Appena prima della fine.

di misslittlesun95
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. ***
Capitolo 2: *** II. ***
Capitolo 3: *** III. ***
Capitolo 4: *** IV. ***
Capitolo 5: *** V. - Epilogo. ***



Capitolo 1
*** I. ***


Ciao Ragazzi :) Allora, eccomi con l'ennesima shot diventata poi una storia a capitoli (cosa che per questa va più che bene, visto come voglio finirla xD) penso di fare 4-5 capitoli più l'epilogo, e spero vi piaccia.
L'argomento iniziale è insolito, specialmente per il personaggio che tocca, ma la storia ha, ahimè, un suo perché.
Non so ancora come finirà, le idee sono due per ora (una che mi farà odiare e una che mi farà amare xD).
Il titolo è un gioco di parole su una canzone degli Zero Assoluto di nome Appena prima di partire.
La canzone non c'entra nulla col testo della storia, però se posso vi consiglio di ascoltarla, perché è bella.
Per il resto vi mando un bacio e spero vi piaccia!

;Sunny.
Ps: vale il solito discorso, tutto ciò che ho scritto è riferito ai personaggi e NON agli attori, a cui auguro tutto il bene possibile :)
Appena prima della fine.
I.
È strano, per un poliziotto, trovarsi in un ospedale per qualcosa di diverso dal lavoro.
Specialmente se si parla del reparto di psichiatria.
- Anna, hanno ricoverato Elena per un tentato suicidio. Non so cosa fare.- La voce di Luca le rimbombava ancora nella testa.
Elena? No, non era minimamente possibile. Elena era un modello di stabilità mentale, di forza. Lei non avrebbe mai fatto una cosa del genere, ne era più che sicura.
- Sto cercando la stanza di Elena Argenti.- Disse Anna alla prima infermiera trovata nel reparto.
- La dodici.- Rispose quella. - Ma si trattenga poco, mi raccomando. La paziente ha bisogno di riposare.- Anna annuì. I medici prescrivevano riposo per tutto, dalle malattie serie del corpo a quelle serie della mente. Passando ovviamente anche per cose assolutamente stupide come lo stress da esami.
La stanza di Elena era occupata solo da lei, benché in realtà vi fossero quattro letti.
Il suo era in fondo, vicino alla finestra.
E proprio alla finestra e al mondo fuori di là era rivolto il suo sguardo. Pallida e sciupata com'era si capiva subito come mai fosse finita a tentare di uccidersi.
- Ele...- La voce di Anna non cercava di nascondere i suoi reali pensieri e il suo stato d'animo. Elena si girò sentendosi chiamare. Gli occhi erano di una tristezza che pareva ancora sconosciuta al mondo, e i capelli parevano meno curati, lasciati a loro stessi come il resto del corpo di quella che un tempo era stata l'ispettrice Argenti.
- Ohi... Anna... che... che ci fai qui?...- La domanda era scontata e la risposta ancora di più, lo sapevano entrambe. Ma nelle condizioni in cui era, Elena non era in grado di iniziare diversamente una conversazione.
- Sono qui per te... Luca mi ha detto che cosa è successo... ma... perché?- Anna si era avvicinata al letto, mentre parlava. Senza neanche chiedere aveva preso la sedia vicino al muro e l'aveva spostata accanto al letto dell'amica.
- Perché... è una domanda difficile, questa. Forse perché da quando il cuore di Davide ha smesso di battere mi pare che il mio funzioni a vuoto, o forse era così da prima. Non lo so, non voglio neanche sapere con esattezza quando ho iniziato a smettere di vivere. Volevo, probabilmente, dare un senso finale a questa non-vita. È inutile fingere di vivere solo perché i tuoi organi interni fanno ancora il loro lavoro decentemente.- Anna ascoltava. Anna ascoltava ma non capiva. Non capiva perché non conosceva la persona che stava parlando.
- Credevo che...- Azzardò a dire dopo che Elena aveva finito di parlare.
- Che cosa? Che fossi una persona forte? Che fossi in grado di trovare sempre un senso anche alle tragedie più immani? Che non avrei mai ceduto? Ma perché vi siete fatti tutti quest'idea di me? Perché l'idea che Elena Argenti potesse essere fragile non vi ha mai sfiorato?- Anna tacque. Si vedeva e come che Elena era fragile, ma di certo non fino a quel punto.
- Sai perché?- Chiese poi Elena stessa dopo poco, stanca di quel silenzio. Anna fece segno di no con la testa. - Perché io per prima pensavo queste cose. Perché avevo deciso che quello doveva essere il modo in cui il mondo mi doveva vedere, e piano piano io stessa sono diventata il mondo. Mi sono accorta di stare male un paio di mesi dopo la morte di mio fratello, ma non ho mai chiesto aiuto in nessun modo perché mi ero autoconvinta di non averne bisogno, perché le persone forti non hanno bisogno di aiuto. Invece ho sbagliato, e guarda dove mi ha portato il mio sbaglio...- Anna continuò a tacere.
Un timido sole si affacciò alla finestra della camera. Un raggio arrivò fino al letto e illuminò le mani di Elena, piccole e magre.
Troppo, magre.
- E prima di volerti ammazzare per quanto tempo hai smesso di mangiare, invece?- La domanda era uscita male ad Anna. Suonava come un rimprovero, ma di certo non si poteva rimproverare il dolore.
- Te l'ha detto il medico? Oppure è stato sempre Luca?- Anna fece segno di no con la testa, sembrava che quel giorno conoscesse solo quel gesto.
- Ma pensi non si noti? Sì, va bene, sei sempre stata magra. Ma magra che stavi bene, magra come tutte le donne vorrebbero essere. Ora invece si vede che bene non stai.- Bene non stai... le ultime parole che aveva detto fecero venire in mente ad Anna un pensiero terribile.
- Non è che... voglio dire...- Elena capì al volo, d'altronde quando vedeva qualcuno che amava non stare bene per qualche motivo anche lei aveva quel pensiero per primo.
- No, fisicamente sto bene. Tolta l'anoressia, dico. Non c'è nulla di organico che mi porti ad essere come sono. Ho fatto tutto da sola. -
- E adesso?-
- Adesso finirò in una qualche clinica dove qualcuno mi possa aiutare e forse anche riempire di farmaci. È così che finiscono quelli come me...- Disse senza mostrare sentimenti, come se quella cosa non la riguardasse in prima persona.
- Sono tua amica, potevi dirmelo.- Sussurrò Anna.
- E come facevo? Io me ne vergognavo, e tuttora mi vergogno di cosa è successo e di come è successo. Non sono cose di cui si parla facilmente. -
- Avevi paura di essere giudicata da me?- Domandò Anna. Elena annuì.
- Scusami...- Disse. Anna le prese una mano e l'accarezzò. Pensò di nuovo a quanto fosse strana vederla in ospedale per un motivo non riguardante il lavoro, pensò a come fosse difficile per Elena fare i conti davvero con quel suo essere debole che ora si presentava davanti a tutti.
- Ogni volta che ripenso a ciò che ho fatto mi chiedo perché l'ho fatto, ma anche perché non l'ho fatto prima. -
- Perché sapevi che era sbagliato, che loro non avrebbero voluto.-
- No. Perché sono una codarda, ecco perché.-
E quell'ultima frase, piena di troppa tristezza, fece piangere Anna.

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Capitolo 2
*** II. ***


II.

- Sono Fabio.- Il ragazzo le stava davanti in piedi, di certo non per caso.
- Elena.- Rispose timidamente.
- Sei nuova?-
- Sei un paziente o un “educatore”- Chiese Elena senza dar peso alla domanda che le era stata appena fatta.
- Sono Fabio, solo Fabio.- Rispose lui.
Alto, moro e con gli occhi chiari.
- E sono anche un magistrato.- Aggiunse.
Elena si soffermò a guardarlo bene, si soffermò sugli occhi. Erano chiari, si, ma verdi, non azzurri come le erano parsi all'inizio.
- Anche lui era un magistrato...- Disse a bassa voce.
- Lui?- Chiese Fabio. Si era messo a sedere sul suo stesso divanetto e sembrava interessato a ciò che Elena aveva da dirgli. - Si chiamava Davide, era il mio compagno. -
- Ti ha lasciata?-
- Ha lasciato questo mondo di merda.- Elena si ascoltò. Un tempo non avrebbe mai detto qualcosa del genere. Un tempo in un luogo come quello ci sarebbe andata solo per lavoro.
Ma quel tempo era passato, e a dirla tutta non pareva neanche avere voglia di tornare.
- Sei caduta in depressione?-
- Non pensi che io veda già abbastanza psicologi? Non mi hai ancora detto perché sei qui a farmi tante domande.-
Era diventata intrattabile e si faceva schifo da sola per quello.
- Scusa, non dovevo risponderti così. Comunque credo di sì. Ho iniziato con il non mangiare, in sostanza sono diventata anoressica. E poi mi è venuta voglia di farla finita una volta per tutte, questo è il motivo per cui sono qui. -
- Hai tentato di suicidarti?- Elena annuì. Poi volse lo sguardo altrove.
Ogni tanto, a ripensare a ciò che aveva fatto, provava vergogna.
Si vergognava perché sapeva che la vita era un dono.
Si vergognava perché suo fratello, probabilmente, voleva vivere ed era morto mentre lei che poteva ancora vivere non desiderava altro che smettere.
E forse anche Davide voleva vivere, e soprattutto nessuno dei due avrebbe mai voluto che lei pensasse di fare una cosa del genere, eppure...
- Hai tentato di ucciderti perché il tuo uomo è morto?-
- Non mi hai ancora detto come mai sei qui. - Disse Elena per cambiare discorso.
- Sono venuto a trovare mia sorella. Era tossicodipendente, si sta curando.-
Una lacrima scese lungo il volto di Elena. Era la prima volta che piangeva da quando si trovava lì. Tolte ovviamente le sedute di psicoterapia, dove era chiaro che s'era fatta più di un pianto.
- Ho detto qualcosa che non dovevo?- Domandò Fabio.
- No, va tutto bene.- Rispose Elena.

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Capitolo 3
*** III. ***


III.

Il sole di Marzo illuminava Roma, e il caldo quell'anno non sembrava volersi far attendere troppo.
Le era stata concessa la mattinata libera fuori dalle mura dell'istituto per andare a trovare suo fratello al cimitero.
Sapevano che sarebbe tornata, perché lei era una di quelle persone che avevano deciso quasi spontaneamente, quasi, di farsi aiutare.
Ma a trovarlo voleva andarci da sola.
Ormai erano un paio di mesi che era ricoverata. Una o due volte a settimana vedeva Fabio, ma non sempre si fermavano a parlare come quel giorno.
Da come arrivava e se ne andava furtivo credeva di vederlo solo lei.
Non aveva mai conosciuto la sorella, perché i tossici stavano in una zona diversa rispetto ai depressi e ai pazzi.
Queste erano le tre categorie di persone che si trovavano in quel luogo. Lei, come è ovvio, si trovava coi secondi, ma spesso si chiedeva se non sarebbe stato meglio metterla coi pazzi, perché ormai depressa lo era da parecchio, forse troppo per considerarsi ancora sana di mente.

Poco a poco aveva cominciato a riprendere peso e a mangiare. Non era un percorso semplice quello che stava facendo e ne era consapevole.
I fiori che aveva preso per il fratello andarono a sostituire quelli lasciati l'ultima volta, ormai secchi e appassiti.
Si vedeva anche da quello che era parecchio che non passava da quelle parti, e non era colpa del ricovero.
Anche prima le sue visite al cimitero erano diventare rare, fatte solo per dovere e non più per la voglia di sentirsi nuovamente vicina a chi aveva perso.
Suo fratello sorrideva dalla sua foto.
Detestava quell'usanza di mettere foto felici sulle tombe.
Uno di solito va al cimitero per piangere, o comunque sa di andare in un luogo triste, e invece tutto ciò che vi è lì dei suoi cari, ciò che c' è di tangibile, è quasi felice.
Rimase lì una buona mezzora. Come al solito mentalmente gli raccontava di tutto quello che le era successo, e quel giorno dovette narrargli anche della sua idea malsana e delle sue conseguenze.
Fuori dal cimitero l'aspettavano Luca e Anna, ormai coppia stabile, per stare un po' con lei.
Erano i suoi unici amici, ed era importante averli accanto in quel periodo tanto complesso della sua vita.
Le rare volte che si fermava a parlare con Fabio nell'istituto lui non accennava mai alle sue lacrime il giorno del loro primo incontro. Elena, dal canto suo, aveva sempre evitato il discorso fratelli-sorelle per evitare altri pianti. Anche quando gli chiedeva di sua sorella cercava di far cessare subito il discorso.
Dopo aver sostato dieci minuti davanti alla tomba del fratello e altri cinque davanti quelle dei genitori Elena tornò dai due colleghi fuori.
Con loro, per farle una sorpresa in quel giorno così poco felice, c'era anche Fabio.
- Forse è il caso che voi rimaniate soli.- Disse Anna dopo un quarto d'ora che erano tutti e quattro insieme.
Elena e Fabio annuirono.
La portò in un bar sulla Merulana e, finalmente, scoprì perché quel giorno aveva pianto.
- Anna e Luca ti hanno detto?- Chiese.
- Pensavo fosse l'anniversario della morte del tuo uomo...-
- Pensavi male. Quattro anni fa è morto mio fratello.-
- Mi... mi dispiace... non sapevo. È per questo che...-
- Che ho pianto quando mi hai detto di tua sorella? Sì. Lui mi è morto tra le braccia.-
- Malattia?- Fabio non lo fece di proposito, gli venne spontaneo voler sapere.
- Se il gioco e il crimine sono malattie si, altrimenti...-
- Mi spiace, scusa, davvero.-
- Tranquillo, dovevo dirtelo prima.-
- No.- Rispose Fabio avvicinandosi a lei. - Tranquilla te.- E la baciò.

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Capitolo 4
*** IV. ***


IV.

I mesi passavano, la riabilitazione di Elena andava bene e l'essere ormai fidanzata stabilmente con Fabio l'aiutava davvero tanto.
Tutto pareva andare per il meglio, ormai ancora un trimestre ed Elena sarebbe potuta tornare alla sua vita di sempre.
Non sapeva ancora se avrebbe potuto riprendere a lavorare, non ne era sicura, ma per la prima volta nella sua vita del lavoro non le interessava nulla.
Era giovane, intelligente, sapeva di essere bella, aveva una laurea, in qualche modo si sarebbe guadagnata da vivere anche dopo quell'esperienza poco piacevole.
Luca e Anna si sarebbero sposati dopo la sua uscita dalla riabilitazione, quasi come per festeggiare tutto insieme.
Quella mattina Elena però si sentiva strana. Ormai mancava davvero poco alla guarigione, pochissimo.
Un paio di giorni prima una ragazza in disintossicazione si era sentita male ed era morta prima dell'arrivo dell'ambulanza.
Senza sapere bene il perché, Elena collegava a quel decesso, per tanti motivi assurdo e terribile, la sua angoscia.
La risposta l'ebbe nel pomeriggio, quando Fabio varcò la porta dell'istituto.
- Elena...- Aveva una voce strana, e la donna capì subito che qualcosa non andava, che i suoi presentimenti avevano un senso.
- Fabio hai una faccia? Che t'è successo?-
- Elena ascolta; io ti amo, ma non ce la faccio più a venire qua. Da quando due giorni fa è morta mia sorella, da come in questo maledetto posto me l'hanno ammazzata...- Gli occhi di Elena si riempirono di lacrime. In un attimo capì tutto; chi era la ragazza, perché quella mattina si era sentita tanto strana.
- Vuoi lasciarmi, è così?-
- Voglio prendere una pausa... finché non uscirai di qui... cerca di capirmi...- Elena lo capiva, lo capiva benissimo. Ma una parte di se, quella ancora fragile, quella che aveva più di tutte bisogno di quell'ultimo trimestre di riabilitazione, si sentì morire ascoltando quelle parole.
- Va bene. No, davvero, ti capisco. Ti chiamo io quando esco da qui. Ma, per favore, ricordati che ti amo. - Elena ricacciò indentro le lacrime, non doveva piangere, almeno non davanti a lui.
- Ti amo anche io... scusami...- Fabio la lasciò senza neanche il coraggio di baciarla un'ultima volta, sapeva che l'avrebbe rivista presto.

 

 

La notte era scesa su Roma. Elena non dormiva, era seduta davanti alla finestra e pensava.
Cercava il coraggio, ma non sapeva se quello per andare avanti o quello per fermarsi lì, in quel giorno di primavera.
Si alzò e aprì la finestra.
Un vento leggero l'accolse nel mondo delle ore buie, quelle fatte apposta per i giovani, per il popolo della notte, della felicità.
Erano anni che non sapeva cosa fosse, la felicità.
I piedi sul davanzale li mise insieme facendo un salto.
Chiuse gli occhi e le ripassò tutto davanti; la morte dei genitori, la sparatoria a Genova, Irene morente in quel letto d'ospedale, Marco che spirava tra le sue braccia, Davide che tornava, Davide che rischiava la morte, Davide che moriva davvero.
In fine ricordò ogni dettaglio del giorno in cui aveva provato a togliersi la vita, e non le era mai successo prima di riportare alla memoria così bene quella giornata.
Aprì gli occhi.
Non sapeva se quello giusto o quello sbagliato, ma un coraggio arrivò.
I suoi piedi si staccarono dal freddo marmo del davanzale.

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Capitolo 5
*** V. - Epilogo. ***


V. - Epilogo. 

Il rumore delle macchine collegate al corpo della donna era sempre lo stesso, sempre uguale..
ogni suo minimo cambiamento provocava ansia nelle persone che la vegliavano.

Amici e colleghi passavano tutti i giorni con la speranza di ricevere notizie positive dai medici che l'avevano in cura, ma niente.
Da più di due mesi Elena Argenti era in coma e nessuno poteva fare niente per cambiare quella situazione.
Chi l'andava a trovare era convinto di essere sentito dalla donna ma di certo non ascoltato, perché altrimenti, con tutte le volte che le era stato chiesto di svegliarsi, avrebbe dovuto aver aperto gli occhi già da tempo.
Invece lei non si svegliava, anzi. Stando a ciò che dicevano i medici le sue condizioni andavano nella direzione opposta.
Un ragazzo alto dai capelli mori ricci e disordinati passava accanto al capezzale della donna tre ore la settimana in un giorno prestabilito perché diversamente non poteva fare.
Fosse stato per lui si sarebbe trattenuto vicino a quel letto tutti i giorni e tutte le notti, ma non poteva.
La legge parlava chiaro, ed era già tanto se gli era concesso di uscire dal carcere per andare a trovarla in quell'occasione.
Insieme a lui, quel pomeriggio come tanti altri dall'inizio di quella situazione, c'era un uomo.
Benché non si somigliassero minimamente dall'età poteva essere suo padre
e, ovviamente, poteva essere anche il padre di Elena.
Inizialmente i due, quando si incontravano, non si scambiavano che un rapido saluto.
Poi, poco a poco, avevano iniziato a conoscersi.
Certo, potevano vedersi solo in quell'occasione e sempre guardati a vista dal poliziotto che scortava il ragazzo, ma intanto si incontravano e si parlavano.
Nessuno dei due lo aveva mai detto apertamente, ma lo facevano perché avevano paura che lei presto spirasse, e trovarsi in due ad affrontare quel lutto sarebbe stato meglio.
Quel giorno, stranamente, il ragazzo iniziò a piangere e poi a parlare.
- E' colpa mia, tutta colpa mia.-
- No.- Rispose l'uomo. - Non lo è, e devi smettere di sentirti in colpa.-
- Si è buttata per causa mia.-
- Si è buttata per proteggerti, Marco. Si è buttata e ha preso quel proiettile solo per salvarti la vita. Se hai colpe ne hai altre, non questa. Lei hai solo fatto solo quello che avrebbe fatto chiunque per una persona a cui vuol bene.-
Il ragazzo non rispose e i due rimasero in silenzio.
Guardò verso l'orologio. Ancora una mezzora e poi se ne sarebbe dovuto andare, per passare un'altra settimana in cella sperando solo che in quei sette giorni non le accadesse nulla di male.
Tempo prima Elena aveva avuto una crisi cardiaca, aveva rischiato di morire.
Era stato sotto i loro occhi e quelle scene a volte non lo lasciavano dormire, lo tormentavano tutta la notte.
Ormai era passato un quarto d'ora, Marco si doveva iniziare a preparare.
Si avvicinò alla sorella per darle un bacio in fronte, ma proprio in quel momento sentì un sussurro e vide gli occhi marroni di Elena aprirsi.
- Fabio... Fabio, Fabio dove sei...- Elena sollevò di colpo il busto dal letto e iniziò ad agitarsi.
Istintivamente Marco si buttò su di lei per placarla e farla rilassare un attimo, perché vedeva che la frequenza cardiaca stava aumentando.
- Calmati Elena, calmati.-
Intanto tornò nella stanza Davide che era uscito per chiamare un'infermiera o un medico.
Il medico, fortunatamente era quello che la seguiva, fece uscire i due dalla stanza e visitò Elena.
Mentre aspettavano fuori Castelli decise di avvisare al X e poi parlò con il poliziotto penitenziario che si occupava dei trasferimenti di Marco.

Mancava poco al suo ritorno in carcere ma riuscì a prorogare almeno di un poco la sua permanenza in ospedale almeno per quel giorno.
Il medico uscì dalla stanza con le migliori notizie, e i due furono fatti rientrare.
Marco però decise di aspettare fuori.
Davide non faceva parte della vita di Elena prima della sparatoria, ed era il caso che i due prima si chiarissero.
Era tornato per lei e lei doveva scegliere se farlo rimanere.
La risposta Marco la conobbe quando, sorridendo, Castelli lo fece entrare.
Il ragazzo corse ad abbracciare e baciare la sorella.
Poi le fece l'unica domanda che aveva in testa. - Elena, chi è Fabio?-
L'ispettrice sorrise e rispose. - Credo fosse stato la proiezione di voi due nella mia testa. In fondo non mi avete mai abbandonata, anche se pensavo foste morti.-
Marco rise. - Ci avrai allungato la vita.-
- Non credo conti quanto sia lunga.- Sentenziò Davide. - L'importante è passarla insieme a chi si ama, sempre.-
E, dicendo questo, baciò Elena.  

 

Fine
;Sunny

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