Una parola di troppo

di Perversion
(/viewuser.php?uid=42513)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Omicidio sul Tamigi ***
Capitolo 2: *** Sentimenti ***
Capitolo 3: *** Deduzioni & Scommesse ***
Capitolo 4: *** Ozio ***
Capitolo 5: *** Un nuovo nome ***



Capitolo 1
*** Omicidio sul Tamigi ***





Capitolo 1. Omicidio sul Tamigi




La porta si chiuse con un tonfo sordo, sospettava una reazione simile e non si stupii, ma il dolore acuto alla bocca dello stomaco che avvertii quasi istantaneamente, invece, lo sorprese parecchio.
Sprofondò maggiormente nella poltrona e accese la sua pipa d'argilla, fissando le fiamme nel camino che danzavano freneticamente.
La lite era durata solo pochi minuti, ma a lui erano sembrate ore. Non riusciva ancora a credere di aver detto ciò che, di fatto, aveva detto. Espirò una nuvoletta di fumo che si disperse nell'aria e spostò il suo sguardo sulle macchie d'umidità sul soffitto. La sua era stata una reazione logica, si disse inspirando il tabacco, Watson lo aveva provocato e lui si era solo prontamente difeso. Chiuse gli occhi, espirò di nuovo. Allora perché si sentiva così tremendamente in colpa? Perché si pentiva di ciò che aveva detto? Si portò una mano sugli occhi, era in quei momenti che si rammaricava di aver smesso di assumere la sua soluzione al sette per cento. Registrò solo marginalmente che stavano suonando alla porta, così come registro le voci soffuse e i passi su per le scale. La porta si aprì, ma non era Watson, questo lo poteva capire anche senza voltarsi. Quello non era il suo modo di camminare, non poggiava così ì piedi, le sue scarpe non facevano quel rumore.
«Holmes».
La voce di Lestrade lo raggiunse nella fitta nebbia dei suoi pensieri, ma non bastò a riscuoterlo da essi, troppe domande senza risposta gli affollavano la mente.
«Holmes, mi serve il suo aiuto, è stato rinvenuto il cadavere di un uomo e... »
Ma lui non stava ascoltando, nella sua mente c'era spazio solo per Watson. Di norma, scoprire i pensieri dell'amico era sempre stato molto elementare, ma negli ultimi giorni c'era qualcosa, qualcosa di pesante e indefinito che se ne stava aggrappato al suo torace, impedendogli anche la più semplice delle deduzioni. Mentre riportava lo sguardo sul camino si chiese dove fosse andato Watson, aveva preso la giacca? Fuori nevicava. A che ora sarebbe tornato? Decise che lo avrebbe aspettato in piedi. Ma Tornerà?
Questa domanda lo risvegliò come una secchiata d'acqua gelata.
«Holmes? »
Finalmente Sherlock Holmes si voltò verso il suo ospite, si sentiva scombussolato e fuori posto, ma cercò di non darlo a vedere all'ispettore nascondendo il tutto con la sua solita maschera d'indifferenza.
Si fissarono per alcuni istanti, poi Lestrade tossicchiò e ripeté.
«E' stato trovato un cadavere sulla riva nord del Tamigi. Maschio, uno e ottantasei. La causa del decesso è un colpo di pistola dritto in mezzo alla fronte».
«Dove? » Chiese Holmes, senza entusiasmo. Non aveva voglia di quel caso, non aveva voglia di vedere nessuno, voleva solo riflettere sul suo sconvolgimento emotivo.
«Chelsea Embankment, all'incrocio con Swan Walk».
Holmes espirò l'ultimo sbuffo di fumo, spense la pipa e la pulì, appoggiandola delicatamente sul tavolino al suo fianco. Sollevandosi evitò con cura quasi maniacale di lasciare che il suo sguardo si soffermasse anche solo per un istante sulla poltrona vuota davanti a lui. Senza dire una sola parola superò Lestrade, si infilò la giacca e uscì dall'appartamento, discese le scale e spalancò la porta di casa. Fu investito dal freddo gelido di metà Dicembre, si strinse nella giacca e si guardò intorno nella speranze di intravedere una figura familiare, ma niente. Abbassò lo sguardo nella speranza di intravedere le impronte di Watson sulla neve, ne vide un paio vicino casa, sotto la tettoia riparata, poi più nulla, la neve aveva cancellato ogni traccia del suo passaggio. Il peso sul suo torace sembrava appesantirsi minuto dopo minuto. Nel suo cuore, in un angolo, iniziava ad aleggiare il sospetto che qualcosa di orribile stesse per succedere. Ma la sua mente razionale e deduttiva si rifiutava di crederci, così montò in carrozza con Lestrade e dirigendosi verso Chelsea Embankment.
 
Da un primo esame della vittima Sherlock Holmes era riuscito a dedurre ben poco, con i pensieri sempre rivolti al dottore, e la cosa lo irritava. Arrivati sulla scena del crimine Sherlock si era subito messo ad analizzare il terreno, che come sempre era stato ampiamente contaminato dagli agenti di Scotland Yard, vide diverse impronte interessanti, due paia di uomo e un paio di donna, ma l'unica cosa che riusciva a dedurre era che quelle non erano le impronte di Watson. Si inginocchiò accanto al cadavere e lo osservò.
Gli agenti non lo avevano toccato, sospettava sotto ordine di Lestrade, visto che era quasi completamente ricoperto di neve. L'uomo era riverso sul dorso e non indossava alcun tipo di soprabito. Chissà se Watson ha preso la giacca. Holmes gli sollevò le braccia, sul dito indice della mano sinistra portava due anelli, una fede e un altro anello, più fine rispetto alla fede ma ugualmente prezioso. Glieli sfilò entrambi e li esaminò più da vicino. Dentro entrambi erano state incise le iniziali J & S e due date diverse. J e S ... John e Sherlock. Quando si accorse di ciò che aveva appena pensato capì che non sarebbe mai stato in grado di concludere quel caso se prima non si chiariva con Watson. Senza farsi vedere da nessuno si infilò gli anelli in tasca e passò ad esaminare il volto, scostò la neve che vi si era depositata e vi si chinò sopra. Non puzzava di alcool, né di fumo. Gli occhi e la bocca erano spalancati e sul suo volto si leggeva ancora chiaramente sia lo stupore che il terrore. Il colpo era stato sparato a bruciapelo, da una pistola di piccolo calibro.
«La vittima si chiamava Jeremy Court, ventisette anni, residente al 13 di Redesdale Street».
Lestrade gli si affiancò, sperando di riuscire a scovare immediatamente il colpevole, ansioso di tornarsene a casa al caldo.
Sherlock Holmes si risollevò e guardò per l'ultima volta l'uomo, poi sollevò gli occhi al cielo e sospirò. Una nuvolina di vapore si innalzò nell'aria fino a disperdersi quasi immediatamente.
«Può dirmi nulla? »
Holmes si voltò e ripercorse i suoi passi, chiamò una carrozza.
«Holmes! »
Lo chiamò Lestrade raggiungendolo, ma lui era già entrato nella vettura e dato le indicazioni al cocchiere affinché lo riportasse a casa.
«Holmes, mi dica qualcosa! »
Lestrade affiancava la carrozza che ancora procedeva lenta, Sherlock si voltò a fissarlo per un breve istante, poi alla fine parlò.
«Non si è trattato di una rapina».
Lestrade lo guardò aggrottando le sopracciglia, visibilmente deluso dalla risposta dell'uomo, stava per dire qualcosa quando la carrozza, finalmente, accellerò e lui non riuscì più a starle dietro.
«Questo, mi da una chiara visione dell'ovvio! »
Lo schernì Lestrade, urlando a pieni polmoni in direzione della carrozza già lontana.
 
Arrivato a casa spalancò la porta e corse su per le scale, salendo i gradini due per volta. Watson doveva esserci, Watson c'era! Spalancò la porta con il cuore gonfio di aspettativa. La stanza era vuota. Tuttavia non si demoralizzò più di tanto, infondo, il suo buon amico poteva essere andato già a letto. Ma niente gli lasciava avanzare una simile ipotesi. La stanza era esattamente come l'aveva lasciata lui alcune ore prima, fatta eccezione per il camino che ormai era quasi del tutto spento. Non c'erano segni di nessun tipo. La morsa dolorosissima alla bocca dello stomaco tornò a farsi sentire, così come il peso aggrappato al suo torace. Con ancora il soprabito indosso percorse a grandi passi la stanza, diverse volte, cercando inutilmente, un modo per acquietare il suo animo tormentato. Alla fine, sfilandosi velocemente la giacca tornò a sedersi sulla sua poltrona, evitando ancora una volta, di guardare quella posta di fronte a lui. Una volta che ebbe ravvivato il fuoco afferrò il suo violino, che se ne stava appoggiato ad un lato della poltrona, e iniziò a pizzicarne le corde, in attesa del rientro del dottore. Le ore passavano lente, fuori la neve cadeva sempre più fitta, le ombre diventavano sempre più grandi e le persone in strada iniziavano velocemente a tornare alle proprie abitazioni. Solo il dottore sembrava volersi attardare fuori. Più il tempo passava, più il clima, e l'umore di Sherlock Holmes, peggioravano. Ormai nella sua mente deduttiva si erano dipanate le più assurde motivazioni per giustificare il ritardo di Watson, un incidente, un rapimento, un mancamento; tuttavia, si rifiutava categoricamente di uscire per cercarlo. Il suo orgoglio era ancora troppo risentito per la lite di diverse ore prima. Holmes, o meglio, la sua parte razionale e orgogliosa, era assolutamente convinta di essere nel giusto e che quindi, se Watson si era sentito offeso per le parole da lui pronunciate, doveva incolpare soltanto se stesso. Ma l'altra parte, quella più piccola, quella che viveva rilegata in un angolino del suo cuore, gli sussurrava che forse, per quanto logica la sua risposta fosse stata, la scelta del tono e della parole con cui si era espresso non erano state delle migliori, gli suggeriva, inoltre, che Watson era un uomo semplice ed ingenuo, poteva offendersi facilmente, ma che era una delle qualità che Holmes tanto adorava in lui. Alla fine, stravolto da tutti questi sentimenti e pensieri discordanti tra di loro Sherlock Holmes si addormentò, con il violino sulle gambe e la pipa in bocca.
 
Fu svegliato dal rumore della porta che si apriva.
Spalancò gli occhi e scattò in piedi, facendo rovinare a terra violino e pipa. Watson.
Mrs. Hudson entrò con in mano la sua colazione, appena lo vide gli elargì un sorriso di circostanza, che però non fu ricambiato.
«Buon dì, signor Holmes».
Lo salutò la donna andando a posare il vassoio sul tavolino e iniziando ad apparecchiare.
Sherlock Holmes attraversò in quattro falcate la stanza, salì i pochi gradini che lo separavano dalla stanza del dottore e spalancò la porta. Il letto era intatto. Non era tornato. Deluso, richiuse la porta, scese lentamente le scale, si riaccostò al camino risollevando pipa e violino.
«Mrs. Hudson, potrei approfittare della sua gentilezza e chiederle di farmi un favore? »
Disse mentre riadagiava il violino sulla poltrona e la pipa sul tavolino. La donna lo guardò sorpresa e sorrise di nuovo.
«Oh, Mr. Holmes, certamente».
Sherlock si sedette al tavolo per la colazione e afferrò il Times, poi guardò la Signora Hudson per un breve istante.
«Se oggi qualcuno verrà a chiedere di me, può essere così cortese da riferire che non sono in casa? »
Mrs. Hudson parve molto sorpresa per la richiesta del suo inquilino, tuttavia annuì.
«Certo, farò come desidera».
La donna si avviò verso la porta dell'appartamento, ma Sherlock Holmes riprese a parlare.
«Però, ripensandoci, prima di dire che non ci sono, si faccia dire da chi sono stati mandati o il motivo della visita, se il mandante è il dottor Watson allora li faccia passare».
La signora Hudson sembrava sul punto di chiedere qualcosa, ma Holmes aprì velocemente il Times e finse di immergersi nella lettura, senza lasciare speranze alla donna di soddisfare, almeno in parte, la sua curiosità sul perché quel mattino Mr. Holmes fosse così garbato e quieto.
Sherlock Holmes rimase in casa tutto il giorno, nell'arco del dì il campanello suonò ben otto volte, ma nessuno salì da lui. Stette seduto sulla poltrona tutto il tempo, perso nei suoi pensieri e nei suoi dubbi, con la speranza nel cuore di sentire i passi del dottore su per le scale, se lo immaginava mentre entrava tutto arruffato e si scusava per l'assenza prolungata e a quel punto lui si sarebbe alzato dalla poltrona, avrebbe sussurrato un «Bentornato», gli sarebbe corso incontro e lo avrebbe stretto tra le sue braccia, si sarebbe scusato per ciò che la sua bocca aveva osato pronunciare, offendendolo, e gli avrebbe sussurrato all'orecchio di non lasciarlo mai più solo per così tanto tempo. Sherlock andò avanti a sviluppare questa fantasia tutto il giorno. Alle volte l'immagine era così nitida nella sua mente da sembrare reale, riusciva persino a sentire la pelle liscia di Watson sotto il tocco delle sue mani, ne percepiva il profumo, ne assaporava il gusto. Ormai, conscio d'aver usato toni non adatti ad una conversazione con il suo fido Boswell era pronto a scusarsi e a farsi perdonare, utilizzando qualsiasi mezzo a sua disposizione e pregustando già la faccia sorpresa del suo dottore quando, rientrando, magari triste e sconsolato, lo avrebbe trovato sorridente e pronto a far pace.
 
La giornata volse al termine, lasciando nuovamente spazio alle ombre della notte, ma Watson non tornò.
 
 

Continua...




Ed eccomi di nuovo qui, la connessione che fa schifo non mi ha impedito di postare quest'ultima schifezza venuta fuori da chissà dove (un luogo l'avrei in mente, ma sono una signorina di buone maniere *ridacchia dietro il ventaglio* non dico certe parole). Vi prego di essere clementi con me, ho da poco iniziato a leggere il canone (vabbè diciamo pure che ho letto solo il primo romanzo e i racconti posti cronologicamente prima e durante) quindi questa storia sarà sicuramente piena di errori da quel punto di vista (e sono sicura ci saranno anche un sacco di orrori grammaticali...perdonatemi anche quelli, se me li indicate li correggerò immediatamente!). Inoltre mi scuso anche se i personaggi sono (e lo sono, io lo so) OOC.... questo credo sia uno dei miei più grandi difetti, cioè parto con il voler scrivere seguendo il più possibile i pensieri del personaggio poi alla fine mi ritrovo con le tipiche frasi che invece direi io =.= Infine dovrete scusarmi anche per la semplicità del caso. Insomma ho pensato che essendo un racconto di Sherlock Holmes non poteva mancare il delitto, ma la mia mente è semplice ho provato ad arroverlarla alla ricerca  di qualcosa che potesse essere almeno un pochino avvincente, ma credo di aver miseramente fallito. Una mia conoscenza, e non faccio nomi sennò mi arriva a casa con una mannaia in mano, *coffcoffHellycoffcoff* avrà sicuramente già scoperto vita morte e miracoli della vittima, del colpevole e del gatto della donna che abita sopra il fornaio da cui si serve la vicina del lattaio che portava il latte alla vittima. Però mi farebbe piacere, mano a mano che la storia continua, sapere chi è il vostro sospettato. I nomi dei luoghi sono tutti autentici (sono stata più di mezz'ora su google maps per cercare il luogo adatto) però non sono sicura che si chiamassero così anche nel 1800 ._.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Sentimenti ***


capitolo 2


Capitolo 2. Sentimenti
 



Non aveva dormito, troppo preoccupato per la sorte del suo amico, si era aggirato per l'appartamento tetro e silenzioso finché le ombre della notte non avevano lasciato il posto ai primi teneri raggi solari. Infine, si era buttato la giacca sulle spalle ed era uscito di casa. La neve risplendeva candida, ancora immacolata, le uniche impronte erano le sue che, mani in tasca e sguardo basso, si era incamminato lungo la via. Durante l'arco di tutta la giornata e nottata, che aveva trascorso aspettando il ritorno di Watson, sentimenti contrastanti si erano fatti largo in lui. Era, prima di tutto, preoccupato, con un tempo simile la gamba del suo fido Boswell doveva avergli procurato non pochi dolori, limitandogli i movimenti. Poteva anche essere caduto vittima di ladruncoli di bassa lega che, approfittando della loro superiorità numerica e del dolore di Watson -magari anche dell'effetto sorpresa- lo avevano pestato e derubato, lasciandolo agonizzare in chissà quale vicolo della City. Per un attimo, un breve attimo, nella sua mente si era formata l'immagine di Watson sanguinante sul ciglio della strada ricoperto di neve, era stato costretto ad usare tutto il suo intelletto per auto-convincersi che una tale fine per il dottore era assolutamente impensabile, il suo Boswell era pur sempre un soldato, era stato addestrato per scamparla anche in una situazione critica come quella che si era immaginato. A questo punto, in lui si era fatta largo l'ira. Si era immaginato Watson ridere felice in compagnia di una bella donna mentre bevevano vino assieme, ma ancora una volta, il suo intelletto aveva sedato tali sentimenti suggerendogli che se mai Watson avesse avuto una compagna sicuramente se ne sarebbe accorto prima, senza contare il fatto che lo stesso dottore gliene avrebbe sicuramente parlato. Verso mattina, invece, si era sentito offeso. Offeso da tutto e da niente, dal comportamento di Watson, dalla neve che cadeva, dalla signora Hudson che non la smetteva di muoversi al piano inferiore -ma non dorme mai? si era ritrovato a pensare- e, soprattutto, offeso dal suo stesso corpo, che ignorava ogni ragionamento logico solo perché Watson era momentaneamente assente. Lo scoprirsi, ormai, completamente e assolutamente succube del dottore aveva riacceso in lui l'ira. Non che il povero Watson c'entrasse qualcosa; era solo il suo stupido e incontrollabile cuore che di sua pura iniziativa si era distaccato da lui, ed era andato a donarsi a John, rendendo così la sua presenza indispensabile per il corretto funzionamento di quel poco che restava del famoso Sherlock Holmes. D'altra parte, il cervello non funziona senza il cuore che lo rifornisce d'ossigeno. Mentre arrancava nella neve candida, con le guance ormai arrossate e la fatica che iniziava a farsi sentire, Sherlock capì che, semplicemente, doveva trovare il suo John perché ormai la sua presenza gli era più preziosa dell'oro e, soprattutto, più vitale dell'ossigeno. Improvvisamente Sherlock Holmes si sentì come una protagonista dei romanzi tanto amati da Watson, l'ombra di un sorriso gli attraversò il volto mentre se lo figurava seduto sulla sua poltrona intento a leggere uno dei suoi romanzi con un sorrisino inconscio stampato sul volto. Arrivato in fondo alla strada voltò a destra e proseguì il più velocemente possibile, maledì la neve che aveva costretto in casa tutti, compresi i vetturini e che gli impediva di procedere ad una velocità maggiore. Fu solo quando si trovò ormai nei pressi del circolo che solitamente frequentava Watson che qualcosa attirò la sua attenzione. La camminata lo aveva stancato parecchio, la gola e il naso gli pizzicavano ogni volta che respirava, le dita e le orecchie si erano ormai congelate e, sospettava, gli sarebbero cadute da un momento all'altro, come anche i suoi poveri piedi. Tuttavia, quando, avvicinandosi, focalizzò meglio la scena, si dimenticò all'istante di tutto e, incespicando, corse verso l'altro lato del marciapiede dove John Hamish Watson era riverso sullo stomaco. Holmes pregò il Signore che quello non fosse lui, che la sua mente gli avesse giocato solo un brutto scherzo, che quello era solo uno qualunque. Purtroppo, quando si fu inginocchiato e ebbe rigirato il corpo freddo, ebbe la conferma che l'uomo disteso sulla neve era veramente Watson. Il mondo parve acquietarsi, i rumori gli arrivavano ovattati, i movimenti rallentati. Una gran paura si impadronì di lui, svelto, gli tastò il polso gelido; il cuore batteva ancora. Sospirò, grato che almeno quello gli fosse stato concesso, si sfilò velocemente il cappotto e ci avvolse il dottore. Quando l'ebbe coperto lo sollevò di slancio e, benché le gambe gli tremassero per lo sforzo, come anche le braccia, Sherlock Holmes si impose di non arrendersi, non ora che la vita del suo John dipendeva unicamente da lui. Tornò sui suoi passi ripercorrendo la strada almeno due volte più velocemente che all'andata. Mormorando preghiere e stringendo sempre più forte Watson. Il suo cuore stava morendo congelato tra le sue braccia...che fosse dannato se glielo avesse permesso!
 
Sentii delle voci, voci ovattate, non capivo cosa dicessero. Qualcuno piangeva...una donna. Realizzai di essere disteso su qualcosa di morbido, un letto. Passi, pesanti passi che si allontanavano e ancora singhiozzi. Sembrava la voce di Mrs. Hudson. Volevo aprire gli occhi, ma perfino ascoltare mi risultava faticoso. I singhiozzi si allontanarono. Ero rimasto solo. Volevo urlare, balzare giù dal letto o anche, semplicemente, muovere un dito. Ma il tutto risultava veramente troppo faticoso, il mio corpo si rifiutava categoricamente di eseguire i miei ordini. Nel silenzio più assoluto avvertii qualcosa afferrare la mia mano destra, qualcosa di incredibilmente caldo, sapevo esattamente cos'era. La mano di Sherlock strinse forte la mia e in me nacque la voglia di piangere, l'averlo li e non riuscire neanche a ricambiare la stretta era molto demoralizzante. Ormai il litigio non contava più, era tutto dimenticato, per me, in quel momento, esistevano solo quel letto e Sherlock che mi stringeva, mi teneva aggrappato alla vita. Avvertii una sedia grattare contro il pavimento e temetti che anche lui volesse lasciarmi solo. Provai con tutto me stesso a reagire, per fargli capire che non volevo restare solo, volevo che continuasse a tenermi per mano. Fortunatamente percepii al mio fianco il materasso che si abbassava, mi sollevò la mano e se l'appoggiò sulle gambe. Avrei dato tutto quello che avevo, e tutto quello che avrei avuto per rendere quel momento eterno.
«Tranquillo mio caro, non ti lascio solo... »
Mormorò improvvisamente il mio amico chinandosi su di me per baciarmi delicatamente una tempia. In quel momento compresi che se ero vivo, se riuscivo anche solo a respirare, lo dovevo a lui. Era stata la sua voce a guidarmi nel buio ed ora era il suo calore che impediva al mio corpo di arrendersi. Pregai il Signore, gli chiesi di farmi guarire, così da avere la forza anche solo per poterlo stringere a me, anche solo per fargli capire che i suoi sentimenti erano pienamente ricambiati.
 
Lestrade irruppe nella camera come una furia, spalancando la porta che andò a schiantarsi contro il muro.
«Holmes, insomma deve venire ad indagare ora! »
Sherlock Holmes gli lanciò un'occhiataccia che sembrava voler dire "ora ti uccido" e tornò ad immergere la pezzuola nel catino vicino al letto; la strizzo e la adagiò piano sulla fronte di Watson. Lestrade tossicchiò, imbarazzato per l'orribile figura che aveva appena fatto, poi riprese, parlando sommessamente.
«Mi duole vedere il dottor Watson ridotto in questo stato ma sono stato fin troppo indulgente Holmes, il caso deve essere chiuso, al più preso possibile. La pregherei dunque di accompagnarmi quest'oggi a far visita alla vedova Court».
Holmes non rispose né lo degno di uno sguardo; la sua attenzione era tutta per Watson. Osservandoli da quella posizione Lestrade non poté impedirsi di arrossire, sentiva che tra quei due c'era più di quello che mostravano, un legame così profondo da risultare incomprensibile per il resto del mondo. Lestrade non aveva nulla contro gli invertiti, come li chiamavano gli altri. Per come la vedeva lui erano persone come tutte le altre. Purtroppo la legge diceva il contrario, ma per quella volta l'ispettore finse di non aver visto nulla. Per un attimo, Lestrade riuscì a percepire fino a che punto quelle due anime fossero legate tra loro, quasi fossero una, ma durò solo per un attimo, poiché un movimento improvviso di Holmes lo riportò alla realtà. L'uomo era scattato in piedi e ora si dirigeva verso di lui. L'ispettore si scostò facendogli spazio e Sherlock Holmes si diresse alla sua poltrona per afferrare una giacca che era stata accuratamente stesa ad asciugare vicino al fuoco.
«Non ho altra scelta, prima si concluderà il caso, prima potrò tornare... »
Non finì la frase, forse accorgendosi che si stava dimostrando troppo debole e rammollito davanti ad un estraneo. Si infilò velocemente il cappotto e scese le scale. Lestrade si avviò lentamente dietro di lui e chiuse la porta alle sue spalle, scese i gradini e uscì dal portone evitando per un pelo di scontrarsi contro Holmes.
«Dovremo camminare? »
Chiese lui, scrutando la strada quasi deserta.
«Purtroppo sì» ammise Lestrade,«le strade sono ricoperte di neve e ancora nessuno si è adoperato per rimuoverla, rendendo così impossibile il normale circolamento delle carrozze».
Sherlock Holmes sbuffò e fece segno all'ispettore di avviarsi, l'ispettore alzò un sopracciglio iniziando ad avanzare nella neve con Holmes che lo seguiva.
Fu solo quando Holmes -che era molto più alto di lui e quindi capace di fare passi più lunghi- lo superò che Lestrade, posando gli occhi su di lui, si accorse che la giacca dell'uomo non era assolutamente della sua misura. Come un fulmine a ciel sereno si ricordò di aver visto quella stessa giacca addosso a Watson e, di nuovo, si ritrovò ad arrossire.
 
Il numero 13 di Redesdale Street comparve alla loro vista diverse ore dopo. Entrambi salirono stremati gli ultimi gradini che conducevano alla porta di ingresso, dipinta di un bel blu scuro. Lestrade suonò il campanello e pochi attimi dopo un'anziana signora vestita interamente di nero aprì loro la porta, dopo aver chiesto l'identità dei due li fece entrare, conducendoli attraverso lo stretto corridoio e successivamente nella sala. Il camino era acceso e, seduta su un divano dinnanzi ad esso, vi era una giovane donna, vestita anch'essa di nero, con il volto nascosto tra le mani. Ella non parve udire i due, e quando la vecchia le andò vicino per scuoterla leggermente, la donna fece un piccolo sobbalzo, spaventata. Lestrade prese parola e li presentò entrambi, scusandosi per il disturbo e chiedendole se era in grado di rispondere a qualche domanda. La vedova Court annuì seria e li fece accomodare.
«Mi scuso ancora per il disturbo», riprese Lestrade. « Ma sono sicuro che saprà sicuramente della gravità della situazione e di quanto sia importante agire con sveltezza».
La donna annuì nuovamente, posando lo sguardo su Sherlock Holmes, che fino a quel momento non aveva staccato un attimo gli occhi dal fuoco.
«Or dunque, mi dica: quand'è stata l'ultima volta che ha visto suo marito vivo? »
Lei parve rifletterci un attimo, lanciò un'occhiata preoccupata all'anziana donna che le si era seduta accanto poi parlò.
«Il pomeriggio prima che morisse... » mormorò piano, tanto che Lestrade dovette chinarsi in avanti per sentirla.
«lui...si ecco, Jeremy, mi venne a trovare e mi disse che rivoleva indietro alcune carte, che gli erano indispensabili per una faccenda che stava portando avanti. »
Lestrade smise di scrivere e guardò la donna, accigliato.
«In che senso "la venne a trovare"? »
«Io e Jeremy stavamo divorziando».
L'anziana donna le afferrò un mano e gliela strinse dolcemente.
«Quell'uomo era un maiale! » Esclamò poi, «Mia figlia è troppo buona per raccontarvi come stanno le cose, ma io no, giudicatemi una macchina senza cuore ma sono felice che quell'individuo sia morto».
La giovane donna lanciò un'occhiata preoccupata alla madre, che però continuò.
«Vede ispettore, mia figlia e Court si sono conosciuti tre anni fa, durante una vacanza a Parigi, il giovane Court iniziò subito a fare la corte alla mia dolce Susan e pochi mesi dopo si sposarono. Inutile dire che la mia ingenua Susan non sapeva a quali rischi andasse incontro», e così dicendo sollevò il braccio della ragazza scostando il tessuto pesante del vestito e rivelando cinque segni violacei sul polso. Susan ritrasse subito il braccio, nascondendo nuovamente i lividi.
«Quel famoso pomeriggio, Court si presentò senza preavviso, era eccitato e chiedeva continuamente a Susan queste carte che lui le aveva affidato in custodia, Susan gli rispose che al momento non le aveva con se ma che gliele avrebbe fatte recapitare il prima possibile e poi... »
La madre di Susan lanciò un'occhiata alla figlia che però era voltata dall'altra parte.
«Poi? »
Domandò Lestrade ansioso, la madre di Susan sospirò scuotendo la testa.
«Mi dispiace ispettore, ma io ero al piano superiore e, per quanto da lassù si goda di un'ottima acustica, non mi era permesso di vedere ciò che accadeva al piano inferiore, posso solo dire quel che ho sentito».
«D'accordo, signora, lei ci dica solo cos'ha sentito, senza preoccupazioni».
Lestrade era visibilmente eccitato, ormai certo di avere tra le mani il colpevole.
«Ho sentito dei sussurri, la porta che si chiudeva, la porta che si riapriva con un tonfo e poi urla e la porta che veniva sbattuta di nuovo».
«Ha i documenti a portata di mano ora, Mrs. Court? »
Chiese Sherlock Holmes, senza mai staccare gli occhi dal fuoco. La vedova si girò nella sua direzione scrutandolo con aria preoccupata.
«Mi chiami Susan, per favore, ormai non sono più ne Mrs. ne tantomeno Court. I documenti, si li ho, mi ricordai troppo tardi di averli chiusi in un comodino del secondo piano».
«Potrei vederli? »
Susan asserì e fece un cenno alla madre, che si alzò e sparì oltre la porta, tornando poco dopo con una busta sigillata tra le mani che gli consegnò. Sherlock Holmes esaminò la busta e l'aprì estraendo dal suo interno i due fogli contenuti, lesse velocemente i testi delle lettere, poi rimise tutto dentro, chiuse nuovamente la busta e la riconsegnò alla donna che la passò alla figlia.
«Sa cosa c'è scritto in queste lettere? »
Domandò Holmes, studiandola attentamente, Susan negò, precisando che degli affari del suo defunto marito non si era mai interessata.
«Mia cara Susan, le posso assicurare che aprendo quella busta e leggendo il contenuto delle due lettere rimarrà molto sorpresa».
Susan lanciò un'ennesima occhiata alla madre e tremante aprì la busta, estraendone i fogli. Sherlock saltò in piedi e batté le mani, facendo sobbalzare tutti.
«Mrs. Mi perdoni, ma non credo di aver afferrato il suo cognome», disse rivolgendosi all'anziana.
«Strendson, Sarah Strendson», rispose la donna.
«Bene Mrs. Strendson, mentre sua figlia legge le lettere potrebbe mostrarmi il piano superiore della casa? »
La donna annuì e gli fece strada fuori dalla sala e su per la rampa di scale, giunti sul pianerottolo con un movimento secco della mano parlò.
«Ecco il secondo piano, quella in fondo è la mia camera, quella davanti e la camera di mia figlia».
«E le altre due? »
Mrs. Strendson alzò le spalle.
«Questa adiacente alle scale era lo studio di Court, quella dall'altra parte è una stanza che usiamo per ricamare o anche come ripostiglio».
«E lei dove si trovava al momento della visita di Jeremy Court? »
La donna gli indicò la finestra dall'altra parte del pianerottolo, sotto alla quale era stata posizionata una sedia a dondolo.
Sherlock si avvicinò ad essa e la esaminò con cura, vi si sedette e dondolò un paio di volte, poi si risollevò e tornò dalla donna.
«Potrebbe, cortesemente, sedersi li e assecondarmi in un mio piccolo esperimento? »
Dopo qualche attimo la donna annuì e si diresse verso la sedia.
«Bene, ora Mrs Strendson, io scenderò e dirò qualcosa, quando tornerò su dovrà ripetermi esattamente quello che ho detto».
Mrs. Strendson annuì e Holmes scese le scale ed entrò in sala, li trovò Susan ancora china sui fogli e Lestrade che la teneva d'occhio. Silenziosamente fece cenno all'ispettore di seguirlo in corridoio e, una volta che furono entrambi li, afferrò il taccuino dell'ispettore e vi scrisse sopra alcune parole, aggiungendo sotto che le doveva leggere ad alta voce e poi tacere. Lestrade fece come gli era stato chiesto e parlò. Successivamente Sherlock Holmes gli fece cenno di tornare dentro e, mentre Lestrade rientrava, il detective risalì le scale.
«Allora Mrs. Strendson, cos'ho detto? »
La donna rispose subito e senza esitazione.
«"Oh mia cara che piacere rivederla"».
Sherlock sorrise e annuì.
«Grazie signora, mi è stata di grande aiuto può ridiscendere con me ora, torniamo in salotto».
Rientrati che furono in salotto trovarono ad attenderli una Susan con lo sguardo vittorioso.
«Dunque», iniziò Holmes «non ha trovato nulla di interessante nella lettura delle lettere? »
Susan scosse la testa e gli porse i fogli.
«Sinceramente, signore, può tenerseli, non mi interessano queste carte ne il loro noioso contenuto».
Lestrade notò un sorrisino dipingersi sul volto di Holmes.
«Crede dunque che un paio di carte sull'acquisto di uno stallone purosangue non siano interessanti? », chiese, con il sorriso che si allargava.
Anche la donna sorrise, scuotendo nuovamente il capo.
«Affatto».
Sherlock Holmes parve un po' deluso, frettolosamente, raggiunse il suo soprabito e se lo infilò.
«Mi duole molto che non la pensiamo allo stesso modo, le assicuro, signorina, che sono ad un passo dallo scoprire il colpevole, con il suo permesso mi tengo la busta e le carte e ora vogliate perdonare la mia fretta ma ho qualcosa di urgente da sbrigare».
Le due donne annuirono stranite, lanciando occhiate a Lestrade che lo fissava attonito. Sherlock Holmes si diresse verso la porta ma la voce della signorina Strendson lo fermò.
«Signor Holmes! », lo chiamò ella; lui si girò ad ascoltarla rimanendo immobile sull'uscio. Susan per un attimo si mosse in modo tale da far credere che si volesse alzare, poi, come ricordandosi qualcosa si riadagiò sul divano.
«Signor Holmes» riprese «La prego di credermi sulla parola se le dico che io amavo mio marito, lo amo ancora molto, voglio che il suo assassino venga trovato e giustiziato! » Nei suoi occhi c'era una strana luce, Holmes scorgeva in lei frammenti di ira e tristezza; non sapendo come rispondere annuì semplicemente e uscì dalla sala. Una volta in strada riprese la via che lui e Lestrade avevano fatto all'andata, il mistero adesso era molto più chiaro ma la cosa non gli importava minimamente, voleva solo tornare a casa dal suo Watson.





Continua...







Stranamente sono riuscita ad aggiornare in tempi abbastanza brevi, anche se qui la connessione sembra voler fare di tutto per impedirmelo. Dunque questo capitolo è ovviamente assolutamente OOC ma ormai lo sappiamo e sennò nemmeno lo mettevo tra gli avvertimenti! Però devo ammettere che mi piace questo Sherlock, è proprio nel mio stile "dolce e coccoloso" (e vorrei anche vedere, l'ho scritto io!). Ci sono alcune cose che vorrei preciusare, prima di tutto questa storia della neve...sinceramente non so come funzionavano le cose quando nevicava così tanto e, purtroppo, la connessione che va a saltelli mi ha impedito di scoprirlo, quindi vi chiedo perdono se ho scritto una grandissima caciofecata. La seconda cosa che ci terrei a precisare è la faccenda del divorzio....divorziavano, vero? xD era fattibile una cosa del genere? spero prorpio di si! *maledice la connessione* ma ho supposto che dopo Enrico VIII e il suo stuolo di mogli si potesse divorziare!
Tanto per perdere un po' di tempo sono orgogliosa di annunciare che proprio in questo istante sto leggendo l'ultimo capitolo de "Il segno dei quattro" ....uhm...penso che questo sarà il racconto che mi piacerà meno...chissà perchè *coffcoffColpaDiQuellaSpinaNelFiancoDiMarycoffcoff* anche se ho notato alcuni particolari molto favorevoli allo slash (ma d'altra parte, se lo slash è nato proprio grazie a loro due un motivo ci sarà! <3). Vorrei gongolare un po' *inizia a gonolare* perchè sulla copertina de "La valle della Paura" (si li ho comprati tutti e me li sto leggendo uno dietro l'altro) c'hanno messo Robert e Jude <3 mi è preso un mezzo attacco cardiaco quando li ho visti, poi hanno scelto proprio una delle mie scene preferite del primo film! (quella in cui sono al cantiere navale e Watson salva per un pelo Holmes). Purtroppo, se le mie deduzioni sono esatte *Mode Sherlock Holmes: ON* Watson dovrebbe essere ancora sposato...questa donnina allegra però dovrebbe tagliare la corda dopo "la scomparsa" di Holmes...quindi ne "Il mastino di Baskerville" (che poi è quello che tutti mi hanno consigliato dicendo "Oh mamma, te lo devi leggere è bellissimo!" sei persone hanno detto la stessa identica cosa! speriamo sia vero! xD) non si saranno spine nel fianco *coffcoffMenoMalecoffcoff*.
Ma cambiando discorso! Dopo estenuanti camminate nella neve finalmente sono entrate in scena due donnine molto allegre, come vi sembrano?
Fatemi sapere!

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Deduzioni & Scommesse ***


Capitolo 3. Deduzioni & Scommesse





Quando, finalmente, rimise piede nell'appartamento erano da poco passate le diciotto.
Una giornata sprecata. Pensò amaramente mentre si sfilava la giacca di Watson e le riponeva nuovamente sulla poltrona accanto al fuoco che Mrs. Hudson aveva provveduto ad alimentare in sua assenza. Sorrise tristemente accarezzando la stoffa dell'indumento. L'aveva indossata tutto il giorno così, nel caso avesse sentito la mancanza del dottore gli sarebbe bastato inalare il suo profumo, di cui la giacca era pregna. Inutile dire che aveva passato la gran parte della giornata con il naso infilato tra le falde del cappotto, inalando a pieni polmoni quella fragranza così inebriante, ma più la respirava più la mancanza del suo dottore si faceva dolorosa. Ringraziò il Signore per l'autocontrollo che era riuscito a mantenere durante tutto il colloquio con la vedova e anche per averlo fatto tornare finalmente a casa. Senza fare troppo rumore si diresse verso la porta della sua camera e la dischiuse. Watson dormiva profondamente. Sospirò sollevato ed entrò, richiudendosi la porta alle spalle. Lo osservò per alcuni minuti, poi si avvicinò al letto e si mise a sedere sullo sgabello. Mentre lo osservava dormire si realizzò quanto, effettivamente, fosse stato vicino a perderlo e si ritrovò a chiedersi come avrebbe reagito se, semplicemente, fosse stato troppo tardi. Un brivido freddo gli corse lungo la schiena e senza accorgersene, la sua mano andò a cercare quella di Watson, stringendola delicatamente. Posso affermare, senza timore di smentita, che se mai John mi venisse portato via, impazzirei e mi lascerei morire divorato dalle droghe e dal suo ricordo.

Sentiva caldo, molto caldo. Aprì pigramente l'occhio destro e si guardò intorno, non riconosceva la stanza, o meglio, un vago senso di familiarità lo avvertiva, solo che annebbiato com'era dalla febbre non riusciva a capire dove potesse essere. Chiuse l'occhio e sospirò. Smosse i piedi nella speranza che le coperte gli scivolassero un po' più in basso, ma qualcuno gliele risistemò prontamente sotto il mento. Girò la testa verso quel qualcuno e sentì un forte rumore di carta smossa, aprì gli occhi e ciò che vide lo fece sorridere: Sherlock Holmes era seduto su uno sgabello al suo fianco, con la pipa in bocca e un giornale aperto davanti.
«Ben sveglio, amico mio». Disse Holmes senza neanche alzare gli occhi dal giornale, cosa che fece allargare ulteriormente il sorriso di Watson.
«La ringrazio, ma cosa mi è successo? »
Holmes alzò le spalle, apparentemente immerso nella lettura.
«È stato ritrovato svenuto nella neve poco distante dal suo circolo ed è stato riportato qui, Mrs. Hudson non la smetteva di piangere».
Il sorriso di Watson, se possibile, divenne ancora più ambio e, lentamente, fece forza sui palmi e si mise a sedere.
«Sherlock Holmes,» Iniziò guardandolo e allungandosi verso di lui. «Lei è un bugiardo».
L'uomo si voltò a fissarlo, le sopracciglia aggrottate.
«Nient'affatto, mio buon amico, cosa le fa credere una simile idiozia? »
Il dottore gli si avvicinò maggiormente e decise che era arrivato il momento di passare ad un tono molto meno informale, visto l'argomento che si apprestata a discutere.
«Ti ho sentito, sei stato con me tutto il tempo, mi tenevi la mano».
Sherlock Holmes distolse lo sguardo e lo riportò sul giornale mentre una nuvolina di fumo azzurro si levava dalla sua pipa.
«Questo dovrebbe significare che ero...preoccupato per lei, cosa che si sarebbe verificata solo se io avessi un cuore e fossi in grado di provare sentimenti, cosa che lei, l'altra sera, mi ha rinfacciato di non saper fare».
Watson sentì il cuore stringersi. Quella sera, quella maledettissima sera. Non ne voleva più sentir parlare. Scosse debolmente la testa e si avvicinò ulteriormente. Voleva estirpare il ricordo di quella sera, sia dalla sua mente che da quella del suo amico. Era stato uno sciocco a dire quel che aveva detto ed era stato ancor più sciocco andarsene. Si sentiva terribilmente in colpa, doveva -e, soprattutto, voleva- farsi perdonare; anche a costo di passare tutta la vita a chiedere perdono. Ormai la vicinanza tra i due era al massimo.
«Quella sera non ero in me, e tu lo sai bene, vorrei quindi chiederti la cortesia di abbandonare questo argomento e di non parlarne mai più».
Holmes annuì distrattamente. É una mia impressione o le nocche gli sono sbiancate?
«Inoltre, riuscirò a dimostrare con una semplice deduzione, che tu sei realmente preoccupato per me».
Sherlock si voltò nuovamente verso di lui, con un'espressione divertita impressa sul volto.
«E come vorresti fare? »
Watson si allungò ancora, con un gesto altamente audace e sconsiderato, sorprendendo anche se stesso, baciò teneramente la guancia di Holmes.
«Elementare Holmes, stai leggendo un giornale vecchio di quattro mesi al contrario».

Ho perso, si ritrovò a pensare mentre un sorriso si dipingeva sul suo volto.
«Watson», iniziò chiudendo il giornale inutile e riappoggiandolo sul comodino «mi ha battuto al mio stesso gioco! » e scoppiarono entrambi a ridere. Senza più timore la mano di Watson cercò quella di Holmes, la quale gli andò subito incontro, intrecciandosi. Rimasero a guardarsi in silenzio per diversi minuti, poi il dottore, diventando rosso, chiese:
«Non potresti sederti qui? Stare in questa posizione si sta rivelando più faticoso del previsto».
Sherlock sorrise e con un movimento fluido si alzò dallo sgabello e si sedette accanto a Watson, allungando le gambe sopra la coperta e passandogli un braccio attorno alle spalle, attirandolo delicatamente a se. Quando sentì la testa di Watson appogiarglisi sul petto ebbe come l'impressione che il suo cuore sarebbe esploso per la contentezza. Chiuse gli occhi e strofinò la guancia contro i capelli del dottore, inalando il suo profumo. Preferiva di gran lunga questo rispetto a quello della giacca. Per un paio di volte, Watson sembrò sul punto di dire qualcosa, fermandosi sempre un attimo prima di dare fiato ai suoi pensieri.
«Dormi, amico mio, devi rimetterti in forze, poi avremo tutto il tempo di questo mondo per parlare».
Watson annuì e si sistemò meglio contro di lui, passandogli un braccio attorno alla vita e stringendosi a lui.
Sherlock Holmes iniziò ad accarezzargli la testa finché il respiro del suo dottore non divenne regolare e profondo. Diversi minuti dopo si domandò se la porta della stanza era stata chiusa a chiave, ma un movimento della mano di Watson che si chiudeva stringendo la sua camicia, lo catturò definitivamente interrompendo ogni pensiero logico nella sua mente.

Mrs. Hudson scosse il capo, divertita.
«Ti dico che ti sbagli Molly, vedrai se non ho ragione io ».
La cameriera parve per un attimo turbata dalla sicurezza della donna, poi però riprese imperterrita.
«Ma signora, non credo sia appropriato, lei ben sa quali sono i rischi, io rimango della mia opinione».
Le due donne ormai si potevano considerare buone amiche, tanto che, da alcuni anni, avevano preso a spettegolare animatamente su qualsiasi cosa attirasse la loro attenzione, pettegolezzi che finivano puntualmente in scommesse.
«Bene», asserì Mrs. Hudson alzandosi dalla sua poltrona e appoggiando la tazzina del tè «c'è un solo modo per scoprirlo, la mia domanda ora è: ti senti abbastanza coraggiosa da scommetterci su? »
Molly strinse il vassoio, pensosa, poi annuì energicamente. Mrs. Hudson la squadrò da capo a piedi, poi le fece un cenno del capo e uscirono dalla stanza.
«Il solito prezzo? »
Chiese mentre si dirigevano a constatare chi delle due avesse ragione.
«Per me va bene».
Improvvisamente sentirono il campanello suonare, Molly sobbalzò e corse ad aprire mentre Mrs. Hudson sospirando la seguì.
In piedi davanti alla porta vi era una giovane donna tremante, le due donne la fecero immediatamente accomodare in salotto e le versarono una generosa quantità di tè nella tazzina che Molly era corsa a prenderle in cucina. La ragazza sorrise alle due donne ringraziandole ed afferrò la tazza, soffiandoci sopra per raffreddare la bevanda prima di ingerirla.
«Per tutti gli astri del cielo, benedetta ragazza, cosa l'ha spinta ad avventurarsi oltre la porta di casa nonostante l'immensa quantità di neve che ingombra il passaggio? »
Chiese la padrona di casa, visibilmente preoccupata. La ragazza fu scossa da un brivido e Molly si affrettò ad avvolgerla con una coperta. La ragazza guardò la donna grata, poi spostando il suo sguardo su Mrs. Hudson, parlò:
«Vorrei vedere Mr. Sherlock Holmes, è in casa? »
La padrona di casa lanciò un'occhiata alla sua cameriera, che gliela restituì preoccupata; si schiarì la gola, cercando di prendere tempo. La ragazza guardò speranzosa prima lei poi Molly, ma vedendo che nessuna delle due parlava il flebile sorriso che le era nato sulle labbra si affievolì e una ciocca dei suoi splendidi capelli biondi le ricadde sulla fronte.
«Sono spiacente,» iniziò Mrs. Hudson «Ma il Signor Holmes non si trova in casa al momento».
La ragazza sospirò, triste, posando lo sguardo sulla sua tazza di tè.
«Capisco».
Fu la risposta.
«Mi perdoni la domanda,» intervenne Molly per sbloccare la situazione e per far finire quel pesante silenzio «Cosa l'ha spinta ad avventurarsi fuori di casa con questo tempo? Insomma, è un caso così importante da non poter nemmeno aspettare?»
La ragazza la guardò sconsolata, posò la tazza sul tavolino e si sollevò ripiegando con cura la coperta.
«Oh, in effetti nulla di così importante, di sicuro non sono a rischio di vita. E' solo una strana faccenda riguardante la morte di mio padre e alcuni pacchi contenenti perle...»
Molly guardò Mrs. Hudson chiedendole silenziosamente se lei avesse capito qualcosa di quel discorso, ma dall'occhiata che le restituì la donna capì che erano nella stessa situazione.
«Ora,» riprese la ragazza. «mi dovete scusare, ma ho tanta strada da fare e ho altri impegni».
Così dicendo salutò con un cenno del capo la padrona di casa e si incamminò assieme a Molly verso l'ingresso.
Mrs. Hudson sentì la porta aprirsi e subito dopo chiudersi, poi i passi pesanti di Molly che tornava in salotto.
«Che strana ragazza». comentò lei, una volta rientrata nella stanza.
«Infatti» concordò lei.
In quel momento dal piano superirore si sentì un leggero tonfo, come se qualcosa di piccolo fosse caduto sul pavimento.
Le due donne si guardarono con un sorriso sulle labbra.
«Si è addormentato». constatò Molly
«Sì,» continuò Mrs. Hudson «e gli è appena caduta la pipa».
Molly sospirò.
«Spero solo che non arrivi nessun altro a disturbarli».
La padrona di casa la guardò con un'espressione divertita impressa sul volto.
«Se così fosse,» disse, «basterà solo scacciarli gentilmente com'è appena successo».
«Sa, in questi momenti mi sento un po' una leonessa» ammise Molly, sentendosi subito in imbarazzo per la frase. Mrs. Hudson sorrise e annuì.
«Oh, cara Molly, ma noi siamo leonesse. Leonesse che proteggono i propri cuccioli».
La serva rise immaginandosi la scena, seguita subito dopo da Mrs. Hudson.





Continua...







Perdonatemi il ritardo, ma purtroppo me ne sono capitate di tutti i colori...lasciamo perdere va che sennò la tiro troppo per le lunghe. Spero che il capitolo vi piaccia, purtroppo questa è la seconda versione...nel senso che la versione "originale" che andava postata è nel mio pc a casa. Questa versione è quella che tenevo nella chiavina in casi estremi. Se poi vedo che l'altra è migliore modifico il capitolo (quando ovviamente potrò farlo). Spero che questo capitolo sia comunque di vostro gradimento. Scusate se non mi allungo molto con i commenti ma sto ascoltando lo Zoo xDxD e già scrivere queste poche righe mi sta costando tantissimo xD non connetto assollutamente xD chissà che cavolo sto scrivendo xDxD
Vi auguro un buon fine settimana!

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Ozio ***







Capitolo 3.5 Ozio




 
Si era svegliato quando ormai il sole era già alto nel cielo e, con sorpresa, ad accoglierlo aveva trovato qualcosa -o meglio qualcuno- di inaspettato. Sherlock Holmes dormiva beatamente accanto a lui, con una gamba e un braccio penzoloni oltre il bordo del letto e la bocca spalancata. Watson era rimasto attonito da quell'insolito spettacolo e, incantato, lo aveva osservato dormire fino a quando, nel girarsi, il famoso detective Sherlock Holmes, non era ruzzolato giù dal letto. A quel punto il dottore era scoppiato in una grassa risata, che si era fatta ancora più forte quando lo aveva visto rialzarsi con l'aria di chi non sapesse nemmeno chi fosse, figuriamoci dove fosse!
«Cosa c'è di tanto divertente amico mio? »
Sherlock Holmes sembrava del tutto impassibile e indifferente a quanto era appena accaduto, l'unico particolare che tradiva la sua recita erano le sue orecchie diventate completamente rosse per l'imbarazzo che, ovviamente, non sfuggirono a Watson.
«Niente di ché, ho appena assistito allo spettacolo più dolce e divertente della mia vita e, sinceramente, prego affinché ogni mio futuro risveglio possa essere altrettanto piacevole. »
Il detective si era lasciato sfuggire un sorriso imbarazzato e, per la prima volta in vita sua, si era ritrovato senza parole.
Alla fine Watson, rompendo il silenzio, gli aveva chiesto se intendesse restare a fissarlo tutto il giorno o se volesse accomodarsi nel letto assieme a lui e parlare. Inutile dire che di parole ne furono dette assai poche, almeno fino a quando Mrs. Hudson e Molly non furono di ritorno dal mercato. Vedendo le loro fantasie dissolversi nel nulla, concordarono che per il momento era meglio aspettare, sia per permettere al dottore di riprendersi fisicamente, sia per impedire che le due donne li cogliessero in flagrante. Avevano quindi deciso di passare la giornata a oziare sul letto, raccontandosi tutto ciò che passava loro per la testa. Watson gli aveva raccontato che dopo il loro litigio era andato al club e che a causa della neve vi era rimasto bloccato, almeno fino a quando, esasperato, era uscito per tornarsene a casa a piedi, purtroppo fatti pochi passi la gamba aveva iniziato a dolergli in maniera infernale, seguita subito dopo dalla spalla; tutto si era fatto improvvisamente confuso e lui aveva perso i sensi. Solo sentire quel racconto fece gelare il sangue di Sherlock che se lo strinse maggiormente al petto, ricordandosi del dolore che aveva provato quando il medico venuto a visitare Watson gli aveva confidato che, molto probabilmente, non sarebbe sopravvissuto. Gli era rimasto vicino, sempre, ignorando le proteste del medico e della signora Hudson. Lui doveva stare accanto al suo John, che senso aveva la sua vita altrimenti?
Quando lo aveva visto risvegliarsi si era sentito incredibilmente bene, come se fosse ringiovanito vent'anni e, in contemporanea, un enorme macigno gli fosse stato tolto dalle spalle. L'unica cose che lo preoccupava era il ricordo di quel litigio, e la sua gioia era stata inimmaginabile quando Watson gli aveva confessato che per lui quello era solo un argomento da liquidare il più velocemente possibile.
Ora se ne stavano entrambi sul letto, Sherlock, con un braccio attorno a Watson e l'altro appoggiato mollemente sull'addome, intento a fumare la sua pipa -che dopo la caduta la sera prima si era leggermente scheggiata da un lato- e Watson accoccolato al suo fianco, gli occhi chiusi e un sorriso beato impresso sul volto. Il detective aveva appena terminato il suo racconto sul nuovo caso che gli era stato sottoposto, ritenendolo un caso estremamente facile ed elementare, ma vedendo l'espressione accigliata del dottore aveva riso di gusto per poi posargli un bacio sulla punta del naso.
«Non prenderti gioco della mia intelligenza Sherlock! »
Aveva protestato il dottore sorridendo.
«Un giorno potrei anche stupirti e fare una brillante osservazione. »
Sherlock aveva inclinato il capo per osservarlo meglio, sorridendo.
«Non ne dubito John, anzi, ne sono più che certo».
Poi, come se fosse stata la cosa più naturale del mondo, si era chinato su di lui per baciarlo.
«Vedrai! »
Continuò il dottore staccandosi, controvoglia, dalle labbra di Holmes.
«Sarò io a risolvere questo caso! Domani andremo subito dal prossimo indiziato e vedrai se non riesco a.. »
Ma non fece in tempo a finire il discorso che le labbra di Sherlock erano nuovamente sulle sue. Questa volta non si staccò, semplicemente, si fece adagiare sul materasso, improvvisamente, la stanza iniziò a girare e non sentì più nulla, tranne le mani di Sherlock che lo toccavano e le sue labbra che lo baciavano.
Intanto, fuori, era calata la notte.
 


Continua...






 
Ohibò sono viva! Chi l'avrebbe mai detto? xD No, scusatemi se posto così tardi ma ho avuto delle settimane disastrate (una l'ho passata in Francia e due a fare lo stage =_= ) e mi devo ancora rimettere in pari con tante cose (libri, manga, film, telefilm, anime che si accumulano in attesa d'esser visti.....Dèi tremo al solo pensiero!). Ma lasciamo perdere, oggi mi sono svegliata e mi son detta "basta, oggi posto il nuovo capitolo" per poi ricordarmi che non lo avevo ancora scritto .... ah ah ah! dire che ho fatto le volate è sminuire xD fortunatamente questo era il capitolo "break" (come si può notare dalla lunghezza e dal tema trattato xP) dire che questi due mi diventano più idioti ad ogni capitolo che scrivo è dire la sacrosanta verità! xD ma qui l'ho fatto perché dovevano essere idioti! In una mia fantasia *tutta mia* mi sono sempre domandata come fosse la loro *ipotetica* relazione, insomma! stì due non potevano passare le giornate ad ignorarsi, uno che fissa il soffitto l'altro che legge è.é mi pigliate per fessa? Così ho aggiunto questo piccolo bonus giusto per darvi un'idea di come me li immagino insieme ..... *ha una crisi di pianto* TOT perchèèèè????????? anche me vuole vivere nel loro mondo e vederli mentre quagliano nel letto *tenta di scappare nella sua stessa fic ma la scaraventano fuori a pedate* T^T ingiustizia!
Ok, ora ci tengo a fare alcune precisazioni.
1. Questo capitolino (assieme all'altro) è dedicato alla fantasticosa BlackSoil, senza la quale non saprei che fare <3
2. Come forse qualcuno di voi avrà notato, ad un certo punto ho detto *quasi casualmente* che la pipa si è scheggiata....ok, questo è un piccolo omaggio ad una coppia che io amo con tutta me stessa (e devo ringraziare proprio Black per avermela fatta conoscere <3). Anche se sì vabbè, nell'originale non era una pipa ad essere scheggiata, ma un tazzina per il tea.....ok, detto questo chi prima non c'era arrivato c'è arrivato ora xD per gli altri non aggiungo altro....vi posso dire solo che dovete guardarvi il telefilm Once Upon a Time (lo fanno anche in italia sulla Fox, con il titolo "C'era una volta" ma fidatevi se vi dico che il doppiaggio italiano fa pena morte e dannazione! quindi se potete guardatevelo in inglese con i sub).
3. Mi è apparso babbo Arthur in sogno dicendomi "Vendicami uuuuuuuu vendica la mia morte uuuuuu" ... no forse questo è un altro sogno che ho fatto *mumbleggia* ah si! mi ha detto, e cito "Orpo di mille balene, credevo che non ci fossero dubbi sulle preferenze sessuali dei miei personaggi, se c'è gente idiota che crede seriamente che quei due sono etero, non posso che compatire le loro povere piccole menti. Lascio a te, mia allieva, il compito di rendere chiaro a tutti il concetto. Non ti far rapire dal lato oscuro della forza! E ricordati di dire a Luke che io sono suo padre!" .....
....
 
e sapete qual è il bello di questa mia affermazione?
...
...
che voi non la potrete mai smentire *buahahahahah!*
 
Vabbè me ne vado xD qui vedo torce e forconi in lontananza °^°'''

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Un nuovo nome ***


Capitolo 4. Un nuovo nome


 
Sherlock Holmes camminava lentamente, ora che la strada era stata finalmente sgombrata dalla neve, Londra si era nuovamente animata. Quel giorno Watson lo affiancava nuovamente, la sua andatura era ancora lenta, ma comunque in grado di sostenere quello sforzo. I due camminavano vicini, molto più vicini del solito, si poteva pensare che fosse a causa del freddo ancora pungente, ma non era così. In quei giorni di malattia in cui Watson era stato costretto a letto, entrambi avevano avuto modo di parlare del caso e alla fine, una volta che il dottore ebbe avuto modo di leggere le lettere, decisero entrambi che era arrivato il momento di far visita al mittente.
Il numero 17 di Swan Walk era una piccola ma carina villetta, color caramello. Sherlock Holmes bussò alla spessa porta color mogano e pochi istanti dopo la porta fu aperta da un piccolo ometto calvo. I due si presentarono e chiesero di vedere il proprietario della casa e l'omino, dopo averli fatti entrare con un inchino, li accompagnò per il corridoio e su per le scale, aprì una grande porta a due ante e li invitò ad entrare in quella che entrambi riconobbero essere la biblioteca. Non era un luogo molto grande; davanti al camino si trovavano un piccolo divanetto e un paio di poltrone, era traboccante di libri e scaffali. Il padrone di casa se ne stava seduto in poltrona intento a fissare i nuovi arrivati con aria corrucciata. Quando si alzò per salutarli Watson poté osservarlo con attenzione; era un giovane uomo, alto, distinto, con un ciuffo ribelle di capelli castani che gli ricadeva mollemente sul volto e due occhi color smeraldo che sembravano essere in grado di perforare una parete. Sherlock Holmes si presentò, così fece il dottor Watson e, dopo che anche il padrone di casa si fu presentato come il Conte Simon Bristol tutti e tre si sedettero davanti al caminetto e il piccolo maggiordomo fu mandato a prendere qualcosa da bere.
«Mi spiace disturbarla signor Bristol, ma come forse lei sa pochi giorni fa è stato ritrovato il cadavere del signor Court e, dopo aver trovato alcune lettere con sopra il vostro nome, in casa della moglie di Court, io e il mio collega abbiamo ritenuto saggio venire a farle visita.»
Qualcosa di indescrivibile attraversò per un attimo lo sguardo del signor Bristol, qualcosa di simile al dolore e alla rabbia, ma si riprese prontamente.
«Sì, ditemi pure, avendo letto quelle lettere sapete fin troppo bene che tipo di relazione c'era tra me e il signor Court, non vedo motivo di mentirvi arrivati a questo punto.»
Sherlock Holmes sorrise unendo le punte delle mani e lasciandosi sprofondare maggiormente nella poltrona.
«Bene, ammetto che il quadro già così, mi è abbastanza chiaro, anche se mancano diversi punti per completare il tutto. Da lei vorrei solo sapere poche cose. Lei è il signor Court vi siete conosciuti nell'Ottobre di sei anni fa, giusto?»
«Giustissimo.»
«E da allora la vostra relazione tra di voi è sempre stata la medesima?»
«Certamente.»
«È a conoscenza del fatto che Court tre anni fa si era sposato?»
Watson vide il volto del signorotto colorarsi di rosso, i brillanti occhi verdi non riuscirono più a celare la rabbia, tuttavia continuò a mantenere un tono calmo e pacato di voce.
«Purtroppo sì.»
«Ovviamente tra lei e la signora Court non è mai corso buon sangue.»
«Non l'ho mai nemmeno incontrata.»
«Quindi immagino non sappia nulla di lei o della sua vita precedente prima di venire a vivere qui a Londra.»
Bristol si accigliò per un attimo.
«No, in verità qualcosa lo so. Lei e la madre ci tengono affinché nessuno lo sappia ma è giusto che voi lo sappiate. La Strendson ha un fratello, un fratello matto per giunta! Quando Jeremy la incontrò a Parigi lei le tenne nascosta la cosa, convinta che mai il suo segreto potesse essere scoperto in quanto il fratello era stato rinchiuso tempo prima in manicomio. Purtroppo lo sventurato riuscì a scappare e a ritrovare la sorella qui a Londra, questo accadde all'incirca un anno fa. Le andò a bussare a casa il folle, le disse di assumersi le sue responsabilità e di aiutarlo, proteggendolo e sfamandolo. Ella a quel punto fu costretta a raccontare tutto a Jeremy il quale perdonò questa menzogna e si dichiarò disposto ad aiutarlo, a patto che non si presentasse mai più in casa sua. I due tennero nascosto il ritorno del fratello alla madre di lei, perché ella l'avrebbe sicuramente rispedito in manicomio e alla Strendson stava molto a cuore la sorte del folle.»
Il detective annuì distrattamente, poi all'improvviso, sollevò il suo sguardo su Watson e fece qualcosa che stupì molto il dottore: gli sorrise dolcemente.
Il maggiordomo rientrò nella biblioteca e posò sul piccolo tavolino rettangolare un vassoio d'argento con sopra tre bicchieri di cristallo e una bottiglia contenente del liquore.
«Mi tolga una curiosità,» riprese Holmes una volta che il servo fu uscito «voi siete ricco, immensamente ricco, dunque perché vivere in maniera così...ristretta?»
Il conte Bristol sorrise tristemente.
«I miei genitori morirono quando ero molto piccolo, mio padre era nobile, mia madre la sua serva. Si innamorarono e scapparono insieme, i genitori di mio padre non approvarono, ovviamente, così quando loro morirono io fui affidato alle cure dei miei nonni materni, vivevamo in campagna e lì crebbi apprezzando le piccole cose, sapendo quanto era difficile ottenerle. Quando, anche i miei nonni paterni morirono il titolo e tutta l'eredita passarono a me, che ero e sono l'unico erede vivente del casato Bristol.»
Watson strinse le mani, provava un'infinita pena per quel conte così giovane eppure così sfortunato, la vita era stata crudele e ingiusta con lui.
«La ringrazio Conte per le sue parole.»
Disse Sherlock Holmes alzandosi dalla poltrona ed allungandosi sopra il tavolino per stringere la mano al giovane, che si sollevò e gliela strinse con fermezza.
«Grazie a lei per quel che sta facendo.»
Mormorò lui, era evidente che stava trattenendo a stento le lacrime e Watson odiò profondamente chiunque fosse stato l'artefice di una tale sofferenza.
Usciti dalla casa i due si riavviarono verso Baker Street, entrambi immersi nei propri pensieri.
«Che destino orribile!»
Sbottò alla fine Watson incapace di trattenersi, Holmes lo guardò con occhi carichi di amarezza ed annuì.
«Un giovane così perbene ed educato, caro Watson ti mentirei se dicessi che ho sospettato per un solo secondo che lui fosse l'artefice dell'omicidio. Sin da quando ho scovato le lettere ho capito che il ragazzo sarebbe stato un'ottima fonte di informazioni, ma non ho mai pensato che lui potesse entrarci qualcosa e, ora che l'ho conosciuto, i miei pensieri sono assolutamente confermati. Ovviamente tu mi conosci, caro John, sai bene che io quando indago su un caso non do mai nulla per scontato, tutti sono sospettati, tutti. Questo ti dovrebbe far capire quanto quel ragazzo mi stia a cuore.»
Watson si fermò improvvisamente, il bastone da passeggio sollevato a mezz'aria. Sentiva la temperatura del suo corpo in aumento e, per un attimo, temette fosse la febbre che tornava, ma poi al calore si unì un'altra spiacevole sensazione alla bocca dello stomaco e capì. Aveva già provato una sensazione simile, una volta, in passato.
Anche Sherlock si fermò per guardarlo, un'espressione interrogativa impressa in volto.
John chinò il capo e iniziò a respirare lentamente, cercando di far rallentare il battito del suo cuore. Il detective si avvicinò di qualche passo e provò ad allungare la mano per toccarlo, ma Watson si ritrasse bruscamente e, il più velocemente possibile, entrò in un vicolo al lato della strada e continuò a camminare.
«John?»
Sentì la voce di Sherlock dietro di lui ma non si fermò, sapeva che se l'altro l'avesse visto in quelle condizioni avrebbe riso di lui, era uno sciocco, lo sapeva benissimo, eppure....
Le lunghe dita di Holmes si chiusero delicatamente sul suo polso, costringendolo a fermarsi.
«Lasciami.»
Sibilò tra i denti senza nemmeno voltarsi.
«Oh John non dirmi che...»
Watson si liberò dalla presa con uno strattone e si voltò verso Sherlock.
«Sì è vero, sentirti parlare così del conte mi ha fatto ingelosire, contento? Cielo, non mi sentivo così male dal tuo incontro con la Adler! Lo so che è stupido, ma non ci posso fare nulla, e non osare ridere di me!»
Il detective inizialmente parve shockato dalla notizia ma si riprese rapidamente e regalò a John il più bel sorriso che gli avesse mai fatto. Il dottore abbassò lo sguardo, sentendo le proprie guance imporporarsi.
«Oh, John.»
Mormorò Sherlock Holmes circondandolo con le proprie braccia e stringendoselo al petto.
«Scusami, non volevo farti ingelosire con le mie parole.»
Poi, chinandosi maggiormente sul suo orecchio, continuò.
«Io amo solo te.»
John si sentì male, la testa iniziò a ronzargli e girargli allo stesso tempo, non sentiva più il terreno sotto i piedi e la vista gli veniva offuscata dalle lacrime.
Sherlock rise staccandosi da lui per poterlo vedere in faccia, si guardò velocemente attorno poi, veloce, si chinò sulle labbra del dottore e vi depositò un leggero bacio.
«E ora vieni,»
Disse, porgendogli la mano.
«Torniamo a casa.»
Watson, sorridendo, lasciò che le lacrime sgorgassero per qualche secondo, poi in fretta le asciugo e si affrettò ad afferrare la mano che Holmes gli porgeva.
















Eh sì, ho aggiornato! Chi l'avrebbe mai detto? ._. E con questo capitolo abbiamo scoperto un nuovo personaggio. Ora, che relazione c'era tra lui e Jeremy? Più ovvio dell'ovvio .____. come sono banale!
Vorrei farvi notare che il nome del conte, cioè Simon Bristol, non l'ho scelto a caso. È un mio tributo (se pur pessimo) al mio primo amore in versione cartacea. Mi ricordo che alle medie, per farci amare i libri, ogni mese ci mandavano uno alla volta nella biblioteca che avevamo nella scuola e noi dovevamo sceglierci un libro da leggere durante il mese...Io prendevo sempre il solito e ogni mese me lo rileggevo. Quando finì le medie ero quasi tentata di tenermelo e non restituirglielo più (e per poco non lo feci).
*fine momento ricordi idioti*
Alla fine chissà perché mi è venuto più smelenso di come l'avevo immaginato :/ mha, sarà che in questo periodo soffro di carenza di coccole....sarà perché mi piace vederli che si comportano da piccioncini che tubano, MHA!
Comunque non temete, conto di far finire *questo strazio* tra un paio di capitoli, se non addirittura nel prossimo, devo vedere come organizzare le cose.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=916955