Arwion

di lady vampira
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1


<< …”E’ previsto per le 13 e 52 il passaggio della cometa di Arwion, uno degli eventi astronomici più attesi degli ultimi cinquant’anni anni; leggenda vuole che durante il transito del corpo celeste si verifichino strani fenomeni di non ben specificata natura. Ma passiamo alla Borsa: il Dax di Francoforte perde lo zero virgola due per cento, il Nasdaq …” >>.
Sbadiglio, guardando il cielo grigio azzurro fuori dalle enormi vetrate del bar in cui lavoro tre giorni la settimana. Gli altri tre li fa Kessi, la mia pazza, pazza coinquilina e la ragione per cui mi ritrovo qui, a mille chilometri e passa da casa, a caccia di un sogno irrealizzabile. Ci siamo conosciute in rete quattro mesi fa, più o meno. Oddio, “conoscere” è una parola grossa, quando si tratta di Kess: lei è inconoscibile, non c’è giorno che si alzi uguale ad un altro. Soltanto una cosa non cambia mai: il suo amore per I Tokio Hotel e quello strano, ambivalente sentimento che prova nei confronti di quel poveretto del loro frontman. Dico “poveretto” perché con tutte le cattiverie che sputa fuori Kessi ogni santo giorno non mi stupirei se la cometa di cui parlano alla radio non gli cadesse addosso. Perlomeno io ho qualche rotella più a posto…ma soltanto un po’, mica molto. Però, la morsa che mi strizza lo stomaco ogni volta che incrocio quello sguardo bruno, ardente e incredibilmente magnetico di Tom Kaulitz, so cos’è. E non mi diverto a fingere il contrario di quello che sento, come fa Kess. Lei forse nega per custodirlo meglio, il suo amore; io non ci riuscirei. Mi sentirei tremendamente in colpa, se gli parlassi male alle spalle. Anche se per un’innocente battuta. Metto via un paio di tazzine sporche, le sciacquo e le poso nello scolapiatti. Martine, la mia collega, mi guarda sospettosa, i grandi occhi azzurri di freddo metallo dietro le lenti. << Allora? Si può sapere che hai? E’ tutto il giorno che sembri dormire in piedi, persa nel magico mondo che non c’è. Ho dovuto sbrigare anche metà del tuo lavoro, cara >>. Grrr… stronza. Quanto la odio. Se potessi le farei ingoiare quegli occhialetti del cavolo che tiene in equilibrio sul nasino all’insù, e poi glieli farei risputare con una gomitata nello stomaco. Ma se facessi davvero una cosa del genere, Raphael mi licenzierebbe; senza contare che probabilmente mi beccherei una denuncia per lesioni volontarie. Ahhh, santa pazienza. A volte vorrei davvero essere capace di ammazzare qualcuno. Ma so di non potermela prendere con Kess, perché altrimenti quando venti giorni fa mi ha scritto, col suo solito tono spontaneo e assolutamente privo di ogni ritegno, “’Fanculo, mi sono stancata: molliamo tutto e andiamo a Berlino?”, avrei semplicemente risposto: “Tu non stai bene, tesoro mio”. Invece no. Sono saltata su che neanche una molla e ho scritto: “Sì. Andiamo”. Ho preso su armi e bagagli e senza voltarmi indietro nemmeno una volta, mi sono infilata nel casino della stazione, tra gruppetti di sogni infranti e altri che invece stentavano ancora a prendere il volo, tra decine di facce sconosciute io, che a malapena in tutta la mia vita prima avevo preso l’autobus per andare a scuola; io, che non avevo mai messo piede fuori dalla mia provincia. Sono passata a prendere Kess che abitava a cinquecento chilometri di distanza e lei, appena mi ha vista, mi è corsa incontro e mi si è attaccata al collo che nemmeno una sanguisuga, come fossi una sua sorella o una sua carissima amica che non vedeva da anni. Ma lei è così. In questi pochi giorni, ho imparato a rassegnarmi a tutti i suoi discorsi senza capo né coda, i doppi sensi che infila ovunque e le sue uscite fulminanti. Anzi a dire la verità adesso sto cominciando a prenderci gusto anch’io, e ogni tanto in casa si scatenano vere e proprie battaglie a chi ne dice di più, più velocemente. Sembrerebbe perfetto. Peccato che le docce fredde sono iniziate da subito, qui a Berlino. Appena arrivate, abbiamo scoperto che l’appartamento affittato via Internet si trova in una delle zone periferiche più lontane, e ci vogliono ore di mezzi pubblici per raggiungere il centro o anche solo il posto di lavoro. Inoltre, abbiamo anche avuto a che fare con gl’inquilini precedenti, che non volevano saperne di sgomberare nonostante fosse dato loro un bel preavviso: gli scarafaggi. Tra la caparra e le spese di disinfestazione io e Kess ci siamo salassate, e siamo state anche fortunate a farci assumere insieme, nello stesso posto anche se con turni differenti. Sarei stata molto più felice con lei qui dietro il banco, a scherzare sui calli che ci vengono sulle mani, ma per il motivo sbagliato; e a tremare per poi scoppiare a ridere, ogni volta che dalla grande porta a vetri entra un tizio con piercing o treccine o compagnia bella. Io con questo pupazzo di neve –anzi di ghiaccio, ‘che i pupazzi di neve sono adorabili, questa è una arpia- di Martine a malapena posso scambiare il saluto. E sorbirmi tutte le sue ramanzine, come se avessi tre anni e non ventitré, tre più di lei fra l’altro. Ma Martine lavora qui da due anni ed è una specie di “guru”, di supervisore per i nuovi impiegati. Così mi tocca abbozzare. << Scusa, Martine, ma vedi, non mi sento molto bene… penso sia colpa del ciclo… >>, mi giustifico, passandomi una mano sulla fronte nel tentativo di addolcirla. Lei incrocia le braccia. << Ce l’hai adesso? >>. << No >>. << Allora non è colpa sua, ma tua. Svegliati, Elettra >>. Io la ammazzo. Me ne frego se dopo dovrò farmi vent’anni di galera. Ma io la ammazzo. Se solo potessi avere un’altra vita, per una volta… una in cui potessi stare solo con persone che amo e che non mi tratterebbero mai così. Per una volta, vorrei essere io, a dire cosa fare o non fare. Non soffro di manie tiranniche o egocentriche, solo mi piacerebbe sapere come si sta sul gradino più alto, a farsi “coccolare” e vezzeggiare… Ma non sarà mai così, me ne rendo conto. Sarò sempre una povera, stupida barista part-time che continuerà a guardare la tivù e sospirare. Che tristezza.

Basta. Non ne posso più. Non ne posso più di camminare per strada imbacuccato come un terrorista, di non poter sentire il vento sulla faccia, di non poter salutare le persone. Non ne posso più di non poter entrare in un bar o in una tabaccheria e scambiare quattro chiacchiere con gli altri avventori. Non ne posso più. Non sono mai stato solo, eppure non mi sono mai sentito tanto solo. E’ un paradosso, ma d’altronde ci si può sentire soli anche in mezzo alla folla. Guardi gli altri e li vedi lontani anni luce da te… irraggiungibili… loro pensano che sia tu la stella, ma in realtà non è così. Sono loro. Milioni, miliardi di stelle che ardono e splendono, ognuna a modo proprio, e tu te ne stai a fissarle col naso in su, sapendo che non potrai mai toccarle. Però non posso lamentarmi, me la sono cercata io. Ho fatto di tutto per arrivare fin qui… okay, tutto nei limiti del lecito, certo, ma comunque di tutto. Ho trascinato mio fratello e i miei amici nella mia follia e loro non hanno mai battuto ciglio, mi hanno seguito e basta, credendo in me. Ma adesso vorrei solo tornare indietro. Cammino, nella fiumana di persone che irrompono per le strade… vanno chi a casa, chi a scuola a prendere i bambini, chi esce e va a cominciare il suo turno. Tutte loro hanno una vita… normale. Pensano alle bollette da pagare, alla cena da preparare, al marito o alla moglie che aspettano a casa impazienti il loro ritorno. Per me non sarà mai così. Mi fermo all’incrocio, in attesa che il semaforo pedonale torni verde; e intanto mi guardo attorno. Una donna di mezza età che parla al cellulare con aria maliziosa e complice; sorride, disinvolta, e non è difficile immaginare che dall’altra parte ci sia il suo compagno di vita. Un’anziana con sottobraccio un cagnolino; che buffo… gli hanno messo un collare con un campanellino al collo. Se fossi un altro, mi avvicinerei ad accarezzarlo e chiederei come si chiama; ma non posso certo farlo travestito così, altrimenti quella poveretta mi scambierebbe per uno scippatore e mi inseguirebbe a colpi di quell’ombrellaccio che tiene stretto nell’altra mano rugosa. Un gruppetto di ragazzine ride rumorosamente, sfogliando una rivista per teenager. Scommetto dieci euro che ci sarà anche la mia faccia, su qualcuna di quelle pagine… e loro la vedranno, e gireranno in fretta oppure indugeranno sospirando… ma il loro amore e il loro odio resteranno sempre qualcosa di estraneo a me. Non sarà lo stesso di chi mi sta accanto e mi conosce, non ne subirò gli effetti e non ne assaporerò il calore. Non mi cambierà l’esistenza. Il verde scatta, attraverso assieme agli altri, godendo del venir sbatacchiato ad urtare un po’ quest’uomo e un po’ questa stupenda ragazza bionda in minigonna… fosse mio fratello approfitterebbe della calca per assicurarsi che sia tutta roba naturale. Ma io non sono lui, per fortuna; mi accontento di sfiorarle il braccio, non perché è bella, non perché è desiderabile, ma perché è viva. Tra un urto e l’altro sono presto dall’altra parte… mi dirigo all’auto abbandonata in un parcheggio. Per una volta mi piacerebbe tornare a casa in metro o in tram, ma dall’11 settembre la gente “mascherata” non viene fatta salire, a meno che non si scopra il volto. Ma nel mio caso sarebbe più facile che l’attentato lo facciano a me, piuttosto che il contrario. Oggi è peggio del solito. Questa malinconia non se ne vuole andare. Mi sento incredibilmente giù… e adesso, dopo quell’autoscontro umano, sto ancora peggio. Quanto vorrei essere un’altra persona…

Ah, fottuto orario di stacco. C’è sempre un casino, in giro, a quell’ora. Tram, auto, biciclette, e… persone. Tutte che vanno di fretta e tutte che ti urtano senza neppure chiederti scusa. Cafoni. Dove cazzo andranno poi non si capisce. Lo so, sto diventando un po’ troppo acida. Ma sono stanca, e poi c’ho gli ormoni a terra e mi sento una schifezza. Appena arrivo a casa m’infilo a letto e non mi muovo più… Trovo la chiave, apro velocemente la porta ed entro. Finalmente. Il buon profumo di sugo che viene dalla cucina mi risolleva un po’ il morale. Kessi deve aver preparato qualcuna delle sue pietanze speciali, particolari, esotiche come le orchidee… nel senso che all’odore e all’aspetto sono bellissime, ma quando le assaggi rischi di finire in ospedale per avvelenamento vittima di chissà quali effetti. Per fortuna fino ad oggi non si sono ancora manifestate le allucinazioni, sennò povera me. Inizio a liberarmi velocemente di sciarpa, cappotto e berretto senza neanche guardare; butto tutto per terra, e levo anche il berretto: più un passamontagna, ma io non sono abituata a questo freddo. Non so che pellaccia abbia Kessi per girare in casa in shorts senza nessun problema. E’ tutta strana. Ma forse è per questo che mi piace tanto. Già. E vorrei tanto sapere che… ahhhhhhhhhhhhhhhhhh! Cazzo! Ossignore, forse ho sbagliato a dire che non si sono ancora manifestate allucinazioni. Perché io ne sto appunto avendo una, in questo momento. Lo specchio appeso accanto alla porta mi rimanda un’immagine che conosco più che bene, ma che non mi appartiene. Misericordia, non è possibile. Cioè, cazzo, non è proprio possibile! Ma proprio no, no,no! Lo scatto che sento provenire da una delle camere al piano di sopra mi fa realizzare velocemente. Torno in me –ma solo mentalmente- raccolgo tutto e salto fuori, rivestendomi a tempo di record. Solo adesso mi rendo conto che non sono i miei indumenti. E come potrebbero? Io non giro vestita come un pipistrello sadomaso. E nemmeno con dei jeans così stretti… porca miseria, ci mancava soltanto che cominciasse a prudermi ovunque. Ma col ca…ehm, col cavolo che mi gratto. Preferisco farmi tagliare una mano, che fare una roba del genere. Mi dirigo al parco dietro casa, mi siedo su un’altalena e dondolo piano, non osando quasi respirare. Non riesco a capire. Un secondo prima ero Elettra e dopo puff! Sono… no, non riesco neppure a dirlo. Tiro su la manica sinistra del cappotto. Non ce ne sarebbe bisogno, ma sto cercando di convincermene a poco a poco. La scritta che campeggia sul braccio nudo –santo cielo, se lo vedesse Kessi! Lei impazzisce per le sue braccia- è inequivocabile. “Freiheit ‘89”. Quanti altri imbecilli potrebbero andare a farsi un tatuaggio così? Come se uno come lui avesse bisogno di scriversela addosso, la libertà… quasi come un appunto. Se non è libero lui, che può fare tutto quello che gli pare e piace! Niente colleghi stronzi, affitti e bollette da pagare, problemi a mettere insieme il pranzo con la cena, lavori stressanti e frustranti, desideri irrealizzabili, cellulari che squillano… Cellulari che squillano! Ma certo! Frugo rapidamente nelle tasche del cappotto, e ne tiro fuori un cellulare. Dato che non è mio, posso dedurre che possa appartenere solo al proprietario del cappotto, la sciarpa, questi jeans del cavolo e… quello che c’è dentro. Santo cielo. Compongo il mio numero –che effetto strano che fa- e attendo in linea. Uno… due… tre… dai cazzo, rispondi!... quattro… << Pronto? >>. Accidenti, è peggio di una pugnalata. Sentire la mia voce all’altro apparecchio. Il tono allarmato, spaventato, incredulo. Mi fa venire l’ansia, come se già non ne avessi abbastanza. << Sei… sei Bill? >>, domando senza troppi convenevoli. << Sì, o almeno… penso. A giudicare dal corpo in cui sono ora, non direi >>. << Bene. Dove sei? >>. << Non posso dirtelo, ma vicino casa mia. E non ho il coraggio di entrare >>. Be’, siamo pari, tesoro. Io ho dovuto catapultarmi fuori, per evitare che mi vedesse Kessi e mi saltasse addosso. Con risultati molto variabili. << Sai dov’è l’Askenischenheide? >>. << Sì, ovviamente >>. << Raggiungimi qui. Ci sono alcune cosette da sistemare >>. Richiudo e rimetto il cellulare in tasca. Alzo lo sguardo al cielo, e solo in questo istante mi rendo conto che non è attraverso i miei occhi che sto osservando quelle nuvole grigie e pensati. Eppure sembrano sempre le stesse. Almeno loro. Un’auto bianca, anonima, si ferma a bordo parco; il finestrino si apre impercettibilmente, il guidatore mi fa un cenno, poi porta una mano alla testa, spegne il motore, apre la portiera e scende. Mi verrebbe quasi da ridere, se non fosse che so esattamente cosa sta provando. << Elettra Colli? >>, mi domanda quando mi è di fronte. Inarco un sopracciglio. << La mamma non ti ha mai detto che non si fruga nella borsa delle signore? Comunque sì, sono io >>. << Io sono… >>. << Lo so chi sei, lo so. Per mia disgrazia dovrei forse dire >>. Sospiro. Mi sono sempre chiesta cos’avrei fatto se mi fossi trovata davanti uno di loro. Probabilmente sarei rimasta vittima di una sincope. Non credevo potesse esistere nulla di peggio… almeno fino a questo momento. << Hai la minima idea di come sia potuto accadere? >>, mi domanda, incert… oh, cavolo. E adesso? Che genere usare? Ho davanti una ragazza, chiaro, ma so benissimo che non lo è. Come d’altronde io non sono quello che sembro… se ci fosse Kessi, commenterebbe con una frase di Labyrinth –non senza aver prima detto almeno dieci volte che lei detesta a morte quel film, ma lo guarda e lo riguarda con uno stoicismo che ha del patologico- tutto sembra possibile e niente è ciò che sembra. Ho come la tremenda impressione che da un momento all’altro debba spuntare David Bowie vestito da elfo a cantare quella scellerata “Magic dance”, un’altra delle cose che Kessi odia a morte –sempre secondo lei, ovviamente-. << Mi pare chiaro che no >>. << E allora? Che si fa adesso? Non posso certo tornare a casa così. Appena aprirei la porta mio fratello prima mi chiederebbe: “Ma chi ti ha mandato qui, bellissima fata?” e poi m’inviterebbe a cena, come minimo >>. Mi verrebbe da ridere, se non stesse parlando di “quel” Tom. << E saresti fortunato. Se aprissi la porta io ora come ora, non ho idea di che fine farei >>. << Perché? >>, chiede incuriosito. E improvvisamente taccio, seguendo il filo di un pensiero così semplice, così evidente che era quasi impossibile da formulare. La mia coinquilina dice un sacco di boiate, ma a volte qualcuna ne azzecca. E quel “le cose che abbiamo davanti agli occhi sono quelle più difficili da vedere” –non credo sia sua, mi pare troppo profonda- è vero e proprio oro colato. << Niente. Senti un po’, tu hai qualche idea per risolvere questo casino o perlomeno restare vivi finché non lo capiamo? A parte scappare in Armenia, naturalmente >>. << Perché proprio in Armenia? >>. << Cazzo ne so, mi è venuto così, era tanto per dire. Perché io una cosetta l’avrei pensata. Ma vorrei sentire cosa ne dici tu >>. Mi guarda, coi miei occhi appena intuibili tra berretto e sciarpa. E sospira. Conosco quell’espressione. E’ rassegnato. << Ho forse altra scelta? >>. Direi di no.

Un quarto d’ora a fare il punto della situazione. Poi una porta sconosciuta. In un edificio sconosciuto. Situato in un quartiere che conoscevo solo di sfuggita. E io in un corpo estraneo, che ci sto davanti. Uhm… Non sono granché convinto che l’idea di Elettra fosse buona, purtroppo però a me non ne sono venute di migliori, per cui… In compenso però mi è venuto il mal di testa a furia di pensare. Ne fosse almeno valsa la pena… E ora che ci penso mi fa male anche la schiena. Fottuti tacchi. Non vedo l’ora di levarli. << Ehi, Ele! >>. La ragazza che mi apre la porta in shorts di jeans e maglia grigia a maniche corte è perfino più bassa di me… cioè di Elettra. A malapena sarà sul metro e sessanta. Ha una massa arruffata di capelli ramati tenuti sulla testa da due matite, e non un filo di trucco. Una tipa come tante insomma, non una di quelle bellezze mozzafiato da copertina… però ha dei begli occhi. Verde, come le foglie di felce. Spiccano sul suo volto anche senza eyeliner e ombretto. << Entra. Sono appena tornata >>, spiega avvicinandosi ai fornelli. << Tutto okay? >>. << Sì, più o meno. A parte un dolore atroce alla schiena >>. << Quel lavoro ci seppellirà, prima o poi >>. << Già >>, replico. << Senti, ti spiace se non mangio con te? Non riuscirei a tenere nulla nello stomaco, adesso >>. Lei mi guarda di sottecchi, si avvicina e mi posa una mano sulla fronte. Mi studia con quegli occhioni… accidenti però, sono davvero belli. << Sicura di star bene? >>. Non esattamente… << Sì >>. << Perché sei pallidissima… non è che ti sei beccata l’influenza no? >>. Macchè, ho soltanto subito uno scambio di corpi… e dubito fortemente che possa passare con un’aspirina. << Ma no >>. << Mah >>. << Ho solo mal di schiena. E mal di testa >>. << Okay. Dai, vai a farti una doccia e sdraiati un po’, il tempo che mando giù qualcosa e vengo a farti un massaggio >>. Che?! Doccia? Massaggio?! Ossantocielo… ora mi sento davvero male. Se non mi aggrappo a qualcosa mi spiaccico sul pavimento; sarà anche pulitissimo, lucidato a specchio, ma non ci tengo proprio. << No, no! >>. Lei trasale. << No? >>. << Cioè, intendevo dire… no, preferisco farla quando mi alzo, volevo dire >. Cassandra batte le palpebre rosee, perplessa. << Ma tesoro, sei proprio sicura sicura sicura di star bene? Perché sei strana, più del solito >>. << Chi, io? No… sono solo molto stanca >>. Devo defilarmi all’istante, altrimenti finirò col sputare fuori tutta la verità, davanti a questi occhi. << Vado un attimo in bagno, okay? >>. << Okay… >>. Mi alzo, ringraziando il cielo che il bagno sia al piano di sopra, così posso perdermi senza destare ulteriori sospetti nella mia nuova coinquilina. Per fortuna non corro neppure il rischio di perdermi, perché ci sono soltanto tre stanze: due piccole camere da letto e un bagno, ch’è a dir poco minuscolo. Per un attimo mi sembra di essere tornato a Loitsche. Mi chiudo la porta alle spalle, sospirando di sollievo. Ma la pace dura poco. Lancio un’occhiata al box doccia… non avrei pensato che quattro innocenti ante di plexiglass potessero avere un’aria tanto minacciosa. Ho toccato decine di ragazze, ma era tutta un’altra cosa e adesso il pensiero di dovermi spogliare mi mette addosso un’angoscia… anche perché sarà in quel momento che mi renderò conto di quanto sia reale questa… “cosa”. Intanto mi sto rendendo conto di avere una necessità fisiologica che se non mi sbrigo ad espletare diverrà imperativa. Già. Avanti, Bill, un po’ di sano stoicismo. In fondo non è che sia poi così strano… sei nel corpo di una ragazza. C’è chi dice che lo sei già da secoli… Coraggio. Non è niente di che. Sai com’è fatta una donna… quindi niente panico. Coraggio. Uno, due, tre, giù i jeans. Coraggio. Oh, visto? Non era poi tanto difficileeeeee…. << Porca puttana! >>. Tutto il mio training autogeno va a farsi fottere in un microsecondo. Non posso credere di essere tanto sfigato. Semplicemente, non si può. << Ele, tesoro, stai bene? >>. La voce inquieta di Kessi - oddio, sto già cominciando a chiamarla così. Sarà che in casa mia detestiamo i nomi lunghi- risuona al di là della porta chiusa. << Sì, sì, tutto bene >>. Sì, col… anzi è proprio questo il problema, che non c’è, porca miseria. Mi viene quasi da piangere. O da ridere. Non lo so nemmeno io. << Sicura? Perché hai lanciato un urlo…. >>. Sospiro, rassegnato. << Mi è venuto il ciclo… >>. Lei scoppia a ridere. << Guarda, non per fare la rompiballe, ma di solito è se non viene, che si comincia a bestemmiare…. >>. E’ chiaro che lei, poveretta, non può capire. << Comunque i tamponi sono nell’anta a destra. Li ho messi lì perché il cassetto sta per esplodere… >>. Eh, non è il solo. Tamponi? Misericordia, no, non ci posso credere, è un incubo orribile e tra poco mi sveglierò. Uno, due, tre… macché. E’ peggio di un incubo. E’ vero, dannazione. Ma non posso far niente. Apro l’anta, prendo la scatola azzurra e la scruto come se dovesse mordermi da un attimo all’altro. Ma il terrore vero mi sale quando ne estraggo un bastoncino incartato non più grande di un dito… un brivido di disgusto mi scuote dalla testa ai piedi e ritorno. Scartandolo, mi viene pure la tachicardia. Il pensiero di dover infilare questo “coso” dentro… oh, mamma. Sto per vomitare. E pensare che il meccanismo è lo stesso… Okay. Ora vomito sul serio.

Non so quanto sia stata geniale la mia idea. Tuttavia penso non esistesse altra via d’uscita, come mi ha detto anche lui d’altronde. Ma tra il dire e il fare… mi piacerebbe ci fosse di mezzo il mare, alto scuro e profondo, imbiancato di spuma fresca e frizzante. Apro la porta di quella che sarà la mia nuova casa a tempo indeterminato e… Oh porca miseria zozza bastarda e infame! Aiuto, aiuto, aiuto! << Era ora che tornassi!Pensavo ti avessero rapito gli alieni… >>, sbotta il mio peggiore incubo… in accappatoio, scalzo, con un velo di schiuma da barba attorno al volto e una sigaretta tra le labbra. Ossignore… Altro che mare… cazzo, questo è uno tsunami in piena regola. Sento che sto per svenire. Ora che mi passa davanti con estrema nonchalance, abbassa il cappuccio di spugna azzurra e sfila fuori i lungi capelli bagnati. Oh, madonnina. << No, solo… c’è stato un po’ di casino, in centro >>. Ma non immagini neppure quanto… un casino grande come una cattedrale, un continente, un intero pianeta… Okay, meglio che mi fermi. Perché è matematicamente certo che sto per sparare qualche cazzata che mi costringerà a prender fuoco e nascondermi sotto il tavolo. Oh, no… nemmeno il tavolo. Tom si siede, incrocia i pieni sul piano di legno.. un lembo dell’accappatoio scivola di lato, mostra una gamba semplicemente… ahhhh, ho mezzo litro di bava che mi cola dalla bocca, un sanbernardo arrapato farebbe meno schifo di me. E meno male che lo risistema subito, perché altrimenti… penso che invece dello straccio per i pavimenti o il mocho vileda, mi servirebbe un gommone, da riciclare per espatriare verso i Paesi baltici. Tutti tranne la Lettonia, però. Grazie. << Ah ah. Senti, prima ha chiamato Dave, vuole sapere che hai intenzione di fare con “Dreaming of you…” >>. Che?! << Ehm… digli che ci sto ancora pensando >>. << Okay >>. << Anche se non riesco proprio a capire cosa c’è che non va, con “Dreaming of you” >>. Prima regola: sicurezza, sicurezza, sicurezza. Fingi sempre di sapere di cosa stanno parlando. << Veramente nulla. Voleva solo sapere quando possiamo cominciare a girare il video >>. << Quando avrò… ehm, trovato un’idea che ci piaccia, come sempre. O sbaglio? >>. Tom inarca un sopracciglio, evidentemente perplesso. Forse ci ho messo troppa sicurezza… << Credevo fossi soddisfatto di quella che abbiamo proposto… soprattutto perché era tua, tra l’altro >>. Ahhhhhh… oh, cavolo, cavolo, cavolo! Che sia dannato il tuo egocentrismo, Bill Kaulitz! << Ehm, sì, ma sai com’è, i vergine sono volubili… >>, spiego portando una mano alla nuca. Buon cielo, che shock non trovarci la mia solita coda. << Mah. Stai lavorando troppo, fratellone >>, fa lui, alzandosi di scatto, con un movimento così repentino che… ossignore… non ho fatto in tempo a vedere assolutamente niente… Aiuto, un estintore. Anzi, due. << Dici? >>. << Ah ah. Ti servirebbe un po’ di distrazione… come quella che ho conosciuto io ieri sera, ad esempio >>. Sì, avevo visto giusto, datemi due estintori. Uno per me, e l’altro per tirarglielo in testa. << Ma dai? >>. << Oh, ieri sera è andata male perché c’erano tutte quelle cofane delle sue amiche, ma se la ribecco… >>. Toglie la sigaretta di bocca e mi scocca uno sguardo che… << la lego al letto e la faccio gridare fino all’indomani >>. Preferisco far finta di non aver sentito. << Sì, ma almeno se in caso avvisami prima, che mi metto i tappi… detesto sentire le tue amichette starnazzare come galline strozzate >>. << E da quando, scusa? Ma se fino a ieri eri tu che appena mi vedevi scendere in cucina la mattina mi davi Il voto a seconda del casino che aveva fatto la ragazza di turno! >>. Oh misericordia. << E io faccio… o meglio facevo lo stesso con te, visto ch’è da un pezzo che non acchiappi niente. O te lo sei scordato? >>.
Oddio. Non ditelo a Kessi.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2



Porca miseria. Non avrei mai pensato che fare il barman fosse tanto difficile. Soprattutto per una ragazza. Sono le sette e mezzo del mattino, ho la schiena in due e dei crampi bestiali… E questa grandissima stronza continua a fissarmi di traverso, neanche volesse chiedermi di uscire… sì, per poi portarmi in qualche vicolo buio e farmi a pezzi, mica per altro. Se fossi stato al corrente di tutti questi retroscena quando ho accettato la proposta di Elettra, col cavolo che avrei detto di sì. Avrei preferito diecimila volte tornare a casa così e correre il rischio. E questo la dice lunga su quale sia il mio umore al momento. Fottuto ciclo. Non insinuerò mai più che quelle delle donne durante questo periodo del mese siano tutte scene. Mai più. Se tengo duro abbastanza da tornare uomo, ovviamente. Stamattina sotto la doccia ho avuto una mezza ricaduta: non è facile ritrovarsi con qualcosa in più da una parte, anzi da un paio di parti, e in meno da un’altra… ma dopo aver affrontato la sfida del tampone, penso di poter andare tranquillamente incontro a qualunque cosa. << Oggi mi sembri più rammollita del solito >>, commenta… come diavolo si chiama? Ah, sì, Martine. Be’, per quello che mi riguarda potrebbe chiamarsi anche Crudelia Demon, non farebbe granché differenza. << Si, lo so, mi spiace. Ho… sai com’è, le mie “cose” >>, spiego, pregando il cielo di non essere arrossito. Un conto è parlarne da uomo –con fin troppa leggerezza- e un conto è parlarne da donna cercando di renderne partecipe una stronza gelida che di sangue come minimo non deve averne neanche una goccia, in corpo. << Ancora con questa storia! Guarda, che se non te l’ha detto nessuno, ce l’abbiamo tutte sai? Ma mica ne facciamo un poema epico come te! >>. Stronza, stronza, stronza. Io le ho sempre odiate, le ragazze così. Quando avevo tredici anni, e andavo ancora a scuola, ce n’era una nella mia classe, e non esagero a dire ch’era persino più impopolare di me e mio fratello messi insieme. Una vera “Regina delle Nevi” , che quella di Narnia le faceva un baffo, al confronto. << Piuttosto, vedi che se non ti ha avvertito nessuno, oggi è il tuo turno >>, fa. E no che non mi ha avvertito nessuno, come avrebbero potuto? Non so nemmeno di cosa diavolo stia parlando. << Per cosa, scusa? >>. << Fai la finta tonta, eh? Per i bagni, ecco per cosa. Oggi devi pulirli tu, signorina cara. Non pensare di scampartela solo perché hai… “le tue cose” >>, fa, mimando le virgolette. Mi rivolge un sorrisetto glaciale, che le farei scomparire volentieri dalla faccia, se non fosse che nonostante ora potessi approfittarne, non riuscirei comunque ad alzare le mani su una donna. Tranne che su Elettra, però. Aspetti solo che mi capiti tra le mani… e questa me la paga. Con tutti gli interessi.

So di non essere stata mai granché credente, e di conseguenza nemmeno una grande praticante. Ma bisogna crederci, quando dico che adesso sto recitando tutte le preghiere che conosco, e forse anche quelle che non conosco. Tom, seduto davanti a me, che strimpella la chitarra… non avrei mai pensato che potesse essere una cosa così, così… così erotica, dannazione. Quelle dita “delicate e dure”, come ama definirle Kessi –facendomi venire l’ulcera- che accarezzano con dolcezza ma anche con intensità le corde, facendole vibrare fin nel profondo… ah… Devo aver fatto qualcosa di tremendo in una vita precedente, per meritarmi una punizione del genere. << Guten nacht! >>, sbotta all’improvviso, facendomi sussultare. Perfetto. Se finora avevo il cuore in gola, adesso sono stata ad un passo dal risputarlo. << Ma che cavolo fai! Mi hai fatto venire un colpo! >>. << Eh! E visto che non ne dai, almeno ne prendi qualcuno, e scusa! >>. << Ah ah, divertente. Sembri Kessi, quando fai così >>. << Chi? >>. Oh, merda. Stupida, stupida, stupida Elettra. Dai, inventa, veloce, inventa… << Ma sì, Kessi, la protagonista di quella serie tv, mannaggia, come si chiamava, me ne sono dimenticato… quella che era la maschiaccia della scuola col chiodo fisso… >>. << Guarda, non me lo ricordo, ma se questa aveva il chiodo fisso mi spiace solo di essermela persa! >>, ghigna, accordando lo strumento…ehm, la chitarra. Meglio evitare di dire cose che possano essere suscettibili di diverse interpretazioni, adesso. << Veramente ce l’aveva solo nel film, non penso che fosse così anche nella realtà >>. << Un vero peccato. Era figa, almeno? >>. << Ma che ne so! >>. Solo adesso mi accorgo di aver alzato la voce, e che mi sta fissando con gli occhioni sgranati, attonito. Lo so, sono una povera idiota, ma quando lo sento parlare così io… mi parte l’embolo, accidenti. << Scusa. Non volevo gridare >>. << Sai che sei strano forte? Se non sapessi come stanno le cose lì sotto, direi hai l’umor nero da mestruazioni >>. << Ma che dici >>. Veramente lo sarei, dato che sono puntuale come un orologio e probabilmente il mio cervello è ancora impostato in quella modalità, anche se il corpo è su un’altra lunghezza d’onda… Ossantocielo! Bill… oh, poveraccio. Se è quello che penso, appena mi ribecca mi ammazza, ne sono sicura. << Sì sì, fidati, basta che ti dico una cosa. Non so se a te è mai capitato, ma è la scusa più formidabile che hanno disposizione le ragazze dopo il mal di testa, se non te la vogliono dare >>. << Sinceramente no, e comunque, non pensavo tu avessi mai avuto di questi problemi, anzi… credevo fossi tu quello a dover trovare le scuse per contenere le richieste… >>, sbotto, maligna. Sarò sempre debitrice a Kessi per avermi allenata ad affilare la lingua. L’occhiataccia che Tom mi scocca in questo momento è uno di quegli istanti che non si scorderanno mai. Dar del filo da torcere a uno come lui è una soddisfazione pari a quello che immagino essere farselo dare a letto, da lui… Parlavo del filo da torcere, naturalmente. << Che fai, tiri fuori le unghie? Un’altra cosa dovresti tirar fuori… ma non con me, eh! >>. E scoppia a ridere. Inevitabilmente, il mio pensiero corre ad una “cosa” lasciata sospesa sul mio pc, a casa… okay, una storia. Alquanto particolare. In cui i protagonisti sono loro due spesso impegnati in scene di sesso. Tra loro due. E no, non ci sono ragazze. So che è una cosa da malati –come dice Kessi ma non posso farci niente. Il mio amore “morboso” per questo tipo di storie –“Twincest”, le chiamano, credo non serva spiegare il perché, per chi conosce un minimo d’inglese è evidente- è incontrollabile. Certo,adesso dovrò dir loro addio, anche perché ho qui davanti a me Tom Kaulitz Trümper in carne e treccine –le ossa, se ci sono, non si vedono ma non se ne sente la mancanza perché in compenso ci sono i muscoli in bella vista… e che muscoli. Per niente appariscenti, levigati, definiti, perfetti. Ci farei giocare la lingua a “campana”, sul suo addome scolpito. Ohhhhh… basta basta basta! Basta Elettra, calmati. Respira. Conta fino a dieci… fatto? Be’, contane altri dieci, sai, giusto per sicurezza. Appoggia la chitarra sul divano, s’alza e sfila la sottile maglia aderente, bianco panna, che se già lasciava poco spazio all’immaginazione adesso me l’ha bruciata del tutto. Coraggio, Ele, la tabellina del 136. Dai, ch’eri brava in matematica, è facile! 136… 272… 400 e qualche co…sa… << Sei pronto? Perché Gus ci sta già aspettando in studio e Georg arriverà a momenti. Proviamo “Let me down”, oggi >>. Batto le palpebre, attonita. So che non dovrei, far finta di sapere sempre tutto eccetera eccetera, ma una canzone con un titolo così triste… Una canzone che non so cantare, soprattutto. Avrò voglia a sentirmi triste… da mania suicida, ci scommetto. << Sono pronto >>. Non è vero, non lo sono e non lo sarò mai. Ma mi tocca. << Un attimo che mi cambio >>. Ecco, bel vizio del cavolo. Prima ti chiede se sei pronto e poi ti fa aspettare. Certo che… è davvero un bel tipo, Tom. In tutti i sensi. Senza più scambiare parola –più che altro, non ho la minima idea di cosa poter dire senza mettermi nei casini più di quanto non sia già- saliamo in auto. Lui chiude la portiera, accende il motore e mi lancia un’occhiata di sottecchi. << Che c’è? >>. << Io? Niente, perché? >>. << Perché di solito quando vedi che mi dirigo dal lato del guidatore pianti un casino. Odi il mio stile di guida, e preferisci rischiare di spezzarti un’unghia guidando tu stesso piuttosto che farti venire un infarto… sono parole tue, eh, mica me le sto inventando >>. << Ma no, è che non mi sento molto bene… >>, mento ma non troppo, serrandomi le braccia al busto… non ho ancora superato lo shock del trovarmi piatta come una tavola. Non che sia una fanatica delle mie tette, ma insomma, un cambiamento così, chiaro che ci vuole un po’ a mandarlo giù. E anche uno così… Tom che mi passa lentamente una mano sulla fronte, prima dal palmo tenero, poi dal dorso vellutato. Se non ce l’avevo, la febbre, adesso mi è salita sicuro. << Sei freddo >>, osserva, e quasi mi verrebbe da ridere se non fossi troppo impegnata a non dimenticarmi di respirare. Io… fredda? Qui? Adesso? Con lui? Naaah, non penso proprio. Se mi facessero un prelievo ora penso che dalle vene aspirerebbero lava incandescente. Ma per fortuna non sto andando a fare le analisi ma semplicemente a provare una canzone… ossignore.In tutta la mia vita non avrò mai cantato più di cinque o sei volte, nel coro della chiesa e in qualche recita scolastica. Di sicuro non è quello che si può definire “una solida preparazione”. Sono spacciata, lo so. Scendiamo, io fisso la porta a vetri davanti a me e non so che fare. Vorrei filarmela alla velocità della luce ma non penso sarebbe una buona idea. << Senti, se proprio non ce la fai la proviamo un paio di volte e ce ne torniamo a casa, okay? Così ti metti a letto e te ne stai al caldo. Non puoi rischiare di perdere di nuovo la voce >>, mi mormora Tom, cingendomi fraternamente le spalle con un braccio e trascinandomi dentro l’ascensore. Aiutooo… << Potreste sempre prendere un altro cantante… >>, mormoro anch’io, abbassando impercettibilmente il tono. Magari mi venisse la raucedine, sarebbe una scusa perfetta. << Ma io non potrei certo prendere uno che non fosse mio fratello… >>. Oh santo cielo. Ma ho capito bene, o l’indigestione di ormoni a farmi sentire cose che non esistono?! << Abbiamo cominciato insieme, finiremo insieme. Se ne esci tu sono fuori anch’io, te lo ricordi? >>. Ahaaaaaaa! Meno male, parlava del gruppo. Pfiuuuuu… << Veramente no. Davvero ti ho fatto promettere una cosa del genere? >>. << No, sei stato tu a dirmelo, non te lo ricordi più? Quando ho passato quel periodo… sai, dai che lo sai. Non voglio credere che te lo sei dimenticato >>.D’un tratto si volta, mi prende le mani e mi fissa… i suoi occhi sono quelli di un agnellino che ha appena visto avvicinarsi il boia con la scure. << Bill, non te lo sei dimenticato, vero? >>. Ma no, certo che no… semplicemente, non so di cosa stai parlando, Tom. E a giudicare da quello che sembra, avrei preferito continuare a non saperlo… << No, Tom. Non potrei mai >>. E’ una bugia che mi costa cara, questa. Mi abbraccia, mi solleva appena un po’. << Grazie, fratellino. So di poter sempre contare su di te >>. Le porte argentee si aprono, lui ne esce per primo lasciando me ad arrancargli dietro, sconvolta. Cazzo, è più complicato di quanto credessi, essere Bill Kaulitz. 

<< Ele! Sei tu? >>, domanda Kessi dalla cucina. << No, sono Bill Kaulitz >>, sbotto. Mi piacerebbe che ci credesse, anche se in questo momento mi sento di tutto tranne che Bill, porca miseria ladra e infame. << Sì, certo, e io sono Madonna >>, ribatte lei sarcastica, armeggiando davanti ai fornelli; e comincia a canticchiare “Like a virgin”… ha una voce discreta ma è chiaro che non ha la minima idea di come si faccia a cantare, e questo lo dico come uno che un po’ se ne intende. Ma non è questa la cosa inquietante… piuttosto, è il modo in cui si muove, voltandosi e strusciandosi sensualmente contro la cucina, che mi fa paura. Ovviamente non parlo della classica paura da film horror, è la paura che ti prende quando non riesci a tenere a bada gl’impulsi… sarà che non faccio sesso da un po’, sarà che ancora devo assestarmi in questo mio nuovo corpo, ma… mi sento stranamente su di giri. Sì, eccitato, insomma. E quando si scioglie i capelli passandosi poi una mano tra i seni riesco per un soffio a fermarmi prima di buttar un occhio alla cerniera dei jeans. La forza dell’abitudine. << Okay, okay, basta, abbiamo capito, stai buona altrimenti prendi fuoco >>, dico, accennando col mento ai fornelli accesi. Lei si lascia cadere su una sedia, tira indietro i capelli e gli lega con la solita matita; poi mi guarda e fa: << Troppo tardi, sto già ardendo da un pezzo… sto ancora aspettando che qualcuno venga a salvarmi, e a spegnere questo fuoco che mi brucia dentro… >>. Mi strizza uno dei suoi indecifrabili occhi verdi, si rialza e torna davanti alla cucina. Certo che per essere strana è strana forte, come direbbe Tom. Sarei proprio curioso di sapere come se la caverebbe lui, se fosse qui al posto mio… << E comunque, io ti ho dimostrato di essere Madonna, ora tocca a te dimostrarmi di essere Bill Kaulitz! >>, riprende, staccandomi dai miei pensieri. Le sorrido appena. << Guarda, non ti offendere se te lo dico, ma non è che tu sappia tanto cantare… >>. << Appunto! Perché, Madonna sa cantare? >>, sbotta lei, divertita invece che offesa. Infila in bocca un cracker e salta a sedersi sul piano di marmo del mobile… vedendola così quasi non ci credo, che abbia davvero ventiquattro anni. << Spiritosa >>. << Perché, non è che neanche Bill sia tutto ‘sto granché… cantava meglio quando aveva quindici anni! >>. D’impulso inarco il sopracciglio. Ma sta parlando sul serio? << Tu dici? >>. << E certo! E’ un vero peccato che abbia cambiato voce… >>. << Be’, ma mica è dipeso da lui, eh! >>. Non è una gran difesa: tutto quello che riesco ad abbozzare senza arrossire. L’occhiata maligna che mi lancia Kess mi fa persuadere ch’è troppo tardi. << Speriamo almeno ne sia valsa la pena! >>. << Che intendi dire, scusa? >>. << E’ semplice! Perché cambia la voce nei ragazzi? Per via dello sviluppo. Le corde vocali s’ispessiscono, fiorisce la barba, spuntano i peli sul corpo… >>. Infila le mani in tasca con aria noncurante. << E soprattutto… diventano più prestanti… >>. Non so cosa guardare per evitare di fissarla. Questa ragazza ha un che d’inquietante. << Non capisco dove vuoi arrivare >>. << Che spero per lui che non sia stata solo la voce a ingrossarsi… >>. Okay, ora sto letteralmente prendendo fuoco io. Ho le guance in fiamme e temo di rialzare lo sguardo dalle mie mani… o meglio quelle di Elettra. << E che almeno lo usi come si deve, dato che ha dovuto rimetterci la voce d’angelo che aveva! Ammesso che lo usi… >>. << E tu che ne sai? Magari lo usa, e anche bene! >>. Kessi mi guarda allibita. E scoppia a ridere. << Ammazza quanto fervore! Ma poi, a te che interessa difendere Bill? Hai già abbastanza da fare a difendere Tom… perché a me la storia del viagra preso per aumentare la disponibilità di prestazioni mica mi convince! >>. Oddio. << Non capisco perché ce l’hai tanto con loro. Ma che t’hanno fatto? >>. << Che m’hanno fatto? Che non m’ha fatto, casomai! Ho subito tanti di quei traumi negli ultimi anni che è un miracolo, se mi funziona ancora il cervello! >>. << Dici? Io ho qualche dubbio >>. << No, no, fidati, ne ho subiti eccome >>. << No, parlavo del cervello >>. << Ah ah, divertente! Dobbiamo ricominciare a discutere di quando si è fatto crescere la barba? O meglio ancora dei piercing? Di quello tremendo al naso? O di quello alle labbra, totalmente pleonastico dacché ne aveva già uno sulla lingua… per sorvolare su quello che si dice abbia nelle parti intime… cioè, solo uno davvero malato va a farsi bucare in un posto del genere! E a che gli serve poi? Secondo me gli fa da impalcatura, così regge meglio quando si tira su… >>. << Kessi! >>. Sono… esterrefatto. Per la prima volta nella mia vita ho perso le parole. Sarà dura andare avanti così. Dannazione.

Sera. Finalmente. Dopo tutta una mattinata buttata ad azzardare tentativi –vani, fra l’altro- di azzeccare un attacco che andasse bene, più che parlare riesco a stento a gracchiare come una cornacchia. Ma ho comunque bisogno di sfogarmi con qualcuno. Sono stanca, nervosa, e soprattutto spaventata e piena di dubbi… E dopo aver affrontato la doccia, sono più a terra di prima. So di non aver fatto nulla di male, in realtà, però mi sento in colpa lo stesso. Una volta uscita da sotto il getto rovente non ho resistito alla tentazione di guardarmi nuda davanti allo specchio… certo che ha davvero un gran bel corpo, Bill. Slanciato, levigato, sembra avorio puro. E tutti quei tatuaggi non fanno che renderlo ancora più sensuale… E invece di tirarmi su di giri mi è venuta la depressione. Lui è quello che io non sarò mai… cioè, non un uomo, chiaramente. Perfetta. Chissà quanto lo cura, per mantenerlo così. Io non avrei né il tempo, né i soldi, né la pazienza e nemmeno la base da cui partire, naturalmente. Eppure nonostante tutto non riesco a scacciare dalla mente il pensiero che ogni rosa più è bella, più spine affilate e taglienti nasconde sotto il capolino. Non ci riesco a stare così, con questo tarlo che mi corrode quel poco di cervello rimastomi. Prendo il cellulare, compongo il mio numero. Ha un che di assurdo. Eppure è così. << Oh, ciao. Non mi aspettavo che mi chiamassi >>. << Puoi parlare? >>. << Sì, Cassandra è appena andata a prendere le sigarette, possiamo parlare. Allora, come vanno le cose da quelle parti? >>. << Così così. Penso tu ti sia beccato un’influenza bestiale, Bill… >>. << Be’, è un bene, così non sarai costretta a cantare, dato che penso che tu non sappia farlo… o sbaglio >>. << Sbagli >>, sbotto, sospirando rassegnata. << Perché, sai cantare? Ma guarda >>,. << No, sbagli a dire che non sarò costretta a cantare… perché è già successo, oggi >>. Silenzio. << Oh, misericordia… e che t’hanno fatto cantare? >>. << ”Let me down”… posso farti una domanda? Ma quanti bicchierini di vodka avevi mandato giù, quando hai scritto quella canzone? Perché solo un depresso cronico sbronzo all’ultimo stadio può aver scritto una roba del genere, è peggio di una lametta, la ascolti e le vene ti si aprono da sole! >>. Altro silenzio. Ops, mi sa che l’ho offeso. Poi, una lieve risatina. << Quella non l’ho scritta io, l’ha scritta Tom! >>. << Tom?! Quel Tom? Tuo fratello? Ma mi prendi per il culo? >>. << Nein, spiacente. L’ha scritta proprio lui… è stato durante un periodo un po’ particolare, una cosa che sappiamo soltanto lui, io, David e il dottor Heinz… >>. Mi viene meno il fiato, sentendo nominare un medico. << Basta, non voglio sapere niente. Kessi aveva ragione a dire di non fidarsi della faccia da bravi ragazzi, tutte le rockstar hanno torbidi segreti… >>. Eh! Alcol, droga e sesso. La ricetta di ogni tizio nelle loro stesse posizioni e condizioni. << Ma che film ti stai facendo?! Guarda che se pensi male hai sbagliato proprio >>, mi rimbrotta lui, quasi trattenendo una risata. << In poche parole, circa un anno e mezzo fa giocando a basket Tom si provocò delle microfratture alle dita di entrambe le mani; il dottor Heinz, stimatissimo chirurgo di fama internazionale, lo visitò e disse che solo con molto riposo e una lunga fisioterapia le sue mani sarebbero tornate ad essere quelle di prima. Lui temeva di non riuscire più a suonare e… così gli dissi che se usciva lui, dal gruppo, lo facevo anch’io. D’altronde, quando io ho avuto il terrore di non poter più cantare dopo l’intervento alle corde vocali, lui mi disse la stessa cosa >>. Triplo sospiro di sollievo. Quella malfidata di una Cassandra… per colpa sua a momenti mi prendeva un infarto. << Meno male >>. << Già. E comunque, dì alla tua coinquilina che non è che soltanto perché qualcuno è famoso, necessariamente dev’essere un drogato o un delinquente… >>. << Ah, penso che faresti prima a dirglielo tu. Ma tanto lei da quell’orecchio non ci sente… è troppo impegnata a pensare di te tutto il male possibile >>. << Me ne sono accorto >>. << Ma fa così solo perché è pazza di te. In realtà ti adora >>. << Non ne sarei tanto sicuro! Ad ogni modo te lo devo dire: sei un’eroina, Elettra. Tra la tua coinquilina, la stronza di ghiaccio che hai come collega e tutto il casino di contorno, per me è un mistero come tu riesca a sopravvivere… >>. << Ahahahahahahah! Hai conosciuto Martine, allora! Che ne pensi? >>. << Che la detesto. Oggi mi ha costretto a pulire i bagni, quella stramaledetta! >>. << Dai, un assaggio di realtà non fa mai male >>, replico che sto ancora ridendo. << Canti perché te la sei scampata, vero? >>. Mi porto d’impulso una mano alla fronte. << Non osare nominare quel verbo, Kaulitz, ti prego. Spero di alzarmi con la febbre a cinquanta, domani mattina! >>. << Pensi ti serva come alibi? Io sono andato a lavorare nonostante il ciclo, pensa un po’ te! >>. Ed è adesso che comincio a ridere tanto da rotolare sotto il tavolo. << Sì, ridi, ridi. Davvero divertente, no? >>. << Povero… mi spiace davvero tanto! >>. << Non si direbbe proprio >>. << Semmai usciamo da questo casino, ricordami che ti devo un favore >>. << Più di uno! Ehi, devo chiudere, è tornata Kess. Trattamelo bene, mio fratello, okay? >>. << Okay. ‘Notte >>. << Anche a te >>. Chiude la conversazione, lasciandomi nel buio e nel silenzio assoluti. Tom è uscito, non ho avuto il coraggio di dirglielo; soprattutto, non ho avuto il coraggio di ammettere che, se dipendesse da me, lo tratterei più che bene. Fisso di nuovo il quadretto ch’è di fronte a me. A furia di rileggerle all’infinito nelle ultime tre ore, quelle brevi righe le ho imparate a memoria ormai.

“Signore,
Dammi la forza di cambiare quello che posso cambiare,
il coraggio di accettare quello che non posso cambiare,
e la saggezza per distinguere tra quello che posso cambiare
e quello che non posso cambiare.”.


Bella, questa non c’era tra tutte quelle che ho recitato stamattina. Ma penso che mi convenga mettercela, la prossima volta. Me ne servirà parecchia, di forza. Ma soprattutto di coraggio. Perché ancora non ho ottenuto la saggezza necessaria a comprendere se questa situazione potrà mai cambiare… O se invece resterò per sempre così. 
Santo cielo. Non ci posso pensare.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3
 

 
“Buongiorno mondo”.
La prima frase che sento appena accendo la tivù. E ricambio il saluto con una smorfia. Fa parte di un ottimismo che generalmente non mi appartiene. Oggi, poi, è peggio del solito.
Stanotte mi sono alzata per andare in bagno… merito di tutta la camomilla che mi sono scolata ieri sera, nel tentativo di alleviare la tachicardia. Tentativo vano: mi sono addormentata di sasso sulla poltrona davanti alla tivù ancora accesa per svegliarmi molto tempo dopo, da qualche parte nel bel mezzo della notte, col cuore che ancora tamburellava furiosamente.
Non era ancora rientrato. Chiaramente, aveva altro da fare che occuparsi di suo fratello vittima di qualche male sconosciuto e misterioso… la sindrome della sfiga cronica.
Poi ho cominciato a captare anche qualche segnale proveniente da questo corpo, e avevo la vescica in piena crisi. Mi sono alzata, a fatica, e al buio, mezza impastata di sonno ho arrancato su per le scale. Ho aperto la porta del bagno, convinto fosse vuoto ma…
<< Oh santa miseria! >>.
<< Bill? Tutto okay, fratello? >>. Tom, completamente –e rimarco il completamente, santo cielo- nudo come Simone Kaulitz l’ha fatto, impegnato in quello che ho ritenuto lì per lì un… massaggio alquanto “personale”.
Dove sono i blackout, i terremoti, i maremoti quando servono? Mica è giusto, che si verificano quando gente innocente non se li aspetta e non quando una povera disperata come me si ritrova faccia a… faccia con certe situazioni.
Tutto okay? Ma tutto okay cosa? Domanda al mio ventricolo sinistro, ch’è fottuto. E l’atrio destro sta per seguirlo a breve termine.
Ho esaminato da cima a fondo ogni millimetro quadrato di parquet sotto i miei piedi, per evitare di guardare lui invece da cima a fondo, passando dal mezzo.  
E perdere del tutto il lume della ragione… ossignore, ma che ho fatto di male?!
<< Penso… >>, ho risposto, in tono molto poco convincente.
Ha spalancato l’anta del box doccia, ci si è infilato dentro e ha aperto il getto d’acqua. << Come va l’influenza? >>.
<< Ehhhh! Alla grande >>. Preferivo beccarmi la cinese, l’australiana e pure la spagnola, tutte insieme, piuttosto che un tedesco soltanto, ma… così… così…
No, non ce la faccio. Devo obbligatoriamente saltare dalla finestra, adesso.
E sperare di farmi molto male. << Sai, eri così carino, dormivi beato come un angioletto, che non ho avuto il coraggio di svegliarti. Ti avrei portato volentieri in braccio ma… >>.
<< Ma? >>, ho domandato pure, come una cretina! Cioè ma si può?Invece d’inquietarmi per una roba simile, ho lasciato trasparire tutta la mia delusione per quel contatto-decisamente equivoco, tra l’altro- mancato.  
<< Be’, sai, non credo che su di lei avrebbe fatto una buona impressione… girano già tante di quelle voci, su noi due! >>.
<< Ma davvero? >>, ho chiesto allora, stordita dal sonno interrotto, dai postumi della sbronza di camomilla e dalla nebbia profumata di mandorle che andava saturando la stanza.
<< Già. Roba da malati seri, non credi? >>. Ha riaperto l’anta e ne uscito, gocciolante e incantevole… un dio marino appena riemerso dai flutti oceanici. Ha afferrato un asciugamano e cinti i fianchi di quella morbida spugna –se torno donna mi faccio assumere alla Bassetti come telo, giuro- mi è venuto accanto.
<< Ma tu, cos’eri venuto a fare qui? >>.
<< Chi, io? Dovevo… andare in bagno >>. Il che è già di per sé un’operazione alquanto imbarazzante e prolungata, ma è un male necessario.
<< E vacci, no? >>.
<< Davanti a te?! >>, sono sbottata, scandalizzata. Lui mi ha guardata strana –com’era logico- e ha replicato: << Ma sei davvero sicuro di sentirti bene? >>.
<< Benissimo. Meglio di così si muore >>. Ed io ero appunto sulla buona strada.
<< Mi fa piacere. Be’, io torno di là, Kate mi starà aspettando… >>.
<< Chiii? >>. Solo in quel momento ho realizzato che doveva essere in… dolce compagnia; e che quello che io avevo preso per un “solitario” era in realtà una pausa per sciacquarsi di dosso i residui della mano di poker precedente…
Oh, merda.
<< Ma sì, Kate, quella di cui ti parlavo l’altro giorno… l’ho incontrata di nuovo e l’ho invitata a cena, e poi,  sai com’è, dopo l’antipasto, la cena, la frutta, giustamente le tocca il dolce… >>, ha mormorato, aprendo l’asciugamano…
E’ stato l’attimo in cui mi sono resa conto che avere tutte e dieci le diottrie “intere” non sempre è un bene. Avrei preferito essere miope, presbite, o magari cecata del tutto. Ho rischiato di diventarlo, grazie al riverbero della luce sui piercing… ma mi è andata male, e comunque ormai non sarebbe servito.
Era già troppo tardi. 
<< Tom, piantala! >>.
Lui è scoppiato a ridere e mi ha tirato una leggera pacca sul sedere… lui, a me! << Piantala tu, invece! comunque vado, così ti lascio da solo e fai quello che devi fare… visto che ormai sono quelle le uniche occasioni in cui gli fai prendere un po’ d’aria, a quel poveraccio! >>.
Non c’ho visto più. << Vaffanculo! >>, gli ho sibilato contro, sbattendo la porta. Mi ci sono asserragliata contro, sospirando arresa. Il primo match si era appena concluso, e adesso me ne aspettava un altro anche più preoccupante.
Credo di averci messo almeno tre minuti a slacciare i jeans. E almeno cinque per abbassare i boxer. E quando finalmente ero riuscita a… “prendere in mano la faccenda”, con un sano stoicismo da fare invidia anche a Marco Aurelio che dello stoicismo era un portabandiera, dalla camera adiacente hanno iniziato a diffondersi dei rumori sospetti… e dei versi inconfondibili… gemiti femminili di una fortunata sull’orlo dell’  (ennesimo) orgasmo.
Sempre molto stoicamente, ho inarcato un sopracciglio –non quello col piercing, l’altro- e ho cercato di concentrarmi su quello che mi accingevo a fare, cioè svuotare gli ureteri, se tutto andava bene. Ed è andato davvero tutto bene, se non fosse stato che…
Lo avevo ancora in mano quando ho sentito mugolare Tom. Non oso ripensare a quello che è accaduto dopo… ma non è stata colpa mia! Ero esausta, intontita, incazzata, non sarebbe dovuto succedere!
E invece è successo. E se lo sapesse Kess, farebbe come fanno coi ladri nei paesi arabi: tagliano la mano destra.
Per la verità sono stata tentata di farlo anch’io… un bel taglio netto. Ma un po’ più su, sul polso. Magari su entrambi.
Ma l’ultima dose di stoicismo a mia disposizione mi ha convinto a lasciar perdere e tornare di sotto a farmi un’altra camomilla. Saggio consiglio, ma purtroppo la camomilla era finita. In frigo erano rimaste solo coca e una mezza bottiglia di vodka…
Oh, lo sanno tutti che la coca contiene caffeina, no? Così mi sono trascinata  sul divano, a scolarmi tutta la vodka rimasta, fino all’ultima goccia. Mai bevuto così tanto in vita mia.
Fosse almeno servito. Macché. Anche da sbronza udivo distintamente il casino proveniente dalla camera di Tom. Solo, riuscivo ancora meno a tenere a bada i pensieri, che ora si riversavano come un fiume in piena nella mia mente annebbiata dall’alcol. Ero ubriaca marcia, furiosa come una belva eppure… assurdamente eccitata. Il fastidio che avvertivo contro la zip dei jeans diventava ogni istante più… fastidioso, per l’appunto; ma neanche a peso d’oro mi sarei convinta a toglierli. Non avevo il coraggio di imbarcarmi in un’altra impresa del ca… volo, accidenti.   
Se pensavo che quella di prima fosse una vita schifosa, questa è diecimila volte peggio.
E stamattina poi, è peggio che mai.  Davvero, non può andare peggio di così.
Un fischiettare sospetto giù per le scale mi costringe a ingoiare la mia ultima osservazione. “Mio fratello”, fresco di doccia, entra in cucina con una tale rilassatezza e allegria che… mi vien voglia di prenderlo a morsi. No, niente di erotico: a morsi veri, di quelli che fanno male.
<< ’Giorno! >>. Ora lo ammazzo. Non esiste che se ne sta bello tranquillo e felice dopo tutto quello che mi ha fatto passare stanotte.
<< Col cavolo >>.
<< Ehi, fratellino… che ti succede? Non mi dai il voto, come al solito? E sì che Kate l’ho fatta gridare… ha urlato così tanto che stamattina non ha nemmeno la forza di alzarsi dal letto… >>, ammicca, battendomi con la mano sulla schiena.
E’ troppo. Il mio cuore piagato, il mio amore sofferente non è disposto a tollerare un solo miserabile fiato di più. Mi alzo dal tavolo, vado nell’ingresso a recuperare il cappotto.
<< Dove vai? Non puoi uscire, non stai bene >>.
<< Sto benissimo, non ti preoccupare. Ho soltanto bisogno di prendere una boccata d’aria >>. E un paio di antidepressivi. Infilo le mani in tasca alla ricerca delle chiavi; ma una presa ferrea sul mio polso mi blocca. Mi obbliga a voltarmi, a fissarlo. I suoi occhi sono pieni di una luce che… non riesco a leggere, a decifrare. E’ una luce cupa, buia, assomiglia a ferite di sole aperte nel nero delle nubi compatte durante le tempeste. E’ una luce che non ha nulla di dolce, di rassicurante… è amara. Dolorosa. E’ una luce che incute timore e contemporaneamente ispira pena.
<< Bill… >>.
<< Lasciami, per favore >>. Un ventaglio roseo di dita aperte, come un fiore che sboccia. Mi lascia per davvero, mi lascia andare via.
Mi dispiace, Tom. Ma è meglio così, credimi.
Sono soltanto una stupida. Che sta disperatamente cercando di proteggere, e proteggersi, dalla realtà delle cose.
Ma non riesco a farmi a meno di chiedermi quanto ancora resisterò, prima di esplodere.
Mi spiace anche per te, Bill. Rassegnarmi a quello che non posso cambiare… non è così facile com’è scritto.
Per la prima volta nella mia vita, davvero mi rendo conto che non so dove andare. E torno sui miei passi prima ancora di aver raggiunto la strada principale.
<< Già di ritorno? >>, domanda Tom come niente fosse successo? Annuisco. Non posso combinare altri casini. Anche perché poi non sono io a finire nei guai.
<< Sì. Scusa per prima, ma lo sai, quando non mi sento bene sono un pessimo paziente… >>.
<< Non ti preoccupare, ti capisco… d’altronde, questo è niente: ricordi quand’eri in clinica quante me ne hai fatte passare? >>.
<< Mhhmmmm… >>. Una mezza verità. Finalmente.
Sembra che stia quasi per mettersi al bello, che questa giornata non debba essere ancora tutta da buttare… quando un passo felpato attraversa il soggiorno e ci raggiunge.
Oh, cavolo! 
<< Ehi, ciao, splendore… >>. Tom si volta a baciarla su una guancia, poi si sposta rapidamente sulla bocca, carpendola con la propria, succhiandola e mordendola; io alzo gli occhi al soffitto sperando la piantino in fretta.
<< Kate, ti presento mio fratello. Lui è Bill. Bill, lei è Kate… saluta, Kate >>.
<< Ciao >>. Ma quanti anni ha? Dal corpo –seminudo, tra l’altro, questa… mah, vabbé, lasciamo perdere- gliene darei venti, ma il tono melenso e infantile della voce ne scalano almeno dodici da questa cifra. Le chiederei volentieri se ha lasciato il cervello di sopra, assieme al resto dei vestiti ma so che Tom non gradirebbe e lei non capirebbe, quindi tanto vale far finta di niente.
<< Piacere >>, replico, con un tono che implica tutto il contrario. Lei mi guarda, sorride come un’allocca e si raggomitola sul petto di Tom. Mmmmhhhh… santa, santa, santa pazienza. Ti prego, dammi la forza.
<< Hai già fatto la doccia, a quanto vedo… peccato. Speravo mi aspettassi >>, mormora lei, e improvvisamente riprende tutti gli anni mancanti. Porca miseria.
<< Mi sarebbe piaciuto, ma purtroppo io e Bill alle nove dobbiamo presentarci in sala d’incisione e siamo già piuttosto in ritardo… >>.
<< Capisco. Allora… non credo tu abbia il tempo di riaccompagnarmi a casa, vero? >>.
<< Be’, forse… >>. Dà un’occhiata all’orologio da polso. << Magari intanto che Bill si prepara… sai com’è, a lui ci vuole un’eternità per truccarsi >>.
Kate ride e a me viene voglia di sbatterle la caffettiera in faccia. Ma so che lei non è la colpevole, è con quell’infame di Tom che me la devo prendere.
<< E’ una fatica che si potrebbe risparmiare… visto che siete già così incantevoli… >>, mormora lei, prima di allungarsi a baciarlo di nuovo.
Sto per vomitare. O la piantano o li ammazzo e li seppellisco in cantina.
<< Oh, grazie, molto gentile >>, replico, invelenita. Lei, naturalmente, non coglie; si limita a sorridere come una demente.
<< Figurati >>.
<< Okay, fratellino, allora noi andiamo… chiamami quando sei pronto >>. Tom si alza, Kate lo precede e quando siamo soli fa: << Vedi di metterci un po’, mi raccomando! >>.
<< Ah, sì, stai tranquillo >>, borbotto. E appena sono sola, crollo la testa sul tavolo.
Vorrei chiamare Bill, quello vero. Ma di certo a quest’ora starà lavorando e maledicendo me e Martine.
Poveretto.
Il cellulare squilla, per un attimo spero che il cielo abbia ascoltato le mie preghiere e sia lui a chiamarmi, ne sono così convinta che rispondo senza nemmeno guardare il display… << Pronto? >>.
<< ’Giorno, Bill, come va? >>.
Peggio di così si muore, grazie, ma tu chi diavolo sei? << Be… bene >>.
<< Sicuro? Sembri più reduce da una sbronza colossale, che da un’infreddatura >>.
<< Chi, io? Ma per favore >>. Accidenti. Chiunque sia sembra conoscere Kaulitz davvero a fondo. Emotivamente, intendo.
<< Comunque, ho provato a chiamare tuo fratello, ma è spento >>.
Già. Chissà come mai. Quel… ah, non ho neanche il coraggio di usare la definizione più appropriata. Lo penso con la testa ma il cuore non ce la fa a mandarla giù. << Ah ah >>.
<< Siete pronti per stasera? >>.
<< Stasera? >>. Uno sparo in piena notte mi avrebbe fatto venire la tachicardia meno velocemente. Che diavolo mi aspetta, di nuovo, stasera? Mai una volta che si possa stare spaparanzati in santa pace davanti alla tivù.
<< Sì, Bill, stasera. Dimenticato che avete un téte-a-téte con le fan al Dark bloom? Ma dove stai con la testa? >>. Ahhhh… adesso penso di aver capito chi è. E’ David Jost, il manager dei ragazzi.
Mhh. Bene. << Sì, certo, scusa, che scemo >>.
<< Ma stai prendendo qualcosa? >>.
<< In che senso, scusa? >>.
<< Per l’influenza, Bill, l’influenza >>. Pausa. Sospiro. Pausa. E naturalmente, ripresa. << Figliolo, c’è qualcosa di cui vorresti parlarmi? >>.
 << A che proposito? >>.
<< Di te. Che sta succedendo, ah? Prima sembri sull’orlo della depressione, poi ti prendi, e dico così perché voglio far finta di crederci, un’influenza che ti fa dimenticare gl’impegni e le tecniche canore… Gus era molto preoccupato >>.
Ma va’?Addirittura.  << Davvero? >>.
<< Sì. Non ti hai mai visto ridotto come ieri mattina >>.
Be’, nemmeno io mi avevo mai visto ridotta così. Prima di stamattina, ovvio. << Senti, David, è tutto okay. Sono soltanto un po’ raffreddato e molto stressato. Ma è tutto apposto, davvero >>.
<< Posso fidarmi di te, vero? Già c’è il tuo gemello ch’è completamente inaffidabile… ma lo sa almeno, che alle nove dovete riunirvi per le prove? >>.
<< Sì lo sa, lo sa >>.
<< E verrà? >>.
<< Ah, questo non so dirtelo, dipende da quanto se la cava Kate… >>, borbotto, l’irritazione che riaffiora.
<< Chi? >>.
La stessa domanda che ho posto io stanotte. Peccato che per certe cose si possa trovare tanto facilmente la risposta. << Niente, lascia perdere >>.
<< Allora mi raccomando, puntuali alle nove per il téte-a-téte. Va bene? >>.
<< Be’, dato che io non ne ho, se le portano le fan per me va bene >>.
<< Ma di che stai parlando, scusa? >>.
<< Delle “téte”, no? >>. E scoppio a ridere. Fa schifo ma è la mia prima battuta della giornata, mi serve a risalire la china.
Dall’altro lato, silenzio. Se fosse una videochiamata probabilmente in questo istante vedrei David che si sta grattando la tempia. Poveretto, anche lui. << Bill, ma puoi giurarmi che davvero non c’è niente che vuoi dirmi? Perché sei strano forte, come direbbe tuo fratello >>.
<< Non mi sembra di esserlo meno del solito >>.
<< Ah, ecco. Vabbe’, cercate di farvi trovare lì per l’ora stabilita. Okay? >>.
<< Yes, master. Okay >>. Chiudo la conversazione –meno snervante di quel che credevo, in fondo- e tiro un sospirone di sollievo. Dovrò solo parlare e firmare autografi, non si canta grazie al cielo.
Spero.
 

 Non capisco. Non capisco come ho fatto a farmi infilare contro la mia volontà – è vero, maledetto me, l’ho cantata una canzone con questo titolo, e l’ho pure scritta io, sfido che ora mi porta sfiga- questo vestitino nero a pois bianche dalle bretelline inesistenti e la gonna a palloncino, questi trampoli assassini camuffati da dolci, innocue scarpine di raso nero, le autoreggenti –dove sono i piercing, quando servono? Almeno se le smagliavo, me ne potevo sbarazzare senza sentirmi in colpa per Kess che me le ha prestate- lasciarmi convincere a farmi truccare da lei? Io?! Ma se mi trucco da prima che cominciasse a farlo lei, come minimo! Solo che non glielo potevo dire.
Però avrei sempre potuto dirle che avevo ancora i dolori del ciclo. In realtà, è quasi passato –è vero, sono stati tre giorni terribili ma in compenso è durato meno del solito, almeno per quello che me so io- ma pur di non travestirmi così e seguirla in un giro dei locali, sarei quasi stato più felice di averli per davvero.
<< Sei bellissima! >>, esclama Kess, battendo le mani. Ho qualche difficoltà a crederci, visto che mi sento un pinguino in tutù di voile e devo ammettere che non c’è nulla di peggio che dover andare in giro con un abito che sembra tenersi su solo con la forza di volontà, meno efficace tra l’altro di quella di gravità che tira nel senso opposto. E i ferretti che mi stanno incidendo la cassa toracica… non mangio carne perché non tollero le violenze sugli animali, ma a quelle sugli esseri umani non ci pensa nessuno? Aiuto!
 << Davvero? >>.
<< Ah ah! Rimorchierai un casino, stasera, Ele! E sono più che certa che non tornerai a casa da sola, stasera… >>.
Inarco un sopracciglio. << Mi pare ovvio. Ci torno con te no? >>.
<< Dai, scema, hai capito cosa volevo dire >>.
Più di quanto ci tenessi a comprendere, grazie.
<< Se ci vedesse Martine le verrebbe la schiuma alla bocca >>.
<< Sicuro. Perché appena comincia a sputare sentenze gelide le preparo un cocktail col Cillit Bang >>, replico, invelenito. Sono nervoso, cazzo se lo sono… mica è facile non avere nulla sottomano per un pezzo e improvvisamente ritrovarsi con due bocce da bowling appese allo sterno.
E rischiare di eccitarsi solo guardandosi allo specchio. Alla faccia di chi mi vuole gay. Probabilmente, se in questo momento avessi mandato giù un paio di bicchieri, darei un braccio e una gamba per esserlo davvero. Peccato che abbia altre tendenze. Mi piacciono le donne, guarda un po’.
<< Ehi, sei pronta? >>.
No. E non lo sarò mai. Ma non ho altra scelta. << ah ah >>.
<< Allora andiamo! Ehi, Ele, ma t’immagini se… >>, Kess s’interrompe, chiude la porta di casa e infila le chiavi in tasca.
<< Se? >>.
<< Se li incontrassimo… >>.
Ahhhh… no, per favore, pietà, sono tre giorni che non sento altro che maledizioni sui miei piercing, sul mio povero parrucchiere –devo trovare dieci minuti di tempo per contattarlo e vedere se è ancora vivo, con tutti gli anatemi che gli ha scagliato addosso Cassandra- e su un’infinità di altre cose che sto cominciando ad odiare anch’io.
Porca miseria. << Be’? >>.
<< Come “be’”? Ma ti ha dato di volta il cervello? Devi smetterla di leggere quelle storie, altrimenti tra un po’ va a finire che ci credi davvero a quelle cazzate! >>.
Batto le palpebre. << Quali storie, scusa? >>.
<< Seee, fai la finta tonta, fai! Le Twincest, di quali storie credi che parli sennò? Mica leggi altro. E fai male. Quei due non ce l’hanno una relazione, te lo dico io >>.
Sto per domandare che siano “quei due” ma il buon senso e una certa dose di lucidità mentale mi suggeriscono ch’è meglio lasciar perdere, tanto non c’è possibilità che mi sbagli.
Santo cielo. Sta parlando di me e… Tom? Oddio. Ma che razza di storia è questa?! E’ un film dell’orrore, o almeno sta prendendo tinte molto fosche. Vero che ci adoriamo e abbiamo un legame molto particolare, cavolo, ma non a questi livelli!
Elettra, Elettra, dannazione, ma chi sei? Una specie di Dottor Jeckyll e Mister Hyde? No, perché io devo pur regolarmi eh!
Meglio far finta di sapere cosa sta blaterando, anche se non mi entusiasma per niente. << Dici? >>.
<< E certo! A com’è delicatino Bill, se è vera la storia che Tom ha sei piercing lì sotto, non ce lo vedo a prenderli tutti! Minimo al terzo è già pronto per il ricovero! >>, e giù a ridere.
Beata lei. Io per poco non mi schianto giù per le scale. E nonostante tutto riesco ancora a credere che ne uscirei più intero che da una serata con lei.
Ha anche la faccia tosta di voltarsi e piantarmi in faccia due occhioni serafici. << che è, ti ho scandalizzata? >>.
Chi, io? No, nient’affatto. Mi hai semplicemente procurato uno shock cardiaco, Kess. Il primo passo verso l’infarto miocardico. E io che volevo smettere di fumare per preservare la salute del mio povero cuore… << Per così poco? Naaaah… >>.
<< Ah, be’, meno male! Visto che ormai hai letto di tutto, tra sesso anale, orale, roba a tre, a quattro, a cinque, con maschi, femmine e pure animali, per non parlare di quelle porche sadiche che fanno legare a Tom il povero Bill, glielo fanno frustare a sangue e poi… una girata, una voltata, e vai ch’è pronto per l’infornata! >>.
Oddio, qualcuno mi salvi, questa ragazza è pazza… completamente. Pazza e pericolosa. << Poraccio davvero, non lo invidio proprio. Se quelle maniache sapessero quant’è fastidioso prenderlo così, ci penserebbero due volte. Ma di certo quelle che scrivono sono tutte verginelle assatanate che credono che il sesso sia il Paese dei Balocchi. Beate loro che c’hanno ancora ‘ste illusioni >>.
Ma guarda un po’, un ragionamento simil-sensato… e amaro, per giunta.
Sarei proprio curioso di spiare dietro quella corazza. Vedere cosa si muove dentro la sua testolina… se è davvero tanto “sfrontata”, o se è soltanto una farsa, perché è stata ferita… << Perché, tu non ne hai? >>.
Lei alza le spalle. << Forse. Però di sicuro so che il sesso non è un gioco. Ci si può parlare, ridere e scherzare all’infinito, ma tra il dire e il fare… >>.
<< Già >>.
Le scocco un’occhiata di traverso. Vorrei tanto farla aprire, almeno un po’… e chiaramente non parlo della zip dei suoi jeans. Ma della sua anima. << Ma… >>. Poi mi rendo conto che con Kess non si sa mai come va a finire.
E scelgo di tacere. << Ma? >>, fa lei, sospettosa.
<< Ehm, dicevo, ma come mai in casa porti gli shorts e fuori solo jeans lunghi? Mi sembra un po’ strano… >>. Bella pensata, Kaulitz, complimenti. Qualcosa di più intelligente no, eh?
<< Non mi piacciono le mie gambe. Sono corte >>.
<< Ah >>.
<< Tanto in casa ci sei solo tu che mi guardi, quindi non c’è motivo per cui debba preoccuparmi! >>.
Ne sei così sicura, Kess? << Ma davvero? >>.
<< E certo! A te mica devono piacere! >>.
<< Giusto >>.
Forse l’ho detto troppo in fretta. << O sbaglio? >>.
<< Ah? Ma no, no, c erto che no. Hai perfettamente ragione >>.
Mi viene accanto mentre camminiamo, inclina la testa e stringe gli occhi. Il mezzo sorriso sornione che le incurva le labbra mi lascia intendere che ho comunque combinato un casino. << Che c’è, signorina Colli? Non mi nasconderai forse una qualche strana predilezione per le donne? >>.
<< Chi, io? Ma finiscila! >>. Ecco, lo sapevo io che dovevo starmene zitto, in religioso silenzio. Magari fingere un attacco di mutismo.
Ma per mia disgrazia il parlantino di casa sono io. E rimpiango non ci sia Tom, al mio posto. Lui riesce sempre a venirne fuori con un certo stile, da questi impicci… o ti guarda malissimo e non risponde, o se ne esce con una battuta fulminante che tronca immediatamente ogni tentativo di provocazione.
Purtroppo sono Bill. E devo cavarmela a modo mio. Anzi, a modo di Elettra, accidenti.
<< Anche ammesso… non ci sarebbe nulla di male >>, conclude, spero.
<< Ah, Kess… sei incredibile! >>.
<< Grazie. Anche lei non è da buttar via, signorina Colli… >>, mi occhieggia da sotto il ciuffo ribelle di ricci sulla fronte. Scuoto la testa.
<< Molto gentile >>, replico, sarcastico. Ma Kess di sarcasmo comprende soltanto il suo e sorride, per niente rassicurante.
Sì. Devo essermi comportato molto male in una vita precedente, per meritarmi questo…
 
Okay. Non dirò mai più che firmare autografi è una cosa da niente.
Non mi sento più il braccio destro. Per la verità neppure il sinistro. E nemmeno le gambe. Sono distrutta… l’unica cosa che desidero è fare una doccia bollente e andarmene a letto.
Non so se riuscirò a reggere questi ritmi a lungo. Soprattutto, non so se riuscirò a reggere a lungo Tom che fa il deficiente con ogni ragazza carina e poco vestita che gli si para davanti. E lo sa solo il cielo se non ce n’erano d’avanzo, stasera…     
Ho intenzione di non guardarlo più faccia per il resto della serata, della nottata o di quel che è. Ho perso la cognizione del tempo… da quando ho levato l’orologio. E’ stata una scelta obbligata: nonostante il cinturino regolabile stava per farmi perdere una mano causa scarsa ossigenazione periferica –da dove tiro fuori ‘sti paroloni non so neppure io, devo aver guardato troppo “Dr. House” ieri sera-. Accidenti a lui e ai suoi polsi da bambolina. Se non fosse un argomento così imbarazzante lo chiamerei e gli domanderei come cacchio è possibile che un ragazzino esile come lui possieda un… -ehm, vabbe’, a buon intenditore poche parole- di tutto rispetto.
Elettra, per la miseria, ma ti sembrano cose da pensare? A parte che se lo sa Kess ti spella viva e poi ti griglia come una melanzana, stai anche per andare a fare la doccia, quindi smettila e comincia a pensare ai bicchieri dietro il bancone del bar… tutti quelli che brami follemente rompere in testa a quella stronza di Martine.
Sembra che funzioni. Dopo i venticinque flute sono più che pronta ad entrare nel camerino, spogliarmi e…
<< Ossantocielo!!! >>. Troppo tardi. C’è chi l’ha già fatto per me.
Oh, merda. Lo sapevo che doveva succedere, era solo questione di tempo.
<< Ciao, Bill >>. La ragazza si alza, rivelando così di essere… completamente, nuda. Mi sforzo disperatamente di non mettermi a ridere, perché potrebbe anche prenderla male e decidere di lanciarmi contro qualcosa di tagliente o contundente. O peggio ancora, dare stasera stesso in rete la notizia che Bill Kaulitz è un frocio fatto e finito. Così poi potrò sentirmi in colpa per sempre se Kessi nel frattempo si taglia le vene.
<< Ehm… ciao… >>.
<< Nicole. Mi chiamo Nicole >>, fa lei, avvicinandosi a lunghi passi sinuosi… oddio ti prego fa che non mi scappi da ridere. Tira indietro i lunghi capelli neri, ondulati, e si offre a quello che lei crede essere lo sguardo di Bill.
Che pastrocchio. Poveraccia, però. Un po’ mi fa pena. Se sapesse… non mi squadrerebbe come un lupo che ha puntato un leprotto. << Ehm, ciao, Nicole. Posso chiederti… cosa ci fai qui? >>.
Lei mi scocca un’occhiata del genere: serve chiedere?
Ma no, ovvio che no .Meglio rimediare, prima che si cominci a dire in giro che Bill oltre che frocio è pure rincoglionito.  << Intendevo dire come hai fatto ad arrivare fin qui. Se non sbaglio c’è la sicurezza, fuori >>.
Sorride leggermente. << Semplice… ho leccato diligentemente uno degli addetti, per poter entrare senza difficoltà… >>. Si avvicina, si innalza sulle punte dei piedi nudi –carino lo smalto blu elettrico, però- e mi sussurra all’orecchio: << Quindi spero che tu faccia altrettanto con me… prima di entrare >>. Torna giù e mi fissa di sottecchi da sotto la frangia.
Sono… perplessa. E’ la prima volta che ricevo avances da una donna. Ma lei, ovviamente, non immagina. Povera, povera Nicole. Povera davvero. Non è neppure niente male: non che io sia un’estimatrice di bellezze femminili, però un po’ ci capisco. E capisco che al vero Bill spiacerà sapere che si è perso una nottata rovente con lei.
<< Ehm, Nicole, ti ringrazio molto dell’offerta, ma vedi… sono molto stanco. Davvero >>.
Ma lei non si arrende. << Posso farti un massaggio. Ho fatto un corso, sai? >>.
<< Grazie ma sono davvero, davvero stanco. E vorrei solo fare una doccia. Da solo >>, puntualizzo, a scanso di nuovi possibili equivoci. Dalla serie: E che cavolo Nicole, molla l’… ehm, l’osso, volevo dire l’osso.
<< Forse… non mi consideri alla tua altezza? >>, insiste lei, corrucciando lievemente le labbra ambrate. Carino anche il lucidalabbra, ma l’accostamento con lo smalto mi pare un po’ azzardato.
Ma per una che si fa trovare completamente svestita nel camerino di un tizio famoso cosa c’è di realmente azzardato? << Ma no, no… assolutamente non è questo. Vai benissimo anche se non sei alta un metro e ottanta… >>, cerco di scherzare, per addolcire la pillola a questa poveretta. Vorrei dire mal comune mezzo gaudio ma non ce la faccio, nonostante sia così sfigata non riesco a godere delle disgrazie degli altri.
<< Uno e ottantatré. Sono informata, sai?Quasi più di te >>, sorride lei,mostrando un leggero rialzo delle sue quotazioni di autostima. Fottuta forza dell’abitudine… è Tom ad essere alto uno e ottanta. Che sia dannato anche lui. Dove cavolo è finito? Se almeno si degnasse di venire a chiedere che fine ho fatto, forse potrei uscirne meglio. << Ma sì, facevo così per dire. Volevo dire che sei molto bella, ma… proprio non sei il mio tipo. Mi spiace >>.
<< Hai sempre detto che non è l’aspetto fisico che conta, ma quanto una ragazza riesce a colpirti alla prima impressione. Speravo di riuscirci >>, fa lei, quasi singhiozzando. Sarei tentata di batterle una mano sulla spalla per consolarla, se non temessi che possa interpretare male il mio gesto. Così incrocio le braccia.
<< Sì ma… tesoro, non intendevo in questo modo. Dicevo spiritualmente… emotivamente. E’ vero, per me non è tanto l’aspetto fisico che conta, ma quello che una ha dentro… >>. E che quasi si vede, grazie all’impeccabile ceretta brasiliana… ma dove ce l’ha la testa ‘sta ragazza?! Santo cielo, ho quasi paura che sia più esaurita di Kess.
<< Non mi conosci, quindi come fai a dire che non sono il tuo tipo? >>, ribatte. Ah.. maledizione,non c’è peggior sordo…
<< Nicole, tesoro, tu fuori sei molto bella, e magari dentro lo sei anche di più, e mi piacerebbe conoscerti ma…  sono davvero esausto, Nicole. Non ho quasi la forza di stare in piedi. Scusami >>.
I suoi occhi si fanno leggermente lucidi… mi sa che finalmente ha capito. Non c’è trippa per gatti, cara Nicole… specialmente per gattine dai lunghi artigli affilati come i tuoi. << O… okay >>. Si allontana di scatto, e di scatto comincia a rivestirsi. Mi sento davvero una stronza, ma non posso proprio aiutarla… o quasi. Forse potrei. Ma non sono così altruista da spedirla da Tom… non ce l’ho tutto quest’amore verso il prossimo. Sarò meschina, ma sincera.
Però non posso lasciarla andare via senza darle qualcosa che serva almeno a tirarle un po’ su il morale. << Nicole… >>.
<< Che c’è? >>, mi ringhia contro, senza voltarsi. Mi avvicino al tavolino, recupero una penna e un pezzo di carta e ci scrivo su il mio numero di cellulare… “mio” riferito a Bill, naturalmente- nella speranza maligna che debba essere lui poi a sbrigarsela.
In fondo è colpa sua. Se non fosse bello, sexy e famoso io non mi troverei in questo casino, per cui se lo merita.
<< Tieni. Chiamami qualche volta… magari quando sarò meno stanco, che ne dici? >>.
<< Che puoi infilartelo su per il culo, brutto finocchio >>. E corre via sbattendo la porta, lasciandomi col braccio teso e il sopracciglio inarcato. Spero di smaltire la paresi che ho appena avuto nel prossimo quarto d’ora, perché non penso che riuscirei a sopportare anche una visita neurologica… ma penso farebbe molto comodo a Nicole.
Le ragazze di oggi sono tutte pazze. Vero. Devo ricordarmene, in caso dopo quest’esperienza traumatica pensassi di darmi all’altra sponda.  
Oh misericordia. Che stress.      
 

<< Allora? Ti stai divertendo? >>, mi domanda Kess, che stringe in mano il suo bicchiere come ne andasse della sua vita. Spero solo non si ubriachi tanto da dovermela poi caricare in spalla per riportarla a casa… non tanto per via del peso quanto per quello che potrebbe cominciare a sparare se si sbronza a quei livelli. Sono sicuro che anche dal coma etilico sarebbe capacissima di sputar fuori qualcosa che mi farà venire un mezzo ictus.
<< Ehhhh! >>.
<< Perché non vieni a ballare? >>.
Chi, io? Ballare? Ahahhahahahahahaha. No. Piuttosto m’impicco col boa di piume verde acido della cubista. Non esiste proprio.
<< No, non mi va >>.
<< E dai!eddaieddaieddaieddai! Per favore! >>. Molla il bicchiere, congiunge le manine e mi pianta in faccia due occhioni angelici, supplicanti. << Eddai! >>.
<< E va bene! >>. Tanto sennò non la smette. Tutta contenta mi afferra la mano e mi trascina con sé, ma in un istante la perdo. Quella ragazza è una trottola impazzita, sembra abbia paura di buttar via anche solo un secondo inutilmente.
Immediatamente una presenza incombente alle mie spalle mi fa voltare di colpo. Deglutisco amaro e spero di sbagliare, ma in cuor mio so di aver ragione… come sempre. << Ehm… >>.
<< Ciao, bambolina >>. Uno scimmione che sembra appena uscito da un episodio di quel ripugnante reality sui tamarri mi si è piantato alla schiena e ora sta… penso… provando a rimorchiarmi.
Oh misericordia.
<< Ehm, ciao >>. Sorrido, appena, come un demente… non ho neppure il coraggio di muovermi. Kess, dove sei, accidenti a te!
Il tizio –accidenti, sembra un fuoristrada- mette le mani sui fianchi, mostra tutti i muscoli e i tatuaggi come fossero quarti di carne nella vetrina di una macelleria e infine mi scocca un sorriso a trentadue denti scintillanti, che fanno pendant con la canotta e i bermuda. Giuro che nella mia breve vita ho visto e sentito di tutto in giro, ma mai ero arrivato a questo. Puntato da un tamarro… questa sì che è buona!
Se sapesse chi sono probabilmente mi scasserebbe di mazzate. E non mi vergogno a confessare che preferirei, sì. 
<< Che ne dici, balliamo, tesoro? >>, fa lui, sicuro di avermi scioccato. Be’, in effetti per scioccato mi ha scioccato e di brutto pure, ma non certo nel senso che spera lui.
<< Mi dispiace, ho le mestruazioni >>, sbotto, senza neppure sapere da dove mi sia venuta un’uscita del genere. Ruoto sui tacchi e me la batto, lasciandolo lì a smaltire il trasecolamento… ah sì, questo l’ho sentito in una telenovela in costume. Ormai quando sono a casa e Kess non c’è non ho di meglio da fare che abbuffarmi di tivù.
Sono sconvolto, voglio solo tornarmene a casa. Sbatto da una parte all’altra senza rendermi neppure conto di dove mi trovi, sono niente in una massa informe. La pallina impazzita di un flipper che fa un gioco tutto suo.
Non era certo questo che intendevo, con vita normale.
Adesso mi sento quasi più solo di prima.
<< Ehi, dove hai parcheggiato quel bestione? >>, mi domanda Kess, miracolosamente riapparsa dal nulla con un cocktail tra le mani.
<< L’ho scaricato >>.
<< Ma dai? E come hai fatto? Gli hai detto che in realtà sei un uomo? >>, sbotta lei, infilando in bocca la cannuccia. E il cuore mi perde un colpo.
Non avrà…  ma no, non ha capito niente. E’ una delle sue solite battute, niente di più. << No, gli ho detto che ho le mestruazioni >>.
Lei sgrana gli occhi, molla la cannuccia e poi inizia a schiantarsi dalle risate. << Tu sei tutta scema…. Davvero, Ele! >>.
Sì, lo so. Se fossi intelligente, non avrei mai pensato che la mia vita era un casino. Mai.
Perché adesso, so cos’è un vero casino.
Il guaio è che non ho ancora capito come uscirne.
  

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4




 Finalmente a letto. Non vedo l’ora di sprofondare nel dolce sonno ristoratore sperando che cancelli l’incubo appena vissuto. Oh, cazzo! No, ma non è possibile che appena sembra che trovi un po’ di pace, mi scoppia il finimondo fuori… un lampo, e un tuono fortissimo che squarcia il nero del cielo e il suo silenzio. Fuori diviene improvvisamente buio e vacuo. Il mondo si spegne, e una batteria di grosse gocce trasparenti comincia a bersagliare i vetri delle finestre. Ho sempre avuto il terrore dei temporali… ma finora ho avuto modo di dimenticarlo perché tanto c’era Tom, con me. E adesso invece sono solo… << Ele? >>. Un sottile filo di voce, nel buio imperscrutabile. Mi tiro su, provo ad accendere la lampada sul comodino ma è partita. Blackout assoluto. E questa è un’altra cosa che mi terrorizza… bene. Ora ci manca soltanto che mi spunti un accidenti di strega baffuta e rugosa pronta a farmi a pezzi con le sue dita adunche… Ma grazie al cielo so che almeno quelle non esistono. O no? << Kess, che c’è? >>. << Ho paura… Posso dormire con te? >>. Ingoiare l’aria d’un tratto si fa n po’ più difficile. << Con… me? >>. Be’, se non altro almeno non starò da solo anch’io. << Ma certo. Ci vedi? >>. << Non proprio >>. Pochi secondi, e un calore morbido e improvviso si materializza al mio fianco, mi sfiora la coscia, il braccio. << Grazie. Sai, io non ho paura di niente tranne che del buio. Nel buio può accadere di tutto >>. << Lo penso anch’io >>. Si sistema, appiattisce la trapunta attorno a sé. << Anche le cose buone, però >>. Ecco. Mi sarebbe sembrato strano se per una volta non avesse tirato in ballo i soliti discorsi scellerati…<< Indubbiamente. Ma io preferisco la luce >>. << Ah, io no. Sempre buio assoluto… >>. << Immagino che il tuo partner non se ne sentisse troppo lusingato… >>. << Ah, problemi suoi. Se l’è più che meritato. Mi faceva venire il mal di testa. Lo reggevo soltanto perché immaginavo ci fosse Bill, con me… peccato che poi quello stronzo rovinasse tutto con i suoi armeggiamenti da speleologo imbecille, cioè tutto il contrario di come ho sempre immaginato fosse Bill a letto… >>. Deglutisco a stento. Ma perché non imparo mai a farmi gli affari miei? Con Kessi, poi. << Ah ah >>. << All’inizio mi piaceva pensarlo inesperto, se non addirittura vergine per davvero, come si vociferava… >>. << E… poi? >>. << E poi ho cominciato a lavorare, ed ero sempre così stanca che non mi andava di lavorare anche nelle fantasie… così ho cambiato corrente di pensiero. Però… diciamo che ho mantenuto la dolcezza di fondo. Mi piace credere che sia uno che ama i preliminari prolungati… e magari anche i baci… e non soltanto quelli localizzati a livello della bocca… >>. Oddio. Ho quasi voglia d’imbavagliarla, se non avessi il timore che lo prenderebbe per una pratica erotica. E’ un rischio che non posso sottovalutare. Cavolo, mi sta facendo davvero paura. Perché solo ad ascoltarla, ho il sangue che sta bollendo sotto la pelle. Avevo ragione, le streghe esistono. Ma non sono creature mostruose e deformi, ansiose di strapparti la pelle di dosso per preparare i loro sortilegi. No no. Sono creature dall’aria innocente che lanciano incantesimi solo con le parole. Ma non per questo sono più innocue. << Ma dai >>. << Parlo sul serio. Una volta ho letto in un’ intervista qualcosa a proposito dei baci bagnati… hai presente? >>. << Certo. Quando stai baciando qualcuno e ti arriva un gavettone a tradimento >>. Tom è un esperto, quel grandissimo disgraziato; se penso a quanti ne ho presi io… più dei baci, sicuramente. << Ahahahahahahah! Che spiritosa! Dai, seriamente, hai capito di che sto parlando… è quando ti baciano trasmettendoti la saliva… >>. << Oddio che schifo! >>. Detto così ha l’aria di essere una di quelle pratiche da depravati, assurde e masochiste. Non il mio genere, quindi. Lei scrolla le spalle. << Forse. Dipende dai punti di vista… Bill dice, o meglio, Tom dice che Bill li adora particolarmente >>. Ma davvero? Com’è che io non ne so niente? Questa Tom me la paga. E cara, anche. << Ma sai qual è la cosa più divertente? Che piacciono da impazzire anche a me… anche se solo in determinate situazioni >>. Non che c’abbia capito granché. << Scusa? Che significa solo in determinate situazioni? Una cosa o ti piace o non ti piace, che c’entra la situazione? >>. << C’entra, c’entra… per esempio, non è che tu fai sesso con chiunque allo stesso modo, no? C’è quello che ti accarezza e ti liscia per ore, e magari fintanto che si decide a passare all’azione ti ha fatto addormentare, quello che fa pensare di poter essere denunciata per necrofilia perché se ne sta fermo e immobile come un morto, e c’è quello che ti prende, ti sbatte contro il muro e non capisci più niente… >>. << Perché sei preda della passione? >>. << No, per la botta in testa! >>, e ridacchia. Sempre la solita. << E poi c’è quello che ti fa perdere completamente i sensi… >>. << Sempre per la botta in testa? >>. << No, perché sei preda della passione… certo Ele che hai bisogno di farti un po’ di cultura, eh! Ora come ora quel Tom Kaulitz ti farebbe parecchio comodo! >>. Che? Oddio, cosa devo stare a sentire. << Ma smettila! >>. << Comunque, dicevo, c’è quello che sa esattamente in che modo toccarti, con dolcezza e precisione millimetrica, per mandarti in orbita e scatenarti dentro uno tsunami di endorfine… quello che conosce e individua immediatamente tutti i punti focali e li stuzzica uno per uno per portarti sull’orlo dell’orgasmo… e quando sei lì, ti prende e ti scocca un meraviglioso bacio bagnato mentre ti fa precipitare in quell’abisso… e davvero non ne esci viva. Ecco, questo è quello che immagino sia Bill, a letto. O almeno glielo auguro… >>, e giù di nuovo a ridacchiare. << E se davvero fosse così, mi piacerebbe tanto che fosse qui con me, adesso. Gli restituirei ogni favore… con la stessa precisione. Lo metterei giù ed inizierei a baciarlo con calma, assaporando a lungo la sua bocca, la sua lingua… il sapore della sua pelle, lungo il collo, sul quel mirabile petto levigato come alabastro… e indugerei a tormentare quel micidiale piercing sul capezzolo, anche se lo detesto… e scenderei ancora, a tracciare infiniti cerchi con la punta della lingua attorno al suo ombelico, prima di immergermi tra le sue gambe e… baciarlo, a lungo, con la lingua, giocando a mordicchiarlo con delicatezza per inebriarmi le orecchie e la mente con la musica dei suoi sospiri, magari anche dei suoi gemiti… e intanto, con le dita, stuzzicarlo un po’ dovunque, così, come capita… penetrarlo leggermente prima che lui faccia altrettanto con me, ma in modo ben più percettibile… >>. Le croci con cui mi sono segnato a questo punto non si contano più. E quello che all’inizio di quest’”amena” conversazione era un tranquillo stagno adesso è un lago gonfio all’inverosimile che minaccia di straripare, nemmeno avesse assorbito tutta la pioggia che ora sta cadendo lì fuori, nel buio. << Ah. Già. Sarebbe davvero bello averlo qui, adesso. Soprattutto durante questo magnifico temporale… accenderei una miriade di candele, pur di poterlo guardare. E’ un vero peccato avere un “monsone” così e non poter far sesso, è un’occasione buttata >>. Dannata Kessi. Ora mi sento così male che… non posso esimermi dal fare questo assurdo tentativo. << Be’,non è detto… magari approfittando del buio, potresti far finta che… io sia lui >>, azzardo, senza sapere io stesso cosa aspettarmi da lei: se un urlo d’orrore, uno schiaffo o… perché no, magari la risposta alle mie preghiere. Tace. Sento che mi guarda, nel buio… attende, come me. Forse… che sia io ad avvicinarmi, a fare il primo passo… forse… Forse niente di tutto questo. Improvvisamente, scoppia in una risata che dovrebbe farmi quanto meno incavolare, se non fosse che… è così spontanea, quando ride. Entusiasta. Bella, soprattutto. Questo lo ammetto con una fitta allo stomaco… non gioca certo a mio favore, riconoscere che anche se non posso vederla, riesco ad immaginarla con minuzia di particolari: quella scintilla di luce verde ardere nei suoi occhi di giada, le labbra tese, aperte come un sipario di velluto roseo sullo spettacolo della bocca che più ch’esser visto, si merita d’essere assaporato; il movimento ormai familiare con cui tira indietro i capelli con entrambe le mani per raccogliere poi su una sola spalla quelle onde ramate, guide sicure per discendere fino al seno e alla sua danza al ritmo del respiro… Oh Santo cielo. << Tesoro, sai che ti voglio un bene dell’anima, ma neanche così sarebbe abbastanza per far finta di non notare che… manca un pezzo fondamentale! >>. E ricomincia a ridere senza remore, sfrenata, ansante. Il passo dall’immaginarla così al vederla in tutt’altra posizio… ehm, situazione è breve, brevissimo. << Molto spiritosa >>, borbotto a fatica. << Comunque devo farti i complimenti, una bella battuta. Stai migliorando parecchio >>. << Tu invece per niente. Sei davvero una maniaca, sai? >>. << Da che pulpito! Hai dimenticato tutte le nostre chiacchierate notturne su “Face”? Se i poveri Kaulitz sapessero tutte le porcate che avevamo progettato per loro, non uscirebbero più di casa senza almeno un’arma a portata di mano! E tu non eri molto meno da me, se ti ricordi >>. E come potrei? Mica ne so niente, io. So soltanto che devo sparire immediatamente da qui, e non certo perché ho paura di lei; ma di me stesso, e delle reazioni di questo corpo che non so se sarò in grado di gestire. << Ehi, vado un attimo in bagno, okay? >>. << Okay >>. Mi alzo, quasi corro e una volta che ho raggiunto la zona di tregua, mi ci chiudo dentro a chiave, crollando di schiena addosso alla porta. Basta. Non ce la faccio più. Se non muoio adesso, credo che non ci sarà più nulla al mondo in grado di farmi fuori. Per la miseria. Adesso capisco il detto “Ne uccide più la lingua che la spada”. Un'altra virgola, e dovrò chiamare il pronto intervento, se non la Protezione Civile. Quella ragazza è… una calamità naturale, accidenti. E questa “cosa” poi…brucia, dannazione. E’ fuoco liquido nelle costole, nelle viscere, ovunque. Non credevo che per una donna fosse così…dolorosa, la rinuncia. Stando così le cose, a Tom dovrebbero erigere un monumento, dacché non permette che nessuna ragazza alla sua portata debba soffrire queste pene atroci; anzi, se esco vivo da quest’incubo d’ora in poi non lo permetterò nemmeno io, per quanto possibile. Ma intanto, mi basterebbe alleviare lo strazio mio e della poveretta di là. Le dev’essere partita qualche rotella… però è adorabile. Persino il modo in cui distrugge allegramente il mio personaggio, la mia facciata pubblica… altro non è che il suo desiderio di portarmi al suo livello, tangibile e raggiungibile. Peccato che non immagini minimamente quanto davvero io stasera lo sia, per lei: più che raggiungibile, talmente tangibile che le basterebbe tendere una mano per sentirmi. Già. Tutto questo, se fossi in possesso del mio corpo e di tutte le sue facoltà, ovviamente. Le fitte aumentano, il fuoco divampa e respirare si fa sempre più difficile. Non ho altra scelta. Sfilo il cellulare dalla tasca dei jeans e… compongo il mio numero. Lo avvicino all’orecchio, stupendomi ancora una volta di come non avverta i tintinnii dell’argento dei piercing che urta contro il polimero plastico del telefono. Uno, due, tre squilli. Tutti a vuoto. Speriamo che risponda.

Mmhmm… ma che diavolo… chi accidenti è che rompe a quest’ora… Stendo il braccio sul comodino, afferro alla cieca il maledetto aggeggio squillante e strombazzante che non la pianta di lampeggiare nemmeno quando inveisco contro di lui, il suo ideatore, il suo venditore e tutta la sua partita. In pieno delirio masochista, do un’occhiata allo schermo… Oh, cavolo. E’ il mio numero. Che caspita succede ancora? << Pronto? >>. << Ciao >>. << Ciao a te >>. << Senti… >>. Indugia, si schiarisce piano la voce… accidenti. Se vedere lampeggiare il mio stesso numero sul display faceva strano, ora sentire la mia stessa voce nell’auricolare fa più che surreale… sembra una di quelle piéce moderne dove accade di tutto in soli cinque metri di palcoscenico e ti danno l’illusione di viaggiare oltre il tempo e lo spazio presenti. << … devo chiederti un favore >>. E’ nervoso, si sente lontano anni luce che di certo ora le mani gli… cioè, le…cioè, cazzo, gli tremano! Anche se temporaneamente usufruisce del mio corpo , è pur sempre un uomo -e che uomo, non posso far altro che confermare ogni volta che faccio la doccia, che Cassandra non me ne voglia ma non è colpa mia, questa situazione- << Certo. Dimmi pure >>. << Ci sarebbe qualche problema se stasera facessi un po’ di, come dire, “bricolage”? >>. << Eh? >>. Brico-che!? << Ascolta, Kaulitz, se hai intenzione di approfittarne e metterti a segare legno e piantar chiodi ora che non corri il rischio di rovinarti queste tue manine di porcellana, non hai capito un cazzo. Vengo lì e ti stacco la testa >>. << No, non hai capito tu! Non parlavo di quel genere di bricolage. Parlavo di… fai da te >>. Il tono quasi impercettibile con cui pronuncia l’ultima parola fa sì che mi si accenda la lampadina. << Ahaaa, ho capito… Non ci provare proprio!>>, ringhio, a metà tra furiosa e scandalizzata. << In anni e anni di onorata solitudine io non ci ho mai fatto niente con la mia piccolina, quindi non vedo motivo per cui debba cominciare tu! Stringi i denti, fatti una doccia fredda, una camomilla, prenditi un Valium… ma tieni le tue manacce lontane da me, intesi? >>. Incredibilmente, invece di sbattermi il telefono in faccia, scoppia a ridere. << Perché, suppongo che tu non stia facendo altrettanto con me… >>, sbotta. Sono contenta di essere sola al buio, perché la velocità con cui mi prende fuoco la faccia ha del miracoloso. Meno di mezzo millesimo di secondo. << Ma che c’entra! La mia è una questione di necessità, anche se c’è ‘sto coso mica posso tirarlo fuori con la calamita, e che cavolo! >>. Stavolta la risata è quasi scrosciante, ci mette un bel po’ a riprendere fiato. << Okay, questa te la concedo. Comunque, anche la mia è una situazione di estrema necessità… ma dove sei andata a pescare la tua coinquilina?! Cavolo, mi ha sfinito solo a scoparmi con le parole! >>. Kessi! Oddio, povero tesoro… << Tieni giù le zampe da Kessi! Con il mio corpo, poi! Grrrrr! >>. Sta per venirmi un ictus, lo so, ne sono certa. E meno male che ho sempre ritenuto Bill, se non un santo, almeno il più tranquillo… Aveva ragione Cassandra a dire quanto mi sbagliassi! << Dai, scherzavo! Non ti agitare, ‘che altrimenti poi mi vengono le rughe >>. << Vaffanculo, Kaulitz >>. << Ahahahahah! Non te la prendere… stavo scherzando! >>. << Sì, scherza, scherza! >>. << Buonanotte, e fai la brava! >>. << certo, proprio io, devo fare la brava… attento tu piuttosto, che se mi combini qualche casino, te lo taglio! E non è una minaccia a vuoto, lo sai benissimo >>. << No, no, ti prego, pietà. Comunque, davvero, buonanotte >>. <<’Notte >>. Stramaledetto Bill. Ci mancava solo lui. Come se non fossi già abbastanza esaurita… Ah, che palle!

Torno a letto, un po’ più rilassato… ma dura giusto il tempo di sdraiarmi accanto a Kessi. << Hai ricordato qualcosa? >>. << Ehm… no >>. << Bene, allora ti rinfresco la memoria io. Ricordi cosa dicevi a proposito delle corde? Che se ti fosse mai capitato sotto mano Tom, l’avresti legato al letto, gli saresti saltata addosso e… >>. << No, non me lo ricordo e preferivo non ricordarmelo >>. << E non ricordi nemmeno di quando ti ho detto che semmai avessi dovuto legare io Bill, l’avrei fatto con delle catene da neve per poi leccarlo finché non avrebbe invocato pietà? >>. Oh santo cielo. La invoco adesso, fa lo stesso? << Sì, va bene, ma ora basta, che sto crollando dal sonno >>. Lei sbadiglia, si rintana sotto le coperte. << Sì, anch’io… e domattina la sveglia suonerà all’alba e comincerà un’altra giornata di merda, tanto per cambiare… ma sai, in fondo non importa >>. Si raggomitola vicino a me, se chiudo gli occhi e mi concentro posso sentire il battito del suo cuore. E vorrei sentirlo. Davvero. << Ah no? >>. << No. Sai… mi basterebbe avere la certezza che prima o poi, lo incontrerò. Che non è stato tutto inutile il mio cammino fin qui… fa niente se dopo la vita sarà di nuovo uguale ad ora, se farà schifo esattamente come adesso. Mi accontenterei anche solo di stringergli la mano, e dirgli grazie. So che te l’ho detto milioni di volte, ma quando lo ripeto ci credo un po’ di più anch’io, che si realizzerà >>. Tutto il fuoco, le alte fiamme che mi stavano lambendo le pareti della gola ottenebrandomi il cervello coi loro fumi velenosi si placano d’un tratto, miracolosamente estinte. Adesso, solo un nodo nero rimane, di quell’ incendio straordinario: un nodo che si serra un po’ di più ad ogni sua parola. << Cassandra… >>. << Sono una sciocca, vero? A ventiquattro anni, dar corda a queste favole… ma non posso farne a meno, oramai. Senza di lui, sarei senza bussola nella tempesta. Irrimediabilmente persa. Almeno adesso vedo il Nord, la mia meravigliosa Stella Polare che anche se nera, splende comunque; anzi, forse brilla ancora di più. E’ facile ch’io muoia, nel tentativo di raggiungerla; e allora? Se non c’avessi neanche provato, avrei sprecato il mio tempo su questa Terra. Abbiamo bisogno di sognare, Ele. Tu lo sai quanto me >>. Cazzo, quant’è difficile parlare adesso. Peggio di prima. << Sì, certo. Ma adesso dormi >>. << Grazie, sai? >>. << Di cosa? >>. << Di esserci, e di stare ad ascoltarmi anche quando sparo cazzate a raffica. Buonanotte, Ele >>. << ‘Notte >>. Dormi, Cassandra, dormi. Riposati, piccola folle selvaggia dalla mente e la lingua instancabili. Domattina sarà un altro giorno. Vorrei tanto potertene regalare uno che non faccia schifo come dici tu. Ma ora come ora, non mi è possibile. Però vorrei. Davvero.

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Capitolo 5
*** capitolo 5 ***



L’alba sorge pallida e grigia sopra Berlino… ma quella non è una novità. Trecentoventi albe su trecentosessantacinque l’anno sono così, qui.
C’è una ragazza che dorme nel mio letto, accanto a me; ma neanche questa è una novità, in fondo. Almeno centocinquanta risvegli su trecentocinquantasei l’anno, è così, per me.
E’ il quarto giorno che sono intrappolato nel corpo di una donna, e ancora non sono riuscito a capire perché è accaduto e come posso fare per tornare indietro.
E’ la prima volta che vorrei svegliarmi ed essere quello di sempre non soltanto per me stesso, ma per poter rendere felice qualcun altro. Non avevo mai capito quanto fosse importante quello che sono per qualcuno che non sia io, la mia famiglia o i miei amici.
Non ho mai capito quanto fossi importante finché non mi sono perso. E poi ho trovato lei… e ho cominciato a prendere coscienza del potere che ho su questa ragazza, un’adolescente troppo cresciuta che si è resa conto di voler tornare indietro quand’era già a metà strada.   
Mi tiro su a sedere, stendo la mano sul comodino e mi accendo una sigaretta. Guardo Cassandra addormentata, e mi rendo conto che è la prima volta che dormo con una ragazza senza averla nemmeno sfiorata.
Com’è dolce… sembra davvero serena, adesso.
Ma dura poco. Neanche fosse in ascolto dei miei pensieri, socchiude un occhio e mi sorride, con quella sua smorfia sorniona che ormai non riesco a fare a meno di amare.
Amare? Ho detto… proprio così?
Oh, dannazione. << Buongiorno… >>. Si gira e si stiracchia, come un gatto rimasto troppo tempo a sonnecchiare al sole. Poi mi guarda da sotto in su con quegli occhi, che perfino da appena sveglia sono sempre così vispi.
E inarca un sopracciglio. Tipico. << Da quando fumi a letto? >>, sbotta. Be’, se non è una formula di saluto alternativa questa…
<< Perché? >>.
<< Hai sempre odiato l’odore di fumo già in cucina, pensavo che in camera fosse ancora peggio >>, spiega senza mezzi termini. << Che ore sono? >>.
<< Le sette meno cinque >>.
<< Oh, no, cavolo! >>. Salta giù dal letto e con assoluta nonchalance, sfila la maglia e gli shorts e apre l’armadio. Lo so, lo so, non dovrei guardarla… ma tanto lei non mi vede, per cui…
E’ in momenti come questo che sono certo che rimpiangerò solo una cosa di questo corpo, se e quando tornerò uomo. Ed è il poter guardare una ragazza che si desidera in biancheria intima senza dover svelare a tutto il mondo e tanto meno a lei quanto, appunto, la si desidera.
<< Che dici? >>.
<< Eh? >>. Oh merda, ditemi che non ho parlato ad alta voce…
<< Che dici? Azzurro o arancio? >>, mi domanda, mostrandomi due maglie. Sono così contento di non essermi sgamato da solo, che rispondo senza pensarci: << Arancio >>.
<< Strano, mi pareva di ricordare che preferissi l’azzurro… >>, fa lei con un sorrisetto sornione. Non so cosa farebbe Elettra al mio posto, ma io le lancio un cuscino, che schiva senza nessuna difficoltà; e dopo mi mostra la lingua.
Peste. E’ una peste, semplicemente. << Che spiritosa! >>.
<< Dai, in fondo hai ragione, si sa che l’azzurro è un colore che tira su… >>.
<< Ah, io non ne ho affatto bisogno >>, sbotto, più preoccupato di difendere la mia dignità piuttosto che mio fratello. Ma tanto Tom non c’è, quindi occhio non vede…
Di certo però non sono i miei occhi -cioè, vabbé, di quelli di Elettra- a non vedere, adesso. Cassandra che armeggia con il gancio del reggiseno… e scoppia a ridere, come suo solito.
<< Embè è chiaro, a noi non serve ma, sai com’è, averlo sottomano potrebbe sempre tornare utile… soprattutto a te! >>.
Non in questo momento, Kessi. Credimi. Ora come ora sarebbe meglio che tenessi un paio di Valium sottomano. << La finirai mai con questa storia? >>.
<< Ah no, mai! Ma lo sai che lo faccio solo per il tuo bene, no? >>, domanda, con uno sguardo da angioletto che s’abbina alla perfezione con la faccia di bronzo che si ritrova.
<< Certo, e io ci credo >>.
<< Oh, come sei suscettibile! Mica mi starai cambiando segno? Sei della vergine, adesso, per caso? >>.
Schiocco la lingua, infastidito. M’incavolo sempre quando mi fanno notare che sono permaloso… anche se mi rendo conto che paradossalmente, non faccio altro che confermare, così. << Ma smettila >>.
<< Okay, scusa. Ma che accidenti… oh, mannaggia >>.
<< Che c’è? >>.
<< Si è incastrato >>.
<< Cosa? >>.
<< Il gancetto! Ma che palle… succede sempre quando vado di fretta >>. Torna sul letto, ci sale su con un balzo e mi viene accanto, strisciando sulle ginocchia. Vicina, pericolosamente vicina. << Mi aiuti, per favore? >>.
<< Sì >>. Cos’altro potrei dire? Sono… ipnotizzato. Così… fuori di me, che neanche la vedo mentre si volta di schiena, libera il collo dalle ciocche ribelli sfuggite alla treccia e si affida alle mie mani che in questo preciso istante, stanno per fare l’esatto contrario di ciò che vorrebbero, e dovrebbero fare.
<< Grazie >>.
<< Di niente >>. Scende di nuovo, infila la maglia e i jeans, i calzini e le scarpe. Tutto a tempo di record. << Ci vediamo a pranzo? >>.
<< E penso di sì. Tu lavori stasera? >>.
<< Sì >>.
<< Okay >>. Va allo specchio, tira due linee di matita nera sotto gli occhi e dopo aver liberato i capelli dalla prigionia della treccia, li condanna a quella delle immancabili matite, appuntandoli sulla nuca. << Allora io vado >>.
<< Buon lavoro >>.
<< Grazie >>. Esce dalla stanza, si richiude dietro la porta. E già mi manca, un po’. Approfittando della sua assenza, poso la mano sul vuoto tiepido accanto a me, accarezzo il cuscino che sa ancora di lei, del profumo della sua pelle, dei suoi capelli…
Se lo raccontassi a Tom, probabilmente mi spedirebbe da uno psichiatra serio, di quelli con tanto di barba e occhialoni da vista e decine di diplomi appesi alle pareti; oppure, molto più sbrigativamente, mi farebbe lui stesso da medico e mi darebbe il suo solito consiglio: << Fattela e non pensarci più >>.
Ma non credo sarebbe sufficiente a farla uscire dalla mia testa… soprattutto ora che a furia di ascoltarla, mi ha instillato dentro uno dei suoi quesiti più strambi e insieme più insidiosi, come se non avessi abbastanza casini a cui pensare.
Si può amare qualcuno senza sapere se ci piace o meno?Non ne ho idea. So soltanto che se non trovo un modo per riavere la mia identità, impazzisco.
E una buona parte della colpa sarà tutta di Cassandra.



Un altro giorno comincia, ed io sono ancora bloccata qui, senza sapere se, quando e soprattutto come finirà questo macello.
E cosa peggiore, Tom continua a passarmi e spassarmi davanti senza nulla addosso oltre ai boxer. Cazzo.
<< Ammazza come sei silenzioso, stamattina >>, osserva, sedendosi.<< Dormito male? >>.
<< No >>.
Tace, manda giù un sorso di caffè e poi s’accende una sigaretta. << Sei strano, ultimamente, fratello. Non ti sarai mica innamorato? >>.
<< Chi, io? Ma figurati. E di chi? >>.
<< E che ne so? Se tu non mi dici niente… >>.
Sbuffo, distogliendo lo sguardo. << Ma no, solo… sono un po’ stanco >>, borbotto, infilando in bocca un biscotto giusto per reprimere la tentazione di fumare anch’io. Semmai Bill dovesse avere problemi alla voce a causa mia, Cassandra mi ammazzerebbe.  
<< Ti capisco. Senti, perché non facciamo sega, oggi? >>. Il biscotto mi va di traverso, e più delle corde vocali è della trachea che devo preoccuparmi adesso.
Sono contenta solo del fatto che non ci sia Kessi, altrimenti sarebbe andata in visibilio a sentire una cosa del genere. Una raffica di battute servite su un vassoio d’argento. Roba da incubo.
<< Sì >>, riprende lui, spegnendo la sigaretta nel posacenere.<< Carichiamo su due belle ragazze e… >>.
<< No! >>, replico immediatamente, prima che mi vada di traverso anche l’aria che sto respirando. Lui mi guarda stranito; e ha ragione, perché sembra quasi mi abbia proposto di andare a rapinare una banca e sparare a qualcuno così, giusto per passare il tempo.
<< Okay, allora andiamo da soli… >>. Peggio che andar di notte. Preferirei frantumarmi entrambe le caviglie –tanto non sono mie- con un martello e farmi un anno di lungodegenza, che rimanere da sola con lui chissà dove.
<< No, no. Non mi va >>.
I suoi grandi occhi s’incupiscono, si fanno d’acciaio bruno, duri e taglienti. << Va bene. Come vuoi. Chiamo Gus per dirgli che ci troviamo in studio alle nove…ammesso che te la senta di venire anche tu >>. S’alza e va verso le scale, lo guardo andare via col cuore che mi si lacera in mille pezzi.
Ce l’ha con Bill.
Ma a sentirmi in colpa da morire sono io.
Salgo in camera, chiudo la porta e lancio un’occhiata obliqua al pc che giace sulla scrivania, inviolato da giorni. Mi sento così sola… tagliata fuori dal mondo,non c’è nulla che mi tenga legata al mio passato prossimo, a quello che sono.
Nulla tranne… l’amore per lui, che fa tanto più male quanto più lo sento crescere in me ogni istante che gli trascorro accanto. Mi tiene ancorata, dolce catena, alla realtà che sembra minacciare di sfuggirmi tra le mani, come grani di sabbia dorata.
Era così bello quando con Kessi giocavamo a immaginare cosa avremmo detto loro semmai gli avessimo incontrati. Lei che affermava di poter sopravvivere allo shock e uscirne indenne addirittura, e forse pazza com’è avrebbe anche potuto riuscirci, chi lo sa.
Sarei proprio curiosa di sapere come la prenderebbe se scoprisse che la sua coinquilina è in realtà il suo amato, odiato Bill Kaulitz. Sono più che convinta che le verrebbe un infarto, come minimo. Soprattutto dopo averlo reso partecipe dei suoi deliri mistici… nemmeno una stoica come lei ne verrebbe fuori tutta intera, ne sono certa. Se la conosco –e la conosco, più che bene- avrà snocciolato una serie di cattiverie tali da far perdere il veleno persino a un cobra, poi delle oscenità irripetibili al cui confronto le opere di De Sade sembrerebbero libri per bambini, e poi avrà concluso con uno dei suoi sproloqui filosofici in cui ammette di amarlo nonostante tutto, perché è così, e basta. Perché i suoi occhi l’hanno stregata, la sua voce ammaliata e da allora ha ricominciato a credere nei sogni.
Piccola, pazza Cassandra. L’uccellaccio del malaugurio sempre pronto a strappare un sorriso a chiunque… Spero che ti stia andando meglio che a me. Perché io i miei sogni, adesso, li tengo intubati. E prego il cielo di non dover staccare loro la spina con le mie stesse mani.
L’occhiata obliqua è diventato sguardo prolungato. So che probabilmente è una cazzata con tanto di certificato di garanzia, però mi manca. Ho nostalgia del calore, dello spirito, della sensualità e dell’emozione che riuscivano a darmi quelle storie. Ho bisogno di sentire vicino il Tom che ama svisceratamente suo fratello, e che per lui sarebbe disposto ad andare “contro ogni legge, per sempre tu ed io, per sempre adesso”.
Molto probabilmente, quella persona non esiste se non nelle maglie della rete, nel verso di una canzone o in un mucchietto di pixel colorati disposti come le tessere di un mosaico, ed il compito di rimetterne insieme i pezzi non è di chi più gli somiglia ma di centinaia e centinaia di fan che come me, non amano attenersi alle regole. Strane, sì, ma non cattive. Solo un po’ fuori dall’ordinario, perse a cercare un sentimento che non corre nel binario solito delle relazioni “normali”.
Kessi mi sparerebbe, se lo sapesse. Lei le detesta… dice che le fanno venire l’ulcera allo stomaco; anche se, “molto acutamente”, ha osservato che chiunque scriva, legga e si appassioni alle Twincest sicuramente lo fa perché ama così tanto quei ragazzi che nella sua mente, non può tollerare di vederli nelle braccia di nessun altro se non in quelle del fratello: non perché sia un mostro corrotto dal cervello bacato, ma soltanto perché ha una scarsa autostima, che glieli fa credere irraggiungibili e allora si è costretti a rassegnarsi, perché “non c’è nulla che stia lontanamente alla pari” ad un legame così. Sono, come le ha definite lei, “un comodo alibi”, insomma.
E io le ho risposto che avrebbe potuto fare la psichiatra: soprattutto, perché non si capisce niente quando fa questi suoi ragionamenti senza capo né coda. Però poi tutto mi si è fatto chiaro quando ho letto una fan fiction qualunque e c’era Tom che s’innamorava di una ragazza.
Be’, allora ho rischiato di sfollare. E ho capito perfettamente cosa volesse dire Kessi col suo sproloquio: leggere di Tom innamorato di suo fratello faceva male sì, però ero costretta a chinare il capo in religioso silenzio davanti alla forza di un simile vincolo, fatto non solo di sentimenti ma anche di sangue, di carne, di bellezza e fragilità, di pensieri e sensazioni e allora mi riusciva solo di desiderarne uno del genere –ma non dello stesso genere, chiaro! Ci mancherebbe solo che mi fossi messa a far la corte al mio, di  fratello: non sia mai!- e mi lasciavo travolgere serenamente dalle sensazioni che mi suscitavano dentro, perché leggevo con occhio –e cuore- rassegnati.
Ma quando si è trattato di affrontare, sia pure per finta, l’eventualità che Tom s’innamorasse di una donna, che non avesse con lui nessun legame di parentela – quindi nessun “vincolo superiore” che potesse “giustificare” un’attrazione così-  ma che in compenso fosse bellissima, semplice e pura nelle sue intenzioni, bè… Kessi ha dovuto prestarmi il Maalox.
E’ assurdo, lo so, ma in questo momento sento che il mio unico conforto potrebbe venire da lì… parlo delle Twincest, non del Maalox, ovviamente.
Tanto sono solo le otto. Ho ancora un’altra ora… in sono più che certa che non verrà a bussare alla mia porta, ci metterei la mano sul fuoco.
Andiamo, caro pc. Tienimi compagnia almeno tu.

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Capitolo 6
*** capitolo 6 ***



Non ne posso più.
E’ l’unico pensiero che riempie i giorni, tutti uguali. Assieme al calore rubato alle Twincest. Mi stanno aiutando a tirare avanti, perché altrimenti impazzisco.
Il gelo che Tom riserva al suo gemello brucia più del fuoco stesso. E’ assurdo, ma non impossibile. Come quello che è accaduto a me.
Spengo il motore, esco dall’auto e mi preparo a un’altra interminabile giornata di silenzi e sguardi di sottecchi. In certi momenti mi studia come fossi un animale velenoso, come se avesse capito che non sono Bill, il suo fratellino, ma un essere sconosciuto e incomprensibile che abita temporaneamente il suo corpo.
Entro in casa, e già sulla porta vi trovo una sorpresa. Tom, con un’espressione durissima in volto e un fascio di fogli stretto in una mano.
Era evidente che mi stava aspettando. Solo, non capisco perché. << Che c’è? >>.
Lui mi punta addosso uno sguardo… Buon cielo, sembra che se potesse, mi cancellerebbe dalla faccia della Terra. Lancia sul tavolo il fascio rilegato di fogli che tiene in mano e dice: << Che c’è? Dimmelo tu, che c’è >>.
Io lo prendo, gli do una scorsa veloce, fermandomi su una pagina a caso.
E il sangue mi defluisce dalle vene tutt’insieme. Sento nitidamente la mia faccia impallidire, e decine di milioni di spilli acuminati trafiggermi ogni parte del corpo immobilizzandomi. Non ho neppure la facoltà di pensare, in questo momento.
<< Viene dal tuo pc. Quindi non dirmi che non ne sai niente >>, aggiunge mentre leggo… questo.


“…Bill chinò un istante il capo corvino, mordicchiò il carnoso labbro inferiore e sembrava pensarci su… quando d’un tratto afferrò Tom alla gola, lo calamitò a sé e lo morse, così a fondo da imprimergli i segni brucianti dei denti nella carne, sulla pelle; Tom sgranò gli occhi per la sorpresa, si lasciò sfuggire un gemito acutissimo, che perforò l’aria; e quando suo fratello gl’infilò le dita dietro la nuca e con forza lo tirò giù, mentre con l’altra mano gli spalancava le cosce risalendo poi verso l’inguine con un crudele graffio di artigli ferini, reclinò indietro la testa per il tormentoso piacere che Bill gli stava infliggendo; sì, piacere, perché era esattamente così che voleva essere amato, quella nuova prima volta. Lo obbligò a voltarsi prono, e lui obbediente, fece come le mani di Bill gli avevano imposto; il petto cominciò a dolergli per l’ansia quando suo fratello si avvicinò di nuovo alla soglia del suo corpo… andando a segno; con tre impetuose spinte che gli strapparono altrettanti ansiti brevi e violenti, gli entrò dentro nel modo in cui gli era stato richiesto. Immediata fu la risposta, o meglio la ribellione, della carne di Tom a quell’assedio: Bill avvertì la carezza calda e densa del sangue sulla sua pelle, e una lacrima cadde come una stella dai suoi occhi, precipitando sulla schiena del fratello…”.

<< E in questa mi va bene, cerchi solo di farmi fuori. Nella prossima, mi metti addirittura incinto. Tu mi devi spiegare come cazzo ti è venuto in mente di appassionarti ad una porcheria del genere, e per quale motivo. Perché io ci ho pensato, ma semplicemente non ci voglio credere, Bill. Dimmi che sbaglio. Sei il mio unico fratello, non voglio dubitare di te >>.  
Potrei negare, dicendo che le ho lette solo per farmi un’idea di quel che dicono di noi in giro. Giustificarmi, dicendogli che è stata soltanto uno scherzo, che volevo fargli prendere un colpo.
Ma non sono mai stata brava a dire le bugie. Così, chino il capo, arresa.
<< Ecco perché… tutti i tuoi silenzi… il tuo essere sfuggente… ora è tutto chiaro >>. E lo dice con un tale astio, scuote lentamente la testa con impressa sul suo splendido volto una tale espressione di disgusto che qualcosa scatta, dentro di me, si ribella, chiede giustizia.
Digli la verità, maledizione!
<< Aspetta, Tom, ti posso spiegare… >>.
<< E cosa? Come, in che modo e per quanto tempo vorresti scoparmi? >>.
<< Nooo! Cioè, sì,ma non mi pare né il tempo, né il luogo adatto… >>. L’espressione scandalizzata con cui replica mi fa capire che non è momento di simili battute. << No no no, aspetta, ti prego, stavo scherzando! Ascolta, Tom >>, La mano che cinge il polso scivola lentamente a cercare la sua, lo obbligo dolcemente a sedersi e m’inginocchio ai suoi piedi, senza lasciargli le dita. Sono meravigliose, tra le mie… delicate e dure, bellissime e perfette. Come i suoi occhi, le sue labbra, il suo profumo… ogni cosa di lui, soprattutto tutte quelle a cui non voglio pensare adesso altrimenti non sarò in grado di sistemare questo casino. << so che è assurdo, ma malgrado quello che tu possa vedere qui, davanti ai tuoi occhi, adesso, io non sono ciò che sembro… non sono tuo fratello >>.  
 << Ah questo è sicuro. Ti conviene fornirmi una spiegazione mooolto più che convincente, altrimenti da oggi in avanti io non avrò più un fratello >>.
Oddio, no, questo no! Bill non può pagare per un mio errore… lui è…
Ma sì! Lui è l’unico che può convincerlo! << Mi concedi cinque minuti e una telefonata? >>.
Lui sembra indeciso, ci riflette un istante e poi fa: << Ma sì. Anche ai condannati a morte spetta l’ultimo desiderio >>.
Ah, grazie. << Okay >>. Mi rialzo, sfilando a malincuore la mia mano dalla sua e frugo in tasca, traendone il cellulare. Adesso, comporre il mio numero più che una stranezza mi sembra una salvezza.
Risponde subito. Grazie a Dio. << Pronto? >>.
<< Dove sei? >>.
<< A casa. Casa tua, intendo… Perché? >>.
<< Porta immediatamente il culo qui. Sono nei guai >>. Lancio un’occhiata a Tom, che non mi stacca gli occhi di dosso. Mi sembra di avere due strali bruni puntati alla gola, pronti a trafiggermi.
<< Okay. Dammi cinque minuti >>.
<< Sbrigati. Non so se li ho, cinque minuti >>. Chiudo la conversazione senza salutare. E sospiro. << Tom… mi dispiace tanto, credimi >>.
Lui scuote la testa, le meravigliose treccine d’ebano gli scivolano sul volto bianco come cera, un pallore su cui gli occhi sembrano… immensi.
Resta in silenzio, senza guardarmi; fissa un punto lontano sul muro… un punto al di là di tutto ciò che lo sta turbando.
Sono eterni, questi cinque minuti. Sono così tesa che quando suona il campanello, rischio di urtare il soffitto con la testa per come sobbalzo.
Tom si alza, va ad aprire… ed è evidente che rimane spiazzato dalla sconosciuta apparentemente normale materializzatasi sulla porta.
<< Sì? >>, chiede, sforzandosi di tenere un tono gentile. Be’, per come vada a finire, quanto meno so di non rischiare di ritrovarmi qualche occhio nero sulla mia faccia.
Confortante… << Macché sì, sono io, idiota! E’ inutile che mi fai il cascamorto, tanto non te la do! >>, sbotta Bill, scostando un Tom impietrito dalla soglia per entrare in casa. M’inchioda con lo sguardo. << Spero tanto che tu mi abbia fatto correre qui per un ottimo motivo, perché sono sicuro che Kessi mi farà il terzo grado quando torno per il modo in cui sono scappato via… Oh, no, dai, e che cazzo! Avevo detto che lo volevo nero lucido, non opaco! >>, esclama, avvicinandosi ad un cappotto cellophanato e appeso all’appendiabiti come un vecchio fantasma abbandonato.
<< Bi… Bill? >>. Tom è sempre più stravolto, la sua mascella perfetta fiorita di un virile filo di barba quasi tocca il parquet. << Dio Santo, sei davvero tu? >>.
<< E certo, ti pare che possa essere qualcun altro? Che cavolo di gemello sei che non te ne sei accorto subito? >>.
<< Ma allora… tu chi sei? >>, chiede, voltandosi verso di me che serbo un religioso silenzio.
<< La legittima proprietaria di questo corpo, mi pare ovvio >>, fa Bill. << A proposito, cara, ma lo sai che hanno inventato una cosa che si chiama ceretta, e che se la fai almeno una volta ogni tre settimane ti eviti tutti questi orribili peli incarnati sui polpacci? Hai le gambe che sembrano due cactus! >>.
<< Ma vaffanculo, Bill! >>, esplodo, e lui scoppia a ridere. Tom intanto è ancora sotto shock.
<< Ma… volete spiegarmi che diamine è successo? Come avete fatto?! >>.
<< Ma che bella domanda! E secondo te, se lo sapessimo staremmo ancora combinati così? Io ho tagliato i capelli per non dover più usare la piastra, e ora sto messo peggio di prima! >>.
<< Ti lamenti tu, e io che dovrei dire, che ogni volta che mi vesto m’impiglio dappertutto co’ tutti ‘sti piercing del cavolo? Ha ragione Kessi ad incazzarsi ogni volta che te ne fai uno nuovo! >>.
<< Lo so, lo so… me l’ha detto >>, ammette lui, con un vago sorriso. Ed io crollo la testa: povera Cassandra, non immagina minimamente a chi è andata a confidare tutti i suoi pensieri… ma d’altronde, solo un pericoloso psicopatico potrebbe immaginarsi una cosa del genere. Ai confini della realtà e oltre. E anche se non è che Kessi sia poi così sana di mente, di certo non è arrivata a questi livelli… non ancora, almeno.
<< Credo dobbiate spiegarmi tutto dall’inizio >>, trova finalmente la forza di dire Tom. << ma prima ho bisogno di un caffè. Scusate >>, e si eclissa in cucina, lasciandomi sola… con me stessa.
Bill si avvicina, scuote la testa. << Che cazzo hai combinato, per farti beccare?Andava tutto bene, e poi anche se è il mio gemello Tom ha le fette di prosciutto sugli occhi, quindi non credo ci sia arrivato motu proprio… >>.
<< Infatti. Diciamo che io gli ho involontariamente dato una  mano >>.
<< Ah sì? E come, di grazia? >>.
<< Controllandomi il pc >>.
Lui inclina il volto. << E be’? >>.
<< Be’… sai com’è, diceva Wilde che resisteva a tutto ma non alle tentazioni… e per me è lo stesso. Ho ceduto alla tentazione di andare a leggere qualche Twincest >>.
Mi  guarda, sgrana i miei occhi e… scoppia a ridere come un pazzo. << Cioè, mi stai dicendo che mio fratello ha creduto che tu… cioè, che io… ahahahahah no, è troppo divertente! >>.
<< Non la penseresti così, se fossi arrivato cinque minuti prima! Avrebbe voluto uccidermi, sul serio >>.
<< Lo immagino… e avrebbe fatto bene, se non fosse che poi io non avrei saputo dove andare, semmai fosse tornato tutto al suo posto >>.
<< Appunto. Semmai >>.
Lui si accende una sigaretta, sbuffa fuori una nuvoletta pensierosa. << Non dirmi che non c’hai pensato anche tu >>, aggiungo.
<< Sì. E la cosa mi spaventa, in effetti… ma sai, nel corso della mia esistenza ho imparato a rassegnarmi all’inevitabile. Non so se hai visto in camera… >>.
<< Sì >>.
<< Ecco. E’ chiaro che, se restassimo così a tempo indeterminato, prima o poi dovremo dirlo a Kessi… così almeno la pianta coi suoi discorsi scellerati! >>.
Incredibilmente, scoppio a ridere io, stavolta. << Ahahahahahahahahah! Ti piace, eh? >>.
Non mi risponde. << C’è solo una cosa… ma adesso, con chi dovremmo andare, noi? Dobbiamo seguire i dettami del corpo o quelli della mente? No, perché non so se mi piacerebbe ritrovarmi sotto un tizio peloso, arrapato e sudaticcio, non so se mi spiego >>.
<< Davvero? Un sacco di gente dice il contrario >>.
<< Ah ah, spiritosa >>.
<< Comunque, forse l’unica soluzione sarebbe se… noi due… >>, sospendo, non avendo il coraggio di continuare. Bill porta l’indice alle labbra.
<< Far sesso con me stesso… uhm, è vero che mi trovo figo ma… non so se arrivo fino a questo punto…. >>.
<< Ma dai! >>.
<< Comunque, sarebbe un’idea. Se non si può fare diversamente… >>.
<< Già >>.
<< Peccato solo che… ci sia lui >>, fa Bill in tono sornione, alzando lo sguardo. E’ strano, essere fissati dai propri occhi e non riuscire a reggerne il potere. Ma probabilmente la sua è una dote di natura che si porta dietro a prescindere dagli occhi in sé e per sé, il fissare la gente come se volesse spogliarne l’anima. << E che tu lo ami alla follia… o sbaglio? >>.
<< Tu non mi hai risposto, cosa ti fa credere che io lo farò? >>.
<< Non serve. E’ lampante… e poi, me l’ha detto Kessi. Centinaia di migliaia di volte >>.
Ecco. Lo sapevo io. << E’ vero. Sai, se prima non ci credevo all’inferno, adesso ne ho avuto un assaggio… solo, non immaginavo che i demoni peggiori fossero quelli travestiti da angeli… >>, osservo con un sospiro.
<< Ah, tesoro, sei proprio fottuta >>. Viene a sedersi accanto a me, sprofonda nel cuscino del divano… cazzo, devo dirgli di tenermi un po’ a dieta. Mi sta venendo un culo come un panettone.
<< Senti chi parla. Sbaglio, o non sono io quello che mi ha chiamato nel cuore della notte perché stava per andare in overdose di estrogeni? >>.
<< Che stronza >>, fa lui, storcendo le labbra.
<< Grazie >>.
Nel silenzio che segue, improvvisamente una goccia scivola giù per la mia guancia. S’infrange sulla mia mano… o meglio, su quella di Bill.<< Non pensavo che l’avrei mai detto ma… rivoglio la mia vita. Il mio corpo, persino la mia cellulite… >>. Lo guardo, e alla prima lacrima ne seguono altre. << Voglio tornare indietro >>.
<< Oh, Elettra… >>. Mi stringe la mano, anche i suoi occhi, dietro le lenti, sono lucidi. <>.
<< Come essere il centro dei pensieri di Kess? >>, scherzo, tirando su col naso.
<< Soprattutto quella >>, scherza lui asciugandomi le lacrime. << dai, vedrai che in un modo o nell’altro ne verremo fuori. E se proprio non ce la facciamo… potremmo sempre andare a vivere tutt’e quattro insieme e fare felici tutte le appassionate di Twincest! >>.
<< Che scemo che sei… >>, borbotto; e lui: << Dai, vieni qui. Fammi abbracciare questo bel pezzo di ragazzo che sono… >>. Mi stringe, mi strizza, mi strofina la schiena… e improvvisamente uno strano calore mi si diffonde dentro, irradia dal cuore al resto del corpo,incendia mani, e piedi…sembra mi sia passata attraverso una cometa ardente. Mi stacco, e mi guardo…, no, lo guardo.
Lo guardo?! << Bill…? >>. Lui è incredulo, le labbra aperte in un sorriso incantevole mentre si fissa le mani… le sue, mani.
<< Oddio, siiiiiiiiiiì! Finalmente! >>. Si getta avanti per abbracciarmi, ma si pietrifica a metà strada; lo capisco, poveretto.
Nel frattempo rientra Tom, che sembra aver elaborato un po’ lo shock. << Allora, dicevamo… >>.
Bill salta in piedi, quasi lo travolge mentre gli salta al collo e gli schiocca un bacio sulla guancia. << Non adesso fratello, ho una ragazza che mi aspetta perché le allacci il gancio del reggiseno! Orami sono un esperto! >>, grida, catapultandosi fuori dalla porta dopo aver preso le mie chiavi dal cappotto. Per effetto dell’abitudine sono costretta a pregare che non lo metta sotto qualche macchina.    
<< Ehm ehm… >>. Uhm…. Ora va peggio di prima. Molto peggio.
Anche perché quell’infame sarà anche diventato un esperto ad allacciare reggiseno, ma quelli delle altre; perché lui… non lo ha messo.
Dio mio, io lo ammazzo.
<< Ehm… >>. Mi volto di scatto, e nella foga vado a sbattergli contro. E’ semplicemente celestiale, sapere di poterlo guardare senza che mi si scateni un terremoto nei jeans… cioè, vabbé, si scatena comunque, solo che non debbo preoccuparmi che veda.
Adoro essere donna!
<< Penso di aver capito che è tornato tutto alla normalità… o quasi >>, fa lui, in tono ammiccante. Io riesco appena ad annuire tremando, e le mani che tiene sulle mie braccia non aiutano certo a farmi mantenere la mia già di solito scarsa lucidità.
<< Eh, sì, grazie al cielo >>.
<< Già. Ma si dà il caso che io aspetti ancora spiegazioni riguardo a quelle storie, e inoltre il caffè ormai l’ho fatto, per cui… sarebbe di troppo disturbo scambiare quattro chiacchiere con il tuo ex-fratello? >>, chiede strizzandomi uno dei suoi occhi incantevoli, brillanti di malizia; occhi da cui le nubi nere d’orrore e timore sono fuggite, scacciate da un meraviglioso sole bruno, avvolgente e caldo.
<< Be’…  no >>.
<< Comunque, io sono Tom Kaulitz. Piacere >>, mormora, senza mollare la presa. << E tu sei…? >>.
<< E… Elettra. Elettra Colli >>.
<< Bene, cara Elettra >>, dice cingendomi le spalle con una delle sue braccia forti, tornite, che hanno tormentato fin troppo i miei sogni, particolarmente negli ultimi giorni. << Andiamo. Sono proprio curioso di sapere cos’è che ti piace tanto di queste…”Twincest” >>.
Oh, oh.
Cavolo.


Okay, Bill, adesso respira. Calmati. Devi essere assolutamente calmo e padrone della situazione.
Ma non è così facile, considerando cosa potrebbe accadere appena avrò girato la chiave nella serratura. Tuttavia, se non lo faccio adesso non lo saprò mai.
E giro. Uno, due scatti. La porta si apre, e io ho appena il tempo di sfilare gli occhiali da sole e abbassare il cappuccio della felpa.
Lei è in cucina, dove l’ho lasciata. Un po’ ho paura, non vorrei provocarle un infarto. Ma ormai ho aperto.
<< Ah, Ele, sei torna… ta presto >>. Si volta a guardarmi e la voce le muore in gola, si spegne sulle sue labbra impallidite per lo shock. Sorriderei, se ne fossi in grado; ma… adesso, ho altro a cui pensare.
<< Mio Dio >>.
<< Kessi, prima che tu svenga… ti spiace se rimandiamo le spiegazioni a dopo? Perché ora ho un paio di dubbi che debbo assolutamente chiarirmi, altrimenti do fuori di testa >>, le dico, incurante di quanto sembri inverosimile tutto ciò, compreso il suo improvviso silenzio. La vedo annuire appena, annientata… e mi basta. La prendo in braccio –anche perché sono sicuro che non riuscirebbe a muovere un passo, in questo momento- e la porto di sopra, in camera mia… ops, okay, non lo è più, ma non credo che Elettra se la prenderà a male.
Probabilmente, dopo me ne pentirò. Perché quanto più in fretta brucia, tanto più in fretta si spegne; e forse, una volta che mi sarò chiarito le idee mi renderò conto che si è trattato solo di un istante di confusione e desiderio frustrato… e scoprirò che avrei fatto meglio a tenermi il tarlo, perché mi sentirò tremendamente in colpa per lei… e per me, che ancora una volta mi ritroverò solo con il cadavere ancora caldo di un’illusione spezzata da cullare tra le braccia.
Ma adesso, ho bisogno di lei. Di vivere il momento prima che passi… l’ho sempre fatto. Questo sono io, sono fatto in questo modo e non posso cominciare ad aver paura di me stesso. Soprattutto perché potrei non liberarmene più.
Devo farlo… poco importa se significa avviare il conto alla rovescia.
<< Ma… sei…davvero tu? >>, domanda tremando, e il filo dei miei pensieri si spezza. La metto giù sul letto e mi sdraio accanto a lei.
Se proprio deve finire… almeno che prima duri il più a lungo possibile.  
<< Secondo te? >>, le chiedo, con una punta di dolce ironia… le passo le dita sulle labbra; sono gelide, sembra che tutto il sangue, e il calore derivante dal suo scorrere impetuoso sotto la pelle sia defluito lontano dal suo corpo. << Vuoi controllare tutti i miei piercing? >>.
Ah, no… mi sbagliavo. Eccolo, il suo sangue… riaffiora d’un tratto alle guance, incendiandogliele. Gliene accarezzo una piano, gentilmente; sembra stia bruciando come per effetto di una violentissima febbre.
<< Kessi… >>. Il verde dei suoi occhi è quasi insostenibile; arde anch’esso, come il nucleo di una stella di smeraldo.
Le mie dita vagano delicatamente dal suo volto, alla sua gola, scivolano tra i seni… ma il mio sguardo rimane fisso nel suo, luce catturata dal cuore di una gemma. Non li chiude nemmeno quando mi spingo più giù… a sondare lievemente il luogo in cui spero d’immergermi presto.
Mi giro su un fianco, puntellandomi su un gomito in modo da potermi muovere meglio; e inizio con lentezza ad abbassarle le spalline della canotta. E’ incredibile come tema perfino di respirare, quasi abbia paura che basti così poco a farmi dissolvere nel nulla.
Mi viene spontaneo rassicurarla, anche perché… vederla così in ansia mi fa male. Non è da lei. << Cassandra, guarda che io sono davvero qui >>.
Non risponde; non verbalmente, almeno. Si tende in avanti a sfiorarmi le labbra con un bacio che ha il sapore di un battito d’ali di farfalla, appena percettibile. E non mi basta… mi chino su di lei e la riprendo, cerco la sua bocca, la sua lingua… intensifico quanto più possibile questo contatto, il primo di una lunga serie… e dilato all’infinito questo momento, finché non mi rendo conto che non ha più fiato né indumenti a coprirle il seno, che ora s’alza e s’abbassa liberamente al ritmo accelerato del suo respiro tra le mie mani.
Ma ancora non mi basta… e scendo ad assaporare anche con la bocca ciò che le mie dita hanno portato alla luce, un bagliore pallido e bluastro di un primo pomeriggio di pioggia che sembra notte… è perfetto. La melodia del temporale… l’unica cosa che io non avrei mai potuto darle, c’ha pensato il cielo a mandarla. Un segno che questo è il solo attimo possibile, da cogliere e cristallizzare nell’ambra lucente del presente.   
La sento ansimare piano, le sue mani che fluiscono tra i miei capelli, le sue braccia che mi avvolgono mentre mi avventuro sempre più in basso lungo il suo corpo… e mi do mentalmente del folle, del cieco: come ho fatto subito a non accorgermi di quanto fosse bello? Un’occhiata avrebbe dovuto essere più che sufficiente a farmi desiderare disperatamente questo. La stringo più forte, come per espiare questa mancanza; e immediatamente dopo, le sfilo gl’immancabili, ormai cari shorts dalle gambe. L’istante in cui mi attardo sopra il suo ventre morbido a tracciare con la punta della lingua immaginari arabeschi roventi è quello che mi perde. Trattengo il respiro e vado a fondo, pronto ad affrontare la sfida più dura. Essere all’altezza delle sue aspettative riguardo questo… so di ottenere sempre ciò che mi prefisso, ma stavolta non dipende esclusivamente da me. Kessi ha sempre fatto affidamento sulla mia dolcezza, sulla mia pacatezza; ma non so quanto potrò restare calmo davanti a… santo cielo, non riesco a pensarci senza una dolorosa fitta allo stomaco, pulsante come una ferita aperta.
Non così presto. Ricorda che tutto potrebbe finire.
Le accarezzo a lungo le cosce, i fianchi, senza smuovere di un millimetro la testa che tengo sulla sua pancia; l’orecchio contro la sua pelle, mi ritrovo ad immaginare confusamente qualcosa… a desiderare, qualcosa che non riesco a mettere a fuoco. Come stessi ascoltando un’eco lontana risuonare nel vuoto della mia vita passata… Kessi continua a giocare con i miei capelli; ed è curioso scoprire che quasi potrebbe bastarmi. Il senso di pace che m’infonde indugiare in questo momento riesce temporaneamente ad appannare, a farmi dimenticare che… non le ho ancora dato nulla.
Mi volto ancora, a pancia in giù stavolta; e sentire il mio cuore battere così furiosamente da sembrare voler sfondare la gabbia toracica mi restituisce prontamente la memoria.
Neanche la mia prima volta ero così nervoso, ansioso, impaziente. Non credo di esserlo mai stato… sempre sicuro di me, delle mie azioni, dei miei gesti. Sempre.
Perché nessuna ragazza mi aveva mai raccontato tanto dettagliatamente cosa si aspettasse da me. Il dubbio che mi assale ora è tremendo: e se non fossi in grado di… accontentarla? Quante prima di lei sono venute e andate via col sorriso sulle labbra soltanto perché ero io, e non per quello che avevo fatto provare loro?
Improvvisamente mi sembra di essere stato derubato di un pezzo di me stesso.
Quasi soprappensiero, le allargo leggermente le ginocchia; e sempre soprappensiero, inizio a seguire con la punta delle dita le rive armoniose, frastagliate e umide il cui pensiero è stato insieme per me riparo e tempesta, nella settimana da naufrago che ho appena trascorso… e mi accorgo che non è ancora finita. Mi sento come se guardassi da sotto in su un’irta scogliera, consapevole di doverla scalare. Ed ho già le vertigini… distolgo lo sguardo, e la sfioro appena temendo di perdere il controllo e finire con l’assecondare i miei istinti piuttosto che i suoi.  
Così non va bene. Pur di appagare lei, mi sto estraniando, allontanandomi da ciò che invece vorrei sentire quanto più vicino possibile: la sua carne, il suo fuoco, il suo piacere. Evito di percepirli, di lasciarmene coinvolgere; altrimenti non riuscirò più a soddisfarla come lei si aspetta da me.
Se Shakespeare fosse ancora vivo, dovrebbe dare un paio di ritocchi al suo Amleto. Perché avrei un dilemma nuovo di zecca da proporgli: natura, o ragione? Se stessi, o l’altro? Qual è la via giusta da seguire, nel labirinto dei desideri, delle sensazioni e degli impulsi?
Sto per perdermi. Quello che avrebbe dovuto essere un mezzo per trovare pace e risposte, nonché per rendere felice Cassandra sta rischiando di diventare una lotta con troppe parti in causa.
<< Bill… >>, mormora appena, la voce spezzata dal respiro che sfugge troppo in fretta dalle sue labbra, dalla sua gola. E’ meraviglioso poterle dare tutto ciò che desiderava, esattamente come immaginava lei… e altrettanto lo è sentirla sospirare esattamente come immaginavo io.
Ma so che questo non basta. Non basterà a sciogliere il nodo che sento nel petto, quella domanda che mi batte in testa da un tempo che sembra infinito e a cui potrei dare tanto facilmente una risposta… se soltanto potessi lasciarmi andare e scacciare dalla mente tutti i fantasmi evocati dai suoi discorsi, dalle sue confidenze.
<< Bill >>, ripete, più quieta, più determinata. << Fermati un istante. Per favore >>.
La dolcezza nel suo tono invece che scaldarmi suscita nella mia anima un brivido gelido, tagliente; se non sono certo di amarla, perlomeno sono sicuro di odiarla in questo momento, per quello che mi sta facendo… anche se involontariamente.
Si tira su a sedere, nonostante le costi uno sforzo evidente. << Bill, ascolta… non so come sia abituato tu, però io devo dirtelo… a me non basta. Voglio… toccarti anch’io >>. Mi guarda dritto negli occhi, mentre me lo dice; e questo è già abbastanza per farmi chiudere la gola e perdere la voce, quasi che la sua avesse le dita.
<< Ce… certo, Kessi. E’ ovvio. Puoi farmi tutto quello che vuoi >>. E anche oltre, tesoro mio. E se questo significa varcare il confine tra piacere e dolore… eccomi, sono qui. Sono pronto.  
<< Be’… grazie, però… io preferirei farti quello che vuoi tu >>.
<< Qualunque cosa tu faccia, Kessi, andrà bene. L’essenziale è che sia tu a toccarmi >>.
Per la prima volta da quando la conosco, abbassa lo sguardo. E già tremo, dentro; non è buon segno.
<< Non… funziona così, Bill >>. Rialza gli occhi, e non riesco a reprimere un sospiro di sollievo. << Prima di te, mi sono sempre lamentata di come il mio ex si comportasse a letto con me; ma non mi sono mai fermata a chiedermi cosa pensasse lui di me o meglio ancora, di domandarglielo direttamente… e non voglio ripetere quest’errore con te. Non soltanto perché questa potrebbe essere un’occasione irripetibile, un miracolo che non so ancora cosa io abbia fatto per meritare; ma anche perché… tu sei perfetto. Il tuo corpo, il tuo viso, i tuoi gesti, le tue parole… sembra che tu mi legga nella mente. Non capisco come possa avvenire e non voglio neanche capirlo, vorrei solo poter ricambiare… per quanto possibile, certo. Perché purtroppo… forse tu non potevi saperlo, ma ora di sicuro lo vedi con i tuoi occhi: io non sono perfetta come te. Non potrò mai esserlo, però… stando con te qui e adesso, sento di poter raggiungere il livello massimo di perfezione che mai mi sarà concesso nella vita. Aiutami ad arrivarci, Bill. Dimmi cosa posso fare per te >>.
Ed è ora che il tintinnio di un vetro che s’incrina mi dà la sveglia. Un secchio d’acqua gelata sarebbe stato meno efficace di questa preghiera appena sussurrata.
<< Be’, in effetti… c’è qualcosa che potresti fare per me, Kessi. Io… lo vorrei davvero tanto >>.
Mi si avvicina, raccoglie la mia mano tra le sue e mi guarda con un’attesa quasi dolorosa. << Dimmi, allora >>.
La mia mano libera sale a fondersi con la sua guancia, la tengo così per un istante, sospesa, immobile. L’ingannevole quiete prima della tempesta… quella che stavolta so ci travolgerà entrambi. Potrebbe anche dividerci, smarrirci, sbattere chi di noi due sugli scogli freddi e aguzzi, chi sulla sabbia dorata e accogliente… ma ormai non posso più impedire che si scateni. << Perdonarmi >>.
<< E per cosa? >>, mi domanda, a metà tra ingenuità ed incredulità.
<< Per questo >>, ho appena il tempo di risponderle prima di trascinarla giù con me. Le onde hanno già cominciato ad infrangersi contro le rive… cielo e mare neri si chiudono sopra di noi, acqua contro acqua.
Non so dove mi risveglierò.
Spero solo di non deluderla troppo.

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Capitolo 7
*** epilogo ***


Epilogo Ahhhhh… ma quant’è bello, Tom. Non mi stancherò mai di ripeterlo. Mai. Nemmeno adesso che è davanti ai miei occhi, sdraiato a pancia in giù, con le treccine sparse sulla schiena nuda… come tutto il resto del suo corpo scolpito, levigato, abbronzato… non posso fare a meno di notare che è bellissimo, le lenzuola di raso sono la sua cornice ideale. Sembra nato per starci in mezzo, Endimione dormiente la cui bellezza non viene intaccata dal tempo che scorre. Wow. Santo Cielo. Alla faccia di Twilight. Mi gioco le mani che Bella se la sarebbe filata di corsa, se al posto di Jacob ci fosse stato lui. Altro che Edward Cullen pinguino surgelato… la sua pelle è rovente, il suo cuore batte con una tale forza che riesco a sentirlo da qui. E’ fuoco, e potenza; ma anche dolcezza, e attenzione. E… -oddio, se mi vedesse Kessi arrossire mi prenderebbe in giro a vita, lo so- anche romanticismo. Assurdo, incredibile eppure vero. Dorme sereno, e un sorriso scemo si traccia sul mio volto prima che possa rendermene conto. Detesto ammetterlo, ma Kessi aveva ragione marcia: adesso che è qui, con me, non sento più il bisogno di leggere le Twincest. Non devo più nascondermi dietro nessun alibi… ma fare i conti con la mia mancanza di autostima, be’, quello sì. Paradossalmente adesso che è con me ho ancora più paura. Di perderlo, intendo. Ora che so quant’è meraviglioso… quel timore non ha fatto altro che diventare reale. E nonostante tutto, mi rendo conto che un po’ mi mancano quelle storie. Un amore saldo, vero, sicuro, eterno e indissolubile, un patto di sangue che nessuno può mai slegare davvero… “Se anche io morissi, non potrei mai lasciarti da solo. Il nostro è un vincolo che va al di là della semplice vita terrena. Tu hai il mio sangue, nelle tue vene, ed io il tuo: e nessuno, nemmeno la morte, potrà mai toglierci questa certezza…”. Già, la storia di Camille era davvero bella… e non ho più finito di leggerla. Chissà se ha pubblicato il capitolo successivo. Ero curiosa di sapere se alla fine, la vittoria ha arriso allo schieramento guidato dai gemelli figli della Luce o al potente signore delle Tenebre… bella, bella, bella: in questa Twincest i due erano stati separati alla nascita, e mentre uno era cresciuto sulla Terra, in una famiglia umana – e questo era Bill- l’altro- Tom, ovviamente- era rimasto in una dimensione alternativa, cui si poteva accedere soltanto attraverso gli specchi nelle notti di luna nuova. Era stato adottato da Zahar, il signore dell’oscurità, che voleva eliminare il popolo della Luce ed estendere il suo dominio, attraverso il buio, anche sulla Terra. Bill – che nella storia aveva un altro nome e Bill era soltanto il suo nome “umano”- guardandosi allo specchio una notte prova l’assurdo desiderio di toccare quella lastra e finisce catapultato su Aurea, questa dimensione magica: qui conoscerà i superstiti del popolo della Luce impegnato in una lotta senza esclusione di colpi,una resistenza stregua che cerca d’impedire al buio di sconfinare. Si farà coinvolgere e in seguito, scoprirà le sue vere origini e diventando capo dell’Esercito della Luce, verrà a scontrarsi in singolar tenzone con il capo dell’Esercito delle Tenebre, Alen, cioè Tom. Lui ne uscirà vincitore e non avendo il coraggio di uccidere a sangue freddo un essere disarmato, gli scopre il volto e resta di ghiaccio nel vedere ch’è identico al suo… così lo fa restare nel suo schieramento, lo cura e inevitabilmente come in tutte le Twincest –sennò ‘ndò cavolo sta il bello, no?- s’innamorano… e si alleano. Solo in seguito all’intervento del vecchio saggio Cornelius, l’unico a conoscere la verità, sapranno di essere gemelli; ma ormai l’amore è sbocciato e non possono più tornare indietro. Inoltre, c’è Aurea ancora da salvare… “Cosa faranno i nostri amati eroi? Lo leggerete nel prossimo capitolo! Se non sarete “cecate” prima nel frattempo, mie care amiche depravate… :D!”. Così diceva l’ultimo post. Tipina spiritosa, andrebbe d’amore e d’accordo con Kessi, se non fosse che a lei stanno sullo stomaco. Quasi quasi… solo un’occhiata, per vedere se è finita. Detesto lasciare le cose in sospeso. Silenziosamente, sgattaiolo fuori dal letto e vado alla scrivania. Avvio il pc. Ci sono infilate le cuffiette quindi non si sente la musichetta di presentazione. Appare la schermata del desktop, seleziono Internet Explorer. Google… okay, sono dentro. Inserisco nick e password. Accettati entrambi. La schermata iniziale si sta caricando, lentamente come al solito. Ci mette un’eternità ad apparire il messaggio di benvenuto; e l’istante in cui finalmente il caricamento è completato è lo stesso in cui sento una mano calda e morbida atterrare sulla mia spalla destra. << Pensavo l’avessimo finita con questa storia… >>. Non oso voltarmi. Mi sembra particolarmente arrabbiato, e ha ragione. Non è che sia un argomento proprio ortodosso quello trattato nelle storie; soprattutto il modo in cui viene trattato in alcune delle storie, poi. Colta in flagrante chiudo il laptop e giro sulla sedia, a capo chino. << Scusa. Non lo farò più >>. << L’ho sentita fin troppe volte, questa frase. Ma mai una volta che tu abbia mantenuto le promesse… >>, mormora, con aria vagamente minacciosa. << Penso sia ora di darti una lezione… >>. Prima che abbia il tempo di preoccuparmi, m’issa in braccio e mi porta sul letto. Mi sdraia e si stende su di me, cominciando a baciarmi la bocca, il collo, il seno, facendomi inarcare contro il suo corpo splendido e nudo. Si spinge più giù, mi sfila la tuta e mi allarga le gambe con dolcezza, immergendosi tra di esse; ed è uno stillicidio straziante di baci rapidi che si susseguono a carezze di lingua lente e misurate… laddove non riesce ad arrivare con la bocca, si aiuta con le sue lunghe, maliziose dita esperte, per stordirmi e perdermi del tutto;il fiato mi viene meno, mentre mi esplora portandomi sempre più vicina al baratro del piacere… un abisso in cui sono più che felice di precipitare. Non si ferma nemmeno dopo che sono già atterrata e sono diventata così sensibile da non sopportare più neppure il tocco del suo sguardo brillante sulla mia carne esposta, figurarsi quello delle sue mani,del suo respiro. Ha le dita completamente avvolte dalla resina zuccherina del mio corpo e risalendo fino ad incontrare i miei occhi, le porta alle labbra succhiandole una per una… santo cielo. Basta questo a darmi ancora piacere quando pensavo che ormai avessi provato tutto quello possibile ed immaginabile. Plana a baciarmi piano, un lambirsi di labbra bagnate lieve come il battito d’ali d’una farfalla, m’inchioda servendosi di tutto il suo incantevole corpo e facendosi strada con una dolcezza quasi esasperante, mi fa sua strappandomi un ansito. Le sue labbra che cercano ancora le mie, le sue dita deliziosamente viscose che s’intrecciano alle mie e sfuggono qualche istante per andare a stuzzicare le gemme dei miei seni che sfregano contro il suo petto forte, la durezza vellutata del membro che mi penetra a fondo ma senza far male, senza smettere di accarezzarmi con tutti i piccoli anellini d’acciaio che vi sono incastonati... Mi aggrappo alla sua schiena con le unghie, come se ne andasse della mia vita; e in un certo senso è così. Se dovesse lasciarmi adesso, fisicamente intendo, morirei. Perché ho bisogno di sentire anche il suo piacere, lo stesso che lo sta ancora attraversando in forma di corrente elettrica a basso voltaggio e adesso si sta trasformando in brividi che lo scuotono come in preda alla febbre, liquefarsi e dissetare il mio corpo, perché sia tutto veramente perfetto. Differentemente dal solito, stavolta non ci mette molto, a far accadere questo miracolo. Riempie la mia bocca della sua lingua, calda e piumosa e il mio ventre del suo seme, dove so che non potrà far “danni” grazie ad un metodo molto efficace che può farmi godere del diretto contatto con lui senza dovermi preoccupare di nulla. Sia benedetta la pillola che ci ha concesso di abbandonare l’uso del profilattico… ma a onor del vero, devo anche confessare che se ho deciso di optare per questa soluzione, è perché mi ha rivelato di averlo sempre usato senza problemi con le altre –con tutte le altre, grrrrrrrrrr!-, ma… ecco, come dire… io sono stata la prima a fargli provare il desiderio di qualcosa di più… ehm, profondo. << Sei arrossita… a che stavi pensando? >>, mi domanda sfiorandomi la guancia con la punta delle dita. E’ bellissimo. Lo è sempre, prima, durante e dopo. Soprattutto lo è mentre mi sta sopra, mi abbraccia scaldandomi con la sua pelle di seta e continua a starmi dentro, con gli occhi e non soltanto. << A niente >>. << A niente? >>. << A niente oltre te che venivi >>, ammetto, e adesso ad arrossire è lui. Che soddisfazione… << Evviva la sincerità >>, mormora piano, sfilando altrettanto piano il suo membro da me. Avverto un calore leggero e bagnato sulla mia pancia e intuisco immediatamente di cosa si tratta; allungo un dito ma lui è più veloce, raccoglie quella piccola goccia di pioggia generatrice l’avvicina alla mia bocca che ne assapora la melodia di note dense, d’erba e terra dopo il temporale, di felci e more e sottobosco fresco e verde. Un sapore ch’è più un’istantanea, sul genere dei flash di Kessi. Mi scosta i capelli dal volto e mi bacia ancora, con passione, raccogliendo gli ultimi sprazzi del nostro sapore sulla mia lingua. Be’, se questa è la punizione, penso che diventerò mooolto ma molto recidiva. << Pensi sia finita qui? >>, mi domanda infatti appena si stacca, trattenendo a stento una risatina nel vedere come passo velocemente dall’estasi più pura e luminosa all’inquietudine grigia e nera. << Spiacente, tesoro mio, questo era soltanto il prologo… la storia comincia adesso. Aspettami qui >>. Si tira su di scatto, scende dal letto e va alla porta, esce chiudendomi dentro a chiave. Chiaro che mi fido di lui, ma per esperienza posso dire che i Kaulitz sono imprevedibili. Una fitta allo stomaco mi si apre dentro e inizia a pulsare, tanto da azzittire perfino la musica che i miei recettori hanno alzato al massimo livello mentre facevano festa strafogandosi di endorfine. Praticamente, hanno organizzato un rave last-minute senza invitarmi, quei bastardi. Torna, lo scatto della serratura mi tranquillizza un po’. E scoprire ch’è ancora solo anche di più; per un attimo, un’idea folle e malsana mi ha attraversato la mente... ma dubito che Kess sarebbe disposta a “prestarci” Bill: prima si sparerebbe, ma soltanto dopo averci fatto fuori tutti nel modo più doloroso ed efferato possibile. E poi, diciamoci la verità: da quando sono stata nel suo corpo… non so se avrei tanta voglia di approfondire certe questioni con lui. Per carità, è uno strafigo e questo nessuno lo nega, però… il timore di poter rimanere per sempre prigioniera di quel corpo ha spento ogni possibilità di farmelo desiderare. << Visto che ti piace tanto leggere le Twincest, in tutte le loro improbabili varianti e perversioni… vediamo se provarne qualcuna ti fa passare la voglia. Cominciando dalla più semplice… >>. Mi fa voltare e con estrema lentezza, inizia a massaggiarmi la schiena. Nulla di strano, se non che è molto, molto piacevole, rilassarsi così dopo aver raggiunto l’orgasmo… Finché non mi accorgo che le sue mani scivolano troppo facilmente su di me, per essere, diciamo così, “normali”. Si aiutando con qualcosa, è evidente. << Tom… >>. << Shhh. Nessuna possibilità di replica. Spiacente, tesoro, te la sei cercata >>. << Veramente volevo soltanto sapere che cavolo è che mi stai spalmando addosso…Non quello che penso, spero! >>. Non vorrebbe, prova eroicamente a resistere ma alla fine scoppia a ridere. << Ma no, certo che no, e come potrebbe? L’ho versato tutto in te, il mio… >>. Già, è vero, che cretina… magari potrei anche dirlo ad alta voce, se non fosse che la sua ultima frase ha paralizzato le mie corde vocali. << Ma come fai ad avere sempre dei pensieri tanto… come dire… >>. << Osceni? >>. << Anche. Ma soprattutto eccitanti… >>. Le sue mani premono e scivolano sulle mie scapole, i fianchi, risalgono sul costato e scivolano con dolcezza –e facilità, è il caso di sottolineare- davanti, tornando ad accarezzare il territorio precedentemente visitato e...conquistato. << Purtroppo continuo a pensare come una twincester… e lì non è affatto insolito che avvenga! >>. << Ma davvero? >>, domanda, più incuriosito e perplesso che disgustato. Mi divarica le gambe e riprende a massaggiarmi, con più decisione, avventurandosi un po’ ovunque… si china a posarmi un bacio sulla guancia e io mi volto quanto più possibile per ricambiarlo sulla bocca, e mi accorgo così ch’era un espediente per passarmi qualcosa di fondente, denso e dal retrogusto vagamente metallico… mi si scioglie in bocca colmandola del suo sapore pastoso. << Burro? >>, sbotto, incredula. << Mi stai spalmando di burro come fossi una fetta di pane?! Santo cielo, ma si può almeno sapere perché? >>. << Non ci sei ancora arrivata? >>, domanda lui malizioso, e la punta del suo indice s’insinua nel solco tra le mie natiche, allargandolo leggermente. Trasalgo mio malgrado. << Pensavo che in qualità di accanita twincester fossi abbastanza scafata… da capirlo immediatamente >>. Oh-oh. Mi sa che a furia di giocare col fuoco, ora finirò col bruciarmi di brutto. S’insinua leggermente più a fondo: la lieve fitta che mi attraversa nonostante la lentezza con cui fa scivolare dentro una delle sue lunghe dita comincia a darmi un’idea di come potrebbe essere il resto… E’una sensazione nuova, strana, anche se non del tutto spiacevole. Ma quando le dita diventano due sono costretta ad artigliare il cuscino. La carne attorno alle sue falangi brucia, non troppo ma brucia…eppure sono troppo curiosa, per dire di no. Troppo… affamata. Di lui che non mi basta mai. Voglio averlo, in ogni modo possibile, immaginabile e anche inimmaginabile. Anzi, a proposito… << Avvicinati >>, gli mormoro, mentre continua il suo intenso, erotico massaggio dentro di me, dilatando e torturando deliziosamente l’unica parte di me che ancora non aveva espugnato… finora. << Dove? >>. << A me, sciocco. Avvicinati >>. Striscia sinuosamente sul letto fino a raggiungermi, s’inginocchia al mio fianco. << Cosa c’è? >>. << Niente, volevo solo… >>. Mi tendo quel tanto che basta ad appoggiare la guancia sulla sua coscia, e averlo a portata di respiro. Meraviglioso. Un frutto maturo che non aspetta altro che di essere raccolto, assaporato, di lasciarsi mordere piano e riempire la bocca di chi lo assaggia con il suo succo denso e cristallino… schiudo le labbra e lo sfioro con la punta della lingua, poi lancio al suo “proprietario” uno sguardo di sottecchi. E’ stupito. Ma soprattutto, ansioso di sentirmi continuare. So che gli piace da impazzire e piace tantissimo anche a me, e vorrei farlo quanto più spesso possibile ma non glielo confesserò mai. Sennò si vizia,ci fa l’abitudine e amen: e questa è l’unica arma che ho a disposizione per esercitare a mia volta un discreto potere sui suoi sensi, cosa che lui fa con me sempre. Mi accarezza teneramente i capelli, la fronte, il collo, donandomi brividi dolcissimi mentre lo assedio con la bocca e la lingua, tracciando infiniti cerchi concentrici sull’estremità liscia e carnosa, percorrendolo in tutta la sua marmorea, rigida lunghezza e stuzzicando uno per uno i piccoli bagliori argentei che vi brillano sopra come gocce di fresca rugiada. Ogni suo respiro strozzato mi manda in blackout il cervello, spegnendo tanti interruttori quanti sono i suoi lievissimi, quasi impercettibili sospiri di appagamento. Si sdraia, e passandomi un braccio tra le ginocchia riprende il suo “castigo” da dove aveva interrotto, concedendosi però qualche breve escursione… in altri luoghi. Poi all’improvviso mi stacca da sé, con affannosa gentilezza. Dev’essersi scordato che questa è una punizione…chissà come mai, eheheheh! << Basta, amore >>. Gli punto addosso uno sguardo innocente degno dei migliori occhioni da cerbiatto di Bill. << Perché? >>. E lui mi sale addosso, così, di schiena, tenendomi ferma giù con una mano inchiodata sull’osso sacro; fremo, improvvisamente consapevole di non potermi tirare indietro… Perché non voglio. Resto immobile, continuando ad artigliare il cuscino, mentre lui affonda in me con una dolcezza… estrema. Lentissimamente. Percepisco distintamente l’istante in cui ogni piccolo cerchietto segna una tacca nel mio corpo. A fondo. Ancora più a fondo. Fino a non sapere più dove finisca lui e cominci io. << Va tutto bene? >>, mi sussurra in un orecchio, prima di seguirne i contorni con la punta della lingua. Tremo sotto di lui e ne approfitta per stringermi di più, come se avessi intenzione di scappare… sì, scema dovrei essere! << Insomma. Sono completamente unta, legata e impalata, sembro un pollo allo spiedo! >>, sbotto, solo per sentirlo ridere. E’ meraviglioso… un istante sacro, che niente e nessuno potrebbe mai rovinare. << Ma sto bene… anzi, benissimo >>. Lui annuisce. << Ah ah… be’, non per vantarmi, ma penso che una parte del merito sia attribuibile anche allo spiedo! >>. Mi costa uno sforzo disumano voltarmi per guardarlo male, ma ci riesco. << Sei un… >>. Non mi permette di continuare: con un spinta a tradimento, profonda, sensuale, appassionata spezza il discorso e anche il mio respiro, che si affila in un gemito. Mi scocca uno dei suoi specialissimi sguardi da diavoletto ammaliatore e fa: << Dicevamo? >>. << Che ti… odio quando… fai così >>. E odio me stessa quando lo voce mi s’incrina come ghiaccio sottile. Si diverte da morire, a prendersi tanti punti su di me. << E io invece ti adoro quando ti sento così… >>. Si avvinghia a me con le sue braccia tornite, perfette, da serpente tentatore che sevizia la preda prima di nutrirsene. << Fallo ancora >>. << No >>. << Dai… >>. Spinge ancora più forte, rasenta quasi la violenza ma è una violenza giocosa, condivisa, amata e cercata. Mi mordo le labbra a sangue ma non sono disposta a dargli altra soddisfazione. << No >>. << E va bene >>. Esce da me, si mette a sedere e mi attira su di lui, riprendendomi immediatamente. Sono costretta a capitolare e crollare contro il suo petto, le mani che affondano le dita, le unghie nelle sue cosce sode, incantevolmente allargate ad accogliermi. Apro gli occhi e ritrovo il riflesso di noi, del nostro amore, del nostro fantastico sesso nello specchio… l’immagine a me tanto cara del suo splendido volto da angelo, che mostra tutti i segni rivelatori di un immenso piacere. I suoi occhi dentro ai miei sono schegge d’ambra purissima. Il suo corpo dentro al mio è uno strale che mi trapassa l’anima. Mi sento… spintissima. Eccitata a tal punto da non avere più alcun controllo sulla mia mente, sui miei impulsi. E’una vista così… scioccante che… santo cielo, per un attimo ho completamente dimenticato di essere la donna, la “vittima”, quella dominata: quello in cui mi sono sollevata sopra di lui soltanto per mandarlo più a fondo, stordirlo con questa stessa sensazione devastante che ora mi tiene sospesa tra dolcissimo inferno e doloroso paradiso. Serra le braccia sotto il mio seno, lo accarezza passandovi le dita come sulle corde della sua chitarra più amata. E mi perdo. Il verso roco, basso che gli strappo dalla gola è quello di un piccolo felino affamato, di un cucciolo di pantera che giocando impara a cacciare. E’ una gara a chi eccita di più l’altro e io non sono disposta a dichiararmi sconfitta senza aver combattuto, anche se lui si porta quasi subito in vantaggio; fa scivolare con grazia una mano fino alle mie gambe, le divarica leggermente e m’insinua dentro un dito con estrema lentezza, in modo ch’io possa vedere nitidamente nella lastra d’argento immoto la disarmante delicatezza con cui mi colma e mi abbandona repentinamente, entrando ed uscendo da quell’abisso che sembra avere la facoltà di catturare le mie sensazioni, emozioni e fantasie per condensarli in lampi di piacere fisico, quasi tangibile. Ma non ho intenzione di regalargli il match tanto facilmente. Sostenendo il suo sguardo brillante di malizia nello specchio, mi ritraggo e riaffondo senza preavviso, sentendo il mio intero essere dilaniarsi sotto l’effetto della spinta, un dolore acuto e tagliente intrecciato però indissolubilmente ad un piacere lancinante. Lui non riesce più a reggere e si aggrappa a me, alla cieca, artigliandomi la pelle dello sterno, della pancia, come capita. Ce l’ho in pugno, e questo trionfo fa sì ch’io smetta di essere Elettra per diventare una creatura libera dai confini del suo corpo,dai suoi limiti, più vicina all’istinto originario che alla forma umana attuale. Mi sdraio portandolo giù con me e abbandonata ogni remora, inizio a muovermi sopra di lui sempre più velocemente, con scatti simili a spasmi, che lo annientano e lo sconvolgono; può soltanto stringermi, farmi aderire quanto più possibile alla sua pelle madida di sudore, esattamente come la mia. Lo lascio per un secondo appena, per salirgli di nuovo addosso ma stavolta in modo da poterlo guardare; inchiodo le mani contro la parete sopra la testata del letto e ricomincio a scuoterlo violentemente come fa un temporale col cielo, con l’aria, con la natura circostante; non gli lascio il tempo di respirare tra un affondo e l’altro, e così la mia carne già infuocata al massimo preme, sfrega e pulsa contro il suo osso pubico regalandomi un orgasmo rovente e assolutamente inaspettato, che annega le mie energie residue in un mare buio e profondo, da cui non c’è risalita . Lui lo percepisce, si rizza a sedere mentre io mi muovo ancora, esausta, distrutta ma non paga. Mi abbraccia e posa un bacio tra i miei seni, cinge il mio volto tra le mani, lo abbassa per potermi guardare e mi fissa da laggiù. Nei suoi grandi occhi sgranati leggo la più totale soggezione… << Elettra… >>, mormora con un filo di voce, prima che un lieve gemito prolunghi l’ultima vocale del mio nome all’infinito, facendola riecheggiare tra le pareti di questa stanza…ma al contrario dell’eco che va affievolendosi, questa va intensificandosi, di pari passo con le mie ultime spinte: ad ognuna trema più forte, sempre di più finché… non esplode in un vero e proprio grido, che gli restituisce la voce chiara, pura e limpida dell’adolescenza e non mi costringe a rallentare per poi fermarmi. Ho vinto. Anche se so che non lo ammetterà mai, così come non ammetterà mai di aver gridato per le fitte dell’orgasmo che gli stavano straziando il basso ventre. Magari s’inventerà ch’è stata colpa di un crampo, o di “il Cielo-solo-Sa-cosa”… Ci sdraiamo, io rotolo via da lui ma soltanto per il tempo che riprenda fiato. E scopro di aver torto. Non che sia una novità. << Chi sei tu, favolosa Dea del sesso, e cosa ne hai fatto della mia Elettra? >>, domanda, che ancora ansima. << Sai, quella ragazza tranquilla, timida, che per poter avere un po’ di sesso orale da lei dovevo raccogliere i punti come quelli delle merendine… ogni 30 “incontri ravvicinati” un “bacio intimo”in regalo >>…. << Idiota! >>.. << Dai, scherzavo! Sto cercando di rifarmi, mi hai fatto dimenticare che questa doveva essere una lezione >>. << Non ti preoccupare, io me lo sono ricordato >>. Mi scocca un’occhiata obliqua, il respiro ancora corto, spezzato, rovente.<< Allora? Leggerai mai più qualche Twincest? >>. <>. << Ahhhh… >>. Si sdraia accanto a me, finalmente ha sentito quel che voleva sentire… forse. Io l’ho sentito senza dubbio. << Non potrei proprio fisicamente. Sarei gelosa marcia anche di Bill adesso! >>. Salta su, improvvisamente ritemprato di tutte le sue energie. << Ah? Ma insomma! >>. Scoppio a ridere, e lui mi colpisce con un cuscino; inizia così un carosello du cuscinate, pizzichi e tentativi di morsi, che si spengono in un bacio dolcissimo. Non riesco a smettere di ridere, di piangere, di soffrire e gioire tutt’assieme. Sono folle. Sono viva. Ed è solo merito suo. Lo guardo, nudo, che si aggira per la stanza in cerca dei suoi vestiti, e davvero assomiglia ad un dio… plastico, scolpito, sensuale. Il mio dio del sesso. Ma il sesso senza amore non conta niente, è solo ginnastica divertente che non scalda il cuore. Lui l’ha capito. E questo, posso dirlo, è solo merito mio. << Non è che ti va di fare una doccia, vero? >>, mi chiede dal bagno. Io mi rotolo sul letto, per la verità ho a stento voglia di alzarmi, quindi…<< Sì ma non con te! >>. << Che infame che sei… e io che volevo lavarti la schiena! >>. << E proprio perché lo sapevo, ti ho detto di no. Altrimenti sai anche tu come finisce… E devo ancora levarmi ‘sto roba di dosso, cambiare le lenzuola, preparare il pranzo… >>. << E secondo te tutte queste cose sono più importanti di me? >>. Mi tiro su dal letto, senza arrotolarmi addosso nemmeno l’immancabile sacrosanto lenzuolo… il nuovo potere che ho acquisito su di lui mi dà un po’ di sicurezza in più. So che si tratta di una cosa passeggera, ma finché c’è approfittiamone no? Così magari se un giorno sentirà il bisogno di farsi abbordare da una panterona sexy o da una tigre del ribaltabile, forse in virtù di questi momenti potrebbe rifletterci un po’ su. << Tesoro, ma io le faccio per te… >>, affermo maliziosa, comparendo sulla porta del bagno. Lui inarca un sopracciglio, mi squadra. << Oddio, ma sei ancora nuda? >>. << Ma certo che no! E’ una nuova moda ambientalista, ci si veste con materiali commestibili per la salvaguardia del pianeta… mi stupisce che tu e tuo fratello non ne sappiate niente! >>. << Molto divertente! >>. << Io ho optato per il burro, solo non ho pensato che poi tende a liquefarsi addosso, col calore del corpo… >>. << Ma sbaglio, o avevi detto che non volevi fare la doccia con me? >>. << Infatti, ti sto lisciando per cercare di convincerti a lasciarmela fare per prima! >>. << Ma guarda questa… dì un po’, dove la tenevi nascosta tutta questa astuzia, signorina Colli? >>. << Be’, veramente sarebbe un segreto… ma per te potrei fare un’eccezione e svelartelo… >>, mormoro, avvicinandomi a lui. Gli passo una mano chiusa ad artiglio tra le spalle, giù fino al fondoschiena… meravigliosamente sodo, e gli assesto un piccolo, ma vigoroso buffetto. Con uno sguardo di palese invito, entro nel box, richiudo le ante. Il tempo di aprire il getto d’acqua, e le mie intenzioni di “fare pausa” e mettermi alle faccende di casa vanno a farsi benedire. Ma non è che mi dispiaccia poi così tanto…


E’ inutile, se c’è una costante fissa nella mia vita, è la sensazione di fastidio profondo e viscerale che mi prende allo stomaco ogni volta che devo andare in giro a far spese. Per carità, non che siano le spese in sé e per sé, che mi danno fastidio; anzi le adoro. Il problema è quello che fa da contorno allo shopping, e non mi riferisco solo alle commesse maleducate e alle code alle casse… ci sono anche altri motivi, che sono cambiati nel corso del tempo. Quand’ero piccolo era la scarsa disponibilità di fondi, da adolescente è stato il dover essere accompagnato a vista da non meno di due bestioni a farmi da balia fuori dai camerini di prova, e adesso, da “ anagraficamente adulto” come dice la mia dolce metà che scende tutta allegra dall’auto sbattendo come al solito la portiera… il fatto che suddetti bestioni non ci siano più. Perché essere interrotti nel bel mezzo di un siparietto hot condito da lancio di biancheria intima da un’arcigna e inamidata commessa che mi ha quasi fatto provare nostalgia per Martine, dover uscire dal camerino stringendomi addosso il cappotto – questo invece mi ha fatto rimpiangere non essere più nel corpo di Ele - e rischiare una denuncia per atti osceni in luogo pubblico quando non stavamo facendo assolutamente nulla di male – non ancora, perlomeno- è quanto di peggio possa capitare durante un “tranquillo” giro di compere. Va bene, qualcuno potrebbe dire: “ma tu hai già il precedente con i camerini, quindi è inutile che ti lamenti”; e avrebbe anche ragione, ma come la mettiamo col pastrocchio in sala d’incisione? Listing e Schäfer, ormai soci e affiliati dell’associazione “Sfottiamo Bill Kaulitz ad perpetuam”, come se solo a me capitasse di tutto e di più, sono venuti in possesso di una registrazione alquanto “particolare”, per dirla diplomaticamente, e ora minacciano di mettere tutto su Youtube ogni volta che sclero perché non fanno come dico io. Non posso nemmeno contare sull’appoggio di mio fratello perché… lui è il capo dell’associazione. E il fornitore ufficiale di aneddoti disastrosi che vanno ad ampliare la già scoraggiante collezione di casini più o meno innocui, non ultimo quella volta che siamo stati beccati a giocare a nascondino nella clinica dov’era stata ricoverata per accertamenti in seguito ad un malore sospetto… Quell’infame. Vatti a fidare dei parenti. La triste realtà è che con Kessi si può stare tranquilli solo di non poter stare mai tranquilli. Triste perché in un modo o nell’altro va sempre a finire male… e prima di aver portato a termine qualcosa, dannazione. A che serve essere fantasiosi, se poi puntualmente t’interrompono sul più bello? L’istante che precede la resa… quando gli sguardi s’incrociano, ugualmente accesi d’eccitazione e desiderio, l’uomo si offre e la donna valuta se accogliere o meno quell’offerta, il dono di sé e di tutto il piacere ch’essa può arrecarti… Misericordia. Okay, devo riprendere fiato. E non solo perché, contrariamente al mio solito, mi sono fatto carico di tutto quello che c’era nel portabagagli. << Shhh… lascia quella roba dietro la porta, dai! Così penseranno che siamo rientrati da un pezzo! >>. << Ma che… >>. Tremenda. Tom ha trovato una degna rivale, in tema di scherzi; sa essere perfino peggio di lui, per non dire di me. << Sei diabolica >>. << Lo so >>, mi sussurra, allacciandomi le braccia al collo per un breve bacio… breve, per forza di cose. Perché altrimenti sappiamo entrambi che finiremo a rotolare sul parquet che neanche due animali selvaggi e sinceramente non mi pare molto opportuno… Mi stacco leggermente e socchiudo gli occhi per guardarla, ma così è anche peggio perché adesso è perfino più bella di quanto non sia mai stata. Stando con Kessi mi ci è voluto pochissimo per imparare che la bellezza è poter guardare la tua donna appena sveglia, senza trucco e sentirsi spaccare il cuore da quant’è radiosa. Ma okay, devo confessarlo. Il fatto che lei pensi la stessa cosa di me, be’… mi fa sentire ancora più innamorato, e grato nei suoi confronti. E una parte del merito l’hanno anche tutti i suoi discorsi scellerati che non ha mai smesso di fare, dietro mia specifica richiesta… ma soltanto quando siamo soli, e preferibilmente in camera. Allora può dire tutto quello che vuole… e spesso sono indeciso se sia più eccitante starla a sentire, o più piacevole chiuderle la bocca con un bacio… che ci mette un nanosecondo ad evolversi ad una presa e placcata contro il muro. Come adesso. Ci stiamo ancora baciando, quando mi rendo conto che siamo finiti nell’altro angolo dell’ingresso e che le mie mani sono scivolate dai suoi fianchi, alla sua pancia… è un miracolo, vederla crescere giorno per giorno. Slaccio un bottone del suo cappotto e le infilo dentro, sotto la lana del maglione, contro la pelle. << Amore, basta… altrimenti va a finire che lo scherzo lo fanno loro a noi >>, mi rimbrotta scherzosamente Kessi, chiudendo le dita attorno ai miei polsi. Ma li lascia lì dove sono. << Hai ragione. Perdonami >>. << Ti ho già perdonato. A vita >>, mormora, salendo sulle punte dei piedi per baciarmi ancora una volta, un attimo soltanto. E’ vero. Ripenso automaticamente a quel risveglio, quattro mesi fa… quello che credevo fosse la meta, e invece si è rivelato essere solo una tappa, nel mio viaggio accanto a lei. Aprire gli occhi e scoprire che la tempesta era passata, ma non era riuscita a dividerci… anzi, era servita soltanto a renderci più vicini, più uniti, più forti… Risento la sua voce come un’eco, risuonare dal fondo di queste 18 settimane e riempirmi la mente di ricordi. A quando, sfinita, distrutta, senza più un filo di fiato, nonostante tutto mi aveva tenuto sul suo petto e stretto a sé, senza smettere di accarezzarmi i capelli. << Okay, ora ho capito perché mi hai chiesto di perdonarmi… >>, aveva commentato, a stento. E sempre a stento io avevo rialzato la testa dal suo seno per guardarla e domandarle: << Perché? >>. << Perché ho quasi rischiato di morire in diverse occasioni… Dimmi un po’, ma non è che ho pestato i piedi a qualche pezzo grosso e hanno mandato te in qualità d’insospettabile a farmi fuori? No, sai, perché se così fosse almeno si spiega il motivo per cui tu sei qui… >>. Non avevo potuto fare a meno di sorridere. << No, tranquilla Kess, non sono qui per ucciderti… >>. << Okay, allora dammi carta e penna che lo mettiamo per iscritto… così invece di darti l’ergastolo per omicidio volontario, vediamo se riesco a farti condannare “solo” per lesioni colpose… >>. Tutto ad un tratto avevo smesso di scherzare. << Kess, ti ho fatto male? >>. << Ma no! Cioè, sì… qui >>. Si era indicata il seno sinistro, all’altezza del cuore. << Credevo stesse per esplodere in mille pezzi. Ma tu fai sempre sesso così, con tutte le ragazze? >>. << Ti preoccupi casomai ne abbia uccisa qualcuna? Non credo. Sono sempre andate via con le loro gambe >>. << Beate loro. Io neanche me le sento più… e non soltanto loro. Santo cielo, mi sa che mi conviene darmi per malata domattina… >>. << Allora siamo in due. Credo che mio fratello, Georg e Gus dovranno arrangiarsi da soli >>. Mi ero voltato su un fianco, per non gravarle addosso più di quanto già non avessi fatto nelle ore precedenti; le ombre violacee della sera cominciavano ad allungarsi tra noi, sul bianco delle lenzuola reduci da una battaglia di proporzioni epiche e su quello del suo volto, pallido ma bello come sempre, se non di più. La lieve, delicata danza delle sue dita contro il palmo della mia mano sollevata a cercare la sua era stato l’attimo fatale in cui il mio dubbio aveva finalmente trovato risposta. Sì. L’amavo. Provavo per lei un sentimento talmente intenso che n’ero rimasto abbagliato, e frastornato, la prima volta in cui l’avevo vista. Potrebbe sembrare un facile ripiego, ma non lo è; è solo la verità. Le cose, le persone, le sensazioni ci rivelano il loro reale valore soltanto quando si rischia di perderle; ed è allora, nell’esatto momento in cui sono appese ad un fragile filo sottile come una tela di ragno sospesa sull’abisso, che splendono mandando un messaggio disperato a coloro che, al sicuro sul confine, le guardano dondolare nel vento. Non lasciarmi cadere. Afferrami, stringimi, toccami. Dammi un’altra possibilità. << Credi di potermi spiegare, adesso, perché sei qui? >>. << Sei sicura di volerlo sapere? >>. << Ah ah. Certo. Ora più di prima… perché ho bisogno di sapere che non si è trattato di un sogno, quando te ne sarai andato >>. << Perché credi che me ne andrò? >>. << Non penso tu abbia qualche motivo per restare >>. << Ne sei sicura? Se ne ho avuto uno per venire qui da te, potrei anche averne uno molto, molto più valido, per rimanere… >>. << E quale potrebbe essere, scusa? >>. << Non c’arrivi? >>. << No. Non so neanche perché sei qui. Come faccio a sapere cosa potrebbe convincerti a restare? >>. Aveva taciuto, forse ingoiando le lacrime che le accendevano nelle iridi come tante piccole schegge di sole verde. Mi ero tirato su a sedere, recuperato i jeans e tratto le sigarette dalla tasca. Poi, ne avevo infilato in bocca una, fissando Kessi con intenzione. E una luce nuova, diversa, si era accesa improvvisamente nei suoi occhi come se avesse cominciato a capire… ma si rifiutasse di ritenerlo reale. << Non… >>. << Sì, Kessi. Ero io. Non sappiamo come sia successo, o meglio, Elettra sospetta sia stato uno di quegli strani fenomeni legati al passaggio della cometa di Arwion, anche se a me francamente pare… anzi, pareva, impossibile. Fatto resta che lei mi ha urtato per strada e… dopo, ero lei. E lei era me. E’ stato così fin quando non mi sono dileguato a pranzo >>. << Mio Dio >>. << Sì, vero? Sembra assurdo. Ma te lo giuro… è andata proprio così. Non potrei mai mentirti, non dopo quello che ho passato durante questi ultimi giorni… Ho temuto di perdere il senno. E di ciò tu non sei del tutto incolpevole >>. Era ammutolita di colpo, mentre io scoppiavo a ridere. << Dai, non potevi saperlo, non ti preoccupare >>, avevo aggiunto, vedendola impallidire ancora di più. << Santo cielo, io… sono esterrefatta. Mi dispiace >>. << No, perché? Era divertente… stare a sentire tutto quello che avresti voluto farmi, benché in quel momento non la pensassi così >>. << Davvero, mi spiace… hai ragione, avevi davvero un ottimo motivo per venire qui a vendicarti… >>. << Vendicarmi?! E’ per questo che pensi sia venuto, Kessi? >>. Avevo spento la sigaretta nel posacenere, prima di tornare da lei. << Sono tornato perché volevo realizzare ognuno di quei tuoi desideri, Cassandra. E capire se quella morsa allo stomaco che mi prendeva nello starti accanto era soltanto una mera cosa fisica, o c’era di più. E, Kess… c’è >>. << Già. Me ne sono accorta anch’io… che c’è di più di quello che si vedeva nel dvd… >>, aveva ansimato lei, lasciandosi cadere di nuovo sul letto. Una sirena tra i flutti non avrebbe potuto essere più bella. Mi ero sdraiato ancora accanto a lei. << Quale dvd? >>. << Come, non ve ne siete mai accorti? In “Caught on camera”… dove uscite dal campo di paint ball… e mostri il livido sul fondoschiena… non è l’unica cosa che fai vedere, tesoro… >>. << Davvero?! >>. << Ah ah… >>. Si era avvicinata al mio orecchio, scaldandolo col suo respiro… avevo sentito il metallo dei piercing dilatarsi attraverso la pelle. E non solo quello… accidenti. << Devo confessarti una cosa… con le mie amiche ho finto che fosse stata una delusione, ma in realtà… >>. << In realtà? >>. << Non sono riuscita a levarmi quel fotogramma dalla testa per mesi… non riuscivo a farlo uscire da me >>. Ah, Kessi! << Lo stai facendo apposta, vero? >>. Lei aveva sorriso, sorniona. << Sì… >>. E mi aveva attirato ancora a sé… come adesso. << Che splendore che sei… >>, dice, accarezzandomi le ciglia con la punta delle dita. Adora farlo… e io adoro quando lo fa. << Ti amo >>. << Anch’io. Tanto >>. Mi scocca un brevissimo bacio a fior di labbra, prima di dare inizio alla caccia… gira e fruga ovunque alla ricerca di biscotti come la bimba che presto darà alla luce e mi ripeto, per l’ennesima volta, che n’è valsa la pena. Ogni singolo giorno di quell’inferno in terra, è valsa la pena. << Kess, dai! Hai sentito che ha detto il medico, no? >>, le ricordo, tenendo a bada il volume della voce per non mandare all’aria lo scherzo. << Non devi esagerare con questa roba >>. Le sbuffa, si produce nella sua solita smorfia sorniona. << Pfff… sai cosa c’è di peggio che essere rimproverata da un ragazzino? >>, chiede, continuando a pescare nella scatola di latta. Io incrocio le braccia. << No, cosa? >>. << Essere rimproverata da un ragazzino in pantaloni di pelle e piercing al naso che per esercitarsi a fare il padre ha deciso di cominciare dalla povera malcapitata di turno… E’ frustrante, credimi >>. Rido piano, e tendo il braccio a toglierle la scatola di mano. << D’accordo, allora da oggi in poi invece di fare affidamento sul tuo buon senso ti nasconderò direttamente le cose… >>, dichiaro, rimettendo a posto il coperchio. Lei mi guarda di sottecchi. << Vedi? Questa è già un’idea migliore… sai, avrei un paio di suggerimenti su dove potresti imboscare qualcuno di quei biscotti… >>, mi sussurra poi, in tono eloquente. << Cercarli potrebbe diventare così divertente, che potrei perfino scordarmi di mangiarli anche se li trovassi… >>. << Kessi! >>. << Che c’è? Scherzavo! >>, si giustifica ridacchiando sotto i baffi. Io scuoto la testa. << Poi sarei io il ragazzino… >>. << E’ ovvio! Ehi, shhh, sento rumore di sopra >>. Mi guarda. La guardo. Tratteniamo a stento una risata. Ci ammazzeranno, lo so. Ma non fa niente. M’importa solo che sia accanto a me… che lo siano, lei e la nostra piccola. Per sempre.


Quando riemergiamo, abbiamo praticamente fatto la muta, per tutto il tempo trascorso sotto l’acqua. Oltre al sudore, alla patina oleosa di burro e alla schiuma è andata via anche la pelle, quasi. << Santo cielo, ho come l’impressione che adesso per colmare in qualche modo la mancanza delle Twincest, tu stia sfogando tutta la perversione che c’è in te… >>, sbotta Tom, avvolgendosi nel caro accappatoio azzurro. Ormai mi ci sono affezionata, è diventato quasi una reliquia, per me. Io mi stringo addosso il mio, recupero le sigarette della mensola dello specchio e ne accendo una. << Dici? >>. << Dico, dico. Sai, è la prima volta che mi lascio fare una cosa del genere… >>. << E ti è piaciuto? >>. Si schiarisce leggermente la voce, guarda altrove, i fasci di luce bianca che filtrano attraverso la persiana della finestra. << Be’… sì >>. << Non mi dirai che te ne vergogni! Mica c’è niente di male, se è una ragazza a fartelo… sai che è il modo più pratico ed efficace per raggiungere il famoso “punto L”? >>. << Punto che? >>. << Il punto L, che sarebbe una specie di “punto G” maschile… la mitica leggenda del punto G, la conosci? >>. << Be’, sì, quella la sapevo, ma ‘sta storia del punto L proprio non l’avevo mai sentita… anche questa viene dal tuo torbido “passato” da twincester? >>. << No, questa me l’ha spiegata Kessi… >>. << Ahaaa! Mi pareva strano, che non ci fosse il suo zampino… ti ha attaccato la sua malattia e adesso è finito il periodo d’incubazione! E meno male che lei quelle storie le detesta, altrimenti non oso immaginare come sarebbe andata a finire… per me! >>. << Sarebbe finita che per Natale ti avrei regalato un bel vibratore… >>. << Elettra! >>. Scoppio a ridere, battendo le mani come una bimba. Quando godo nello scandalizzarlo… ora so perché Kessi insiste ancora a tormentare il povero Bill. E’ una sensazione indicibile vedere le guance rosse e l’aria sconvolta sul volto di un Kaulitz… << Non avrei mai pensato di poter dire una cosa del genere, ma… >>, si avvicina, mi posa un bacio lieve sulla fronte. << tesoro, penso sia meglio tu vada a preparare la colazione! >>. << Sì, penso anch’io! >>. Ci rivestiamo in fretta e scendiamo di sotto, rincorrendoci per le scale come due idioti di jackass… e non immaginavamo certo di trovarci una bella sorpresa. Devo ricordarmi di togliere le chiavi a Kessi. Che sorride con intenzione, fissando la nostra tenuta non molto ortodossa, un comodo vestitino blu scuro per me e jeans stracciati e torso nudo per Tom. Se non le fossi tanto debitrice, sarei gelosa perfino di lei. << Allora, amore, che ne dici?Io a Ele darei un sette meno meno, ma giusto perché le voglio bene e spero le serva da incentivo ad impegnarsi di più la prossima volta… >>. << Ah no, io a mio fratello non gli do più di cinque e mezzo, e forse è uno dei voti più alti mai presi in tutta la sua vita… >>, osserva Bill, guardando Tom di sottecchi. Ammutoliamo in sincrono, scambiandoci un’occhiata sgranata. << Ci… avete sentito? >>. << Puoi giurarci! E sono molto deluso. Mi aspettavo un po’ di più dal “dio del sesso”… Ma forse la monogamia sta spegnendo tutti i suoi ardori e allora tra poco la sua fama non sarà che un vago ricordo… >>. << Ma ti prego! Probabilmente siete arrivati tardi, perché se ci aveste sentito dall’inizio, non avresti il coraggio di darmi cinque e mezzo, mi meriterei come minimo un otto pieno! >>. << Seee, allora se tu meriti un otto, a me spetta almeno un nove, come minimo! Per non dire nove e mezzo! >>. << Be’, adesso non esageriamo… >>, interviene Bill, voltandosi a guardare me. Io serro i pugni sui fianchi. << Ah no? Allora di sicuro non avete sentito niente, perché non credo accada tutti i giorni che una come me faccia urlare il famoso “dio del sesso”… o sbaglio? >>. Bill e Kessi scambiano un’occhiata, poi si voltano entrambi a fissare Tom, ch’è già bell’e avvampato. Kessi sa trattenersi meglio, stira le labbra e se le mordicchia, ma Bill proprio non ci riesce e scoppia a ridere. << Davvero? >>. << E che domandi a fare? Guarda come sta… Comunque te lo devo dire >>, fa Kess, girando sulla sedia in modo da abbracciare lo schienale. << E’ uno scherzo… noi non abbiamo sentito niente, ma se è vero che l’hai fatto gridare allora il nove e mezzo te lo do io! >>. << Kessi? >>. Si mette a ridere anche lei, scuote la testa. << Ma secondo te, fosse vero saremmo rimasti in casa? Ci hai preso per depravati? >>. << Be’, lui non so, tu lo sei di sicuro! >>. << Ma smettila >>. Si alza, va al frigo e prende uno yogurt. << Se davvero fossi tanto depravata come dici, adesso non sarei qui a conversare tranquillamente con voi, ma in giro a far danni… >>. << Perché, non ti è bastato quello di oggi? >>, sbotta d’ un tratto Bill, e Kessi alza gli occhi al cielo leccando il cucchiaio. << E vabbé, dai, sono cose che succedono! >>. << Sempre. E sempre a noi >>. << Uff! >>. << Perché, ch’è successo? >>,domanda Tom, riavutosi dalla vergogna d’esser stato sputtanato… per niente poi. << Ah, niente di nuovo. Ci hanno sistematicamente fatto passare per dei maniaci, quasi denunciato e invitato gentilmente a non tornare più in quel negozio… poco male, tanto non c’era niente di carino >>. << Kessi! Lo sai che non devi raccontargli niente, che sennò poi va a dirlo a quegli altri due disgraziati e mettono i manifesti! >>. << E dai, se l’è meritato, e poi adesso anche noi conosciamo il suo piccolo, sporco segreto… quindi direi che siamo pari! >>. << Ecco. Grazie, Elettra >>, fa Tom, sarcastico. Io gli lancio un’occhiataccia. << E’ inutile che te la prendi con me, sei stato tu a voler fare il solito spaccone… >>. << Sì, ma a te spetta un voto più basso per via della condotta! Sai che non si è ancora levato il vizio delle Twincest? >>. << Ma no, Ele! E poi sarei io la depravata! >>, sbotta Kess. << Guarda che volevo solo vedere se avevano postato l’ultimo capitolo di una storia che ho letto fin dall’inizio e mi è piaciuta un casino, a prescindere dal fatto che fosse una Twincest…Mancava soltanto il finale e logicamente volevo sapere come andava a finire, dopo che l’ho seguita tutta! >>. << Ah ah. E com’è che s’intitolava ‘sta storia? >>. << ”Drops of shadows”, perché? >>. Cassandra mi lancia uno sguardo furbo. << Te lo dico io come finisce. Dahin, alias Bill, e Alen, alias Tom, sconfiggeranno il malvagio Signore delle tenebre e decideranno di rimanere ad Aurea, dove potranno amarsi per sempre senza che nessuno li possa mai dividere… >>. Tre paia d’occhi sconvolti si puntano su Kessi, che continua indisturbata a leccare il suo yogurt. I più sgranati sono senza dubbio i miei. << E tu come fai a saperlo?! Non dirmi che l’hai letta! >>. << Ma no, certo che no >>. Sospirone di sollievo generale. << Ahaaaa! >>. << L’ho scritta >>, fa lei, serafica. Bill quasi si strozza con il biscotto che stava masticando, e Tom si artiglia al tavolo come stesse per svenire. Io ho appena il tempo di voltarmi e sputare nel lavandino il sorso d’acqua che stavo bevendo, prima che mi vada di traverso. << Ma stai scherzando?! Tu saresti Camille?! >>. << Camille a chi? Guarda che il mio nick è C.M. L., cioè Cassandra Maria Liverti. Facile, no? >>. << Cioè mi stai dicendo che hai scritto una Twincest su di noi? Ma sei impazzita? >>. << Be’, sai com’è… a furia di sentire Ele dire sempre: “Ma che bella questa storia, ma che bella quell’altra…”… il mio ego si è ribellato! >>. << Ora ti faccio vedere come si ribella il mio invece! >>. Kessi scappa e Bill corre ad acchiapparla; ci riesce quasi subito, lei si dimena e scalcia, tenta di morderlo ma si vede che ormai lui è abituato e si scansa con abilità. << Scusate, signori, ma vado ad insegnare le buone maniere a questa selvaggia… >>, sbotta ridendo, mentre Kessi prova ad azzannargli una mano. << E non vi conviene aspettarmi per darmi il voto, penso ci vorrà un bel po’… è indietro di parecchie lezioni, la signorina! >>.E si dirige verso le scale, con Kessi in braccio che si divincola come una tigre presa al laccio. Non so come faccia ad essere così pazza anche adesso ch’è incinta, anzi, forse gli sbalzi ormonali della gravidanza le hanno picchiato in testa più del solito. Tom mi guarda, scoppia a ridere. Sta pensando la stessa cosa, è evidente. << Kessi è proprio da ricovero… povero fratellino mio! >>. << Già. Però ha scelto bene. Con lei potrà star certo di non annoiarsi mai >>. << Be’, non è il solo >>, mormora scoccandomi un’occhiata di sottecchi, morbida e sensuale come solo lui sa essere. Si avvicina, si china a baciarmi teneramente e mi guarda, dritto in fondo agli occhi. Sono così sconvolta che mi tremano le gambe perfino da seduta. << Che ne dici? >>. << Eh? Di cosa? >>. << Che ho scelto bene anch’io >>. << Be’… di te non lo so, ma io ho scelto bene sicuro >>. Incrocia le braccia sul tavolo, senza smettere di fissarmi.<< Elettra, mi sposi? >>. << Che? Ma sei impazzito??! >>. << No, perché? Semplicemente, ti amo e vorrei sposarti. Che c’è di così strano? >>. << Niente, se non fosse che si tratta di te! Cos’è, uno dei tuoi soliti scherzi? O non è che per caso, visto che Bill ha messo incinta Kessi la prima volta che hanno fatto sesso, ora vuoi sapere batterlo sul tempo almeno per il matrimonio… >>. << A parte il fatto che i casini di Bill non mi riguardano e di questo non è che possa andare in giro a vantarsene, perché è stata una cosa assolutamente accidentale e imprevista, almeno stando a quello che mi ha confidato lui… la cosa che mi dà più fastidio è dovergli dare ragione. >>. << E su cosa, di grazia? >>. << Sul fatto che peggio del tradimento da parte di una donna che ami c’è soltanto la mancanza di fiducia. Ora capisco cosa voleva dire. E’ una lama che ti si conficca nel cuore e te lo scava lentamente ma inesorabilmente… >>. << Tom, mi spiace, ma vedi, il fatto è che io non mi sento pronta a sposarmi… >>. << Con me >>. Alzo lo sguardo al cielo. << Benedetto ragazzo, vuoi stare ad ascoltarmi? Un legame così per me non è un cellulare, un computer, un auto, che quando te ne stanchi puoi cambiarlo o metterlo via. Che ti piaccia o no, dura per sempre, anche se poi si divorzia >>. << Allora è peggio. Non è che tu non ti fidi di me, è che mi consideri proprio un cretino! Pensi che non lo sappia? >>. << Aspetta! Il punto è che…stiamo insieme solo da quattro mesi scarsi, non ci conosciamo ancora bene, anche se viviamo insieme non è detto che durerà… non so quale assurdo sentimento masochista ti abbia portato a dirmi che mi ami, e a chiedermi questo… ma io non… >>. << Basta, ho capito. Tu non mi credi. Forse è un po’ anche colpa mia,visto che finché non ti conosciuta non sono stato persona degna di fiducia >>. << La pianti da fare la vittima? Vuoi sapere la verità? E’ così. Non me la sento di sposarti. Diventeresti il centro del mio mondo, del mio universo, più di quanto già non lo sia adesso. Smetterei di esistere per dedicarmi esclusivamente a te >>. << E allora dov’è il problema? A me sembra perfetto >>. << Non lo è, perché mi annullerei in un modo pazzesco, e se poi finisse… di me non rimarrebbe nulla >>. << Ma… >>. << Niente “ma”. Potrei cambiare, fisicamente ed emotivamente, e tu potresti stancarti e cercarti un’altra e probabilmente alla fine io ti darei pure ragione >>. << Allora è questo il punto… è di te che non sei sicura, non di me >>. << Sì. Perché non so cosa ho fatto per meritarmi te. Già starti accanto così è un miracolo, per me. E io… non posso fare a meno di essere spaventata. Per quanto tu possa dire o fare, io non mi sentirò mai alla tua altezza >>. << Mhmm… forse potrei chiedere a Bill se ti può prestare un paio di stivali dei suoi…….. >>. << Piantala, dico sul serio >>. Lui sembra rifletterci. Un secondo, non di più. Già è troppo per i suoi standard. << E va bene. E se ti dicessi che… prevedendo la tua reazione mi sono preparato, e pur consapevole di rischiare la pelle ho, come dire, fatto un piccolo scambio? >>. << Di che diavolo stai parlando, Tom? >>. << Perché non vai a dare un’occhiata alle tue pillole? Quelle che prendi tutti i giorni, tanto diligentemente, sempre alla stessa ora >>. Raggelo. Un’idea mi ballonzola nella mente, come una di quelle palline magiche che una volta lanciate, non si fermano più. << Tom, è uno scherzo, vero? >>. << Ti conviene andare a controllare di persona… >>. Non me lo faccio ripetere due volte. Corro al cassetto, lo apro, tiro fuori lo scatolo delle pillole e ne assaggio una… Mi passo una mano sulla faccia, mi accorgo solo adesso di sudare freddo. No, porca miseria, semplicemente non posso crederci. Mi rifiuto di credere che mi voglia a tal punto da...<< Caramelle? Hai scambiato le mie pillole con delle caramelle? Ma sei impazzito? >>. Lui alza le spalle, storce le labbra. << Te l’ho detto, mi sono preparato. Supponevo che questo sarebbe stato un tasto dolente, e così… >>. Vorrei saltargli addosso e allacciargli le braccia al collo. Per strangolarlo, chiaro. << Ma come accidenti ti è venuto in mente di fare una cosa del genere?! Ti rendi conto che potrei essere incinta?! >>. << Davvero? Strano, mi pareva di averlo fatto appunto per questo… >>. Mi arrendo. D’altronde, non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire… e Tom quando ci si mette sa essere davvero duro d’orecchi. –ho detto d’orecchi, mi raccomando Elettra non metterti a incasinare tutto come al tuo solito-. Ma da incasinare non c’è più niente. Sono… annientata. Tanto che a stento riesco ancora a battere le palpebre e contare meccanicamente le righe nere del pavimento. Mi viene accanto, mi accarezza teneramente il volto, la gola. << Che c’è? Perché non dici niente, Ele? >>. E’ inquieto, teme di averla fatta grossa. In effetti è vero, ma non è per questo che me ne sto in silenzio come una bella statuina. << Non so cosa dire >>. << Semplice. Dimmi che lo vuoi. Che mi, vuoi >>. Rialzo lo sguardo. Sorrido piano, ancora sconvolta. << Certo, certo che vi voglio, cavolo. Mi sembra di non aver voluto altro da quando sono nata. Soltanto che me ne sono resa conto quando ti ho conosciuto >>. Finalmente sorride… ed è come vedere il sole affacciarsi tra le nubi. I suoi occhi sono pura luce bruna, mentre fissano i miei. << Lo sapevo che ti avrei convinta… D’altronde, è impossibile resistere al mio fascino… >>. << Ma smettila! Vedi di non usarlo troppo piuttosto, il tuo fascino, se non vuoi ritrovarti impalato alla porta >>, borbotto, incrociando le braccia. Mi ha fregata, e la cosa peggiore è che ne sono felice da morire. Sono proprio una cretina… e la colpa è tutta di Kessi, quella disgraziata. << Be’, se m’impalassi tu, mia stupenda dea del sesso, non mi dispiacerebbe affatto, anzi… non è che hai davvero voglia di dare il voto a quei due, vero? >>. << Non proprio, perché? >>. << Avevo in mente di fare un giro… >>. Mi prende il volto tra le mani, mi bacia… santo cielo. E’ sempre come la prima volta. Il primo bacio. Il mio primo amore, l’ultimo, l’unico. << Un paio di giorni, solo tu, io e… >>. Mi sfiora appena la pancia, con dolcezza. << Così se ancora non c’è nulla, vediamo di rimediare… >>. << Sembra fantastico… >>. << Ma tu lo sei di più… >>. E mi bacia ancora, e ancora… non so se quella cometa sia stata un bene o un male, benché quand’è passata fossi fermamente convinta che fosse il peggio. So soltanto che spero che quando ripassi, tra cinquant’anni, possa trovarci ancora così. Vivi, ovviamente. Ma soprattutto, felici.

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