Thinking To How It Was Back Then - Due Cuori e un Abito da Sposa.

di a Game of Shadows
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** How it was back then. ***
Capitolo 2: *** The jokes, laughs, smiles we shared. ***
Capitolo 3: *** Don't Leave. ***
Capitolo 4: *** Don't Cry. ***
Capitolo 5: *** Epilogue. ***



Capitolo 1
*** How it was back then. ***


Thinking to how it was back then – Due cuori e un abito da sposa.

1.      How it was back then.

Era già qualche tempo, ormai, che il mio caro amico Sherlock Holmes si comportava in modo strano. Non strano come suo solito, ma in modo estremamente diverso e preoccupante. Quelle poche volte che mi ero recato a Baker Street negli ultimi mesi per visite di controllo in modo da potermi assicurare che non si fosse ucciso con qualche esperimento, lo avevo trovato profondamente cambiato. Apparentemente era sempre lo stesso, ma per una persona che lo conosceva bene, non era così. Aveva perso molti chili, i segni della siringa sul suo braccio erano sempre di più e lui non si curava neanche di nasconderli, ma i segni fisici erano quelli che mi preoccupavano di meno, poiché conoscevo purtroppo quali fossero le diete che seguiva e quali fossero le sue terribili dipendenze. Ciò che maggiormente mi portava a pensare che non stesse bene, era la profonda stanchezza che vedevo nei suoi occhi, sentire che l’ironia di cui spesso colmava le sue parole era andata dispersa nella freddezza e in uno sgarbato cinismo. La luce di cui ero solito veder brillare i suoi occhi era ora spenta, opacizzata dalle droghe e da chissà quali pensieri. Ormai non cercava neanche più di coinvolgermi nelle sue stravaganti avventure; non potevo neanche pensare che non avesse seguito nessun caso, alcune delle mie visite non erano state ricevute perché, in seguito alla visita di un cliente, lui era uscito, questo mi aveva detto Mrs. Hudson. Poi, anche se non fosse successo, avevo letto più di una volta il suo nome sui giornali, affiancante Scotland Yard, che ovviamente si prendeva il merito per soluzioni che non avevano raggiunto gli ispettori. Solo la spiegazione di quanto complicato un caso fosse lo rendeva ovvio. Quindi Holmes aveva semplicemente rinunciato, e questo mi feriva; non potevo neanche dirglielo e passare per ipocrita in quel modo. Ma ogni volta che gli chiedevo se avesse lavorato a qualcosa d’interessante, lui si limitava a tenere lo sguardo lungi da me e scrollare le spalle senza darmi una vera risposta. Mi stava escludendo dalla sua vita.

Qualcosa era successo al mio amico, e gli stava ancora succedendo con il passare del tempo, distruggendolo lentamente dall’interno, ma ogni volta che prendevo coraggio e osavo chiedergli cosa avesse, liquidava in fretta l’argomento con un lapidario “niente” che non ammetteva repliche e passava a tutt’altro argomento, destinato a morire dopo poche parole come stava ormai spesso succedendo.

Quando era tornato a Londra dopo il caso di Moriarty, lui era lo stesso Holmes che avevo sempre conosciuto, ironico e pungente, ma pian piano aveva cominciato a morire lentamente tra le mie braccia senza permettermi di fare niente per salvarlo.

Mary aveva detto che anch’io ero diventato taciturno e che mangiavo meno, quando la misi a parte delle mie preoccupazioni per il mio migliore amico. Lo sapevo, l’appetito mi era passato del tutto la sera in cui avevo visto Holmes gettarsi da quel balcone, e mangiavo per semplice abitudine e solo per non lasciarmi morire, ma non sentivo mai lo stimolo della fame, e la voglia di parlare era diminuita a dismisura, come anche mia moglie poté costatare quando finalmente partimmo per la nostra settimana a Brighton. Era come se il mio corpo volesse impedirmi di vivere in modo da poter raggiungere Holmes. Anche dopo il suo ritorno, però, la situazione non era cambiata, specie quando notai che era più lontano da me adesso di quando era “morto”. Negai tutto quel che Mary mi disse, seppur sapessi perfettamente che avesse ragione; ma Holmes mi mancava, mi perdevo talmente nei ricordi, nei nostri ricordi, da dimenticarmi persino cosa stavo facendo fino a un attimo prima e preferivo scrivere a macchina le nostre avventure prima che parlare con Mary. Solo che a lei non potevo dirlo, Mary non poteva sapere che il motivo delle condizioni patetiche di suo marito era un altro uomo.

Più di una volta ero arrivato a concordare tacitamente con Holmes, senza ovviamente permettermi di dirglielo ad alta voce, preferendo poi scacciare il pensiero dalla mia mente appena questo vi si presentava: il matrimonio era stato un grosso errore. Mary era una donna adorabile, ma a me mancava l’avventura, il rischio, quei casi complicati e apparentemente irrisolvibili, che utilizzavo poi nei miei resoconti per adulare le doti del mio migliore amico. Ma mi mancavano soprattutto le serate davanti al camino, ognuno seduto sulla propria poltrona e accompagnati dalla propria lettura e un bicchiere di brandy, e solo qualche parola ogni tanto. Ma anche quelle serate in cui noi eravamo sempre lì, su quelle stesse poltrone, a ridere insieme, a sbeffeggiare Scotland Yard, e quei brevi sorrisi e gli sguardi complici… mi mancava anche sentire il suono del violino alle tre di notte, vedergli i miei vestiti indosso, il pericolo di imbattersi in qualche esperimento chimico probabilmente letale in giro per casa nostra

E Holmes si comportava nel mio stesso modo, mi chiedeva cosa avessi ed io fingevo di stare bene, quando probabilmente era ovvio il contrario.

Quel pomeriggio, mentre mi avviavo a Baker Street, più per malinconia dei vecchi tempi che per la mia solita visita di controllo, incrociai il fratellino Mycroft mentre usciva dal 221b con sguardo sconfortato. Mi chiesi se per caso il governo avesse chiesto i servigi di Holmes per una faccenda molto importante, poiché sapevo che al fratello maggiore non piaceva muoversi molto se non per questioni di vitale importanza, ma lo sguardo cupo di Mycroft mi fece ricredere immediatamente sul lavoro come motivazione della sua presenza lì.

“Buongiorno, Dottore.” Mi salutò raggiungendomi. “Va da Sherly, vero? È un sollievo sapere che non rimarrà da solo.” Disse, sinceramente sollevato.

“Perché, non sta bene?” chiesi subito, incapace di celare la mia preoccupazione. Temevo che il crollo che avevo visto in lui in quegli ultimi mesi adesso avesse avuto terribili ripercussioni sulle sue condizioni di salute.

“Non credo, no. Non so dirglielo con esattezza, io non sono un medico. Sono passato a trovarlo perché, senza dubbio ha notato anche lei, c’è qualcosa che non va e che non intende dire a nessuno. Ero preoccupato e sono passato a salutarlo ma, quando sono arrivato, dormiva sulla poltrona, rannicchiato come un gatto. Quando me ne sono andato, era ancora lì, non aveva mosso un muscolo. Sono rimasto per po’ per controllare che non smettesse di respirare. Non aveva un bell’aspetto e sembrava avere un sonno agitato, ma non sono riuscito a svegliarlo. Adesso devo andare, Dottor Watson, il lavoro mi attende. Abbia cura di mio fratello. Buona serata.”

Non riuscii neanche a ricambiare il saluto, avevo la gola secca. Corsi subito dentro lo stabile e su per le scale, impaziente di controllare quali fossero le sue reali condizioni e, se possibile, aiutarlo. Bussai insistentemente alla porta, ma non ricevetti alcuna risposta, così decisi di entrare. Se persino il pigro fratellone si era preoccupato al punto di uscire da casa per controllare che stesse bene, Holmes non poteva più negarmi che qualcosa non andava.

Lo trovai esattamente dove Mycroft mi aveva detto di averlo lasciato: era rannicchiato sulla poltrona, in una posizione tale da sembrare più piccolo, e una spessa coperta, probabilmente messa a scaldarlo proprio dal fratello (Holmes non aveva certi riguardi nei confronti della sua persona) a coprirlo fin sotto gli occhi. Nonostante stesse dormendo e desse l’impressione di farlo da molto, i profondi aloni scuri sotto i suoi occhi chiusi tradivano ancora quella pesante stanchezza di cui ero stato sventuratamente testimone nel corso degli ultimi mesi. Mai lo avevo visto in condizioni così terribili. Se non fossi stato appena rassicurato sul fatto che respirasse, dal suo aspetto avrei potuto benissimo dire che era morto.

Ovviamente, essendo un medico sarebbe stato più semplice avvicinarmi e controllare con più accuratezza le sue condizioni, ma la vista che avevo davanti mi teneva inchiodato dov’ero. Cosa poteva aver ridotto in quelle condizioni lo stoico Sherlock Holmes?

Non so quanto tempo persi a fissarlo, senza muovere un solo muscolo, con lo sguardo fisso sul suo viso addormentato, ma alla fine trovai la forza di camminare su quello spesso tappeto, intriso di polvere poiché Holmes non permetteva a Mrs. Hudson di entrare nelle nostre stanze – no, le sue – per pulirvi. Mi muovevo con cautela, nonostante il tappeto attutisse ogni suono. Mi sembrava quasi di essere un estraneo nel mio stesso mondo, adesso. Tutte quelle cianfrusaglie, i cimeli, i nostri ricordi – almeno quelli erano ancora di entrambi, mi sembravano adesso sconosciuti quanto il loro proprietario. Difatti, ormai, Holmes per me era solo un oscuro sconosciuto. Se non lo avessi conosciuto ormai da quasi quindici anni, non mi sarei mai proposto di avvicinarmi a un tipo simile se lo avessi trovato in un bar o in qualunque altro posto. Holmes sembrava aver perso quel carisma che lo contraddiceva, per rimpiazzarlo con un uomo ancora più freddo e distaccato di quanto non fosse mai stato prima. L’uomo che avevo davanti adesso non era Sherlock Holmes.

Quando finalmente raggiunsi la sua poltrona, dopo quella che mi parve un’eternità, abbassai gli occhi sul pavimento. A Holmes non piaceva che le sue cose fossero spostate, quindi Mycroft non aveva rimosso la bottiglia vuota di brandy, il bicchiere rovesciato a terra e la siringa con l’astuccio in marocchino rigorosamente vuoti come la bottiglia. Con un gesto stizzito e seccato, spostai tutto, ormai incurante di fare rumore o no, e m’inginocchiai, cosicché il mio viso fu all’altezza di quello di Holmes, sul bracciolo della poltrona. Nonostante il fuoco acceso, nella stanza faceva un po’ freddo così scostai con cautela la coperta che lo copriva, in modo da non procurargli un trauma per lo sbalzo termico, e la abbassai fino a che lo copriva solo dai fianchi in giù. Nonostante la mia precauzione, Holmes rabbrividì e si rannicchiò se possibile ancora di più, stringendosi le braccia al petto per scaldarsi. Non riuscivo ancora a capire chi avessi davanti.

Sospirai e mi tolsi i guanti, così quando gli afferrai cautamente un polso per testare il battito cardiaco, avrebbe sentito la mia mano scaldata e non la fredda superficie della pelle di quell’indumento. Difatti, non si lamentò ed io potei testare con tranquillità il battito; preoccupantemente lento. Portai la mano libera sulla sua fronte così sentii anche che aveva la febbre alta. Sicuramente si era reso conto delle proprie condizioni; perché, quindi, non mi aveva chiamato?

Mi alzai dal mio posto e corsi in bagno per riempire una tinozza di acqua calda, ove immersi un panno che, raggiunto di nuovo il salotto, usai per tamponargli la fronte. Quelle improvvise attenzioni dovettero ridestarlo dal torpore del sonno perché lentamente aprì gli occhi, sbattendoli poi velocemente un paio di volte per mettere a fuoco. Cercai di ignorarlo e proseguii il mio lavoro.
“’ats’n?” biascicò con incertezza.

Interpretai quel suono disarticolato come il mio nome, così mi limitai ad annuire, senza mai spostare lo sguardo dal mio lavoro anziché abbassarlo sui suoi occhi; non avrei sopportato di vederlo così.

“C’sa shi fa ‘i?”

Riportate queste parole per iscritto, sembrano molto più comprensibili di quanto non fossero quando dette, quindi, più per puro istinto che per volontà, abbassai lo sguardo con aria confusa. Trovai due occhi lucidi, appena appena aperti e offuscati che mi guardavano, le sopracciglia aggrottate nel tentativo di mettere a fuoco più chiaramente.
“Aspetti qui, le vado a prendere un bicchiere d’acqua. Magari dopo riesce a parlare in modo comprensibile.” Dissi e mi alzai.
Cercai di mantenere un’aria composta mentre mi dirigevo verso la porta per scendere al piano di sotto, ma appena fui fuori, rincuorato che Holmes fosse troppo stordito per sentire i miei passi affrettati, scappai di sotto quanto più velocemente potevo, in cucina, e riempii un bicchiere d’acqua per tornare poi di sopra in tutta fretta.
Holmes era ancora nella posizione in cui l’avevo trovato, solo che lo sguardo vagava in modo incoerente e confuso per la stanza, come se non riconoscesse il posto in cui era, e si era di nuovo tirato la coperta sopra le spalle.
Sbuffai. Ero deluso dal suo comportamento ma sapevo che c’era una ragione se si stava uccidendo con tanta diligenza. E temevo di essere io quella ragione. Ma avevo convissuto con Mary per circa un anno e non si era mai ridotto così. Soltanto da quando era tornato da quelle turbinose cascate, dopo… il matrimonio. Dopo che il mio trasferimento era ufficiale e avevo giurato che non avrei mai più preso parte ai suoi casi. E non lo vedevo che ogni tanto. Poteva davvero essere stata la mia mancanza dall’appartamento e nella sua vita a ridurlo in quelle condizioni? Eppure aveva vissuto per anni senza neanche sapere che esistevo.

Gli portai il bicchiere, che lui fissò per qualche attimo con occhi ancora confusi, per poi tirarsi su in una posizione seduta e afferrarlo debolmente. Doveva avere la gola secca perché lo buttò giù come se non bevesse da secoli.
“Che cosa mi aveva chiesto?” gli domandai, cercando di suonare neutrale e indifferente a quel suo comportamento mentre mi toglievo finalmente il cappotto e il cappello.

“Niente…” borbottò, massaggiandosi gli occhi. “Mio fratello è stato qui.”

“Allora non dormiva.”

“Invece sì. Ma chiunque potrebbe riconoscere la terra lavorata che si trova nelle aiuole fuori dal Diogenes Club. Mycroft ha un ottimo spirito d’osservazione ma una scarsa considerazione della natura quando ha troppi pensieri ad affollargli la mente e non bada a dove cammina.” Rispose, indicando un poco di terriccio sul tappeto, di fronte al camino. “Il fatto che la terra nelle scarpe non sia stata persa camminando significa che è venuto qua in carrozza, il che è coerente con il carattere pigro del fratellino. E non avevo quella coperta addosso quando mi sono addormentato.”

“Potrei averla coperta io.”

“Improbabile. Si sta spogliando solo adesso, quindi è qui da poco. Quando mi sono svegliato lei stava esercitando il suo mestiere di medico, cosa che suppongo le venga istintiva. Non credo che avrebbe dato la precedenza a una coperta che avrebbe trovato nell’armadio di sotto di Mrs. Hudson alla sua naturale indole.”

Non capivo perché continuassi così insistentemente a metterlo alla prova quando sapevo benissimo che non avrebbe mai deluso le mie aspettative. Forse, poiché ormai non lo seguivo più nel suo lavoro, volevo poter sentire comunque le sue brillanti deduzioni per sentirlo in qualche modo più vicino o per riuscire ad accettare che quello sconosciuto davanti a me fosse davvero Sherlock Holmes.

“Avrebbe dovuto chiamarmi quando si è sentito male.” Dissi, anziché dargli la soddisfazione  di elogiare le sue doti. Senza dubbio, però, il mio silenzio gli avrebbe suggerito che aveva ragione.

Si stese di nuovo per qualche attimo, massaggiandosi le tempie, gli occhi di nuovo chiusi.

“Non sono mai stato meglio. Non sono ammalato, questa è solo una controindicazione di un mio esperimento.”

Chiusi gli occhi e cercai di mantenere la calma. Quando anche io vivevo a Baker Street, Holmes era molto più controllato con i suoi vizi, perché sapeva che io ero lì a bacchettarlo e a fargli sparire le droghe, gli anestetici, gli alcolici… ma adesso stava evidentemente sfogando quegli anni di “oppressione della sua personalità”, come disse lui una volta, e se prima pensavo che si stesse uccidendo, adesso non sapevo più cosa pensare.

“Smetterà mai?” chiesi con esasperazione.
Ormai sapevo che chiedergli di farlo o cercare di imporglielo era inutile, avrebbe comunque fatto sempre di testa sua.
“No.” La risposta fu secca e fredda. Quasi sembrava che gli avessi chiesto di sacrificare la vita in cambio di un sasso. Non mi aveva preso in giro per la mia preoccupazione, ma aveva solo liquidato l’argomento con la solita freddezza degli ultimi mesi. Quella non era che l’ombra dello Sherlock Holmes che conoscevo.

Che cosa avrei potuto dire, adesso?  Ribattere non avrebbe portato a uno dei nostri soliti battibecchi, lo sapevo; con questo “nuovo” Holmes, sicuramente saremmo arrivati a un litigio in piena regola, da cui non sapevo come ne saremmo usciti. Mi limitai a sbuffare silenziosamente e mi sedetti sulla mia vecchia poltrona, alla disperata ricerca di un argomento pacifico di cui parlare, ma l’aria s’era fatta talmente fredda, intorno a noi, che anche il mio cervello sembrava essersi gelato con essa. Mi sembrava di essere sul filo del rasoio, in cui una parola mal espressa o un gesto fraintendibile avrebbero causato l’inevitabile caduta. Qualunque cosa potessi dire o fare, temevo che avrebbe ulteriormente compromesso il mio rapporto con Holmes.

Quando si scoprì gli occhi, il suo sguardo si mosse sul muro di fronte a sé, ma sembrava che non lo vedesse davvero; i suoi occhi erano offuscati, lo sguardo si muoveva di tanto in tanto in modo impercettibile, perso com'era nei suoi pensieri.

“A volte pagherei qualunque cifra per sapere a cosa pensa…” mormorai inconsciamente.

Immediatamente mi pentii di quello che avevo detto. Per quanto la mia voce fosse stata bassa, i sensi di Holmes erano molto più sviluppati di quelli di qualunque altro essere umano e poteva benissimo considerare queste mie parole come un’invasione del suo spazio personale se mi avesse sentito. Di fatti, si voltò a guardarmi. Sentii le guance andare in fiamme, ma non distrassi lo sguardo, non volevo fornirgli un’ulteriore prova del mio imbarazzo.

Per qualche attimo rimase immobile a fissarmi, poi spostò velocemente gli occhi al tappeto in quello che quasi sembrava… imbarazzo?
“Pensavo a com’erano le cose prima.”

La sua voce era bassa almeno quanto la mia di poco fa. Non doveva essere stata una cosa semplice da dire per lui; mostrare una simile nostalgia, seppur in modo non troppo chiaro per me, non era decisamente cosa da Sherlock Holmes.
“Cosa intende?” provai a chiedere. Qualcosa me lo aveva detto, potevo sperare che mi dicesse di più.

Non ebbi mai una risposta di nessun tipo. Fece come se non mi avesse sentito e prese la pipa e la ciabatta persiana con dentro il tabacco per fumare.
“A cosa devo il piacere della sua visita?” disse a un tratto, lo sguardo ben lungi da me.

“Sono passato a vedere se stava bene.” Dissi automaticamente. Mai gli avrei detto che era per malinconia che mi trovavo a Baker Street, e gli avevo fornito la stessa spiegazione di ogni volta. Non mi resi mai conto che doveva essere poco gratificante, per lui, sapere che il suo migliore amico andava a trovarlo solo per dovere di medico e mai per affetto, ma d’altra parte, lui non aveva mai neanche visto la mia casa di Cavendish Place, che cosa mai avrebbe potuto dirmi?

“Poteva risparmiarselo. Non ho bisogno di lei.”
Rimasi a fissarlo per qualche secondo, impietrito. Non c’era traccia di reticenza o di rammarico, sul suo volto; quelle parole affilate erano state pronunciate senza menzogna né pentimento. Distrassi lo sguardo, cercando di ignorare la fitta al cuore che la sua voce gelida mi aveva procurato e presi il giornale dal tavolo dinanzi alle nostre poltrone.
“Ha seguito qualche caso interessante?” chiesi, ostentando non curanza, come facevo sempre, sperando di ristabilire una qualche traccia di normalità in quell’appartamento. Senza successo.

“No.” La sua voce era di nuovo fredda come prima, e il tono non indicava che intendesse proseguire in qualche modo. Non ero disposto a sopportarlo, subire un trattamento simile da lui era troppo anche per un uomo temprato come me.
Mi rialzai immediatamente dalla poltrona, lanciando il giornale da una parte e indossai nuovamente il cappotto e il cappello.

“Se le mie visite la infastidiscono tanto, non ha che da dirlo, Holmes!” sbottai, chinandomi davanti alla sua poltrona per raccogliere i guanti che avevo lasciato sul pavimento quando avevo iniziato a curarlo, e li rimisi.
“Non capisco perché continui a venire se ha avuto tanta fretta di andarsene.” Rispose invece lui, finalmente guardandomi negli occhi.

Strinsi i denti e mi rialzai velocemente; stavo disperatamente concentrando tutta la mia energia sul mio auto-controllo per non mettermi a urlare. Dovevo andarmene immediatamente o lo avrei preso a pugni. Avevo provato più di una volta a dirgli che il mio matrimonio non avrebbe compromesso in alcun modo la nostra amicizia, ma lui sembrava pensarla diversamente.

Mi voltai, dirigendomi verso la porta. Sarei tornato in serata per scusarmi del mio comportamento se la sua voce non mi avesse fermato dov’ero.
“Comunque, sì: le sue visite mi infastidiscono. Gradirei non venisse più.”

Sentii il mondo mancarmi sotto i piedi. Non avrei più dovuto voltarmi indietro, adesso, non avrei più dovuto vedere il suo viso se non sui giornali, secondo lui. Quello era uno sgarbato addio. Mi vennero le vertigini, la nausea, e controllare le lacrime che minacciavano di sgorgarmi dagli occhi da un momento all’altro si faceva difficile.
“Molto bene…” mormorai, e scappai fuori, poi in strada.
Il rumore di Londra, la vita fuori da quell’edificio, le risate delle persone, improvvisamente mi irritavano. Mi sembrava quasi che la città intera mi deridesse per quello che avevo perso. Improvvisamente privo di forze, mi appoggiai al muro alle mie spalle e lasciai che le lacrime scivolassero libere sul mio viso.

--

 

Holmes guardava Watson piangere dalla finestra dell’appartamento con falso disinteresse. Perché stesse recitando anche adesso che era solo, era un mistero anche per lui. Fingeva di essere indifferente a se stesso, al mondo, a Lui. Ma non era così. Era per quell’abbandono, quel tradimento che stava cercando di uccidersi in quel modo. Preferiva che fossero le sue usuali abitudini a ucciderlo. Un vero suicidio, veloce e indolore… non ne aveva il coraggio.

Rimase a guardare Watson piangere per qualche minuto poi, sospirando, chiuse la tenda e andò in camera sua, dove aveva nascosto una dose di riserva della sua cocaina. Quell’addio era stato necessario. Continuare a vedersi faceva male a entrambi, dovevano finirla una volta per tutte.

Una volta tornato in salotto e seduto sulla sua poltrona, riempì la siringa di quel veleno e la iniettò nel braccio martoriato già da numerosi buchi, per poi rannicchiarsi di nuovo e coprirsi, sperando che, almeno per qualche ora, avrebbe potuto dormire un sonno pacifico, senza sogni.


“I was thinking to how it was back then.”
“What do you mean?”
“I mean things change, people change. You changed. We used to talk for hours and now I’m lucky if I talk to you for a few minutes a day. You used to want to be with me and now you make it seem like you’re always too busy. I remember the jokes, laughs, smiles we shared. And I doubt you remember any of that.”

[NDA]
La frase in Inglese viene da un'immagine che trovai su facebook, dei messaggi degli iPhone. Non la trovo più. Se qualcuno la trovasse, può gentilmente linkarmela, così la inserisco nei credits?

Ah, ovviamente i personaggi non mi appartengono. Si appartengono a vicenda u.u

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Capitolo 2
*** The jokes, laughs, smiles we shared. ***


Helloooooo. Secondo capitolo, accompagnato dal primo premiuccio vinto *^*

WAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA *^*

Adesso vi lascio al secondo capitolo xD

2.      The jokes, laughs, smiles we shared.

Nonostante la sofferenza procuratami dalle niente di meno che crudeli parole di Holmes, rispettai la sua volontà e non mi feci più vivo a Baker Street. No, questo non è del tutto vero; ci tornavo, spesso. Rimanevo in strada, davanti alla finestra del salotto senza muovermi per ore. Qualche volta, se ero fortunato, potevo sentirlo suonare. Questo mi rincuorava; mi convinceva che, anche se non stava mentalmente bene, almeno era fisicamente in salute, abbastanza da non perdere coscienza e poter suonare, almeno. Mi stava convincendo che lui poteva vivere senza di me. Io, invece, non potevo vivere senza di lui.

Ormai era quasi un anno che mi aveva escluso dalla sua vita. Non voleva vedermi, quindi non gli avevo imposto la mia presenza, ma spesso avevo comunque cercato di ristabilire un contatto con lui, ma non aveva mai risposto ai miei vari biglietti, che fossero per il suo compleanno, per qualche festività o per congratularmi di un caso brillantemente risolto di cui avevo letto sul giornale, in cui il suo nome non accompagnava Scotland Yard, ma il suo metodo di lavoro era evidente. Mi rimandò indietro anche l’orologio che gli avevo spedito per il suo quarantesimo compleanno, senza una riga aggiunta, nonostante avessi chiesto di poterlo incontrare nel biglietto. Provai anche a mandargli un telegramma, con scritto che avrei rivoluto indietro i vestiti che mi aveva rubato negli anni. Non ci tenevo a riaverli, ma se davvero intendeva sbarazzarsi di ogni mia traccia in quella casa e nella sua vita, allora avrebbe dovuto concedermi di entrare per l’ultima volta a Baker Street per riprendermi i miei effetti, e ne avrei approfittato per tentare di instaurare una conversazione. Avrei accettato anche di non sapere mai cosa davvero lo massacrasse in quel modo terribile se avesse significato riaverlo al mio fianco, nonostante il bisogno sia fisico sia psicologico di prendermi cura di lui, cercare di farlo sorridere di nuovo, mi avrebbero massacrato a mia volta. Mi bastava di averlo di nuovo nella mia vita, ironico o freddo e cinico che fosse. Male che fosse andata, almeno avrei potuto rivederlo un’ultima volta. Forse mi avrebbe preso a pugni, mi avrebbe intimato di andarmene, ma avrei avuto l’opportunità di dirgli tutte quelle cose che mi ero tenuto dentro nel corso degli anni.

Quel telegramma era la mia ultima speranza. Avevo anche deciso in quale giorno sarei andato a Baker Street in caso di mancata risposta. A quel punto, si sarebbe sicuramente aspettato il mio arrivo e non avrebbe potuto rimproverarmi in alcun modo della mancata promessa. Invece, quando ormai avevo deciso che quello stesso pomeriggio sarei andato al 221b, prima dell’ora di pranzo, arrivò Billy a Cavendish Place con un borsone.
“Dice che non deve venire a riportargli la borsa e che può tenersela.” Aveva detto, e se n’era andato così. Holmes aveva trovato un altro metodo per liberarsi di me. Ne avrebbe sempre trovato uno, qualunque cosa io facessi. Ogni tentativo di contatto era andato perduto, non sapevo più cosa fare per poter parlare con lui. Non potevo tendergli un’imboscata sotto casa, sarebbe stato irrispettoso nei suoi confronti, e lui non avrebbe di certo esitato a rompermi il naso solo perché di fronte a tutta la città.
Dovevo avere il suo consenso per potermi avvicinare.

Mary sosteneva che in quelle condizioni mi sarei ammalato presto. Era già un po’ di tempo che ogni tanto decidevo di non aprire lo studio perché troppo distratto o troppo nervoso per lavorare, pensando con ossessione a cosa Holmes stesse facendo in quel momento.

Io non avevo riscontrato quei grandi cambiamenti nel mio carattere che mia moglie andava dicendo; facevo di tutto per tenermi il mio dolore dentro ed impedire che mia moglie riconoscesse quanto infelice fossi con lei rispetto a quanto ero felice quando ancora vivevo nei nostri – suoi - alloggi.  Avevo già ferito incredibilmente la persona più importante delle mia vita, non volevo infierire anche sulla povera Mary, ma lei se n’era probabilmente già accorta. A suo dire, ero dimagrito fin troppi chili – i suoi muffin non mi sembravano più così appetitosi, ero diventato burbero e scontroso con chiunque mi rivolgesse la parola, non sorridevo da mesi. Io non mi ero reso conto di niente.

Mia moglie era diventata incredibilmente irritante, per me. Mi rendevo conto che Mary non era cambiata affatto dal giorno del nostro matrimonio, ma non riuscivo a non trovarla insopportabile comunque. Ci avevo provato, ad amarla, sin dal giorno in cui l’avevo incontrata, nella vana speranza che lei avrebbe potuto cancellare Holmes dal mio cuore, ma mai avevo avuto successo. Avevo comunque iniziato a nutrire un profondo affetto, per lei, con il tempo, ma niente che andasse oltre un rapporto tra fratelli. Per questo, avevo avuto non poche difficoltà a “consumare” il matrimonio. Non con poca vergogna ammetto che vi riuscivo solo quando chiudevo gli occhi e pensavo che ci fosse Holmes sotto di me, però dovevo serrare le labbra e sforzarmi di non pronunciare nessun nome.

Ormai vedevo Mary come un intralcio; per quanto lei fosse la mia compagna legittima, non riuscivo a concepire il pensiero che fosse mio dovere stare con lei anziché con Holmes. Parlando chiaramente, la gelosia mostrata da Holmes durante il mio corteggiamento a Mary era il punto focale della mia attenzione; lui avrebbe dovuto essere considerato ciò che si frapponeva tra me e mia moglie praticamente da sempre, quando non riuscivo a non vedere lei come un ostacolo alla mia relazione con Holmes, ancora con il vestito candido e il velo di pizzo ad aleggiare su di me ogni volta che muovevo anche solo un passo verso Baker Street, come se il matrimonio avesse dovuto impedirmi di stargli vicino in qualunque senso. In realtà, non avevo mai considerato i tentativi di Holmes di sabotare il mio matrimonio con vera irritazione; ciò che mi aveva sempre dato fastidio era il fatto che lui sembrava ritenersi autorizzato a decidere sulla mia vita; mi vergogno quindi a dire che probabilmente la mia mente mi abbia spinto a sposare Mary per puro capriccio. E con un simile, infantile gesto, avevo ferito l’unica persona di cui mi importasse davvero, avrei presto ferito Mary, che mai avevo amato, e continuavo a ferire anche me. Ero stato un vero e proprio idiota, allo stesso livello degli Yarders… e il che è tutto dire.
Il matrimonio aveva rovinato tutto e tutti. Tre persone coinvolte, tre persone distrutte. Quale sarebbe stato il mio rapporto con Holmes se non mi fossi mai sposato? La risposta era ovvia. In quel momento sarei stato seduto sulla mia vecchia poltrona, accanto a lui, cercando di leggere il giornale mentre lui si perdeva in soliloqui lunghissimi e con un senso preciso solo per lui. Niente, dunque, sarebbe cambiato, se io non avessi preso quella stupida decisione. Pensandoci così, a mente fredda, non potevo non pensare che fosse mia la colpa delle attuali condizioni del mio collega.

Alla fine, però, non riuscivo ad incolpare neanche me stesso: nella mia mente, la colpa era di Mary. Per due uomini, in un’epoca come la nostra, ammettere il proprio amore era rischioso e si mancava di coraggio per farlo. Ma, se considerate le voci già in giro su me e Holmes, seppure false, la natura dei miei (se non dei nostri) sentimenti avrebbe dovuto essere ovvia. Perché, dunque, mi aveva permesso di sposarla se sapeva che così avrei ferito me stesso, Holmes e sicuramente, in futuro, anche lei medesima?
Ovviamente adesso posso riconoscere con tranquillità che Mary non aveva nessuna colpa, la responsabilità era tutta mia, ma in quel periodo avrei dato l’anima pur di non addossarmi la colpa delle condizioni fisiche e morali di Holmes.
Se i miei rapporti con Holmes erano andati velocemente deteriorandosi, quelli di Mary con Mycroft si erano fortificati con una regolare corrispondenza. Infatti tra loro si era istaurata una buona amicizia nel periodo che Mary passo a Chichester e io ero nel Continente con Holmes.

All’inizio avevo avuto dei dubbi sulla natura dei loro rapporti, ma non solo mi scoprii indifferente ad un ipotetico tradimento, ma pure speranzoso, perché questo mi avrebbe dato un’ottima motivazione per andarmene.

Ancora stavo cercando di trovare un modo per riuscire ad ottenere un incontro con Holmes quando una mattina arrivò per posta una lettera inaspettata.

Fui io a ritirarla dal postino, quindi fui il primo a vedere sulla busta quella calligrafia familiare scrivere un nome che non era il mio.

Holmes aveva scritto a Mary. Perché?

Erano mesi che non mi concedeva una parola o un biglietto e adesso scriveva a mia moglie, una donna che aveva sempre odiato tanto?!
Non violai la sua privacy leggendo una lettera non indirizzata a me e gliela portai ancora sigillata in cucina, dove stava preparando dei muffin. Le lanciai letteralmente la busta, visibilmente di pessimo umore ora, sotto al suo sguardo ovviamente curioso e confuso.

“E’ di Holmes.” Dissi freddamente, guardandola prendere la busta seppur il suo sguardo fosse ancora su di me.
“Mycroft.” Disse risoluta.
“Sherlock.”

Adesso il suo sguardo confuso si accentuò mentre spiegava il foglio ed iniziava a leggere.

Vedendo la sua espressione cambiare da curiosità a tristezza profonda, il mio stato d’animo mutò velocemente da rabbia crescente a preoccupazione.

Mary cadde sulle ginocchia piangendo. Mi avvicinai e mi inginocchia vicino a lei sul pavimento, togliendole cautamente la lettera di Sherlock dalle mani per leggerla.

Mary mi lanciò le braccia al collo, ancora più disperata. Cosa poteva averle scritto Holmes per farla reagire così?

Riporterò qui la lettera così come arrivò:

 

Mrs. Watson,

suppongo sia stupita nel trovare una mia lettera indirizzata a Lei, così come suppongo che suo marito si preoccuperà bene di leggerla poiché non ha avuto mie notizie finora. Tuttavia, in nome dell’onestà, mi trovo costretto a specificare che ancora non nutro grande apprezzamento nei suoi confronti e che se mi fosse stato possibile, avrei accuratamente evitato di scriverle.

Il motivo per cui ho dovuto scrivere questa lettera è il rispetto che nutro verso mio fratello, con cui so aveva una regolare corrispondenza. Dunque, considerandola sua buona amica, credo sia mio compito comunicarle che questa notte Mycroft ha avuto un attacco cardiaco nella sua casa di Pall Mall e che attualmente è ricoverato al Charing Cross Hospital, in caso voglia fargli visita. Le consiglio di andare in fretta; i medici hanno detto che quello era solo il primo colpo prima dell’atto finale.

 

Sherlock Holmes.

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Capitolo 3
*** Don't Leave. ***


Hello :D Tra poco ho gli esami quindi mi perdonerete se dimentico di aggiornare una fic finita .-. *me sta impazzendo*
Comunque adesso sono qui per mostrare fieramente cosa la mia piccola ha vinto nel contest "Due Cuori e..."
Premio
3^ Posto

Adesso vi lascio al capitolo xD

1.      Don’t leave.

Nonostante continuassi ad accarezzare i capelli di Mary nel vano tentativo di calmarla, la mia mente era altrove; non conoscevo bene Mycroft, l’avevo visto poche volte e ancor meno ci avevo parlato, dunque, per quanto il suo malore mi dispiacesse, il centro dei miei pensieri era di nuovo Holmes. In quella lettera aveva parlato con i soliti toni freddi che purtroppo ormai erano propriamente suoi e aveva mostrato una certa durezza verso di me, rifiutandosi addirittura di scrivere il mio nome. Tuttavia, non riuscivo a essere ferito, amareggiato o arrabbiato; cosa provava davvero mentre scriveva quelle parole? Suo fratello era ormai tutto ciò che aveva, come aveva reagito a quello che era successo? Lui stesso aveva detto che a Mycroft non rimaneva molto tempo. Avrebbe fatto qualche eccessiva stupidaggine una volta rimasto da solo? Adesso come stava? Non riuscivo a immaginarlo piangere o guardare con malinconia i ricordi del fratello. Che cosa avrei fatto io, sei lui avesse preso drastiche decisioni per combattere il dolore? Non avrei mai potuto sopportare di perderlo, non definitivamente.

“Andiamo in ospedale, John… per favore…” singhiozzò Mary.

Prima di risponderle, mi alzai e ripresi la busta che prima conteneva la lettera. Il timbro postale era di Charing Cross, quindi lui era lì. Anche se non ci fosse stato, ovviamente non avrei impedito a Mary di andare all’ospedale, ma io mi sarei recato a Baker Street e non avrei accettato un “no” come risposta a una richiesta di vederlo.

“Andiamo.” Accordai.

Il viaggio verso l’ospedale sembrò lungo e angoscioso, quindi scappammo immediatamente dentro appena potemmo, chiedendo alla prima infermiera di indirizzarci verso la camera.

Esitammo a entrare. Attraverso il vetro che separava la camera dal corridoio, potevo vedere che dentro, seduto sul letto accanto a Mycroft, c’era Holmes.

 

--

 

“Questa volta me la sono vista brutta.” Scherzò Mycroft.

Era incredibile il modo in cui fosse in grado di scherzare, nonostante sapesse che quell’attacco cardiaco altro non era se non l’anticipazione dell’infarto che lo avrebbe portato alla morte. Ma Sherlock era lì e, nonostante anche il più giovane sapesse che era una partita finita, voleva almeno illuderlo che tutto sarebbe andato bene.
“Fortuna che Stanley ti ha sentito chiamare aiuto!” scherzò Sherlock, cercando di alleviare la tensione. Con molte probabilità, quella sarebbe stata l’ultima volta che si sarebbero visti.
Ma entrambi sapevano che c’era ben poco da ridere, le loro stesse risate erano forzate in modo da darsi forza a vicenda, ma niente poteva servire in quel momento. Avrebbero dovuto affrontare l’argomento subito, lo sapevano.
“Che cosa farai, Sherlock?” chiese Mycroft, il profondo affetto per il fratello ben udibile nella sua voce.
Sherlock abbassò lo sguardo sul pavimento. Non gli piaceva pensare a cosa avrebbe fatto una volta dato l’ultimo saluto al fratello, non poteva pensare che un domani l’unica persona che gli era sempre stata accanto potesse andarsene. Mycroft c’era sempre, anche quando Holmes lo trattava male a causa del malumore portato dalle droghe, quando si comportava nel peggiore dei modi… suo fratello era sempre lì. Lui non l’aveva abbandonato.
“Non lo so…” mormorò. “Penso che andrò in Francia. Sì, probabilmente mi trasferirò a Parigi.”

Se Mycroft fosse morto, per Sherlock non ci sarebbe stato più nulla da fare a Londra. Avrebbe perso suo fratello, e Watson… lui l’aveva lasciato indietro molto tempo prima, quando aveva preferito seguire la gonna di Mary anziché rimanere con lui. Non c’era ragione per rimanere a Londra, non ci sarebbe stato più nessuno per lui ma, anzi, avrebbe rischiato di incontrare l’unica persona che avrebbe potuto farlo stare peggio. Doveva andarsene.
Ma il fratello non sembrava condividere quella sua scelta.
“Non credo che dovresti, sai.” Gli consigliò, scuotendo leggermente la testa. Sherlock non disse niente, ma aspettò soltanto che Mycroft giustificasse quelle sue parole. “Sai, mi ricordo com’era essere figlio unico. Come sai, nella nostra famiglia la vena artistica si è sviluppata in modi molto diversi. Prima che tu nascessi, quindi, io ero completamente da solo. Ero il primo ad avere le capacità che tu ed io abbiamo, era difficile relazionarsi con gli altri, anche con i membri stessi della famiglia. A mala pena parlavo con mamma e papà, ero diventato molto asociale proprio a causa delle mie capacità. Mi sentivo solo, incompreso. Però quando mamma ci disse che era incinta… non so spiegarti quanto ero felice. Forse non avresti avuto le mie stesse capacità, ma almeno avrei avuto qualcuno con cui passare il tempo, qualcuno con cui giocare, qualcuno che non si chiedesse perché dicevo certe cose prendendomi per matto ma che mi potesse ascoltare. Non sarei più stato solo. Quel giorno, quando ho visto mamma entrare in cucina per cena con quel gran sorriso, dopo aver fatto una visita in ospedale… è stato il giorno più bello della mia vita. Comunque vadano le cose, adesso… non andartene, Sherly. In un modo o nell’altro, io sarei comunque a Londra, e non voglio rimanere di nuovo da solo. Sei tutto quello che ho.”
Mycroft non era molto diverso da Sherlock neanche dal punto di vista caratteriale; certo, era più ordinato, più responsabile, ma anche lui aveva una certa avversione nel parlare dei propri sentimenti, quindi dire quelle parole era stato molto difficile.
Adesso, quelli che si sarebbero potuti definire gli uomini più forti di Londra, erano entrambi sul punto di crollare. Il più giovane aveva gli occhi lucidi, ma non si sarebbe mai permesso di piangere, non se qualcuno poteva vederlo, almeno. Probabilmente quella sera, una volta tornato a Baker Street, nella privacy della sua stanza si sarebbe lasciato andare, ma non poteva davanti a Mycroft. Doveva essere forte per lui.
Tutte quelle parole, pronunciate con un non indifferente sforzo, erano soltanto l’ennesimo indizio che anche Mycroft stesso era convinto di non farcela.
“Stai cercando di farmi piangere?” chiese infine Sherlock, senza dare una vera risposta al fratello.

Ma alla fine sapeva che Holmes non avrebbe lasciato Londra. Nonostante il fratellino pensasse di non avere più niente in quella città, quando Mycroft se ne fosse andato, il malato stesso sapeva che non era così, e non valeva la pena che Sherlock si infliggesse da solo ulteriore dolore allontanandosi dall’unica persona che davvero voleva vicino.
“Ci stavo riuscendo?” gli rispose Mycroft con un mezzo sorriso. “Non andartene.” Ripeté poi.

“Nessuno, tranne forse gli inetti di Scotland Yard, sentirebbe la mia mancanza qui.” Quello di Sherlock era più un tentativo di convincere se stesso.
“Sappiamo entrambi che non è vero.” Gli rispose Mycroft risoluto. A quella risposta, non seguirono altre parole. “Vai a casa, Sherly. Hai bisogno di riposo. E sicuramente tra poco ti cacceranno, sono ore che sei qui adesso.”
“Non me ne vado.”
“Fallo per me. Vai a casa, dormi qualche ora e torni. Va bene?”
Sotto l’insistenza di Mycroft, alla fine Sherlock decise di accettare. Avrebbe dormito un’ora, non di più, sicuramente con l’aiuto di droghe altrimenti non sarebbe riuscito nel suo intento, e avrebbe detto a Mrs. Hudson di svegliarlo per poter tornare in ospedale il prima possibile. Non voleva rimanere lontano troppo a lungo, non poteva sapere quando Mycroft avrebbe avuto un ulteriore crollo. Non voleva che morisse da solo, voleva stargli vicino fino all’ultimo.
“Tornerò in un paio d’ore.” Gli comunicò. Prima di alzarsi dal letto per andarsene, però, si lasciò andare a uno slancio affettivo e abbracciò il fratello. Si alzò per andarsene, ma mosse solo un passo prima di fermarsi e voltarsi. Anche per lui era difficile parlare di cose simili, ma doveva farlo, Mycroft lo meritava.
“Irene è morta, Watson se n’è andato con Mary… Non ho nessuno se non te. Anche tu sei tutto quello che ho… non lasciarmi.”
Senza dire una parola in più, Holmes prese un profondo respiro e, accettando il consiglio del fratello, uscì dalla stanza per andare a riposare.

 

--

 

Non riuscivamo a sentire cosa i due fratelli si stessero dicendo, ma vedere Holmes in quelle condizioni, peggiori dell’ultima volta che l’avevo visto, mi stava distruggendo. Aveva gli occhi lucidi, le mani serrate in due pugni… e poi avvenne una cosa più unica che rara: dimostrò affetto, abbracciò Mycroft. Non era un buon segno, anche Mary sembrò essersene accorta. Lei scoppiò in un pianto silenzioso, commossa. Io non riuscivo a distogliere lo sguardo da loro. Poi, all’improvviso, Holmes si alzò e uscì dalla camera.

Avrei voluto poter dire che eravamo finalmente faccia a faccia, ma in realtà lui si comportò come se non mi vedesse e passò oltre, lo sguardo fisso sul pavimento.
“Holmes.” Lo chiamai, afferrandogli istintivamente il braccio per fermarlo.
Se gli occhi avessero potuto uccidere, sono convinto che i suoi lo avrebbero fatto. Lo sguardo che mi rivolse, voltandosi indietro, era raggelante.
“Mi dispiace…” mormorai, lasciandolo andare, e lui riprese immediatamente a camminare per la sua strada, senza dire una parola.
Per cosa mi dispiaceva, poi? Per quello che era successo a Mycroft? Sicuramente. Per averlo fermato quando voleva andarsene? No. Per averlo lasciato solo per sposare una donna che non amavo? Sì.
“Andiamo dentro, John. Dopo puoi andare a Baker Street.” Mi chiese Mary, prendendomi per mano.
Istintivamente, sottrassi la mano alla sua stretta ed entrai nella stanza.
“Buonasera.” Salutai, rivolgendo al maggiore un sorriso. Mary, invece, corse ad abbracciarlo.
Rimanemmo con lui per un po’. Io rimasi per lo più in silenzio, attendendo il momento giusto per andare a Baker Street, mentre Mary e Mycroft chiacchieravano amorevolmente come due vecchi amici.
“Posso farle una domanda?” intervenni poi, guardando Mycroft. “Non voglio essere indelicato. Riconosco che viste le sue condizioni non chiedere della sua salute è irrispettoso, ma… suo fratello…” iniziai.

“Sì.” M’interruppe Mycroft. “Mi mise al corrente della situazione tra di voi il giorno stesso del vostro ultimo incontro. E mi ha detto anche di tutti i suoi insistenti tentativi di rivederlo quando lui si era così fermamente opposto.”
M’irrigidii non appena sentii quelle sue ultime parole. Quanto sapeva Mycroft, cosa gli aveva detto Holmes? Percepii quelle parole come un rimprovero, come se Mycroft mi stesse accusando di stalking verso il fratello.
“Sono mesi, ormai, che il dubbio mi uccide, e adesso vorrei una risposta sincera… so che con lei ne ha parlato e gradire che mi confermasse o smentisse… Holmes è cambiato. Molto. Ma anche poco fa, ho visto che è ancora in grado di sorridere, anche nelle situazioni più tragiche… ma quando è con me… non è più lui… So di essere io il problema, so di aver fatto qualcosa che l’ha ferito e temo di sapere cosa, ma preferirei sentirlo dire da lei. Che cosa gli ho fatto?” chiesi infine.
Avevo paura. Temevo con tutto il mio cuore che quello che ero arrivato a supporre in mesi fosse la verità. Mai come in quel momento avevo così ardentemente desiderato di avere torto. Se davvero avevo ragione, se Holmes era così infuriato a proposito del matrimonio perché mi amava, significava che avevo buttato via l’unica chance che entrambi avevamo di essere felici e lo avevo fatto a spese soprattutto sue. Era lui quello che ne era uscito peggio, quello che era rimasto da solo. Così avrei capito benissimo perché si comportasse in quel modo nei miei riguardi e gli avrei anche dato ragione.
“Perché, dottore? Perché lei gli ha spezzato il cuore.”
Qualcosa si ruppe dentro di me appena sentii quelle parole. Non badai neanche all’espressione scioccata di Mary. Le avrei spiegato tutto più tardi, lo meritava.
Avevo ragione, quindi; Holmes mi odiava perché l’avevo lasciato. Ma se solo avessi saputo, anche solo sospettato…
“Mio fratello mi ha sempre detto tutto. Dal giorno in cui ha imparato a parlare sino a quando era qui meno di un’ora fa. Posso dirle quindi con certezza che lei è l’unica persona di cui lui si sia mai innamorato. E lei ha preso il suo cuore e l’ha fatto a pezzi, lasciandolo per una persona che non ama. Ha pensato di essere lui il problema. Credeva che lei volesse allontanarsi a tutti i costi, al punto di obbligarsi a sposare una persona di cui avrebbe potuto benissimo fare a meno. Lo avrebbe accettato, probabilmente, se lei non si fosse presentato così spesso a Baker Street, impedendogli di dimenticare quell’amore. Alla fine è esploso, non poteva succedere altrimenti. D’altra parte, potrà spesso essere freddo come il ghiaccio, ma Sherlock è un uomo. Non poteva continuare a sorriderle quando lei se ne andava. Ha preferito escluderla dalla sua vita, illudendosi di poter stare meglio. I risultati li ha visti lei stesso poco fa, non ha funzionato.”
Rimasi in silenzio a fissare il pavimento. Avrei voluto gridare, piangere, correre alla mia vera casa, ma non riuscivo a muovermi. Ero un dannato mosto, lo avevo distrutto. Un maledetto egoista, non ero altro se non questo; continuavo le mie visite per poterlo vedere e stare meglio, ignorando come potesse sentirsi lui.
“Non la sto rimproverando, dottore. Io so perfettamente che l’amore di Sherlock è ricambiato. Ho provato a spiegarlo anche a lui, ma sa quanto mio fratello sia testardo… adesso, però, lui ha davvero bisogno che lei gli stia vicino. Io presto non potrò più farlo. Lo ignori se le dice che deve andarsene, e gli dica cosa prova davvero. Lo lasci sfogare, si prenda un paio di pugni se necessario. Tanto non userà mai troppa forza contro di lei, gli sarebbe impossibile. Vada, adesso. Torni domani a dirmi com’è andata.”
Se avessi avuto il coraggio di andare immediatamente a Baker Street, sarei davvero voluto tornare all’ospedale per dirgli cosa fosse successo. Ma Mycroft morì quella notte.


 

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Capitolo 4
*** Don't Cry. ***


Innanzitutto, mi scuso per il ritardo dell'aggiornamento.
C'è stato il fattore "esami" a contribuire il risultato, ma quello non mi giustifica, li ho finiti il 29 Giugno.
Il problema maggiore è stato che pochi giorni prima dell'orale il mio netbook ha deciso di autodistruggersi. Grazie a Dio avevo tutto sulla pennina, solo che sul mio pc fisso Word non c'è, quindi non potevo aprire il file per aggiornare ._.
Il mio pc è tornato due giorni fà, e fino ad  ora sono stata impegnata con la scrittura per un altro contest. Da adesso, non sovrebbero più esserci problemi :3

1.      4. Don’t cry.

Non ebbi il coraggio di andare a Baker Street subito dopo aver lasciato Mycroft in ospedale.
Holmes non era psicologicamente forte in quel momento, e cercare di incontrarlo e parlargli quando era in quelle condizioni mi sembrav
a sleale. Sarebbe stato facile convincerlo a parlare, ma non volevo obbligarlo a vedermi se questo lo contrariava, soprattutto in un momento così difficile. Mi sarei presentato dopo un po’ di tempo dalla fine di quegli eventi, in modo da permettergli di riprendersi e prendermi a pugni, se così avesse voluto.

Per quanto riguardava Mary, mi rivolse la parola solo per dirmi che avremmo parlato solo dopo il funerale, perché in quel momento anche lei era troppo triste per la dipartita del suo amico per discutere con me. Avevo torto, avrei accettato qualunque cosa mi avesse detto senza una lamentela. Salvo che, ovviamente, non avesse deciso di denunciare me e Holmes; a quel punto avrei dovuto cercare di trovare un modo per dissuaderla, a costo di affibbiarle la colpa del mio comportamento in qualche modo.

Non credevo che l’avrebbe fatto, comunque. Mary era una brava persona, dopo tutto, e non mi sembrava facesse parte di quella schiera di persone che, dalla parte della legge, ritenevano la sodomia un reato, aveva sempre rispettato i sentimenti di tutti, qualunque fossero, persino la gelosia di Holmes al tempo in cui io e lei eravamo fidanzati.
Per quanto riguardava
Holmes, Mary non era affatto arrabbiata con lui, ma anzi, disse di rispettare molto il coraggio e l’altruismo che aveva dimostrato lasciandomi andare nonostante questo lo facesse soffrire. Quindi, non avevo motivo di temere una denuncia da parte sua.
Quella sera io e Holmes ci incontrammo in ospedale, per i corridoi o nella stanza di Mycroft, almeno quattro volte. Sapevo che non volev
a parlarmi e poi mi ero già prefissato di aspettare, ma continuai comunque a salutarlo. Lui non mi rispose mai. Non sentivo la sua voce dall’ultima volta che ero stato a Baker Street come suo medico e amico.
Quando Mycroft ebbe
il secondo infarto che lo portò alla morte, Mary ed io eravamo nel ristorante davanti all’ospedale a mangiare silenziosamente. Non me la sentivo di parlarle dei motivi per cui l’avevo sposata, e lei non voleva sentirsi dire che amavo qualcun altro. Anche questo poteva aspettare davanti ai drammi personali che stavamo vivendo. Quando tornammo in ospedale, trovammo Holmes seduto per terra fuori dalla stanza, le gambe strette al petto e gli occhi chiusi mentre cercava di controllare la respirazione. Era un trucco che gli avevo insegnato io per mantenere la calma nei momenti di panico causati dall’astinenza forzata dalle droghe cui lo costringevo quando vivevo ancora a Baker Street. Non era un buon segno.

Sia io che Mary guardammo nella stanza attraverso il vetro e trovammo dei medici intoro al letto che parlavano e scrivevano su una cartella clinica, mentre Mycroft era coperto fin sopra la testa.
“Oh, no…” mormorò Mary, portandosi una mano alla bocca. Pochi attimi dopo, scoppiò a piangere sonoramente, coprendosi il viso con entrambe le mani.
Potrò venir considerat
o un mostro per aver ignorato in quel modo mia moglie in un momento di tale dolore, ma ovviamente la mia attenzione era completamente focalizzata su Holmes in quel momento. M’inginocchiai a terra di fronte a lui e posai una mano sulla sua spalla.
“Holmes.” Lo chiamai.

Non si mosse, né mi rispose. Oserei quasi dire che non si accorse neanche che lo stavo toccando e gli stavo parlando, altrimenti sono sicuro che si sarebbe sottratto alla mia mano e mi avrebbe intimato con uno sguardo di tacere.
“Holmes.” Lo chiamai di nuovo, stringendo appena
la mano sulla sua spalla.

Questa volta aprì gli occhi e mi guardò. Non mi sentii congelare perché aveva uno sguardo omicida come tutte le altre volte, motivo per cui mi sarebbe venuto spontaneo ritrarre la mano dalla sua spalla. In realtà mi sentii gelare per i suoi occhi lucidi e lo sguardo profondamente abbattuto e triste di chi pensa di essere solo al mondo. Non si sottrasse al contatto in modo brusco, come avrebbe fatto fino a solo un’ora prima, ma mi afferrò gentilmente il polso, per poi allontanarmi. Si alzò e se ne andò.

Provai più di una volta ad andare a Baker Street, ma Mrs. Hudson mi diceva sempre che era tornato la mattina per lavarsi e cambiarsi e poi era sparito di nuovo. Voleva essere irreperibile.
Non lo rividi fino al funerale, tre giorni dopo.
La chiesa era piena: oltre a noi c’era mezza Scotlan
d Yard, tutti i soci del Diogenes Club, i vicini di casa a Pall Mall, i suoi colleghi e persino alcuni membri della famiglia reale. Il funerale prese luogo alla Westminster Cathedral. Da quel che avevo capito ascoltando qualche voce in qua e là, il funerale era stato organizzato dai colleghi del Parlamento di Mycroft perché Holmes si era rifiutato di farlo. Non potevo che capirlo.
Lui era seduto ovviamente in prima fila, come anche noi, solo dall’altro lato della navata. Fissava il pavimento della chiesa con sguardo vuoto, il pallore della sua pelle e
le profonde ombre violacee intorno ai suoi occhi mi dicevano che aveva passato quei giorni senza dormire molto e all’insegna di droghe e alcolici. Qualche persona gli parlava, probabilmente porgendogli condoglianze, ma lui non mosse un solo muscolo. Credo che non li sentisse neanche. Per un momento pensai addirittura che di prima mattina i suoi sensi fossero già annebbiati dai suoi vizi. Rimase immobile anche durante tutta la funzione. Avrei voluto alzarmi e andare da lui, ma non solo avrei attirato tutta l’attenzione su di noi, ma probabilmente lui avrebbe disprezzato la mia vicinanza come purtroppo stava accadendo da mesi, e così gli avrei impedito di reagire come normalmente avrebbe fatto senza tutti quegli occhi addosso; volevo che fosse libero di urlarmi contro e colpirmi se fosse servito a chiarirci e a farlo stare meglio. Quindi, scelsi di rimanere seduto al mio posto, lottando contro la tentazione di raggiungerlo.

Ben presto fummo al cimitero per la sepoltura.

Era una giornata luminosa, una delle poche dell’anno a Londra; il sole batteva forte e chi era vestito con abiti un po’ più pesanti dava avvisaglie di sentire anche un po’ di caldo. Sembrava che anche il tempo volesse beffarsi di noi comuni mortali e delle tragedie che vivevamo ogni giorno.

Riuscii a raggiungere Holmes in prima fila durante la sepoltura, abbandonando Mary tra tutte le altre persone che erano venute a dare l’ultimo saluto. Non gli parlai, non gli imposi nessun contatto; volevo solo che sapesse che ero lì se avesse avuto bisogno di qualcosa.

Guardai con infinita tristezza la bara che lentamente veniva coperta con la terra quando un singhiozzo a mala pena soffocato attirò la mia attenzione. Mai avrei immaginato che voltandomi avrei visto il viso di Holmes rigato da lacrime che gli cadevano continuamente dagli occhi. Non avrei mai osato credere che quella sua maschera fredda avrebbe un giorno avuto una crepa. Esitante, mi avvicinai di un passo; lui non distoglieva lo sguardo dalla bara del fratello che ormai era quasi interamente scomparsa alla vista; era continuamente scosso da singhiozzi sempre più frequenti che, malgrado i suoi sforzi, non riusciva a soffocare. Gli posai una mano sulla spalla e subito temetti che reagisse in modo fortemente negativo al primo movimento della sua mano, quando invece si asciugò solo gli occhi.
“Holmes?” lo chiamai c
on esitazione.

Mi rivolse uno sguardo veloce per poi voltarsi di nuovo per cercare di nascondere le lacrime e gli occhi rossi.

Per un attimo dimenticai tutti i dissapori degli ultimi mesi e lo presi tra le mie braccia, stringendolo più forte che potevo. Non riuscivo a guardarlo in quelle condizioni senza intervenire, senza fare del mio meglio per sminuire almeno un poco il suo dolore. Con mio grande stupore, non si ribellò, né mi respinse in alcun modo; anzi, sentii le sue mani artigliarmi la schiena e stringermi di più a sé, nascose il viso nel mio petto e si lasciò andare a un pianto disperato che sicuramente cercava di sopprimere dal giorno stesso in cui Mycroft aveva avuto il primo malore.

Non ero preparato a questo. Non avevo mai visto Holmes piangere prima, non sapevo come comportarmi.

Gli accarezzai dolcemente la schiena e i capelli, cercando di calmarlo senza impedirgli di sfogarsi, e sembrò iniziare a funzionare dopo interminabili minuti in cui le sue lacrime continuavano a bagnare il mio cappotto.

Quando la funzione fu finalmente conclusa, la gente iniziò ad andarsene, mormorando ennesime condoglianze a Holmes, ancora stretto e al sicuro tra le mie braccia. L’ultima ad andarsene fu Mary, anche lei con gli occhi rossi, che mi mormorò un “resta con lui oggi”, prima di dirigersi al cancello del cimitero per tornare a casa.
Non so per quanto tempo io e Holmes rimanemmo immobili, stringendoci l’un l’altro, ma sembrò un’eternità. Continuava a singhiozzare sommessamente, per poi calmarsi del tutto solo dopo un’infinità di tempo, e persino la sua stretta su di me si disperse quasi completamente. Fece un passo in
dietro, mantenendo lo sguardo basso. Ovviamente si vergognava, anche se non capivo se era perché aveva pianto o perché si era riavvicinato a me.
Tirò su con il naso e si asciugò per l’ultima volta gli occhi, ma non mosse un passo. Mi sembrò che fosse già un enorme progresso il fatto che non si fosse ancora allontanato, lasciandomi lì da solo, e inconsciamente mi ritrovai a sperare che potessimo recuperare il nostro rapporto, con il tempo.

“Mi dis-” iniziò, ma lo interruppi immediatamente.

“Non deve dispiacerle.”

Anche io avevo perso mio fratello Harry, anni prima. Sapevo come si sentiva e non ritenevo che dovesse scusarsi per aver pianto.

“No, mi riferivo… a questi ultimi mesi. Ho continuato a cacciarla ed evitarla, e nonostante questo mi è rimasto vicino…” mormorò con una voce talmente bassa da non permettermi di essere sicuro di aver capito le parole giuste.
Magari il suo comportamento nei miei riguardi era stato eccessivo, ma dopo la spiegazione di Mycroft potevo capire perché fosse tanto reticente nel continuare ad avere contatti con me.
“Non deve scusarsi neanche di questo. Aveva ragione, sono stato un bastardo con lei.”
A questo non ricevetti risposta. Lui continuava a tenere lo sguardo basso con aria impacciata e nascose le mani in tasca.
“Forse è meglio se ce ne andiamo da qui.” Dissi, guardandomi attorno. Rimanere dove era appena stato sepolto il fratello non mi sembrav
a una buona idea, e probabilmente neanche a lui, perché annuì con vigore e si diresse velocemente verso il cancello, tanto che mi ritrovai a corrergli dietro per un breve tratto.
“Le va di andare a bere qualcosa?” propose quando ormai fummo fuori.

Era a mala pena l’ora di pranzo e il fatto che già volesse bere mi preoccupò non poco; dopotutto, però, potevo benissimo capire il suo stato d’animo e per di più non me la sentivo di rimproverarlo per qualcosa quando mi parlava per la prima volta dopo quasi un anno.
“Certo.”
Alla fine non andammo solo a bere fuori ma rimanemmo anche per pranzo e per tutto il pomeriggio in un locale in cui andavamo spesso quando eravamo ancora coinquilini, non molto lontano da Baker Street.
All’inizio regnava incontrastato il silenzio, fino a che Holmes ebbe bevuto abbastanza da riuscire a parlare. Da quel momento, non si zittì più. Passammo ore seduti allo stesso tavolo; io lo ascoltavo soltanto, mentre lui rideva, raccontandomi di cose che lui e Mycroft avevano fatto insieme quando erano piccoli, di come Mycroft si prendesse cura di lui, fino a svelar
mi il perché della sua fobia dei cavalli. In pratica, quando aveva più o meno sei anni e il fratello tredici, Mycroft voleva insegnargli a cavalcare e, pensando che la pratica fosse il miglior insegnamento, lo aveva messo su un cavallo senza dargli indicazioni e lui era caduto, lussandosi una spalla. Aveva poi imparato a cavalcare, ma preferiva non farlo. Mentre raccontava ogni singolo aneddoto, rideva. Ogni tanto si lasciava sfuggire qualche lacrima, ma principalmente rideva come non l’avevo mai visto ridere prima.
Era da poco passata l’ora di cena quando decisi che era il caso di riportarlo a casa. Ormai era in silenzio da più di dieci minuti, con le braccia incrociate sopra il tavolo e gli occhi quasi del tutto chiusi. Presto gli sarebbe venuto il peggior dopo sbronza della sua vita, aveva bevuto tutto il pomeriggio ed io non ero stato in grado di fermarlo. A un certo punto, fui pure abbastanza sicuro che si fosse addormentato.

Chiamai l’oste e pagai per tutto, per poi alzarmi e scuoterlo leggermente per richiamarlo dal suo dormiveglia.
“Holmes.” Aprì lentamente gli occhi e si guardò intorno un attimo con aria confusa. “Holmes, forza, si alzi. Andiamo a casa.”
Annuì debolmente e, sbadigliando, si alzò, barcollante. Intervenni immediatamente per sostenerlo, visto che già stava per cadere. Più che un
sostegno, però, mi sembrò che avesse più bisogno di un abbraccio; mi avvolse il collo con le braccia e mi strinse a se, poggiando il viso sulla mia spalla. Era il primo gesto di vero affetto che mi donava di sua spontanea volontà da quando ci eravamo conosciuti. Ricambiai il suo abbraccio e, incapace di controllarmi, gli baciai una guancia.
Rimanemmo così qualche minuto, finché sentii che iniziò a canticchiare qualcosa di sconosciuto, che poi scoprii essere con mio grande disappunto Die Forelle. Non avrei dovuto permettergli di bere così tanto, se adesso si metteva a cantare la colonna sonora della sua tortura. Non volevo neanche immaginare quali incubi avrebbe avuto quella notte.
“Andiamo.” Sussurrai, sciogliendo l’abbraccio per camminare, seppur continuando a sostenerlo.

Ogni tanto smetteva di cantare solo per borbottare parole sconnesse, tra cui sporadicamente distinguevo il nome di suo fratello o il mio.
Grazie a Dio, Baker Street non era così distante, così presto fummo a casa. Quando Mrs. Hudson ci aprì la porta, era visibilmente preocc
upata; anche lei aveva visto Holmes scoppiare a piangere quella mattina ed evidentemente temeva che il suo ritardo fosse dovuto a qualche stupidaggine che aveva commesso.
“Buon Dio, cosa gli è successo?” chiese, portando le mani alla bocca.
“Ha solo bevuto un po’. Non si preoccupi, resto io con lui.” Le risposi gentilmente, accompagnandolo su per le scale, facendo particolare attenzione che non inciampasse nei gradini.
“Sua moglie non sarà felice.” Borbottò, alzando per un attimo lo sguardo annebbiato su di me, per poi lasciare di nuovo la testa a ciondolare sotto il peso degli alcolici.
“Mary non è un problema. Sono abbastanza certo che presto mi lascerà.”
Non ci giurerei, ma credo di aver visto un sorriso dopo avergli annunciato il fatto. Aprii la porta e lo accompagnai dentro, per poi chiudermela alle spalle. Era presto, ma urgeva portarlo a letto.
“E perché?”
“Le spiegherò quando è sobrio.”
Lo avrei fatto. Adesso
che sapevo cosa provava per me, non avrei permesso a nessuna morale di tenerci lontani. Niente avrebbe potuto convincermi a lasciarlo di nuovo. Con molte probabilità, sarei uscito da Baker Street solo per andare a riprendere le mie cose. Ovviamente, solo se anche Holmes avesse voluto così.
Sono sobrio…” si lamentò, mentre lo spingevo delicatamente in camera sua.
“Certo, Holmes.”
Quando raggiungemmo il letto, gli tolsi il cappotto, il gilet e la cravatta, per poi aiutarlo a sedersi e togliergli anche le scarpe.
“Non sembra abbattuto per l’abbandono di sua moglie.” Disse, e questa volta il sorriso era evidente. Un sorriso di scherno, che sembrava
voler urlare “te l’avevo detto”, ma almeno era un sorriso.
“Diciamo che sto meglio così.” Risposi, sorridendo anche io.
Lo spinsi per le spalle fino a che si sdraiò. Prima che potessi voltarmi e andarmene, si spostò da un lato del letto e mi trascinò giù con lui, afferrandomi per un polso.
Non riuscii a chiedergli cosa stesse facendo, la voce mi sparì del tutto quando poggiò la testa sulla mia spalla e mi avvolse il petto con un braccio.
Sorrisi; non avrei permesso più a nessun abito bianco di frapporsi tra di noi. Mi chinai lentamente per riuscire ad afferrare le coperte senza spodestarlo da quella posizione e coprii entrambi. Probabilmente l’indomani mattina si sarebbe chiesto cosa ci
facevo qui, sicuramente sarebbe stato di pessimo umore per via del dopo-sbronza, ma avremmo almeno avuto modo di parlare.
“Wa’s’n…” biascicò.
“Sì?” chiesi, abbassando lo sguardo sul suo viso.
I suoi occhi si erano quasi del tutto chiusi, ma riuscivo ancora a vedere quelle meravigliose pupille color cioccolato. Gli sorrisi per incoraggiarlo, avvolgendogli le spalle con un braccio per stringermelo contro e accarezzandogli la guancia con la mano libera.
“Resta un po’con me?”

“Tutto il tempo che vuole.”
“Non se ne vada più allora… ho bisogno di lei…”

Si sporse leggermente e mi posò un lieve bacio sulle labbra. Dopo pochi attimi, stava già dormendo profondamente. Rimasi a fissarlo ancora per qualche attimo, prima di stringermelo maggiormente contro e baciarlo dolcemente di nuovo, anche se stava dormendo. Il mio cuore aveva iniziato a battere all’impazzata nello stesso istante in cui le sue labbra avevano sfiorato le mie e anche adesso non accennava a rallentare. Non mi sarei mai più mosso da lì, a meno che non mi avesse obbligato lui stesso a farlo.
Ci misi un po’ ad addormentarmi. Tutto il tempo che avevo passato a guardarlo, però, era stato impiegato pensando che con molte probabilità, non avrei rivisto quel suo meraviglioso sorrisetto ironico ancora per un po’.

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Capitolo 5
*** Epilogue. ***


1.      Epilogue.

Alla fine Mary non mi aveva lasciato; ero stato io a chiederle di concedermi il divorzio e lei lo firmò senza fiatare. Ovviamente affrontammo numerosi e violenti litigi in seguito a quello che aveva scoperto sui miei sentimenti per Holmes durante la nostra ultima visita a Mycroft; non le rispondevo a tono perché credevo di aver ragione, sapevo perfettamente di essere nel torto per averla ingannata in una maniera così subdola, ma reagii perché in un primo momento aveva insultato sia me sia Holmes per le nostre preferenze sessuali. In seguito mi chiese scusa e divenne, fuori da ogni aspettativa, una nostra buona amica e una delle pochissime persone con cui potevamo parlare liberamente, fino al giorno della sua prematura morte dovuta a una polmonite che io stesso le avevo curato come potevo in un’epoca in cui la medicina non era ancora in grande sviluppo per quello specifico settore.

Per quanto riguarda Holmes, la mattina seguente alla sua madornale sbronza non andò affatto come mi ero immaginato; non c’era stato stupore per avermi trovato nel suo letto, non c’era stata rabbia perché ero ancora lì, non mi aveva accusato di essermi approfittato di quella momentanea debolezza per riavvicinarmi a lui.

Quando aprii gli occhi, infastidito dalla luce che entrava dalle tende ancora aperte della finestra, lo trovai già sveglio. Aveva le braccia incrociate sul mio petto e la testa appoggiata sopra; mi stava fissando con quel suo tipico sguardo illeggibile, mi sentivo leggermente in soggezione. Non aveva gli occhi appannati dal sonno o dal mal di testa, quindi con grande probabilità mi stava fissando da almeno un’ora. Ricambiai il suo sguardo senza dire nulla, intimorito da quella che avrebbe potuto essere la sua prossima mossa. Aspettavo soltanto.  E sicuramente mi aspettavo qualunque cosa, tranne che si sporgesse verso di me per baciarmi.

Tutto iniziò in quel momento. Dopo quel gesto mi chiese solo di portargli un bicchiere d’acqua e un forte antidolorifico per la testa. Il resto della giornata, lo trascorremmo sdraiati a letto a parlare, parlare, parlare… di tutto. Di quello che avevamo fatto in tutti quei mesi, gli spiegai per bene tutta la questione riguardante il mio matrimonio con Mary e il perché del nostro molto prossimo divorzio ma, soprattutto, gli chiesi se mi avrebbe rivoluto a Baker Street con lui.

Mrs. Hudson si preoccupò perché non ci vide scendere neanche per i pasti e venne a controllare; non sembrava poi così stupita di trovarmi nello stesso letto di Holmes mentre lo stringevo a me. Non riesco a non pensare che fingesse soltanto di non sapere cosa ci fosse tra me e Holmes da quel giorno.

Le mie cose vennero riportate a Baker Street entro la fine della settimana e tutto sembrò tornare alla normalità, come doveva essere.

Con il passare del tempo, anche Holmes tornò a essere quello che era sempre stato, con le sue battutine ciniche e spesso malefiche su Scotland Yard e velate (ma non troppo) prese in giro verso il sottoscritto. Era di nuovo lui, finalmente.

Ciò che mi piaceva e che tutt'ora mi piace di più della nostra relazione, è che non è cambiato niente. Siamo ancora gli stessi che eravamo, con i nostri stupidi battibecchi che potrebbero andare avanti all’infinito, con il suo rubarmi i vestiti, il suo suonare il violino alle tre di notte. Quando ce ne rendemmo conto, capimmo che in realtà eravamo sempre stati in una relazione. Almeno, adesso, avevamo anche i baci, qualche carezza e delle notti di passione. Eravamo sempre noi, ma con alcune non indifferenti migliorie.

Erano già passati due anni da quando era iniziata la nostra relazione ormai. Due anni esatti.
Mi svegliai nel cuore della notte con la sensazione che ci fosse qualcosa di diverso. Infatti, quando mi girai, ero da solo, Holmes non era accanto a me come il solito.

Per un attimo, ancora stordito dal sonno, mi guardai intorno, immaginandomi di vederlo in giro per la stanza, magari chino sulla sua scrivania a lavorare a un esperimento che necessitava di meno luce possibile, ma non lo trovai.
“Holmes?” chiamai, dopo essermi sgranchito la voce.

Mi alzai dal letto stirandomi e, per avere un minimo di decenza, mi infilai almeno i pantaloni per cercarlo. Controllai il salotto, la mia camera, il bagno, ma lui non c’era, così decisi di scendere in cucina per controllare che non fosse sceso per cercare del cibo; da quando lo avevo convinto a smettere con la cocaina, aveva iniziato a mangiare per quattro e, per qualche strana ragione, non ingrassava per questo.

Fatto sta che non era neanche lì, così iniziai a preoccuparmi. Mi affacciai fuori, ma non sembrava essere in giro per Baker Street. Era scomparso nel nulla.
Tornai di corsa nelle nostre stan
ze per completare il mio vestiario, con tanto di cappello e bastone, e uscii a cercarlo.

Passai per tutti i luoghi che frequentavamo spesso, il Punch Bowl, alcuni locali, ma nessuno sembrava averlo visto, fino a che un cameriere mi disse:

“Sì, è passato una decina di minuti fa. Ha preso solo una bottiglia di brandy e se n’è andato. Aveva una rosa, l’ha presa da uno dei nostri vasi. Gli ho chiesto se per caso stesse andando dalla sua donna, ma ha detto che andava dal fratello. Mi è sembrato un po’ strano che portasse un fiore al fratello.”
Sul momento, fui confuso anche io. In due anni, non era mai andato al cimitero a trovare Mycroft, forse perché temeva di crollare di nuovo. Perché andarci in piena notte, senza neanche svegliarmi, e con una bottiglia di brandy?
Tuttavia, mi decisi a raggiungerlo. Sapendo che avrebbe preferito andare a piedi, ma avendo dieci minuti di vantaggio su di me, decisi di prendere una carrozza per recarmi al cimitero.

Durante il tragitto, improvvisamente capii; se erano due anni esatti che la nostra relazione era iniziata, significava anche che erano passati due anni dal giorno del funerale di Mycroft.
Il viaggio in carrozza non durò molto; pagai il cocchiere, scesi e mi diressi al cancello. Holmes era più avanti di me, ma riuscivo a vederlo camminare tra le file di lapidi.
Non volevo disturbarlo, ma non riuscii a tornare a casa comunque. Da un momento all’altro, sarebbe potuto crollare e volevo potergli essere vicino. Forse si sarebbe arrabbiato perché l’avevo seguito, ma d’altra parte io ero preoccupato. Quindi lo seguii silenziosamente e mi nascosi dietro ad una tomba familiare, la cui enorme lapide poteva coprirmi dalla sua vista. Sbirciai oltre e lo vidi posare la rosa di cui mi aveva detto il cameriere sulla tomba, aprire la bottiglia e sedersi lì davanti.
“Lo so, sarei dovuto venire prima.” Disse. Stava parlando con lui. Lui, così razionale e calcolatore, stava parlando alla tomba del defunto fratello. Solo questo pensiero mi fece stringere il cuore in una morsa tra dolore ed emozione. “Non prendertela con me, non ce la facevo…” continuò, per poi prendere un sorso di brandy. “Comunque, sono cambiate un po’ di cose dall’ultima volta che ci siamo visti. Tu eri rimasto che io odiavo Mary e non parlavo con Watson, che bevevo e mi drogavo fino a perdere i sensi. Beh, tutte queste cose sono cambiate. Pensa che ero addirittura dispiaciuto quando Mary è morta. Probabilmente adesso siete lì,
insieme, a ridere di me perché sto parlando con un pezzo di marmo. Sappiate che me la pagherete quando vi raggiungerò. Comunque, non la odiavo più così tanto. Una volta perso il legame coniugale con Watson, devo ammettere che era diventata una buona amica. E per quanto riguarda il resto… Watson mi sta costringendo a un’astinenza forzata. Con questo puoi dedurre come le cose stiano andando tra di noi. È successo esattamente quello che tu ti aspettavi e a cui io non credevo… ti sei dimostrato di nuovo il più intelligente dei due.” Disse con un piccolo sorriso, bevendo un altro sorso dalla bottiglia. “Questa è la mia prima bottiglia d’alcool da… sette, otto mesi. Ho perso il conto. E comunque l’ho presa solo perché altrimenti non sarei riuscito a venire. Probabilmente Watson domani si accorgerà che ho bevuto e dovrò sorbirmi una partaccia per la mia poca affidabilità, ma gli passerà presto e non intendo bere altro, comunque. Gliel’ho promesso.” Fissò la lapide qualche istante prima di ricominciare a parlare, ma la voce gli uscì in un sussurro spezzato dai singhiozzi. “Quando vi raggiungeremo, dovresti ringraziarlo, sai? Non ce l’avrei fatta senza di lui… tu eri tutto ciò che avevo e ti ho perso quasi senza preavviso… ero sicuro che non sarei riuscito ad andare avanti senza di te… lo so, non ci vedevamo spesso, ma almeno sapevo che c’eri, e adesso non è più così… a volte mi illudo ancora di poter andare al Diogenes Club e trovarti lì. È per questo che non sono venuto prima, non volevo perdere quell’illusione. Ma tu non lo meriti, ti dovevo almeno questa visita, anche se non so se riuscirò più a tornare.” Prese un profondo respiro e si asciugò gli occhi. “Se tu fossi qui, adesso, mi prenderesti in giro.” Gli uscì una risatina nervosa. Mi sentivo morire a guardarlo così. “Mi manchi, Mickey…”
Dopo queste ultime parole, scoppiò in un pianto irrefrenabile, tirandosi le ginocchia al petto e nascondendo il viso nelle braccia incrociatesi sopra.
Non riuscii più a stargli lontano. Uscii dal mio nascondiglio e mi avvicinai, incurante adesso di coprire il suono dei miei passi, ma lui sembrò non notarmi comunque.
Mi sedetti a terra accanto a lui e gli passai un braccio intorno alle spalle per stringerlo a me. Mi lanciò solo uno sguardo veloce prima di nascondere di nuovo il viso e lasciarsi abbracciare.

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