who says it's impossible fall in love with a stranger?

di xheybieber
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 18th birthday ***
Capitolo 2: *** new neighbors ***
Capitolo 3: *** hi, i'm justin ***



Capitolo 1
*** 18th birthday ***


 18th birthday

Eccolo lì, appoggiato al vetro opaco della porta di ingresso, più bello che mai, più bello del sole.
La mascella perfettamente quadrata era piegata in un sorriso, ora. Sorrideva spesso, anche se non aveva un motivo ben preciso. Forse per il gusto di farlo o forse per mettere in mostra i suoi denti perfetti, con quei canini affilati come fosse un vampiro.
Eccolo lì, il fusto da 175 cm, con quella linea perfetta, invidiabile azzarderei per qualsiasi ragazzo della Stratford High School. Una folata di vento gli scompigliò i capelli color biondo scuro –quasi castano- tanto da coprirgli la visuale. Inspirai profondamente con un mezzo sorriso, come se il vento avesse portato il suo profumo –sicuramente meraviglioso- dentro le mie narici.
Eccolo lì, perfetto come sempre, il ragazzo che mi aveva rubato il cuore.
Era diventato la mia droga, come se fosse la mia qualità preferita di eroina. Mi ero innamorata pazzamente di lui, eppure non lo conoscevo. Non conoscevo il suo nome, né tantomeno sapevo dove abitasse, avevo solo capito che quel paio di occhi nocciola avevano qualcosa di speciale tanto da catturare la mia attenzione.
Chi l’ha detto che non è possibile innamorarsi di un estraneo?



 
Sentii un suono confuso e poco riconoscibile. Quel “driin” stava risuonando nei miei padiglioni da minuti, ma non avevo la forza di riuscire semplicemente a capire di cosa si trattasse.
“La sveglia” realizzai poco dopo.
Scalciando, mi liberai dal groviglio di coperte nel quale ero intrappolata e scesi le scale strisciando.
“Buongiorno papà”  sussurrai, ancora con la bocca impastata di sonno.  Era stiracchiato beatamente sul divano, mentre leggeva il quotidiano del giorno, accompagnato dal suo immancabile sigaro (spento).
“Buongiorno tesoro, dormito bene?”  chiese con quel suo entusiasmo da mettere allegria a tutti, ma non a me. Non adesso.
“Come no” ironizzai, versando del latte freddo su una ciotola presa a caso dentro la credenza. Vi infilai dentro un po’ di cereali al cioccolato, i miei preferiti, e iniziai a mangiare più lenta di un bradipo.
Papà ignorò la mia risposta. Si alzò e sparì in salotto.
Dopo aver finito la mia colazione, gettai la ciotola dentro il lavello, e prima di aprire l’acqua la mia attenzione cadde su un pacco a fianco al divano. La carta regalo verde smeraldo mi colpì molto; amavo i pacchi regalo, o meglio, amavo scartarli.
“E questo?” indicai il pacco con aria interrogativa rivolgendomi a mio padre, che era ritornato in cucina.
“Non ti dice niente il 25 maggio?” incrociò le braccia appoggiandosi al lavello, sorridendo.
Il giorno del mio compleanno. Da 3 anni a questa parte non avevo dato più molta importanza a questo giorno, quello che tutti aspettano per dare grandi festeggiamenti. Per me era diventato un giorno come tutti. Ogni anno, anzi, ogni giorno diventavo sempre più vecchia. Ogni giorno mi avvicinavo alla morte. Cosa c’è da festeggiare?
“Papà, non dovevi” lo rimproverai.
“Oggi sono diciotto anni, non potevo non farti un regalo” si giustificò.
“Diciotto anni” pensai, mentre scartavo il pacco. Ormai ero diventata un’adulta, proprio come papà. E avevo delle responsabilità. Con la coda dell’occhio lo fissai,  teneva ancora quell’aria compiaciuta sul suo volto.
“Un computer portatile nuovo!” esclamai, sì, me lo meritavo.
Lo abbracciai ringraziandolo, non mi sembrava vero. Da mesi tenevo dollari da parte per un nuovo computer.
“Spero che questo non ti distrarrà dagli studi” papà era un uomo molto severo riguardo la scuola, non lo volevo deludere. Lo amavo davvero tanto, era lui che copriva l’assenza della mamma.
Il mio sguardo cadde sull’orologio attaccato al suo polso sinistro: le 8:30 am. Dovevo sbrigarmi, altrimenti mi sarei beccata una ramanzina dalla professoressa di spagnolo.
“Adesso ho delle responsabilità” sussurrai, guardando il mio riflesso nello specchio del bagno, mentre mi pettinavo la lunga chioma dorata, che scendeva con dolci ondulazioni fino al fondoschiena.
Rabbrividii alla parola “responsabilità”.  Fidanzato, marito, figli, famiglia.
“Forse stai correndo un po’ troppo con la fantasia, Megan”  risi, rendendomi conto della sciocchezza che avevo appena pensato.  Scesi rapidamente le scale, l’orologio attaccato al muro giallino del salotto segnava le 9:00. “Posso ancora farcela” sospirai. Salutai papà con un rapido e sonoro bacio sulla guancia, mi misi lo zaino in spalla e mi incamminai verso la scuola.
                                                         
                                                                                                                                                            * * *
Arrivai a scuola con il fiatone, le 9:15 am, giusto in tempo per posare i libri nell'armadietto e indossare l'uniforme negli spogliatoi. Erano riservati solo a quelle iscritte al corso di ginnastica, ma io ne approfittavo grazie ai miei piani super diabolici. Odiavo indossare l'uniforme e non avevo intenzione di uscirci di casa, nemmeno per andare a scuola.
Fuori, nel cortile, non c'era nessuno. Strano, di solito tutti restavano altri cinque minuti dopo il suono della campana, soprattutto in belle giornate come quelle, forse il mio orologio era indietro. Mi accorsi che nemmeno Alexis, la mia migliore amica, c'era. Di solito mi aspettava sempre, forse sarà rimasta a casa, oppure ero proprio in estremo ritardo?
Scesi dal muretto nel quale mi ero seduta, forse era meglio entrare, la scuola stava per finire e dovevo dare il meglio di me.
-Sorpresa!- urlò in coro una grande folla, non appena aprii il grande portone rosso, mi ci volle un po' per realizzare.
L'androne era popolato da tantissimi studenti, anche quelli a me sconosciuti, che cantavano all'unisono gli auguri per me.
Avevano organizzato una festa a sorpresa a mia insaputa e c'era di tutto: dalle caramelle alla pizza, bevande di tutti i tipi e dolci vari.
"Chi ha organizzato tutto questo?" chiesi entusiasta, Alexis venne ad abbracciarmi. "Visto che tua nonna è la preside della scuola, ho pensato bene a farti questa sorpresa, che ne dici?" domandò euforica, è sempre stata così quando ci sono feste di mezzo. Ho già detto che odiavo i festeggiamenti, ma questo proprio non me lo aspettavo.
"E' meravigliosa" affermai. Si avvicinò al mio orecchio, sussurrandomi qualcosa. Qualcosa che avrei voluto sentire nel momento in cui ho messo piede a scuola. Il mio cuore perse un battito.
"c'è anche lui".
Lo cercai con lo sguardo tra la folla, impresa impossibile, ma non troppo. Non è difficile riconoscere l'intruso, qualcuno troppo perfetto per essere umano.
"Adesso invito a salire sul palco, la mia fantastica nipote!" La folla iniziò ad applaudire. Io? Sul palco? E se mi vedesse lui? E se facessi una figura di merda cadendo e slogandomi una gamba?
Tanti pensieri in quel momento occupavano la mia testa, ma che importa? O la va, o la spacca.
Salii i tre scalini che mi portarono sul palco, guardando la folla, cercando tra la folla.
"Vuoi dire qualcosa?" domandò nonna, porgendomi il microfono grigio: era quello che anche lui utilizzò qualche giorno prima per le prove della sua band, lo strinsi forte.
"Volevo solamente ringraziarvi per avere organizzato tutto questo. Sono un tipo che non ama festeggiare i compleanni, ma oggi mi avete resi molto felice. Ringrazio in particolare mia nonna -rivolsi lo sguardo verso di lei-  nonchè preside della scuola che ha permesso di organizzarla e la mia migliore amica, Alexis che ha avuto questa splendida idea. Ringrazio anche voi di aver partecipato. Grazie a tutti e divertitevi!" si scatenò un urlo e partì la musica: roba forte, l'ho sempre odiata.
La sete mi stava uccidendo: la corsa che mi ero fatta per venire a scuola è stata micidiale, se mio padre mi avesse regalato la sua macchina invece di un pc nuovo sarebbe stato molto meglio.
Mi dirissi verso il banco delle bibite. "Un bicchiere di aranciata, grazie" chiesi, guardando tutte le bibite esposte.
Alzai lo sguardo, rimasi pietrificata.
Lui.
Mi porse il bicchiere con l'aranciata che afferrai, sfiorando la sua mano.
Restai a guardarlo come una stupida davanti il bancone, non mi importava della lunga coda che imprecava dietro di me, quelle in confronto al suo magnifico 'ecco a te' erano solo brutti rumori.
La testa iniziò a girarmi, quando mi persi nei suoi occhi color nocciola: mi ero scordata di respirare, di nuovo.

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Capitolo 2
*** new neighbors ***


new neighbors

Quel giorno rientrai presto in casa, poiché essendo ormai maggiorenne mi presi il libero permesso di uscire prima da scuola. Camminare per 3 km a piedi fu un’impresa: il sole picchiava forte ed è stato un miracolo se tornai a casa sana e salva e non sciolta come fossi un ghiacciolo.
“Sono a casa” annunciai, pronta a ricevere le mille domande da parte di mio padre. Ma lui non c’era, cosa molto strana, non era tipo da uscire con questo caldo.
Mi sedetti su una sedia attorno al tavolo da cucina, con una gamba accavallata e lo sguardo perso nel vuoto. Pensavo a quello sguardo, al dolce suono della sua voce che era impossibile imitare, a quel paio di occhi che procuravano un esercito di farfalle dentro lo stomaco. Mi toccai la pancia, la sentii di nuovo quella sensazione, solo al pensiero che il suo sguardo, per la prima volta, abbia incrociato il mio. Anche se per un macrosecondo.
“Figuriamoci se solamente pensassi ad un immaginario bacio tra di noi” sussurrai tra me, con un sorrisino ironico. In quel momento sentii il rumore della chiave girare all’interno della serratura, che mi fece balzare.
“Bentornato papà” lo salutai con finto entusiasmo “dove sei stato?” gli domandai, indicando le enormi buste della spesa che aveva in mano.
“Ho fatto un po’ di spesa” rispose, con un respiro affannato, probabilmente per le buste e per il caldo “sai, ho invitato i nuovi vicini a cenare da noi” spiegò entusiasta.
“Nuovi vicini?” sbuffai, mentre rompevo due uova per farle in padella.
“Hanno pure un figlio della tua età, stasera ci divertiremo. Non sei contenta?” domandò, sistemando l’enorme quantità di alimenti dentro ad ogni apposito scomparto. Preciso come sempre, papà.
“Oh certo, sprizzo felicità da tutti i pori” risposi con un filo di sarcasmo, girando le uova ormai quasi cotte.
“Meg, per favore, cerca di essere gentile” mi ordinò serio.
“Scusa” roteai gli occhi, ovviamente essendo girata non poteva  vedermi. E forse era meglio così.
“Comunque ho comprato un bel po’ di roba per stasera”
“Che toccherà cucinare a me, immagino” lo anticipai seccata, mettendo le uova sui piatti.
Sospirò, come se volesse dire “sai che non sono capace”. Nel cucinare avevo preso in tutto e per tutto dalla mamma.
Da bambina mi mettevo sempre accanto a lei, quando cucinava. E a volte mi faceva impastare la pizza o il pane e mi divertivo molto, soprattutto adoravo mangiare la pasta cruda di nascosto. Mi rimproverava sempre quando lo facevo.
“Quanto mi mancano i suoi rimproveri, quanto mi manca la sua presenza” pensai, lasciando scorrere un po’ troppa acqua sui piatti, tanto da far riempire il lavandino.
Non posso dimenticare il giorno in cui me la portarono via, o meglio, fui portata via da lei, quel  4 gennaio 2008. Da quel momento fui affidata a mio padre, poiché mia mamma era un’alcolizzata. Da quel momento non la rividi più.
“Potresti chiudere l’acqua o vuoi inondare casa?” Domandò ironico papà, distraendomi dalle mie riflessioni. Scossi la testa e feci per chiuderla, ma mi aveva già preceduto.
“Si può sapere a che pensi?” mi chiese spazientito.
“A mamma” risposi secca, come se fossi arrabbiata con lui per avermela portata via. Non staccai lo sguardo dalla sua espressione che, come immaginavo, cambiò da incuriosita a più cupa.
“Ah” deglutì, guardandosi intorno, come se dovesse aggrapparsi a qualcosa per cambiare discorso.
Annuii senza un motivo preciso.
“I vicini sono molto simpatici” affermò, cambiando discorso “Il figlio si chiama Justin, anche lui va alla stratford high school. Lo conosci?” mi chiese, balbettando, come se stesse pensando ancora alla mia affermazione precedente.
“Mai sentito dire” abbassai lo sguardo, indifferente “Ora salgo in camera, voglio stare un po’ al computer”
 “Sì ma ricordati di studiare!” Mi raccomandò papà, come sempre.
“Stai tranquillo!” Gli urlai dalla camera.
Aprii rapidamente il computer, l’intenzione era quella di scrivere una e-mail a mia madre.
jenniferclarke@tinga.com
“ciao, come stai? Sono tua figlia, Megan. Spero che tu ti ricordi di me, non mi mandi una mail da 1 mese e di solito eri sempre tu a farlo. Così ho deciso di prendere l’iniziativa.
Sai, poco fa mi è capitato di pensare a te.  Ti ricordi quando cucinavi e ti stavo sempre dietro? Volevo imparare, diventare una cuoca. Era il mio sogno da bambina. E ti ricordi delle passeggiate al parco ogni domenica? Era divertente quando ci  sedevamo al solito bar a prendere il solito gelato, mi sporcavo sempre. Mi mancano quei momenti con te, mamma. Fatti viva qui a Stratford, qualche volta. Mi manchi.
Tua, Meg.”
Presi un respiro profondo e premetti  ‘INVIO’.
Forse stavo facendo una stupidaggine, forse stavo attendendo qualcosa che non sarebbe mai arrivata.
Eppure ci speravo e ci avrei creduto fino all’ultimo.
Acchiappai il mio ipod e vi attaccai le cuffie: avevo bisogno di distrarmi e di essere trasportata in un’altra realtà, che non fosse stata questa.

                                                                                                                      * * *

“Sbrigati con quella carne! Attenta alla pizza, si sta bruciando!” papà non faceva altro che darmi ordini, ordini e ordini.
“Sto facendo più in fretta possibile” esclamai irritata, notando che era divinamente spaparanzato sul divano a guardare il baseball.
“Papà, ti dispiacerebbe darmi una mano?” ruggii, richiamando la sua attenzione dalla partita.
Senza battere ciglio, si alzò dal divano e stese la tovaglia da cena sul tavolo in salotto, distribuendo maestosamente i piatti e le posate secondo il galateo.
“Bene, vado a farmi una doccia” annunciai soddisfatta, dopo aver finito il mio compito “Torno tra una mezz’ora” conclusi, sparendo al piano di sopra
Lasciai che il getto d’acqua bollente cadesse sulla mia testa, per poi scivolare lieve in tutto il corpo. Nonostante fosse quasi giugno a Stratford faceva sempre freddo e l’acqua calda mi dava una sensazione di ricreo e di sollievo.
“Chissà che tipi sono i vicini” pensai, applicando una noce di shampoo sulla cute “magari il figlio è carino, chi lo sa” continuai, sciacquandomi per bene.
“Justin..” sussurrai poco dopo, con un braccio bloccato a mezz’aria fuori dalla doccia “non mi dice niente” conclusi, afferrando l’asciugamano.
Infilai un paio di shorts di jeans neri leggermente strappati, una semplice maglietta di lino bianca larga e un paio di scarpe da ginnastica.Lasciai i capelli leggermente bagnati che legai in un’alta coda di cavallo, poi applicai un filo di mascara e di lucidalabbra: era una semplice cena tra vicini, perché trasformarmi come se stessi andando ad un matrimonio?
Sentii delle voci provenire dal piano di sotto. In anticipo, bene, già non andiamo d’accordo a prescindere.
Mi guardai allo specchio per l’ultima volta. Mi passò per la testa di cambiarmi, forse i pantaloncini erano esageratamente corti e sapevo per certo che papà avrebbe fatto gestacci per esprimere la sua opinione. Geloso come sempre, il mio super papà.
Il mascara nero risaltava alla perfezione i miei occhi verdi. Stranamente, quella sera, mi piacevo.
“Ok, è meglio scendere” presi un respiro e a testa bassa mi diressi verso il piano di sotto.
In quel tratto di scale pensai a cosa avrebbe potuto dire di me papà ai commensali. Immaginavo già la scena del superpapà orgoglioso della sua superfiglia, la migliore studentessa della Stratford High School. Prevedevo una lunga, lunghissima serata.
“Oh mio Dio!” esclamai, appena arrivata sotto appena realizzai chi avevo davanti. Mi misi due mani sulla bocca, ma ormai era troppo tardi.
“Stupida Megan, stupida Megan, stupida Megan! Quando la smetterai di farti scappare qualsiasi cosa tu pensi?” mi domandai, maledicendomi. Prima figuraccia della serata.
Eh sì, sarebbe stata davvero lunga.

Spazio autrice.
Oks, primo spazio autrice della FF.
Questa storia, non so, mi è venuta in mente così, mentre dormivo LOL e già ho pensato a come svilupparla.
Ci saranno molti colpi di scena, tipo mondo di patty (?) LOL quindi spero che la leggano in tanti.
#muchlove.

@___londonsrain.

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Capitolo 3
*** hi, i'm justin ***


hi, i'm justin
 
Rimasi ancora con la bocca aperta a forma di 'O' davanti ai commensali sbalorditi, ma non quanto me.
Lui era lì, ed era perfetto, perfetto come sempre. Indossava un paio di jeans a ginocchio, una maglietta viola abbinata alle sue adoratissime Supra shoes, tipico. Ormai sapevo tutto su di lui: sapevo a memoria gli orari  delle sue lezioni scolastiche, i suoi piatti preferiti e gli indumenti che amava indossare. Ma non avrei mai pensato che avrebbe potuto trasferirsi a pochi metri da casa mia. Quella serata avrebbe cambiato tutto, ma non era tra i miei piani. Dovevo essere pronta.
"Qualcosa non va?" mi squadrò papà, lanciandomi un'occhiataccia. 
"No, è che.." iniziai a balbettare, cercando una scusa abbastanza plausibile "dovevo uscire con Alexis, ma me ne sono dimenticata" mentii, o per lo meno, cercai di farlo.
"Non c'è problema, possiamo invitarla qua!" propose lui, entusiasta. 
"No!" urlai, troppo forte per essere convincente "voglio dire, non credo possa, c'erano altre amiche e.." 
"Qual è il problema? Invitiamo anche loro! La casa è grande e.." papà e il suo finto entusiasmo da utilizzare quando c'è gente estranea mode: on.
"No!" replicai, interrompendolo. "Non c'è bisogno, okay?" conclusi con un tono più calmo. Stai calma Megan, devi solo mentire, non è così difficile, giusto?  "chiamo Alexis e tutto sarà risolto"  sparii dietro la cucina, mentre sentii papà borbottare un 'scusatela' abbastanza imbarazzato. Che idiota.
Composi velocemente il numero di cellulare della mia migliore amica. L'attesa era snervante, sembrava durare un'eternità.
In quel momento pensai alla figuraccia fatta poco prima, a cosa avrebbero potuto pensare di me.
"Perfetto, sei una completa idiota, complimenti Megan" pensai ironica tra me.
-Pronto? Meg?- La voce dall'altra parte della cornetta si era finalmente risvegliata.
-Alexis, non puoi capire quello che è successo!-
-Sentiamo, cosa mai potrebbe accadere di tanto interessante nella tua movimentatissima e divertentissima vita?- chiese, con un tono un po' troppo ironico.
-Non diresti così se sapessi cosa sto per dirti-
-Fino a prova contraria non sono ancora un'indovina- 
-Lui..Justin- mi mandava il cuore in tilt solo pronunciare quel nome. -E' a casa mia. Cena tra vicini.-
-Ragazza con una vita meno movimentata di quella di mia nonna, che hai detto?!- urlò dall'altra parte del telefono, gridando un po' troppo forte, così tanto che avrebbe rischiato di essere scoperta.
Iniziai a raccontarle tutto, dal primo all'ultimo, senza tralasciare nessun particolare. Sembrava abbastanza interessata, anche se non avevo modo di vederla, finchè non sentii una voce alle mie spalle.
"Tuo padre mi ha chiesto di venirti a chiamare, visto che sei sparita da un pezzo" fece un sorriso, che soffocò in un dolcissimo, angelico risolino. Chiusi la cornetta alle mie spalle senza girarmi, noncurante del comportamento che avrebbe assunto Alexis, senza mai staccare gli occhi da quel viso perfetto, da quel paio di occhi nocciola più luminosi di qualunque stella della volta celeste, da quella schiera di denti perfettamente bianchi.
"Ah, sì, io.." deglutii. Furono le uniche parole che riuscii a pronunciare, -se così possono chiamarsi- gesticolando come una babbea.
"Sei pallida" mi fissò, corrugando la fronte "hai bisogno di aiuto?"chiese, porgendomi la mano.
Morivo solo al pensiero di averlo accanto, figuriamoci tenergli la mano.
"Non è niente, sto bene" Lo rassicurai, accennando un falso sorriso.
Camminai a passo svelto verso il salotto dove papà e Pattie, la mamma di Justin, si stavano già godendo la cena. 
La guardava con occhi sognanti, come non aveva mai guardato nessun'altra donna, eccetto mia madre.
Sapevo che non si sarebbe mai dimenticata di lei, e innamorarsi di un'altra donna le avrebbe fatto più che bene. 
I rumori del passo svelto di Justin dietro di me cessarono.
"Se dovesse nascere qualcosa tra Pattie e papà.." pensai, sedendo al tavolo "Justin diventerebbe una sorta di fratellastro" conclusi, e dopo aver esaminato i risultati ebbi un sobbalzo. Papà lo esaminò, senza chiedermi nulla, ma ci rinunciò: solo io sapevo quali percorsi intricati girovagavano nella mia testa.
"Allora, Megan" ruppe il ghiaccio mamma Pattie, versando del vino rosso.
"Meg" la corressi "chiamami Meg" la pregai, rivolgendole un sorriso.
"Cos'hai intenzione di fare dopo il liceo?" mi domandò, portando il bicchiere di vetro alle labbra. Esaminai incantata come beveva sorso per sorso. Era splendidamente fine. Sembrava una dea. Sarà forse un qualcosa di ereditario? Perché non ho ereditato qualcosa di simile?
"Credo che cercherò un lavoro part-time" le risposi "anche se vengo da una famiglia benestante, non sopporto che papà mi paghi il college. Voglio farcela da sola" le spiegai, determinata. La donna annuì, senza intervenire, al contrario di mio padre che sottolineò la mia testardaggine.
"E tu, Justin? Che mi dici di te?" domandò papà, imitando i gesti di Pattie, ma sicuramente con molta meno grazia.
"Mi piacerebbe diventare un cantante" affermò con un certo imbarazzo. Pattie alzò gli occhi al cielo, mentre papà si limitò ad annuire, senza lasciar trasparire nessuna emozione; e forse era meglio così. Sapevo perfettamente qual'era l'opinione di mio padre riguardo questi discorsi.
"Non andrai da nessuna parte! Che razza di ambizione è?" mi ripeteva, quando ero soltanto una bambina e gli raccontavo le mie ambizioni, i miei piani per il futuro, il mio sogno di diventare una famosissima attrice.
"Se non vi dispiace, io tolgo il disturbo" annunciai, sbattendo sul tavolo il fazzoletto di stoffa gialla che poco prima avevo sulle gambe.
"Perché non fai fare un giro della casa a Justin?" propose papà.
Balbettai un po' incerta, Justin afferrò il concetto. "Non è necessario, se non ha voglia" disse, con quel tono di voce sempre cortese, con quel sorriso perenne sul suo volto.
"Ma certo che ne ho voglia!" certo che ne ho voglia, voglio farti vedere la mia stanza e voglio che ci restiamo dentro, baby.
Salimmo le scale per arrivare al piano di sopra. Quando entrò nella mia camera restò meravigliato.. o forse no.
"Scusa, c'è un po' di disordine.." mi giustificai, mentre cercavo di sistemare il letto conciato in quel modo da due giorni. Inutile perdita di tempo, tanto ci avrei dormito nuovamente.
"Invece trovo che sia stupenda" rispose convinto, poi si soffermò su una foto di me e mia madre insieme "Chi è questa signora?"
Mi avvicinai a lui, prendendo la foto incorniciata tra le mani e accarezzandola come se fosse un tesoro, un tesoro di un valore inestimabile.
"Questa donna è mia madre" spiegai, sfiorando la sua figura dietro quella lastra di vetro con l'indice destro "ma non è qua"
"Ho forse toccato un punto delicato? E' per caso.. morta?" deglutì nel pronunciare quella parola.
Scoppiai a ridere, anche se non era una vera risata: non avrei immaginato una vita senza mia madre. Intendo, senza mia madre viva.
"E' una lunga storia" scossi la testa, riposando al suo posto la foto.
"Ti va di raccontarmela?" mi guardò con occhi da cucciolo scopabile, anzi, con una faccia da ragazzo comprensivo. In quel momento capii tutto: capii che stava per nascere un'amicizia. Capii che avevo trovato un grande amico. Peccato che ne ero innamorata persa.
Mi sedetti sul letto, e mi seguì a ruota.
"Io e mia madre abbiamo sempre avuto un grandissimo legame. Difficile da credere, ma passavo più tempo con lei che con mio padre. Da piccola andavamo sempre a passeggiare al parco e a volte anche al bosco." alzai lo sguardo, sorridendo a quei ricordi, con lo sguardo perso nel vuoto "Quando crebbi, iniziò a picchiarmi. Tornava dal lavoro e mi picchiava. Non c'era un giorno in cui non lo faceva. Non perché non fosse una brava mamma, anzi, lei era ed è la mamma migliore del mondo. Ma era sempre piena di problemi personali e inoltre la situazione tra i miei si stava già facendo complicata" con la coda dell'occhio lo notai mentre mi fissava con uno sguardo addolorato, pieno di compassione. Chissà cosa stava pensando di me, anzi, di mia madre "Poco dopo si scoprì che era un'alcolizzata. Nel frattempo i miei avevano già divorziato e mio padre era venuto qui, tutto solo." spiegai. Non mi interruppe "Me l'hanno strappata via" pronunciai quella frase con dolore "Piansi molto, ma non c'era più nulla da fare" mi resi conto che le lacrime stavano iniziando a scendere sole e rapide come fiumi in piena.
Continuò a tacere, guardandomi con quell'espressione di dolore sul suo volto. E fu così che capitò: mi abbracciò.
Ciò che era successo nei miei sogni e solo lì, che potevo solo sognare per il resto dei miei giorni, era accaduto realmente. 
Il mio cuore martellava come un tamburo, così forte che avrebbe potuto sentirlo. Ma l'istinto mi disse di fare una cosa sola: di ricambiare e di stringerlo più forte. Avevo veramente bisogno di un amico in quel momento.

Spazio autrice.
Hey guuurls, avete tutto il diritto di uccidermi perché è da più di 10 giorni che non posto!
Ma tra gli esami, l'ansia e il nervosismo non ho trovato neanche un po' di tempo per leggerne.
Anyway, spero che questo capitolo vi piaccia. c: Per ora l'inizio è questo, ma la storia sarà più intricata.
Non voglio anticipare niente, posso solo dire [SPOILER] che andranno tutti a vivere insieme felici e appassionatamente.
l'ho pure tagliato, nel caso non vorreste leggerlo, LOL.
Baci e abbracci a tutti.
#muchlove,
@___londonsrain.
 

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