Hunger Games - Peeta's POV

di Iwuvyoubearymuch
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo Secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo Terzo ***
Capitolo 4: *** Capitolo Quarto ***
Capitolo 5: *** Capitolo Quinto ***
Capitolo 6: *** Capitolo Sesto ***



Capitolo 1
*** Capitolo Primo ***


Capitolo Primo
L'unico aspetto positivo del giorno della Mietitura è che ci si può svegliare più tardi. Non è una regola scritta. Ma, poiché le attività lavorative sono obbligatoriamente sospese fino al giorno dopo, tanto vale approfittare dell'occasione. Ovviamente, solo pochi riescono realmente a dormire in un giorno come questo. Non solo qui al Distretto 12. Sicuramente anche negli altri undici distretti di Panem, in questo momento, ci sono ragazzi e ragazze che fissano il soffitto sperando che il sole non sorga. Speranza vana. Quello sorgerà e per la fine della giornata ventiquattro ragazzi saranno potenziali cadaveri. Anche a Capitol City, la città che gli undici distretti attorniano, probabilmente in molti sono svegli. Per una ragione del tutto diversa, tuttavia. Si, perché lì nessuno rischia niente. Lì fin da piccoli hanno imparato a ridere della morte. Oltre a conciarsi come idioti. E' Capitol City la ragione per cui, una volta all'anno un ragazzo e una ragazza di ogni distretto vengono scelti per scontrarsi fino alla morte in una specie di vasca per i pesci gigante. Quello che vogliono farci credere è che gli Hunger Games siano solo uno dei tanti reality show che fanno tanto divertire gli spettatori. In realtà tutti sanno che costituiscono solo un monito contro chi ha anche la più remota intenzione di ribellarsi alle leggi assurde che ci governano. Come se le immagini del Distretto 13 alla tv non siano un incentivo sufficiente. Durante i Giorni Bui, mentre tutti gli altri distretti furono costretti all'obbedienza, al tredicesimo spettò la sorte peggiore: la completa distruzione.
Mi costringo a restare a letto almeno fino alle otto. Per me, che di solito sono in piedi alle sei, è semplicemente impossibile anche solo pensare di poter sfiorare quest'orario. Mio fratello, Seward non è della stessa idea. Condivido la camera con lui, quindi non ho alcun problema a sentirlo russare. A volte penso che non ne avrei nemmeno se vivesse in tutt'altra casa. Seward sarebbe in grado di dormire anche con la minaccia di un bombardamento in atto; nemmeno se ne andasse della sua stessa vita. Non capisco come faccia, sinceramente. Forse è semplicemente questione di abitudine. Così come io sono abituato a presentarmi in panetteria alle sei e un quarto, prima di andare a scuola. Oppure ha il sonno tranquillo, visto che questo è l'ultimo anno che può essere reclutato. Per partecipare agli Hunger Games c'è bisogno di un solo requisito: avere tra i dodici e i diciotto anni. Che poi sei denutrito, troppo piccolo di stazza, ammalato o monco di una mano, poco importa. Anzi, non conta assolutamente nulla. Se rientri in quella fascia d'età e hai la buona sorte a tuo favore, niente potrà risparmiarti. L'unica eccezione è fatta per chi è in fin di vita. Non è un gesto di compassione, né di rispetto per chi è in quelle condizioni. Semplicemente, il tributo potrebbe morire ancora prima di mettere piede nel Centro di Addestramento e a quel punto sostituirlo sarebbe un problema.
Comunque, anche io non dovrei correre troppi rischi. E non perché la buona sorte non sia dalla mia parte. La semplice spiegazione è che noi figli di commercianti abbiamo decisamente meno probabilità di essere pescati. Una volta su due, entrambi i tributi del nostro distretto vengono dal Giacimento. E' così che tutti chiamiamo la parte più povera, quella che si trova al limitare dei boschi. Ci sono stato poche volte, perché mia madre non vuole che ci vada. Comunque, quelle rare volte non ho potuto fare a meno di notare che tutto sembra ricoperto da una patina nera. La polvere proveniente dalle miniere di carbone ha quasi reso ogni cosa monocromatica. Anche le persone che ci vivono si portano addosso strati e strati di minuscoli granelli di carbone nero. Per i minatori è normale. Altra caratteristica che accomuna gli abitanti del Giacimento è che la maggior parte di essi ha i capelli neri, la pelle olivastra e gli occhi grigi. Così come in città molti, me incluso, abbiamo i capelli biondi e gli occhi azzurri. Le eccezioni sono rare in entrambe le parti del distretto. Questo perché è difficile trovare una donna di città che voglia sposare uno del Giacimento e lo stesso vale per gli uomini. Nessuno qui naviga nell'oro, ma se possono evitare di peggiorare le cose è meglio. Eppure, qualche strappo alla regola c'è stato nel corso degli anni. Lo so perché mio padre mi ha raccontato che una donna di sua conoscenza rinunciò alla sua famiglia, gli amici e il lavoro alla farmacia per sposare un minatore del Giacimento. Solo l'anno dopo scoprii che era stato innamorato di quella donna. E ironia della sorte, mi sono innamorato proprio di sua figlia. Ovviamente anche lei vive al Giacimento e quindi ha più probabilità di me di essere pescata. Perché lì quasi tutti hanno preso le tessere aggiuntive per sfamare le loro famiglie.
Restare a letto un minuto di più è impensabile, così mi alzo. E' una bella giornata. Cielo limpido, nessuna nuvola in vista e aria fresca, a giudicare da quello che scorgo dalla finestra. In una giornata così perfetta, nessuno si aspetta che una cosa come la Mietitura abbia luogo. Essendo un giorno libero, potrei andarmene tranquillamente in giro per casa col pigiama. L'idea mi sfiora per un istante, ma poi la accantono. Se mia madre mi vedesse in pigiama potrebbe impazzire. E' abbastanza severa e non risparmia punizioni. I miei fratelli ed io abbiamo fatto l'abitudine anche a quelle che non si limitano alle parole. Comunque, mi concedo il lusso di mettere in atto la routine mattutina con maggiore calma e lentezza. Su una sedia ci sono già pronti i miei vestiti della Mietitura. Si, perché in un giorno speciale come quello che stiamo per vivere, tutti dobbiamo essere al meglio. In fondo, i tributi dovranno presentarsi di fronte agli occhi curiosi di Capitol City.
Vado in cucina. Mia madre e mio padre sono già lì. Auguro il buon giorno a entrambi.
"E' presto" dice mio padre, dopo una rapida occhiata nella mia direzione.
Alzo le spalle, ma prima che possa dire qualcosa, mia madre è già partita in quarta. "Non è affatto presto" afferma, rivolgendosi a mio padre. Il che vuol dire che almeno stavolta ho fatto una cosa buona. "Dov'è tuo fratello?" chiede, poi, a me.
"Di sopra" dico, cercando di essere il più evasivo possibile. Forse avrei dovuto svegliare Seward, perché mia madre intuisce immediatamente che con di sopra, voglio dire che sta ancora dormendo.
Mentre lei si catapulta nella mia camera, siedo a tavola per la colazione. Mio padre mi passa i biscotti che lui deve aver fatto questa mattina presto. Se mi è permesso mangiarli allora è davvero un giorno speciale. Di solito, mia madre mi tira qualsiasi cosa abbia tra le mani, quando cerco di provarne uno. Li riserva per la domenica e per il giorno della Mietitura. Sento chiaramente il rumore di una porta che si apre, qualche lamento di mio fratello e mia madre che sbraita senza preoccuparsi di essere più silenziosa. Sono scene così normali in casa mia, che ormai nessuno di noi più si sconvolge. Continuo a mangiare.
Mio padre si lascia andare un sospiro. "Ancora due anni" dice, posando una mano sulla mia spalla. Non è una persona di molte parole ed è abbastanza riservato. Quindi, ogni anno da quando ho compiuto dodici anni, per farmi capire quanto è preoccupato, mi riferisce gli anni che mancano per uscire dalla fascia d'età reclutabile. Puntualmente, gli rispondo che prima devo superare quell'anno.
"Ci sarà una festa per Seward?" chiedo, senza aver davvero voglia di sentire la risposta. Non che mia dia fastidio il fatto che è l'ultima Mietitura di mio fratello. Non potrebbe mai essere una fonte di fastidio.
Lui annuisce. "Con tanto di scoiattolo di giornata" dice, allegro. La mia testa scatta come una molla verso mio padre. Scoiattolo vuol dire che... "L'ho scambiato questa mattina con quel ragazzo, Hawthorne"
Alzo gli occhi al cielo. Gale Hawthorne. E' il mio rivale in amore, se così posso chiamarlo. Molte ragazze parlano di lui a scuola, ma non è la sua popolarità che mi infastidisce. Non mi importerebbe assolutamente nulla, se non fosse sempre appiccicato alla ragazza di cui sono innamorato. Alcuni dicono che sono una coppia e, dopo un po', ho dovuto accettare l'evidenza. Nessuno passa così tanto tempo insieme a una semplice amica. Anche io ho delle amiche, ma è difficile che passi con loro del tempo, oltre a quello scolastico. Comunque, anche se non stanno insieme, lui ne è innamorato almeno quanto me. Me ne accorgo dal modo in cui la guarda. Sembra che sia una sua proprietà, alla quale nessuno deve avvicinarsi. E io non l'ho fatto. Non perché temessi il ragazzo. Katniss Everdeen è la persona più imprevedibile che conosca. Potrebbe avere mezza popolazione maschile ai suoi piedi a scuola, amiche in grande quantità. Ma non lo permette a nessuno. Se ne sta quasi sempre in disparte. Le uniche volte che l'ho vista scambiare due parole era con Gale oppure con Madge Undersee, la figlia del sindaco. Se si esclude la sorella Primrose.
A colazione conclusa, lascio che mio padre lavi piatti e tazze. E’ pur sempre il mio giorno libero e se non posso sfruttarlo per dormire qualche ora in più, almeno voglio godermene una minima parte. Presto però mi rendo conto che non ho nulla da fare. La Mietitura non comincerà prima delle due e fino a quell’ora non c’è niente che possa distrarmi. Potrei andare da qualche amico, ma non mi va di disturbare la famiglia. Ognuna ha un suo particolare modo di affrontare il giorno della Mietitura. Eppure, con le mani in mano non posso starci. Mio padre si accorge immediatamente che qualcosa non va. “Ci sono delle torte, giù in panetteria”
Sorrido. Decorare le torte è la parte più divertente del lavoro in panetteria insieme ai miei genitori. Mi piace fare la glassatura, perché sono libero di fare qualsiasi cosa. Perfino mia madre dice che sono bravo in quello, ed è raro che si lasci sfuggire complimenti non necessari. Purtroppo ci sono soltanto due torte da completare, così cerco di metterci tutto il tempo che ho a disposizione. Il risultato, dopo quasi tre ore, è particolarmente dettagliato e accurato. Solitamente ci metto meno tempo. Sia perché mia madre non sopporta che si perda tempo prezioso, sia perché mi diverto così tanto che potrei non fermarmi mai. I miei fratelli mi danno dello stupido. Loro in panetteria ci lavorano solo perché sono obbligati. Non tanto dai nostri genitori. Più che altro per scampare alla fame che imperversa qui al Distretto 12. E alle miniere, giudicate troppo faticose e pericolose. Visto che si estraeva il carbone ancora prima che Panem fosse costruita, i minatori devono scendere sempre più in basso. Inutile dire che più in basso si va, maggiore è il rischio di non risalire. Non sono episodi rari le esplosioni delle miniere. Ad esempio, il padre di Katniss Everdeen e quello di Gale Hawthorne sono morti entrambi durante una esplosione. I corpi non sono mai stati trovati.
Prima di ritornare in casa mi lavo le mani dai residui di glassa verde. Ho scansato di proposito quella rossa. Troppo simile al colore del sangue. Non mi è sembrato il caso di usarla oggi. In casa ci trovo la famiglia al completo. Sono tutti rintanati in un silenzio raccapricciante. Sembra che sia morto qualcuno. Appena mia madre mi vede, balza su come se avesse ricevuto una scossa dalla sedia che occupava. Si avvicina a passi svelti, scuotendo la testa. Istintivamente alzo un braccio per proteggermi, ma contrariamente a quello che avevo immaginato, si limita a pungolarmi un po’ lungo le braccia per lamentarsi della camicia maltrattata. “E va’ a sistemarti quei capelli” ordina, dandomi uno scappellotto sulla nuca.
Mia madre è fissata con il mio aspetto. Mi ha ribadito in più di una occasione che devo obbligatoriamente essere al meglio quando Madge Undersee è nei paraggi. E quindi sempre, perché ha la mia stessa età e frequentiamo la stessa scuola. Anche se non ho la minima idea di dove possa aver tratto questa idea, ne conosco il motivo. Spera che sposando la figlia del sindaco, la nostra condizione economica possa sollevarsi. Solo all’inizio mi mettevo a perdere tempo dicendole che non avrei mai sposato quella ragazza. Non che Madge non fosse abbastanza carina da poter attirare la mia attenzione, o avesse modi antipatici. Semplicemente non era, e tutt’ora è, quella che vorrei. Con mia madre non mi sono mai permesso di parlare di Katniss. Non ha nulla contro di lei in particolare; il suo unico difetto è che vive nel Giacimento. Comunque, col tempo ho smesso anche di dire che non avrei mai sposato Madge. Le dolorose conseguenze non meritavano la causa.
Dopo aver dato una forma più presentabile ai capelli, ritorno dalla mia famiglia. Sono già pronti, così usciamo di casa e ci dirigiamo verso la piazza, davanti al Palazzo di Giustizia. Seward ed io ci registriamo e poi veniamo divisi in due gruppi differenti, visto che abbiamo età diverse. Sebbene ci siano ancora poche persone, il palco è già allestito, le due ampolle con i nomi da sorteggiare già posizionate in bella vista, i cameraman di Capitol City sono appostati sui tetti delle case pronti a riprendere l’intera cerimonia da trasmettere poi alla tv. Alzando la testa verso di loro, vedo che molti sono annoiati e parlottano distrattamente tra di loro. Mi verrebbe quasi da urlargli di metterci i loro nomi lì dentro per assistere alla loro paura.  Ma urlare non mi sarebbe di alcun aiuto. Di certo, non farebbe scomparire il terribile presagio che mi pesa sullo stomaco. Ignorando, quindi, le presenze scure sopra le mie teste, mi concentro sulle persone sono arrivate prima di me. Molti sono scommettitori. Li sento parlare abbastanza chiaramente. C’è chi scommette sulla provenienza dei tributi e chi invece cerca di indovinare quanto poco dureranno. Un uomo sta scommettendo sull’età. Secondo lui, la femmina avrà diciotto anni e il maschio sedici. Smetto di ascoltare immediatamente. Io ho sedici anni. Mi allontano alla svelta da quella postazione, stando ben attento a non ascoltare più nessuna conversazione dal quale dovrei tenere le orecchie lontane. Approfitto della presenza di alcuni miei compagni di scuola e con loro mi intrattengo per un bel po’.
Solitamente, quando sono con i miei amici, non mi limito ad ascoltare ed annuire distrattamente. Diciamo, che prendo parte alla conversazione attivamente. Oggi, però, la scommessa di quel signore mi ha messo fuorigioco. Non pensavo di essere così debole mentalmente. Dopo anni e anni passati tra i rimproveri di mia madre, non dovevo essere leggermente più forte? Be’, per quanto mia madre possa essere stata crudele in certe occasioni, non ha mai parlato della mia morte, né ci hai mai scommesso su. La mia voce interiore mi fa notare che quell’uomo non stava parlando esplicitamente di me. Il che non mi aiuta e non è di consolazione. Anzi, rafforza il concetto che sono debole. Se dovessi essere scelto, non durerei mezza giornata nell’arena.
La piazza si riempie velocemente. I recinti in cui siamo stati rinchiusi iniziano ad essere affollati. Tra i nuovi arrivati c’è anche Katniss. Ed è grazie a lei che smetto di pensare al massimo tempo che riuscirei a restare vivo negli Hunger Games. Osservandola camminare con la sorellina al fianco, avverto la solita ondata di calore che mi prende ogni volta che la vedo a scuola. Più di una volta sono rimasto a fissarla per chissà quanto tempo, fino a quando un mio amico mi ha fatto notare che lei avrebbe potuto accorgersene. Sarebbe stato abbastanza imbarazzante. Per non parlare del fatto che lei avrebbe potuto spaventarsi con uno che la fissa costantemente appena può. Così, da quel momento in poi, ho stabilito una specie di regola, di cui soltanto io sono a conoscenza. Mi concedo un paio di secondi e poi devo assolutamente distogliere lo sguardo. E’ difficile, però. E’ capitato che in certe occasioni non sono riuscito ad applicare la regola alla lettera, quindi i nostri sguardi si sono incontrati. Ma niente di più. Mi sono sempre limitato a voltare la faccia dall’altro lato. E così faccio adesso. Do un ultimo sguardo veloce e torno a prestare attenzione ai miei amici.
Alle due in punto il sindaco Undersee abbandona la sua sedia e si porta al centro del palco. Ciò che ha da dire l’ho ascoltato così tante volte che potrei farlo io. Anche perché l’abbiamo studiato a scuola nell’unica ora di storia settimanale. Il discorso verte sulla creazione di Panem, la ribellione, i Giorni Bui, la distruzione del Distretto 13 e infine l’istituzione dei giochi. A questo punto ci sarebbe da leggere la lista dei vincitori del Distretto 12, ma poiché abbiamo avuto solo due vincitori, di cui uno è morto, non c’è bisogno di una vera e propria lista. Neanche di un misero foglio di carta, a dirla tutta. In fondo non è difficile ricordare il nome di Haymitch Abernathy. Lo conoscono tutti qui e, grazie alla figuraccia che ha fatto oggi, se ne ricorderanno ovunque per molto tempo. Sia Effie Trinket che il sindaco Undersee sono visibilmente in difficoltà. Haymitch è completamente ubriaco, come tutti gli altri giorni. All’applauso del pubblico, cerca di abbracciare Effie, ma lei si scosta giusto in tempo per fare in modo che la parrucca rosa non gli caschi del tutto. Cercando di darsi un contegno e restituire alla cerimonia il rispetto che merita, Effie annuncia che è arrivato il momento di procedere. Non prima di aver augurato buoni Hunger Games a tutti. “E possa la buona sorte essere sempre in vostro favore” dice, ripetendo quella frase con la stessa cadenza di divertimento che ostenta tutti gli anni. Ma cosa pretendo? Viene da Capitol City. E’ normale che sia entusiasta con l’arrivo dei giochi. Così come i cameraman, ci metterei lei.
Attraversato tutto il palco, si porta accanto alla boccia delle ragazze. “Prima le signore” esclama come ogni anno. Infila il braccio dentro. Nonostante la distanzia non sia così breve da dove mi trovo fino al palco, tendendo l’orecchio riesco a sentire lo sfrigolio dei fogli, provocato dal movimento del braccio dell’accompagnatrice affidata al nostro distretto. Sono tutti in silenzio. C’è chi cerca di ostentare una certa tranquillità, ma so che è tutta una farsa. Altre hanno il capo chino verso i loro piedi, e alcune sono aggrappate al braccio delle amiche. Non riesco più a vedere Katniss. L’ho persa di vista da quando ho voltato la testa. Ma comunque credo che lei abbia la testa ben alta in attesa, con un’espressione neutra, senza cercare l’appoggio di nessuno. Anche a scuola è come se indossasse sempre una maschera. E ora che non riesco a vederla, quindi, non posso immaginare il suo viso al suono del nome della sorella. Il nome scritto su quel piccolo foglio di carta è di Primrose Everdeen. Il mio primo pensiero va a Katniss. Col secondo mi chiedo come possa essere uscito proprio quel nome. Una sola tessera tra tante altre non può essere presa. Perché di sicuro in quella boccia il nome di Primrose è presente una sola volta. Dubito fortemente che la sorella maggiore le abbia mai permesso di prendere una tessera extra. Eppure, quella che si avvia verso il palco molto lentamente è proprio lei. E alla sua prima Mietitura. Effie direbbe che la buona sorte pende tutta dalla sua parte, essendo stata pescata a soli dodici anni. Noi del Distretto 12 – e in tutti gli altri distretti – sappiamo che significa quasi sicuramente morte certa. Anche nei Distretti 1 e 2, o comunque quelli messi meglio, hanno il buon senso di aspettare un’età più avanzata per partecipare ai giochi. Perché ci sono persone che decidono spontaneamente di offrirsi volontarie. Qui ce ne sono stati pochissimi, e dopo molto tempo ne abbiamo un altro.
Katniss Everdeen cammina a passi svelti tra la folla che si è aperta attorno a lei e ferma la sorella proprio quando sta per salire sul palco. La trascina dietro di sé con un braccio, quasi come se avesse paura che la portino via. E poi lo dice: “Mi offro volontaria come tributo”
Adesso che la vedo non c’è più la sensazione di calore. Quella è stata sostituita da una molto più spaventosa. L’idea che Katniss possa morire è anche più dolorosa delle punizioni di mia madre. Mi sento come svuotato da ogni cosa che c’è all’interno del mio corpo. Ho l’impressione che qualcosa di estremamente importante mi sia stato portato via. E la cosa non ha senso, perché con Katniss non ho mai parlato. E solo adesso mi pento veramente di non averlo fatto. Di non averle mai confessato di essere innamorato di lei dal primo istante in cui la vidi, quando mio padre mi indicò la figlia della donna che aveva amato in passato. Quella bambina con le trecce e il vestito a quadretti. Quella che, come suo padre, aveva ammutolito chiunque in classe e fuori semplicemente cantando una canzone. Ma dirle quello che provo per lei non le avrebbe di certo risparmiato tutto ciò. Avrebbe fatto solo stare meglio me.
Non sono affatto sorpreso quando il pubblico non applaude. Non c’è niente di cui essere contenti quando una tributo viene scelto. Ancora una volta la piazza è silenziosa e presto le tre dita centrali di ogni mano sinistra punta l’alto. Il saluto dei funerali. Vuole anche dire che vuoi bene a quella persona. Io non lo faccio. Mi rifiuto di pensare a Katniss come un potenziale cadavere. E’ una cacciatrice, sveglia abbastanza da poter vincere e tornare qui. A quel punto le dirò personalmente quanto le voglio bene. Anche ora che Haymitch mette in scena il suo ennesimo siparietto, continuo a guardarla. Ha lo sguardo fisso davanti a sé, oltre i palazzi, all’orizzonte. La vedo abbandonare per un attimo maschera composta che ha portato su fino a questo momento appena Haymitch crolla al suolo. Prima che possa essere vista da qualcun altro – in particolare, le telecamere – ritorna quella di sempre.
Ancora una volta Effie è costretta a riportare l’ordine e a rimettersi in ordine. “E’ giunto il momento di scegliere il nostro tributo maschile” trilla, avviandosi con una mano sulla testa verso l’altra boccia di vetro.
Questa volta non avverto alcun rumore di fogli. Neanche il silenzio che si è ripristinato attorno a noi, a dire la verità. E’ come se fossi completamente solo da qualche parte che non è il Distretto 12. Poi, mi giunge una voce ovattata. “Peeta Mellark” sta dicendo e allora, tutto ciò che sento è il mio cuore che forte come mai prima. Un cubetto di ghiaccio mi scivola lungo la schiena, rendendomi più rigido di quello che già ero. Perché Peeta Mellark è il mio nome. Sono io il tributo maschio della settantaquattresima edizione degli Hunger Games.


Eccomi qui, a scrivere un'altra storia su questa magnifica trilogia. Che dire?
I personaggi della Collins sono così ben fatti, che nessuno si stancherebbe mai di scrivere su di loro.
L'idea è nata dalla recensione dell'altra ff che sto scrivendo. Mi è stato chiesto di scrivere qualcosa sul terzo libro dal
POV di Peeta e ho pensato: "Perché non partire dal primo?"
Se è un'idea stupida, ditemelo subito. Mi metto l'anima in pace e mi applico soltanto sull'altra.
Accetto qualsiasi tipo di critica.
-M

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Capitolo 2
*** Capitolo Secondo ***


Capitolo Secondo
Anche se sono confuso, riesco facilmente a riconoscere la tristezza negli occhi dei miei amici. Vi scorgo anche qualcosa come compassione. E sollievo perché se è stato letto il mio nome, allora loro sono salvi anche per quest’anno. Qualcuno di loro mi da una pacca sulla spalla come a farmi coraggio, ma non mi volto per vedere chi è. Mi muovo a rallentatore. Non di mia spontanea volontà. Le gambe stanno facendo tutto da sole, senza che io voglia davvero avvicinarmi a quel palco. Forse sono in attesa che qualcuno fermi la mia avanzata come è successo con Primrose. Ma non accade. Mio fratello Seward è l’unico che potrebbe farlo, ma non lo fa. Non che me lo aspettai e non gliene faccio una colpa. Non posso. In una situazione inversa, quasi certamente, avrei fatto lo stesso. Quando passo accanto al gruppo dei ragazzi di diciotto anni lo vedo. Una prima lacrima gli è già scivolata lungo la guancia e muove la bocca come a dirmi “Scusa”. Non l’ho mai visto piangere. Né lui, né Blythe, l’altro mio fratello maggiore. Ho sempre pensato che non ne fossero capaci, nessuno dei due. Suppongo che oggi abbia avuto prova del contrario. Vorrei voltarmi per cercare con lo sguardo mio padre, ma non riuscirei a vedere nulla con tutta questa gente. Così aspetto di essere sul palco. Vicino a Kantniss, molto più di quanto sia mai stato. Faccio fatica a scorgere il resto della mia famiglia, ma è incredibilmente facile come i ricordi mi assaliscano adesso.
Improvvisamente la piazza scompare, così come le persone. L'unica che è al mio fianco è Delly Cartwright, ma non è come adesso. E' molto più piccola. E anche io lo sono. Non possiamo avere più di quattro anni. Stiamo correndo in tondo; lei avanti ed io subito dietro di lei. Il gioco consiste nel riuscire a prenderla. Sebbene sia molto veloce la raggiungo abbastanza in fretta. Le do il tempo di fare qualche metro ancora e poi le metto una mano sulla spalla. Finiamo entrambi a terra; la caduta attutita soltanto da un bel cumulo di fango. I nostri vestiti non sono più del loro colore originario, perché sono completamente ricoperti di terreno e acqua. Anche i capelli sono sporchi. Quasi come se mia madre fosse stata a fissarci tutto il tempo, eccola che spunta da dietro l'angolo e sgrana gli occhi come due mele. Si avvicina urlandomi di non giocare mai più col fango ed io reprimo una risata insieme a Delly. Mi afferra per un lembo della maglia e mi spintona fino a casa. Entro da quella porta e il bambino di quattro anni che giocava col fango, adesso ne ha un po' più del doppio. 
E' il giorno in cui ho decorato la mia prima torta. Non l'ho mai fatto prima e quindi è solo un gioco. Anzi, è una gara con i miei fratelli. Nonostante abbia detto loro che non è una sfida valida perché loro hanno almeno uno o due anni di esperienza, Seward e Blythe non depongono l'attrezzatura per la glassatura. Comunque, ho osservato loro due e papà molte volte e la procedura di base la conosco. Quello che manca è l'abilità nel maneggiare oggetti mai usati prima, visto che mia madre non mi ha mai dato il permesso. Combino un disastro: glassa verde, gialla e blu è cosparsa su tutto il banco da lavoro per quando ho finito. Seward e Blythe mi hanno concesso magnanimamente dei minuti extra, che sfrutto appieno e forse anche qualcosa di più. Sono bravo. Me lo dicono anche i miei fratelli, il che può non essere un bene dal momento che mi prendono sempre in giro. Fanno sul serio, però, mi accorgo. Proprio perché hanno riconosciuto in me capacità che nessuno pensava possedessi, mi lasciano a pulire la panetteria tutto da solo. Ma non mi importa. Mi sono divertito. Quando mi manca davvero poco per finire, arriva mio padre. Tiro un sospiro di sollievo alla sua vista. Mia madre mi avrebbe fatto pentire di aver accettato la scommessa. Mio padre, invece, osserva le tre torte con un'espressione seria in volto. Riconosce subito quella fatta da me. Mi chiede cosa ho usato per preparare la glassa e, dopo aver risposto, cerco di spiegargli che è stata tutta un'idea degli altri due figli che ha. Ma lui mi blocca al principio, prende la torta tra le mani e la mette in vetrina. E' la più brutta che si sia mai vista lì dentro, ma sembra aver inorgoglito mio padre in un modo che le torte dei miei fratelli non hanno mai fatto. 
Il Trattato del Tradimento mi riporta al presente. Sono ancora sul palco, accanto a Effie Trinket, e sto per partecipare agli Hunger Games come tributo. Sto per morire, detto in parole semplici. Perché non c'è nessuna possibilità che io riesca a farcela. La mia vittoria vorrebbe dire la morte di Katniss. Un pensiero che non posso nemmeno prendere in considerazione. Cerco di mantenere il mio viso calmo abbastanza da non lasciar trapelare alcuna emozione o tormento interno. Non so se ci riesco, ma per migliorare mi costringo a respirare prendendo belle dosi di aria, cacciandole poi con estrema lentezza. Se non del tutto, mi tranquillizzo in una minima parte. Guardando la folla, incrocio lo sguardo del padre di Delly. Anche lì c'è una quantità impressionante di compassione che riesco a stento a sopportare. Mi volto immediatamente, a guardare Katniss. E' ancora in modalità da dura. Diversamente da me, lei ci riesce bene. Da la sensazione di essere annoiata. In quel momento ci viene chiesto di stringerci la mano. Come le gambe durante il breve tragitto per il palco, le braccia si muovono senza che io le comandi. La mano di Katniss si chiude attorno alla mia. Ha una bella presa, penso, distogliendo per la prima volta i pensieri dai giochi. Ora che posso guardarla negli occhi, scorgo il naturale nervosismo. Vorrei dirle qualcosa per farla sentire meglio, ma cosa? Non so nemmeno cosa dire a me stesso per sentirmi meglio. Mi limito a stringerle gentilmente la mano. E mentre l'inno suona, l'immagine di me e Katniss, l'uno di fronte all'altro, con le armi sguainate pronti a ucciderci, mi passa dietro le palpebre che chiudo per un istante. 
Continuo a pensarci anche quando i Pacificatori mi portano all'interno del Palazzo della Giustizia. Non potrei mai ucciderla. In generale, non potrei mai uccidere. Non l'ho mai fatto nemmeno con una mosca o una farfalla, figurarsi un essere umano. Il solo pensiero di poter entrare nell'arena, udendo la scommessa di quell'uomo, mi ha fatto impazzire. Poggio i gomiti sulle ginocchia e passo una mano tra i capelli, in attesa che la mia famiglia giunga per salutarmi. Dirmi addio.
Mi alzo quando li vedo entrare uno alla volta. Mia madre è in prima fila, gli altri sono alle sue spalle. Non riesco a decifrare l'espressione di nessuno di loro. E' già tanto che sia ancora in grado di reggermi in piedi. Le braccia di mia madre sono le prime che mi cingono. Rimango pietrificato. E' passato moltissimo tempo dall'ultima volta che mi ha abbracciato. A scuola avevo litigato con un altro bambino e lui mi aveva dato un pugno. Tornai a casa con la testa bassa e il morale a terra. Mia madre fu la prima ad accorgersene e mi costrinse a raccontarle cosa era successo. Lo feci e alla fine mi abbracciò, costringendomi di prendere lezioni di lotta da Seward.
Poggio la testa sulla sua spalle e per un attimo mi lascio cullare da quella sensazione quasi del tutto sconosciuta e, al contempo, desiderata. Oltre la spalla di mia madre, le facce dei miei fratelli e di mio padre non sono per nulla sorprese. Il che vuol dire che ho sempre sbagliato a giudicare mia madre. Quando lei si stacca, lo fa con un sospiro. Mi ritraggo per un istante appena la sua mano fa per avvicinarsi al mio viso. Poi mi fermo e lascio che mi accarezzi la guancia. "Forse il Distretto 12 avrà un vincitore quest'anno" dice con il tono più dolce che abbia mai usato con me. Si, ho decisamente sbagliato a giudicarla. Certo, non ho mai pensato che volesse la mia morte, ma i modi per dimostrarmelo non erano esattamente convenzionali. Faccio per ringraziarla, ma ciò che le esce dalla bocca prima che possa farlo mi fa gelare il sangue nelle vene. "E' una tosta, quella" aggiunge e con un colpetto con la testa indica la stanza affianco.
Quella. All’inizio penso che sia stato solo un errore, poi quando il tempo passa e non si corregge, capisco che non lo è. Sta parlando di Katniss. Perfino mia madre non crede che io possa vincere. Suppongo che questo che si pensi di ogni tributo del Distretto 12. Anche io ho dato per spacciati i miei predecessori, ma di certo non sono andato da loro a dirglielo. E non ero loro madre. Una madre non dovrebbe incoraggiare il proprio figlio? Dirgli che nonostante tutto, riuscirà a non morire? A quanto pare non la mia.
La stessa espressione di sorpresa è dipinta sul volto del resto dei miei familiari. Per un attimo tutti e quattro restiamo a guardare mia madre che esce dalla stanza. Poi, Seward si avvicina a passi lenti, continuando a lanciarsi sguardi stupiti alle spalle.
“Non starla a sentire. Cerca solo di non illudersi” dice, poggiandomi le mani su entrambe le spalle. Non sembra convinto. Riesco a vederlo facilmente negli occhi colmi di lacrime. “Sei forte, molto più di altri tributi” afferma.
“Non sappiamo ancora chi sono” gli faccio notare.
Seward stringe la presa sulle spalle. “E’ così, fidati” dice, deciso.
Scoppio a ridere. Avevo sei anni la prima volta che decisi di fidarmi di mio fratello Seward. Quel giorno lo vidi tornare sporco di terreno da testa a piedi, intento a cancellare quelle macchie che gli sarebbero costate una punizione certa. Decisi di aiutarlo, a patto che mi raccontasse cosa aveva combinato. Lui accetto e, mentre lui cercava di ripulirsi i pantaloni, io mi occupai della camicia. Mi raccontò che era stato al di là della recinzione con il filo metallico. Mi fermai di colpo. Era vietato oltrepassarla. Primo perché dava sui boschi e secondo, si usciva dai confini del distretto. Gli diedi del pazzo e lui ribatté che avevo solo paura degli orsi e dei puma. Cercai di convincerlo del contrario, finché lui mi disse di provarglielo. “Non ci scopriranno, fidati” mi disse quando tentai di tirarmi indietro, appena giunti alla recinzione. Lo feci e non avrei dovuto. Un Pacificatore ci beccò proprio nel momento in cui io feci per strisciare dall’altro lato. Per nostra fortuna il Pacificatore in questione era Darius. Un tipo innocuo, che non ne parlò a nessuno visto che eravamo dei bambini. Tornando a casa, Seward ammise che non era mai uscito dal Distretto. Quel pomeriggio aveva semplicemente giocato con i suoi compagni di scuola. Ridemmo per tutto il tragitto.
Racconto l’aneddoto anche a lui, per giustificare la mia risata. Appena iniziamo a tirare fuori qualche altro ricordo divertente, Blythe ci ferma. “Basta!” grida, quasi. Non è mai stato un tipo di molte parole. Caratterialmente simile a mio padre molto più che nell’aspetto. “Smettetela di ricordare i vecchi tempi. Non stai per morire” dice, i pugni chiusi lungo i fianchi.
“Blythe ha ragione” interviene mio padre. “Sai lottare e lo fai bene”. Apprezzo i loro tentativi di darmi fiducia, ma non penso che sarà utile.
“Gliel’ho insegnato io” scherza Seward, facendo spallucce.
Quando i Pacificatori richiamano la mia famiglia, ci stringiamo tutti in un unico abbraccio. Vorrei non dovermi staccare mai da loro. Ma purtroppo devo e pochi istanti dopo sono di nuovo da solo in quella stanza. Non per molto. La porta si apre nuovamente e a entrare questa volta è Delly. Non dice molto prima di aggrapparsi al mio collo. Singhiozza. “Puoi farcela” sussurra al mio orecchio, senza rompere l’abbraccio. Restiamo così per un po’, poi arriva anche il suo turno di andare. “Ti voglio bene” è ciò che mi dice Delly prima di chiudersi la porta alle spalle.
A quel punto mi aspetto che entri qualche mio amico, ma dubito che i Pacificatori facciano passare qualcun altro. Invece, la porta si apre ancora una volta al suono di “Sono la figlia del sindaco!”. Sopprimo un sorriso. Non è esattamente da Madge sfruttare la posizione del padre per ottenere qualcosa. Non siamo veri e propri amici. Abbiamo parlato in un paio di occasioni e una volta l’ho accompagnata a casa dopo scuola perché aveva molti più libri di quanti riuscisse a contenere lo zaino. Forse è allora che mia madre ha pensato a me e lei come possibile coppia. Non avrò mai l’occasione di chiederglielo.
Comunque la presenza di Madge in questa stanza mi fa pensare che è già stata da Katniss. Lei è la cosa più vicina che ha come amica. Probabilmente, ha ritenuto giusto venire anche da me. Eppure non ci diciamo molto. Un abbraccio veloce, un “Buona fortuna” commosso e poi va via.
Torno a sedermi sul divano. I Pacificatori mi fanno alzare poco dopo per portarmi alla stazione ferroviaria. C’è ancora molta gente fuori dal Palazzo di Giustizia. Dall’auto intravedo i miei fratelli e le lacrime iniziano a scendere. Non li rivedrò mai più. Asciugo le guance una, due, tre volte. Poi non lo faccio più e quando arriviamo alla stazione non mi sforzo di tenere la testa bassa. La folla riesce tranquillamente a capire che ho pianto. Non vedo il motivo per cui dovrei fingere di stare bene. Sto per partecipare agli Hunger Games. Pianterei i piedi a terra e non mi muoverei di un millimetro se fossi certo che non mi trascinerebbero anche con la forza.
Con uno sguardo veloce in direzione di Katniss, riesco a vedere che lei, diversamente da me, non sta piangendo e niente lascia intendere che l’abbia fatto prima. Ha ancora la maschera da dura che non lascia andare mai. E’ solo una scena per le telecamere. So che è spaventata quanto me. Sul palco esibiva la stessa espressione annoiata, ma appena Haymitch ha distolto l’attenzione da lei e ha attirato le telecamere, si è lasciata andare per un solo istante a un gemito. La maschera poi è tornata a posto. Una persona così è solo da ammirare.
I cameraman sono appostati anche qui. Non mi sorprende. Vogliono sfruttarci per bene, prima di lasciarci andare. Per fortuna, Effie Trinket ci fa salire in fretta sul treno e poi ci mostra gli scompartimenti in cui dovremmo alloggiare fino all’arrivo a Capitol City. Il mio è anche più lussuoso della stanza al Palazzo di Giustizia. Ma ora come ora l’arredamento non mi interessa. L’unica cosa di cui ho bisogno adesso è una doccia, in modo da cancellare le lacrime che mi hanno rigato il viso, la sensazione di paura che mi attanaglia lo stomaco dal momento in cui ho messo piede nella piazza, il presagio di morte che aleggia sulla mia testa. Purtroppo, non me ne dimentico neanche per un secondo. E come potrei? Fra meno di una settimana sarò rinchiuso nell’arena insieme ad altri ventitré tributi che pianificano la mia morte, che faranno di tutto pur di ritornare a casa dalle loro famiglie oppure per ottenere ricchezze in volontà. In questo momento, forse, il tributo del Distretto 1 sta pensando alla tattica più conveniente per essere l’unico ancora in piedi alla fine dei giochi; quella del Distretto 6 sta cercando il miglior modo per ottenere gli sponsor che rappresentano la nostra unica salvezza; quelli dei distretti più abbienti si stanno allenando. Io non ho idea di cosa fare. Non solo qui. Anche nell’arena. Non ho la minima idea della strategia che seguirò. C’è Haymitch per quello. O almeno, spero che non si ubriachi tanto da suggerirmene una. Il problema, comunque, non è questo.
Esco dalla doccia, coperto solo da un asciugamano. Do un calcio ai vestiti che ho buttato per terra. Quasi come se fosse colpa loro se è uscito il mio nome. Se ora sarò costretto a combattere fino alla morte per poter rivedere di nuovo la mia casa, uccidendo perfino la ragazza di cui sono innamorato da una vita intera. Certo, potrebbe ucciderla qualcun altro. Ma anche quest’idea non mi piace neanche un po’.
Prendo un pantalone nero dal cassetto e un’altra camicia. Asciugo i capelli alla bell’e meglio con un asciugamano. Provo a dargli una forma presentabile. Poi le parole di mia madre mi ritornano in mente e li lascio così come sono. Non è finito il tempo che Effie ci ha messo a disposizione, ma esco comunque dallo scompartimento e mi metto alla ricerca del vagone ristorante. Lungo un corridoio intravedo la sagoma di Haymitch. C’è puzza di alcool anche a distanza di un paio di metri. Deve aver bevuto ancora dopo la scenata sul palco. Tuttavia, mi avvicino per chiedergli quando inizierà a darci qualche consiglio utile. Lui mi blocca prima che possa anche aprire bocca e mi dice che se ne va a dormire. Fisso per un istante il legno scuro della porta. Lui dovrebbe essere il mio mentore. Haymitch Abernathy, l’ubriacone del Distretto 12, dovrebbe essere la mia più grande occasione per poter continuare a vivere, consigliandomi tattiche e strategie che mi consentirebbero di tornare a casa. Se prima avevo poche possibilità di riuscirci, adesso ne ho anche meno.
Ci metto un po’ a trovare lo scompartimento giusto. Non c’è nessuno, ma la tavola è già ricoperta di piatti, bicchieri e posate. Prendo posto, in attesa che arrivino gli altri. Non devo aspettare molto. Pochi istanti dopo arrivano Katniss e Effie. Entrambe prendono posto davanti a me. “Dov’è Haymitch?” mi chiede la seconda.
Le dico che l’ultima volta che l’ho visto, era intento a farsi un sonnellino. Lei sembra abbastanza sollevata. Non me la sento di darle torto. Ha rischiato di perdere la parrucca ben due volte prima e sempre per colpa di Haymitch.
La cena comincia subito dopo. Ci vengono servite molte portare, la maggior parte delle quali consistono in cibi che non mai mangiato prima. Per questo motivo mi è difficile restare impassibile di fronte alla minestra di carote. Ne prendo una bella porzione abbondante. Appena la finisco, me ne servo ancora un po’. Poi tocca a tutto il resto. Ho paura che tutto il cibo che ho buttato giù mi risalga lungo la gola, quando Effie si congratula con me e Katniss per le nostre buone maniere a tavola in confronto a quelle dei passati tributi. Come me, anche Katniss non replica nulla. Ma dal modo in cui mangia il purè di patate e la torta a cioccolato con le mani, che dopo si pulisce con la tovaglia, intuisco che non ha preso il commento di Effie come un complimento. Non ne sono troppo stupito. I tributi delle scorse edizioni erano quasi sempre del Giacimento, un posto in cui la maggior parte delle persone muore di fame. Letteralmente. I Pacificatori sono spesso costretti a sbarazzarsi dei corpi che si trovano per strada, attribuendone la morte a deboli scuse che non ingannano nessuno. Certo, si muore anche di altre cose nel nostro distretto, ma nella maggior parte dei casi è per via della fame. Quindi, perché due ragazzi che non hanno mai visto abbastanza cibo con cui poter riempire il vuoto di una settimana o più di digiuno, dovrebbero comportarsi decentemente a tavola?
Conclusa la cena, la sensazione che vomiterò tutto da un momento all’altro si accentua. Boccheggio una, due volte mentre Effie ci conduce in un altro scompartimento per vedere il riassunto delle altre Mietiture. Nessuno mi colpisce, eccezion fatta per quelli del Distretto 11. In realtà non sono loro a colpirmi, se non la più totale differenza di corporatura. Il ragazzo è un vero e proprio gigante. Non ha l’aria truce, ma i muscoli che tiene coperti a metà sotto una maglietta a maniche corte fanno la loro impressione. La ragazza è tutto l’opposto. Minuta, dolce, tenera. Ricorda la sorella di Katniss in un certo senso. La sensazione di compassione è inevitabile. E mi abbandona solo quando passano al nostro distretto. Guardando quelle immagini, mi sembra di rivivere tutto da capo. E soprattutto rende reale ogni cosa. La disperazione di Katniss nel vedere la sorellina avviarsi verso il palco, la paura di non rivederla più, il saluto che la gente del distretto le riserva, la confusione subito dopo aver udito il mio nome.
Evito di pensarci troppo e Effie mi offre l’occasione perfetta. Si lamenta della scarse abilità di Haymitch di saper portare avanti una presentazione. Non trattengo la risata. “Era ubriaco. E’ ubriaco tutti gli anni” dico in quella che sembra una difesa.
“Tutti i giorni” rincara la dose Katniss.
Le parole successive di Effie sono letali per l’impronta di ironia che si era diffusa nell’aria. Ci ricorda, come se noi due non avessimo alcuna idea, senza troppi giri di parole che Haymitch è la nostra ancora di salvezza, e i suoi consigli potrebbero fare la differenza tra la vita e la morte.
Quasi come se Haymitch fosse stato richiamato al suono del suo nome, entra barcollando nello scompartimento. Farfuglia qualcosa e in pochi istanti sta sguazzando nel suo stesso vomito.

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Capitolo 3
*** Capitolo Terzo ***


Capitolo Terzo
Non è la prima volta che vedo vomitare una persona e generalmente non sono una persona schizzinosa. Anzi, riesco a sopportare la vista di cose anche più sgradevoli, ma l'ammasso di roba indefinita che è uscito dalla bocca di Haymitch mette a dura prova anche il mio stomaco. Anche la puzza gioca un ruolo fondamentale. Sono sicuro al cento percento che prima di addormentarsi, si è sgolato ancora qualcosina. E' l'unica spiegazione plausibile per le condizioni in cui si trova. Lancio un'occhiata in direzione di Katniss, solo per scoprire che anche lei sta guardando me. Non sembra molto contenta dell'idea di prendersi cura del nostro mentore, ma come me sa che dobbiamo. Senza dirci nulla in proposito, ci alziamo contemporaneamente e cerchiamo di metterlo in piedi. Quando Haymitch sembra aver trovato una posizione eretta abbastanza stabile, lascio andare il suo braccio. Anche perché non vorrei che mi imbrattasse col suo vomito, come sta facendo con la sua faccia. 
"Ti riportiamo in camera tua" dico, indicandogli la strada per uscire dallo scompartimento. Ho la sensazione che se Katniss ed io non lo facessimo, potrebbe crollare ancora una volta e a quel punto non riuscirebbe ad alzarsi da solo. "Datti una lavata" gli consiglio, più per il mio bene che il suo. Non penso che riuscirei a sopportare quest'odore a lungo. Se ci aggiungo anche il fatto che il mio stomaco non si è ancora ripreso del tutto dall'ingozzamento di prima, non è impensabile che potrei fare la sua stessa fine. 
Fortunatamente, per una buona parte di corridoio Haymitch riesce a reggersi in piedi. Nel momento in cui sembra che stia per spiaccicarsi contro un finestrino, mi porto un suo braccio attorno al collo e lo sorreggo. Non vedo Katniss, ma penso che l'altro braccio sia aggrappato a lei. Lo scompartimento è esattamente uguale al mio. Metterlo a letto sarebbe la scelta migliore, ma qualcosa mi dice che non possiamo lasciarlo tutto sporco del suo stesso vomito. E lui di certo non lo laverebbe via da solo ridotto com'è. Dubito perfino che abbia capito cosa è successo. L'unica opzione possibile, quindi, è infilarlo nella vasca da bagno e lasciare che l'acqua faccia il suo dovere.
"Va bene" dico, rivolto verso Katniss. Non da l'impressione di essere molto a suo agio. "Ora ci penso io" la tranquillizzo. Con una rapida occhiata nella sua direzione, posso dire che è sollevata. Comunque, non va via prima di avermi chiesto se voglio che qualcuno di Capitol City mi aiuti. Non c'è nemmeno bisogno che ci pensi su. "Non li voglio" affermo, asciutto. Preferirei dovermi occupare del vomito di Haymitch per tutti i giorni che mi rimangono, piuttosto che ricevere una mano da loro. Capitol City è la ragione per cui ho i giorni contati. Lo stesso vale per Katniss. E per gli altri ventidue tributi scelti. Senza contare il fatto che in settantaquattro anni di Giochi hanno assistito alla morte di centinaia di ragazzi, come se fosse la massima aspirazione della loro vita.
Appena Katniss va via, mi metto all'opera. E' più complicato di quanto avessi immaginato. Anche se ora i vestiti sono leggermente più puliti, si sono appiccicati addosso ed è più difficile sfilarglieli. Ovviamente, Haymitch è più di intralcio che altro. Continua a dire cose senza senso, molte delle quali non afferro. Forse, è perché imita l'accento degli abitanti di Capitol City. A un certo punto mi sembra di capire che non abbia apprezzato il colore del tailleur di Effie, la sua parrucca rosa e la voce stridula. Con molta fatica e dopo molto tempo, la maggior parte del quale ho passato a scansare le braccia di Haymitch che si dimenavano per non farsi sbottonare la camicia, riesco a togliergli quasi tutto. Le mutande le lascio dove sono. L'idea di vedere Haymitch nudo non mi alletta granché. 
Approfitto del breve tempo che il treno resta fermo a fare rifornimento, per mettere Haymitch in piedi e farlo uscire dalla vasca. L'acqua sulla testa gli ha fatto bene, perché si mette in equilibrio in pochi istanti. Mi affretto a mettergli un asciugamano sulle spalle, prima che il treno riparta, e lo faccio stendere sul letto. "Ce la fai a vestirti da solo?" chiedo, sperando che la risposta sia un si. La risposta non giunge. Haymitch si è addormentato. E' ancora mezzo nudo, ma non se ne parla di svegliarlo. Uno, perché comunque non mi sarebbe di nessun aiuto. Due, non è il caso che mi procuri dei lividi per via delle sue violente manate. Per questo, lascio che rimanga lì dov'è adesso. Prima di andare, gli metto almeno una coperta addosso.
Fuori lo scompartimento, mi porto una mano al viso. Sono stanco. Solo adesso me ne rendo conto. Ovviamente, non è esclusivamente colpa di Haymitch. L'intera giornata mi ha messo ko. Evito accuratamente di guardare al di là del finestrino, dove delle luci cercano di richiamare la mia attenzione. Si vede poco e nulla, ma ho paura che potrei scorgervi qualcosa di simile al Distretto 12. In quel caso inizierei a piangere di nuovo. Mio padre, mia madre e i miei fratelli; tutti loro mi ritornebbero in mente. Quando sono a letto, lo fanno comunque. Penso a come ho rovinato la festa in onore di Seward. E' finalmente uscito dalla fascia d'età che permette di partecipare agli Hunger Games. E' un evento che va celebrato. Così avrei fatto io se fossi stato a casa adesso. Perché per il quinto anno consecutivo me la sarei scampata. E, invece, sono qui. Su questo treno che mi porta dritto verso la mia fine. E' sicuro che morirò. Non sono mai stato un tipo violento. Ho preso lezioni di lotta solo perché mia madre ha voluto. Allora, pensai che si divertisse a vedere mio fratello che mi colpiva come un sacco di farina. La implorai più di una volta di farmi smettere, o almeno di dire a Seward di andarci più piano. Fu quasi come se ogni volta le parole le entrassero da un orecchio solo per uscire dall'altro. Anzi, disse al secondogenito di metterci più grinta e a me di impegnarmi. Tentai con mio padre dopo qualche altra lezione. E lui mi spiegò che in quel modo mia madre voleva rendermi una persona più forte. Una che non si lasciava trattare male da un bambino della sua stessa età senza reagire. Già da quel momento ebbi la sensazione che fossero tutte sciocchezze. Non riuscivo a spiegarmi come ripagare con la stessa moneta chi mi aveva fatto del male, poteva essere un buon comportamento. Infatti non l'ho mai seguito. E, anche se le lezioni di lotta migliorarono molto i miei riflessi, le usai soltanto per scansare e parare i colpi dei ragazzini con cui mi capitava di bisticciare. Tutt'ora sono convinto di aver preso la decisione giusta. Rincuorato da questo pensiero, la strategia che userò nell'arena mi appare davanti agli occhi, inaspettata. Potrei non essere mai in grado di uccidere qualcuno oppure quel qualcuno potrebbe finirmi prima ancora che io decida finalmente di entrare in azione, quindi c'è solo una soluzione. Posso parare il colpo. Posso fare in modo di continuare ad essere una brava persona anche all'interno del Gioco spietato di Capitol City. Posso continuare ad essere me stesso. E quale metodo migliore se non aiutando la persona che amo? Già, potrei proteggere Katniss a costo della mia stessa vita e permetterle di vincere. Lei ritornerebbe al Distretto 12 dalla madre e dalla sorella. Oltre al sollievo di saperla viva, garantirei un minimo di ricchezza anche alla nostra gente. Si, proteggere Katniss è la miglior tattica che possa mai formulare e da domani stesso mi metterò di impegno.
Mi sveglio di soprassalto, quando sento un un colpo alla porta. Effie mi ce di vestirmi per andare a fare colazione, ripentendo un paio di volte che sarà una grande giornata. Non ho capito se lo sarà per me, o per lei. Cerco di fare il più in fretta possibile. Voglio che Haymitch sappia della mia idea al più presto, così può iniziare a darmi consigli. Sarebbe meglio se Effie non fosse nei dintorni. E lo stesso vale per Katniss. Soprattutto per Katniss. Non possono esserne certo dal momento che non le ho mai parlato, ma penso che non accoglierebbe la mia proposta molto facilmente. Penso che inizierebbe a dire che non vuole essere aiutata in alcun modo. Mi impedirebbe di aiutarla, memore dell’ultima volta.
Nello scompartimento dove ieri sera abbiamo cenato adesso c'è soltanto Haymitch. Proprio come speravo. E' seduto a tavola, nel posto accanto a quello che avevo usato io. Salto ogni convenevole e mi siedo davanti a lui, in modo da poterlo guardare bene in faccia. Non ha un aspetto grandioso. Sembra che durante la notte si sia gonfiato. Salto i convenevoli. "So quale strategia usare" riesco a dire solamente, prima che Effie entri nello scompartimento. Si serve con del caffè nero.
"Sei venuto anche tu, allora?" dice lei, fingendosi estremamente sorpresa, come se si fosse accorta solo ora della presenza di Haymitch. "Pensavo fossi rimasto al Distretto 12". L'accento di Capitol City è molto più fastidioso della frase in sé.
Haymitch non sembra neanche lontanamente scalfito dal commento acido rivoltogli. Per un attimo, sono tentato di chiedergli se l'ha sentito. "Molto meglio, credimi" dice solamente, evitando di rispondere alla provocazione.
Forse, non si è ancora ripreso del tutto da ieri sera. Non da l’impressione di essere uno di quei tipi che si trattiene. Anche Effie sembra perplessa. “Dovresti dare il buon esempio” ritorna all’attacco, mettendo ancora una zolletta di zucchero nella sua tazza.
Il battibecco tra Haymitch e Effie non mi interessa neanche un po’. Ho il presentimento che in questi giorni ne assisterò a molti altri. Non mi perderò nulla che non verrà ripetuto molte altre volte. Così, mi appresto a riempire il piatto di uova e prosciutto. Vicino al caffè c’è anche dell’altra roba che, almeno nel colore, gli somiglia. L’odore, tuttavia, è completamente diverso. Buono all’apparenza. Ne prendo una tazza. Effie mi informa che il caffè è decisamente meglio della cioccolata calda perché ti mette in moto come niente al mondo. Non le do ascolto. Anche perché dopo aver preso un sorso del liquido scuro, penso che non esista cosa migliore in tutta Panem.
Non passa inosservato il risolino di Haymitch. “Sai, cosa ti mette in moto davvero?” chiede, retorico. Una mezza idea di cosa aggiungerà da un momento all’altro ce l’ho. Gliel’ho tolto ieri sera dai vestiti. Infatti, quello afferra una bottiglia, le da un paio di colpetti e poi ne versa una quantità assurda nel suo bicchiere. Non dice cos’è, ma la puzza dice tutto. “Ne vuoi?” offre a Effie.
Lei si limita a mormorare qualcosa fra sé e sé. Katniss entra proprio in questo momento, mettendo fine a ogni mio tentativo di parlare con Haymitch della mia idea. Si siede accanto a me, dopo aver riempito il piatto con ogni cosa che ha trovato sul tavolo, eccetto il caffè. Ha messo gli stessi vestiti di ieri, ma con una novità. Una piccola spilla appuntata alla camicia. Non capisco subito cosa rappresenti la parte al centro dell’anello. Poi, osservandola meglio mi sembra che abbia un’aria familiare e alla fine ricordo. E’ una ghiandaia imitatrice. Ce ne hanno parlato a scuola. Una specie ibrida di uccello creato da Capitol City per spiare le conversazioni dei ribelli. Poiché lo scopo di queste creature fu scoperto, molte ghiandaie imitatrici furono abbandonate a loro stesse. Al Distretto 12 ce ne sono in abbondanza. Ricordo che il primo giorno di scuola Katniss cantò una canzone e gli uccelli ammutolirono. Lo stesso dono del padre, stando a quanto mi disse mio padre.
Distolgo lo sguardo da Katniss, prestando fede al codice che ho stabilito. Prende di tutto e un po’ e il suo sguardo si sofferma sulla tazza di cioccolata calda. Come me, anche lei non ha mai visto del genere. Le dico come sia chiama. “E’ buona” aggiungo. Non esprime alcuna parola di apprezzamento dopo averne preso un po’, ma dalla faccia che fa sono sicuro che è piaciuta anche a lei. Mangia velocemente, al punto che a fine colazione deve tenersi lo stomaco.
Quando finisco di mangiare cosa c’è nel mio piatto, prendo un pezzetto di panino e lo immergo quasi del tutto nella cioccolata. E’ anche meglio. Da un sapore dolciastro al pane che è molto piacevole. E’ un peccato che non tornerò a casa per far scoprire questa prelibatezza anche a Seward e Blythe. Loro ne andrebbero matti.
“Così, tu dovresti consigliarci” dice all’improvviso Katniss.
Sollevo lo sguardo dal fondo della tazza per posarlo sul viso di Haymitch. Sembra serio e, al tempo stesso, divertito da qualcosa. “Ve lo do subito, un consiglio” dice, prontamente. “Restate vivi”
Restate vivi. Questo è il tipo di consiglio che dovrebbe dare un mentore? A giudicare dalla risata che spezza il silenzio dello scompartimento, direi di no. Quindi, dovrei riporre le mie speranze in un tipo del genere? Lui avrebbe dovuto essere la mia più grande occasione per ritornare a casa vivo. Mi sembra di udire di nuovo le parole di Effie. Il vostro mentore è la vostra ancora di salvezza. Ora che ho avuto la prova dell’inaffidabilità di Haymitch, non riesco a non essere d’accordo con lei. Ieri, Katniss ed io abbiamo riso credendo che fosse uno scherzo, che appena fosse giunto il momento di darsi da fare, avremmo avuto qualcuno su cui contare. Adesso, anche il suo sguardo dice chiaramente che lì dentro saremo soli. Vedere Haymitch che si serve dell’altro alcool peggiora solo il mio umore. “Molto divertente” ironizzo, prima di colpirgli la mano che circonda il bicchiere. Quest’ultimo si spacca in tanti piccoli pezzi appena tocca il suolo. “Ma non per noi” aggiungo, terribilmente serio, sostenendo lo sguardo di Haymitch.
Lui sembra perplesso. Poi il colpo che mi sferra sul viso è così inaspettato che seguo la stessa traiettoria del suo bicchiere. Il dolore arriva con qualche istante di ritardo. Appena giunge, però, lo fa con molta prepotenza. Si può dire che sono abituato a questo genere di trattamenti. Finora ho sempre pensato che non esistesse una persona più forte di mia madre, i cui colpi erano sempre ben assestati. Ma il pugno di Haymitch mi ha fatto ricredere. Generalmente gli uomini sono più forti delle donne, eppure in tutta sincerità pensavo che Haymitch fosse un’eccezione. Vederlo costantemente ubriaco mi ha fatto credere che fosse piuttosto debole, o almeno non dotato di tutta questa forza. Mi sbagliavo di grosso.
Da dove sono riesco a vedere Katniss che si muove, ma non cosa fa. Segue un rumore proveniente dal tavolo e quando mi rialzo Haymitch sta ironizzando sul fatto che quest’anno gli hanno fornito una coppia di veri combattenti. Eppure, la mia attenzione è attirata dal coltello conficcato nel tavolo, proprio al centro tra la mano di Haymitch e la bottiglia di liquore. A quanto pare, io e Katniss siamo dalla stessa parte.
Rimettendomi a sedere, faccio per portare un bel po’ di ghiaccio sulla mascella dolorante. Non ho l’occasione di trarne beneficio per un solo istante, che Haymitch me lo impedisce. “Lascia che si veda il livido. Gli spettatori penseranno che hai fatto a pugni con un altro tributo prima ancora di arrivare nell'arena” spiega.
“E’ contro le regole” gli faccio notare, in caso se lo sia dimenticato.
Ha già la risposta pronta. “Solo se ti beccano” afferma, sopprimendo un evidente ghigno. “Quel livido dirà che hai combattuto e che non sei stato beccato, ancora meglio”.
Probabilmente sbaglio a dargli ascolto, ma ho la sensazione che almeno questo consiglio non può condurre a nulla di male. 
Subito dopo, Haymitch chiede a Katniss se riesce a colpire qualcos’altro col coltello oltre al tavolo. Io so con certezza che ne è capace, ma lei ci pensa su. Poi, afferra l’arma in questione e la scaglia contro i pannelli del vagone. Se ha cercato di impressionare Haymitch, ci è riuscito benissimo visto che la lama si è incastrata alla perfezione nella sottile fessure che c’è tra un pannello e l’altro.
L’attimo dopo Katniss ed io siamo al centro della stanza l’uno accanto all’altro con Haymitch che ci scruta pensieroso. Fa qualche giro intorno a noi e di tanto in tanto controlla come siamo messi in fatto di muscoli. Non trova nulla da ridire e la cosa non mi sorprende. Io lavoro in una panetteria e Katniss va costantemente a caccia. “Una volta che gli stilisti avranno messo le mani su di voi, sarete abbastanza attraenti”. Anche questo non mi sorprende. Più di una volta mi è stato detto di essere bello, e Katniss … per quanto mi riguarda, Katniss è bella anche così. Non vedo come a Capitol City possano migliorarla.
Contro ogni recente idea che mi sono fatto su Haymitch, mi ritrovo a tollerarlo molto di più quando ci propone di fare un patto. “Voi non ficcate il naso in quello che bevo e io resterò abbastanza sobrio per aiutarvi”.
Avrei preferito non udire quell’abbastanza, ma suppongo che per Haymitch sia già uno sforzo innaturale scendere a patto con due ragazzini sugli affari suoi. “Ottimo” dico, soddisfatto.
Anche Katniss si trova d’accordo e parte in quarta per ricevere consigli. Haymitch non le permette nemmeno di concludere la frase. Invece, ci ordina di non opporre alcun tipo di resistenza a qualsiasi cosa gli stilisti vogliano farci. Dopodiché va via. Contemporaneamente sembra che al di fuori del finestrino sia calata la notte. Le luci all’interno dello  scompartimento non illuminano granché, ma lo fanno abbastanza perché noti che Katniss è in difficoltà. Forse, ha paura del buio, penso. L’idea mi sembra stupida. Va a caccia oltre i confini del distretto, dove ci sono varie specie di animali selvaggi, e poi si lascia spaventare dall’assenza di luce? No, è sicuramente qualcos’altro.
Non ho il tempo di trovare la soluzione che il giorno è rispuntato. Ha portato con sé la visuale su Capitol City. Rimango senza parole di fronte a quello spettacolo, che grida eccesso in ogni dove. Limitandosi all’architettura dei palazzi e degli edifici il risultato è parecchio apprezzabile. Le persone sono così innaturalmente colorate che non raggiungono lo stesso effetto di magnificenza. Eppure, l'insieme costringe me e Katniss ad avvicinarci al finestrino. Gente tatuata e vestita in maniera decisamente stravagante inizia ad additare il treno con un entusiasmo irragionevole. Come si può essere tanto eccitati all'idea di vedere dei ragazzi morire? Mi chiedo come reagirebbero se al posto nostro ci fossero i loro figli. Penserebbero lo stesso che gli Hunger Games sono solo un reality? Se non rappresentassero la mia ancora di salzezza, mi allontanerei dal finestrino proprio come ha fatto Katniss. Invece, rimango qui a sventolare la mano con la finta aria di uno che non vorrebbe assolutamente essere da tutt'altra parte. Tra quelle persone potrebbe esserci qualche sponsor. Più sponsor equivalgono a una maggiore possibilità di essere d'aiuto a Katniss concretamente nell'arena. 

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Capitolo 4
*** Capitolo Quarto ***


Capitolo Quarto
Dopo un ulteriore bagno di folla alla stazione, Effie e Haymitch ci conducono in uno degli edifici scintillanti che abbiamo visto dal finestrino del treno. Entriamo in una specie di centro di bellezza che viene chiamato Cento Immagine. Per un paio di ore verremo lavati, curati e trattati come bambole di pezza da un team di stilisti che hanno il compito di renderci presentabili per la cerimonia di apertura di questa sera. Katniss ed io veniamo portati in due stanze diverse. Nella mia ad aspettarmi ci sono già un uomo e una donna. Tuttavia, persona non è la prima parola che mi verrebbe in mente guardando entrambi. Lui ha i capelli più lunghi che abbia mai visto, tinti di un giallo così abbagliante che fa male agli occhi. La pelle è chiarissima, molto simile al colore della farina, mentre le labbra sono verdi. La ragazza ha un aspetto lievemente meno eccentrico. Ha comunque i capelli colorati in una insolita tonalità di rosa molto acceso, in un certo senso simile alla parrucca di Effie. Penso che solo dei pazzi si concerebbero in questa maniera, ma poi mi viene in mente che per loro quello strano sono io. O almeno, lo penserebbero se si fossero accorti di me.  
“Tu devi essere Peeta” dice una voce, che non appartiene a nessuno dei due. Mi volto e alle mie spalle c’è una terza stilista che non avevo visto entrando. La normalità di questa donna mi sorprende in maniera positiva. Mi chiedo se sia davvero una cittadina di Capitol City. Ma ovviamente lo è. Comunque, a parte qualche minimo dettaglio stravagante, come il rossetto viola scuro e un trucco molto accentuato sugli occhi, non la classificherei come pazza. Ha i capelli scuri, raccolti in una lunga coda, dalla quale spuntano ricci in grande quantità. Ciò che mi stupisce in particolar modo è come la pelle sembri brillare al di sotto delle luci della stanza. Non è artificialmente colorata come quella della gente che vive qui, ma esibisce un marrone chiaro che è molto piacevole alla vista. Somiglia al colore del latte unito al caffè che beve di solito mia madre al mattino. “Io sono Portia, la tua stilista” si presenta affabilmente, scoccandomi un sorriso allegro. “E loro fanno parte del mio team. Si occuperanno del tuo aspetto in questi giorni”
Rimango in compagnia di questo strano trio per un bel po’. Mi ricoprono il corpo con un milione di prodotti per la pelle. Di molti non capisco nemmeno l'utilità. Sia perché non vedo come tutta questa roba possa farmi apparire migliore (in fondo, nessuno di Capitol City verrà a controllare quanto è idratato il mio braccio), sia perché Mairea e Zane parlano così velocemente che è difficile stargli dietro. E' molto raro che colga almeno cinque parole in una sola frase. Comunque, l'argomento è il gossip. Suppongo che chiunque faccia questo mestiere e viva a Capitol City sia interessato al gossip. Di tanto in tanto si lasciano sfuggire qualche commento sporadico rivolti a me. Si complimentano per il tono muscolare e la bellezza dei lineamenti del viso. “Sei sicuro di essere del Distretto 12?” mi chiede a un certo punto Zane. Quello che può sembrare un complimento, però, alle mie orecchie giunge più come un’offesa. Il tono di superiorità mi infastidisce.
Portia non prende parte alla discussione e nemmeno al lavoro. Se ne sta in disparte, le braccia incrociate al petto, in attesa che i due collaboratori concludano. Ciò mi fa pensare che se è ancora qui, non deve passare ancora troppo tempo prima che mi lascino in pace. Mairea, sotto consiglio del suo capo, mi taglia anche i capelli. Non troppo. A dire il vero, quando mi guardo nello specchio non noto nessuna differenza. Ma Zane e Portia concordano che così sto molto meglio e quindi mi trattengo dal farglielo notare per evitare di offenderli. Comunque, preferisco così. Non avrei gradito l'idea di essere cambiato radicalmente. 
“Abbiamo finito” dice a un certo punto Mairea. Inizio a tirare un sospiro di sollievo, quando mi accorgo che non ha concluso la frase. “Mancano solo un paio di cose a questo punto”. Vedo che afferra qualcosa da un tavolo da lavoro e si avvicina a me con aria divertita. “Non l’ho mai fatto prima. Mi sono sempre occupata di donne” trilla, cercando di moderare l’eccitazione nella voce. Anche in questo somiglia a Effie.
Le parole non sono particolarmente incoraggianti. Qualcosa mi dice che farei bene a bloccarle le mani prima che faccia qualsiasi cosa ha in mente di fare, ma Haymitch mi ha espressamente ordinato di non opporre resistenza. Quindi, resto in silenzio a scrutare l’oggetto che ha tra le mani. E’ molto piccolo, quasi non si vede racchiuso dietro le dita. Mairea lo avvicina alla mia guancia sinistra. “Potrebbe pizzicare” mi avverte, prima di farlo scorrere lungo il mento fino all’altra guancia un paio di volte. In effetti, pizzica un po’, ma niente di insopportabile. L’unico punto in cui ha fatto più male è stato sul livido che Haymitch mi ha provocato. A operazione conclusa, Mairea mi squadra la faccia attentamente.
Mi passo una mano sul viso. “Cosa hai fatto?” chiedo, curioso. Non avverto alcuna differenza.
“In questo modo non avrai problemi di barba” dice, entusiasta. “Chi sa quanto può durare un tributo” conclude, scrollando le spalle. Subito dopo si porta una mano alla bocca. “Scusa. Non è uscita bene” aggiunge, goffamente.
Cerco di mettere su un sorriso indifferente. “Non preoccuparti” la tranquillizzo. In fondo, non ha tutti i torti. Nessuno sa quanto a lungo un tributo resterà nell’arena e in via di massima la barba ci mette poco a crescere. Proprio qualche anno fa ricordo che Blythe si chiese come le guance del vincitore del Distretto 2 fossero lisce come all’entrata. Allora ne affidammo la causa a una diavoleria di Capitol City. Non ci sbagliavamo, quindi.
“Ora vediamo di fare qualcosa per quello” interviene Zane. Si riferisce alla macchia violacea che porto sulla mascella. “Come te lo sei procurato?” domanda, svitando il tappo di un tubicino sottile.
Cosa dovrei rispondere adesso? Haymitch ha detto che la gente potrebbe credere che ho fatto a pugni con un altro tributo, ma non posso sostenere questa storia. Lo staff di stilisti non mi crederebbe mai  visto che sanno che non ho visto ancora nessuno. Come avrei potuto se scesi dal treno ci hanno portato subito qui? “Un incidente” dico, tendendomi sul vago.
Quando Zane e Mairea vanno via, rimango solo con Portia. Ho indosso soltanto un accappatoio, sotto al quale sono completamente nudo. La nudità non mi provoca alcun problema e di certo non mi mette in imbarazzo. Suppongo che crescere in una famiglia in cui ci sono soltanto maschi abbia contribuito. Spero solo che l’abito per la cerimonia non consista in questo. Scommetto che essere nudo davanti a milioni di persone mi imbarazzerebbe. Comunque, Portia non mi dice di toglierlo. E, sebbene non mi avrebbe turbato, preferisco in questo modo. La stilista mi solleva le braccia dai fianchi, misura la lunghezza da mano a mano e annuisce contenta. “L’abito ti andrà benissimo” afferma, soddisfatta.
“Vuol dire che ne indosserò uno?” chiedo, sollevato. “L’anno scorso i tributi erano nudi”
Portia rabbrividisce al ricordo. “Penso non ci sia mai stato anno peggiore” commenta, probabilmente disgustata da una tale mancanza di stile. Non posso darle torto. “Ecco perché quest’anno vi renderemo indimenticabili per il motivo opposto”. Anche adesso il tono trasuda soddisfazione.
“Se ci riuscirete vi promuoveranno a un distretto migliore sicuramente” affermo, senza trattenermi dall’esprimere tutto lo scetticismo di cui sono capace. “Da noi ci occupiamo del carbone” le spiego. E' difficile farci sembrare indimenticabili. Oltre a una divisa da minatore non c’è nulla di particolarmente azzeccato per il nostro distretto. Per questo, gli altri anni gli stilisti hanno dovuto trovare qualche espediente e hanno applicato agli abiti degli accessori assolutamente ridicoli. La cerimonia d’apertura può essere determinante per gli sponsor in alcune occasioni, quindi non mi sorprende che i nostri tributi non ne abbiano mai ricevuti abbastanza da poter sopravvivere più di uno o due giorni.
Portia misura la larghezza delle spalle. “Allora, saremo costretti a rifiutare il nostro prossimo incarico” ribatte, fingendo di essere dispiaciuta. “E poi Cinna ed io abbiamo scelto il Distretto 12, non ce l’hanno affidato”
Be’, questa è una sorpresa. Ho sempre pensato che il Distretto 12 avesse degli stilisti soltanto perché i nuovi non avevano diritto di replica. Ero dell’idea che se avessero potuto scegliere, noi saremmo stati l’ultima spiaggia, il distretto da scegliere solo in assenza di altre opportunità. Mi sono sbagliato. A quanto pare qualcuno che è così incosciente da sceglierci c’è. “Perché?” domando, stupito.
“Non riteniamo giusto che il Distretto 12 sia trascurato solo perché non è ricco, o è più arretrato degli altri” spiega, senza mezzi termini.
Annuisco. Non so bene cosa risponderle. Da un lato dovrei ringraziarla, perché in questo modo mi fa credere che qualcuno interessato al nostro distretto ci sia, nonostante le condizioni misere in cui viviamo. Suppongo che sia bello sentirselo dire una volta ogni tanto. Non che sia d'aiuto a sfamare la gente che muore di fame, ma almeno da la sensazione di essere presi maggiormente in considerazione. Dall'altro lato penso che sia inutile. Non solo il lavoro che gli stilisti fanno con me. E' una questione generale. Si, certo, sembrare affascinante e simpatico può attirare l'attenzione del pubblico e garantirti gli sponsor, però alla fine quello che vince è uno. Il lavoro sugli altri ventitrè sarà stato inutile. "E' carino da parte vostra" mi limito a dire, optando per la prima sensazione.
Portia prende una sedia e dice a me di sedermi sul tavolo su cui sono stato unto come un tacchino. "Vuoi dirmi come ti sei fatto quello?" chiede, in tono materno.
"Un incidente" dico di nuovo, usando la stessa scusa di poco prima.
Lei stringe gli occhi. "Ieri alla Mietitura non avevi nulla" replica, sicura di sé.
Vivendo con mia madre ho sviluppato un talento particolare per le bugie. Generalmente non le dico, solo quando possono essermi utili per scansare una punizione. "Sono caduto questa notte sul treno" Ed è vero. Dopo il pugno sono caduto.
Portia sembra crederci, perché per un po' non dice nulla. "Sai, facendo questo mestiere ho imparato molte cose su come coprire ferite e lividi" inizia, ostentando una naturalezza inaspettata. "Quello mi sembra più la conseguenza di un colpo, come uno schiaffo o un pugno" conclude fissandomi con quei grandi occhi marroni, che sembrano scutare con attenzione fin dentro la mia testa.
Mi ha scoperto. Mentre dico a me stesso che mi è capitata proprio una stilista in gamba, cerco di capire cosa dire a questo punto. Potrei continuare a sostenere la storia della caduta, ma non penso che sarebbe convincente adesso più di prima. Oppure potrei raccontarle la verità. Non metterò nei guai Haymitch, così?, mi chiedo. Non credo. A Capitol City ci rinchiudono in un campo da combattimento a morire uno dietro l'altro; un pugno non dovrebbe creare alcun tipo di problema. E poi, è vitato scontrasi con gli altri tributi prima dell' inizio dei Giochi, non con il proprio mentore. "Il mio mentore" mi sento dire qualche istante dopo, senza esitazione. 
Sul viso di Portia si dipinge una perfetta espressione cosciente. "E' quello che ieri è caduto dal palco?" chiede. 
Non da l'impressione di essere una domanda. Comunque annuisco. "Era ubriaco" aggiungo per difenderlo. Il motivo è un mistero anche per me. 
"Perché ti ha colpito?" domanda Portia, esaminando le mie mani. 
"Ho fatto cadere il bicchiere dal quale stava bevendo" rispondo semplicemente. Le mani di Portia si fermano un istante sulle mie, ma si rimettono subito a lavoro. Le sopracciglia restano arcuate. "Solo per questo"sembra che voglia dire. Sebbene non dica nulla in realtà, mi da fastidio che sia tanto sconvolta. Lei, vive a Capitol City! Ha imparato fin da piccola a festeggiare quando il sangue di un tributo viene sparso sul suolo. E adesso è tanto sorpresa che qualcuno mi abbia dato un pugno? Ma, forse, è colpa mia. Mettendola in questo modo le ho fatto credere che Haymitch è un pazzo che sferra colpi a chiunque incroci anche solo il suo sguardo. Certo, non sembra la persona più stabile e pacifica che esista, ma non credo giusto che la mia stilista si faccia un'idea sbagliata di lui, quando tutto è partito da un mio gesto di rabbia. "L'ho provocato"
Adesso Portia mi lancia uno sguardo di rimprovero. "Vedi di sistemare in fretta le cose" mi consiglia. "Avere un buon mentore è fondamentale"
"Abbiamo già risolto" dico, prontamente. 
Il suo "Bene" di risposta è decisamente più pronto. "Devi cambiarti adesso" 
Nel giro di pochi istanti sono all'interno di una calzamaglia nera che mi copre dal collo alle caviglie. Questo è tutto l'opposto di essere nudi. Comunque, non vedo come quest'abito potrà rendermi indimenticabile. Portia intuisce i miei dubbi, perché vedo comparire il suo riflesso nello specchio accanto al mio. "Non è finito qui" mi dice di nuovo con quel tono eccitato. "Manca la parte migliore"
Spero davvero che questa parte migliore non implichi un copricapo dotato di lampadina. "Un sacchetto di carbone?" scherzo. In realtà, non è un vero scherzo. Vestito così non direi mai che sono un tributo del Distretto 12. Non c'è nulla che abbia a che fare con le miniere di carbone. 
“So che lavori in una panetteria, non è così?” mi chiede Portia, senza rispondere alla mia domanda. Ho la sensazione che se ha evitato la risposta, è perché non mi sarebbe piaciuta granché. E poi, cosa c’entra adesso il negozio dei miei genitori? Annuisco. “Quindi, sei abituato al fuoco” conclude. Annuisco ancora. Però, mi guardo attorno alla ricerca di qualcosa che mi faccia capire di cosa stiamo parlando e perché. “Bene – il trillo di Portia riporta la mia attenzione su di lei – allora, non avrei problemi con questi”
Scompare per qualche istante in una grande cabina-armadio e ne esce con un lungo pezzo di stoffa arancione, giallo e rosso e un copricapo dello stesso colore. Quest’ultimo, per mio piacere, non ha nessuna lampadina in cima. “Scusami, Portia, ma ancora non riesco a capire” ammetto, osservandola mentre cerca di dare una piega accettabile al drappo. Ora che l’ha spiegato, sembra un mantello. “Non dovrei ricordare le miniere di carbone?”
Le labbra di Portia si aprono in un largo sorriso. “Si, se l’estrazione è ciò che vuoi evocare”.
La naturalezza della risposta mi lascia basito. Sembra quasi che io sia stato uno stupido a non arrivarci da solo. Eppure, non sono ancora arrivato alla soluzione. “C’è qualcos’altro che si può evocare?” chiedo, sempre più confuso. Preferirei che mi dicesse cosa dovrò indossare senza tanti giri di parole, anziché farmi tirare a indovinare. Anche perché non ho nemmeno la minima idea di cosa possa aver tirato fuori.
“La bruciatura”
“Mi darai fuoco?” domando, sconvolto. Le parole sono uscite di getto, senza che io abbia potuto fare nulla per controllarle. L’assenza di risposte mi spaventa. Ha davvero intenzione di incendiarmi? E’ legale uccidere un tributo prima dell’entrata nell’arena? Molto sicuramente no. Quindi, deve esserci una specie di trucco. Oppure spera che sia ancora vivo a cerimonia conclusa. “Non esiste un modo più sicuro per rendermi indimenticabile?”. Solo adesso collego la panetteria e il riferimento al fuoco alle intenzioni di Portia. Certo, lavorando tra i forni, mi sono abituato al fuoco e alle temperature elevate. Ma non mi è mai piaciuto. Anche perché, almeno all’inizio, finivo sempre con lo scottarmi le braccia. Adesso è più raro che mi faccia male, ma quando capita lo odio. La sensazione della pelle cocente, in fiamme non è per nulla piacevole. E’ per questo che Haymitch ci ha detto di non opporci agli stilisti? Lui sapeva?
Devo sembrare morto di paura se Portia mi mette una mano sulla spalla e la stringe per tranquillizzarmi. “Non sono fiamme vere” Mi spiega tranquillamente che lei e il suo collega Cinna – lo stilista di Katniss – hanno creato un particolare tipo di fuoco sintetico. Mi spiega nei dettagli come l’hanno creato e quanto tempo ci hanno messo, ma il mio cervello registra soltanto due cose. Primo, non correrò alcun pericolo. Secondo, Katniss ed io avremo lo stesso abito. Chiedo conferma di entrambe le cose. “Sarai completamente al sicuro, non devi preoccuparti. E, sì, Katniss avrà un vestito complementare”
Infatti, quando la vedo, indossa una calzamaglia uguale alla mia e il mantello colorato. Probabilmente è perché adesso so che saremo avvolti dalle fiamme, ma anche così con il mantello spento, sembra che il fuoco lambisca ogni parte del corpo di Katniss. Non posso fare a meno di trattenere il respiro per qualche istante. Io, che ho sempre pensato che fosse carina grazie alla cotta che ho per lei da una vita intera, adesso la trovo semplicemente perfetta.
“Peeta?” mi chiama Portia, gentilmente.
Mi risveglio dalla trance in cui sono caduto immediatamente. Distolgo lo sguardo da Katniss e lo poso sulla stilista al mio fianco, che mi osserva attentamente con il sorriso tipico di chi la sa lunga. “Andiamo” dico goffamente, cercando di tenere sotto controllo il rossore che rischia di avvampare sulle guance. Un aspetto positivo è che non sfigurerebbe col costume.
Portia mi invita a salire sul carro dai cavalli neri e un uomo dai capelli corti e una linea sottile di trucco dorato sugli occhi, che identifico come lo stilista di Katniss, fa lo stesso con lei. Entrambi sistemano i mantelli, mentre io cerco di non pensare al fatto che a breve il mio corpo sarà divorato dalle fiamme. Finte, ma pur sempre fiamme.
Katniss deve essere preoccupata quanto me. “Cosa ne pensi del fuoco?” mi chiede infatti a voce bassa.
Stringo i denti. “Io strappo via il tuo mantello se tu strappi via il mio” propongo.
Accetta. E poi restiamo in silenzio per un po’. Preferirei continuare a parlare così non penserei alle brutte bruciature che mi procurerò se l’invenzione di Portia e Cinna non dovesse funzionare come loro hanno pensato. “Dov’è Haymitch?” chiedo quando mi accorgo che non è nei paraggi. “Non dovrebbe proteggerci da questo genere di cose?” Non proteggerci, evitarle.
“Con tutto l'alcol che ha in corpo, forse non è consigliabile averlo vicino alle fiamme” ironizza Katniss. E prima che me ne accorga, stiamo ridendo entrambi. Non è una risata giocosa, ovviamente. Certo, la battuta è divertente, ma l’intensità è dovuta più che altro al nervosismo. Ridendo mi sembra di scaricare la paura che in questi due giorni si è impadronita di me. Dimentico perfino l’ansia dell’imminente incendio.
Poco dopo la cerimonia inizia. Si può dirlo dal modo in cui la musica diventa sempre più alta e le porte si aprono sulle strade affollate. I primi a uscire sono i tributi del Distretto 1. Il pubblico impazzisce per loro, come del resto fa ogni anno. Le acclamazioni scemano, seppur di poco, man mano che gli altri carri sfilano. E' sempre stato così. Il Distretto 12 non ha mai ottenuto particolari acclamazioni. Questo perché sono poche le persone che vogliono urlare il nome di un ragazzino gracile e denutrito dall'aria spaventata. La maggior parte dei nostri tributi hanno sempre avuto quest'aspetto. 
Quando manca una manciata di istanti al nostro ingresso, Cinna sale sul carro e accende i nostri accessori. Strizzo forte gli occhi, in attesa che il dolore giunga. Ma quello non arriva. Cerco di non fare molto caso al sollievo di Cinna quando si accorge che la sua opera funzione correttamente. Non voglio nemmeno sapere se aveva dei dubbi a riguardo. Mi bastano i miei. Prima di andare ricorda a Katniss e me di sorridere e tenere la testa alta. Poi, una volta sceso dal carro, sembra che abbia dimenticato qualcosa perché inizia a urlarci qualcosa, che nessuno di noi riesce a sentire per via dell'alto volume. Comunque, riesco a vedere perfettamente che indica le nostre mani e con qualche istante di ritardo capisco che vuole che ci teniamo per mano. La prima cosa che penso è: perché? Siamo rivali, io e Katniss. Tenendoci per mano, non daremmo l'idea di essere una sorta di squadra? Comunque, gli ordini sono ordini. E Haymitch ha espressamente ordinato di non opporre resistenza alle richieste degli stilisti. Non sono troppo sicuro che sia ciò che Cinna vuole, ma è decisamente quello che voglio io, così, le prendo la mano. Il suo team di preparatori deve averle riservato lo stesso trattamento a base di creme e unguenti perché la mano non è più ruvida come ieri alla Mietitura. E' davvero passato solo un giorno?, penso. Mi sembra di essere stato catapultato in questo nuovo mondo da molto più tempo. E, invece, solo le ventiquattro ore più lunghe della mia vita, in attesa che giungano quelle nell'arena. 
Proprio quando chiediamo conferma a Cinna sulle mani unite - lui annuisce, entusiasta - i cavalli che trainano il nostro carro si mettono in movimento. E' sorprendente come sappiano da soli la strada da intraprendere. Molto più sorprendente, però, il benvenuto caloroso che la gente di Capitol City ci riserva. All'inizio sembrano solo spaventati, ignari che il fuoco fa parte del costume. Non posso di certo biasimarli. Dagli schermi, riesco a vedere perfettamente che lasciamo scie di fuoco al nostro passaggio. Vedo il mio stesso sorriso in primo piano quando mi accorgo che non sembro pietrificato dalla paura. E' rassicurante notare che, al di sotto delle ombre scure che le fiamme provocano sul mio viso, sono ancora riconoscibile.  Poi l'inquadratura si sposta su Katniss e mi riesce facilissimo comprendere tutte quelle persone che gridano il suo nome, mandano fiori o baci. Anche io colleziono la mia buona dose di cori, ma "Katniss, Katniss, Katniss" è quello che risuona maggiormente in ogni angolo della capitale. E lei sembra prendere alla lettera i consigli di Cinna. Tiene il mento alto esibendo la bellezza che, consapevolmente o meno, possiede. Sorride come mai le ho visto fare a casa, se non in presenza della sorella. E si tiene saldamente alla mia mano, stringendola e aggrappandovisi come io sto facendo con la sua. Perché ho la sensazione che potrei cadere da questo carro al minimo sbandamento. Perché, per qualche strana ragione, il suo tocco mi fa sentire a casa. Quindi, quando arriviamo a destinazione e lei fa per lasciarmi andare, le chiedo di non farlo arrancando una debole scusa. "Ti prego. Potrei ruzzolare giù da questo coso" Ci crede, perché  anche mentre il Presidente Snow tiene il suo breve discorso mi tiene la mano. 
Seppure poche, non ascolto una sola parola che esce dalla bocca del Presidente. Mi risveglio soltanto quando i carri sono di nuovo in movimento. Giunti al Centro di Addestramento, che ci ospiterà per i prossimi giorni prima dell'entrata nell'arena, i preparatori si sbrigano a spegnere le fiamme con dello spray e ci portano via mantelli e copricapi. A questo punto, Katniss tira via la sua mano dalla mia abbastanza velocemente. "Grazie per avermi tenuto stretto" dico, massaggiandomi la mano. Solo adesso mi rendo conto di quanto l'abbia stretta. "Stavo cominciando a sentirmi un po' malfermo, là sopra"
"Non si vedeva" ribatte gentilmente Katniss. "Sono sicura che nessuno l'ha notato"
Non alcuna difficoltà a crederle. "Io sono sicuro che non hanno notato niente all'in fuori di te" replico, abbastanza goffamente. "Dovresti indossare fiamme più spesso, ti donano" aggiungo, sperando che non noti quanto sono in difficoltà. Farle complimenti è un campo del tutto nuovo per me.
Forse, lei non se ne accorge, oppure fa solo finta, perché mi da un bacio sulla guancia. Fa male. Non è così che avevo pensato potesse essere un bacio di Katniss Everdeen. Ma non è colpa sua. O meglio, lo è perché le labbra sono proprio sul livido che Haymitch mi ha procurato. Le farfalle nello stomaco, però, sono piacevoli.

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Capitolo 5
*** Capitolo Quinto ***


Capitolo Quinto
Come al solito, il Distretto 12 è l'ultimo. Anche adesso al Centro di Addestramento, il piano riservato a noi è quello più in alto. Non mi lamento. L'ascensore è divertente per quanto va veloce. Effie si congratula per la cerimonia e ci spiega di come ha dovuto fare tutto da sola con i potenziali sponsor, visto che Haymitch non si è visto da nessuna parte. "Lo costringerò a occuparsene, anche a costo di puntargli una pistola alla tempia" conclude, prima di condurre Katniss alla sua stanza. Gliene sono grato. Sebbene con Haymitch abbiamo stretto un accordo, è sempre meglio avere qualcun altro che cerca di darci una mano a farlo ragionare. E qualcosa mi dice che Effie potrebbe anche fare a meno della pistola, quando ha quell'insopportabile parlantina dalla sua.
Un ragazzo in tunica bianca mi mostra la mia camera. E' enorme. Molto più grande di qualsiasi altra casa che abbia visto nel Distretto12, eccetto quella del sindaco. La prima cosa di cui mi accorgo è che ci sono pulsanti per tutto. Per cambiarti d'abito, ordinare cibo, scegliere un'inquadratura alla finestra. Perfino la doccia contiene una marea di pulsanti. Molti altri non mi sforzo nemmeno di capirli. Davvero queste persone sanno cosa fa ogni bottone?
Abbandono la calzamaglia nera da qualche parte sul pavimento, un attimo prima di entrare nella doccia. Far uscire l'acqua è semplice, diversamente da tutto il resto. Spingo un tasto e a parte a un aumento di pressione dell'acqua non noto nessun cambiamento. Provo con un altro, ma non succede nulla. Premo un paio di volte lo stesso pulsante e, pochi secondi dopo, mi ritrovo a scansare un getto caldissimo di acqua fumante. Non sono stato troppo veloce perché una macchia lievemente arrossata sosta sul mio braccio. Cerco di ristabilire la temperatura precedente, anzi, anche più fredda. Ne ho abbastanza di calore per oggi. Quando esco, non ho neppure bisogno di asciugarmi, perché ovviamente c’è un aggeggio che lo fa per me, e lo stesso vale per i capelli. Seleziono un completo, semplice. Mi vesto. L’idea di ordinare qualcosa da mangiare sembra allettante, ma dopo l’esperienza nella doccia meglio evitare. Giro un po’ per la stanza, osservando gli altri pulsanti. Una cosa è chiara: qui a Capitol City, la gente è pigra.
Mi rimane molto tempo prima che la cena inizi, ma mi dirigo comunque verso la sala in cui dovremmo incontrarci con gli stilisti, Effie e, se decide di presentarsi, anche Haymitch. Contrariamente a quello che avevo pensato, però, la sala non è vuota. C’è già Cinna.
“Peeta” mi accoglie, avvicinandosi. “Sei andato benissimo alla cerimonia” si congratula, dandomi perfino una pacca sulla spalla.
Ricambio il sorriso. “E’ merito tuo e di Portia” gli faccio notare.
Il breve silenzio che segue è spezzato da Cinna. “E’ bello, vero?” mi chiede, indicando il panorama che stava fissando dal balcone. Dal modo in cui l’ha detto, però, non sembra molto entusiasta.
Annuisco. “E’ sorprendente” mi limito a dire, incerto di cos’altro aggiungere.
“Seguimi” dice a un certo punto.
Faccio come dice. Percorriamo un lungo corridoio, saliamo una rampa di scale che affaccia su quello che sembra il tetto dell’edificio. Da qua su, ho una visuale perfetta di Capitol City. Anche meglio di quando ero sul treno. Adesso la vedo dall’alto e posso dire con estrema sicurezza che non esiste una minima zona che non sia illuminata. Riesco a vedere anche quanto sia grande. Il Distretto 12 è niente in confronto. Per un attimo vorrei poter rendere duratura questa immagine, le mille luci che rendono meno spaventosa la città. Poi mi ricordo che sono venuto qui a morire e cerco di distogliere la mente da ogni pensiero. E’ difficile.
Mi avvicino al parapetto. Mi sporgo in avanti per vedere come è di sotto. Che aria respirano coloro che i cui giorni non sono contati. Una sicuramente migliore della mia. “E’ permesso salire qui?” chiedo a Cinna. Sono costretto a chiederglielo una seconda volta, alzando la voce. Il vento è troppo forte.
Lui fa segno di sì con la testa. “Perché dovrebbe essere vietato?” domanda a sua volta. Più che una frase retorica, ha più l’aria di essere una domanda-trabocchetto.
“Non hanno paura che qualcuno possa buttarsi di sotto?”. Con qualcuno, ovviamente, intendo un tributo. E’ possibile che nessuno ci abbia mai pensato? Non credo. Le immagini dell’ipotetico ragazzino gracile e denutrito di prima, magari lo stesso che ha fatto inorridire Effie per l’assenza di buone maniere a tavola, mi passano davanti agli occhi. Me lo immagino qua su, a lottare contro la paura di fare un bel salto e quella che lo terrorizza all’idea di dover entrare nell’arena. Sa che morirà in ogni caso. Quindi, perché non mettere fine a tutto alla svelta? Ma questi sono gli Hunger Games, mi suggerisce una voce nella testa.
Cinna accenna un sorriso amaro. “Si preoccuperebbero, se si potesse cadere”
Aggrotto la fronte. In che senso non si può cadere? “Che vuoi dire?” chiedo, confuso.
Di tutta risposta, Cinna tira fuori una monetina dalla tasca. Osservo attentamente il lancio che spedisce il piccolo oggetto al di là del bordo del tetto, per poi ritornare indietro. “Un campo di forza impedisce a qualsiasi cosa di andare giù” spiega, in tono neutro. Sembra però che le parole siano indirizzate a me.
“Oh” è la mia sola risposta, imitando alla perfezione il tono neutrale. Il ragazzino non potrebbe uccidersi nemmeno volendo. Non aggiungo nulla, perché adesso ho la sensazione che qualcuno ascolti ciò che dico. Ormai, non mi sorprenderei di trovare una telecamera tra i fiori o da qualsiasi altra parte. “E’ sempre stato così, oppure prima …” Mi fermo alla ricerca del modo migliore per chiedere se è sempre stato vietato suicidarsi. Poi, mi accorgo che un modo migliore per dirlo non esiste e non dico proprio nulla. Tanto Cinna capirà comunque.
Lui scrolla le spalle. “Non lo so” sospira. Come può saperlo? E’ il suo primo anno come stilista agli Hunger Games. Negli anni però non si è mai sentito parlare di alcun tributo morto prima di entrare nell’arena. Forse, non dovrei esserne stupito. E’ Capitol City che decide ciò che dobbiamo sapere o meno. Anche a scuola è così. Ci riempiono la testa di quanto sia fantastica e magnanima la nostra capitale. E’ vietato controbattere, ma sono sicuro che in molti non la pensano allo stesso modo. Soprattutto quelli che hanno visto i propri fratelli o sorelle morire proprio qui, oppure che contano un componente in meno nella loro famiglia perché sono costretti a lavorare in miniere pericolose pur di permettersi qualcosa da mettere sotto i denti.
“Hai già deciso che linea seguire nell’arena?” chiede distrattamente.
Penso che in realtà non sia davvero interessato alla risposta, ma che voglia solo cambiare discorso. Anche io lo voglio. Però, non sono sicuro che dovrei raccontare questo genere di cose. Ammesso che avessi una strategia, perché dovrei parlarne con qualcun altro che non è il mio mentore? Comunque, non ho nessuna strategia. O meglio, una ce l’ho, ma voglio parlarne con Haymitch prima di chiunque altro. “Ancora nulla. Non vedo Haymitch da quando siamo scesi dal treno”
“Be’, vi conviene darvi una mossa” replica Cinna, sbrigativo. “Scommetto che alcuni non hanno gradito la vostra presentazione trionfale”
Annuisco. In effetti, poco fa gli sguardi torvi degli altri tributi non erano per nulla rassicuranti. E di certo non erano contenti di essere stati nettamente battuti dai tributi del Distretto 12. Anche se le parole di Cinna lasciano intendere qualcos’altro. “Perché ci hai fatto tenere per mano?” chiedo, improvvisamente al ricordo della cerimonia.
“Hai mai visto due tributi tenersi per mano?” domanda a sua volta. Scuoto la testa. Mai. Che senso ha, se poi dovranno uccidersi l’un l’altro? “Questo e i vestiti vi hanno reso indimenticabili agli occhi del pubblico” spiega, con tranquillità.
“Non risulterà incoerente quando poi Katniss mi ucciderà?”
“O tu ucciderai lei” mi fa notare Cinna.
Abbasso lo sguardo per un momento. Poi lo rialzo. “Anche” dico soltanto, incapace di pensare al fatto che potrei uccidere Katniss.
Dopo un lungo sguardo penetrante dritto nei miei occhi, Cinna mi risponde. “La coerenza sarà l’ultima cosa a cui penserete quando sarete lì dentro” dice, prima di accompagnarmi nello stesso percorso di prima, a ritroso.
Ha ragione. Una volta entrati nell’arena, l’unica nostra preoccupazione sarà sopravvivere. Poco conta se dovremmo uccidere il nostro stesso alleato o compagno di distretto. Anche io avrò quel solo obiettivo, anche se per una ragione totalmente diversa dalla vittoria. Ma sarò in grado di uccidere sul serio? Dovrò se voglio proteggere Katniss.
Ritornati nella sala in cui ceneremo, c’è Portia. Sorride non appena mi vede. “Hai visto che bella vista avete da qui?”
Annuisco e mi avvicino a lei, cercando di non pensare troppo. Per fortuna, Effie e Katniss arrivano giusto in tempo per fermare qualsiasi chiacchierata che Portia avrebbe cercato di intavolare. Non mi va molto di parlare, in questo momento. Colgo al volo l’occasione di tenere la bocca impegnata quando mi viene offerto un bicchiere di vino. Dopo il primo sorso, mi pento. Non mi piace il vino e abbandono il bicchiere appena ci sediamo al tavolo. La comparsa del vino richiama la presenza di Haymitch, che spunta proprio in questo momento. Non so che fine abbia fatto mentre noi sfilavamo su un carro, ma di certo deve essersi dato una vera ripulita. In tutti i sensi. Probabilmente anche lui si è affidato all’armadio per scegliere i vestiti, perché è vestito in maniera impeccabile. Non puzza di alcool anche a metri di distanza e sembra abbastanza sobrio da non cadere dopo un paio di passi. Spero che rimanga così per tutta la durata dei Giochi, o almeno il tempo di riferirgli la tattica che voglio seguire. Osservo attentamente le sue prossime azioni. Ha promesso di rimanere sobrio abbastanza da poter consigliarci, quindi mi aspetto che declini l’offerta dell’uomo con la tunica bianca che mi ha consegnato il calice. Ma lui non lo fa. La cosa rassicurante è che almeno mangia, invece di bere soltanto.
Per l’intera durata della cena fino al dolce, l’unico argomento di discussione è la cerimonia di apertura. Effie si lascia andare a una serie di complimenti pienamente meritati verso gli stilisti. Non intervengo molto, eccetto nelle rare occasioni in cui si rivolgono a me. Inoltre la scelta dei vestiti che dovremmo indossare per le interviste non mi interessa granché. Sia perché non credo che avrei diritto di replica, stando a quello che Haymitch ci ha proibito di fare, sia perché non c’è motivo di non fidarmi di Portia e Cinna.
Il mio morale si rialza solo quando entra in scena il dessert. Una ragazza dai capelli rossi entra reggendo una torta davvero ben fatta. Mi viene da chiederle come è stata fatta, ma poi mi ricordo che non avrò alcuna possibilità per rifarla e rimango in silenzio mentre lei le da fuoco. Stringo le labbra. Ancora altro fuoco. Per fortuna, il tutto dura poco. Katniss chiede alla ragazza se è stato usato dell’alcool per realizzarla, poi si blocca. “Ma io ti conosco!” esclama.
Improvvisamente quattro paia di occhi la stanno fissando. Mi chiedo cosa abbia detto di strano per ricevere tutta questa attenzione improvvisamente. Non ha detto nulla di sconvolgente, eccetto il fatto che è impossibile conoscere qualcuno che è a Capitol City. Eppure, stando a quello che dice Effie, il fatto che questa ragazza di trovi a Capitol City e Katniss nel Distretto 12 non è la ragione per cui tutti la fissano.“Non essere ridicola, Katniss. Come potresti conoscere una senza-voce?” dice con una veemenza che non le avrei mai attribuito.
So cos’è una senza-voce solo perché una volta l’istruttore di lotta che abbiamo a scuola ha minacciato mio fratello di farlo diventare un senza-voce, se non si fosse impegnato più duramente. Gli avrebbe tagliato la lingua. In realtà non poteva farlo perché solo ai traditori viene riservato questo trattamento.
Katniss però non sa chi è una senza-voce e quando lo chiede Haymitch e gli altri si profondono in una spiegazione non troppo dettagliata. “Non devi rivolgere la parola a nessuno di loro, a meno che non sia per dare  un ordine” aggiunge Effie, perentoria.
A questo punto, Katniss cerca di ritornare sui suoi passi. Mi rendo conto che sta facendo un lavoro pessimo, perché balbetta e si ferma a mezza frase. Per fortuna, sono diventato bravo con le bugie. Faccio schioccare le dita. “Delly Cartwright, ecco a chi assomiglia” esclamo, come se fossi stato colto da un’illuminazione improvvisa. “Anch'io continuavo a dirmi che aveva una faccia nota. Poi ho capito: è identica a Delly!”
Ovviamente questa ragazza non somiglia neanche lontanamente a Delly, ma lei è la prima persona che mi è venuta in mente. Tiro un sospiro di sollievo impercettibile quando mi accorgo che Katniss ha capito che le sto offrendo un aiuto e sta al gioco. Infatti, dice che vede essere per via dei capelli che si è confusa. “Un po’ anche gli occhi” aggiungo io per essere più convincenti. Ciò serve perché gli adulti non guardano più Katniss con sospetto.
Dopo aver visto il riassunto della sfilata in tv, Haymitch ci dice di incontrarci a colazione per discutere delle strategie da seguire. Perfetto. Ho solo la notte a disposizione per parlare con Haymitch. Potrei svegliarlo questa notte mentre dorme, ma non sono molto convinto che sia una buona idea. Non mi resta che aspettare domattina e sperare di beccarlo da solo prima che arrivino gli altri.
Katniss ed io veniamo mandati in camera a dormire. Percorrendo il corridoio insieme a lei, penso che voglio saperne di più su questa storia della senza-voce, perché è ovvio che Katniss la conosce davvero. Mi appoggio allo stipite prima che entri nella sua camera, in modo che non possa ignorarmi. “Allora era Delly Cartwright”esordisco, cercando di suonare casuale. “Ma pensa, trovare qui una sua sosia...”
Vedo l’esitazione dipingersi sul volto di Katniss. Sembra tentata di raccontarmi la verità, ma probabilmente ha la sensazione di essere ascoltata perché si guarda attorno come se dovesse spuntare qualcuno da un momento all’altro. “Sei già stata sul tetto?” chiedo, conoscendo già la risposta. Anche io ho avuto la stessa sensazione, prima sul tetto. Ma lì era impossibile che qualcuno sentisse cosa stavamo dicendo Cinna ed io perché a stento riuscivamo a sentici tra di noi. Lei scuote la testa. “Me l’ha mostrato Cinna. Si può vedere tutta la città, ma il rumore del vento è un po’ forte”. Spero che capisca cosa voglio intendere. Per fortuna, capisce perfettamente perché mi chiede se ci è permesso salire.
Percorro con lei lo stesso tragitto che ho fatto con Cinna, sentendomi inevitabilmente più agitato. Cerco di intuirne il motivo. Non ho bisogno di pensarci molto: adesso è Katniss che cammina al mio fianco. E' lei che mi rende nervoso. L'ha sempre fatto, fin dalla prima volta che ho messo gli occhi su di lei. In tutti questi anni ho cercato una scusa per parlarle, anche la più stupida, ma poi quando me ne veniva in mente una, mi dicevo che era troppo stupida. Ad esempio quando volevo chiederle una mano in matematica, pur di parlarle, sebbene non sia mai stata un problema. E poi, mettere a tacere certe voci nella mia testa è stato complicato. Molto. A dirla tutta, non erano voci solo nella mia testa. Il Distretto 12 non è molto grande e lì tutti conoscono tutti, il che vuol dire che le notizie viaggiano a una velocità notevole. Almeno in un primo momento, la presunta relazione tra Katniss e Gale Hawthorne era sulla bocca di tutti, ed è giunta alle mie orecchie giusto per fermare ogni tentativo di avvicinarmi prima ancora di iniziare. Ovviamente, ho fatto di tutto per non pensarci e ho perfino rifiutato di accettarlo. Mi dicevo che erano cugini o qualcosa del genere, data la loro somiglianza. Quando qualcuno – non ricordo bene chi – mi ha espressamente chiarito che non appartenevano allo stesso ramo familiare, ho provato con la storia dell’amicizia. Vederli costantemente insieme, però, ha messo a dura prova la mia debole convinzione. Alla fine, vinto dalla gelosia, penso di aver dovuto accettare il fatto che Katniss potevo solo ammirarla da lontano. Almeno fino a ieri. Già prenderle la mano prima e sgattaiolare sul tetto adesso superano di gran lunga ogni mia aspettativa.
Rispetto a prima, adesso fa più freddo sul tetto. Lo spettacolo di luci è rimasto immutato, mentre il vento è anche più rumoroso. Osservo Katniss mentre lei fissa affascinata la città. Proprio come me, si avvicina al parapetto, getta un’occhiata verso il basso e fissa ciò che c’è di sotto. Mi chiedo se si ponga anche le mie stesse domande. “Ho chiesto a Cinna com'è che ci lasciano salire quassù” dico, senza aspettare che sia lei a chiederlo. “Non temono che qualche tributo decida di scavalcare e buttarsi?”
Katniss volge il suo sguardo a me. “Lui cos’ha detto?” chiede.
“Che non si può” rispondo, asciutto. Colgo sul suo viso la stessa espressione dubbiosa che devo aver esibito io alle parole di Cinna. Penso che occorra anche a lei una dimostrazione pratica. Non ho una moneta in tasca, così devo usare la mano. La alzo all’aria, alla ricerca del campo di forza. Per qualche istante non trovo nulla e mi sento quasi stupido. Poi, un lampo e una scossa che dalla mano risale lungo il braccio mi avvertono che ho fatto centro. “C’è una specie di campo elettrico che ti ributta indietro sul tetto” le spiego a parole, mentre cerco di ignorare il PIZZICORE al braccio.
“Sempre preoccupati per la nostra sicurezza” ribatte Katniss ironicamente, facendomi sorridere. “Pensi che adesso ci osservino?”
Anche io ci ho pensato, ma non posso esserne totalmente sicuro. “Forse” dico, guardandomi attorno come se dovessi scorgere una telecamera in qualche angolo nascosto. Comunque, ho la sensazione che la domanda di Katniss non sia dovuta molto alla preoccupazione per il tono che ha usato, piuttosto per raccontarmi della ragazza della torta, quella che in qualche modo ha conosciuto. Mi scopro sempre più curioso di sapere cosa è successo. “Vieni a vedere il giardino” le dico, sapendo che lì saremo anche meno udibili.
E infatti, quando siamo lì Katniss non da l’impressione di essere preoccupata. O almeno lo è di meno. Fissa un fiore davanti a sé mentre parla. “Un giorno eravamo a caccia nei boschi. In attesa della selvaggina”
“Tu e tuo padre?” sussurro, senza pensarci.
“No, io e il mio amico Gale” bisbiglia.
Ovviamente. Chi altri, se non Gale? Non alzo gli occhi solo perché farlo adesso vorrebbe dire farmi vedere da Katniss, ma la tentazione è davvero forte. Comunque, sono rincuorato dal fatto che l’ha definito amico e non fidanzato. Certo, cugino sarebbe stato anche meglio, ma significherebbe pretendere troppo.
Mi racconta, senza alzare troppo la voce, del contesto in cui ha visto la ragazza dai capelli rossi per la prima volta. Non era sola; insieme a lei c’era un ragazzo, insieme al quale stava correndo per i boschi, come se stessero scappando da qualcosa. Spiega di come il canto degli uccelli si è fermato di colpo e della comparsa di un hovercraft sulle teste dei due ragazzi in fuga. Lui venne colpito, mentre la ragazza, invece, fu catturata e trasportata qui a Capitol City a bordo dell’hovercraft. Non appena il cielo ritorno sgombro, gli uccelli ripresero a cantare come se nulla fosse successo.
“Loro vi hanno visti?” chiedo.
“Non lo so” risponde Katniss, assorta, completamente presa dal ricordo. “Eravamo sotto una sporgenza di roccia”
Non posso esserne certo, ma scorgo un velo di colpevolezza nella sua espressione. Probabilmente si sente in colpa per non aver fatto nulla per salvare la ragazza. Non che ci fosse molto da fare, comunque. Avrebbero preso anche lei e Gale solo perché cercavano di aiutare una traditrice, senza contare il fatto che erano oltre i confini del distretto illegalmente. Suppongo che questo pensiero non sia servito molto a consolarla quella notte. Al pensiero mi viene voglia di prenderla tra le braccia e stringerla, per impedirle di riportare a galla ricordi così spiacevoli. Eppure, so che non potrei mai fare una cosa del genere. Conosco Katniss poco e nulla – più nulla – ma sono certo che si sbarazzerebbe della mia presa.
“Stai tremando” mi accorgo improvvisamente, togliendo la giacca per posargliela sulle spalle. Inizialmente Katniss esita e io ho la sensazione che non me lo lascerà fare, ma alla fine accetta. “Erano di qui?” le chiedo, spostando l’attenzione nuovamente sulla storia, mentre allaccio il primo bottone il più velocemente che posso. La vedo annuire quando ritorno al mio posto. “Dove credi stessero andando?”
“Non lo so proprio” ammette Katniss. “E non so neppure perché volessero andarsene di qui”
Ci penso. Il Distretto 12 non è neanche lontanamente paragonabile a Capitol City per bellezza e innovamento. Molte volte l’elettricità manca, il cibo scarseggia – in alcune parti più di altre – e siamo considerati un po’ l’ultima ruota del carro, ma se qualcuno mi offrisse di tornarci, sarei già alla stazione ferroviaria. Probabilmente è perché so il motivo per cui ci sono venuto. Magari se non sapessi che entro qualche giorno sarò morto, potrei anche godermi il viaggio. Ma, purtroppo, mi trovo qui solo perché sono un tributo degli Hunger Games. Altrimenti, in questo momento sarei a casa mia a litigare con Seward oppure a sorbirmi una ramanzina di mia madre. Ci ritornerei volentieri. “Io me ne andrei da qui” dico, forse a voce troppo alta perché il vento la copra. Mi guardo attorno nervosamente, al ricordo delle telecamere e i microfoni che potrebbero essere qui sopra. Non so come possano essere prese le mie parole, se qualcuno dovesse ascoltarle. Quelli di Capitol City sicuramente non la prenderebbero bene, a meno che… Metto su una risata, sperando che non lasci trapelare il nervosismo. “Tornerei a casa adesso, se me lo permettessero. Però devi ammetterlo: il cibo è ottimo”. Adesso nessuno potrebbe negare che sono semplicemente un ragazzo terrorizzato all’idea di essere diventato un tributo.
Vorrei davvero continuare a parlare con Katniss, ma voglio anche andare via di qui. “Sta cominciando a fare freddo. Meglio che entriamo” dico, le braccia fredde per via della giacca che ho dato a lei. Siamo nella cupola, quando parlo di nuovo. Ripensando alla storia che mi ha raccontato, mi viene in mente che c’è una cosa che ho sempre voluto chiederle. “Il tuo amico Gale. È quello che ha portato via tua sorella alla mietitura?”. Ovviamente, la domanda non è questa. So perfettamente chi è Gale.
“Si. Lo conosci?” chiede.
“Non proprio” replico. “So che le ragazze parlano parecchio di lui. Credevo fosse tuo cugino o qualcosa di simile. Vi somigliate”. Ecco la domanda che mi preme sapere da anni. Non che cambi molto le cose a questo punto, ma scoprirlo non nuoce.
“No, non siamo parenti” risponde semplicemente Katniss.
Annuisco e distolgo lo sguardo da lei, per fissare per un istante il pavimento lucido del corridoio. “E’ venuto a salutarti?” domando. Non so perché glielo chiedo. So già la risposta, perché è ovvio che si sono visti prima di partire. Così come molte altre volte in cui mi sono dato pensiero della loro parentela-amicizia-relazione, avrei voluto essere al suo posto per abbracciarla e confortarla. Per dirle che non aveva nulla di cui preoccuparsi perché tra me, lei e il nostro mentore sarebbe riuscita a tornare a casa da sua sorella e sua madre.
Ritornando a guardarla, mi accorgo che mi osserva con un misto di curiosità e attenzione. “Si” dice, soltanto in merito al saluto. “È venuto anche tuo padre. Mi ha portato dei biscotti”
Mio padre? Mio padre le ha portato dei biscotti? Deve esserci andato dopo che i Pacificatori gli hanno detto di lasciare la stanza in cui mi hanno rinchiuso. Mi chiedo perché non me l’abbia detto quando eravamo insieme. Be’, immagino che quando devi dire addio a tuo figlio, che molto probabilmente non rivedrai mai più, non ti metti a raccontargli cosa farai dopo che lui sarà partito. Solo, è strano pensare a mio padre e Katniss nella stessa stanza. So che mio padre ha una certa predilezione per entrambe le sorelle Everdeen,essendo le figlie della donna che in passato ha amato. Ma cosa si saranno detti? Lui non è un tipo di molte parole. A stento mi ha detto un paio di parole. Forse, si è limitato a darle i biscotti. Il perché rimarrà un mistero. “Tu e tua sorella gli piacete. Penso che avrebbe desiderato una figlia invece di una casa piena di maschi” mi limito a dirle.
Adesso, quella sorpresa sembra Katniss. Non capisco subito, poi ripensando a quello che ho detto, potrei averle dato l’impressione che abbiamo parlato di lei e della sua famiglia in qualche occasione. Il che è capitato solo due volte. La prima quando mio padre mi indicò Katniss; e la seconda quando vedemmo Primrose incantata a guardare la vetrina del negozio. “Lui e tua madre si conoscevano, da piccoli” aggiungo, senza chiedermi se è al corrente del passato tra i nostri genitori.
Dal modo in cui l’espressione sorpresa persiste, direi proprio di no. “Ah, sì, lei è cresciuta in città” dice. Solo quando la vedo sfilarsi la giacca per ridarmela, mi accorgo che siamo già arrivati alla sua camera. “Ci vediamo domattina”
Vorrei continuare a parlarle. Ora che abbiamo iniziato, non vorrei davvero fermarmi qui. Quasi a recuperare il tempo perso e quello che non avrò mai l’occasione di sfruttare. Ma adesso posso solo risponderle: “Ci vediamo”, prima di avviarmi verso la mia camera.

Ho aggiornato anche questa dopo mooolto tempo!
Sono contenta che piaccia sempre a più persone, che ringranzio.
-M

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Capitolo 6
*** Capitolo Sesto ***


Capitolo Sesto

Quando ritorno nella mia stanza invento un pigiama, usando una maglia e dei pantaloni comodi. Mi metto a letto quasi subito e mi addormento ancora più in fretta, la coperta fin sotto il collo e le mani in grembo. Prima di andare, né Haymitch né Effie mi hanno detto a che ora dobbiamo presentarci per la colazione, quindi teoricamente potrei restare a letto e dormire un po' di più, esattamente come avrei potuto due giorni fa. Adesso sarebbe utile approfittare di qualche ora di sonno. Nel giro di pochi giorni sarò nell'arena e nessuno sa di quanta energia avrò bisogno. Purtroppo, il sonno irrequieto mi sveglia poco dopo l'alba. Non ricordo cosa ho sognato - raramente me lo ricordo - ma deve avermi spaventato, perché sono ricoperto di sudore e l'aria fredda che entra dalla finestra aperta mi fa rabbrividire. Mi stringo nella coperta, cercando di recuperare un minimo di calore, ma è inutile. In più, restare a letto a quest'ora è così innaturale per me, che ho quasi l'impressione di star disobbedendo a qualche regola. Di mia madre, magari. Quindi, un altro motivo per cui non posso restare qui dove sono è che la mia famiglia continuerebbe a tornarmi in mente e non mi va di perdermi nel ricordo di loro quattro. Non oggi che inizia l'addestramento. L'addestramento! Devo parlare con Haymitch al più presto. 

Mi fiondo nella doccia, notando per la prima volta da ieri sera che la tuta della cerimonia non è più sul pavimento. Qualcuno deve averla messa da parte mentre ero a cena. Per mostrare un pizzico di rispetto verso chiunque abbia pulito e pulirà la camera - suppongo sia qualche senza-voce - non abbandono i vestiti dove capitano e li rimetto a posto piegati. Con la doccia me la cavo un po' meglio, visto che ora so quali pulsanti premere e quali scansare per il mio bene; quelli che non ho mai provato, non li guardo nemmeno. In pochi minuti sono fuori, lavato e asciutto dalla testa ai piedi. Sul letto trovo degli abiti sistemati con grande cura. Mi rassicura il fatto che all'apparenza sembrano abiti molto semplici. I pantaloni neri sono un po' più stretti di quanto li avrei graditi, ma la tunica rossastra e le scarpe sono abbastanza comode. 

Esco dalla camera e mi dirigo verso la sala da pranzo. A qualche passo dalla porta incontro Haymitch. Inutile dire che sono sorpreso di vederlo in piedi a quest'ora. Ma la cosa più strana è che non è ubriaco e per quanto ne so lo è da ieri. Non so se sia semplicemente per prestare fede al patto che abbiamo stretto ieri oppure se Effie c'entra qualcosa in questo cambiamento, ma è incoraggiante. "Buongiorno" lo saluto e lui dice lo stesso molto poco calorosamente. Lo stesso trattamento lo riserva a Katniss quando la scorgiamo intenta a mangiare la sua colazione. 

Forse, non dovrei esserlo dopo la conversazione di ieri con Cinna, ma non posso non dirmi stupito dall'abbigliamento di Katniss. Indossiamo le stesse cose, il che mi fa sorridere. Non so perché, ma pensavo che Portia e Cinna avrebbero smesso di farci vestire allo stesso modo. Mostrarci come una squadra o qualcosa di simile attirerà molti sguardi su noi due. La popolarità in questo ambito può essere un'arma a doppio taglio: se da un lato ci mette in buone condizioni per ricevere sponsor, dall'altro non ci garantisce la simpatia degli altri tributi. Di risultare simpatico a un tributo che probabilmente ha già progettato il metodo più veloce per togliermi dai piedi non è in cima alla mia lista di priorità, ma pensandoci bene dovrebbe esserlo perché in squadra non ci sono soltanto io. 

Non impieghiamo molto a mangiare e presto Haymitch tira fuori l'argomento per cui ha promesso di restare abbastanza sobrio, insieme a una fiaschetta dalla tasca. Posso solo immaginare cosa ci sia lì dentro, ma non dico nulla. Prima parliamo dell'addestramento, prima capirò come comportarmi. 

"Prima di tutto: se volete, posso allenarvi separatamente. Decidetelo adesso" dice sbrigativo. Katniss fa prima di me a chiedergli il motivo. "Nel caso in cui tu abbia un qualche talento segreto che non vuoi far conoscere all'altro"

Possiamo allenarci insieme, allora. "Io non ho nessun talento segreto" ammetto, senza riuscire a trattenermi. Insomma, quale talento segreto dovrei avere? Lavoro in una panetteria. Non penso che sapere come evitare le bruciature sia utile negli Hunger Games; sapessi curarle almeno. "E so già qual è il tuo, no? - aggiungo rivolto a Katniss - Voglio dire, ho mangiato un bel po' dei tuoi scoiattoli". Si, in effetti il talento segreto di Katniss non è un mistero per me e nemmeno quanto sia brava. A volte l'ho immaginata nel bosco, arco in posizione e freccia incoccata, appostata dietro un albero con lo sguardo fisso su una di quelle piccole creature pelose che scambia con mio padre, pronta a colpire quando sa di averla in pugno. Mi sarebbe piaciuto vederla in azione dal vivo. Avrei dovuto chiederglielo quando ne avevo l'occasione. Avrei dovuto fare molte cose quando ne avevo l'occasione. 

Katniss sembra sorpresa della mia affermazione. Per una strana ragione ho sempre la sensazione che dica o faccia qualcosa di sbagliato con lei. Però non dice nulla, se non che possiamo allenarci insieme. Annuisco e il pensiero che passerò molto tempo con Katniss mi dice che è la cosa giusta da fare. 

"Benissimo. Allora, datemi un'idea di quel che sapete fare" ci esorta Haymitch. 

Pensavo di aver messo in chiaro le mie capacità prima. "Non so fare niente" ribadisco, molto più chiaramente. Davvero, cosa si aspetta che il figlio di un fornaio sappia fare? "A meno che cuocere il pane non valga qualcosa". E ho forti dubbi a riguardo. Nessuno ride, così lascio perdere con le battute. 

Katniss sminuisce le sue doti con il coltello e ammette di saper cacciare, anche se è piuttosto riduttiva. 

Ancora una volta non riesco a trattenermi. "È bravissima" dico, e poi parto all'attacco riportando a Haymitch alcune delle parole usate da mio padre alla vista degli scoiattoli perfetti - eccetto per un occhio - cacciati da Katniss. Avrà bisogno di tutto l'aiuto disponibile per sopravvivere nell'arena, quindi è necessario che il nostro mentore sappia realmente quanto sia brava. 

Quando mi volto nella sua direzione, Katniss non sembra troppo contenta dei sinceri complimenti. Anzi, sembra sospettosa per una ragione che non mi spiego. "Che intenzioni hai?" mi domanda. 

Non afferro il senso della domanda, ma le dico comunque che ha bisogno di dire tutto a Haymitch senza mentire. Non la prende bene o non ribatterebbe in tono duro che mi ha visto sollevare dei sacchi d farina al mercato. 

Per un solo istante - un breve e felice istante - mi concedo di pensare al fatto che lei mi abbia notato, cosa di cui non mi mai accorto prima. Mi  riprendo in fretta, ripensando a ciò che ha detto. "Non è come saper maneggiare un'arma" le faccio notare, quasi infastidito che possa aver pensato che ho qualche chance in più solo per la mia forza. Inavvertitamente parte una specie di litigio e quasi non ci vedo dalla rabbia quando conferma i miei dubbi sul fatto che lei sarebbe finita in uno scontro corpo a corpo. "Tu te la spasserai sugli alberi, mangiando scoiattoli selvatici ed eliminando la gente con arco e frecce". Manca poco che mi metta a urlare per sovrastare la sua voce. Mi chiedo come faccia a sottovalutarsi in questa maniera. Se c'è qualcuno che ha buone probabilità di vincere, quella è proprio lei. Non sarà forte o robusta come altri tributi, ma se sa cacciare bene come so allora deve possedere le qualità di un cacciatore: velocità, sangue freddo, determinazione. Doti che non possono passare inosservate nell'arena e che certamente le procureranno pericoli maggiori dagli Strateghi, ma lei è una... 

Abbasso lo sguardo per un secondo, poi lo rialzo. "Sai cosa mi ha detto mia madre quando è venuta a salutarmi, tanto per tirarmi su? Che forse il Distretto 12 avrà finalmente un vincitore. Poi ho capito che non parlava di me, parlava di te!" Imprimo alla frase un pizzico della rabbia precedente sul finale, nonostante non ne avessi l'intenzione. 

"Certo che parlava di te" esclama Katniss e il mondo in cui lo dice mi infastidisce. 

Vorrei urlarle che si sbaglia di grosso, ma mi rendo conto che in questo modo scaricherei su di lei tutta la delusione per le parole di mia madre. Così, mi limito a riferirle le parole esatte che ha usato, ripetendo chiaramente la parola 'quella'. 

Katniss sembra sorpresa e per un attimo penso che non mi creda. Ma perché dovrebbe? E' impensabile che una madre consideri maggiormente qualcun altro al posto del proprio figlio. Comunque, quando parla pochi istanti dopo, ha perso ogni tipo di tono superiore di prima. "Solo perché qualcuno mi ha aiutato" mormora, la voce ridotta a un flebile sussurro. 

Non ci metto molto a capire a cosa si riferisce e, per puro caso, le sue mani stringono un panino.Così, le pareti della sala da pranzo scompaiono e al loro posto ci sono quelle familiari del negozio dei miei genitori. 

Dovevo avere più o meno undici anni; ero in cucina con mia madre e mio padre, mentre i miei fratelli era chissà dove sotto quella pioggia da quando avevano finito il loro turno. Era sera, ma quel giorno c'era più lavoro del solito. Avevo appena preso il posto di mio padre, quando sentii mia madre urlare qualcosa contro qualcuno, subito dopo aver finito con me. Mi bastò sentire la parola 'Giacimento' per abbandonare immediatamente il mio posto accanto al forno per farmi alle sue spalle. Riuscivo soltanto a pensare: 'E se fosse lei?' Con i battiti del cuore aumentati, allungai il collo oltre la spalla di mia madre e a quel punto il cuore parve cessare il suo lavoro. Era davvero lei; era Katniss quella contro cui mia madre stava gridando con la stessa rabbia che riservava a me e miei fratelli. Non credo che impiegai più di cinque secondi per capire cosa fare e, inconsciamente, fu mia madre a convincermi. "Dallo da mangiare al maiale, stupido! Nessuna persona rispettabile comprerà del pane bruciato!" aveva sbraitato nella mia direzione, prima di colpirmi con qualcosa che non avevo visto arrivare. Con buona metà della faccia che pulsava per via del dolore, corsi fuori mentre le mani già erano in moto per grattare via le parti bruciate sulle pagnotte che stavo controllando per mio padre. Le lanciai senza guardare veramente dove cadevano e sgattaiolai dentro, sperando che mia madre non scoprisse ciò che avevo fatto, ma felice di aver aiutato Katniss. 

Nel corso degli anni non mi sono mai pentito di quel gesto. Penso - anzi, ne sono sicuro - che lo rifarei altre mille volte e, ora che siamo entrambi tributi, ne ho la possibilità. "Ti aiuteranno, nell'arena. Faranno a botte per sponsorizzarti" mi limito a dirle, certo che quel ricordo le arrechi un dolore terribile. 

Quando Katniss dice che lo stesso vale per me, sono piacevolmente sorpreso. Mi trattengo dal rivolgere gli occhi verso l'alto e guardo in un'altra direzione. "Non ne ha proprio idea. Dell'effetto che può fare" Non è la prima volta che mi capita di pensarci e a dire il vero, nelle numerose volte che mi sono lasciato andare con la mente, ho anche provato a immaginare la sua reazione se gliel'avessi detto sul serio. Ma non ne avevo idea perché, eccetto alcune cose, di Katniss non sapevo niente. Quello che pensavo di sapere, invece, riguardo la mia reazione non corrisponde esattamente alla realtà: improvvisamente ho l'impressione di essere ritornato bambino beccato a dire qualcosa che non doveva lasciarsi scappare. Mi costringo a fissare le venture sul tavolo, facendoci passare sopra le dita, incapace di alzare lo sguardo per controllare il viso di Katniss mentre tutto intorno tace. 

Per fortuna, Haymitch rompe il silenzio e non sono mai stato così contento di averlo fra i piedi. Ci spiega il tipo di allenamento che dovremo seguire, nascondendo agli altri le nostre abilità e svilupando delle altre. "Un'ultima cosa. In pubblico, vi voglio fianco a fianco in ogni istante" 

Ancora la storia della squadra! Cerco di dire a Haymitch che non mi sembra una buona idea in una maniera meno impetuosa di Katniss, ma Haymitch è irremovibile. 

Abbiamo il permesso di ritornarcene in camera e così facciamo entrambi, Katniss in preda alla rabbia e io ai pensieri più assurdi, molti dei quali vertono sull'interessamento con cui Katniss mi ha osservato in questi anni. Non lascio, però, che mi entrino sotto pelle. Non conta nulla ormai; se anche adesso non ce l'avesse con me (posso dirlo dal modo in cui ha sbattuto la porta della sua camera), rimarremmo comunque qui, intrappolati in questa specie di gabbia con la morte che alita sui nostri colli. Non cambierebbe esattamente nulla sapere che - per quanto impensabile possa sembrare alle mie orecchie - Katniss era interessata a me. Anzi, sarebbe anche peggio. 

Appena mi accorgo che mancano una ventina di minuti alle dieci, orario in cui sarebbe iniziato l'addestramento, mi avvio verso gli ascensori. Effie, come anticipato da Haytmitch, è già lì ad aspettarci. "Sempre in orario, Peeta" dice, contenta. Sorriso a mo' di apprezzamento e mi appoggio alla parte. Katniss arriva pochi minuti dopo, i denti freneticamente impegnati ad annullare tutti gli sforzi del suo team di stilisti. Non dice nulla e senza indugi precipitiamo nei sotterranei. La palestra è già piena, e dopo che qualcuno appunta un numero dodici sulle uniformi identiche mie e di Katniss, l'istruttrice comincia immediatamente a spiegarci ciò che dobbiamo o non dobbiamo fare, segno che stessero aspettando solo noi. 

Katniss propone di iniziare con qualche nodo, la cui postazione è inconcepibilmente vuota. E' utile saper fare nodi in un posto come l'arena, no? Potremmo trovarci di fronte all'esigenza di dover costruire delle trappole e l'istruttore è della stessa idea perché ci mostra una particolare tecnica per appendere qualcuno a un ramo a testa in già. Ci metto un po' a capire come funziona, ma alla fine ce la faccio e quello che ho davanti è una perfetta trappola. L'istruttore si complimenta con entrambi e passiamo alla postazione successiva: mimetizzazione. In quella, scopro, non ho alcuna difficoltà. E' strano, ma armato di foglie, fanghi strani e bacche, è come se fossi ritornato alla panetteria e avessi per le mani delle torte, con l'unica differenza che quello da 'decorare' sono io. 

I restanti giorni passano allo stesso modo: Katniss e io fingiamo di andare d'amore e d'accordo ogni volta che insieme a noi ci sono altre persone che non siano Haymitch, Effie o gli stilisti; infatti, la seconda sera Katniss mi dice chiaramente di non fingere di essere amici quando non ce n'è la necessità. E' così succede: non ci parliamo più dello stretto necessario e quando siamo soli il niente assoluto, fino al giorno delle nostre sessioni private con gli Strateghi per augurarci una sorta di velato buona fortuna. 
 

E' brutto, corto, mal scritto e non corretto. Mi dispiace tornare dopo tutto questo tempo
con una cosa del genere, ma ero impaziente di aggiornare la storia. Qualcuno si è accorto che 
avuto qualche problemino a caricare il capitolo ed è la centesima volta che ci provo (speriamo che sia la volta buona!)

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