24 Hours

di Holly Rosebane
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** VI ***
Capitolo 7: *** VII ***
Capitolo 8: *** VIII ***
Capitolo 9: *** IX ***
Capitolo 10: *** X ***
Capitolo 11: *** XI ***
Capitolo 12: *** XII ***
Capitolo 13: *** XIII ***



Capitolo 1
*** I ***





 

I

 


Ci si dovrebbe sopportare un po' tutti: non c'è nessuno che non sia vulnerabile, che anzi non possa essere colto e fatto a pezzi nel suo lato debole.
(J. Keats)

 
 
 

Billie

 

 
«Ah, e così sarebbe colpa mia?!»
«Certo! È sempre colpa tua!»
Per l’ennesima volta, ma soprattutto ingiustamente, uscivo dall’aula di detenzione. A causa di un malinteso, la docente di chimica ci aveva spedito dal preside. Questi, mosso a pietà, aveva decretato semplicemente che avremmo passato il pomeriggio in punizione, raccomandandoci che non accadesse più.
Dopo tre lunghe ore trascorse a leggere un libro per passare il tempo, ne avevo piene le tasche di stare rinchiusa a scuola. Ma che non si pensi che la sottoscritta, ovvero Billie Donovan, sia una sovversiva che finisce in punizione perché si comporta male. Nossignore. Ero una brava ragazza, io.
La colpa, come ovvio che fosse, apparteneva tutta al signorino che mi camminava davanti a passo spedito. Il quale era stato beccato a mandare messaggini col cellulare nel bel mezzo della lezione, e io ero finita coinvolta nella ramanzina, perché avevo cercato di togliergli il telefonino.
«Potevi anche non immischiarti, comunque! Nessuno aveva chiesto la tua opinione!»
Guardai Harry Styles con crescente odio, fermandomi nel bel mezzo dell’atrio della scuola, perché lui si era voltato verso di me, puntandomi contro il suo indice accusatore. Mi passai nervosamente una mano fra i capelli, cercando di domarmi.
«Sì, invece! Usare i cellulari durante l’orario scolastico è proibito!»
Fece una risata beffarda, scuotendo la testa. Quando faceva l’arrogante, iniziavo a dare i numeri. Perché lui, a differenza di me, era molto più che sovversivo. Menefreghista. Cinico. Egocentrico. Nemico della cultura. In una parola, pessimo.
Harry Edward Styles, diciotto anni appena compiuti, era allo stesso tempo il peggiore ragazzo della scuola e il più popolare. Frequentava la mia classe, ma io lo consideravo alla stregua di un estraneo, ormai.
Faceva di tutto pur di mettersi al centro dell’attenzione, rispondeva male ai professori, non si preoccupava dei compiti, se per un giorno solo non finiva in punizione, si sentiva male.
Eppure, ed era una delle cose che più mi facevano imbestialire, lui un cervello ce l’aveva eccome. Pareva non ascoltare mai nessuno, in classe, e di sicuro a casa non apriva libro. Ma quando lo interrogavano, o doveva sostenere una verifica scritta, prendeva sempre quasi il massimo dei voti. Ed era per quello che ancora nessun docente era mai riuscito a bocciarlo. La sua condotta, tuttavia, era un altro paio di maniche.
Nell’aspetto fisico, ricordava molto quei mods degli anni ’60: scompigliati riccioli color cioccolato, che scuoteva ogni dieci minuti, profondi occhi verde acqua, sorrisetto furbo con tanto di fossette.
 Andava sempre in giro con i jeans aderenti, maglie larghe e sbrindellate e Vans o Converse. Lo si vedeva ondeggiare costantemente la testa a ritmo di musica, con le cuffiette negli orecchi e il suo amato skateboard sottobraccio.
Ci provava con qualunque ragazza gli capitasse a tiro, ammesso che fosse almeno carina. A quel che sapevo, ne cambiava una ogni mese, ma al momento era miracolosamente single.
Aveva i modi indolenti e incuranti tipici dei ragazzi come lui, rideva spesso e si sedeva in posizioni improbabili, allungando i piedi sul banco, quando i docenti non lo vedevano.
Era il classico soggettone dell’ultimo banco, quello che durante la lezione giocava a Fruit Ninja sul cellulare e schizzava via prima di tutti gli altri al suono della campanella. Ma la cosa peggiore di tutte, era che lui abitava di fronte a me.
Harry Styles era il mio vicino di casa. Per diciassette lunghi anni avevo dovuto convivere con i suoi commenti, le sue battutacce e la sua aria da strafottente. Non mi aveva mai risparmiato neanche i suoi trick e grind sul marciapiede, specie quando vorresti studiare e invece senti il rumore dello skate che batte per terra.
La parte più divertente, però, era quella che ci aveva visto migliori amici fino alla prima liceo. Poi, lui si era rovinato, e io avevo preferito una vita normale alle rampe da skate, ai rave e all’umorismo tagliente. Indi per cui diventammo come cane e gatto.
«Scusami, Miss Perfezione. La prossima volta imparerò il regolamento scolastico a memoria, solo per te.» commentò, riprendendo a camminare e issandosi sulla spalla lo zaino rattoppato, semivuoto e pieno di tag scritte a pennarello. Lo fissai, allibita. «Non devi fare un piacere a me, Styles, ma a te stesso!»
«Ah, sì? Allora non metterei più piede in questa prigione.» disse, fermandosi al banco dei bidelli, in quel momento vuoto e abbandonato.
Aisha, la custode, doveva essere al piano di sopra a pulire. Adoravo quella donna. Era una quarantenne sudamericana, che parlava come una ghetto girl e si vestiva in maniera etnica e un po’ eccentrica, nonostante la sua stazza abbondante.
Portava i lunghi capelli biondo miele legati in tantissime treccine, che donavano un’aria da capotribù dell’Africa, grazie al color caffellatte della sua pelle. Si mostrava sempre gentile con tutti, chiacchierando anche di problemi di cuore con le ragazze.
Vidi Harry sbirciare il piattino di plastica abbandonato sul banco, coperto da un fazzoletto rosa. Mi avvicinai a lui.
«Che cosa stai facendo?» gli chiesi, mentre lui spostava il kleenex, rivelando una manciata di biscotti al burro dal buon profumo. Mettevano l’acquolina in bocca, senza contare che per colpa della punizione, non avevo pranzato.
Styles allungò la mano e ne prese uno, sbirciando a destra e sinistra, assicurandosi che nessuno lo scoprisse.
«Non ci vedi? Mangio. Ho una fame tremenda.» rispose, addentando il biscotto con noncuranza. Rimasi basita, e gli sfilai il dolce dalle mani. L’aveva morso a metà.
«Ma non sono tuoi! E se poi qualcuno dovesse arrabbiarsi?» lo redarguii, sventolandogli il maltolto sotto il naso. Mi lanciò un’occhiata rancorosa.
«Senti, non ho pranzato, oggi. Quei biscotti sono lì, abbandonati, ad uso di chiunque…» le sue parole vennero stroncate a metà dal forte rumore del mio stomaco che brontolava. Dio, che figuraccia. Harry cominciò a ridere, guardando prima me, poi il biscotto.
«Parli tanto, ma alla fine anche tu stai morendo di fame!», esclamò. Cercai di negare con tutta me stessa, mentre sentivo il sangue affluire alle guance. «Avanti, mangialo. È buono!»
Fissai il dolce, e poi Styles. Mi sorrideva, come un demone tentatore. Aprii la bocca per rifiutare, ma un altro potente gorgoglio mi zittì.
Caspita, che fame. Infondo, se anche l’avessi mangiato, nessuno se ne sarebbe accorto, no? Mi guardai attorno, intimidita. Niente bidelli in vista. Mangiai l’altra metà del biscotto, dissimulando quanto avessi appena fatto. Harry rise.
«Miss Perfezione ruba un biscotto alla bidella.» mi prese in giro, sistemando di nuovo il fazzoletto sul piatto e avviandosi verso l’uscita. Lo rincorsi, cercando di discolparmi quanto più potessi. «Non dire così! Sei tu che mi hai convinto!»
«Sì, ma potevi anche rifiutare. Non l’hai fatto, e quindi prenditi le tue responsabilità.» concluse, posando lo skate a terra, e salendoci sopra con un piede. Ero esterrefatta.
Lo vidi sventolarmi la mano davanti alla faccia, e poi partire in velocità, sfrecciando sulla tavola. Mi abbandonava così?!
«Ti rendi conto di quello che stai dicendo, Styles?! Sono una brava ragazza, io!»  gli urlai dietro, ma lui aveva già voltato l’angolo. Sospirai, e guardai l’orologio. Le quattro del pomeriggio.
Se mi fossi sbrigata, non avrei perso l’appuntamento.
 
 
 
 
 
Fortunatamente, ero riuscita ad arrivare in tempo a casa di Emily e Becky, due bambine della terza media a cui davo ripetizioni d’inglese.
Sì, perché io, a differenza di Harry Styles, m’impegnavo a scuola come altrove, facendo volontariato, impartendo ripetizioni due volte alla settimana e facendo danza moderna. Avevo una vita piuttosto piena, e nel frattempo dovevo mantenere alta la mia media, ottenendo sempre il massimo dei voti. Ecco perché quella testa vuota mi chiamava “Miss Perfezione”. Non avevo mai un attimo di pace, giusto nei weekend.
Allora uscivo con Brooke e Mona, le mie migliori amiche. Mona era stata con Harry in terza liceo, poi lui l’aveva scaricata per una biondona del quarto, e da allora l’aveva sempre odiato. Non a torto.
Guardai il cielo terso sopra di me, che andava tingendosi di cremisi e dorato, al crepuscolo. Ormai eravamo a Maggio e le giornate considerevolmente allungate. Intorno alle otto e mezza cominciava ad imbrunire, e il sole tramontava alle nove.
Ovviamente, avevo fatto tardi anche quel giorno, a causa degli autobus che non passavano mai. Sfortunatamente, abitavo in una zona di Londra maledetta dai servizi pubblici. Camminavo spedita verso casa, con i testi d’inglese avanzato stretti al petto e le cuffiette nelle orecchie, quando sentii un colpo secco alla schiena, e caddi in avanti.
La vista mi si oscurò per un breve, terribile momento, e poi arrivò il dolore. Quando riaprii gli occhi, inorridii. Tutti i miei poveri libri erano rovinati al suolo, mentre io giacevo bocconi sul marciapiede, e avevo anche strusciato le ginocchia sull’asfalto. Che male…
«Scusami, tesoro, non ti ho proprio vista…» esclamò una voce maschile profonda e sensuale, che chissà perché mi suonava estremamente familiare.
Mi voltai, e vidi quell’idiota del mio vicino di casa rialzarsi da terra, pulendosi la polvere dai jeans un po’ stinti, poco lontano dal suo skate rivolto al contrario.
Alzò lo sguardo, e i suoi limpidi occhi verde acqua incrociarono i miei. Era sempre colpa sua, se io mi facevo male. Fin da quando avevamo cinque anni.
«Tesoro un accidenti! Guarda che hai combinato!» Esclamai, indicando i libri aperti in malo modo, o accavallati l’uno sull’altro. Lo vidi passarsi una mano fra i riccioli, spettinandoli. Poi indicò le mie ginocchia con la testa. «Fossi in te, non mi preoccuperei di “Inglese Avanzato 2”…» commentò. Seguii il suo sguardo, e vidi il tessuto azzurrino del jeans assumere tonalità vermiglie, intorno al piccolo strappo sporco di polvere che avevo appena guadagnato. Che disastro, e quelli erano i miei pantaloni nuovi!
 Scossi la testa, imponendomi di non perdere la calma. Raccattai alla bell’e meglio un paio di tomi, poi vidi una mano aperta tesa verso di me.
«Dai, ti aiuto ad alzarti.» disse, scuotendo i riccioli. La afferrai, e mi lasciai tirare su. Avvertii una fitta lancinante al ginocchio, e qualcosa di umido e caldo bagnare la stoffa. Bene, fantastico.
La giornata, che era già iniziata male, non avrebbe potuto finire meglio. Harry raccolse il resto dei libri da terra, e me li diede. Li presi, arrabbiata.
«Billie, scusami. Sul serio non ti ho vista…» esordì, vedendo che iniziavo ad andarmene verso casa senza degnarlo d’un’occhiata. Aveva davvero esagerato.
«Il tuo problema, Harry, è che non vedi mai nient’altro all’infuori di te stesso!» sbottai. Il riccio si fermò dov’era, con lo skate consumato stretto nella mano destra, la maglietta bianca xxl sporca di polvere, e l’espressione ferita in volto. Ma era la verità.
«Questo non è vero! Come fai a dire una cosa del genere, quando te ne freghi di me da ben cinque anni?!»
«Io, fregarmene? Devo ricordarti  chi dei due si è allontanato, all’inizio delle superiori?» urlai, perdendo il controllo. Diventavo sensibile su quell’argomento, perché la ferita che portavo dentro a causa sua era sempre aperta. Harry ammutolì, guardando per terra con rabbia. Sapeva che la colpa non era stata completamente mia, e quindi non poteva rispondere.
Mi volsi, tornando a camminare verso casa, che ormai era a due passi. Avevo preferito chiuderla, una discussione simile. Specie in un momento come quello.
Arrivai alla porta d’ingresso, e rovistai nella borsa per cercare le chiavi. Sentivo il riccio armeggiare con il passante della cintura, facendo tintinnare il mazzetto che vi era appeso. Prima entravo, meglio mi sarei sentita.
«E comunque sai che c’è? Pensa quello che ti pare, Donovan, a me non importa più, ormai!» esclamò, dal suo ingresso. Aveva trovato la chiave e la stava infilando nella toppa. Inspirai a fondo e contai fino a cinque.
«Perché, te n’è mai fregato qualcosa delle mie opinioni?» gli chiesi, di rimando. Scovai il mazzetto nella borsa, e lo tirai fuori rabbiosamente, destreggiandomi con una mano sola.
«Forse, un tempo.» commentò, lanciandomi un’occhiata di rammarico. Oh, adesso faceva anche la vittima arrogante. Lo odiavo, quando si comportava così. Lo odiavo, quando mi scaricava addosso la colpa. Lo odiavo, e basta.
«Che peccato. Allora tornatene dai tuoi amici fighetti, sicuramente ti troverai meglio con loro…!» risposi, amara. Fece una risata sarcastica. Girai la chiave nella toppa, ansiosa di chiuderlo fuori dal mio campo visivo, per quella sera.
«Bene!» esclamò, aprendo la porta di casa sua.
«Bene!» gli feci eco, stringendo il pomello e spalancando l’infisso. Ci lanciammo un’ultima occhiata di puro odio.
«Esci dalla mia vita!» urlammo entrambi, per poi fiondarci dentro e sbattere la porta.
 
 
 
Dopo quella colossale litigata, trascorsi il resto della serata più o meno tranquillamente. Medicai il ginocchio, che aveva ricevuto una brutta sbucciatura dolorosa, cenai e ripassai per il compito di chimica che avrei avuto in settimana. Poi, al limite dell’umana sopportazione, decisi di andare a dormire.
Un’altra giornata come quella, e sarei finita al manicomio. Guardai fuori dalla finestra per pura abitudine, e vidi Harry seduto alla scrivania, con le enormi cuffie da deejay che si portava anche a scuola, chino a scrivere chissà cosa. Restai per qualche istante a fissarlo, poi tirai la tapparella.
Il giorno seguente, mi svegliai di malavoglia, e da sola. Strano, in genere impostavo sempre la sveglia, per essere sicura di non fare tardi.
Aprii gli occhi, e mi guardai attorno. Quella stanza non era la mia.
Che fine avevano fatto l’armadio, lo specchio, il pc e la scrivania? Ma, soprattutto, perché durante la notte, tutti i miei poster di P!nk, Leona Lewis, Lady GaGa e Johnny Depp erano scomparsi? E chi li aveva rimpiazzati con le gigantografie dei Beatles e dei Queen?
Battei le palpebre, e mi strofinai gli occhi. Le mie mani avevano qualcosa che non andava. Non me le ricordavo così grandi, maschili e affusolate, soprattutto con le unghie corte e tutti quei braccialetti al polso sinistro.
Scostai le coperte, avvertendo il panico crescere. Perché non indossavo il mio pigiama rosa? Perché avevo i boxer da uomo? Dov’erano andate le mie gambe lunghe e femminili, il mio unico vanto?! Iniziai ad avere le vertigini.
Per quale motivo il mondo mi appariva da una prospettiva più alta, come se fossi cresciuta di parecchi centimetri durante la notte?
Corsi allo specchio attaccato alla parete di destra, e per poco non cacciai un urlo.
Il volto terrorizzato di Harry Styles mi restituiva l’occhiata, con aria vagamente assonnata e i riccioli più scompigliati che mai. Protesi una mano e mi sfiorai la guancia, mentre l’immagine riflessa fece lo stesso.
Mi toccai i capelli. Morbidi, corti, ricci.
No.
Doveva essere un incubo. Stavo ancora sognando.
Non avevo mai creduto al fantasy soprannaturale, perché iniziare quella mattina?
Ma non c’era altra spiegazione, se non che... sì, per forza.
Ero finita nel corpo di Harry Styles.




Holls' Corner!:

Sì, sono ancora io, sempre io, instancabilmente io. Credete che troverò mai pace, in questo fandom?? Mah, chi può dirlo!
Dunque! Comincio subito col dire che l'idea di base di questa long è folle, ovvero lo scambio di corpi. Non so come mi sia venuta, stavo disegnando in tutta tranquillità, quando ho pensato "Cosa si proverebbe ad essere nei panni di Harry Styles per un giorno?".
Bam. Ecco quindi com'è nato tutto, hahahah!
Premetto che non sarà una storia lunga, sicuramente meno di venti capitoli, questo è certo! Era troppo completa per minimizzarla in una OS, ma non ho nessuna intenzione di renderla un progetto a lungo termine, come
'Till The Last Song.
Prendetela come una storia breve e leggera, niente di troppo impegnativo. Devo anche confessarvi che per me è la prima ad essere pubblicata dove i 1D non sono famosi. Anzi, diciamo che sono diametralmente l'opposto. E che Harry sarà il protagonista assoluto, i ragazzi avranno ruoli minori all'interno della trama.
In questo capitolo c'è solo il punto di vista di Billie, ma in seguito si aggiungerà anche quello di Styles!
Bene, ciò detto, vi lascio!
Mi farebbe estremamente sapere cosa ne pensiate di questo esperimento, se vi sia piaciuto o meno, ci tengo! Grazie in anticipo! Un bacione! 
P.S.: il personaggio di Billie ha il volto di 
Lucy Hale. E' esattamente come ritengo che Billie sia. Vi lascio con una sua gif! Alla prossima!












 

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Capitolo 2
*** II ***




 

II
 
 

L'inferno e il paradiso sono tutti e due dentro di noi.
(O. Wilde)

 
 


Billie

 
 
Non poteva esserci altra spiegazione. Ero finita nel corpo di Harry Styles, per chissà quale motivo.
Tornai di nuovo a guardarmi allo specchio, più per farmi del male che per altro. Fissai la faccia di quel balordo del mio vicino di casa restituirmi un’occhiata maligna, di puro disprezzo.
Mi spettinai i riccioli, e l’immagine riflessa m’imitò. Feci una smorfia, tirai fuori la lingua, poi sorrisi. Niente, quella piega delle labbra, le fossette, la luce che pareva irradiare da quel volto appartenevano a lui. Ero Harry Styles.
Ma ancora non demordevo, nel credere che fosse un sogno. Spalancai la porta e corsi in bagno. Mancavo in quella casa da parecchio, tuttavia la disposizione degli ambienti me la ricordavo ancora. Arrivai davanti al lavandino, e aprii il rubinetto. Mi fissai nuovamente, mentre l’acqua scorreva gorgogliando.
 Ficcai le mani a coppa sotto il getto gelido, e mi lavai la faccia, con un colpo secco. Porca miseria. Ero sveglia, decisamente.
 In quel momento, un Harry con i riccioli fradici appiccicati alla fronte e il volto grondante di acqua fredda mi guardava sconcertato.
Nessun sogno.
 Solo la triste e sorprendente realtà.
Era tutto vero.
Mi osservai meglio. Il riccio aveva senza dubbio un bel fisico, torace scolpito, gambe e braccia muscolose, spalle larghe. Passai la mano sugli addominali, assaporando la sensazione di essere fisicamente in forma. Non avevo un brutto corpo, ma un tartaruga come quella me la sognavo di notte. Sussultai, al contatto con la freddezza delle mie dita. Notai un tatuaggio a stella, poco sotto l’ascella destra. Mi chiesi che senso avesse, poi ricordai di avere il volto bagnato, e gocce d’acqua che mi colavano lungo il collo. Afferrai un asciugamano, e ci seppellii il volto dentro.
Ora riaprirò gli occhi, e mi risveglierò nel mio corpo. Quello di donna. Di Billie Donovan.
Posai il telo e mi guardai di nuovo allo specchio. Niente. Ero ancora Harry.
Un momento. Ma se io ero nel suo corpo, allora lui… non feci in tempo a finire di formulare il pensiero, che uno strillo mi perforò i timpani. Proveniva dalla casa di fronte. Eccolo, doveva essersi svegliato.
Corsi alla finestra, alzando la tapparella e spalancando le imposte. L’aria fresca della prima mattina di maggio mi sferzò il volto e il torace, scoperti. Vidi la finestra di fronte aprirsi di colpo, e il mio corpo guardare verso di me, sconvolto.
 Avvertii una stretta al petto, osservando me stessa, nel pigiama rosa con l’orsetto Hunny, i lunghi e fluenti capelli castano scuro vagamente arruffati, gli occhi azzurri e le labbra piene e carnose. Femminili. Mie.
Ma che, in quel momento, erano di Harry.
«Tu!» urlò, protendendosi in avanti. Poi, si rese conto di aver parlato con un tono di voce femminile, e si portò le mani alla gola, sconcertato. Sembrava che gli avessero tirato uno schiaffo in pieno volto.
«No, tu, piuttosto!» strillai di rimando, sporgendomi a mia volta. Oh, mio Dio.
Cos’era quella voce profonda tremendamente sexy con cui avevo appena pronunciato solo tre parole?! Mi coprii la bocca con la mano, di riflesso.
 Harry nel mio corpo si limitò ad indicarmi, e a fare un altro gesto per intimarmi di scendere giù, rifiutandosi di parlare di nuovo. Annuii, e mi precipitai fuori dalla stanza. Scesi di volata le scale, rendendomi vagamente conto di essere mezza nuda, di indossare solo i boxer. Tuttavia, mi sentivo stranamente a mio agio, come se fossi abituata ad andare in giro senza vestiti. Oltretutto, vedere il mondo da un considerevole metro e ottanta di altezza era un’esperienza meravigliosa. Detto da una che rasentava i 165 centimetri scarsi.
Aprii la porta d’ingresso e corsi in strada. Dannazione, avevo i piedi nudi. Rimasi più sconcertata nello scoprire che non mi veniva da vomitare, che dal fatto che stessi camminando scalza sul marciapiedi. Harry, intanto si stava avvicinando dal lato opposto, quasi correndo. Non era abituato ai miei capelli lunghi, lo vidi spingerseli dietro le orecchie ogni volta il vento li agitasse. Avanzai, e ci fermammo a due centimetri l’uno dall’altra. Che impressione vedersi in corpi diversi.
«Che è successo?! Perché mi sono svegliato con un paio di tette, i capelli lunghi e la tua faccia?!» sbottò Harry, pestando i piedi a terra come facevo io quando mi arrabbiavo. Si accorse del gesto che aveva appena fatto e imprecò. «Non pestare i piedi, quando ti arrabbi!» esclamò, irritato dai suoi atteggiamenti femminili e dalla voce acuta. Rovesciai la testa in avanti, e mi scompigliai i riccioli, passandoci una mano dentro. Oh, Dio, che cosa stavo facendo?!
«E tu piantala di toccarti i capelli quando sei nervoso!» risposi, incrociando le braccia per impedirmi di spettinarli ancora. Ero ancora spaventata dal mio timbro di voce, ma cercai di dissimulare.
«Allora? In quale setta satanica sei entrato per fare una magia come questa? Avanti, dimmelo, non ti giudicherò.» dissi, fissandolo negli occhi. Nei miei occhi azzurro ghiaccio, che lui infestava a tradimento. Scoppiò in una risata sarcastica.
«Setta satanica?! Bille, ma ti ascolti quando parli? Io non ho fatto niente!» rispose, passandosi una mano fra i capelli, cercando di non meravigliarsi troppo di quel gesto. Iniziava ad innervosirsi. Lo capivo dal linguaggio del mio corpo. Sospirai. «Io neanche. Ma allora perché sono te?!» gli chiesi, con una punta di terrore.
All’inizio poteva sembrare divertente, ma dopo dieci minuti rasentava l’assurdo. E io odiavo non avere il controllo su quello che mi accadeva. Scosse la testa, pensieroso.
«Non ne ho idea. Credevo che stronzate del genere accadessero solo nei film.»
«Perché è così.»
«E allora come mai sono nel tuo corpo, cervellona?!» sbottò, dandomi una spinta leggera. Lo fissai, scoraggiata.
Non lo sapevo. Mi arrendevo. Quella situazione era più di quanto potessi sopportare. Iniziai a riflettere ad alta voce.
«Allora, cosa abbiamo fatto ieri di strano?» chiesi, ricordando le azioni del giorno precedente. Harry si morse un’unghia. Gli allontanai la mano dalla bocca, con un’occhiata assassina. Impiegavo settimane nella loro cura, mica poteva rovinarmele così!
«Litigato.» rispose, fissando il marciapiede. Mi strinsi nelle spalle.
«Ma quello non è strano. »
«Giusto. Che altro?» domandò, più a sé stesso che a me. «Dopo scuola, sono andato con Niall e Louis alla rampa, poi ci siamo visti con Liam e Zayn al campo di basket… poi sono tornato a casa, e mi sono scontrato con te.» concluse, fissandomi.
«Io sono stata a dare ripetizioni di inglese, ho aspettato per venti minuti che passasse l’autobus, e una volta arrivata a casa, mi sono scontrata con te.» spiegai, a mia volta. Lo vidi scuotere la testa, e i capelli ondeggiarono. Provai un moto d’invidia per quelle ciocche lisce e luminose. Perché non potevo riavere ciò che era mio?!
«No, deve essere stato qualcos’altro. Rifletti, Billie… che abbiamo fatto, prima?» mi chiese, serio. Pensai per qualche istante, poi mi balenò in testa l’immagine di Harry – del corpo che abitavo temporaneamente – che addentava un biscotto al burro, prendendolo dal piattino abbandonato sul banco dei bidelli.
«Il dolce!» esclamammo entrambi, indicandoci a vicenda. Sorridemmo.
«Ecco! Sarà stato sicuramente quello! Come nel video di Jennifer Lopez, dove lei mangia il biscotto, e tutti gli uomini le cadono ai piedi…» dissi, ricordando la canzone e l’introduzione. Harry mi guardò, alzando un sopracciglio. «Billie. Per favore.» commentò, lapidario. Alzai le mani in segno di resa. «Ehi, era solo un parallelismo…» risposi, giustificandomi.
Passarono attimi di silenzio, in cui mi spettinai i riccioli e Harry si passò di nuovo una mano fra i capelli. Certo che una situazione simile era davvero impossibile da credere. Che assurdità. Eppure era tutto vero.
«Senti, ora cerchiamo di arrivare a scuola. Poi, scoveremo Aisha e le chiederemo dei biscotti. Lei sicuramente saprà dirci qualcosa.» propose Harry, mordendosi il labbro inferiore. Annuii, d’accordo con lui. Lo guardai, dentro il mio corpo. Mi sentivo quasi violata. In quel momento, lui aveva accesso a tutti i miei segreti. Non che ce ne fossero di così eclatanti.
 Ricambiò l’occhiata, indugiando sui suoi addominali e i riccioli, per poi fermarsi sul volto. Sospirò, e allargò le braccia.
«Posso…» esordì, titubante. Alzai un sopracciglio. «Posso abbracciarti?» mi chiese, quasi vergognandosi. Scoppiai a ridere, al pensiero di Harry Styles che chiedeva di poter stringere qualcuno. Proprio lui, che casomai si faceva pregare.
Annuii, e circondai le sue spalle con le braccia. Caspita, quanto ero piccola, in confronto a lui. E profumata, morbida. Era come abbracciare Brooke o Mona, solo che la sensazione era leggermente diversa. Stavo toccando il mio corpo, ma ero al di fuori di esso. Quell’idea mi sconcertava.
«Non credere che mi sia fatto prendere dall’emozione», borbottò Harry, sul mio – che poi era il suo – petto.
«Avevo solo bisogno di stringere il mio corpo, sentirlo reale e presente. È snaturante, per un ragazzo, abitare un fisico femminile.»
Ridacchiai, a sentirlo ammettere quelle cose. Gli accarezzai la testa, per un’azione spontanea del corpo di Harry.
«Sapessi quanto lo è per me…»
 
 

Harry

 
 
Che brutta sensazione svegliarsi in un corpo diverso dal proprio.
Ero andato a letto poco prima della mezzanotte, caso strano per uno come me. Quando avevo riaperto gli occhi, però, mi ero trovato in una stanza completamente estranea. Riprendere conoscenza  e vedere prima di tutto il volto di Johnny Depp era qualcosa di traumatizzante.
Dov’erano andati i miei poster dei Beatles, le mie gigantografie dei Queen? E i miei vecchi skate, l’impianto stereo, il collage di foto alla parete? Lì c’erano soltanto quattro mura intonacate di rosa, con immagini di attori o cantanti famosi, riconoscimenti, diplomi, ritratti di personaggi noti incorniciati.
Stranamente, sentivo di conoscere palmo a palmo quella stanza, ma non era la mia. E poi, alzarsi al trillo della sveglia era assolutamente improponibile. Appena mi ero sporto a darle un sonoro colpo innervosito, chiedendomi chi diavolo l’avesse impostata, mi ero accorto di avere delle mani diverse.
 Gentili, eleganti, dalle dita affusolate e, cosa più grave di tutte, con le unghie lunghe laccate di smalto rosso ciliegia. Di sicuro non me l’ero messo io, quello schifo.
 Sulle prime, avevo pensato ad uno scherzo di mia sorella Gemma, che mi detestava quasi quanto le giornate di pioggia e la musica country, ma quelle dita non erano le mie. Che fine avevano fatto tutti i miei braccialetti al polso sinistro?
Quando avevo scostato le coperte, poi, mi ero spaventato sul serio. Al posto delle mie gambe, due cosce femminili da capogiro obbedivano ai miei comandi mentali, strette in un morbido pantaloncino rosa cipria. Rosa cipria? Ma scherziamo?
Ero corso allo specchio, e per poco non c’ero rimasto sul colpo. Quella rompipalle della mia vicina di casa, Miss Perfezione, Billie Donovan, mi restituiva uno sguardo da cerbiatta terrorizzata sull’orlo dello svenimento.
 Mi ero passato una mano fra i capelli e il cuore sprofondato sotto i piedi. Avevo affondato le dita in una massa di morbide e lisce ciocche lunghe castano scuro. Niente più riccioli.
Allora, mi ero guardato il petto. Non avevo mai avuto una terza di reggiseno. Se era per quello, neanche una prima. E cacciai un urlo. Ma non ero stato io a volerlo, bensì il corpo di Billie.
Poi, avevo visto me stesso affacciarsi dalla finestra di fronte, e compresi che durante la notte era accaduto qualcosa.
Per chissà quale strano motivo, ero Billie Donovan, e lei me.
Pazzesco.
Roba da scadente film urban-fantasy per teenagers. Quasi non volli crederci, ma poi avevo parlato. Con la sua voce. Squillante, fresca, femminile. Che voltastomaco. Dov’era il mio bellissimo tono profondo per cui le ragazze cadevano come tessere del domino? Probabilmente nell’altro corpo, che credevo fosse mio.
 Così, eravamo scesi in strada, accusandoci l’un l’altro. Quell’antipatica, fra l’altro, aveva perfino azzardato l’ipotesi che frequentassi una setta satanica.Io. Ma andiamo!
Dopo cinque minuti di vaneggiamenti, eravamo arrivati alla conclusione che, molto probabilmente, alla base di tutto, avesse dovuto esserci il biscotto di Aisha. Quello che avevo – il corpo dove in quel momento albergava Billie senza permesso – mangiato il giorno prima, insieme a lei.
Non mi sembrava assolutamente possibile una cosa come quella, vedere e parlare a te stesso, ma esserne al di fuori. Toccare e abbracciare il proprio corpo, da quello di un altro. Era una sensazione terribile, ma affascinante. Sulle prime avevo creduto di essere in uno degli incubi più allucinanti che avessi mai partorito, ma il dolore al ginocchio smentiva miseramente l’ipotesi tanto sperata.
Rientrai in casa, affranto. Che c’era di peggio, per un ragazzo, di finire nel corpo di una ragazza? Niente. Salii le scale in silenzio, e quando arrivai alla porta della camera di Billie, vidi Tom, suo fratello maggiore, sporgersi fuori dalla sua stanza.
Era assonnato, con i capelli per aria e lo sguardo preoccupato. Alzai un sopracciglio, restituendogli l’occhiata. Perché mi sembrava lì lì per puntarmi un dito contro, urlando “povero sfigato, Harry, sei diventato una ragazza!”?
«Tutto bene, sorellina? Ti ho sentita urlare, prima…» disse invece, sbadigliando. Sentii il cuore accelerare, e deglutii. Sdrammatizzare. Sviare. Mentire. Subito.
«Cosa? Ah, sì, scusami!» esordii, sorridendo. Che impressione. Quella vocina era terribile, in confronto alla mia. «Credevo… di aver visto… un ragno! Già! Un ragno!» sparai, dicendo la prima cretinata che mi passasse per la mente. Lo vidi corrugare la fronte.
«Non hai mai avuto l’aracnofobia, Billie…» rispose, iniziando ad acquistare lucidità. Oh, accidenti. Se non me ne andavo in fretta, combinavo un casino.
«Ehm… le persone cambiano!» sbottai, iniziando ad andare nel panico. «Adesso vado a vestirmi, altrimenti faccio tardi! Ciao ciao!» e gli sbattei la porta in faccia.
 Che situazione. Mi appoggiai all’infisso con le spalle, lasciandomi scivolare fino a sedermi. Sentii Tom borbottare “mah, le donne” e tornare dentro.
Fosse successo a casa mia, avrei anche potuto urlare per ore, e nessuno se ne sarebbe accorto. Anzi, forse mia sorella avrebbe pure festeggiato, sperando che mi fosse accaduto qualcosa. Mia madre e il mio patrigno neanche li contavo. Stavano sempre fuori, e in ogni caso erano otto anni che non si preoccupavano più di me, perché avrebbero dovuto ricominciare?
Invece, da Billie era tutto diverso. Tom si era subito affacciato, e avevo visto la porta della stanza dei suoi socchiudersi, con la coda dell’occhio. Che strano caso, trovarsi in un altro corpo prima, e avere anche gente che  notasse la mia presenza dopo. Mi rialzai, sospirando.
Bene. Mi restava sul serio da vestirmi. Lanciai un’occhiata circolare tutt’intorno, cercando l’armadio. Focalizzai degli abiti ripiegati con cura sulla sedia girevole alla scrivania. Li presi, studiandoli. Una semplice maglietta bianca a mezze maniche con le stampe, e un pantalone rosso acceso. Che noia, che castità! Billie aveva un corpo da urlo, ed era anche molto bella, a mio parere. Ma continuava a vestirsi come un’educanda al college, mai che l’avessi vista osare un po’, scoprirsi o mettere un paio di tacchi.
Sorrisi, malizioso, all’idea che mi era appena venuta. Se ero finito dentro di lei, perché non approfittarne quanto più potessi?
Sbirciai fuori dalla finestra, in camera mia – e del mio vero corpo, dove c’era Billie –. La vidi sollevare con due dita la mia maglietta preferita, quella azzurro carico con i graffiti stampati.
Aveva un’espressione schifata, e degli atteggiamenti così femminili da farmi passare tranquillamente per gay. Mi battei una mano sulla fronte, disperato. Pregai che non si rendesse ridicola. Anzi, che non rendesse ridicolo me.
Lasciò perdere la maglietta, e passò allo skateboard. Se lo rigirò pensierosa fra le mani, e lo mise a terra. Provò a salirci sopra, ma scivolò all’indietro, cadendo con un’esclamazione stupita. Scoppiai a ridere.
«Piantala di provare ad essere me, Miss Perfezione!» le urlai, appoggiandomi al davanzale. Si sollevò da terra, cercandomi con lo sguardo. Quando mi trovò, si rialzò all’istante, arrossendo. Accidenti, ero davvero carino con quelle guance rosse. Ma che cosa andavo a pensare…?! Anzi… era stata la mente di Billie a produrre quell’affermazione. Ma pensa!…
«E tu finiscila di spiarmi, idiota!» rispose, richiudendo di colpo la finestra. Ridacchiai, scuotendo la testa. Forse mi sarei divertito, quel giorno.



Holls' Corner!:

Eccoci al secondo capitolo!! Che bello, ho visto che l'idea folle è stata apprezzata molto!! Vi ringrazio davvero tanto, non me l'aspettavo!!
Beh, stasera abbiamo anche il punto di vista di Hazza... lo ammetto, mi sono divertita troppo a scriverlo. Questa situazione è paradossale, ma spero che comunque vi piaccia!!
Bene, oggi sarò molto rapida. Cercherò di postare regolarmente (almeno questa, hahaha!), ma non vi prometto niente con certezza, almeno fino alla fine della prima settimana di giugno!
Ora passo ai ringraziamenti!! In modo particolare a chi ha recensito il capitolo precedente, e chi ha già inserito la storia nelle preferite/seguite/ricordate!!! Ringrazio anche i lettori tutti, compresi quelli che la leggono e basta!!
Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensiate di questo secondo capitolo, se vi sia piaciuto o meno, insomma!!
Vi lascio con una gif Harry/Billie che ho fatto io! Spero vi piaccia!! Un grosso bacio, e alla prossima!!



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Capitolo 3
*** III ***


 








III

 
 

Una delle cose più belle nella vita, è trovare qualcuno che riesce a capirti, senza il bisogno di dare tante spiegazioni!
(K. Gibran)
 


 
Billie
 
 
 

Muoversi con quei pantaloni aderenti e quella maglietta almeno quattro volte più larga di quanto sarebbe servito ad Harry, era stressante. Cioè, non tanto indossarli, quanto sentirsi lui dentro di essi.
Styles camminava sempre con quell’andatura disinvolta, sicura e svogliata, come quei ragazzi che sapevano sempre ciò che volevano, e non dovevano faticare per ottenerlo. E che erano obbligati da leggi non scritte a fare qualcosa di cui avrebbero volentieri fatto a meno.
Ostentare quell’atteggiamento, per una che camminava a passo spedito e testa alta, spalle dritte e busto in fuori come me, era impossibile. Oltretutto, avevo l’impressione che chiunque mi guardasse, sapesse che fossi una donna intrappolata nel corpo di un ragazzo, mod e writer per giunta.
E quei riccioli. Ondeggiavano per qualsiasi mossa facessi, andavano dove gli pareva, non stavano mai un minuto fermi. Non potevo certo trattenerli con l’elastico o le mollette, e così dovevo sempre aggiustarli con le mani, scompigliandoli. Erano passati svariati minuti e già non ce la facevo più ad essere Harry Styles.
In casa sua si respirava un’atmosfera pesante, elettrica. Sua sorella mi aveva sgridato, per aver fatto casino alle sette del mattino, e averla svegliata. Dei genitori, neanche l’ombra.
Non c’era sua madre a preparargli la colazione, a chiedergli come avesse passato la notte, a salutarlo con un bacio, prima che andasse a scuola.
Suo padre non faceva battute sarcastiche sui suoi vestiti, non lo informava delle ultime notizie che aveva sentito al tg, non lo abbracciava prima di lasciarlo andare via. Non aveva un fratello come Tom, pronto ad accompagnarlo ovunque, a farlo sentire speciale, a rompergli le scatole con le sue battutacce divertenti. Harry doveva cucinarsi la colazione da solo, tutte le mattine, in silenzio. La televisione era sempre spenta, il telecomando nascosto chissà dove.
Nessuno s’informava di come stesse, di quello che facesse, di dove andasse o con chi. Era come se vivesse da solo, a casa dei suoi. Gemma lo trattava malissimo, e lui non aveva nessuno con cui parlarne, eccetto forse i suoi amici.
Me n’ero resa conto solo dalla mattina, quando ero rientrata e avevo trovato quella ragazza sulle scale, ad attendermi, con un’aria assassina in volto. Mi aveva urlato in faccia che l’avevo svegliata, e che di conseguenza non sarebbe più potuta tornare a letto. Tuttavia, era parsa stupita di non avermi sentito replicare. Forse Harry la insultava, rendendole pan per focaccia.
Ad ogni modo, essere lui non era di certo facile. Come salire sul suo maledetto skate, quella macchina infernale prodotta dal demonio. Ci avevo provato, ed ero finita dritta a terra, fra le risate di quell’idiota che mi spiava dalla finestra di fronte. Nel mio corpo, ci terrei a sottolineare.
Arrivai a scuola, e mi sembrò di aver compiuto le dodici fatiche di Ercole. Distinsi la chioma selvaggia di Brooke e i vestiti bon ton di Mona, e corsi da loro, estremamente sollevata di poter vedere due volti amici, dopo tanta stranezza.
 Mi feci largo fra la calca della Woodrow Wilson High, smaniosa di rivelare loro tutto.
«Brooke! Mona! Non potrete mai immaginare quello che sto per dirvi…» esordii, raggiungendole, e mettendo una mano sulla spalla di Mona. Si voltarono entrambe, e mi fulminarono con un’occhiataccia.
Oh, mio Dio. Avevo rimosso di essere nel corpo di Harry Styles.
«Che vuoi, Styles? È l’ennesimo scherzo che tu e i tuoi amichetti idioti avete messo su?» mi attaccò Brooke, incrociando le braccia.
«Già, Harry. Cosa avresti mai di tanto importante da dire a noi due?» disse Mona, scrollandosi di dosso la mia mano. Indietreggiai di un passo, spettinandomi i riccioli.
Giusto.
Come raccontarglielo senza sembrare pazza o psicopatica?
Tacqui, e loro continuarono a squadrarmi, minacciose. Brooke scosse la selvaggia criniera color ebano, facendomi a pezzettini con gli occhi. Lei era quella che odiava Harry di più, perché aveva creduto che con Mona avrebbe messo la testa a posto.
Veniva dall’America, si era trasferita poco dopo dell’inizio della prima superiore. Aveva i tratti tipici di quelle bellezze latinoamericane, con gli occhi grandi e le ciglia lunghe, nasino con le narici un po’ larghe e bocca ben delineata, con labbra rosse, piene e carnose, pelle olivastra e modi schietti. Era la simpatica del gruppo, e quella che acchiappava sempre più ragazzi.
Spostai lo sguardo su Mona. La conoscevo da quando ero piccola, più o meno dai tempi delle elementari. All’inizio ci odiavamo a morte, perché l’una cercava sempre di superare l’altra, in qualunque campo. Poi, scoprimmo di avere parecchi interessi in comune, e diventammo amiche. Fu lei la prima a restarmi accanto, quando Harry aveva preso quella brutta piega, in prima liceo.
Mona aveva l’aria tipica della brava ragazza acqua e sapone, dolci occhi color cioccolato, naso alla francese, rosee labbra sottili spesso piegate in un sorriso e incarnato marmoreo. Non si abbronzava quasi mai, neanche al mare. Aveva i capelli come i miei, solo molto più corti. Fino alle spalle, più o meno. Vestivamo in maniera simile, a differenza di Brooke, che azzardava sempre, abbigliandosi in maniera piuttosto provocante.
Riflettei su come fosse meglio introdurre l’argomento. Se in maniera diretta e brutale, o pacata e gentile.
«Allora? Stiamo aspettando.» Brooke interruppe i miei ragionamenti. Sospirai.
«Ascoltate… è… è una cosa complicata, però voi dovete assolutamente credermi!» esordii, fissandole negli occhi. Mona incrociò le braccia, e la sua amica alzò un sopracciglio.
Inspirai a fondo. E poi espirai.
«Io non sono Harry.» decretai, semplicemente. Mi fissarono entrambe con gli occhi strabuzzati, come se avessi appena parlato una lingua aliena.
«Ci stai prendendo in giro, Styles?» mi chiese Brooke, mordendosi l’interno della guancia, imbastendo la sua espressione alla ghetto girl. No, si stava mettendo male.
«Per niente, Brooke, dovete credermi. Sono io, Billie. Nel corpo di Harry, però!» cercai di spiegare, ma Mona scoppiò in una risata sarcastica.
«Ne abbiamo abbastanza delle vostre commedie! Gira a largo, Styles.» mi disse, spingendomi per farla passare. Che cosa?!
La fermai, stringendole un braccio. Si voltò, guardandomi shockata.
«Mona, ti giuro che sto dicendo la verità. Sembra assurdo e folle, lo so! Ma è così, credetemi!» esclamai, implorante. Brooke si passò una mano fra i capelli, sospirando. Mona guardò la mia mano che stringeva il suo braccio, cercando una frase brutale ma cortese per farmi mollare la presa.
Dovevo trovare un modo per dimostrare loro che quanto stessi dicendo era vero. Qualsiasi modo.
«Ok, allora… chiedetemi qualcosa!… Qualcosa che solo Billie potrebbe sapere. Se sbaglio la risposta, vi lascio andare. Altrimenti, dovrete credermi.» decretai, più seria che mai. Mi spettinai i riccioli, nervosa. Non era stato un impulso del corpo di Harry, ero proprio io che mi sentivo agitata.
Vidi le due ragazze scambiarsi un’occhiata d’intesa. Lasciai andare Mona, indietreggiando di qualche passo per lasciarle parlare. Dopo alcuni istanti, fu Brooke a rivolgermi la parola.
«Come vuoi, Styles. Hai una sola possibilità, però.» ribadì la ragazza, sventolandomi l’indice davanti agli occhi. Annuii, incrociando le braccia.
Sapevo tutto, non avrei mai potuto sbagliare. E loro avrebbero dovuto credermi per forza.
«Dimmi il nome del mio peluche preferito.» disse Brooke. Sorrisi.
«Mr. Twinkle. È una foca della Trudy, che hai da quando avevi cinque anni.» risposi, decisa. La vidi spalancare la bocca, e poi coprirla con la mano di scatto. Iniziò a scuotere la testa, quando Mona mi afferrò per le spalle, piantandomi negli occhi lo sguardo più serio e inquisitorio che avesse.
«Cosa mi dicesti, quel giorno alle elementari, quando diventammo amiche per la prima volta?!» chiese, alzando un po’ la voce. Le sorrisi. Come dimenticare?
«I panda hanno sempre un occhio nero. Anzi, tutti e due.»
«Oh, mio Dio.» mormorò la ragazza, lasciandomi andare. Agganciai le mani alle spalline dello zaino, osservandole. Erano allucinate e incredule. Brooke, forse, ancora un po’ scettica.
«Mi credete, adesso?» domandai, e Mona annuii.
«Va bene, ammettiamo che dentro questo corpo ci sia Billie… ma perché è successo?!» sbottò Brooke, squadrandomi con attenzione, quasi stesse cercando una prova visibile della ragione di quanto era accaduto. Scossi la testa, mio malgrado.
«Non lo so, Brooke. Stamattina mi sono svegliata, ed ero Harry Styles. Impossibile da spiegare.» dissi, triste. Mi avevano finalmente creduta, perché le risposte a quelle domande potevo averle soltanto io. E non ci si poteva arrivare per esclusione, o lo sapevi o niente.
Vidi Brooke spostare lo sguardo oltre le mie spalle, e la sua espressione mutare in un lampo. Da frustrata, divenne nuovamente shockata. Mi accorsi che anche Mona fissava lo stesso punto, e tratteneva a stento una risata.
«Dio, Billie. Se prima avevo dei dubbi, adesso sono certa che qui dentro ci sia tu…» disse Brooke, battendomi una mano sulla spalla, senza riuscire a staccare gli occhi da quello che stava guardando. Le fissai, non capendo.
«Che cosa…»
«Voltati.» disse Mona. Feci come aveva appena detto, e per poco non svenni.
Nel cortile si era aperto un varco, e calato il silenzio. Tutti gli studenti si erano fatti da parte, per lasciar passare una ragazza.
Aveva le gambe più lunghe e belle che avessi mai visto, e uno charme impressionante. Portava i capelli sciolti sulle spalle, lisci e voluminosi, color cioccolato. Non era truccata, ma esercitava un fascino magnetico su chiunque la guardasse.
La maglietta che indossava era parecchio scollata, mettendo in mostra un generoso decolleté, e la minigonna svolazzava ad ogni suo passo. Incedeva sui tacchi come se passeggiasse con le sneakers.
I ragazzi si voltavano a guardarla, fischiandole dietro. Lei sorrise, passandosi una mano fra i capelli. Sembrava una bomba, una tigre. Una dea.
Ed ero io.
O meglio, Harry nel mio corpo. Mi coprii la bocca con la mano.
«Oh, santo cielo.» mormorai, non riuscendo a distogliere lo sguardo da lui… in me stessa.
Che cosa aveva combinato?! Neanche mi ricordavo di averli, quei vestiti.
Le scarpe, poi! L’unico paio con il tacco che avessi mai avuto il fegato di comprare, e che dovevo togliere di corsa dopo un’ora al massimo, perché mi facevano un male tremendo. E lui invece ci camminava sculettando, a lunghe falcate, come una modella alla sfilata di Prada.
Io non ero riuscita a salire su uno stramaledetto skateboard e Harry Styles si destreggiava sui miei stiletto da 12cm come se nulla fosse.
«Billie non si sarebbe mai conciata in quel modo…» disse Brooke a Mona, dietro le mie spalle. Ero troppo sconvolta per voltarmi a guardarle. «Appunto. Non può essere lei.» le rispose. Mi venne voglia di abbracciarla per aver finalmente capito, ma niente, ero paralizzata.
Harry mi individuò nella folla, e sorrise. Si avvicinò a noi, con calma, misurando i passi. Lo fulminai con lo sguardo, aspettando che mi venisse vicino per picchiarlo. Poi mi ricordai che quello era il mio corpo, e quindi non avrei potuto schiaffeggiarlo. Accidenti.
Poco prima di raggiungerci, Harry concluse la sua entrata in scena inciampando nei miei tacchi. Nel cortile scoppiò un boato di risate, mentre Billie Donovan si umiliava di fronte ad Harry Styles… in corpi diversi. Mi protesi in avanti per prenderlo al volo – per prendere me stessa al volo –, e impedirgli di farsi male.
Alzò lo sguardo, fra le mie braccia. Mi sorrise, seducente.
«Bella presa, Miss Perfezione.» sussurrò, rimettendosi in piedi. Lo fissai, con furia omicida.
«Harry… che cosa ti è saltato in mente?!» sbottai, cercando di non urlare per farmi sentire da metà corpo studentesco, che ci stava ancora fissando, fra le risate generali.
Era assolutamente indecente, con quella pezza di cotone al posto della gonna, e la maglietta più scollata che avessi mai visto addosso ad una ragazza. Ridacchiò, compiaciuto.
«Ti piacciono? Li ho trovati nel tuo armadio. Hai un corpo favoloso, dovresti scoprirlo più spesso…» commentò, sistemandosi il top. Mi affrettai a tappargli la bocca con la mano, prima che potesse sparare altre sciocchezze davanti alle ragazze. «Stai zitto, idiota, potrebbero sentirti!» sibilai, mentre lui cercava di liberarsi dalla mia presa. Mi abbassò la mano, riprendendo ossigeno.
«Di chi parli?», chiese, sporgendosi oltre la mia spalla. Vide Brooke e Mona, e le salutò con un sorriso ammaliante.
«Ah, intendevi la strafiga latinoamericana e una delle mie ex!» esclamò. Le ragazze lo salutarono sventolando una mano, cercando di frenare gli accessi di risa. Sospirai. «Si chiamano Brooke e Mona, Harry. Dovresti saperlo, sono nella tua stessa classe!» esclamai, lasciandolo andare. Roteò gli occhi, sorridendo.
«Non ricordo mai i nomi di tutte le ragazze che incontro…» commentò, spostando lo sguardo dall’una all’altra. Mi massaggiai le tempie, socchiudendo gli occhi.
Prevedevo una forte emicrania. E una lunga giornata.
«Sanno?» mi chiese, dandomi di gomito. Annuii, senza guardarlo.
«Billie non si sarebbe mai vestita così, Styles.» gli disse Brooke, squadrandolo da capo a piedi. Che rabbia vedermi conciata in quel modo, sapendo di avere un demonio scatenato dentro… e non poter fare nulla. A proposito.
«Aisha! Dobbiamo chiederle quella cosa!» esclamai, prendendolo per mano e trascinandolo via.
«Ehi, che modi sono questi? Stavo facendo conversazione…» disse, mentre le ragazze lo salutavano con un paio di smorfie, ridacchiando. Sbuffai, continuando a camminare. Lo sentivo arrancare sui tacchi, per cercare di starmi dietro.
Forse avrei dovuto essere più tollerante, con lui. Infondo era pur sempre nel mio corpo. Ma il guaio non l’avevo causato io, nonostante ne patissi le conseguenze. E quindi, niente pietà.
«Harold. Dove scappi con questa sventola? E senza salutarci nemmeno!»
Oh, accidenti.
Mi bloccai all’istante, riconoscendo fra mille quella voce sensuale e canzonatoria, che mi stava chiamando da qualche metro di distanza. Harry s’illuminò.
«Malik!» esclamò, lasciandomi la mano e correndo da Zayn. «No, Harry…!» cercai di fermarlo, ma niente, era già scappato da loro.
Come spiegare ai quattro ragazzi più ribelli e popolari dell’istituto la verità?
E cioè che l’Harry a cui loro erano abituati era nel mio corpo, di Billie Donovan?




Holls' Corner!:

Terzo capitolo, di già!! Comincio subito col dirvi che la povera Billie ne passerà di tutti i colori... specie con un pazzo scatenato come Harry nel suo corpo! Fortuna che anche le sue due amiche si son dovute ricredere, vendendolo, hahahah! Beh, nel prossimo capitolo compariranno anche gli altri quattro fenomeni, ma preparatevi... saranno molto diversi da come li conoscete voi!!
Comunque, non finirò mai di ringraziarvi abbastanza, perché appoggiate le mie folli idee... davvero, non immaginavo che la storia piacesse tanto! E Billie, poi! Lucy Hale ha spopolato, hahahaha! Per chiunque se lo fosse chiesto, Brooke ha il volto di
Jessica Jarrell, e Mona di Kay Panabaker! Mi hanno colpito molto, e le ho trovate abbastanza simili alle idee che mi ero fatta di questi due personaggi.
Bene, ora passo velocemente ai ringraziamenti, per chi recensisce e per i lettori tutti, sia che leggano e basta/seguano/preferiscano/ricordino la storia!! Grazie davvero!
Stasera vi lascio con un'altra gif Harry/Billie, sperando che vi piaccia come quella precedente! Mi farebbe piacere conoscere le vostre idee a riguardo del capitolo, sapere i vostri pareri... ci tengo!
Allora alla prossima, un bacione a tutti!


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Capitolo 4
*** IV ***









IV
 
 
Tra il reale e l'irreale c'è una porta: quella porta siamo noi.
(J. Morrison)

 
 


Billie

 
 

Raggiunsi Harry, gettandomi volontariamente in pasto ai lupi.
Parve ricordarsi di essere nel mio corpo un attimino in ritardo, perché i suoi amichetti lo stavano guardando come tanti gatti davanti ad un topo. Mi avvicinai a lui, infilando le mani in tasca. I ragazzi mi sorrisero.
Che paradosso: passavo tutto l’anno ad evitarli come la peste, e invece in quel momento mi trovavo perfino dentro il peggiore di loro. Li squadrai, senza espressione.
Il primo a sinistra, il biondo irlandese, Niall Horan. Era in classe nostra dal primo anno di superiori, essendosi trasferito da noi  da quando aveva tredici anni. Visino d’angelo, con grandi occhi azzurro cielo, dolci ed espressivi. Sorrideva sempre, nonostante le clip trasparenti del suo apparecchio fisso.
Biondo cenere con punte schiarite dal sole, indossava spesso cappellini a visiera piatta, come quella mattina. Gli piaceva girarli al contrario, di modo che alcune ciocche dorate fuoriuscissero dal foro del cappello, che avrebbe dovuto stare dietro invece che davanti. Vestiva come un indie baggy, con maglie extra large e pantaloni larghi un po’ cascanti, spesso e volentieri rattoppati e stinti in alcuni punti.
Era un patito dello skateboard, come Harry e il loro amico Louis. Gli piaceva anche cantare, non era raro che lo si sentisse intonare Michael Bublé per i corridoi. Nel gruppo, eccetto Liam, era l’unico a studiare e a preoccuparsi di avere una media decente, insieme ad una condotta accettabile.
Non ci eravamo mai parlati, perché lui era tendenzialmente un tipo timido, dopo le lezioni schizzava sempre fuori insieme ad Harry, impossibile intercettarli. Ogni tanto fumava, lo si poteva vedere all’angolo del cortile, a ricreazione, intento ad accendersi il drum che gli passava qualche suo amico. Fra tutti, era quello che sopportavo meglio.
Accanto a lui, c’era Liam Payne. Frequentava il nostro stesso anno, ma era nell’altra classe. Mi costava parecchio ammetterlo, ma spesso lui ed io ci contendevamo la media più alta a scuola. Tuttavia, ero certa che a casa sua non studiasse mai, come Harry. Campava di rendita sulle lezioni che ascoltava.
 Lui non andava mai in skate, anche se si vociferasse che fosse parecchio bravo. In compenso, imbrattava i muri inutilizzati della città, riempiendoli di graffiti pittoreschi insieme a Zayn Malik.
Liam non amava i jeans larghi e le maglie xxl, si vestiva abbastanza decentemente. Certo, adorava le camice a quadri e le Etnies, ma sempre meglio in confronto ai due soggetti con cui girava di solito. Era un tipo piuttosto chiuso, non aveva altri amici all’infuori del solito gruppetto, e dicevano in giro che non si ubriacasse mai, in qualsiasi occasione. Buon per lui.
Non lo sentivo parlare spesso, ma quando si pronunciava, lo faceva intelligentemente. Chissà come facesse ad andare d’accordo con quella bestia di Styles.
Passai al suo vicino, Zayn Malik. Il fatalone della scuola, l’arabo più caldo delle sabbie del Sahara. Capelli neri acconciati a ciuffo, sopracciglia ben delineate ad ali di gabbiano, seducenti e grandi occhi nocciola, contornati da lunghe ciglia. Naso perfetto, bocca rosea e voluttuosa, barba da tre del pomeriggio, fisico da modello. Dopo Styles, o prima, a seconda del tipo, era il ragazzo più bello della scuola. Peccato per la sua condotta.
Rispondeva, non studiava mai, finiva spesso in punizione. Tuttavia, per qualche assurdo motivo, riusciva sempre a non farsi bocciare. Lui era l’unico che curasse particolarmente il look, sfoggiando abbinamenti da preppy che avrebbero fatto invidia ai Backstreet Boys.
Adescava parecchie ragazze, tuttavia senza mai concludere nulla con nessuna. Non fumava, non andava in skate, non beveva. In compenso, graffitava insieme a Liam, e aveva il corpo pieno di tatuaggi dall’ignoto significato, per me.
Sapeva sempre dire la cosa giusta al momento giusto, e stava in classe di Payne. Non ci parlavamo, e mai m’aveva sfiorato il desiderio di farlo. In quel momento, era lui che fissava Harry – il mio corpo – mordendosi il labbro inferiore. Immaginai che tipe del genere, conciate in quel modo, dovessero fare al caso suo. Passai all’ultimo, all’estrema destra.
Louis Tomlinson. Il capobanda, quello più grande di tutti. Si vestiva da freak, si comportava da freak… in sostanza, era il freak.
Capelli sempre in piega perfetta, castano chiaro, con frangetta laterale immobile e punte scompigliate ad arte. Vispi occhi azzurri e nasino alla francese, labbra rosee e sottili, sempre sorridenti. Era il tipo che faceva tutto quello che gli passasse per la testa, non importava quanto folle.
Si divertiva ad abbinare pantaloni verde mela a magliette blu oltremare, girare per la scuola sventolando carote, parlare con i piccioni, urlare frasi dai libri che leggeva, scambiarsi i vestiti con Styles e quant’altro. Lui ed Harry erano migliori amici dalla prima liceo, inseparabili, come due cuffiette unite da un solo filo. Faceva sempre ridere tutti, era un leader nato, non a caso a capo del comitato studentesco. A scuola se la cavava, ma niente d’eccezionale. S’impegnava quel tanto che gli bastasse a non rischiare la bocciatura. Adorava andare in skate e dare feste, era un animale da party.
Personalmente, non lo sopportavo neanche un po’. Mi sembrava eccessivamente artificioso per essere vero, e troppo chiassoso. Si passò una mano fra i capelli, e mi sorrise. Distolsi lo sguardo immediatamente.
«Beh, Harry? Tutto bene ‘sta mattina? Mi sembri un po’ strano…» disse Zayn, sfiorandosi il naso con l’indice. Vidi il mio corpo agitarsi, sentendo il suo amico parlare a me e non a lui. Guardai Styles, che mi restituii un’occhiata ansiosa.
«Vuoi dirglielo tu?» mi chiese, mordendosi una pellicina sul pollice e barcollando sui tacchi per un istante. Con molta probabilità, gli stavano uccidendo i piedi.
Meglio così. La prossima volta avrebbe imparato a non fare il fighetto. Mi strinsi nelle spalle.
«Sono i tuoi amici, non i miei.» commentai, tornando a guardare il gruppetto di spostati di fronte a me. Harry sospirò, battendosi una mano sulla fronte – sulla mia fronte! – .
«Ragazzi… è successa una cosa.» esordì, prendendo la parola. Lo fissarono, sorpresi. Non si aspettavano certo che Billie Donovan iniziasse a parlargli con così tanta franchezza e familiarità. Mi passai una mano sulla faccia per reprimere un sorriso.
«Sei incinta di Harry?!» gli chiese Louis, con un’espressione a metà fra il dispiaciuto e il felice. Iniziai a tossire selvaggiamente. Incinta… di uno come lui?! Harry scoppiò a ridere, mentre io cercavo di non soffocare. Dannato Louis.
«No, no! È qualcosa di molto più folle!» rispose, sorridendo loro. Niall lo fissò, stralunato.
«Gli alieni vi hanno usato per i loro esperimenti.» azzardò, sistemandosi il cappellino. Vollero cadermi le braccia.
«Ho detto folle, non fantascientifico!» sbottò Harry, alzando un sopracciglio. Zayn sbuffò.
«E quindi? Arriva al dunque!» esclamò, spazientito.
Styles prese un gran respiro. Ecco, ora glielo diceva, e prendeva una bella cantonata. Ma grossa, enorme, elefantiaca…
«Io sono Harry. Nel corpo di Billie Donovan. E lei è nel mio.» disse, tirandomi un braccio, affondando le unghie nella carne.
«Ahi, scemo, mi fai male!» esclamai, divincolandomi. I ragazzi guardarono prima lui, poi me. Infine, si scambiarono delle occhiate perplesse.
«Dì loro qualcosa che solo tu potresti sapere, Harry. Così ti crederanno di sicuro.» dissi, incrociando le braccia e allontanandomi un po’ da lui, per non rischiare altre unghie nella carne. Ci pensò su, annuendo.
«Tu canti Michael Bublé sotto la doccia.» sentenziò, indicando Niall. Questi divenne rosso, fissandolo in silenzio.
«Hai la fobia dei cucchiai da quando ti costrinsero a mangiare la minestra, da piccolo» passò a Liam, «il tuo secondo nome è Jawaad» disse a Zayn.
«E tu… » si rivolse a Louis, sorridendo furbamente. «Ti fai chiamare Boo Bear da tua mamma.» concluse.
«Porca carota.» rispose Louis, passandosi una mano fra i capelli, incredulo.

 
 


Harry

 
 

Ecco, gliel’avevo detto. Non potevo credere di averlo fatto.
Suonava totalmente fuori di testa a me per primo, eppure sembrarono credermi. Mi fissarono, cadendo dalle nuvole, poi si guardarono, scambiandosi occhiate d’intesa.
Vidi Billie roteare gli occhi, sbuffando. Molto probabilmente si stava chiedendo perché ci mettessero tanto a capire. Anzi, erano stati pure fin troppo rapidi…
«La prima canzone che abbia mai cantato.» esordì Niall, puntandomi contro l’indice. Alzai un sopracciglio. Ah, ecco l’intoppo. Volevano la riprova, essere sicuri dell’impossibile. Sospirai.
«Moondance, di Michael Bublé.» risposi, e il biondo ammutolì. Fu il turno di Zayn.
«Il significato del mio nome e cognome.»
«Bellissimo re.» dissi, senza esitare. Lo vidi scuotere lentamente la testa, passando dal corpo di Billie al mio, con lo sguardo.
«Lo sport in cui ero più bravo da piccolo.» provò Liam. Che banalità
«Corsa.»
Guardai Louis.
Fissava un punto del pavimento, con il mento stretto fra indice e pollice, pensieroso. Billie iniziò a battere il piede a terra, ritmicamente. Si stava spazientendo, specie perché aveva un’altra cosa più importante da fare.
Sì, ma quello era importante per Harry. Avrebbe aspettato.
«La mia più grande paura.» disse Tomlinson, spostando il suo sguardo su di me.
Chiunque avrebbe potuto rispondere una stupidaggine qualsiasi. I ragni, le fate, i mostri, perdere un braccio… ma solo io sapevo quella giusta.
«Crescere, Louis.»
I muri invisibili crollarono di colpo, perché il ragazzo corse ad abbracciarmi. Scoppiai a ridere, mentre anche gli altri si univano alla stretta di gruppo. Mi avevano creduto, per fortuna.
«Ehi, state attenti! È il mio corpo, quello, non dimentichiamocelo!» esclamò Billie, tenendosi lontana dalla mischia. I ragazzi mi lasciarono andare.
«Pazzesco, Harold. Non avrei mai potuto immaginare che saresti diventato una donna…» commentò Zayn, squadrandomi da capo a piedi. Lo guardai male. «Non sono diventato Billie Donovan, Malik. Ci sono finito dentro per sbaglio, il che è diverso!» spiegai. Li vidi ridacchiare.
«Posso baciarti?» chiese Louis avvicinandosi. Non feci in tempo a rispondere, che sentii qualcosa afferrarmi il polso, e tirare talmente forte da farmi quasi perdere l’equilibrio.
Mi spostai di almeno cinquanta centimetri in un nanosecondo, dritto fra le braccia di Billie – nel mio corpo – che si serravano strette attorno alle mie spalle – il suo corpo –.
«Non se ne parla nemmeno, Tomlinson! Tieni quelle zampacce a posto, e soprattutto lontano dal mio corpo!» abbaiò, guardandolo male. Louis alzò le mani in segno di resa, mentre gli altri scoppiavano a ridere.
«Scusami, Donovan… avevo rimosso che dentro Harry ci fossi tu.» si giustificò, sorridendole dolcemente. Ma con lei non attaccava.
«E allora vedi di ricordartene.» lo ammonì, seria. Fummo interrotti dal suono della campanella, che annunciava una nuova ed emozionante giornata scolastica. Evviva!
Billie parve svegliarsi di colpo.
«Oddio! Aisha!» esclamò, lasciandomi andare e prendendomi per mano. Giusto, la bidella!
«Hai ragione, Billie… andiamo da lei.» dissi, e corremmo insieme verso l’entrata. O meglio, lei corse e io cercai di starle dietro, per colpa di quei dannatissimi tacchi stiletto che mi stavano martoriando i piedi.
Mi consolò l’idea che da lì a poco, almeno, avremmo saputo cosa ci era accaduto durante la notte.




Holls' Corner!:

Here we go, again!! Finalmente siamo arrivati a questo tanto atteso quarto capitolo, e avete conosciuto anche il resto della banda!!
Dite la verità, ve li aspettavate così? Onestamente ci ho parecchio lavorato sopra di fantasia, stravolgendo le loro abitudini, hahahahah! Però ho cercato di mantenere gli stessi caratteri, non ho voluto snaturarli più di tanto!
Questa volta, l'interrogatorio è toccato al povero Hazza nel corpo di Billie... e la ragazza a momenti si fa prendere le crisi per colpa di Louis, hahahahahah! E' senza speranza, quella zucca vuota di Tomlinson...!
Che dirvi? Sono davvero contenta che la storia vi piaccia, e io non me l'aspettavo per niente... credevo che, siccome fosse un po' strana, non vi sarebbe piaciuta. Invece è bello sapere che la vita capovolge sempre i piani delle persone, hahahahah! Penso che ormai per voi io sia "L'alternativa del fandom", hahahah!! E mi sta anche bene...!
Passo velocemente ai ringraziamenti, per tutti coloro che hanno recensito e inserito la storia fra i seguiti/ricordati/preferiti, anche chi la legge e basta, ovviamente!! E volevo immensamente scusarmi se non ho risposto alle recensioni sul capitolo precedente, da quella gran maleducata che sono. Appena ho due minuti, ora che la scuola FINISCE, avrete mie notizie, sul serio!!!
Bene, direi che per stasera ho parlato anche troppo...! Come al solito, ci terrei molto a sapere le vostre opinioni, se vi siano piaciuti o meno i 1D "alternate version"... quello che pensate, insomma! Vi lascio con la mia solita e immancabile gif, rinnovandovi i ringraziamenti!!
Alla prossima, un bacione!


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Capitolo 5
*** V ***








V
 
 
Non sappiamo quali saranno i giorni che cambieranno la nostra vita. Probabilmente è meglio così.
(S. King)
 
 


Harry
 
 

Entrammo a scuola prima di tutti gli altri studenti.
Appena varcato l’ingresso, cercammo Aisha con lo sguardo. La trovammo seduta al suo posto, intenta a limarsi le unghie, canticchiando un motivetto a me sconosciuto. Sembrava tranquillissima, come se fosse stata una giornata come tutte le altre. Probabilmente per lei lo era davvero.
Guardai Billie, e lei ricambiò l’occhiata d’intesa. Avanzammo verso di lei, tenendoci ancora per mano. Quando le fummo davanti, sentii il mio corpo tossicchiare educatamente per richiamare la sua attenzione. Allora, la bidella alzò lo sguardo. E ci sorrise.
«Ciao Billie,» esordì, indicando il mio corpo con la limetta, «ciao Harry.» concluse, spostando l’oggetto verso di me, nelle fattezze femminili. Sapeva?!
«Che cosa?!» esclamò Billie, con voce strozzata. Rimasi in silenzio, osservando la reazione della donna. Sorrideva sorniona, con le sue mille treccine color miele tenute su in una grossa cipolla, e gli abiti con colori sgargianti, larghi e ariosi. Pareva il ritratto della tranquillità. Iniziò a darmi sui nervi.
«Hai capito benissimo, Billie. So che lì dentro ci sei tu.» le rispose, posando la limetta. Vidi il mio corpo rovesciare la testa in avanti e spettinarsi i riccioli con una mano. Era nervosa.
«Quindi è tutta colpa tua.» le dissi, prendendo parola per la prima volta. Aisha spostò il suo sguardo su di me.
«No, Harry, il punto è un altro.» commentò, sistemandosi sulla sedia, come a volersi mettere comoda. Il resto degli studenti cominciò a riempire l’atrio e i corridoi, rumoreggiando e camminando svogliatamente. Vidi Louis, Niall, Zayn e Liam passarmi accanto, con la coda dell’occhio.
Avrei voluto anche loro accanto a me, per sostegno morale, ma sapevo che sarebbe stato inutile. Dovevo affrontarla da solo.
«E allora illuminaci, Aisha. Perché non è nemmeno un’ora e io già sono stufa di essere Harry!» sbottò Billie, mettendosi una mano sul fianco.
Che posa femminile, gentile, da donna! Mi venne da piangere, osservando gli altri studenti lanciare occhiate divertite al mio corpo, immaginando chissà che cosa.
«Se è per questo, non credere che trovarsi nei tuoi panni sia semplice! Hai idea di quanto facciano male i tacchi? Per non parlare del tuo davanzale, non posso vedermi i piedi!» esclamai, prendendo le mie difese. Billie mi guardò, arrossendo oltraggiata.
«Ah, sì? E chi ti ha dato il permesso di…»
«Basta, ragazzi!» ci redarguì la bidella, alzando la voce. Tacemmo di colpo, lasciandoci le mani e incrociando le braccia.
«Non lo capite? È proprio per questo che ho preparato quei biscotti, ieri!» disse, guardandoci apprensiva. «Sono quattro anni che non vi vedo fare altro all’infuori di litigare! Vi attaccate per qualsiasi sciocchezza, insultandovi anche pesantemente!»
«Ma io…» tentò Billie, ma Aisha la zittì.
«All’inizio delle superiori eravate così amici… perché ridurvi in questo stato?» ci chiese.
Sperai che volle essere una domanda retorica. Perché io non avrei risposto. Billie taceva.
«In ogni caso, non importa.» commentò. «Tuttavia, quei biscotti erano fatti con una ricetta segreta, che la mia famiglia si tramanda da generazioni. E non dovremo mai usarla, se non in casi veramente eccezionali.» spiegò.
«Ragion per cui, ieri li ho portati qui, sicura che tu» m’indicò, riferendosi al corpo di Billie, «ne avresti preso uno, e che poi avresti convinto anche lei» passò alla ragazza, nelle mie fattezze, «a mangiarlo.»
Ero shockato. Aveva calcolato tutto, fin nei minimi dettagli. Vidi Billie sbarrare gli occhi, scuotendo i riccioli. Eravamo così prevedibili?
Ma, ad ogni modo, perché arrivare a tanto? Cosa le avevamo fatto di male per meritarci una punizione simile?
Scavai nella memoria, cercando di trovare un episodio spiacevole per Aisha, di cui potessi esserne la causa… ma niente. Era l’unica con cui mi divertivo anch’io, che faceva sempre battute divertenti e ci passava le sigarette sottobanco. Forse era stata colpa di Billie, ma stentavo a crederci.
«Perché?» le chiese semplicemente la ragazza, con la mia voce. Aisha sospirò.
«Vi siete completamente persi, Billie. Ed è un peccato. Ecco perché ho voluto darvi una seconda possibilità.» disse, seria.
«Avete ventiquattrore di tempo per arrivare a conoscervi di nuovo, come quattro anni fa. Per tornare a capire chi siano veramente Harry Styles e Billie Donovan. Se entro la mezzanotte non ci sarete riusciti, allora rimarrete così per sempre.»  

 
 
 
 
 
 

Billie

 
 
 
«Cosa?!» esclamammo entrambi, shockati.
Ventiquattrore per conoscerci… di nuovo?! Era impazzita?
«Avete capito benissimo, ragazzi.» concluse, iniziando a riordinare alcune carte sparse sulla cattedra. Assurdo. « E dovreste sbrigarvi, le lezioni staranno per cominciare a momenti. Non vorrete finire in punizione anche oggi, che non avete nemmeno un minuto da perdere?» chiese, sorridendo dolcemente.
«Ma conoscere in che senso, Aisha?» provai a chiederle, per avere chiarimenti. Era stata troppo vaga e laconica, non avrei mai saputo come interpretarla!
«Vai, Billie, le risposte dovresti averle già tutte in pugno! Ci vediamo!» sventolò una mano e si alzò, lasciandoci lì come due cretini. Mi voltai a guardare Harry.
«Non è possibile.» commentai, iniziando ad indispettirmi. Lui si strinse nelle spalle, corrugando la fronte.
«Beh, è successo, quindi a quanto pare sì. È possibile.» rispose, stupidamente. Mi venne voglia di prenderlo a schiaffi, ma mi trattenni perché si trattava del mio corpo.
«Che avevamo in prima ora?» domandò, grattandosi la testa distrattamente.
«Chimica.» risposi, senza pensare. Oh, accidenti.
«L’interrogazione!» urlai, in preda al panico. «Forza, corri, andiamo in classe! Oggi quella comincia i colloqui!» dissi, fiondandomi su per le scale, sentendo Harry ticchettare sui miei stiletto, lentamente e di malavoglia. Quando arrivai in cima alla prima rampa di scale, e lo vidi arrancare sul terzo scalino, pallido per il dolore ai piedi, mi spazientii.
«Guarda tu se adesso devo anche fare palestra a scuola!» sbottai, passandogli un braccio sulle spalle e uno dietro l’incavo delle ginocchia, sollevandolo. Porca miseria, non mi ricordavo di pesare così tanto…
«Avresti anche potuto lasciarmi lì, eh…» commentò, stringendosi alla mia maglietta, mentre correvo per arrivare in tempo. Roteai gli occhi. «Devo ricordarti che sei dentro il mio corpo? E che la nota la metterà a Billie Donovan, se farai tardi?» gli dissi, sarcastica. Fece un verso sprezzante.
«Che sarà mai, una stupido ritardo… certo che sei proprio una secchiona.» disse, prendendomi in giro. Che simpatico, si permetteva anche di giudicare!
«E tu sei proprio un arrogante.»
 
 
 
 
Arrivammo in classe giusto in tempo per l’appello. Aprii la porta d’impeto, proprio nel momento in cui stavano chiamando “Donovan”.
«Presente, prof! Eccola!» esclamai, tirando Harry per un braccio, che entrò di malavoglia, con una smorfia. La Andrews si abbassò gli occhiali da lettura, trafiggendoci con lo sguardo.
Aveva sicuramente più di sessant’anni, il volto solcato dalle rughe vicino ai lati della bocca e sulla fronte, lisci e voluminosi capelli a caschetto pari, color mogano.
Vestiva sempre come mia nonna, con quegli orribili pantaloni di ciniglia che le stringevano i fianchi larghi, e aveva una passione smodata per le spille con gli animali. Quella mattina, ne esibiva una a forma di rana. Che cattivo gusto. Ed era solo la punta dell’iceberg.
Non avevo mai conosciuto una professoressa più acida, puntigliosa ed esigente di lei, non faceva mai battute, né tantomeno rideva. Ogni giorno si svegliava, indossava la sua maschera di presunzione e, impugnata la sua ventiquattrore in pelle da scienziata pazza, s’incamminava verso scuola.
La chiamavo “AndRacchia”, e avevo i miei buoni motivi. Anche perché era l’unica che mi dava sempre B, B+, B++. Mai che si fosse sperticata a scrivere una schifosissima “A” su quel suo inutile registro. Mi faceva venire i travasi di bile solo a guardarla.
Le sorrisi, amabilmente – per quanto potessi esserlo con la faccia di quello scemo di Harry –. Styles la fissò con astio, facendo assumere al mio corpo un’aria tremendamente antipatica.
Ma che gli prendeva? Era tutto l’anno che cercavo di piacere a quella docente, e lui mandava tutto in fumo per un’occhiata?! Gli diedi una gomitata, continuando a sorridere.
«Beh? Le lezioni cominciano alle otto e dieci. Siete esattamente due minuti in ritardo.» commentò l’arpia, inforcando gli occhiali e scribacchiando sul suo registro. La guardai, sconvolta.
«Ma prof, eravamo giù con Aisha…» tentai di giustificarci, ma guadagnai un’occhiata torva.
«E quindi? Sareste dovuti salire immediatamente, non intrattenervi a fare salotto con la custode.»
«Dio, sono solo due minuti… non muore nessuno per centoventi secondi.» disse Harry, sfilandosi lo zaino dalla spalla e ticchettando fino al suo solito posto, all’ultimo banco.
Che?!Cos’era quella rispostaccia?!
«Donovan, non permetterti più di parlarmi a quel modo.» lo redarguì, posando la penna sulla cattedra. Harry si strinse nelle spalle, sedendosi sguaiatamente e appoggiando la testa al muro. Oh, santa madre.
«La scusi, prof… stamattina è un po’ nervosa.» dissi, e mi fiondai accanto a lui, posando con calma lo zaino a terra e scostando la sedia.
Racchia Andrews ci lanciò un’ultima occhiata truce, poi tirò fuori  il suo adorato libro di testo dalla borsa di tela, sprofondandovi dentro. Il resto della classe iniziò a mormorare, facendo commenti sul mio aspetto e sui modi gentili di Harry. Ovviamente, non potevano sapere la realtà.
Vidi Brooke e Mona sporgersi dal loro banco, alla seconda fila di sinistra. Mi individuarono, e sorrisero solidali. Feci loro una smorfia di disperazione. Niall si girò, dal suo posto avanti a noi. Squadrò prima me, poi fissò Harry. E arrossì, voltandosi di scatto. Allora trasalii.
«Harry! Siediti composto, hai una minigonna!» sbottai, a mezza voce.
Styles, nel mio corpo, aveva mantenuto i suoi atteggiamenti molto liberi e tranquilli. Infatti, sedeva leggermente sprofondato sulla sedia, con le gambe aperte alla maschiaccio, la testa contro il muro, fissando da sotto in su il resto della classe.
Mi stava facendo sembrare una pornostar di bassa lega, in pausa dalle riprese per un nuovo film osceno! Che vergogna!
Si rianimò grazie alla mia gomitata, e chiuse di scatto le gambe, raddrizzandosi con la schiena. Presi un gran respiro, augurandomi che nessuno l’avesse visto. Ecco perché Niall si era voltato di scatto, prima.
«Billie, posso chiederti un favore?» mi domandò, avvicinandosi e sussurrandomi nell’orecchio. Alzai un sopracciglio, passandomi distrattamente la mano fra i riccioli. Però, erano davvero morbidi…
«Smettila di avere atteggiamenti così femminili. Mi farai passare per gay, e nessuna ragazza vorrà più uscire con me.» scandì, per poi tornare tranquillamente al suo posto. Arrossii di colpo.
In effetti, sedevo un po’ troppo compostamente per essere un ragazzo virile. Ma che diamine, ero pur sempre una donna, mi piacevano i tacchi e le cose carine! Tuttavia, cercai di sforzarmi, e a non essere troppo ingessata.
Allargai le gambe, poggiando un braccio sul banco, e uno sullo schienale della sedia. Imbastii uno sguardo strafottente, fissando la prof. Poi, però, me ne vergognai, e mi misi a cincischiare con l’astuccio.
Sentivo Harry trattenere le risate, accanto a me. E io avrei dovuto conoscerlo di nuovo, entro quella giornata? Mi ritrovai a sperare nei miracoli.



Holls' Corner!!:

Quinto capitolo, yeah!! Beh, ora avete scoperto com'è che Harreh s'è svegliato nel corpo di Billie, e viceversa, hahahah!!
Da qui in poi, cominceranno i "dolori" per entrambi! Cosa si prova ad essere una secchiona nei panni dell'ultimo della classe?? Lo scoprirete nel prossimo capitolo, dove vedrete un Harry un po' diverso da come l'ho descritto fino ad ora... ebbene sì, anche lui ha un cuore!!!
Che dirvi? Scusatemi il ritardo, ma ho avuto parecchi impegni ultimamente, e non sono proprio riuscita a postare prima...! Ma adesso cercherò di rimediare ;)! Vorrei subito ringraziare tutti coloro che leggono la storia, recensiscono e l'hanno inserita fra i seguiti/ricordati/preferiti! Grazie davvero, a tutti!!
Beh, stasera non c'è molto da dire, perciò vi lascio con la mia consueta gif... sono davvero contenta che vi piacciano, comunque!! Ormai mi sto impratichendo ben bene, hahahahah!!
Come al solito, ci terrei a sapere le vostre impressioni sul capitolo, o i vostri pareri, mi farebbe molto piacere!
Allora alla prossima, un bacione a tutti!!


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Capitolo 6
*** VI ***






VI
 
 
 
Il vero casino della vita, pensò, era dover fare i conti con i problemi altrui.
(C. Bukowski)
 
 
 
Billie

 
 

«Bene, dunque… interroghiamo.»
Mi drizzai di scatto sulla sedia, mentre in aula calava il silenzio. Harry, accanto a me, era tranquillissimo. Aveva tirato fuori il suo quaderno d’appunti, e stava graffitando una pagina bianca, in completo menefreghismo. Che rabbia.
«Harry!» sibilai, dandogli un colpetto sulla gamba. Alzò lo sguardo, infastidito. «Che vuoi?» chiese, sgarbatamente. Guardai prima il quaderno, poi di nuovo lui. «Leva quel coso di lì.»
«Fatti gli affari tuoi, Miss Perfezione. E lasciami in pace.» rispose, tornando a schizzare con tratti piccoli e decisi, ignorandomi della grossa.
Mugolai, cercando di contenere la rabbia. Mi avrebbe rovinato, lo sentivo. La Andrews m’inchiodò con lo sguardo. Non Harry, nel mio corpo. Proprio me, nelle fattezze del ricciolo.
«Styles, questa mattina mi sembri più loquace del solito.» commentò, acida. Deglutii, in silenzio. Intanto, accanto a me, il diretto interessato continuava a disegnare, incurante.
«Troviamo una maniera costruttiva d’impiegare la tua inaspettata parlantina.» mi sorrise, come il boia sadico che brandiva l’accetta, pronto a decapitare i malcapitati. «Vieni, vieni alla lavagna.» zac!, la mannaia era calata.
Scostai la sedia, in silenzio, e mi alzai. Fortuna che avevo studiato. La fissai, cercando di mostrare una calma che in realtà non avevo. Quella donna mi agitava, era malvagia. Mi sorrise, ancora più sanguinaria di prima, se possibile.
Lanciai un’occhiata furtiva a Brooke e Mona, che mi mostrarono i pollici alti sotto il banco. Raggiunsi la cattedra, sprofondando le mani in tasca. No, troppo maleducata.
Allora incrociai le braccia. No, troppo sulla difensiva.
Esasperata, le lasciai lungo i fianchi, aspettando che l’arpia parlasse. Sentii Niall e Harry, dai loro banchi infondo, soffocare una risata. Li fulminai con un’occhiataccia. Mi sarei vendicata presto.
«Prendi il gesso, Harry, e scrivi.» ordinò. Feci come mi aveva detto, felice di non dovermi alzare più di tanto per arrivare all’estremità della lavagna.
Tuttavia, mi sembrava così strano dover rispondere a quel nome, quando sapevo che non era certo il mio. Eppure sì, per quel giorno.
«CaSO4, HS, Ca(OH)2. Nomenclatura di tutti e tre.» scandì, e io scrissi, rapidamente. Bene, li sapevo. «Avanti, tanto ci vorrà poco, so già che non hai studiato.» commentò, sfogliando distrattamente il libro, aspettando che ragionassi sulla risposta.
Che strega! E Harry si faceva trattare in quel modo? Ah, già. Le rispondeva male, e finiva dal preside. Beh, per una volta quella racchia si sarebbe dovuta ricredere.
«Tetraossosolfato di calcio. Solfuro d’idrogeno. Didrossido di calcio.» elencai, di getto, senza esitare.
«Che ovviamente sono… come?» chiese, leggermente incredula. Batté più volte le palpebre, e io ripetei i nomi. Non poteva credere alle sue orecchie.
«Sono… sono giusti. Definizione di Ossoacido.» chiese, agguerrita e sospettosa. Le riposi correttamente, allora continuò a tartassarmi per altri dieci minuti, ma inutile. Non sbagliavo un colpo.
Alla fine, dovette arrendersi all’evidenza: Harry Styles aveva studiato, quel giorno. Perché non poteva sapere che nel suo corpo c’era Billie Donovan. Mi spedì a posto, rabbiosamente.
«Per quanto sia restia a credere a ciò che è appena accaduto, sono costretta a darti una A, Styles. Non ne hai dimenticata una. Mi chiedo quale miracolo ti sia successo, questa notte. Ieri non sapevi neanche cosa fosse un semplice becher.» disse.
Cosa?! Io mi affannavo tutto l’anno, e bastava una semplice interrogazione per fargli prendere una A?! tu guarda… però ero contenta, in un certo senso. Ero riuscita ad alzargli la media, che si manteneva sulla B stiracchiata. Ultimamente, poi, aveva preso una sfilza di D.
Mi sedetti, con soddisfazione. Così imparava, AndRacchia. Niall si voltò di tre quarti, e mi sorrise, facendomi l’occhiolino. Roteai gli occhi, ridendo in silenzio. Vidi harry sporgersi verso il mio quaderno aperto, e scrivere qualcosa, con la sua grafia sinuosa e frettolosa.

 

Grazie, Billie. Ti restituirò il favore.

 
 
Alzai un sopracciglio, e risposi sotto.
 

Ma io non voglio niente, in cambio.

 
Harry lesse, e sorrise fra sé, ritornando al suo complicato graffito.
Sbirciai oltre la sua spalla, e vidi che aveva schizzato una grossa “B”, tutta attorcigliata e bella piena. Cavolo, che bravo. Non era poi cambiato così tanto, da quando era piccolo.

 
 
 

Harry

 
 

E così, quella scemetta della mia vicina di casa mi aveva salvato la media, in chimica.
Era stata interrogata, ed era andata benissimo. Aveva parlato come una macchinetta, centrando risposta su risposta, punto su punto, e guadagnandosi una A. O meglio, io l’avevo presa, grazie a lei.
Era stato paradossale vedere il mio corpo parlare in maniera così sciolta in chimica, scandendo i nomi con la mia voce. Scuotendo i riccioli, ogni tanto, quando era più nervosa. Aveva ancora gli atteggiamenti troppo misurati, ma stava iniziando ad abituarsi al nuovo corpo. Le promisi che le avrei ricambiato il favore, ma non avrei mai creduto di farlo in maniera così rapida.
All’ora prima di pranzo, Billie aveva il corso di educazione fisica, mentre io avrei dovuto seguire trigonometria. Così ci eravamo salutati rapidamente, e lei mi aveva fatto una ramanzina di ben cinque minuti prima di lasciarmi andare.
 Perché? Perché le sue compagne si cambiavano, negli spogliatoi. E, nonostante fossi nel suo corpo, io ero pur sempre un ragazzo. Eppure, guardando attraverso gli occhi di Billie, le ragazze non mi facevano poi molto effetto. E quel piccolo particolare mi mancava da morire.
Tuttavia, mi armai di pazienza e ovviai il problema del cambio, raccattando i pantaloni della tuta, le scarpe da ginnastica e chiudendomi in bagno. Quando fui pronto, spalancai la porta, non alzai mai lo sguardo dal pavimento, gettai la minigonna sullo zaino, i tacchi a terra e uscii di corsa.
Sospirai, congratulandomi con me stesso. Non ero mai stato così casto e puro in vita mia. E tutto per non far arrabbiare Billie. Solo che lei non l’avrebbe mai saputo…
«Dove scappi, Styles?»
Mi voltai di scatto. Brooke mi aveva preso a braccetto, sorridendomi con gentilezza.
«Ho visto come ti sei comportato, prima. E bravo!» esclamò, avanzando verso la palestra. Sorrisi anch’io.
«Lo dirai a Billie?» le chiesi, speranzoso. Annuì. «Puoi contarci.»
«Allora, come se la cava, in questa materia?»
«Urgh
Quella risposta sembrava un rantolo. Dedussi che Miss Perfezione doveva essere brava in tutto tranne che in educazione fisica. Come le  migliori secchione che si rispettino.
Vidi Mona raggiungerci, sorridendomi con circostanza. Eravamo stati insieme in terza, ma poi l’avevo mollata per una biondona più grande di me, e ci era rimasta veramente male. Peccato, perché era una bravissima ragazza e un po’ mi dispiacque, per come l’avevo trattata. Ma ormai il passato era passato.
Aspettai che il resto della classe uscisse dagli spogliatoi, e intanto ne approfittai per informarmi su Billie. Aisha aveva detto che avremmo dovuto conoscerci di nuovo, come quattro anni fa. Quale modo migliore, allora, se non chiedere alle sue due migliori amiche?
Infatti scoprii che non aveva ancora mai avuto nessun ragazzo serio, il suo film preferito era Elizabetown, il suo libro preferito Orgoglio e Pregiudizio, odiava il gelato al cioccolato e lo sport, aveva una cotta per Johnny Depp…
«Ragazzi, un po’ di silenzio, per favore!» esclamò il professore, battendo le mani, mentre l’eco si diffondeva per la palestra. Calò il silenzio e ci mettemmo in riga, aspettando che prendesse nuovamente la parola.
Raymond Jones era il classico docente di educazione fisica, del tipo più comune.
Trentenne, biondo occhi azzurri, palestrato, avvenente e perennemente abbronzato, che si comportava più da amico che da professore. Con lui avevo uno dei voti più alti di tutta la classe, mi adorava. Peccato che quella mattina fossi nel corpo di Billie Donovan.
«Allora! Ve l’avevo già promesso l’altra volta, e manterrò la parola. Oggi faremo basket!» annunciò, e i ragazzi esultarono. Me compreso. Brooke e Mona mi guardarono molto male.
«Sai che Billie detesta il basket?» mi chiese Mona, con una punta di sarcasmo. Il docente iniziò a dividere gli studenti in squadre.
«Lei sì. Harry Styles no di certo. E ho un favore da restituirle…»
 
 
 
 
 
«Ok, basta, andatevi a cambiare! Accidenti, Donovan! Sei un uragano!»
Saltai per un’ultima volta, mandando la palla a canestro, e segnando la vittoria schiacciante della mia squadra.
Scoppiai a ridere, mentre i ragazzi mi circondavano battendo il cinque, e le ragazze schizzavano negli spogliatoi, infastidite da tanta esaltazione. Ero stato grande.
Avevo deciso di impegnarmi il doppio, perché volevo dimostrare che anche Billie Donovan meritasse una A in educazione fisica. E poi, il suo corpo era piuttosto agile e veloce, quindi non mi ero neanche dovuto sforzare troppo.
Raccolsi i complimenti di tutti, mentre mi avvicinavo al professore, accaldato e con i capelli per aria. Lo vidi sorridere, entusiasta.
«Che è successo? In genere aborrisci la mia materia!» esclamò, aprendo il registro e cercando il nome di Billie. Risi.
«Beh, diciamo che… il basket mi piace più delle solite cose!» risposi, cercando di sembrare brioso come lei. Jones sembrò credermi.
«Avresti dovuto dirmelo subito! L’altra volta non sembravi così entusiasta…»
«Era per dissimulare.» dissi, sorridendo dolcemente. Billie detestava quello sport. Ma lui non avrebbe dovuto necessariamente saperlo. Ridacchiò.
«Va bene… diciamo che oggi mi hai veramente sorpreso. Ti do una A, Billie. Te la sei meritata tutta.» decretò, scrivendolo sul registro. Gli sorrisi, illuminandomi. «Grazie mille, prof!» dissi, e tornai allo spogliatoio.
E così, Miss Perfezione aveva il massimo dei voti anche in educazione fisica, grazie a me. Me ne compiacqui. Tuttavia, ero talmente stanco e affamato che mi sfilai i pantaloni e le sneakers di volata, rimettendomi i miei vecchi vestiti provocanti, senza nemmeno rinchiudermi in bagno. Tanto non avrei fatto caso comunque alle altre ragazze.
Brooke e Mona si complimentarono con me, insieme ad un paio di compagne di Billie. Raccattai lo zaino, e me l’issai in spalla. Non vedevo l’ora di andare a mangiare.
«A cosa dobbiamo questo cambio di look, Donovan?»
Mi voltai, e vidi Beth  Greengrass squadrarmi da capo a piedi, spazzolandosi i lisci capelli neri. Anche lei era stata con me. Il tempo di una notte, ma quelli erano dettagli. Come persona, era abbastanza perfida e arrivista. Ma non sapevo che avesse qualcosa da spartire con Billie. Alzai un sopracciglio.
«Dove sono andati i tuoi vestitini bohemien? Non siamo un po’ troppo libertine, questa mattina? Per non parlare del basket… sembri un’altra.» commentò, posando la spazzola e tirando fuori lucidalabbra e specchietto.
Si era già vestita, con un abbinamento di tutto punto, firmata da capo a piedi. Non era la reginetta della scuola, ma senza dubbio l’ispirazione aveva quella matrice. Non mi piaceva ciò che avesse appena detto, ma soprattutto non mi piaceva il modo in cui l’aveva fatto.
Mi sistemai lo zaino in spalla: urgeva una bella lezione. Poteva essere bella e brava a letto quanto le pareva, ma occhio alle parole. Specie se si riferiva a Billie.
«Sai, Beth… meglio essere libertine per una sola mattina, che per tutte le notti… e avere una fama come la tua.» commentai, e uscii dallo spogliatoio, lasciandola con il lucidalabbra a mezz’aria e l’espressione sconvolta.
Sentii un grande scroscio di risa, unito a commenti anche un po’ pesanti sulla mora. Non sapevo che Billie si scontrasse con lei. Conoscendola, molto probabilmente non le rispondeva nemmeno. Incassava tutto, e poi iniziava a farsi mille complessi, come quando avevamo iniziato il liceo.
Inutile ripeterle che per me era bellissima così com’era, inutile mettersi a dieta, tingersi i capelli… Billie aveva sempre avuto un sacco d’insicurezze, nonostante potesse sembrare che niente la scalfisse o preoccupasse.
Solo io sapevo quello che aveva passato alle medie, quando la prendevano in giro per l’apparecchio fisso e qualche chiletto in più. Solo io la stringevo, quando piangeva di nascosto, al nostro solito ritrovo, lontano dagli occhi di tutti. Poi, al liceo era cambiato tutto.
Avevo conosciuto altri amici, e mi ero allontanato da lei. Billie innalzava muri su muri, per tenermi fuori dalla sua vita, per frapporre chilometri e chilometri tra noi. Ci eravamo sentiti sempre meno, fino ad ignorarci completamente.
Allora, erano arrivati l’odio e la rabbia, la frustrazione e l’invidia per il modo in cui l’altro si divertiva con i suoi amici. Ma non avevo mai smesso di tenerla d’occhio, nonostante dimostrassi il contrario. Finché ero io ad offenderla o prenderla in giro, a trattarla perfino male… andava bene. Guai se l’avesse fatto qualcun altro. E quanto era accaduto con Beth poco prima ne era la riprova.
Solo io potevo permettermi di parlarle in quel modo, e non l’avrei mai lasciato fare a nessuno all’infuori di me.



Holls' Corner!:


Oddio, siamo già al sesto... a momenti se n'è andata quasi mezza ff, già!!! Eh sì, perché 24 Hours durerà solo 13 capitoli!! Mi dispiace che vi dispiaccia (?) della sua brevità, ma ho preferito non renderla troppo lunga, anche perché non è stata programmata come long impegnativa!
Bene... ve l'aspettavate, una conclusione di capitolo simile? Anzi... ve l'aspettavate un Harry simile?? E vi dirò di più, a breve cambierete totalmente idea su di lui. Ma non voglio sbottonarmi troppo, altrimenti vi tolgo tutto il piacere della scoperta, hahahahahah!! Che altro dirvi?? Nel prossimo capitolo ci sarà di nuovo la band al gran completo, per la vostra gioia, hahahah!
Come sempre, vorrei ringraziare tutti coloro che leggono la storia, la recensiscono e l'inseriscono nei seguiti/ricordati/preferiti!! Beh, anche per stasera vi lascio con la solita gif, facendo un grosso in bocca al lupo a tutti gli "esamimandi"! Resistete, fra poco sarà finita anche per voi!!
Per ultimo, vorrei ricordarvi che mi farebbe davvero un grossissimo piacere conoscere le vostre idee e pareri sul capitolo, come al solito... ci tengo, eh!
Un bacione a tutti, alla prossima!!!


 

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Capitolo 7
*** VII ***




 

VII
 
 
Le cose sono diverse da come appaiono. Ma non si lasci ingannare. La realtà è sempre una sola.
(H. Murakami)
 
 
Billie

 
 
 
«Sigaretta? Ah, giusto… le secchione non fumano.»
Lanciai un’occhiata di sbieco a Louis Tomlinson, che mi sorrise dolcemente, tirando fuori la Marlboro dal pacchetto e portandosela alle labbra.
Loro, l’ora di pranzo la passavano in giardino. A fumare, ridere e mangiare panini. Mi sembrava così strano frequentarli, sebbene esteriormente potesse essere normale. Harry Styles era con i One Direction. Regolare. Quei cinque scemi si facevano chiamare così, a scuola. Il motivo, però, l’ignoravo.
Ma cosa accadeva se nel corpo del ricciolo c’era una ragazza? Billie Donovan, l’anti-One Direction per eccellenza? Beh, in fin dei conti poteva anche sembrare divertente.
«Non sapevo che Styles avesse certe abitudini.» commentai, sedendomi sul muretto e spettinandomi i riccioli. Zayn prese posto accanto a me, e Liam passò un panino a Niall, di fronte a noi. Louis ridacchiò.
«Quel ragazzo è pieno di sorprese, Donovan. È un peccato che non vi frequentiate più.» rispose, sbuffando il fumo verso l’alto, tenendo la sigaretta fra indice e medio. Puah.
Dovetti ammettere che, da quella prospettiva, Louis Tomlinson sembrava parecchio figo. Ma era comunque un caso senza speranza, come i suoi amici, con cui avrei dovuto parlare giusto il tempo di riavere il mio corpo. Dopodiché saremmo potuti tornare ai bei giorni in cui c’ignoravamo a vicenda, e io vivevo meglio.
«Non mangi, Billie?» mi chiese Niall, addentando il suo panino.
Gli sorrisi tristemente, scuotendo la testa. Quella mattina, con tutto il trambusto che c’era stato, mi ero dimenticata di prepararmi il pranzo. I pasti della mensa facevano schifo, e quindi mi sarei dovuta rassegnare ad una lunga giornata di digiuno.
Povera me. Sradicata nel corpo di un ragazzo, e affamata. Cosa poteva esserci di peggio?
«Tieni.» disse, dividendo in due il panino, e porgendomene una metà. I ragazzi lo guardarono, allibiti.
«Niall Horan che… lascia del cibo a qualcuno!» esclamò Zayn, ridendo.
«Ragazzi, questo sì che è un evento!» commentò Liam, passandosi una mano fra i capelli. Presi il pane che mi stava tendendo il biondo, ringraziandolo con riconoscenza. Mi sorrise, sistemandosi il cappellino.
Lo sapevo che quel ragazzo era buono, sotto sotto.
«Comunque, Billie… non avresti dovuto imparare a conoscere di nuovo Harry, entro la mezzanotte?» domandò Louis, tirando un’altra boccata alla sigaretta.
Ah, già. E io che cercavo di dimenticarmene per cinque minuti, fingendo di essere ancora me stessa…
«Sì. Ma non so da che parte cominciare…» ammisi, mordendo il mezzo panino.
Styles, – nel mio corpo – aveva riferito ai ragazzi la chiacchierata con Aisha. E loro si erano entusiasmati, come se gli avessimo appena regalato un nuovo videogioco, o resi partecipi di uno strambo segreto.
 In tutto quel tempo, avevo cercato di dedurre quanto più potessi su di lui, in base alle reazioni dei docenti, o dei compagni di classe. Harry era il tipo che a lezione non stava mai attento, andava fortissimo ad educazione fisica, benino in matematica… ma era un disastro a letteratura.
Le ragazze facevano a gara pur di guadagnarsi un sorriso da lui, certe lo seguivano fino agli armadietti, per scattargli foto di nascosto col cellulare. Ne avevo beccata una, e le avevo urlato di farsi una vita e aspirare a qualcosa di meglio di Harry Styles, come ragazzo. Ma niente, era corsa via dalle sue amichette, a dire loro che “lo strafigo della classe F le aveva appena parlato!”. Che povertà di spirito.
Comunque, oltre a quello e alla sua disastrosa e desolante situazione famigliare, non sapevo altro. E mi vergognavo da morire a chiedere in giro. Detestavo ammettere che mi servisse l’aiuto di qualcuno, avevo sempre cercato di cavarmela da sola, in ogni situazione. Ma dovetti riflettere che quella andava parecchio oltre le mie possibilità.
«Ragazza. Siamo qui per questo. Sfruttaci.» mi disse Louis, spegnendo la cicca rovente sotto la suola della sua scarpa.
Scoppiai a ridere, mentre Niall si sedeva per terra a gambe incrociate, imitato da Liam. Tomlinson prese posto accanto a me, dall’altro lato. Mi sorrise, piantando i suoi occhioni azzurro cielo nei miei.
«Ok, ok, come vuoi. Ditemi a turno qualcosa che dovrei sapere di Harry.» proposi, addentando di nuovo il panino, che stava per finire. Rifletterono per alcuni istanti, poi fu Niall a prendere parola per primo.
«I suoi preferiti, musicalmente parlando, sono i Queen.» riferì, sorridendomi. Memorizzai l’info, ricordandomi delle gigantografie in camera sua.
«Adora cantare, e ha una bella voce.» disse Zayn, passandosi una mano fra i capelli, sistemandosi il ciuffo. Alzai un sopracciglio.
Ripensai alle serate karaoke che passavamo quando eravamo piccoli, alle canzoni che canticchiava alle medie… ma non immaginavo che avesse sviluppato quell’attitudine.
«Il suo idolo è Mick Jagger.» commentò Liam, strappando un filo d’erba da terra, e rigirandoselo fra le dita. Vero.
Anche alle medie si atteggiava come lui, vestendosi in maniera eccentrica, muovendosi come solo Jagger avrebbe potuto fare. Una volta arrivò perfino a tingersi i capelli. Sorrisi a quel ricordo.
«Non si è mai dimenticato di te.» pronunciò Louis, incrociando le dita e guardando un punto imprecisato del giardino davanti a noi. Il cuore mi martellò in petto, e deglutii. Mi voltai di scatto a fissarlo.
«In che senso, Louis?» gli chiesi, mentre fra i ragazzi calava un silenzio leggermente pesante. Il ragazzo sorrise.
«Tu credi che lui viva in un mondo parallelo al tuo, faccia esperienze completamente diverse, frequenti brutta gente… » elencò, sulle dita della mano. «Ma, soprattutto… sei convinta che per Harry non esista altro all’infuori di noi, dello skate e della musica. Giusto?»
Non risposi, abbassando lo sguardo.
Aveva ragione, pensavo ognuna di quelle cose. E ne ero stata fermamente convinta per ben quattro lunghi anni della mia vita. Tempo in cui avevo passato molte serate a piangere nella mia camera, perché lo vedevo prendere brutte abitudini, e non potevo fare niente per aiutarlo. Perché ero ormai certa che lui non mi appartenesse più. Che mi avesse… dimenticata, sì.
«Chi tace acconsente.» disse Louis, scompigliandomi i capelli con la mano. Gli sorrisi, allontanando le sua dita dalla testa di Harry – che, in quel momento, era la mia –.
«E io, invece, voglio dirti una cosa.» riprese, scostandosi la frangetta perfettamente in piega. «Lui tiene a te molto più di quanto immagini. Solo che… non lo dimostra.» disse, concludendo. Annuii, senza parlare.
Non lo credevo possibile. Davvero Harry Styles pensava ancora a me? Ricordava tutto il tempo che avevamo trascorso insieme? Non mi aveva rinchiusa insieme a quelle vecchie foto e ai giocattoli, nella soffitta della memoria?
«Oh, eccolo che arriva.» disse Louis, sentendo l’eco dei tacchi che martellavano l’asfalto, e sporgendosi oltre le mie spalle. Mi voltai, seguendo il suo sguardo.
Harry – nel mio vero corpo – avanzava sorridendo, passandosi una mano fra i capelli e accelerando il passo. I ragazzi si alzarono, correndogli incontro. Lo circondarono in un abbraccio fraterno, ridendo e parlando tutti insieme.
Rimasi dov’ero. E iniziai a guardarlo con occhi nuovi. Perché qualcosa mi diceva che Louis era stato sincero, poco prima.

 
 
 

Harry

 
 
Arrivai in giardino, senza nemmeno passare per la mensa.
Il cibo che cucinavano faceva veramente vomitare, e avevo sempre sospettato che fosse roba aliena spacciata per “manzo”, “pollo” e altre porcherie.
Appena mi videro, i ragazzi corsero ad abbracciarmi tutti insieme. Sapevo che erano lì, passavamo tutti gli intervalli del pranzo fuori, mangiando panini e fumando. Era il nostro modo per distinguerci, nessun altro lo faceva. Fui felice di quell’accoglienza, i loro modi goliardici iniziavano a mancarmi. Quando mi lasciarono, cercai Billie con lo sguardo.
 La trovai seduta sul muretto, che mi sorrideva dolcemente. Era strano vedere me stesso con gli occhi di lei, e scoprire che mi trovasse attraente. La raggiunsi, cercando di ignorare il dolore ai piedi. Rovesciò la testa in avanti, e si spettinò i riccioli.
Quando alzò lo sguardo, capii che c’era qualcosa di diverso in lei. E non si trattava solo del fatto che fosse nel mio vero corpo. Mi sedetti accanto a lei, attento a non allargare le gambe. I ragazzi rimasero a chiacchierare fra loro, poco distanti da noi. Sospettai che avessero voluto lasciarci soli di proposito. Poco male.
«Sono lieto di annunciarti che… hai appena preso una A in educazione fisica.» dissi, con nonchalance, fissando le unghie del corpo di Billie. Lunghe e ovali, laccate di rosso ciliegia.
«Che cosa?!» esclamò, alzandosi di scatto. Le sorrisi.
«Già. Hai dato una fantastica prova di basket, stupendo Jones e tutti i ragazzi della...» cominciai a dire, ma non finii la frase. Billie mi aveva abbracciato d’impeto, stringendomi felice.
«Non posso crederci, Harry! Ho sempre fatto pena, in quella materia!» disse, mentre circondavo la sua vita – che poi era la mia, in realtà – con le braccia e sorridevo.
«Lo so, Billie. Adesso anche la tua media è perfetta.» le sussurrai, fra i riccioli. Rimase in silenzio per qualche istante, poi sciolse l’abbraccio.
Peccato. Era troppo tempo che non la stringevo, troppo tempo che le distanze non diventavano così corte, fra di noi.
«Anche la mia media?» chiese, sorridendo furbamente, e appoggiandosi al muretto.
Feci finta di interessarmi a qualsiasi stronzata, pur di non smascherarmi. Quel pensiero avrei fatto meglio a tenerlo per me.
«Guarda, un gabbiano…» dissi, indicando un volatile random che volteggiava in cielo.
«Harry, quello è un piccione.»
«Ah. Allora cambio soggetto: guarda, un piccione…» replicai, dissimulando. Billie scoppiò a ridere, dandomi una leggera gomitata.
«Non fare lo stupido! Cosa stavi dicendo, prima?» insisté, tirandomi il braccio. Scossi la testa, risoluto.
«Niente, Donovan! Da quand’è che fai caso a tutto quello che dico?» le risposi, lasciando che mi stringesse piano il polso.
La guardai negli occhi. E dovetti alzare la testa, perché il mio corpo era considerevolmente più alto di quello di Billie.
«Da quando potrebbe essere importante.»
Abbassai lo sguardo. Ci avevo visto giusto, qualcosa era cambiato, in lei. Il suo atteggiamento sembrava essersi addolcito leggermente. Chissà perché.
La sentii sospirare, lasciando andare il mio – che poi era il suo – polso. Restammo in silenzio per alcuni istanti.
«Hai…» esordì, misurando le parole. «Hai scoperto qualcosa, su di me?» chiese, cambiando discorso. Annuii.
«Detesti il gelato al cioccolato.» risposi, ricordando la prima cosa che Brooke mi avesse detto su di lei. Scoppiò a ridere. «Bravo, risposta esatta.»
«E tu? Cosa sai di Harry Styles?» le domandai, incrociando le braccia. Tacque.
«Adori Mick Jagger.» commentò, passandosi una mano fra i capelli. Ridacchiai.
«Questa te l’hanno detta loro!» risposi, indicando il gruppetto di sbandati che ridevano e chiacchieravano poco lontano da noi. Billie annuì. «Già, mi hai scoperta.» disse, sorridendomi.
Ah, quanto mi mancavano quelle fossette. Rivolevo il mio corpo, le mie abitudini, i miei capelli. Vivere la vita di Billie Donovan era troppo impegnativo.
«Chissà quanto ci vorrà per tornare noi stessi.» si chiese la ragazza, quasi avesse sentito i miei pensieri. Sospirai.
«Non ne ho idea. Spero poco. Ho bisogno di riavere indietro la mia vita.» le risposi, guardandomi le mani, e poi spostando lo sguardo sul corpo in cui albergava Billie. Mi fissò, triste.
«Aisha ha detto che dobbiamo conoscerci di nuovo. Veramente
«Sì, ma che cavolo vuol dire?! Non basta sapere che ti piace Johnny Depp?» sbottai. Billie ridacchiò.
«Sai, non penso che basti neanche sapere che le ragazze ti rincorrono per farti foto col cellulare.»
Arrossii, pensando a qualche episodio recente, in cui delle tipe del primo anno mi inseguivano per scattarmi delle foto di nascosto.
 «Beh, forse no…» commentai, passandomi una mano fra i capelli. La campanella che annunciava la fine della pausa pranzo trillò, uccidendo l’allegria di tutta la scuola.
«Dai, torniamo dentro. Abbiamo ancora mezza giornata per capire quello che voleva dire Aisha.» disse Billie, scompigliandomi i capelli con la mano, e andando avanti.
Rimasi a guardarla andar via, mentre raggiungeva Louis e gli passava un braccio sulle spalle, scherzando con gli altri. Sorrisi.
Magari avrei davvero avuto bisogno di conoscere la vera Billie.



Holls' Corner!:

Eccomi quiii!!
Ok, diciamo che non ve l'aspettavate tutte quelle allusioni dal signorino Harry, eh?? E la frase di Louis? Billie era a dir poco incredula. Beh, ma io ve l'avevo detto che avreste cominciato a cambiare idea su Harold, ehehe!!!
Dunque, stasera il mio angolino sarà molto più lungo del solito. Perché ho deciso di rispondere qui in maniera "sintetica" a tutte le recensioni, faccio prima, hahahahah!!!
Innanzitutto, vi faccio un "grazie" grosso... non so, quanto il Madison Square Garden. Davvero, se tutti i complimenti che ho ricevuto ultimamente potessero convertirsi in energia elettrica... starei bene per tre mesi!!! Grazie sul serio!!
Bene... momento chiarimenti! Allora. La storia si incentra solo sulle 24h. Ciò vuol dire che i restanti 6 capitoli riguarderanno esclusivamente la loro giornata. Poi la storia si concluderà con lo scadere della mezzanotte! Ok, fine momento chiarimenti!!
Per gentile richiesta, ho deciso di postarvi tre dei miei disegni su Harry. Premetto che, nonostante frequenti l'artistico, ho scelto l'indirizzo di architettura. Questo vuol dire che, alla fin fine, nessuno mi ha "insegnato a disegnare", come in genere si pensa di tutte le mani educate alle scuole d'arte! Vi dirò che le matite sono un po' il mio ossigeno, come la letteratura e la scrittura, fin da quando ero bambina. In ogni caso, spero che vi piacciano lo stesso, hahahahahah!!!
Passiamo a
Lucignolo, la storia che avevo pubblicato poco tempo fa. Per chiunque la stesse seguendo, no, non avete le allucinazioni. L'ho cancellata davvero. Il problema è che mi si sono eliminati tutti i dati ad essa relativi dalla pennetta (come per un'altra storia che dovetti togliere a causa dello stesso motivo). Allora ho preferito eliminarla in tronco, per prendermi tutto il tempo di riscriverla senza sospenderla a tempo indeterminato! Mi dispiace molto, e mi scuso immensamente per questo.
Oddio, stasera ho scritto la Divina Commedia, hahahahahah!!! Sarà meglio concludere, vi avrò già stancati abbastanza!! Vorrei ringraziare enormemente chiunque legga la storia, la recensisca, l'inserisca fra i seguiti/ricordati/preferiti!!!
Come sempre, ci terrei davvero molto a sapere i vostri pareri e le opinioni sul capitolo, ci tengo!! Vi lascio con la mia consueta gif, e i disegni!!
Un bacione e... alla prossima!


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Capitolo 8
*** VIII ***




VIII

 
 
 
Nulla apre gli occhi della memoria come una canzone.
(S. King)
 
 
 
Billie

 
 

Dover chiamare “casa” il posto in cui viveva Harry, era un duro colpo.
In genere, appena tornavo da scuola, trovavo almeno uno dei miei genitori ad accogliermi sorridente, e Tom. Mi chiedevano come avessi passato la giornata, se avessi avuto problemi, mi abbracciavano. Insomma, erano capaci di farti sentire parte di una vera famiglia. Ecco, quello lo chiamavo casa.
Quando invece, arrivati davanti ai due edifici speculari, ci eravamo dovuti salutare a malincuore… mi ero sentita morire. Harry era stato tranquillo e sorridente, a differenza della mia faccia da funerale. Grazie, almeno lui avrebbe avuto una bella accoglienza.
Girai la chiave nella toppa, e presi un gran respiro. Pregai con tutta me stessa che quell’arpia di Gemma fosse fuori, da un’amica, rinchiusa per sbaglio in cantina… ovunque, purché non mi urlasse di nuovo in faccia degli insulti gratuiti. Mi feci un po’ di coraggio ed entrai, mordendomi il labbro inferiore, e guardandomi attorno con circospezione.
Nessuno in vista, però dal piano superiore si avvertiva della musica potente pompare dalle casse di uno stereo. La strega ascoltava i Metallica. Mi augurai che non avesse sentito il rumore della porta e delle chiavi. Approfittai della fortuita facoltà che avevo di passare inosservata, e schizzai in camera.
Dei genitori di Harry neanche l’ombra. Nessuno che mi avesse detto anche solo un misero “ciao”. Il silenzio più totale, l’indifferenza più fredda. Esserci o meno, in quella casa, era lo stesso. Povero Harry.
 Iniziai a comprendere almeno una parte del perché si comportasse in quel modo, a scuola. Chiunque avrebbe cercato di attirare l’attenzione, quando nessuno dei propri familiari avesse fatto caso alla sua presenza. Era abbastanza sgradevole. Ti faceva sentire trasparente. E vuota.
Richiusi la porta, cercando di fare il meno rumore possibile. Potevo ancora sentire l’eco delle schitarrate, ma con un po’ d’impegno avrei potuto ignorarle.
Bene. Erano appena le quattro, mi restavano più o meno otto ore per riuscire a conoscere davvero Harry. Altrimenti, sarei dovuta restare nel suo corpo per tutta la vita. Cominciai a riflettere. Che avevo scoperto quel giorno? Pensai e ripensai, ma mi accorsi che, a parte un paio di cose, niente era davvero importante. Quale fine poteva mai avere sapere che usava il balsamo Pantene? Nessuno.
Sbuffai, gettandomi sul letto. Che diamine, ero nella sua stanza, no? Avrei potuto rovistare, e cercare di capire quanto più potessi di lui attraverso i suoi oggetti!
Abbracciai l’ambiente con lo sguardo. Queen. Beatles. Mick Jagger. Fotografie. Aha!
Mi alzai, sbirciando il collage alla parete. Vidi diverse immagini di lui con i One Direction. Insieme a Louis, in particolare. Poi, c’erano altre foto risalenti all’infanzia. Oh, guarda… in una comparivo anche io. Avevamo sette anni. Lo stavo abbracciando, e gli stampavo un bel bacione sulla guancia, mentre lui rideva. Le stesse fossette, gli stessi riccioli scarmigliati. Sorrisi.
Passai a quelle delle medie. Eccolo, con i capelli tinti, mentre io facevo smorfie verso l’obiettivo, le stellette dell’apparecchio fisso che luccicavano alla luce. Brutto periodo, quello. Mi facevo milioni di paranoie, prendendomela per qualsiasi battuta che facessero su di me, anche per la più stupida.
Quanto avevo pianto, fra le sue braccia. Quanti gelati che aveva dovuto offrirmi, per tirarmi su il morale. Quante serate, passati abbracciati sul suo letto, fissando le stelle fuori dalla finestra, e parlando del futuro.
 



«Alle superiori ci metteremo insieme, Harry. Me lo sento.»

«Perché no?»

 

Battei le palpebre, lasciando ricadere la mano lungo il fianco.
Che flashback.
L’avevo completamente rimosso. Quella foto l’avevamo scattata la sera del mio quattordicesimo compleanno. Festa che avevo passato a piangere, come al solito. Perché a scuola mi avevano chiamata Billie Bomb. Sì, avevo qualche chiletto in più, ma niente di eccessivo. Solo che, agli occhi degli altri, è sempre facile esagerare i difetti altrui. E io ero estremamente fragile. Volevo piacere a tutti, ma non ci riuscivo mai abbastanza.
Così, avevo fatto disperare quei poveracci dei miei genitori. A niente era servita la torta con la stampa di P!nk, e il cd dei Maroon 5. Così, al limite della sopportazione, Tom aveva chiamato Harry. E lui mi aveva presa in braccio, portandomi fino in camera sua. Poi, aveva tirato fuori la chitarra, e cantato una canzone. Una bellissima canzone, su quanto non sapessi di essere bella.
Sì, me la ricordavo! Allora io gli avevo detto che saremmo finiti insieme, alle superiori. E lui mi aveva risposto con un sorriso, scostandomi una ciocca di capelli… dicendo “perché no?”.
Ripensai alla situazione che avevamo, in quel momento. Tali ricordi mi sembrarono lontani anni luce, un universo parallelo. Sfiorai la foto con le dita, quasi a volerla accarezzare.
Sfortunatamente, quella cadde a terra silenziosamente, volteggiando nel vuoto, fino a scivolare sul pavimento. Mi chinai a raccoglierla, e la rigirai.
C’era una scritta a pennarello, sul retro, insieme alla data. 9 Maggio 2009.
 



Billie, you don’t know you’re beautiful.

 

La frase della sua canzone.
 Avvertii una stretta al petto. Non avevo mai saputo che le nostre foto fossero ancora lì. Ma che, soprattutto, lui avesse scritto  quelle parole per me. Forse avevo davvero perso di vista l’Harry Styles che credevo di conoscere.
«Ehi, marmocchio. Sono le quattro e un quarto, com’è che sei ancora qui?!»
Sobbalzai, nascondendo la foto dietro la schiena.
 Gemma mi fissava, torva, sull’uscio della porta. A guardarla meglio, non era una brutta ragazza, anzi. Aveva dei bellissimi occhi azzurri, e un sorriso luminoso quanto quello del fratello. Peccato che avesse sempre quell’espressione arrabbiata in volto, e che non facesse mai nient’altro all’infuori di insultarmi – di insultare Harry –. Caddi dalle nuvole.
«Scusami, Gemma… dove dovrei essere, altrimenti?» le chiesi, rovesciando la testa in avanti e spettinandomi i riccioli. Iniziavo ad abituarmi a quel corpo così diverso dal mio, e la cosa cominciò a preoccuparmi. La ragazza sbuffò.
«Mi prendi in giro, rifiuto umano?» m’insultò, di nuovo. Che acido, donna! «Dovresti essere in gelateria. Hai il turno, oggi. E a me serve casa libera.» aggiunse, appoggiandosi allo stipite e incrociando le braccia. Deglutii. Quale gelateria? Harry lavorava? Ma da quando?!
«Alla gelateria.» ripetei, cercando di ricordare se avessi mai visto Harry a fare gelati. Niente, il vuoto più totale misto allo stupore più grande. Gemma roteò gli occhi.
«Sì, CretinHarry, da Gino, dietro l’angolo!» esclamò, esasperata. «Che hai, oggi? Sembri un altro!» sbottò, tornando in camera sua, stizzita.
Ero rimasta a bocca aperta.
Styles lavorava da Gino. E io lo scoprivo solo quel pomeriggio. Pensa un po’!
Lanciai una veloce occhiata all’orologio: le quattro e mezza. Chissà a che ora avrebbe dovuto attaccare, magari ero anche in ritardo! Forse l’avrebbero sgridato, e tutto per colpa mia!
Sbirciai fuori dalla finestra, verso la mia camera, dove c’era Harry dentro il mio corpo. Era chino sulla scrivania, tutto preso a leggere chissà cosa. Alzò la testa, pensieroso, e fissò un punto imprecisato del muro, giocherellando con la matita. Sembrava parecchio coinvolto.
Avrei voluto chiamarlo, dirgli qualcosa, qualunque cosa. Ma era troppo tardi, e decisi di uscire di casa. Scesi velocemente le scale, attenta a non fare troppo rumore, per paura di risvegliare Gemma il Dragone. Richiusi la porta d’ingresso, più triste che mai.
Mi augurai che, quel pomeriggio, Gino avesse avuto meno clienti possibili. Ero sempre stata un disastro con coni e coppette.




Holls' Corner!:


Eccoci di nuovo!!! Siamo già all'ottavo capitolo e a me viene quasi da piangere al pensiero che me ne restano solo cinque...! Già, mi ci sto affezionando, a questa storia. Caso raro, sappiatelo.
Dunque! Ve l'aspettavate, tutti questi retroscena sul passato di entrambi? Soprattutto, tutti questi aspetti della vita di Harry? E vi dirò di più, nei prossimi capitoli resterete ancora più sorpresi. Sì, mi sono preparata un bel finale col botto, non crederete certo che la storia rallenti proprio adesso!!
Sul personaggio di Gemma ho solo da dire che è un'incompresa... e fra poco capirete anche perché. Diciamo che non è stato facile creare un carattere come il suo, considerato che la vera sorella di Harry me la sono sempre immaginata come "buona e tranquilla". Ma il bello della scrittura è proprio questo, stravolgere un po' tutto, hahahah!!
Bene, vorrei rispondere brevemente qui anche oggi, cominciando col ringraziarvi di nuovo. Eh sì, non mi stancherò mai ripetervelo, soprattutto per i disegni! Sono contenta che vi siano piaciuti e no, non ho mai seguito nessun corso di pittura (per mia sfortuna). Siete davvero tutti troppo gentili con me, leggere di come vi appassioni la storia è una grande conquista. Ma non intendo il numero di recensioni, quanto il fatto che i capitoli vi appassionino e seguite attivamente la vicenda. Grazie davvero!!
Ora vi lascio, rinnovando i ringraziamenti (ancora, sì!) a tutti i lettori, sia quelli occasionali che quelli che hanno inserito la storia fra i seguiti/ricordati/preferiti!!! Come sempre, mi farebbe davvero piacere sapere se il capitolo vi è piaciuto, ci terrei a conoscere le vostre opinioni in merito! Vi saluto con la mia consueta gif, alla prossima!! Un bacione a tutti!


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Capitolo 9
*** IX ***






IX

 
 
Potrei dire a quell'attimo: 
Fermati dunque,
sei così bello.

(J. W. Goethe)
 
 

Harry

 
 
 

Billie era una ragazza davvero fortunata.
Non lo dicevo per invidia o gelosia, lo pensavo sul serio. Non avevo fatto in tempo ad entrare in casa sua, che la madre mi aveva accolto con un abbraccio, chiedendomi come fosse andata la mia giornata. Si era preoccupata di come mi fossi trovato a scuola, di quello che avessi fatto.
Poi, era arrivato il fratello. Mi aveva scompigliato i capelli, sorridendo. Le volevano tutti bene. Facevano caso alla sua presenza, quando rientrava in casa.
L’opposto, rispetto a quello che succedeva da me. Lì ti sentivi accettato, parte integrante di una famiglia, dove ciascun individuo si occupava dell’altro, condividendo tutto. Nessuno pensava per sé.
A casa mia, invece, era come se vivessi da solo. Gemma mi trattava sempre malissimo, da quando mamma e papà si erano lasciati. Non avevo mai capito quale fosse il problema di fondo, con lei. Fatto stava che ogni volta m’incrociasse nelle stanze, o sulle scale, mi abbaiava in faccia qualche insulto, scansandomi con uno spintone, e lasciandomi da solo.
La mamma non era mai a casa, sempre in giro con il suo nuovo fidanzato musicista. Raramente faceva anche soltanto una telefonata, per sapere se almeno uno dei suoi due figli fosse vivo. L’indifferenza regnava in casa Styles. Fredda, sterile e logorante.
Non ricevevo più affetto da nessuno, da ben otto anni a quella parte. Ecco perché passavo di ragazza in ragazza. Volevo sentirmi amato, avvolgendomi in quella fitta rete d’illusione, convincendomi che ognuna di loro provasse qualcosa per me.
Poi, la consapevolezza di quanto tutto fosse falso si faceva troppo pesante da sopportare, e le lasciavo. Spesso neanche mi prendevo la briga di rompere con loro di persona. Le chiamavo, dicevo loro che era finita, e passavo ad altro.
Così viveva Harry Styles. Avevo mai amato? C’era mai stata una ragazza per cui avevo desiderato di piacere a tutti i costi? Sì, eccome.
Ma le cose si erano complicate troppo, per poter vivere ancora quel meraviglioso sogno. Allora mi ero rassegnato, allontanandomi da lei sempre di più. Poi, invece, una mattina mi svegliavo nel suo corpo, e condividevo con lei la sua vita. Billie aveva tutto ciò che a me era sempre mancato, ma non gliene avevo mai fatto una colpa. Le volevo troppo bene.
Dopo aver conversato per un po’ con la madre e il fratello, decisi di andare in camera sua. Dovevo stare un po’ da solo, non ero più abituato a tutta quella considerazione. Aprii la porta, sentendo l’eco della televisione in salotto, e del chiacchiericcio dei suoi parenti.
La stanza di Billie era semplice e ordinata, con le pareti intonacate di rosa, un’ampia finestra che dava sulla strada, e tutti quegli arredamenti tipici delle camere adolescenziali londinesi. Dietro la porta, un grande poster di Johnny Depp ammiccava a chiunque si voltasse a guardarlo. C’erano anche altre gigantografie, attaccate in ordine sparso. P!nk, Leona Lewis, Lady GaGa.
Billie aveva anche appeso i ritratti che suo fratello Tom faceva ai personaggi famosi. Audrey Hepburn, Federico Fellini, Marilyn Monroe, Robin Williams. Era davvero bravo. Aveva anche partecipato a dei concorsi, e ne vinse pure un paio. Ricordai che sua sorella era piuttosto negata, con matite e pennarelli. Dei due, ero io quello capace d’usarli con decenza.
Mi avvicinai alla scrivania, con accanto la libreria. Era tutto in ordine, fogli, penne, evidenziatori. C’era un libro d’inglese aperto, lasciato lì dalla sera prima. Dietro il monitor del pc, attaccate alla parete, alcune fotografie raccontavano il suo passato. Molti scatti erano con Brooke e Mona, altri con suo fratello.
Poi, c’erano quelli insieme a me. L’immagine dove lei mi abbracciava, baciandomi la guancia, di quando avevamo sette anni… era anche sulla parete della mia camera. Altre foto di quando eravamo alle medie, e in terza lei aveva attraversato la sua fase indie-ribelle, e io mi ero tinto i riccioli. Quanti ricordi.
Le avevo scritto tante di quelle canzoni… lo facevo ancora, se era per quello.
Ripensai alla prima che le feci. Avevamo quattordici anni, ed era il suo compleanno. Piangeva da tutto il giorno, perché a scuola l’avevano chiamata Billie Bomb. Avevo imbracciato la chitarra, e le avevo cantato di quanto fosse bella, ma di come non se ne accorgesse.
What Makes you Beautiful”, così l’avevo chiamata.

 


«Alle superiori ci metteremo insieme, Harry. Me lo sento.»

 


«Perché no?»

 
 

Sorrisi, ripensando a quelle due frasi.
Me le disse quando finii di cantare. Lo pensavo davvero, e se fosse stato per me, le avrei chiesto in quel momento stesso di essere la mia ragazza.
Ma ebbi paura.
E tacqui.
Che stupido.
Distolsi lo sguardo dalle fotografie, e passai alla libreria. Un grosso raccoglitore ad anelli dalla copertina psichedelica attirò la mia attenzione. L’estrassi dalla fila ordinata, con attenzione.  Dal suo interno, però, scivolò via un altro quaderno, piccolo e voluminoso. Cadde a terra, con un tonfo sordo.
Mi chinai a raccoglierlo, tenendo il raccoglitore ad anelli stretto al petto. Lessi l’etichetta attaccata sul frontespizio, colorata di rosa e decorata da fiorellini.
Il Diario di Billiese sei un estraneo, posalo immediatamente!”.
Ridacchiai. Era tipico di quella scemetta, fare simili scritte minatorie sul proprio diario. Lo posai sulla scrivania, dopo gli avrei dato un’occhiata. Spostai la sedia girevole, e mi sedetti. Aprii il quadernone ad anelli, e feci un salto nel passato.
Quello era il nostro vecchio album dell’amicizia. Glielo regalai al suo dodicesimo compleanno. Ci avevo attaccato dentro delle foto, fatto delle scritte, incollato i testi di alcune delle mie canzoni. Scorsi le pagine patinate, sorridendo.
Passai attraverso scatti rubati della nostra infanzia, lungo tutte le elementari. Ecco le immagini del camping, dove avevamo diviso la tenda, e lei dormiva sempre abbracciata a me, per paura degli insetti… prima media.
Andai avanti. La gita scolastica a Roma, foto di Billie con il Colosseo dietro, che sorrideva con l’apparecchio fisso in bella mostra. In qualche immagine c’ero anche io con lei, le tenevo la vita, mentre guardavamo un punto oltre l’obiettivo… seconda media
Il concerto dei Nickelback, il primo di entrambi. Vestiti entrambi come due rockettari di bassa lega, tutti sudati e su di giri, con le mani alzate, urlanti. Lei ed io che facevamo la linguaccia all’obiettivo, i capelli appiccicati alla faccia, il trucco di Billie un po’ calato, su alcuni dei miei riccioli i rimasugli della tinta rossa… terza media.
Arrivai all’ultima pagina. Il suo quindicesimo compleanno.
Ormai, gli abiti indie, i chiletti in più e l’apparecchio erano spariti. La ragazza nella foto somigliava molto alla Billie che conoscevo io, con il sorriso gentile e un po’ distaccato, i vestiti bohemien e l’aria da principessina. Sorrideva all’obiettivo, e poco distante da lei c’ero anche io. Avevo già iniziato a vestirmi in maniera baggy, a frequentare Louis e i ragazzi, a fare tardi la sera… ed eravamo ormai arrivati in prima liceo.
L’album non aveva più altre foto.
Per forza, i due soggetti si erano allontanati così tanto che era difficile trattenerli insieme in una stanza per più di dieci minuti. Era un vero peccato lasciare tutte quelle pagine vuote, senza immagini. Era come se avessimo lasciato un racconto in sospeso: mancava la conclusione. E buona parte era colpa mia.
Non pensavo che Billie avesse conservato un reperto come quello. Ero convinto che l’avesse bruciato in qualche rogo, insieme alle nostre foto d’infanzia.
Insomma, mi detestava e non lo nascondeva. Mi stupiva sapere che le prove della nostra amicizia fossero così esposte, tanto da poterle vedere ogni volta che studiava. Credevo di essere uscito dalla sua vita. Credevo che mi avesse rimosso, dimenticato, cancellato. Invece no.
Pensavo di conoscerla ancora bene, ma mi ero terribilmente sbagliato. Iniziai a comprendere vagamente quello che avrebbe potuto intendere Aisha.
Conoscere veramente Billie Donovan, ricostruire quattro anni della sua vita in cui io ero stato assente. In cui il suo migliore amico l’aveva abbandonata, senza mai neanche chiederle come stesse. Mi ero comportato come i miei genitori. Presenti solo formalmente.
Richiusi l’album di scatto, sentendomi un vero idiota. Guardai la sveglia sul comodino, segnava le otto meno venti… già?! Avevo completamente perso la cognizione del tempo, incantandomi a guardare le foto, a pensare. Mi restavano poco meno di quattro ore per guadagnare tutto quello che mi ero lasciato alle spalle. Mi ricordai che, quel pomeriggio, sarei dovuto essere in gelateria, per il mio turno fino alle otto.
Porca miseria.
Andai alla finestra, affacciandomi. La mia camera, dove avrebbe dovuto esserci Billie, era deserta. Giudicai improbabile il fatto che potesse essere da Gino, ma decisi comunque di andarci.
Giusto per vedere come si era arrangiato quel poveraccio. Avrei dovuto avvertirlo che per quel giorno non sarei andato.
Certo, ma come prevedere che avrei cambiato vita per ventiquattrore?



Holls' Corner!:

No, non ditemelo. Siamo già al nono. Ebbene sì, gente... mancano solo quattro capitoli alla fine!!! E a me dispiace molto... però da un lato sono anche contenta, perché poi... no, vabbè, vi stavo per rivelare il finale, quindi mi sto zitta!!!
Allora, anche oggi abbiamo avuto un bel po' di retroscena nel passato di Harry e Billie!! Ve l'aspettavate tutte queste confessioni da parte di Hazza?? E le foto, l'album, i ricordi...? Onestamente, mi sono sentita molto ispirata per scrivere questi ultimi capitoli. Non so bene da cosa, ma è stato proprio così!!
Stasera sono breve, ho potuto rispondere tramite mp alle recensioni e quindi non ho motivo di dilungarmi oltre, hahahah!!!
Vorrei come sempre ringraziare i lettori tutti, sia quelli occasionali che coloro i quali abbiano inserito la storia fra le ricordate/seguite/preferite!!
Stasera vi lascerò con una gif di Billie semplice, perché ho pensato che avrebbe rispecchiato meglio la situazione nel complesso!!
Al solito, mi farebbe veramente piacere sapere cosa ne pensiate di questo capitolo, e le vostre idee in proposito, ci tengo!!!
Bene, vi aguro un buon fine serata, e... alla prossima! Un bacione!


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Capitolo 10
*** X ***




X
 
 
In un certo senso, si appartengono, ma in un modo speciale.
Si appartengono, ma non si possiedono.

(Pier V. Tondelli)

 
 
 

Billie

 
 

Quando ero arrivata in gelateria, e Gino mi aveva visto, avrei volentieri voluto scappare via. Più veloce che potessi, però.
Oggi hai il turno fino alle otto. Ci vediamo”, aveva detto, lasciandomi da sola a riempire coni e coppette. Fortunatamente, non si erano visti clienti per la prima mezz’ora, ma nell’arco di tempo fra le sei e le sette, era stato l’inferno.
Chi voleva doppia panna, chi più cioccolato, chi la vaniglia senza zucchero. Per non parlare del frozen yoghurt. Poi, della serie “le disgrazie non vengono mai da sole”, verso le sette e mezza era arrivata una scolaresca di bambini stranieri, in gita in Inghilterra. Un’esperienza agghiacciante.
Mi sentivo svuotata di tutte le mie forze e avevo combinato un disastro dietro il bancone. C’era gelato alla fragola su buona parte del pavimento e della mia faccia, avevo rotto tre coni e rovesciato due coppette, il delirio. Appena mi fu chiaro che, per quella serata, non sarebbe più arrivato nessuno, decisi di prendere uno straccio e cercai di ripulire il porcile che avevo creato.
Come faceva Harry a sopportare tutta quella ressa, e ad essere gentile? Perché sicuramente lo era, a giudicare dai sorrisi dei clienti abituali, e di come avessero conversato con me, credendomi lui. Magari, fuori dall’ambiente scolastico, era un altro. Forse si trattava della stessa persona che mi aveva scritto la canzone, e che aveva conservato le nostre foto insieme, così come le avevo tenute io.
«Un cono doppia panna, menta e liquirizia.»
Scattai in piedi, cercando di sorridere quando dentro avrei volentieri picchiato chiunque avesse parlato. Vidi Harry, nel mio corpo, sorridere dall’altra parte del bancone. Mi sentii sollevata, contenta, incredibilmente leggera. Poi lo fissai, cambiando espressione.
«Eri serio?!» gli chiesi, augurandomi di no. Scoppiò a ridere, scuotendo la testa.
«Certo che no. Dai, esci… così puoi riposarti dieci minuti.»
Lasciai lo straccio a terra, ripulendomi le mani sul grembiule rosso. Andai nel retro, levandomi quella pezza piena di macchie di gelato, appendendola al gancio apposito.
La gelateria di Gino era un ambiente rettangolare, piuttosto stretto e intimo, che si affacciava sulla strada. Da una parte era situato il bancone con i vari gusti, dall’altra un breve corridoio che portava all’entrata, dove c’era uno scalino. Aprii la porta, e mi spettinai i riccioli, mentre Harry si sedeva comodamente sul gradino di fronte. Aveva attaccato il foglio “In Chiusura” al battente fisso della porta. Alzò lo sguardo, e batté la mano sullo spazio accanto a lui, intimandomi di sedere. Scesi dallo scalino, e mi accomodai.
Dio, che bella sensazione. Avevo passato quattro ore in piedi, affrontando l’isteria di adolescenti a dieta, anziane con problemi di colesterolo e bambini viziati. Era già un miracolo che fossi ancora viva, dopo tutto quello.
«Non pensavo che avresti fatto il turno al posto mio.» disse Harry, fissando la strada di fronte, sorridendo. Sospirai.
«In realtà neanche io. Però tua sorella me l’ha gentilmente ricordato.» risposi, con una smorfia. Styles annuì.
«Ti ha insultata, dicendo che aveva bisogno di casa libera?» provò ad indovinare, incrociando le gambe.
«Già. Che ne sai?»
«Lo dice sempre, ogni volta che ho il turno. In realtà, sfrutta quel lasso di tempo per pulire le stanze. Ma non vuole che nessuno la veda.» spiegò, laconico. «Detesta che gli altri pensino bene di lei. Io, in particolare.» aggiunse, con una punta di tristezza nella voce.
«Me ne sono accorta. Ma perché si comporta così?» chiesi, fissandolo. Si strinse nelle spalle.
«Mi odia. Per il semplice fatto che esisto. Da quando mamma e papà hanno divorziato, lei è diventata un’altra. Non era così, prima.» disse, triste e freddo.
Prima, anche lui aveva una famiglia che faceva caso alla sua presenza. Prima, anche lui aveva un buon motivo per tornare a casa. Prima, sua sorella gli voleva bene. Prima, era il mio migliore amico. Prima.
«Mi dispiace, Harry.» dissi, e lo abbracciai. Non seppi perché lo feci, mi ero mossa più velocemente del mio stesso pensiero. Volevo stringerlo, fargli sentire che io ero lì con lui. Prima, e anche in quel momento. Abbandonò la testa sul mio petto, chiudendo gli occhi. Strinse il tessuto della maglietta extra large fra le dita, in silenzio. Gli accarezzai i capelli.
Perché non mi ero resa conto più in fretta di come stesse lui? Perché avevo solo perso tempo ad insultarlo, giudicarlo, ad addossargli la colpa di tutto? Si era allontanato, sì, ma io ero stata cieca. Non avevo voluto vedere oltre le apparenze, chiudendolo fuori dalla mia vita.
Quando l’unica cosa di cui avesse veramente bisogno, era un’amica. Non come i One Direction, che erano ragazzi. Gli serviva dell’affetto femminile. Ben diverso da quello di tutte le sue fans adoranti a scuola. Ben diverso da una nottata di sesso e alcool. Calore umano, ecco tutto.
«Billie, io…» esordì, riaprendo gli occhi. Continuai a stringerlo, e lui non si scostò. «Hai ancora il nostro vecchio album di foto, quello che ti regalai per i tredici anni.» disse, a mezza voce.
Già, e lo conservavo gelosamente. Non avevo mai permesso a nessuno di vederlo. Era una parte fondamentale di me, uno dei pezzi più belli del puzzle della mia vita. I momenti passati insieme, il primo concerto, la prima gita, il primo camping. Sempre con lui. Indivisibili.
«Certo. Non lo butterei mai.» risposi, giocherellando con i suoi capelli – i miei, in realtà –.
«Credevo… ero convinto…» esitò. «Insomma, pensavo che mi avessi eliminato dalla tua vita, Billie.» pronunciò, sciogliendo l’abbraccio e fissandomi negli occhi.
Quel volto, che era stato mio per ben diciassette anni, mi fissava con apprensione. Nei suoi occhi c’era Harry Styles. Non era stato il mio corpo a produrre quel pensiero, a parlare. Era veramente sorpreso, certo delle sue convinzioni. Che non avrebbero potuto essere più sbagliate. Gli sorrisi.
«Harry Edward Styles.» pronunciai. «Sei stato il mio migliore amico da quando ero nella culla. Insieme a te ho dormito in una tenda piena d’insetti. Ero con te quando ti tingesti i capelli di rosso, quando vidi il tramonto più bello della mia vita, a Roma. E sempre insieme a te, ho assistito al primo e più bel concerto di secoli.» esordii, guardandolo negli occhi. Sorrise, piano.
«Mi sei sempre stato vicino, sia nei momenti belli che in quelli brutti. Anzi, se mi sentivo giù, tiravi fuori la tua chitarra, e cominciavi a cantare.» dissi, fissando lo sguardo sulla strada.
«If only you saw what I can see, you'll understand why I want you so desperately… right now I'm looking at you and I can't believe…» canticchiai, ricordandomi il motivetto. S’illuminò.
«You don’t know you’re beautiful.» concluse.  Sì. Proprio così.
Lo guardai, mordendomi un labbro. Era raggiante, felicissimo.
«Ti sei ricordata la mia canzone!» esclamò. Annuii.
«Non avrei mai potuto dimenticarla, Harry.»
Mi sorrise, e restammo immobili per alcuni secondi. Poi, lui protese la mano, e mi scostò alcuni riccioli dalla fronte – dalla sua fronte, in realtà –. Si avvicinò, lentamente, guardandomi le labbra. Accorciai le distanze, piegando la testa. Non avrei mai pensato che quel momento sarebbe arrivato. Stavo per baciare Harry Styles!
Il mio ex migliore amico, che stavo imparando a riconquistare. Era profondamente sbagliato, ma così innegabilmente giusto.
Sempre più vicini, ormai ci separava lo spazio di un respiro. Era quello, che significava conoscersi? Azzerare le distanze, perdersi l’uno nell’altro? Condividere le stesse emozioni allo stesso tempo?
«Scusatemi…»
Sobbalzammo entrambi, separandoci all’istante. 
Una signora di mezza età ci sorrideva, di fronte a noi. Indossava un abito a fiori, e il corto caschetto biondo le donava un’aria sbarazzina. L’ultima cliente della giornata.
Che diamine! Proprio sul più bello? Non avrebbe potuto fare a meno del gelato, per quella sera?!
«Sono arrivata troppo tardi? Avete già chiuso?» chiese, lamentosa, indicando il foglietto.
Secondo te?!, mi venne da pensare. Ero pronta a risponderle male, in puro stile Harry Styles, quando vidi il mio corpo alzarsi e sorriderle.
«Non proprio… venga, la servo subito.» e sparì dentro, seguito a ruota da quella donna. Non potevo crederci. Un minuto prima stava per baciarmi, e l’istante dopo metteva gelati nelle coppette. Scossi la testa, shockata. Harry Styles, un nome, un enigma!
Entrai a mia volta, guardandolo interrogativa. Mi sorrise, mentre riempiva una vaschetta di variegato al caramello.
«Vai a casa, qui ci penso io, tanto devo chiudere. Lasciami le chiavi.» disse, indicando il bancone. Cercai il mazzetto che mi aveva consegnato Gino, e lo depositai sul plexiglas, tintinnando.
«Sicuro? Non vuoi che…»
«Tranquilla. Ci vediamo dopo.» e mi sorrise. Sentii il cuore balzarmi in petto. Era bastato solo un quasi-bacio a ridurmi in quel modo? Che pappamolle, Billie! Gli sorrisi a mia volta, e uscii.
Mentre tornavo a casa, realizzai che avevamo parlato invertendo i generi. Io gli avevo detto “sicuro”, al maschile, e lui “tranquilla” al femminile, nonostante fossimo in corpi di sesso opposto. Pensai che quella donna avesse creduto che scherzassimo.
Guardai l’orologio sul cellulare. Le otto e un quarto.
Il tempo stringeva… dovevo sbrigarmi.




Holls' Corner!:

Decimo capitolo!! E scusatemi infinitamente per il ritardo!!! E' solo che ultimamente non ho avuto molto tempo per postare, ma adesso eccomi qui!!
Noto con piacere che la storia vi appassiona sempre di più, e onestamente non me l'aspettavo. Sul serio. E grazie infinite, per questo!!!!
Che dire?? Il prossimo capitolo sarà veramente intenso, credo di poterlo definire il fulcro della vicenda. Scoprirete cose che non sospettavate nemmeno, hahahahah!!
Scommetto che in questo, il mancato bacio fra Billie ed Harry vi ha lasciati con l'amaro in bocca!! Ma non preoccupatevi, riuscirete a riscattarvi!!
Bene, passo velocemente ai ringraziamenti, verso i lettori tutti, e a quelli che ricordano/seguono/preferiscono la storia, e a quelli che recensiscono! Vi lascio con la mia solita gif, ricordandovi che ci tengo molto a conoscere le vostre opinioni e a sapere i vostri pareri sul capitolo!!!
Un bacione a tutti, alla prossima!

P.S.: Ho scritto una One-Shot su Conor Maynard, e mi piacerebbe sapere cosa ne pensiate, se magari vorreste passare! Vi lascio il banner di seguito, grazie in anticipo!!

      





 

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Capitolo 11
*** XI ***





XI

 
 
Dove le parole finiscono, inizia la musica.
(H. Heine)
 
 
 

Billie


 

Arrivai a casa più frastornata che mai.
Mi restavano poco più di quattro ore, e non avevo tempo da perdere. Entrai, ignorando Gemma che cenava da sola in cucina, e corsi al piano superiore. Mi sforzai di riflettere in quale modo potessi scoprire la vita di Harry, in quelle quattro mura. Avevo ancora la foto in tasca, da quando ero uscita. Andai a rimetterla al suo posto, quando mi accorsi di una cosa singolare.
Nel buco che la foto aveva lasciato, erano scritte delle parole a penna. Su un reticolo quadrettato.
Un… foglio?!
Staccai con delicatezza le altre immagini tutt’attorno, scoprendo due file di pagine a quadretti attaccate al muro. Restai basita, nel guardarle.
Ci avevo messo un bel po’ a togliere tutte le foto, facendo attenzione a non strapparle o rovinarle. A ben vedere, avevo creato un mucchietto di immagini sulla scrivania, ma non m’importava. Harry le avrebbe rimesse a posto dopo.
Lessi le parole scarabocchiate in ordine sul primo foglio. Era il testo di una sua canzone, precisamente quello di What Makes You Beautiful. Proprio come lo ricordavo io.
Parlava di quanto non mi accorgessi di essere bella, e di come lui volesse dimostrarmelo con quel testo. Me ne accorsi solo in quel momento, ma c’era molto di più della semplice “consolazione per un’amica”, nelle sue parole. Che sciocca ero stata, a non capirlo subito.
Passai oltre, al secondo foglio. Le pagine erano attaccate l’una accanto all’altra, disposte su due file, completamente nascoste dalle foto. Come se avesse voluto tenerli segreti, come se solo lui avesse potuto sapere della loro esistenza.  Quattro fogli in tutto.
Accanto al titolo, in un angolino in alto a destra, c’era la data. Quello risaliva al 23 giugno 2010. La canzone si chiamava I Wish. Lessi il testo, in trance.
 

«But I see you with him slow dancing…
Tearing me apart,
Cause you don't see…»

 

 
Ricordai che quella era stata la sera del ballo di fine anno della Woodrow Wilson High. E io ci ero andata con Josh Stunner, il ragazzo che mi piaceva da morire in prima liceo.
Non sapevo che Harry ci fosse stato male. Ma, più che altro, avesse pensato quelle cose.
 

«With my hands on your waist,
While we dance in the moonlight…
I wish it was me,
That you’ll call later on…
Cause you wanna say good night.»

 
 
Battei le palpebre, incredula.
Avevo sempre pensato l’esatto opposto, su quella serata. Riflettei che mi ero anche parecchio arrabbiata con lui, perché non aveva smesso un attimo di guardarmi male, mentre ero con Josh.
Gli avevo detto di farsi una vita, di smetterla di tormentarmi. Che anche io avevo il diritto di divertirmi, ogni tanto. A differenza di lui, che passava intere serate ai festini, bevendo e facendo le ore piccole.
Harry non mi aveva risposto.
Ora sapevo il perché.
E non avrei mai voluto urlargli quelle cose.
Spostai lo sguardo sul terzo foglio. 16 Aprile 2011. Tell Me a Lie.
 
 

«And well there must've been a time
I was a reason for that smile…
So keep in mind.»

 

 
Il nostro litigio più brutto.
Risaliva alla prima volta che eravamo stati ad una festa insieme, e lui aveva quasi fatto a botte con Josh. Sì, Stunner  ed io non eravamo proprio stati insieme, era piuttosto una situazione complicata. Solo che quel bastardo mi aveva tradita con Beth Greengrass, e ad Harry non era andato molto a genio.
Tuttavia, non avrei mai voluto che si accanisse contro di lui, e avevamo litigato di nuovo. Gli avevo detto che con Josh ero stata bene, avevamo passato bei momenti… e che non era giusto comportarsi in quel modo con lui. Ma sì… un tempo, la ragione dello stesso sorriso che avevo avuto per Josh… era stato lui.
 
 

«Tell me I'm a screwed up mess,
That I never listen, listen…
Tell me you don't want my kiss,
That you need your distance, distance!
Tell me anything but don't you say he’s what you're missing, baby.»

 
 
In effetti non avevo detto nessuna di quelle cose, ma gliel’avevo lasciato capire. Avevo salutato Josh con uno sguardo sdegnoso e me n’ero tornata a casa, accompagnata da Brooke e Mona.
 Lui era rimasto dentro, a guardarmi andar via.
Non potevo sapere quanto l’avessi ferito, convinta com’ero che dovessi essere io a prendermela. Invece mi sbagliavo. Iniziai a sentire un grosso peso al petto.
Ma fu l’ultima canzone a darmi il colpo di grazia.
20 maggio 2012. La data di ieri.
 Infatti, il foglio sembrava più nuovo, rispetto agli altri tre. Ricordai cosa vidi dalla mia finestra, la sera prima di finire nel corpo di Harry. Lui, chino sulla scrivania, intento a scrivere qualcosa con le cuffiette giganti alle orecchie.
Doveva trattarsi di quello.
Moments.
 
 

«If we could only have this life,
For one more day.
If we could only turn back time…»

 
 
Sorrisi, amaramente. Eccoti accontentato, Harry.
Se solo potessimo rimandare indietro il tempo. Ci sono.
Lo sto riavvolgendo come un nastro di una cassetta rotta. Torno indietro di anni, per rendermi conto di tutto quello che ho perso. Di tutto quello che ho lasciato andare. Per rendermi conto di te. Di quanto sei stato male, ogni volta che credevo ce l’avessi con me. Quando pensavo non t’importasse più di niente. Tu eri lì, da solo, a scrivere e cantare.
Parlavi di me, sussurravi di noi. E io non ti vedevo. Mai.
Avevi costruito una maschera talmente bella, da farmi credere che fosse il tuo vero volto. Purtroppo, però, quella sera era andata in pezzi.
Perché ti avevo visto dentro, nell’anima.
Sapevo quello che pensavi, ciò che provavi. Le tue canzoni erano più chiare di qualsiasi discorso. Ero lì, intrappolata in quelle parole, nelle note della tua chitarra. Ignara di quanto importante fossi, per te.
Sentii una lacrima calda rigarmi la guancia.
Stavo piangendo.
Per te, Harry.
Per tutto quello che eri, e che non mi ero mai accorta di conoscere. Per ogni momento in cui ti avevo maledetto, perché pensavo che mi avessi dimenticata. Non avrei potuto sbagliarmi più di così. E me ne accorgevo troppo tardi.
Erano le undici, ormai.
Avrei avuto tempo a sufficienza, per rimediare?
 

 

« You know I’ll be…
Your life,
Your voice,
Your reason to be…
My love,
My heart
Is breathing for this
Moment,
In time,
I’ll find the words to say…
Before you leave me today.»



 

Holls' Corner!:


Il mio capitolo preferito in assoluto. Davvero.
Non so, è particolarmente emotivo e sentito, ma davvero... in tutta la storia, è quello che amo di più. Perché alla fine Billie capisce che Harry la ama ancora. Sì, ancora, perché non ha mai smesso di farlo, nonostante lei credesse il contrario.
Ho deciso di non commentare oltre, stasera, perché voglio che sia il capitolo stesso a parlare per sé...
Passiamo, quindi, alla "normale amministrazione"! Mi scuso innanzitutto per non aver ancora risposto alle recensioni, lo farò presto, don't worry!! E ci terrei davvero a ringraziare i lettori tutti, che leggono e basta/recensiscono/ricordano/seguono/preferiscono la storia! Davvero, grazie di cuore!
Vi lascio con una gif di Harry... ovvero Billie nel corpo del riccio, hahahahah!
Ah, vorrei ricordarvi che la storia non è assolutamente una song-fic, in quanto questo è l'unico capitolo in cui compaiono delle canzoni!! C
ome ben saprete, ci tengo particolarmente a conoscere le vostre opninoni in merito al capitolo, se vi sia piaciuto o meno o le vostre impressioni!!
Un bacione a tutti e... alla prossima!


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Capitolo 12
*** XII ***





XII

 
 
Un misero mucchio di piccoli segreti, ecco cosa siamo.
(G. Musso)
 
 
 
Harry

 
 

Richiusi la gelateria, dopo aver servito quella signora.
Mentre abbassavo la saracinesca, ripensai al mancato bacio con Billie. Cosa mi era preso?
Avevo aspettato diciassette anni per un momento come quello, e me lo lasciavo scappare. Ok, era stata colpa della cliente, ma avrei benissimo potuto baciarla lo stesso.
Invece mi ero ritirato all’istante, come un bambino scoperto dalla mamma a rompere il vaso di porcellana. Di cosa avevo avuto paura? Di perderla? E perché mai?
Forse, la verità era che non avevo avuto abbastanza coraggio. Tornai a casa, più pensieroso del solito. Appena richiusi la porta d’ingresso, un buon odore di pollo arrosto mi pervase le narici. Vidi Kaylee, la madre di Billie, affacciarsi dalla cucina con un mestolo in mano.
Era ora di cena, in casa Donovan.
«Bentornata, tesoro! Arrivi giusto in orario. Ho appena sfornato il pollo, vieni a sederti!» mi disse, sorridendo. Mangiare era l’ultima cosa che volevo, in quel momento. E vedere quella donna accogliermi con così tanto calore, chiedendomi di prendere posto a tavola… era semplicemente troppo, per me. Scossi la testa, sorridendo incerto.
«Grazie… mamma.» pronunciai, con difficoltà.
Magari la mia vera madre mi avesse trattato in quel modo. Magari fosse stata in casa a cucinare, tutte le sere. «Non ho molta fame, oggi. Preferisco salire in camera a riposare.» dissi, e mi avviai per le scale, senza lasciarle il tempo di protestare.
Una cena come quella mi avrebbe devastato. Oltretutto, avevo sbirciato l’orologio in corridoio, ed erano già le nove e un quarto. Correvo contro il tempo, per cercare di conoscere Billie Donovan di nuovo, e quel giorno i minuti e le ore pareva scorressero a velocità doppia.
Entrai in camera della ragazza, richiudendomi la porta alle spalle. Che cosa avrei potuto sfruttare, in quel breve lasso di tempo, per riuscire a riprendermi il mio corpo… e Billie? Mi avvicinai alla scrivania.
Giusto, dovevo ancora leggere il suo diario. Scostai la sedia girevole e mi accomodai, rigirandomi il quadernino fra le mani. Quell’azione mi fece sentire un po’ uno spione, a voler guardare così brutalmente i suoi pensieri più intimi. Ma non avevo tempo di farmi scrupoli, le lancette ticchettavano senza aspettare nessuno.
Aprii la prima pagina, e vidi la data sul frontespizio. 1 gennaio 2009. Era di ben tre anni fa. Non poteva aver scritto tutti i giorni della sua vita, perché l’ultima pagina era datata 2012, e il quaderno non era esageratamente grosso. Mi persi nella lettura, ritornando con la memoria ai giorni passati, rivedendoli con gli occhi di Billie.
Non c’era niente di particolarmente interessante nella prima metà del blocco, ma mi fermai immediatamente di fronte ad una pagina in particolare. 23 Giugno 2010.
Che maledetta serata.
C’era stato il ballo di fine anno alla Woodrow Wilson High, e noi eravamo in prima liceo. Ricordai che lei ci era andata con quell’idiota di Josh Stunner, un pallone gonfiato di due anni più grande di lei. Sapevo che le piaceva parecchio, e ballare con lui aveva dovuto significare molto per Billie.
Peccato che io non l’avessi concepita, come idea.
 

«Sarebbe stata la miglior serata della mia vita, se solo Harry Styles non avesse guastato il momento più bello.
Ha passato tutto il tempo, e ripeto, tutto, a guardarci male. Sì, fissava Josh e me, mentre ballavamo il lento al centro della palestra.
Mi chiedo che problemi abbia. Non riesce proprio a capire quando sia il momento di finirla, con le bambinate?
Anch’io avevo il diritto ad una serata indimenticabile. E lui me l’ha rovinata.»

 
Buffo di come le cose cambino, a seconda dei punti di vista.
Lei si divertiva con quel demente, e io bruciavo d’invidia. Grazie che avevo passato tutto il tempo a guardarli male.
Billie si meritava di meglio di Josh Stunner, quel donnaiolo del cavolo. Ma lei non aveva capito niente, come suo solito. E io le avevo mostrato il mio lato più cattivo e intrattabile, per nascondere ciò che sentissi veramente. Perché avrei dannatamente voluto esserci io, al posto di Stunner.
Avrei voluto essere io a stringerle la vita, a ballare con lei. Avrei voluto essere io quello che avrebbe chiamato alla fine della festa, solo per dirmi “buonanotte”.
 Scossi la testa, voltando pagina. Lessi di altri giorni, e altre situazioni. Tutte opinioni, pensieri, scarabocchi di quella damina di porcellana che aveva abitato di fronte a casa mia da praticamente sempre. Non mi ero accorto di quanto fosse cambiata, in soli quattro anni.
Era cresciuta, aveva imparato ad essere più forte. Mi ero perso un sacco di momenti importanti per la sua vita. I suoi stage di danza, le sue letture di Shakespeare, i suoi saggi di fine anno. Per inseguire il riflesso della luna, avevo perso di vista il satellite vero.
 Arrivai ad un’altra data importante. 16 Aprile 2011.
La prima festa a cui eravamo andati insieme.
Solo che lei si era portata dietro anche Stunner. E io l’avevo scoperto a baciare Beth Greengrass nel ripostiglio delle scope. Billie non era riuscita a crederci, neanche quando l’avevo trascinata fino alla porta dello stanzino, e Beth aveva strillato “un po’ di privacy, per la miseria! Ora non ci si può neanche rilassare in pace?!”, chiudendosi dentro insieme a Josh.  Davanti ai suoi occhi.
 

«Non avrei mai potuto prevedere una cosa simile.
Josh mi tradiva con quell’oca di Beth, e proprio sotto il mio naso. Se Harry non me l’avesse fatti vedere, non gli avrei mai creduto.
Da un lato, sarebbe stato meglio non saperlo

 
Già, e me l’aveva urlato perfino lei stessa, in faccia, quella sera.
Insieme ad un paio di altre cose per niente carine. Solo perché avevo tirato fuori Josh, e stavo per dargli un sonoro destro in faccia. Come avevo voluto fare da quella schifosissima serata del ballo di fine anno.
 

«Nessuno gli aveva chiesto d’immischiarsi. La violenza non è mai la soluzione. Picchiare Josh l’avrebbe riportato da me? No, per nessuna ragione. Ma vai a spiegarglielo, ad uno come Styles.
Semplicemente, non ci ha visto più. E io non ho sopportato oltre. Così ho chiesto a Mona e Brooke di riportarmi a casa.
Pensare che solo un paio di anni fa, in un momento simile, sarei stata da lui, a piangere fra le sue braccia… mi distrugge. Perché si è allontanato così tanto?
Che c’è di bello nel tornare a casa alle cinque di mattina, passando di festino in festino?
Quand’è che hai cominciato ad ignorarmi, chiudendomi fuori dalla tua vita?
Ci siamo ridotti a questo, dopo tutto quello che abbiamo passato?
Ti detesto, Harry.
Ma mi manchi da morire.»

 
 
Non avrebbe mai potuto sapere che non l’avevo chiusa fuori dalla mia vita. Neanche per un istante.
Non avrebbe mai potuto sapere perché passassi tutto quel tempo fuori casa, perché avessi cominciato ad allungare le distanze.
 La mia vita andava male, faceva schifo. E io avevo bisogno di distrarmi, di farmi del male.
Volevo comportarmi in maniera disordinata, volevo che la gente pensasse che ero un caso perso. Frequentare Billie avrebbe potuto tirarmi fuori da quel vortice, e non volevo. Ma non avevo mai smesso di pensare a lei.
 Tutto ciò che mi rimanevano, erano i fogli e la chitarra. Ecco perché avevo scritto quelle canzoni. Però, in camera ne avevo appese solo quattro. Le più importanti.
Che avevano la stessa data di quelle pagine amare piene di odio e abbandono. Ero convinto di fare del male solo a me stesso. Pensavo di potermi distruggere in completo anonimato, che a nessuno avrebbe importato. Invece, avevo ferito anche la persona a cui tenevo di più. Scorsi le pagine, leggendo distrattamente. Arrivai all’ultima.
C’erano solo alcune frasi, e aveva la data di ieri. 20 Maggio 2012.
Strano che anch’io, quella sera, avessi scritto la mia ultima canzone per lei. Dopo quella colossale litigata. Iniziai a leggere.
Non ero preparato a quelle parole.
E non lo sarei stato mai.

 

«Abbiamo discusso di nuovo. La cosa peggiore, è che ci siamo detti di “uscire dalle nostre vite”. Come cercare di mettere una conclusione all’infinito.
Si può trovare un limite al cielo? Allo stesso modo, posso veramente dire ad Harry di uscire dalla mia vita? Com’è vivere con il cuore a metà?»

 
Richiusi il quaderno, e seppellii il volto fra le mani.
Ecco cosa pensava veramente Billie Donovan di me.
Non mi avrebbe mai odiato, detestato, sbattuto fuori dalla sua vita. Mi voleva bene. Così come io ne volevo a lei. Ma non l’aveva mai saputo.
In quattro anni, avevo rovinato una delle migliori amicizie che avessi mai avuto, e distrutto l’unica ragazza che avessi mai amato.
Sì, la sola.
Lei, a cui avevo scritto tutte quelle canzoni, a cui avevo sempre comparato tutte le tipe con cui ero stato, a cui non avrei mai voluto far sprecare solo una lacrima.
Bravo, Harry, complimenti. Adesso sai come stanno le cose. Sei fiero di te stesso?
Mi alzai di scatto, affacciandomi alla finestra. Vidi Billie nel mio corpo, intenta a fissare la parete con espressione sconvolta.
No.
Aveva scoperto le mie canzoni.
Non leggerle!, avrei voluto urlarle. Ma ormai era tutto inutile, perché non avevo capito un bel niente, di lei. Troppo tardi, a quell’ora aveva probabilmente già letto tre di quei quattro testi.
Guardai la sveglia sul suo comodino. Le dieci e mezza. Mancavano novanta minuti alla mezzanotte, e io mi sentivo crollare il mondo addosso.
Spalancai la porta della stanza di Billie, e scesi di volata le scale. Arrivai all’ingresso, con le vertigini.
«Billie, dove stai andando? È tardi!» sentii suo fratello esclamare. Scossi la testa, tirando giù la maniglia della porta.
Dovevo uscire, respirare aria fresca, pensare. E non volevo nessuno intorno.
«Ho bisogno di ossigeno, Tom. Tornerò presto.» dissi, e uscii.
Harry Styles, sei il ragazzo più stupido dell’intero pianeta.







Holls' Corner!:


Già. Ci siamo. Questo era proprio il penultimo capitolo. Il prossimo segnerà la fine di questa storia.
Inutile dire che mi dispiaccia, perché ci ero parecchio affezionata... ma si sa, le cose belle durano poco (ammesso che questa lo sia...!)!
Dunque... dopo le canzoni di Harry... c'è il diario di Billie! Casualità, anche lei ha scritto nelle stesse date di Harold. Ma le opinioni erano completamente differenti da quelle che il ragazzo si sarebbe aspettato.
Ora che ha finalmente capito che anche lei non ha mai smesso un istante di volergli bene, lui come si comporta? Corre via! Proprio adesso che manca così poco! E scoprirete solo nell'ultimo capitolo come si evolveranno gli eventi!
Ho deciso di rispondere in maniera sintetica qui, a tutte, così ci metto di meno e chiarisco un po' di "punti bui", hahahahahahah!
Innanzitutto, non credo che riuscirò mai a ringraziarvi abbastanza. Dico sul serio. Siete meravigliose e tutti i complimenti che mi fate nelle recensioni sono qualcosa di... indescrivibile. E sono veramente felice che tutte le emozioni che ho cercato di imprimere alla storia passino in maniera evidente dallo schermo! Davvero, grazie infinite!
Adesso... "accendiamo la luce", hahahah!
Allora, come ben saprete, questa storia è ormai praticamente conclusa, sapendo che manca solo un capitolo e non ci sarà l'epilogo. Dunque, molte di voi mi hanno chiesto se continuerò a scrivere, o comunque se lascerò qualche altro mio lavoro in corso di pubblicazione.
La risposta è sì, ho già iniziato una nuova storia, e l'ho pubblicata ieri sera. Vi lascerò il banner di seguito, per chiunque di voi che vorrà continuare a seguirmi anche dopo la fine di 24 Hours!
Ciò detto, posso anche lasciarvi con la mia consueta gif, e rinnovo i ringraziamenti ai lettori tutti, sia quelli che leggano e basta/ricordino/seguano/preferiscano/recensiscano la storia!
Come sempre, ci tengo a ricordarvi che apprezzo molto conoscere le vostre opinioni e le impressioni sul capitolo!!
Alla prossima volta, per la penultima volta in questa avventura... divenuta fantastica grazie a voi!
Un bacione!



 

Ecco qui il banner della mia nuova long! Grazie in anticipo a chiunque decida di passare a darle un'occhiata!



 



 

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Capitolo 13
*** XIII ***






XIII

 
 
Non può piovere per sempre.
(E. Draven)
 
 
 


Billie

 
 



«Harry! Harry, ci sei?!»
Erano ben cinque minuti che mi sgolavo dalla finestra, cercando di chiamare il mio vicino di casa.
Nessuna risposta, la stanza era vuota.
Come potevo fare? Avevo un disperato bisogno di parlare con lui, di chiarirmi! Non potevo lasciare le cose in quello stato, non avevo un minuto da perdere!
Decisi di affrontare la faccenda in maniera diretta. Misi la mano sul chiavistello della porta della sua camera, quando il boato di un tuono m’immobilizzò.
No, diamine, non adesso!, pensai.
Detestavo la pioggia, e i temporali. Li temevo da quando ero piccola. Ma non avevo molte alternative: o mi bagnavo, o trovavo Harry. Non ebbi neanche bisogno di scegliere.
Aprii la porta, e scesi di corsa le scale. Erano già le undici e un quarto. Gemma ascoltava ancora la musica in camera sua, neanche si prese la briga di chiedermi dove stessi andando a quell’ora. Premetti il dito sul campanello di casa mia – quella vera, della famiglia Donovan –, aspettando che qualcuno venisse ad aprirmi. Intanto, aveva iniziato a piovigginare. Tipico.
La porta si dischiuse, rivelando un Tom parecchio preoccupato. Quanto mi era mancato, il mio fratellone! Avrei voluto gettargli le braccia al collo e stringerlo, ma dovetti contenermi. Avevo cose più importanti a cui pensare.
«Ciao Tom.» esordii, sorridendo. «Billie è in casa?» chiesi, sentendomi un’idiota. Che strano effetto parlare di sé stessi in terza persona. Il ragazzo scosse la testa, triste. Come no?!
«Mi dispiace, Harry, è uscita mezz’ora fa. Aveva l’aria parecchio strana, diceva di aver bisogno di ossigeno.» spiegò. Sentii il cuore martellarmi in petto. Che cosa stava facendo Harry?!
«E non sai dove sia andata?»
«No, purtroppo non me l’ha detto. Non risponde nemmeno al cellulare.» aggiunse, sconsolato. No, no, no, porca miseria!
Tom mi guardò, prendendomi per le spalle.
«Per favore, Harry, trovala. Qui siamo tutti preoccupati, non è mai accaduto che uscisse in quel modo di casa. A quest’ora poi!» esclamò. Annuii, più con me stessa che verso di lui. Ormai neanche feci più caso al fatto che mi avesse chiamata “Harry”. Mi lasciò le spalle.
«Va bene, Tom, sta’ tranquillo. Vado a cercarla, ci vediamo fra poco.» dissi, e corsi via, nella pioggia.
Che astio, ed eravamo a maggio! Quando avrebbe finito di piovere, in Inghilterra? Probabilmente mai.
Riflettei che Harry, quando era piccolo, aveva spesso bisogno di stare da solo e pensare. C’era un unico posto in cui avrebbe potuto andare, soprattutto se era sconvolto per qualche motivo. E quello era il nostro vecchio ritrovo segreto.
 
 



Avevo corso, corso e corso, come una matta.
Ormai ero zuppa, l’acqua mi era arrivata perfino nell’intimo, ma non m’importava. Girai l’angolo, e mi sentii più leggera.
Harry, nel mio corpo, era lì.
Il nostro ritrovo segreto altro non era che il parco giochi abbandonato dietro casa mia, poco lontano dalla gelateria di Gino. Ci venivamo sempre, tempo fa, quando avevamo qualche problema. E infatti.
Era seduto tutto solo sulla vecchia altalena, dondolandosi leggermente. Quello spettacolo era davvero struggente.
Le giostre, abbandonate, erano illuminate in parte dalla luce dei lampioni. La pioggia ticchettava silenziosamente sulla fredda plastica, lavando via anni di polvere e ricordi di giochi felici di bambini. Harry sedeva con la schiena curva, il capo abbandonato in avanti, i capelli zuppi appiccicati alla schiena. Sentii una morsa al petto, e guardai l’orologio.
Mezzanotte meno venti.
Corsi da lui, attenta a non inciampare nelle pozze d’acqua e facendo lo slalom fra le vecchie strutture. Lo raggiunsi, ma non alzò la testa.
«Harry.» dissi. Sollevò il capo, lentamente.
Piangeva. Riuscivo ad accorgermene, nonostante stesse piovendo a dirotto, e avesse le guance rigate dalle gocce di pioggia. Gli presi il volto fra le mani, chinandomi.
«Perché sei scappato qui?» gli chiesi, apprensiva. Scosse la testa, lo sguardo perso nel vuoto.
«Scusami, Billie.» rispose, semplicemente.
Lo fissai, sorpresa. Si stava… scusando?!
«In quattro anni, l’unica cosa che avevo voluto, era rovinarmi la vita.» disse, triste. «Ma invece, ho ferito te.» concluse.
Quelle parole mi trafissero come una freccia. Se n’era accorto, finalmente?
«Non potevi saperlo.» replicai, scostandogli i capelli dalla fronte. Sorrise, amaramente.
«Mi sarei potuto impegnare. Ho sempre creduto di conoscerti, ma invece non ho mai capito niente!» esclamò, con rabbia. No, un momento.
«Aspetta, Harry. Quella che non ha capito, qui, sono proprio io.» cominciai, guardandolo negli occhi. La pioggia continuava a cadere, ma era come se non ci fosse, per me.
«Mi hai scritto tutte quelle canzoni stupende, e io non me ne sono mai accorta. Non hai smesso per un attimo di pensarmi, quando credevo di essere stata dimenticata.» spiegai.
«Sei stato il mio migliore amico per così tanto… e poi sono bastati quattro anni per perderti completamente di vista.»
«Ma io…» protestò, e gli posai l’indice sulle labbra, zittendolo. Sorrisi.
«Pensavo di conoscerti, Harry. Ne ero certa con tutta me stessa.» dissi. Presi un gran respiro. «Invece, dopo stasera, ho dovuto ricredermi.» scostai un ricciolo bagnato che mi era finito sugli occhi.
«Perché ho scoperto una parte di te che non avevo mai visto. Il vero te, Harry. Non quel ragazzaccio per il quale ti spacci di essere.» gli baciai la fronte, contenta di aver detto tutto. Lo vidi sorridere.
«Allora siamo in due, ad aver fatto delle scoperte.» rispose. Mi scostai, per guardarlo negli occhi.
«Ho letto il tuo diario, Billie. In particolare l’ultima pagina.» esordì. Lo ascoltai senza replicare.
«Ho capito che non mi hai mai detestato sul serio. Eri solo arrabbiata, perché credevi che ti avessi abbandonata.» disse. «Non si può mettere un limite al cielo, Donovan. E neanche vivere con un cuore a metà.» recitò, ripetendo le parole che avevo scritto sul mio diario, la scorsa sera.
Harry sorrise, e si alzò dall’altalena. Quella volta fu lui a prendermi il volto fra le mani. Lo guardai, specchiandomi nei miei stessi occhi.
Che ore erano? Mah, chissenefrega.
«È vietato leggere i diari altrui.» dissi, mentre i nostri volti erano sempre più vicini. Harry rise.
«Sta’ zitta, Miss Perfezione.» e mi baciò. Il primo, vero e sentito bacio della mia vita.
Mi sentii bene, come mai prima d’ora.
 
 


Quando riaprii gli occhi… mi ritrovai a fissare il volto di Harry.
Ma non lui nel mio corpo… proprio Harry Styles, con occhi verde acqua, riccioli e fossette. Anche il ragazzo si stupì, allontanandosi di qualche passo. Mi sfiorai la faccia, i capelli.
Allora mi guardai le mani. Belle, dalle dita affusolate, con lo smalto color ciliegia. Femminili.
Ero tornata nel mio corpo!
Iniziai ad esultare, urlando e saltellando come un’idiota.
«Sono tornato maschio!» esclamò Harry, toccandosi i riccioli e guardandosi i pantaloni. Scoppiai a ridere.
«E non è fantastico? Io sono di nuovo una donna!» risposi. Ci guardammo, e un attimo dopo lui mi faceva volteggiare fra le sue braccia, sotto la pioggia. Mi rimise a terra, ridendo.
«Era ora! Non ce la facevo più ad essere te!» disse, prendendomi in giro. Gli feci una smorfia.
«Ah, sì? Che dovrei dire io, con i tuoi pantaloni stretti e le magliette xxl?» lo provocai. Mi sorrise, stringendomi per i fianchi, avvicinandomi a lui.
Posai le mani sul suo petto, felice di poter sperimentare quelle sensazioni con il mio vero corpo.
«Vuoi farmi credere che non ti sono mai piaciute?» chiese, avvicinando il suo volto al mio. Mi morsi un labbro.
«Ti svelo un segreto…» dissi, sussurrandogli nell’orecchio. «Ho sempre avuto un debole per i ragazzi con i riccioli e le maglie larghe.»
Lo sentii ridacchiare.
«Ti amo, Billie.» disse. Lo baciai.
Ero felice, perché avevo conosciuto di nuovo il mio vecchio amico d’infanzia… che intanto era diventato il mio ragazzo.
E non avrei potuto desiderare niente di meglio.

Finalmente, aveva smesso di piovere.


 





Holls' Corner!:


Bene, gente. Ormai devo proprio dirvelo. E' finita.
Ve l'aspettavate una conclusione simile? Mah, forse sì, forse no... diciamo che ho voluto regalare quei momenti ai miei Billie ed Harry... perché avevano sofferto abbastanza, in tutti quegli anni.
Dire che nemmeno mi aspettavo che la storia avesse successo è inutile, tante le volte che l'ho ripetuto. Pensare che quel folle lampo ha prodotto tutta quest'avventura mi sembra impossibile. Eppure eccoci qui.
Ringrazio voi, per avermi sostenuto e fatto capire che la storia andava portata avanti fino alla conclusione.
Ringrazio chiunque l'abbia letta, per il tempo che ha speso sul mio scritto.
Ringrazio i "miei" Harry Styles e Billie Donovan, le
vere persone che mi hanno ispirato i caratteri per questi personaggi. Senza di loro, non avrei potuto tirare fuori nessuno dei due, in questa storia...!
Ma passiamo nello specifico, discutiamo di numeri...

 

GRAZIE


Alle 88 persone che hanno inserito la storia fra le Preferite.

Alle
13 persone che hanno inserito la storia fra le Ricordate.

Alle
108 persone che hanno inserito la storia fra le Seguite.

A
tutti coloro che l'hanno recensita, chi dall'inizio, chi "strada facendo".

Alle
20 nuove persone che mi hanno inserita fra gli Autori Preferiti.



Detto questo...
24 Hours è conclusa, ma io non mi fermo certo qui! E vi lascio di seguito i banner di altri miei lavori, per chiunque volesse continuare a seguirmi!





 

Questa è la mia nuova long, appena cominciata.
Ha sempre quel tocco di soprannaturale che parte da un'idea folle, hahahahah!
E sì, Harry è il protagonista. Ma compariranno spesso anche gli altri, non temete.



 

Questa è una long che porto avanti da un po', ed è leggermente più impegnativa.
Niente fantasy, solo... romance. I protagonisti saranno diversi, non solo Harry e Zayn.

 

Questa è la mia OS su Maynard, e ve la ripropongo.
Specie adesso che il tipetto ha una sezione tutta sua. Finalmente.





E allora... grazie di nuovo, per questa fantastica avventura.
Un bacio, per l'ultima volta in
24 Hours.
Inutile ricordarvi che mi farebbe davvero piacere conoscere i vostri pareri sull'ultimo atto della commedia... ormai mi conoscete bene.
Arrivederci a tutti!

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