotto le stelle in Piazza Grande,
e se la vita non ha sogni io li ho e te li do.
E se non ci sarà più gente come me
voglio morire in Piazza Grande,
tra i gatti che non han padrone come me attorno a me.
Il giorno dopo scoprirono che tutte le tele e i disegni di Gerard che
erano rimasti lì tutta la notte, erano in possesso di una ragazzina che
Gerard aveva aiutato diverse volte coi compiti di Arte. Il sorriso che
Gerard regalò alla ragazza fece capire a Frank quanto davvero quella
Piazza ormai fosse un pezzo della sua vita.
Quel giorno, Frank suonò per Gerard e Gerard cantò per Frank. La gente
che si era raccolta attorno a loro non poté fare a meno di restare in
un silenzio incantato tutto il tempo, trattenendo il respiro ogni volta
che Frank accompagnava la voce di Gerard con la sua o che Gerard
chiudeva gli occhi lasciandosi trasportare dalla canzone e dalle
emozioni che gli dava.
Quando smisero, ore dopo, si resero conto che si era radunata una
piccola folla attorno a loro, e tutti avevano espressioni estasiate e
applaudivano come dannati.
Lì si rese conto di cosa faceva davvero Gerard. Di cosa avrebbe potuto
fare lui. Cosa avrebbero potuto essere assieme.
Gerard raccoglieva i sogni della gente, con delicatezza e forza allo
stesso tempo, li custodiva per loro, li proteggeva, e poi li restituiva
indietro, più belli e luminosi di prima.
E a chi quei sogni non li aveva, allora regalava i propri, perché
nessuno potesse mai essere lasciato solo, senza una mano amica che con
dolcezza li guidasse fuori dal nero.
Lo fecero ogni giorno.
Ogni giorno suonavano assieme, ogni giorno Gerard e Frank regalavano un
pezzo di Paradiso alle persone che li ascoltavano. Ogni giorno Frank
creava la musica assieme a Gerard ed era l’unica cosa che avrebbe
voluto continuare a fare per sempre.
-Ho sempre pensato che sarei morto qui.- disse improvvisamente Gerard
un giorno, mentre faceva il ritratto di una ragazzina straniera, usando
colori vivi e forti.
-In mezzo ai gatti selvatici, quelli che non si lasciano avvicinare da
nessuno e che nessuno può reclamare come propri.- la ragazzina li
guardava curiosa, però non si muoveva. Gerard le aveva detto di stare
immobile e lei eseguiva con costanza ammirevole.
-Ho sempre pensato di essere simile a loro. Senza padrone. Nessuno che
mi possa reclamare come suo.-
Frank trattene il respiro. Lo sapeva questo. Sapeva che Gerard era il
vento e che il vento non si poteva incatenare, al massimo si poteva
sentire tra le dita e lasciare che giocasse con i capelli.
L’amava per quello.
-Beh tu puoi.-
Frank spalancò gli occhi. Gerard ancora non lo guardava, continuava a
dipingere ma le guancie erano arrossate, la mano tremava. Non doveva
essere poi così abituato a dire cose del genere.
Nemmeno lui a sentirle. Si protese verso di lui, ignorando il sorriso
che si era aperto sul volto della ragazza. Aveva un disperato bisogno
di sentire quelle parole.
-Non è la Piazza, Frankie. Non è lei casa mia. Non scherzavo quando
dicevo che non è il posto che mi rende libero, è quello che sono io.
Amo questo posto, amo la gente che ci viene, anche quando ci passano
bastardi omofobi. Ma tutte le città hanno una Piazza.-
Frank sorrise, abbassando la testa. Non poteva davvero crederci, per
quello glielo chiese.
-Stai cercando di dirmi che mi seguirai ovunque io deciderò di andare?-
Gerard posò il pennello, la ragazzina allungò la testa per sentire la
risposta.
-Stò cercando di dire che ormai non potrei fare altro che seguirti.-
Non si era davvero reso conto di quanto avesse bisogno di sentire
quelle parole. Solo in quel momento riuscì a sentirsi, finalmente,
totalmente libero.
Tirò a sé Gerard, baciandolo teneramente, posando le mani sulle sue
guancie e limitandosi a sentirlo.
A quanto pareva, dopotutto anche il vento poteva innamorarsi.
--------
NOTE: Ciao a tutti! So che è strano Gerard nei panni di una specie di
poeta/cantante/pittore vagabondo, ma volevo provare a calarlo in panni
diversi dal solito, e per una volta dargli un po’ di tranquillità,
povero. Lo faccio sempre soffrire troppo nelle mie fic! Stavolta è
Frank quello in crisi XD ma niente di drammatico, sono sicura che con
Gee accanto già va tutto meglio.
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