Una parola di troppo di Perversion (/viewuser.php?uid=42513)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Omicidio sul Tamigi ***
Capitolo 2: *** Sentimenti ***
Capitolo 3: *** Deduzioni & Scommesse ***
Capitolo 4: *** Ozio ***
Capitolo 5: *** Un nuovo nome ***
Capitolo 1 *** Omicidio sul Tamigi ***
- Capitolo
1. Omicidio sul Tamigi
- La
porta si chiuse con un tonfo sordo, sospettava una reazione simile e
non si
stupii, ma il dolore acuto alla bocca dello stomaco che avvertii quasi
istantaneamente, invece, lo sorprese parecchio.
- Sprofondò
maggiormente nella poltrona e accese la sua pipa d'argilla, fissando le
fiamme
nel camino che danzavano freneticamente.
- La
lite era durata solo pochi minuti, ma a lui erano sembrate ore. Non
riusciva
ancora a credere di aver detto ciò che, di fatto, aveva detto. Espirò una
nuvoletta di fumo che si disperse nell'aria
e spostò il suo sguardo sulle macchie d'umidità
sul soffitto. La sua era stata
una reazione logica, si disse inspirando il tabacco, Watson lo aveva
provocato
e lui si era solo prontamente
difeso.
Chiuse gli occhi, espirò di nuovo. Allora perché
si sentiva così tremendamente
in colpa? Perché si pentiva di ciò che aveva
detto? Si portò una mano sugli
occhi, era in quei momenti che si rammaricava di aver smesso di
assumere la sua
soluzione al sette per cento. Registrò solo marginalmente
che stavano suonando
alla porta, così come registro le voci soffuse e i passi su
per le scale. La
porta si aprì, ma non era Watson, questo lo poteva capire
anche senza voltarsi.
Quello non era il suo modo di camminare, non poggiava così
ì piedi, le sue
scarpe non facevano quel rumore.
- «Holmes».
- La
voce di Lestrade lo raggiunse nella fitta nebbia dei suoi pensieri, ma
non
bastò a riscuoterlo da essi, troppe domande senza risposta
gli affollavano la
mente.
- «Holmes,
mi serve il suo aiuto, è stato rinvenuto il cadavere di un
uomo e... »
- Ma
lui non stava ascoltando, nella sua mente c'era spazio solo per Watson.
Di
norma, scoprire i pensieri dell'amico era sempre stato molto
elementare, ma
negli ultimi giorni c'era qualcosa, qualcosa di pesante e indefinito
che se ne
stava aggrappato al suo torace, impedendogli anche la più
semplice delle
deduzioni. Mentre riportava lo sguardo sul camino si chiese dove fosse
andato
Watson, aveva preso la giacca? Fuori nevicava. A che ora sarebbe
tornato?
Decise che lo avrebbe aspettato in piedi. Ma
Tornerà?
- Questa
domanda lo risvegliò come una secchiata d'acqua gelata.
- «Holmes?
»
- Finalmente
Sherlock Holmes si voltò verso il suo ospite, si sentiva
scombussolato e fuori
posto, ma cercò di non darlo a vedere all'ispettore
nascondendo il tutto con la
sua solita maschera d'indifferenza.
- Si
fissarono per alcuni istanti, poi Lestrade tossicchiò e
ripeté.
- «E'
stato trovato un cadavere sulla riva nord del Tamigi. Maschio, uno e
ottantasei. La
causa del decesso è un colpo di pistola dritto in mezzo alla
fronte».
- «Dove?
» Chiese Holmes, senza entusiasmo. Non aveva voglia di quel
caso, non aveva
voglia di vedere nessuno, voleva solo riflettere sul suo sconvolgimento
emotivo.
- «Chelsea
Embankment, all'incrocio con Swan Walk».
- Holmes
espirò l'ultimo sbuffo di fumo, spense la pipa e la
pulì, appoggiandola
delicatamente sul tavolino al suo fianco. Sollevandosi evitò
con cura quasi
maniacale di lasciare che il suo sguardo si soffermasse anche solo per
un
istante sulla poltrona vuota davanti a lui. Senza dire una sola parola
superò
Lestrade, si infilò la giacca e uscì
dall'appartamento, discese le scale e
spalancò la porta di casa. Fu investito dal freddo gelido di
metà Dicembre, si
strinse nella giacca e si guardò intorno nella speranze di
intravedere una
figura familiare, ma niente. Abbassò lo sguardo nella
speranza di intravedere
le impronte di Watson sulla neve, ne vide un paio vicino casa, sotto la
tettoia
riparata, poi più nulla, la neve aveva cancellato ogni traccia
del suo
passaggio. Il peso sul suo torace sembrava appesantirsi minuto dopo
minuto. Nel
suo cuore, in un angolo, iniziava ad aleggiare il sospetto che qualcosa
di
orribile stesse per succedere. Ma la sua mente razionale e deduttiva si
rifiutava di crederci, così montò in carrozza con
Lestrade e dirigendosi verso
Chelsea Embankment.
-
- Da
un primo esame della vittima Sherlock Holmes era riuscito a dedurre ben
poco,
con i pensieri sempre rivolti al dottore, e la cosa lo irritava.
Arrivati sulla
scena del crimine Sherlock si era subito messo ad analizzare il
terreno, che
come sempre era stato ampiamente contaminato dagli agenti di Scotland
Yard, vide
diverse impronte interessanti, due paia di uomo e un paio di donna, ma
l'unica
cosa che riusciva a dedurre era che quelle
non erano le impronte di Watson. Si inginocchiò
accanto al cadavere e lo
osservò.
- Gli
agenti non lo avevano toccato, sospettava sotto ordine di Lestrade,
visto che
era quasi completamente ricoperto di neve. L'uomo era riverso sul dorso
e non
indossava alcun tipo di soprabito. Chissà
se Watson ha preso la giacca. Holmes gli sollevò
le braccia, sul dito
indice della mano sinistra portava due anelli, una fede e un altro
anello, più
fine rispetto alla fede ma ugualmente prezioso. Glieli sfilò
entrambi e li
esaminò più da vicino. Dentro entrambi erano
state incise le iniziali J & S
e due date diverse. J e S ... John e
Sherlock. Quando si accorse di ciò che aveva
appena pensato capì che non
sarebbe mai stato in grado di concludere quel caso se prima non si
chiariva con
Watson. Senza farsi vedere da nessuno si infilò gli anelli
in tasca e passò ad
esaminare il volto, scostò la neve che vi si era depositata
e vi si chinò
sopra. Non puzzava di alcool, né di fumo. Gli occhi e la bocca erano
spalancati
e sul suo volto si leggeva ancora chiaramente sia lo stupore che il
terrore. Il
colpo era stato sparato a bruciapelo, da una pistola di piccolo calibro.
- «La
vittima si chiamava Jeremy Court, ventisette anni, residente al 13 di
Redesdale
Street».
- Lestrade
gli si affiancò, sperando di riuscire a scovare immediatamente il
colpevole, ansioso di tornarsene a casa al caldo.
- Sherlock
Holmes si risollevò e guardò per l'ultima volta
l'uomo, poi sollevò gli occhi
al cielo e sospirò. Una nuvolina di vapore si
innalzò nell'aria fino a
disperdersi quasi immediatamente.
- «Può
dirmi nulla? »
- Holmes
si voltò e ripercorse i suoi passi, chiamò una
carrozza.
- «Holmes!
»
- Lo
chiamò Lestrade raggiungendolo, ma lui era già
entrato nella vettura e dato le
indicazioni al cocchiere affinché lo riportasse a casa.
- «Holmes,
mi dica qualcosa! »
- Lestrade
affiancava la carrozza che ancora procedeva lenta, Sherlock si
voltò a fissarlo
per un breve istante, poi alla fine parlò.
- «Non
si è trattato di una rapina».
- Lestrade
lo guardò aggrottando le sopracciglia, visibilmente deluso
dalla risposta
dell'uomo, stava per dire qualcosa quando la carrozza, finalmente,
accellerò e
lui non riuscì più a starle dietro.
- «Questo,
mi da una chiara visione dell'ovvio!
»
- Lo
schernì Lestrade, urlando a pieni polmoni in direzione della
carrozza già
lontana.
-
- Arrivato
a casa spalancò la porta e corse su per le scale, salendo i
gradini due per
volta. Watson doveva esserci, Watson
c'era! Spalancò la porta con il cuore gonfio di
aspettativa. La stanza era
vuota. Tuttavia non si demoralizzò più di tanto,
infondo, il suo buon amico
poteva essere andato già a letto. Ma niente gli lasciava
avanzare una simile ipotesi.
La stanza era esattamente come l'aveva lasciata lui alcune ore prima,
fatta
eccezione per il camino che ormai era quasi del tutto spento. Non
c'erano segni
di nessun tipo. La morsa dolorosissima alla bocca dello stomaco
tornò a farsi
sentire, così come il peso aggrappato al suo torace. Con
ancora il soprabito indosso
percorse a grandi passi la stanza, diverse volte, cercando inutilmente,
un modo
per acquietare il suo animo tormentato. Alla fine, sfilandosi
velocemente la
giacca tornò a sedersi sulla sua poltrona, evitando ancora
una volta, di
guardare quella posta di fronte a lui. Una volta che ebbe ravvivato il
fuoco
afferrò il suo violino, che se ne stava appoggiato ad un
lato della poltrona, e
iniziò a pizzicarne le corde, in attesa del rientro del
dottore. Le ore
passavano lente, fuori la neve cadeva sempre più fitta, le
ombre diventavano
sempre più grandi e le persone in strada iniziavano
velocemente a tornare alle
proprie abitazioni. Solo il dottore sembrava volersi attardare fuori.
Più il
tempo passava, più il clima, e l'umore di Sherlock Holmes,
peggioravano.
Ormai nella sua mente deduttiva si erano dipanate le più
assurde motivazioni
per giustificare il ritardo di Watson, un incidente, un rapimento, un
mancamento; tuttavia, si rifiutava categoricamente di uscire per
cercarlo. Il
suo orgoglio era ancora troppo risentito per la lite di diverse ore
prima.
Holmes, o meglio, la sua parte razionale e orgogliosa, era
assolutamente
convinta di essere nel giusto e che quindi, se Watson si era sentito
offeso per
le parole da lui pronunciate, doveva incolpare soltanto se stesso. Ma
l'altra
parte, quella più piccola, quella che viveva rilegata in un
angolino del suo
cuore, gli sussurrava che forse, per quanto logica la sua risposta
fosse stata,
la scelta del tono e della parole con cui si era espresso non erano
state delle
migliori, gli suggeriva, inoltre, che Watson era un uomo semplice ed
ingenuo,
poteva offendersi facilmente, ma che era una delle qualità
che Holmes tanto
adorava in lui. Alla fine, stravolto da tutti questi sentimenti e
pensieri
discordanti tra di loro Sherlock Holmes si addormentò, con
il violino sulle
gambe e la pipa in bocca.
-
- Fu
svegliato dal rumore della porta che si apriva.
- Spalancò
gli occhi e scattò in piedi, facendo rovinare a terra
violino e pipa. Watson.
- Mrs.
Hudson entrò con in mano la sua colazione, appena lo vide
gli elargì un sorriso
di circostanza, che però non fu ricambiato.
- «Buon
dì, signor Holmes».
- Lo
salutò la donna andando a posare il vassoio sul tavolino e
iniziando ad
apparecchiare.
- Sherlock
Holmes attraversò in quattro falcate la stanza,
salì i pochi gradini che lo
separavano dalla stanza del dottore e spalancò la porta. Il
letto era intatto.
Non era tornato. Deluso, richiuse la porta, scese lentamente le scale,
si
riaccostò al camino risollevando pipa e violino.
- «Mrs.
Hudson, potrei approfittare della sua gentilezza e chiederle di farmi
un favore?
»
- Disse
mentre riadagiava il violino sulla poltrona e la pipa sul tavolino. La
donna lo
guardò sorpresa e sorrise di nuovo.
- «Oh,
Mr. Holmes, certamente».
- Sherlock
si sedette al tavolo per la colazione e afferrò il Times, poi guardò la Signora
Hudson per un breve istante.
- «Se
oggi qualcuno verrà a chiedere di me, può essere
così cortese da riferire che
non sono in casa? »
- Mrs.
Hudson parve molto sorpresa per la richiesta del suo inquilino,
tuttavia annuì.
- «Certo,
farò come desidera».
- La
donna si avviò verso la porta dell'appartamento, ma Sherlock
Holmes riprese a
parlare.
- «Però,
ripensandoci, prima di dire che non ci sono, si faccia dire da chi sono
stati
mandati o il motivo della visita, se il mandante è il dottor
Watson allora li
faccia passare».
- La
signora Hudson sembrava sul punto di chiedere qualcosa, ma Holmes
aprì
velocemente il Times e finse di
immergersi nella lettura, senza lasciare speranze alla donna di
soddisfare,
almeno in parte, la sua curiosità sul perché quel
mattino Mr. Holmes fosse così
garbato e quieto.
- Sherlock
Holmes rimase in casa tutto il giorno, nell'arco del dì il
campanello suonò ben
otto volte, ma nessuno salì da lui. Stette seduto sulla
poltrona tutto il
tempo, perso nei suoi pensieri e nei suoi dubbi, con la speranza nel
cuore di
sentire i passi del dottore su per le scale, se lo immaginava mentre
entrava
tutto arruffato e si scusava per l'assenza prolungata e a quel punto
lui si
sarebbe alzato dalla poltrona, avrebbe sussurrato un «Bentornato»,
gli sarebbe corso incontro e lo avrebbe stretto tra
le sue braccia, si sarebbe scusato per ciò che la sua bocca
aveva osato
pronunciare, offendendolo, e gli avrebbe sussurrato all'orecchio di non
lasciarlo mai più solo per così tanto tempo.
Sherlock andò avanti a sviluppare
questa fantasia tutto il giorno. Alle volte l'immagine era
così nitida nella
sua mente da sembrare reale, riusciva persino a sentire la pelle liscia
di
Watson sotto il tocco delle sue mani, ne percepiva il profumo, ne
assaporava il
gusto. Ormai, conscio d'aver usato toni non adatti ad una conversazione
con il
suo fido Boswell era pronto a scusarsi e a farsi perdonare, utilizzando
qualsiasi mezzo a sua disposizione e pregustando già la
faccia sorpresa del suo
dottore quando, rientrando, magari triste e sconsolato, lo avrebbe
trovato
sorridente e pronto a far pace.
-
- La
giornata volse al termine, lasciando nuovamente spazio alle ombre della
notte,
ma Watson non tornò.
-
-
Continua...
- Ed eccomi di nuovo qui, la connessione che fa
schifo non mi ha impedito di postare quest'ultima schifezza venuta
fuori da chissà dove (un luogo l'avrei in mente, ma sono una
signorina di buone maniere *ridacchia dietro il ventaglio* non dico
certe parole). Vi prego di essere clementi con me, ho da poco iniziato
a leggere il canone (vabbè diciamo pure che ho letto solo il
primo romanzo e i racconti posti cronologicamente prima e durante)
quindi questa storia sarà sicuramente piena di errori da
quel punto di vista (e sono sicura ci saranno anche un sacco di orrori grammaticali...perdonatemi
anche quelli, se me li indicate li correggerò
immediatamente!). Inoltre mi scuso anche se i personaggi sono
(e lo sono,
io lo so) OOC.... questo credo sia uno dei miei più grandi
difetti, cioè parto con il voler scrivere seguendo il
più possibile i pensieri del personaggio poi alla fine mi
ritrovo con le tipiche frasi che invece direi io =.= Infine dovrete
scusarmi anche per la semplicità del caso. Insomma ho
pensato che essendo un racconto di Sherlock Holmes non poteva mancare
il delitto, ma la mia mente è semplice ho provato ad
arroverlarla alla ricerca di qualcosa che potesse essere
almeno un pochino avvincente, ma credo di aver miseramente fallito. Una
mia conoscenza, e non faccio nomi sennò mi arriva a casa con
una mannaia in mano, *coffcoffHellycoffcoff* avrà
sicuramente già scoperto vita morte e miracoli della
vittima, del colpevole e del gatto della donna che abita sopra il
fornaio da cui si serve la vicina del lattaio che portava il latte alla
vittima. Però mi farebbe piacere, mano a mano che la storia
continua, sapere chi è il vostro sospettato. I nomi dei
luoghi sono tutti autentici (sono stata più di mezz'ora su
google maps per cercare il luogo adatto) però non sono
sicura che si chiamassero così anche nel 1800 ._.
-
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Capitolo 2 *** Sentimenti ***
capitolo 2
- Capitolo 2.
Sentimenti
-
- Non
aveva dormito, troppo preoccupato per la sorte del suo amico, si era
aggirato
per l'appartamento tetro e silenzioso finché le ombre della
notte non avevano
lasciato il posto ai primi teneri raggi solari. Infine, si era buttato
la
giacca sulle spalle ed era uscito di casa. La neve risplendeva candida,
ancora
immacolata, le uniche impronte erano le sue che, mani in tasca e
sguardo basso,
si era incamminato lungo la via. Durante l'arco di tutta la giornata e
nottata,
che aveva trascorso aspettando il ritorno di Watson, sentimenti
contrastanti si
erano fatti largo in lui. Era, prima di tutto, preoccupato, con un
tempo simile
la gamba del suo fido Boswell doveva avergli procurato non pochi
dolori,
limitandogli i movimenti. Poteva anche essere caduto vittima di
ladruncoli di
bassa lega che, approfittando della loro superiorità
numerica e del dolore di
Watson -magari anche dell'effetto sorpresa- lo avevano pestato e
derubato,
lasciandolo agonizzare in chissà quale vicolo della City.
Per un attimo, un
breve attimo, nella sua mente si era formata l'immagine di Watson
sanguinante
sul ciglio della strada ricoperto di neve, era stato costretto ad usare tutto il suo
intelletto per auto-convincersi che una tale fine per il dottore era
assolutamente impensabile, il suo Boswell era pur sempre un soldato,
era stato
addestrato per scamparla anche in una situazione critica come quella
che si era
immaginato. A questo punto, in lui si era fatta largo l'ira. Si era
immaginato
Watson ridere felice in compagnia di una bella donna mentre bevevano
vino
assieme, ma ancora una volta, il suo intelletto aveva sedato tali
sentimenti
suggerendogli che se mai Watson avesse avuto una compagna sicuramente
se ne
sarebbe accorto prima, senza contare il fatto che lo stesso dottore
gliene
avrebbe sicuramente parlato. Verso mattina, invece, si era sentito offeso. Offeso da tutto e da niente, dal
comportamento di Watson, dalla neve che cadeva, dalla signora Hudson
che non la
smetteva di muoversi al piano inferiore -ma
non dorme mai? si era ritrovato a pensare- e, soprattutto,
offeso dal suo
stesso corpo, che ignorava ogni ragionamento logico solo
perché Watson era
momentaneamente assente. Lo scoprirsi, ormai, completamente e
assolutamente
succube del dottore aveva riacceso in lui l'ira. Non che il povero
Watson
c'entrasse qualcosa; era solo il suo stupido e incontrollabile cuore
che di sua
pura iniziativa si era distaccato da lui, ed era andato a donarsi a
John,
rendendo così la sua presenza indispensabile per il corretto
funzionamento di
quel poco che restava del famoso Sherlock Holmes. D'altra parte, il
cervello
non funziona senza il cuore che lo rifornisce d'ossigeno. Mentre
arrancava
nella neve candida, con le guance ormai arrossate e la fatica che
iniziava a
farsi sentire, Sherlock capì che, semplicemente, doveva
trovare il suo John
perché ormai la sua presenza gli era più preziosa
dell'oro e, soprattutto, più
vitale dell'ossigeno. Improvvisamente Sherlock Holmes si
sentì come una
protagonista dei romanzi tanto amati da Watson, l'ombra di un sorriso
gli
attraversò il volto mentre se lo figurava seduto sulla sua
poltrona intento a
leggere uno dei suoi romanzi con un sorrisino inconscio stampato sul
volto.
Arrivato in fondo alla strada voltò a destra e
proseguì il più velocemente
possibile, maledì la neve che aveva costretto in casa tutti,
compresi i
vetturini e che gli impediva di procedere ad una velocità
maggiore. Fu solo
quando si trovò ormai nei pressi del circolo che solitamente
frequentava Watson
che qualcosa attirò la sua attenzione. La camminata lo aveva
stancato
parecchio, la gola e il naso gli pizzicavano ogni volta che respirava,
le dita
e le orecchie si erano ormai congelate e, sospettava, gli sarebbero
cadute da
un momento all'altro, come anche i suoi poveri piedi. Tuttavia, quando,
avvicinandosi,
focalizzò meglio la scena, si dimenticò
all'istante di tutto e, incespicando, corse
verso l'altro lato del marciapiede dove John Hamish Watson era riverso
sullo
stomaco. Holmes pregò il Signore che quello non fosse lui,
che la sua mente gli
avesse giocato solo un brutto scherzo, che quello era solo uno
qualunque.
Purtroppo, quando si fu inginocchiato e ebbe rigirato il corpo freddo,
ebbe la
conferma che l'uomo disteso sulla neve era veramente Watson. Il mondo
parve
acquietarsi, i rumori gli arrivavano ovattati, i movimenti rallentati.
Una gran
paura si impadronì di lui, svelto, gli tastò il
polso gelido; il cuore batteva
ancora. Sospirò, grato che almeno quello gli fosse stato
concesso, si sfilò
velocemente il cappotto e ci avvolse il dottore. Quando l'ebbe coperto
lo
sollevò di slancio e, benché le gambe gli
tremassero per lo sforzo, come anche
le braccia, Sherlock Holmes si impose di non arrendersi, non ora che la
vita
del suo John dipendeva unicamente
da
lui. Tornò sui suoi passi ripercorrendo la strada almeno due
volte più
velocemente che all'andata. Mormorando preghiere e stringendo sempre
più forte
Watson. Il suo cuore stava morendo congelato tra le sue braccia...che
fosse dannato
se glielo avesse permesso!
-
- Sentii
delle voci, voci ovattate, non capivo cosa dicessero. Qualcuno
piangeva...una
donna. Realizzai di essere disteso su qualcosa di morbido, un letto.
Passi,
pesanti passi che si allontanavano e ancora singhiozzi. Sembrava la
voce di
Mrs. Hudson. Volevo aprire gli occhi, ma perfino ascoltare mi risultava
faticoso. I singhiozzi si allontanarono. Ero rimasto solo. Volevo
urlare,
balzare giù dal letto o anche, semplicemente, muovere un
dito. Ma il tutto
risultava veramente troppo faticoso, il mio corpo si rifiutava
categoricamente
di eseguire i miei ordini. Nel silenzio più assoluto
avvertii qualcosa
afferrare la mia mano destra, qualcosa di incredibilmente caldo, sapevo
esattamente cos'era. La mano di Sherlock strinse forte la mia e in me
nacque la
voglia di piangere, l'averlo li e non riuscire neanche a ricambiare la
stretta
era molto demoralizzante. Ormai il litigio non contava più,
era tutto
dimenticato, per me, in quel momento, esistevano solo quel letto e
Sherlock che
mi stringeva, mi teneva aggrappato alla vita. Avvertii una sedia
grattare
contro il pavimento e temetti che anche lui volesse lasciarmi solo.
Provai
con tutto me stesso a reagire, per fargli capire che non volevo restare
solo,
volevo che continuasse a tenermi per mano. Fortunatamente percepii al
mio
fianco il materasso che si abbassava, mi sollevò la mano e
se l'appoggiò sulle
gambe. Avrei dato tutto quello che avevo, e tutto quello che avrei
avuto per
rendere quel momento eterno.
- «Tranquillo
mio caro, non ti lascio solo... »
- Mormorò
improvvisamente il mio amico chinandosi su di me per baciarmi
delicatamente una
tempia. In quel momento compresi che se ero vivo, se riuscivo anche
solo a
respirare, lo dovevo a lui. Era stata la sua voce a guidarmi nel buio
ed ora
era il suo calore che impediva al mio corpo di arrendersi. Pregai il
Signore,
gli chiesi di farmi guarire, così da avere la forza anche
solo per poterlo
stringere a me, anche solo per fargli capire che i suoi sentimenti
erano
pienamente ricambiati.
-
- Lestrade
irruppe nella camera come una furia, spalancando la porta che
andò a
schiantarsi contro il muro.
- «Holmes,
insomma deve venire ad indagare ora!
»
- Sherlock
Holmes gli lanciò un'occhiataccia che sembrava voler dire "ora ti uccido" e tornò ad
immergere la pezzuola nel
catino vicino al letto; la strizzo e la adagiò piano sulla
fronte di Watson.
Lestrade tossicchiò, imbarazzato per l'orribile figura che
aveva appena fatto,
poi riprese, parlando sommessamente.
- «Mi
duole vedere il dottor Watson ridotto in questo stato ma sono stato fin
troppo
indulgente Holmes, il caso deve essere chiuso, al più preso
possibile. La
pregherei dunque di accompagnarmi quest'oggi a far visita alla vedova
Court».
- Holmes
non rispose né lo degno di uno sguardo; la sua attenzione era tutta
per
Watson. Osservandoli da quella posizione Lestrade non poté
impedirsi di
arrossire, sentiva che tra quei due c'era più di quello che
mostravano, un
legame così profondo da risultare incomprensibile per il
resto del mondo.
Lestrade non aveva nulla contro gli invertiti,
come li chiamavano gli altri. Per come la vedeva lui erano persone come
tutte
le altre. Purtroppo la legge diceva il contrario, ma per quella volta
l'ispettore finse di non aver visto nulla. Per un attimo, Lestrade
riuscì
a percepire fino a che punto quelle due anime fossero legate tra loro, quasi
fossero una,
ma durò solo per un attimo, poiché un movimento
improvviso di Holmes lo riportò
alla realtà. L'uomo era scattato in piedi e ora si dirigeva
verso di lui.
L'ispettore si scostò facendogli spazio e Sherlock Holmes si
diresse alla sua
poltrona per afferrare una giacca che era stata accuratamente stesa ad
asciugare vicino al fuoco.
- «Non
ho altra scelta, prima si concluderà il caso, prima
potrò tornare... »
- Non
finì la frase, forse accorgendosi che si stava dimostrando
troppo debole e
rammollito davanti ad un estraneo. Si infilò velocemente il
cappotto e scese le scale. Lestrade si avviò lentamente
dietro di lui e chiuse la porta
alle sue spalle, scese i gradini e uscì dal portone evitando
per un pelo di
scontrarsi contro Holmes.
- «Dovremo
camminare? »
- Chiese
lui, scrutando la strada quasi deserta.
- «Purtroppo
sì» ammise Lestrade,«le strade sono
ricoperte di neve e ancora nessuno si è
adoperato per rimuoverla, rendendo così impossibile il
normale circolamento
delle carrozze».
- Sherlock
Holmes sbuffò e fece segno all'ispettore di avviarsi,
l'ispettore alzò un
sopracciglio iniziando ad avanzare nella neve con Holmes che lo seguiva.
- Fu
solo quando Holmes -che era molto più alto di lui e quindi
capace di fare passi
più lunghi- lo superò che Lestrade, posando gli
occhi su di lui, si accorse che
la giacca dell'uomo non era assolutamente della sua misura. Come un
fulmine a
ciel sereno si ricordò di aver visto quella stessa giacca
addosso a Watson e,
di nuovo, si ritrovò ad arrossire.
-
- Il
numero 13 di Redesdale Street comparve alla loro vista diverse ore
dopo.
Entrambi salirono stremati gli ultimi gradini che conducevano alla
porta di
ingresso, dipinta di un bel blu scuro. Lestrade suonò il
campanello e pochi
attimi dopo un'anziana signora vestita interamente di nero
aprì loro la porta,
dopo aver chiesto l'identità dei due li fece entrare,
conducendoli attraverso
lo stretto corridoio e successivamente nella sala. Il camino era acceso
e,
seduta su un divano dinnanzi ad esso, vi era una giovane donna, vestita
anch'essa di nero, con il volto nascosto tra le mani. Ella non parve
udire i
due, e quando la vecchia le andò vicino per scuoterla
leggermente, la donna fece
un piccolo sobbalzo, spaventata. Lestrade prese parola e li
presentò entrambi,
scusandosi per il disturbo e chiedendole se era in grado di rispondere
a
qualche domanda. La vedova Court annuì seria e li fece
accomodare.
- «Mi
scuso ancora per il disturbo», riprese Lestrade. «
Ma sono sicuro che saprà
sicuramente della gravità della situazione e di quanto sia
importante agire con
sveltezza».
- La
donna annuì nuovamente, posando lo sguardo su Sherlock
Holmes, che fino a quel
momento non aveva staccato un attimo gli occhi dal fuoco.
- «Or
dunque, mi dica: quand'è stata l'ultima volta che ha visto
suo marito vivo? »
- Lei
parve rifletterci un attimo, lanciò un'occhiata preoccupata
all'anziana donna che
le si era seduta accanto poi parlò.
- «Il
pomeriggio prima che morisse... » mormorò piano,
tanto che Lestrade dovette
chinarsi in avanti per sentirla.
- «lui...si
ecco, Jeremy, mi venne a trovare e mi disse che rivoleva indietro
alcune carte,
che gli erano indispensabili per una faccenda che stava portando
avanti. »
- Lestrade
smise di scrivere e guardò la donna, accigliato.
- «In
che senso "la venne a trovare"? »
- «Io
e Jeremy stavamo divorziando».
- L'anziana
donna le afferrò un mano e gliela strinse dolcemente.
- «Quell'uomo
era un maiale! » Esclamò poi, «Mia
figlia è troppo buona per raccontarvi come
stanno le cose, ma io no, giudicatemi una macchina senza cuore ma sono
felice
che quell'individuo sia morto».
- La
giovane donna lanciò un'occhiata preoccupata alla madre, che
però continuò.
- «Vede
ispettore, mia figlia e Court si sono conosciuti tre anni fa, durante
una
vacanza a Parigi, il giovane Court iniziò subito a fare la
corte alla mia dolce
Susan e pochi mesi dopo si sposarono. Inutile dire che la mia ingenua
Susan non
sapeva a quali rischi andasse incontro», e così
dicendo sollevò il braccio
della ragazza scostando il tessuto pesante del vestito e rivelando
cinque segni
violacei sul polso. Susan ritrasse subito il braccio, nascondendo
nuovamente i
lividi.
- «Quel
famoso pomeriggio, Court si presentò senza preavviso, era
eccitato e chiedeva
continuamente a Susan queste carte che lui le aveva affidato in
custodia, Susan
gli rispose che al momento non le aveva con se ma che gliele avrebbe fatte
recapitare il prima possibile e poi... »
- La
madre di Susan lanciò un'occhiata alla figlia che
però era voltata dall'altra
parte.
- «Poi?
»
- Domandò
Lestrade ansioso, la madre di Susan sospirò scuotendo la
testa.
- «Mi
dispiace ispettore, ma io ero al piano superiore e, per quanto da
lassù si goda
di un'ottima acustica, non mi era permesso di vedere ciò che
accadeva al piano
inferiore, posso solo dire quel che ho sentito».
- «D'accordo,
signora, lei ci dica solo cos'ha sentito, senza
preoccupazioni».
- Lestrade
era visibilmente eccitato, ormai certo di avere tra le mani il
colpevole.
- «Ho
sentito dei sussurri, la porta che si chiudeva,
la porta che si riapriva con un tonfo e poi urla e la porta che veniva sbattuta di
nuovo».
- «Ha
i documenti a portata di mano ora, Mrs. Court? »
- Chiese
Sherlock Holmes, senza mai staccare gli occhi dal fuoco. La vedova si
girò
nella sua direzione scrutandolo con aria preoccupata.
- «Mi
chiami Susan, per favore, ormai non sono più ne Mrs. ne
tantomeno Court. I
documenti, si li ho, mi ricordai troppo tardi di averli chiusi in un
comodino
del secondo piano».
- «Potrei
vederli? »
- Susan
asserì e fece un cenno alla madre, che si alzò e
sparì oltre la porta, tornando
poco dopo con una busta sigillata tra le mani che gli
consegnò. Sherlock Holmes
esaminò la busta e l'aprì estraendo dal suo
interno i due fogli contenuti,
lesse velocemente i testi delle lettere, poi rimise tutto dentro,
chiuse
nuovamente la busta e la riconsegnò alla donna che la
passò alla figlia.
- «Sa
cosa c'è scritto in queste lettere? »
- Domandò
Holmes, studiandola attentamente, Susan negò, precisando che
degli affari del
suo defunto marito non si era mai interessata.
- «Mia
cara Susan, le posso assicurare che aprendo quella busta e leggendo il
contenuto delle due lettere rimarrà molto
sorpresa».
- Susan
lanciò un'ennesima occhiata alla madre e tremante
aprì la busta, estraendone i
fogli. Sherlock saltò in piedi e batté le mani,
facendo sobbalzare tutti.
- «Mrs.
Mi perdoni, ma non credo di aver afferrato il suo cognome»,
disse rivolgendosi
all'anziana.
- «Strendson,
Sarah Strendson», rispose la donna.
- «Bene
Mrs. Strendson, mentre sua figlia legge le lettere potrebbe mostrarmi
il piano
superiore della casa? »
- La
donna annuì e gli fece strada fuori dalla sala e su per la
rampa di scale,
giunti sul pianerottolo con un movimento secco della mano
parlò.
- «Ecco
il secondo piano, quella in fondo è la mia camera, quella
davanti e la camera
di mia figlia».
- «E
le altre due? »
- Mrs.
Strendson alzò le spalle.
- «Questa
adiacente alle scale era lo studio di Court, quella dall'altra parte
è una
stanza che usiamo per ricamare o anche come ripostiglio».
- «E
lei dove si trovava al momento della visita di Jeremy Court? »
- La
donna gli indicò la finestra dall'altra parte del
pianerottolo, sotto alla
quale era stata posizionata una sedia a dondolo.
- Sherlock
si avvicinò ad essa e la esaminò con cura, vi si
sedette e dondolò un paio di
volte, poi si risollevò e tornò dalla donna.
- «Potrebbe,
cortesemente, sedersi li e assecondarmi in un mio piccolo esperimento?
»
- Dopo
qualche attimo la donna annuì e si diresse verso la sedia.
- «Bene,
ora Mrs Strendson, io scenderò e dirò qualcosa,
quando tornerò su dovrà
ripetermi esattamente quello che ho detto».
- Mrs.
Strendson annuì e Holmes scese le scale ed entrò
in sala, li trovò Susan ancora
china sui fogli e Lestrade che la teneva d'occhio. Silenziosamente fece
cenno
all'ispettore di seguirlo in corridoio e, una volta che furono entrambi
li,
afferrò il taccuino dell'ispettore e vi scrisse sopra alcune
parole,
aggiungendo sotto che le doveva leggere ad alta voce e poi tacere.
Lestrade
fece come gli era stato chiesto e parlò. Successivamente
Sherlock Holmes gli
fece cenno di tornare dentro e, mentre Lestrade rientrava, il detective
risalì
le scale.
- «Allora
Mrs. Strendson, cos'ho detto? »
- La
donna rispose subito e senza esitazione.
- «"Oh
mia cara che piacere rivederla"».
- Sherlock
sorrise e annuì.
- «Grazie
signora, mi è stata di grande aiuto può
ridiscendere con me ora, torniamo in
salotto».
- Rientrati
che furono in salotto trovarono ad attenderli una Susan con lo sguardo
vittorioso.
- «Dunque»,
iniziò Holmes «non ha trovato nulla di
interessante nella lettura delle
lettere? »
- Susan
scosse la testa e gli porse i fogli.
- «Sinceramente,
signore, può tenerseli, non mi interessano queste carte ne
il loro noioso
contenuto».
- Lestrade
notò un sorrisino dipingersi sul volto di Holmes.
- «Crede
dunque che un paio di carte sull'acquisto di uno stallone purosangue
non siano
interessanti? », chiese, con il sorriso che si allargava.
- Anche
la donna sorrise, scuotendo nuovamente il capo.
- «Affatto».
- Sherlock
Holmes parve un po' deluso, frettolosamente, raggiunse il suo soprabito
e se lo
infilò.
- «Mi
duole molto che non la pensiamo allo stesso modo, le assicuro,
signorina, che
sono ad un passo dallo scoprire il colpevole, con il suo permesso mi
tengo la
busta e le carte e ora vogliate perdonare la mia fretta ma ho qualcosa
di
urgente da sbrigare».
- Le
due donne annuirono stranite, lanciando occhiate a Lestrade che lo
fissava
attonito. Sherlock Holmes si diresse verso la porta ma la voce della
signorina Strendson
lo fermò.
- «Signor
Holmes! », lo chiamò ella; lui si girò
ad ascoltarla rimanendo immobile
sull'uscio. Susan per un attimo si mosse in modo tale da far credere
che si
volesse alzare, poi, come ricordandosi qualcosa si riadagiò
sul divano.
- «Signor
Holmes» riprese «La prego di credermi sulla parola
se le dico che io amavo mio
marito, lo amo ancora molto, voglio che il suo assassino venga trovato
e
giustiziato! » Nei suoi occhi c'era una strana luce, Holmes
scorgeva in lei
frammenti di ira e tristezza; non sapendo come rispondere
annuì semplicemente e
uscì dalla sala. Una volta in strada riprese la via che lui
e Lestrade avevano
fatto all'andata, il mistero adesso era molto più chiaro ma
la cosa non gli
importava minimamente, voleva solo tornare a casa dal suo Watson.
Continua...
Stranamente
sono riuscita ad aggiornare in tempi abbastanza brevi, anche se qui la
connessione sembra voler fare di tutto per impedirmelo. Dunque questo
capitolo è ovviamente assolutamente OOC ma ormai lo sappiamo
e
sennò nemmeno lo mettevo tra gli avvertimenti!
Però devo
ammettere che mi piace questo Sherlock, è proprio nel mio
stile
"dolce e coccoloso" (e vorrei anche vedere, l'ho scritto io!). Ci sono
alcune cose che vorrei preciusare, prima di tutto questa storia della
neve...sinceramente non so come funzionavano le cose quando nevicava
così tanto e, purtroppo, la connessione che va a saltelli mi
ha
impedito di scoprirlo, quindi vi chiedo perdono se ho scritto una
grandissima caciofecata. La seconda cosa che ci terrei a precisare
è la faccenda del divorzio....divorziavano, vero? xD era
fattibile una cosa del genere? spero prorpio di si! *maledice
la connessione* ma ho
supposto che dopo Enrico VIII e il suo stuolo di mogli si potesse
divorziare!
Tanto
per perdere un po' di tempo sono orgogliosa di annunciare che proprio
in questo istante sto leggendo l'ultimo capitolo de "Il
segno dei quattro" ....uhm...penso
che questo sarà il racconto che mi piacerà
meno...chissà perchè *coffcoffColpaDiQuellaSpinaNelFiancoDiMarycoffcoff*
anche
se ho notato alcuni particolari molto favorevoli allo slash (ma d'altra
parte, se lo slash è nato proprio grazie a loro due un
motivo ci
sarà! <3).
Vorrei
gongolare un po' *inizia
a gonolare* perchè
sulla copertina de "La
valle della Paura"
(si li ho comprati tutti e me li sto leggendo uno dietro l'altro)
c'hanno messo Robert e Jude <3 mi è preso un mezzo
attacco
cardiaco quando li ho visti, poi hanno scelto proprio una delle mie
scene preferite del primo film! (quella in cui sono al cantiere navale
e Watson salva per un pelo Holmes). Purtroppo, se le mie deduzioni sono
esatte *Mode
Sherlock Holmes: ON*
Watson dovrebbe essere ancora sposato...questa donnina allegra
però dovrebbe tagliare la corda dopo "la scomparsa" di
Holmes...quindi ne "Il
mastino di Baskerville"
(che poi è quello che tutti mi hanno consigliato dicendo "Oh
mamma, te lo devi leggere è bellissimo!" sei persone hanno
detto
la stessa identica cosa! speriamo sia vero! xD) non si saranno spine
nel fianco *coffcoffMenoMalecoffcoff*.
Ma
cambiando discorso! Dopo estenuanti camminate nella neve finalmente
sono entrate in scena due donnine molto allegre, come vi sembrano?
Fatemi
sapere!
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Capitolo 3 *** Deduzioni & Scommesse ***
Capitolo 3. Deduzioni &
Scommesse
Quando,
finalmente, rimise piede nell'appartamento erano da poco passate le
diciotto.
Una giornata sprecata.
Pensò amaramente mentre si sfilava la giacca di Watson e le
riponeva nuovamente sulla poltrona accanto al fuoco che Mrs. Hudson
aveva provveduto ad alimentare in sua assenza. Sorrise tristemente
accarezzando la stoffa dell'indumento. L'aveva indossata tutto il
giorno così, nel caso avesse sentito la mancanza del dottore
gli sarebbe bastato inalare il suo profumo, di cui la giacca era
pregna. Inutile dire che aveva passato la gran parte della giornata con
il naso infilato tra le falde del cappotto, inalando a pieni polmoni
quella fragranza così inebriante, ma più la
respirava più la mancanza del suo dottore si faceva
dolorosa. Ringraziò il Signore per l'autocontrollo che era
riuscito a mantenere durante tutto il colloquio con la vedova e anche
per averlo fatto tornare finalmente a casa. Senza fare troppo rumore si
diresse verso la porta della sua camera e la dischiuse. Watson dormiva
profondamente. Sospirò sollevato ed entrò,
richiudendosi la porta alle spalle. Lo osservò per alcuni
minuti, poi si avvicinò al letto e si mise a sedere sullo
sgabello. Mentre lo osservava dormire si realizzò quanto,
effettivamente, fosse stato vicino a perderlo e si ritrovò a
chiedersi come avrebbe reagito se, semplicemente, fosse stato troppo
tardi. Un brivido freddo gli corse lungo la schiena e senza
accorgersene, la sua mano andò a cercare quella di Watson,
stringendola delicatamente. Posso
affermare, senza timore di smentita, che se mai John mi venisse portato
via, impazzirei e mi lascerei morire divorato dalle droghe e dal suo
ricordo.
Sentiva caldo, molto caldo. Aprì pigramente l'occhio destro
e si guardò intorno, non riconosceva la stanza, o meglio, un
vago senso di familiarità lo avvertiva, solo che annebbiato
com'era dalla febbre non riusciva a capire dove potesse essere. Chiuse
l'occhio e sospirò. Smosse i piedi nella speranza che le
coperte gli scivolassero un po' più in basso, ma qualcuno
gliele risistemò prontamente sotto il mento. Girò
la testa verso quel qualcuno e sentì un forte rumore di
carta smossa, aprì gli occhi e ciò che vide lo
fece sorridere: Sherlock Holmes era seduto su uno sgabello al suo
fianco, con la pipa in bocca e un giornale aperto davanti.
«Ben sveglio, amico mio». Disse Holmes senza
neanche alzare gli occhi dal giornale, cosa che fece allargare
ulteriormente il sorriso di Watson.
«La ringrazio, ma cosa mi è successo? »
Holmes alzò le spalle, apparentemente immerso nella lettura.
«È stato ritrovato svenuto nella neve poco
distante dal suo circolo ed è stato riportato qui, Mrs.
Hudson non la smetteva di piangere».
Il sorriso di Watson, se possibile, divenne ancora più ambio
e, lentamente, fece forza sui palmi e si mise a sedere.
«Sherlock Holmes,» Iniziò guardandolo e
allungandosi verso di lui. «Lei è un
bugiardo».
L'uomo si voltò a fissarlo, le sopracciglia aggrottate.
«Nient'affatto, mio buon amico, cosa le fa credere una simile
idiozia? »
Il dottore gli si avvicinò maggiormente e decise che era
arrivato il momento di passare ad un tono molto meno informale, visto
l'argomento che si apprestata a discutere.
«Ti ho sentito, sei stato con me tutto il tempo, mi tenevi la
mano».
Sherlock Holmes distolse lo sguardo e lo riportò sul
giornale mentre una nuvolina di fumo azzurro si levava dalla sua pipa.
«Questo dovrebbe significare che ero...preoccupato per lei,
cosa che si sarebbe verificata solo se io avessi un cuore e fossi in
grado di provare sentimenti, cosa che lei, l'altra sera, mi ha
rinfacciato di non saper fare».
Watson sentì il cuore stringersi. Quella sera, quella
maledettissima sera. Non ne voleva più sentir parlare.
Scosse debolmente la testa e si avvicinò ulteriormente.
Voleva estirpare il ricordo di quella sera, sia dalla sua mente che da
quella del suo amico. Era stato uno sciocco a dire quel che aveva detto
ed era stato ancor più sciocco andarsene. Si sentiva
terribilmente in colpa, doveva -e, soprattutto, voleva- farsi
perdonare; anche a costo di passare tutta la vita a chiedere perdono.
Ormai la vicinanza tra i due era al massimo.
«Quella sera non ero in me, e tu lo sai bene, vorrei quindi
chiederti la cortesia di abbandonare questo argomento e di non parlarne
mai più».
Holmes annuì distrattamente. É una mia impressione
o le nocche gli sono sbiancate?
«Inoltre, riuscirò a dimostrare con una semplice
deduzione, che tu sei realmente preoccupato per me».
Sherlock si voltò nuovamente verso di lui, con
un'espressione divertita impressa sul volto.
«E come vorresti fare? »
Watson si allungò ancora, con un gesto altamente audace e
sconsiderato, sorprendendo anche se stesso, baciò
teneramente la guancia di Holmes.
«Elementare
Holmes, stai leggendo un giornale vecchio di quattro mesi al contrario».
Ho perso,
si ritrovò a pensare mentre un sorriso si dipingeva sul suo
volto.
«Watson», iniziò chiudendo il giornale
inutile e riappoggiandolo sul comodino «mi ha battuto al mio
stesso gioco! » e scoppiarono entrambi a ridere. Senza
più timore la mano di Watson cercò quella di
Holmes, la quale gli andò subito incontro, intrecciandosi.
Rimasero a guardarsi in silenzio per diversi minuti, poi il dottore,
diventando rosso, chiese:
«Non potresti sederti qui? Stare in questa posizione si sta
rivelando più faticoso del previsto».
Sherlock sorrise e con un movimento fluido si alzò dallo
sgabello e si sedette accanto a Watson, allungando le gambe sopra la
coperta e passandogli un braccio attorno alle spalle, attirandolo
delicatamente a se. Quando sentì la testa di Watson
appogiarglisi sul petto ebbe come l'impressione che il suo cuore
sarebbe esploso per la contentezza. Chiuse gli occhi e
strofinò la guancia contro i capelli del dottore, inalando
il suo profumo. Preferiva di gran lunga questo rispetto a quello della
giacca. Per un paio di volte, Watson sembrò sul punto di
dire qualcosa, fermandosi sempre un attimo prima di dare fiato ai suoi
pensieri.
«Dormi, amico mio, devi rimetterti in forze, poi avremo tutto
il tempo di questo mondo per parlare».
Watson annuì e si sistemò meglio contro di lui,
passandogli un braccio attorno alla vita e stringendosi a lui.
Sherlock Holmes iniziò ad accarezzargli la testa
finché il respiro del suo dottore non divenne regolare e
profondo. Diversi minuti dopo si domandò se la porta della
stanza era stata chiusa a chiave, ma un movimento della mano di Watson
che si chiudeva stringendo la sua camicia, lo catturò
definitivamente interrompendo ogni pensiero logico nella sua mente.
Mrs. Hudson scosse il capo, divertita.
«Ti dico che ti sbagli Molly, vedrai se non ho ragione io
».
La cameriera parve per un attimo turbata dalla sicurezza della donna,
poi però riprese imperterrita.
«Ma signora, non credo sia appropriato, lei ben sa quali sono
i rischi, io rimango della mia opinione».
Le due donne ormai si potevano considerare buone amiche, tanto che, da
alcuni anni, avevano preso a spettegolare animatamente su qualsiasi
cosa attirasse la loro attenzione, pettegolezzi che finivano
puntualmente in scommesse.
«Bene», asserì Mrs. Hudson alzandosi
dalla sua poltrona e appoggiando la tazzina del tè
«c'è un solo modo per scoprirlo, la mia domanda
ora è: ti senti abbastanza coraggiosa da scommetterci su?
»
Molly strinse il vassoio, pensosa, poi annuì energicamente.
Mrs. Hudson la squadrò da capo a piedi, poi le fece un cenno
del capo e uscirono dalla stanza.
«Il solito prezzo? »
Chiese mentre si dirigevano a constatare chi delle due avesse ragione.
«Per me va bene».
Improvvisamente sentirono il campanello suonare, Molly
sobbalzò e corse ad aprire mentre Mrs. Hudson sospirando la
seguì.
In piedi davanti alla porta vi era una giovane donna tremante, le due
donne la fecero immediatamente accomodare in salotto e le versarono una
generosa quantità di tè nella tazzina che Molly
era corsa a prenderle in cucina. La ragazza sorrise alle due donne
ringraziandole ed afferrò la tazza, soffiandoci sopra per
raffreddare la bevanda prima di ingerirla.
«Per tutti gli astri del cielo, benedetta ragazza, cosa l'ha
spinta ad avventurarsi oltre la porta di casa nonostante l'immensa
quantità di neve che ingombra il passaggio? »
Chiese la padrona di casa, visibilmente preoccupata. La ragazza fu
scossa da un brivido e Molly si affrettò ad avvolgerla con
una coperta. La ragazza guardò la donna grata, poi spostando
il suo sguardo su Mrs. Hudson, parlò:
«Vorrei vedere Mr. Sherlock Holmes, è in casa?
»
La padrona di casa lanciò un'occhiata alla sua cameriera,
che gliela restituì preoccupata; si schiarì la
gola, cercando di prendere tempo. La ragazza guardò
speranzosa prima lei poi Molly, ma vedendo che nessuna delle due
parlava il flebile sorriso che le era nato sulle labbra si
affievolì e una ciocca dei suoi splendidi capelli biondi le
ricadde sulla fronte.
«Sono spiacente,» iniziò Mrs. Hudson
«Ma il Signor Holmes non si trova in casa al
momento».
La ragazza sospirò, triste, posando lo sguardo sulla sua
tazza di tè.
«Capisco».
Fu la risposta.
«Mi perdoni la domanda,» intervenne Molly per
sbloccare la situazione e per far finire quel pesante silenzio
«Cosa l'ha spinta ad avventurarsi fuori di casa con questo
tempo? Insomma, è un caso così importante da non
poter nemmeno aspettare?»
La ragazza la guardò sconsolata, posò la tazza
sul tavolino e si sollevò ripiegando con cura la coperta.
«Oh, in effetti nulla di così importante, di
sicuro non sono a rischio di vita. E' solo una strana faccenda
riguardante la morte di mio padre e alcuni pacchi contenenti
perle...»
Molly guardò Mrs. Hudson chiedendole silenziosamente se lei
avesse capito qualcosa di quel discorso, ma dall'occhiata che le
restituì la donna capì che erano nella stessa
situazione.
«Ora,» riprese la ragazza. «mi dovete
scusare, ma ho tanta strada da fare e ho altri impegni».
Così dicendo salutò con un cenno del capo la
padrona di casa e si incamminò assieme a Molly verso
l'ingresso.
Mrs. Hudson sentì la porta aprirsi e subito dopo chiudersi,
poi i passi pesanti di Molly che tornava in salotto.
«Che strana ragazza». comentò lei, una
volta rientrata nella stanza.
«Infatti» concordò lei.
In quel momento dal piano superirore si sentì un leggero
tonfo, come se qualcosa di piccolo fosse caduto sul pavimento.
Le due donne si guardarono con un sorriso sulle labbra.
«Si è addormentato». constatò
Molly
«Sì,» continuò Mrs. Hudson
«e gli è appena caduta la pipa».
Molly sospirò.
«Spero solo che non arrivi nessun altro a disturbarli».
La padrona di casa la guardò con un'espressione divertita
impressa sul volto.
«Se così fosse,» disse,
«basterà solo scacciarli gentilmente
com'è appena successo».
«Sa, in questi momenti mi sento un po' una
leonessa» ammise Molly, sentendosi subito in imbarazzo per la
frase. Mrs. Hudson sorrise e annuì.
«Oh, cara Molly, ma noi siamo leonesse. Leonesse che
proteggono i propri cuccioli».
La serva rise immaginandosi la scena, seguita subito dopo da Mrs.
Hudson.
Continua...
Perdonatemi
il ritardo, ma purtroppo me ne sono capitate di tutti i
colori...lasciamo perdere va che sennò la tiro troppo per le
lunghe. Spero che il capitolo vi piaccia, purtroppo questa è
la seconda versione...nel senso che la versione "originale" che andava
postata è nel mio pc a casa. Questa versione è
quella che tenevo nella chiavina in casi estremi. Se poi vedo che
l'altra è migliore modifico il capitolo (quando ovviamente
potrò farlo). Spero che questo capitolo sia comunque di
vostro gradimento. Scusate se non mi allungo molto con i commenti ma
sto ascoltando lo Zoo xDxD e già scrivere queste poche righe
mi sta costando tantissimo xD non connetto assollutamente xD
chissà che cavolo sto scrivendo xDxD
Vi
auguro un buon fine settimana!
|
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Capitolo 4 *** Ozio ***
- Capitolo
3.5 Ozio
-
- Si
era svegliato quando ormai il sole era già alto nel cielo e,
con sorpresa, ad
accoglierlo aveva trovato qualcosa -o meglio qualcuno-
di inaspettato. Sherlock Holmes dormiva beatamente
accanto a lui, con una gamba e un braccio penzoloni oltre il bordo del
letto e
la bocca spalancata. Watson era rimasto attonito da quell'insolito
spettacolo
e, incantato, lo aveva osservato dormire fino a quando, nel girarsi, il
famoso
detective Sherlock Holmes, non era ruzzolato giù dal letto.
A quel punto il
dottore era scoppiato in una grassa risata, che si era fatta ancora
più forte
quando lo aveva visto rialzarsi con l'aria di chi non sapesse nemmeno
chi
fosse, figuriamoci dove fosse!
- «Cosa
c'è di tanto divertente amico mio? »
- Sherlock
Holmes sembrava del tutto impassibile e indifferente a quanto era
appena
accaduto, l'unico particolare che tradiva la sua recita erano le sue
orecchie
diventate completamente rosse per l'imbarazzo che, ovviamente, non
sfuggirono a
Watson.
- «Niente
di ché, ho appena assistito allo spettacolo più
dolce e divertente della mia
vita e, sinceramente, prego affinché ogni mio futuro
risveglio possa essere
altrettanto piacevole. »
- Il
detective si era lasciato sfuggire un sorriso imbarazzato e, per la
prima volta
in vita sua, si era ritrovato senza parole.
- Alla
fine Watson, rompendo il silenzio, gli aveva chiesto se intendesse
restare a
fissarlo tutto il giorno o se volesse accomodarsi nel letto assieme a
lui e parlare. Inutile dire che di
parole ne
furono dette assai poche, almeno fino a quando Mrs. Hudson e Molly non
furono
di ritorno dal mercato. Vedendo le loro fantasie dissolversi nel nulla,
concordarono che per il momento era meglio aspettare, sia per
permettere al
dottore di riprendersi fisicamente, sia per impedire che le due donne
li
cogliessero in flagrante. Avevano quindi deciso di passare la giornata
a oziare
sul letto, raccontandosi tutto ciò che passava loro per la
testa. Watson gli
aveva raccontato che dopo il loro litigio era andato al club e che a
causa
della neve vi era rimasto bloccato, almeno fino a quando, esasperato,
era
uscito per tornarsene a casa a piedi, purtroppo fatti pochi passi la
gamba
aveva iniziato a dolergli in maniera infernale, seguita subito dopo
dalla spalla;
tutto si era fatto improvvisamente confuso e lui aveva perso i sensi.
Solo
sentire quel racconto fece gelare il sangue di Sherlock che se lo
strinse
maggiormente al petto, ricordandosi del dolore che aveva provato quando
il
medico venuto a visitare Watson gli aveva confidato che, molto
probabilmente,
non sarebbe sopravvissuto. Gli era rimasto vicino, sempre, ignorando le
proteste del medico e della signora Hudson. Lui doveva
stare accanto al suo John, che senso aveva la sua vita
altrimenti?
- Quando
lo aveva visto risvegliarsi si era sentito incredibilmente bene, come
se fosse
ringiovanito vent'anni e, in contemporanea, un enorme macigno gli fosse
stato
tolto dalle spalle. L'unica cose che lo preoccupava era il ricordo di
quel
litigio, e la sua gioia era stata inimmaginabile quando Watson gli
aveva
confessato che per lui quello era solo un argomento da liquidare il
più
velocemente possibile.
- Ora
se ne stavano entrambi sul letto, Sherlock, con un braccio attorno a
Watson e
l'altro appoggiato mollemente sull'addome, intento a fumare la sua pipa
-che
dopo la caduta la sera prima si era leggermente scheggiata da un lato-
e Watson
accoccolato al suo fianco, gli occhi chiusi e un sorriso beato impresso
sul
volto. Il detective aveva appena terminato il suo racconto sul nuovo
caso che
gli era stato sottoposto, ritenendolo un caso estremamente facile ed
elementare,
ma vedendo l'espressione accigliata del dottore aveva riso di gusto per
poi
posargli un bacio sulla punta del naso.
- «Non
prenderti gioco della mia intelligenza Sherlock! »
- Aveva
protestato il dottore sorridendo.
- «Un
giorno potrei anche stupirti e fare una brillante osservazione.
»
- Sherlock
aveva inclinato il capo per osservarlo meglio, sorridendo.
- «Non
ne dubito John, anzi, ne sono più che certo».
- Poi,
come se fosse stata la cosa più naturale del mondo, si era
chinato su di lui
per baciarlo.
- «Vedrai!
»
- Continuò
il dottore staccandosi, controvoglia, dalle labbra di Holmes.
- «Sarò
io a risolvere questo caso! Domani andremo subito dal prossimo
indiziato e
vedrai se non riesco a.. »
- Ma
non fece in tempo a finire il discorso che le labbra di Sherlock erano
nuovamente sulle sue. Questa volta non si staccò,
semplicemente, si fece
adagiare sul materasso, improvvisamente, la stanza iniziò a
girare e non sentì
più nulla, tranne le mani di Sherlock che lo toccavano e le
sue labbra che lo
baciavano.
- Intanto,
fuori, era calata la notte.
-
Continua...
-
- Ohibò
sono viva! Chi l'avrebbe mai detto? xD No, scusatemi se posto
così tardi ma ho
avuto delle settimane disastrate (una l'ho passata in Francia e due a
fare lo
stage =_= ) e mi devo ancora rimettere in pari con tante cose (libri,
manga,
film, telefilm, anime che si accumulano in attesa d'esser
visti.....Dèi tremo al
solo pensiero!). Ma lasciamo perdere, oggi mi sono svegliata e mi son
detta
"basta, oggi posto il nuovo capitolo" per poi ricordarmi che non lo
avevo ancora scritto .... ah ah ah! dire che ho fatto le volate
è sminuire xD
fortunatamente questo era il capitolo "break" (come si può
notare
dalla lunghezza e dal tema trattato xP) dire che questi due mi
diventano più
idioti ad ogni capitolo che scrivo è dire la sacrosanta
verità! xD ma qui l'ho
fatto perché dovevano essere idioti! In una mia fantasia *tutta mia* mi sono
sempre domandata come fosse la loro *ipotetica*
relazione, insomma! stì due non
potevano passare le giornate ad ignorarsi, uno che fissa il soffitto
l'altro
che legge è.é mi pigliate per fessa?
Così ho aggiunto questo piccolo bonus
giusto per darvi un'idea di come me li immagino insieme ..... *ha una crisi di
pianto* TOT
perchèèèè????????? anche me
vuole vivere nel loro mondo e vederli
mentre quagliano nel letto *tenta
di scappare nella sua stessa fic ma la
scaraventano fuori a pedate* T^T ingiustizia!
- Ok,
ora ci tengo a fare alcune precisazioni.
- 1.
Questo capitolino (assieme all'altro) è dedicato alla
fantasticosa BlackSoil,
senza la quale non saprei che fare <3
- 2.
Come forse qualcuno di voi avrà notato, ad un certo punto ho
detto *quasi
casualmente* che la pipa si è scheggiata....ok, questo
è un piccolo omaggio ad
una coppia che io amo con tutta me stessa (e devo ringraziare proprio
Black per
avermela fatta conoscere <3). Anche se sì
vabbè, nell'originale non era una
pipa ad essere scheggiata, ma un tazzina per il tea.....ok, detto
questo chi
prima non c'era arrivato c'è arrivato ora xD per gli altri
non aggiungo
altro....vi posso dire solo che dovete guardarvi il telefilm Once Upon
a Time
(lo fanno anche in italia sulla Fox, con il titolo "C'era una volta"
ma fidatevi se vi dico che il doppiaggio italiano fa pena morte e
dannazione!
quindi se potete guardatevelo in inglese con i sub).
- 3.
Mi è apparso babbo Arthur in sogno dicendomi "Vendicami
uuuuuuuu vendica
la mia morte uuuuuu" ... no forse questo è un altro sogno
che ho fatto *mumbleggia* ah si! mi
ha detto, e cito
"Orpo di mille balene, credevo che non ci fossero dubbi sulle
preferenze
sessuali dei miei personaggi, se c'è gente idiota che crede
seriamente che quei
due sono etero, non posso che compatire le loro povere piccole menti.
Lascio a
te, mia allieva, il compito di rendere chiaro a tutti il concetto. Non
ti far
rapire dal lato oscuro della forza! E ricordati di dire a Luke che io
sono suo
padre!" .....
- ....
-
- e
sapete qual è il bello di questa mia affermazione?
- ...
- ...
- che
voi non la potrete mai smentire *buahahahahah!*
-
- Vabbè
me ne vado xD qui vedo torce e forconi in lontananza
°^°'''
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Capitolo 5 *** Un nuovo nome ***
- Capitolo 4.
Un nuovo nome
-
- Sherlock
Holmes camminava lentamente, ora che la strada era stata finalmente
sgombrata
dalla neve, Londra si era nuovamente animata. Quel giorno Watson lo
affiancava
nuovamente, la sua andatura era ancora lenta, ma comunque in grado di
sostenere
quello sforzo. I due camminavano vicini, molto più vicini
del solito, si poteva
pensare che fosse a causa del freddo ancora pungente, ma non era
così. In quei
giorni di malattia in cui Watson era stato costretto a letto, entrambi
avevano
avuto modo di parlare del caso e alla fine, una volta che il dottore
ebbe avuto
modo di leggere le lettere, decisero entrambi che era arrivato il
momento di
far visita al mittente.
- Il
numero 17 di Swan Walk era una piccola ma carina villetta, color
caramello.
Sherlock Holmes bussò alla spessa porta color mogano e pochi
istanti dopo la
porta fu aperta da un piccolo ometto calvo. I due si presentarono e
chiesero di
vedere il proprietario della casa e l'omino, dopo averli fatti entrare
con un
inchino, li accompagnò per il corridoio e su per le scale,
aprì una grande
porta a due ante e li invitò ad entrare in quella che
entrambi riconobbero
essere la biblioteca. Non era un luogo molto grande; davanti al camino
si
trovavano un piccolo divanetto e un paio di poltrone, era traboccante
di libri
e scaffali. Il padrone di casa se ne stava seduto in poltrona intento a
fissare
i nuovi arrivati con aria corrucciata. Quando si alzò per
salutarli Watson poté
osservarlo con attenzione; era un giovane uomo, alto, distinto, con un
ciuffo
ribelle di capelli castani che gli ricadeva mollemente sul volto e due
occhi
color smeraldo che sembravano essere in grado di perforare una parete.
Sherlock
Holmes si presentò, così fece il dottor Watson e,
dopo che anche il padrone di
casa si fu presentato come il Conte Simon Bristol tutti e tre si
sedettero
davanti al caminetto e il piccolo maggiordomo fu mandato a prendere
qualcosa da
bere.
- «Mi
spiace disturbarla signor Bristol, ma come forse lei sa pochi giorni fa
è stato
ritrovato il cadavere del signor Court e, dopo aver trovato alcune
lettere con
sopra il vostro nome, in casa della moglie di Court, io e il mio
collega
abbiamo ritenuto saggio venire a farle visita.»
- Qualcosa
di indescrivibile attraversò per un attimo lo sguardo del
signor Bristol,
qualcosa di simile al dolore e alla rabbia, ma si riprese prontamente.
- «Sì,
ditemi pure, avendo letto quelle lettere sapete fin troppo bene che
tipo di
relazione c'era tra me e il signor Court, non vedo motivo di mentirvi
arrivati
a questo punto.»
- Sherlock
Holmes sorrise unendo le punte delle mani e lasciandosi sprofondare
maggiormente nella poltrona.
- «Bene,
ammetto che il quadro già così, mi è
abbastanza chiaro, anche se mancano
diversi punti per completare il tutto. Da lei vorrei solo sapere poche
cose.
Lei è il signor Court vi siete conosciuti nell'Ottobre di
sei anni fa, giusto?»
- «Giustissimo.»
- «E
da allora la vostra relazione tra di voi è sempre stata la
medesima?»
- «Certamente.»
- «È
a conoscenza del fatto che Court tre anni fa si era sposato?»
- Watson
vide il volto del signorotto colorarsi di rosso, i brillanti occhi
verdi non
riuscirono più a celare la rabbia, tuttavia
continuò a mantenere un tono calmo
e pacato di voce.
- «Purtroppo
sì.»
- «Ovviamente
tra lei e la signora Court non è mai corso buon
sangue.»
- «Non
l'ho mai nemmeno incontrata.»
- «Quindi
immagino non sappia nulla di lei o della sua vita precedente prima di
venire a
vivere qui a Londra.»
- Bristol
si accigliò per un attimo.
- «No,
in verità qualcosa lo so. Lei e la madre ci tengono
affinché nessuno lo sappia
ma è giusto che voi lo sappiate. La Strendson ha un
fratello, un fratello matto
per giunta! Quando Jeremy la incontrò a Parigi lei le tenne
nascosta la cosa,
convinta che mai il suo segreto potesse essere scoperto in quanto il
fratello
era stato rinchiuso tempo prima in manicomio. Purtroppo lo sventurato
riuscì a
scappare e a ritrovare la sorella qui a Londra, questo accadde
all'incirca un
anno fa. Le andò a bussare a casa il folle, le disse di
assumersi le sue
responsabilità e di aiutarlo, proteggendolo e sfamandolo.
Ella a quel punto fu
costretta a raccontare tutto a Jeremy il quale perdonò
questa menzogna e si
dichiarò disposto ad aiutarlo, a patto che non si
presentasse mai più in casa
sua. I due tennero nascosto il ritorno del fratello alla madre di lei,
perché
ella l'avrebbe sicuramente rispedito in manicomio e alla Strendson
stava molto
a cuore la sorte del folle.»
- Il
detective annuì distrattamente, poi all'improvviso,
sollevò il suo sguardo su
Watson e fece qualcosa che stupì molto il dottore: gli
sorrise dolcemente.
- Il
maggiordomo rientrò nella biblioteca e posò sul
piccolo tavolino rettangolare
un vassoio d'argento con sopra tre bicchieri di cristallo e una
bottiglia
contenente del liquore.
- «Mi
tolga una curiosità,» riprese Holmes una volta che
il servo fu uscito «voi
siete ricco, immensamente ricco, dunque perché vivere in
maniera
così...ristretta?»
- Il
conte Bristol sorrise tristemente.
- «I
miei genitori morirono quando ero molto piccolo, mio padre era nobile,
mia
madre la sua serva. Si innamorarono e scapparono insieme, i genitori di
mio
padre non approvarono, ovviamente, così quando loro morirono
io fui affidato
alle cure dei miei nonni materni, vivevamo in campagna e lì
crebbi apprezzando
le piccole cose, sapendo quanto era difficile ottenerle. Quando, anche
i miei
nonni paterni morirono il titolo e tutta l'eredita passarono a me, che
ero e
sono l'unico erede vivente del casato Bristol.»
- Watson
strinse le mani, provava un'infinita pena per quel conte
così giovane eppure
così sfortunato, la vita era stata crudele e ingiusta con
lui.
- «La
ringrazio Conte per le sue parole.»
- Disse
Sherlock Holmes alzandosi dalla poltrona ed allungandosi sopra il
tavolino per stringere
la mano al giovane, che si sollevò e gliela strinse con
fermezza.
- «Grazie
a lei per quel che sta facendo.»
- Mormorò
lui, era evidente che stava trattenendo a stento le lacrime e Watson
odiò
profondamente chiunque fosse stato l'artefice di una tale sofferenza.
- Usciti
dalla casa i due si riavviarono verso Baker Street, entrambi immersi
nei propri
pensieri.
- «Che
destino orribile!»
- Sbottò
alla fine Watson incapace di trattenersi, Holmes lo guardò
con occhi carichi di
amarezza ed annuì.
- «Un
giovane così perbene ed educato, caro Watson ti mentirei se
dicessi che ho
sospettato per un solo secondo che lui fosse l'artefice dell'omicidio.
Sin da
quando ho scovato le lettere ho capito che il ragazzo sarebbe stato
un'ottima
fonte di informazioni, ma non ho mai pensato che lui potesse entrarci
qualcosa
e, ora che l'ho conosciuto, i miei pensieri sono assolutamente
confermati.
Ovviamente tu mi conosci, caro John, sai bene che io quando indago su
un caso
non do mai nulla per scontato, tutti sono sospettati, tutti. Questo ti
dovrebbe
far capire quanto quel ragazzo mi stia a cuore.»
- Watson
si fermò improvvisamente, il bastone da passeggio sollevato
a mezz'aria.
Sentiva la temperatura del suo corpo in aumento e, per un attimo,
temette fosse
la febbre che tornava, ma poi al calore si unì un'altra
spiacevole sensazione
alla bocca dello stomaco e capì. Aveva già
provato una sensazione simile, una
volta, in passato.
- Anche
Sherlock si fermò per guardarlo, un'espressione
interrogativa impressa in
volto.
- John
chinò il capo e iniziò a respirare lentamente,
cercando di far rallentare il
battito del suo cuore. Il detective si avvicinò di qualche
passo e provò ad
allungare la mano per toccarlo, ma Watson si ritrasse bruscamente e, il
più
velocemente possibile, entrò in un vicolo al lato della
strada e continuò a
camminare.
- «John?»
- Sentì
la voce di Sherlock dietro di lui ma non si fermò, sapeva
che se l'altro
l'avesse visto in quelle condizioni avrebbe riso di lui, era uno
sciocco, lo sapeva
benissimo, eppure....
- Le
lunghe dita di Holmes si chiusero delicatamente sul suo polso,
costringendolo a
fermarsi.
- «Lasciami.»
- Sibilò
tra i denti senza nemmeno voltarsi.
- «Oh
John non dirmi che...»
- Watson
si liberò dalla presa con uno strattone e si
voltò verso Sherlock.
- «Sì
è vero, sentirti parlare così del conte mi ha
fatto ingelosire, contento? Cielo,
non mi sentivo così male dal tuo incontro con la Adler! Lo
so che è stupido, ma
non ci posso fare nulla, e non osare ridere di me!»
- Il
detective inizialmente parve shockato dalla notizia ma si riprese
rapidamente e
regalò a John il più bel sorriso che gli avesse
mai fatto. Il dottore abbassò
lo sguardo, sentendo le proprie guance imporporarsi.
- «Oh,
John.»
- Mormorò
Sherlock Holmes circondandolo con le proprie braccia e stringendoselo
al petto.
- «Scusami,
non volevo farti ingelosire con le mie parole.»
- Poi,
chinandosi maggiormente sul suo orecchio, continuò.
- «Io
amo solo te.»
- John
si sentì male, la testa iniziò a ronzargli e
girargli allo stesso tempo, non
sentiva più il terreno sotto i piedi e la vista gli veniva
offuscata dalle
lacrime.
- Sherlock
rise staccandosi da lui per poterlo vedere in faccia, si
guardò velocemente
attorno poi, veloce, si chinò sulle labbra del dottore e vi
depositò un leggero
bacio.
- «E
ora vieni,»
- Disse,
porgendogli la mano.
- «Torniamo
a casa.»
- Watson, sorridendo,
lasciò che le lacrime sgorgassero per qualche secondo, poi
in fretta le asciugo
e si affrettò ad afferrare la mano che Holmes gli porgeva.
Eh sì, ho aggiornato! Chi l'avrebbe mai detto? ._. E con
questo capitolo abbiamo scoperto un nuovo personaggio. Ora, che
relazione c'era tra lui e Jeremy? Più ovvio dell'ovvio
.____. come sono banale!
Vorrei farvi notare che il nome del conte, cioè Simon
Bristol, non l'ho scelto a caso. È un mio tributo (se pur
pessimo) al mio primo amore in versione cartacea. Mi ricordo che alle
medie, per farci amare i libri, ogni mese ci mandavano uno alla volta
nella biblioteca che avevamo nella scuola e noi dovevamo sceglierci un
libro da leggere durante il mese...Io prendevo sempre il solito e ogni
mese me lo rileggevo. Quando finì le medie ero quasi tentata
di tenermelo e non restituirglielo più (e per poco non lo
feci).
*fine momento ricordi idioti*
Alla fine chissà perché mi è venuto
più smelenso di come l'avevo immaginato :/ mha,
sarà che in questo periodo soffro di carenza di
coccole....sarà perché mi piace vederli che si
comportano da piccioncini che tubano, MHA!
Comunque non temete, conto di far finire *questo strazio* tra un paio
di capitoli, se non addirittura nel prossimo, devo vedere come
organizzare le cose.
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