Bohemian Tango

di Roxe
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Andante con brio ***
Capitolo 2: *** Vivace ma non troppo ***



Capitolo 1
*** Andante con brio ***


Disclaimers: I personaggi da me trattati appartengono in primis a Sir Arthur Conan Doyle, che ha avuto la grazia d’inventarli alla fine del 1800, in secundis alla BBC ed ai suoi ottimi sceneggiatori che hanno deciso di riadattare l’originale in chiave moderna, in terzis (non so se esiste) agli attori Benedict Cumberbatch e Martin Freeman, che hanno dato loro le fattezze e l’interpretazione che mi hanno ispirato questa storia.

Pre/Post Scriptum Tutto ciò che state per leggere -note comprese- è stato ideato e scritto assai prima della messa in onda (in Inghilterra) della seconda serie di Sherlock, per cui non può tenere conto di com’è stato trattato l’argomento ‘Adler’ dagli sceneggiatori.
Solitamente evito di entrare in conflitto con i temi già svolti (o in previsione di esserlo) nel prodotto originale, perché invece di cozzare con le idee altrui preferisco piuttosto riempire i vuoti, andando a creare una trama complementare priva di fastidiose sovrapposizioni. In questo caso specifico però c’è un altro originale antecedente al telefilm, a causa del quale ho sviluppato una timida e personale idea dell’incontro/scontro tra lo Sherlock Holmes tratteggiato da Moffat & Co. ed un’ipotetica versione moderna di Irene Adler, che mi appresto ad illustrarvi con umiltà, perfettamente conscia della miserrima figura che farà messa a confronto con ciò che hanno partorito gli sceneggiatori BBC.
Essendo già uscita da tempo la seconda serie in Inghilterra questo è de facto una specie di AU, perciò coloro di voi che stanno leggendo  la storia dopo aver visto i nuovi episodi sappiano che non troveranno l’Irene che hanno visto in televisione.
Mi rendo perfettamente conto di quanto sia anacronistico postare questa fic adesso, ma la colpa posso darla solo a me stessa ed alla mia infinita lentezza. Quella più dispiaciuta sono io, perché ho perso l’occasione di mostrare la mia idea prima che diventasse una triste bruttacopia dell’originale.
Chi è causa del suo mal…
In ogni caso, tutto ciò che state per leggere è esclusivamente (nel bene e soprattutto nel male) farina del mio sacco. Ho concepito -ed in gran parte scritto- questa storia quando la seconda serie non era ancora nemmeno all’orizzonte.

WARNING Ci saranno alcune frasi in inglese.
Non è discorsivo, ma comunque è importante che si capisca il senso nell’immediato, senza doversi andare a leggere la traduzione nelle note finali, per cui ho escogitato un trucco piuttosto semplice per risolvere il problema: Quando troverete frasi in britannico idioma che non capite o di cui volete esser certi, sarà sufficiente sottolineare lo spazio bianco tra la riga di testo inglese e la successiva per leggere la traduzione, scritta bianco su bianco.
(Sottolineate lo spazio qui sotto per toccare con mano l’espediente)
Sou ka! Tutto chiaro?
Inoltre, visto che ci sarà molta ‘musica’ in questa storia, e come nel caso della traduzione preferirei che voi la sentiste mentre viene cantata/ballata/suonata piuttosto che quando vi andrete a leggere i disclaimers nelle note, ogni volta che qualcuno inizierà a cantare o a ballare (perché succederà…) voi tenete d’occhio il testo cercando un asterisco cliccabile che vi porterà direttamente al pezzo in questione.
I link sono a video di YouTube per comodità, ma i filmati collegati alle canzoni non hanno niente a che vedere con la mia storia, quindi non c’è bisogno che li guardiate, dovete solo ascoltare. Magari mentre leggete.

 

Ladies and gentlemen,

Sherlock Holmes and John Watson in a modern version of
 A scandal in Bohemia.

Remix by Mistress DJ
Get Rocks ROXE.

Here we go!

 

 

 

Andante con brio

 

 

              - Taxii!

 

- E dai Sherlock…

John prese un gran respiro, abbandonando tutto il peso del suo corpo sulla portiera aperta.
E mentre il collo finiva d’incassarsi tra le spalle, perfezionando la sua posa rassegnata, anche le dita si rassegnarono, lasciando andare le chiavi d’accensione che fino a quel momento avevano schiacciato con forza contro il palmo, come una preda preziosa, facendole scivolare fino all’ultima falange del dito indice. Ad un paio di centimetri dalla caduta.

Lo sguardo invece rimase fermo sulla figura dritta sul marciapiede a qualche metro da lui, con il lungo braccio levato al cielo nel tentativo di attirare l’attenzione di un’ipotetica vettura che sicuramente sarebbe passata lungo Baker Street, prima o poi, ma per adesso non sembrava avere alcuna intenzione di transitare da quelle parti.

Rimase quasi sorpreso quando il suo richiamo lo fece voltare quel tanto da poter incrociare il suo sguardo, ed afferrando al volo l’insperata occasione sguainò la sua occhiata più implorante.

- Per favore, sali in macchina…

Non che pensasse di ottenere alcunché, in realtà.

Era già pronto ad arrendersi, chiudere la portiera, infilare le chiavi in tasca, e mettersi alla ricerca del taxi che avrebbe dovuto condurli al 55 di Hoe Street, distante svariati chilometri da Londra, prosciugando buona parte dei risparmi settimanali stanziati per la spesa, quando l’inaspettato avvenne davanti ai suoi occhi.

Lo vide abbassare lentamente la mano, emettendo uno sbuffo leggero, e quindi dirigersi a passo svelto nella sua direzione, puntando su di lui uno sguardo seccato da sopra il tetto della vettura.

Incrociando quegli occhi accigliati John sentì improvvisamente su di sé la colpa, lui che ogni giorno piegava la propria vita sulla sua, d’esser riuscito a flettere un piccolo angolo al contrario. Per una volta.
Tanto in colpa da sentire l’impellente bisogno di manifestare la sua riconoscenza.

- Grazie.

Lui non rispose. Si limitò ad infilarsi in macchina con una scrollata di spalle a definitiva conferma del suo malumore.

Watson si affrettò ad entrare al suo fianco, agganciò diligentemente la cintura e poi avvicinò le chiavi al quadro, pronto a mettere in moto, quando un dubbio attraversò la sua mente, portandolo a voltarsi preoccupato verso il suo passeggero, che fissava il vetro di fronte a sé con aria apparentemente assorta.
E seccata.

- Preferisci stare al volante?

- Non ho la patente.

La qual cosa non voleva certo dire, ovviamente, che non sapesse guidare.

Ma Sherlock Holmes era piuttosto allergico alle formalità burocratiche.

- Avrei dovuto immaginarlo… Perché perdere tempo per una cosa tanto inutile? Hai i taxi, la metro, gli autobus…

- Ho te.

John fu tentato per un istante di voltarsi a guardarlo, ma poi decise ch’era più saggio continuare a cercare la fessura per le chiavi, che doveva per forza trovarsi da qualche parte sotto lo sterzo, tutt’a un tratto compreso nel suo nuovo ruolo di tassista personale.

- Non mi hai da molto tempo. Prima come facevi?

- Contribuivo in modo determinante all’economia dei trasporti londinesi.

BII BII BIII BIII BIIII

Proprio al culmine di quell’elevata conversazione la macchina iniziò ad emettere uno stridulo lamento, accompagnato dal lampeggiare di un’eloquente spia rossa.

- Sherlock, dovresti mettere la cintura altrimenti-...

Senza aspettare la fine della frase Holmes afferrò la cinghia dietro la sua spalla sinistra, attirandola verso il basso con uno strattone deciso, che prevedibilmente fece scattare il meccanismo di sicurezza, bloccandone lo scorrimento.

StoNK

- È rotta.

Fu la sentenza inappellabile, e le dita erano già pronte a lasciare la presa.

- Non è rotta! Devi solo tirarla lentamente altrimenti si-…

sTOnK

-… blocca…

John prese un altro bel respiro, e poi si slacciò malinconicamente la cintura.
Non avrebbe potuto altrimenti allungarsi davanti a Sherlock, ch’ebbe quantomeno la buona grazia di tirarsi indietro, permettendogli d’infilarsi tra il suo corpo ed il cruscotto, afferrare la sua cinghia, tirarla lentamente verso il basso, ed inserirla infine nell’ancoraggio.

Solo quando anche la cintura di Watson fu tornata al suo posto la macchina smise di strepitare, e lui poté avviare il motore con un sospiro di sollievo.

- Era molto meglio andare in taxi.

Un mezzo sospiro di sollievo.

- Ma stai scherzando?! Da qui al Rose & Crown Pub avremmo speso un patrimonio! E poi già che avevo la macchina di Sarah in prestito…

John la buttò lì.
Cercando di dirlo nel modo più naturale possibile, come se quel nome, quella frase, gli fossero usciti per caso dalla bocca, un po’ sovrappensiero.
Ed ottenendo l’effetto esattamente contrario.

Un paio di decibel in meno, ed un tono appena più alto. Il suono della menzogna è sempre perfettamente riconoscibile nella voce dei pessimi bugiardi.

Quella frase impacciata fu seguita da un lungo silenzio, durante il quale Watson fece finta di seguire la strada, concentrandosi sul traffico. Ma il pollice che tamburellava nervosamente sul volante tradiva la sua impazienza, frustrata dal totale disinteresse del suo passeggero, che dandogli volutamente le spalle manteneva lo sguardo fisso sul finestrino. Come per dispetto.

Riuscì a resistere ancora un paio di minuti, e qualche sorpasso, ma alla fine la curiosità raggiunse il limite,  trovando sfogo nella più vaga delle domande.

- Allora?...

- Allora cosa?

Gli fece eco Sherlock, senza voltarsi.

- Non dici niente?

- Cosa dovrei dire?

John sapeva perfettamente cos’avrebbe dovuto dire. Lo aspettava. Lo sperava.
E non riusciva a spiegarsi come mai non succedesse anche questa volta, come tutte le altre volte.

- Non lo so… È che quando entri in una casa o… in una macchina, solitamente inizi ad elencare tutto quello che c’è da sapere sul proprietario… Quindi pensavo-…

- Pensavi di sfruttarmi per avere informazioni su di lei, giusto?

Giusto.

Come John avesse anche solo potuto sperare che non ci sarebbe arrivato, era un mistero.
Ed il suo maldestro tentativo di negare, fu ancora più misterioso.

Ma c’era qualcosa che lo spingeva a giustificarsi, oggi più del solito.
Qualcosa che si trovava a metà tra quella fronte corrucciata e quella bocca un po’ tirata che fin da quando erano usciti di casa contraevano il volto di Sherlock, costringendolo a negare un’evidenza ch’era apparsa lampante agli occhi di Holmes fin dall’istante in cui aveva posato gli occhi sulla macchina di Sarah Sawyer, parcheggiata esattamente di fronte al 221B.

- M-ma no! Cos’hai capito! È solo che-…

- Non credo proprio.

La sua voce si fece più roca, e Sherlock incrociò le braccia al petto, lasciando che le rughe sulla fronte s’increspassero giusto un po’ di più, e la bocca si tirasse quel tanto da rendere la sua espressione definitivamente imbronciata.

Non c’era niente di ragionevole nel tentare ancora, ma John sentiva l’odore di Sarah sprigionarsi dal sedile, infondendogli il coraggio sufficiente per fare un ultimo, sfacciato tentativo.

- Una cosa sola?...

- Scordatelo.

 

Game Over.

Anche se in realtà il gioco era già finito sul marciapiede di Baker Street, ancor prima di cominciare.

Holmes tornò a mostrargli la nuca. E John si voltò finalmente a guardarlo.

Senza perdere d’occhio la strada, osservò con attenzione quella figura familiare ed insolita allo stesso tempo.
Una giacca di pelle nera troppo larga per le sue spalle ricadeva aperta lungo i fianchi per lasciare in bella mostra di sé una t-shirt bianco sporco non esattamente stirata, infilata alla meno peggio in un paio di jeans consumati sulle ginocchia, ancora una volta troppo larghi, che soffocavano nell’ampio risvolto due scarpe scure ed informi, forse da ginnastica, o forse no.
Dalla testa ai piedi un guardaroba del tutto inappropriato per Sherlock Holmes, ma perfetto per rivestire un attore squattrinato pronto per il provino di Grease.
Eppure sotto quella stoffa lenta e malmessa, e quei capelli tirati indietro che esponevano la sua fronte ampia rendendo l’ovale del volto ancora più affilato, c’era sempre lui.
Watson poteva riconoscerlo anche soltanto da come inclinava la testa dandogli le spalle, con una naturale eleganza totalmente incompatibile col suo attuale abbigliamento.

Sotto la bizzarra superficie traspariva chiaramente la sua consueta personalità.

Almeno per adesso.

 

John non credeva che avrebbe accettato quel caso.

Il milionesimo ricatto sessuale di una stellina cadente dello spettacolo nei confronti di un uomo potente, vizioso, e sciocco al punto da farsi immortalare in un video durante le sue indegne performances sessuali.
Ormai aveva perso il conto di tutte le notizie simili in cui si era imbattuto solo nell’ultimo mese sfogliando il giornale, ed in fondo trovava piuttosto inutile affannarsi a difendere una presunta integrità morale di fronte a questa opinione pubblica che ormai non si scandalizzava più di niente.

Quando un peccato diventa comune, la sua gravità agli occhi del genere umano viene suddivisa per il numero dei peccatori.

Non riusciva proprio a capire cos’avesse spinto Sherlock ad accettare di recuperare quel video. Ma del resto gli sfuggiva anche il dettaglio più significativo, poiché ancora ignorava chi fosse l’illustre vittima della tentata estorsione.
Tutto ciò che aveva astutamente intuito, osservando lo sciame d’uomini in nero che aveva invaso il loro salotto quella mattina, era che si trattava di un uomo molto, molto. Molto importante.

Ma questo non avrebbe dovuto fare alcuna differenza.
Holmes non era certo tipo da asservirsi al potere, né da farsi influenzare da pressioni politiche.

Doveva esserci qualcos’altro.

A parte il compenso.

- Hai già un’idea di dove questa Adler possa tenere nascosto il suo filmino hard?

La domanda traboccò dal flusso dei suoi pensieri. Come se tutto il lungo ragionamento che l’aveva preceduta si fosse svolto sotto forma di un autentico dialogo, e non soltanto nella sua testa.

E proprio quando John stava iniziando a sentirsi simile ad uno di quei nonni un po’ rimbambiti, che non si ricordano mai quando una cosa l’hanno detta davvero oppure hanno solo pensato di dirla, Sherlock gli rispose con tono tranquillo, come se davvero fino a quel momento non avessero fatto altro che parlare, invece che starsene in silenzio a fissare la strada, dandosi le spalle.
Solo un’ombra di disappunto si percepiva ancora nella sua voce, che Watson attribuì al fastidio di dovergli spiegare sempre ogni cosa.

Ma anche questa volta si sbagliava.

- È ovvio John, rifletti. Possiedi un oggetto tanto prezioso da poterti fruttare decine, anche centinaia di migliaia di sterline a giocartela bene. È la tua assicurazione per il futuro, il tuo passaporto per una vita agiata. Ed è piccolo quando un’unghia del pollice. Dove lo tieni?

- Sempre con me.

Quando Holmes ti faceva l’onore di prenderti per mano e condurti passo per passo fino alla vetta del suo ragionamento, tutto sembra improvvisamente evidente, ed incredibilmente chiaro.
Come una luce che si accende in una stanza buia, mostrandoti ciò che prima non riuscivi a vedere, ma che è sempre stato davanti a te.

- Eppure l’hanno già fatta perquisire due volte, senza trovare il filmato…

- Bah. Non l’hanno perquisita bene evidentemente.

- E tu dove pensi di cercarlo?

- Non lo farò.

- Come?...

Per un attimo Watson perse di vista la strada, andando a cercare sul volto del suo interlocutore un’espressione che l’aiutasse a capire il senso di quelle parole.
Ma Sherlock rispose alla sua muta domanda ancor prima che avesse il tempo di pronunciarla.

- Non lo cercherò. Sarà lei a mostrarmi dove lo nasconde.

John aprì la bocca per replicare, ma poi la richiuse, tornando a concentrarsi sul traffico, e su quella stupida Nissan che sembrava proprio intenzionata a tagliargli la strada.
Sapeva che non avrebbe ottenuto altro da lui per adesso.
Era troppo il piacere che Holmes provava nello scoprire lentamente le sue carte, come ogni bravo giocatore, che riserva i colpi di scena per il finale, senza mai svelare i suoi trucchi prima del tempo.

Un semaforo giallo scattò al momento giusto per costringerlo a frenare, riportando definitivamente la sua attenzione sul percorso più rapido da seguire per raggiungere il piccolo teatro del Rose & Crown Pub. Nel bel mezzo del niente.

- Un’attrice di musical…

La cosa lo incuriosiva. E chissà che non avesse incuriosito anche Holmes, dopotutto.

- Scommetto che non hai sprecato nemmeno un po’ di spazio nel tuo cervello per cose inutili come canzoni di musical, vero?

Se non si disturbava nemmeno a studiare il sistema solare…

- Mmhh…In realtà una la conosco.

E John dovette nuovamente voltarsi, a discapito della sua qualità di guida. Perché aveva già capito ciò che stava per succedere dal modo in cui  Sherlock aveva pronunciato quell’ultima frase.

Senza saperlo aveva finalmente fatto la domanda giusta.

- Me la cantava sempre mia madre, prima di mettermi a letto.

Un tono alto e roco. Uguale eppure diverso.
La voce era la sua, eppure non lo era più.
Watson era preparato, lo aveva già visto accadere. Ma ogni volta era sconvolgente allo stesso modo.

Qualsiasi traccia dell’uomo che conosceva sparì improvvisamente sotto i suoi occhi.

Osservò la sua schiena incurvarsi di scatto, aderendo comodamente al sedile.
Vide le gambe allargarsi, le mani acquisire un’improvvisa e disordinata mobilità, e le spalle gonfiarsi assieme al petto, mentre prendeva un ampio respiro, guidando il braccio sinistro fuori dal finestrino aperto in un gesto tanto scomposto quanto naturale.

Ma la cosa più sorprendente erano sempre gli occhi, e l’intera struttura del volto.
Come se sotto la pelle tirata i muscoli prendessero un’altra forma, e diverse abitudini, modellando una nuova maschera sopra la sua identità.

Sherlock Holmes non c’era più.

Al suo posto era comparso un promettente e trasandato attore in cerca d’ingaggio, che si apprestava a dargli prova delle sue qualità artistiche.

E adesso quella giacca di pelle e quei jeans non sembravano altro che un dettaglio, efficace ma superfluo, per rendere perfetta la sua trasformazione.

- Faceva più o meno così!

L’individuo sconosciuto che ora sedeva accanto a John iniziò a battere il tempo sulla portiera, guidato da un ritmo ch’era solo nella sua testa.

       Five Six Seven Eight! *

 

Prese ancora fiato, e senza alcuna esitazione iniziò a cantare.
Sfoggiando una voce bassa e composta.

Ed inaspettatamente intonata.

 

            - Some girls, they like candy! And others, they like to grind!
              Ad alcune ragazze piacciono le caramelle! Ad altre invece piace arricchirsi!
John rimase incredulo ad osservare la sua bocca, ed il suono stupefacente che ne usciva, senza far troppo caso alle parole.

All’inizio.

                        - I'll settle for the back of your hand somewhere on my behind!
                           Io invece propendo per il dorso della tua mano da qualche parte sul mio sedere!
- Checcosa?!

Con buona pace della strada e del traffico circostante, Watson smise di vedere e sentire qualunque cosa che non fosse lui.

E quel testo delirante.

                 - Treat me like I'm a bad girl!
                    Trattami come se fossi una cattiva ragazza!
Impossibile.

- N-non ci credo nemmeno se mi fai vedere il video che tua madre ti cantava questa canzone!...

Protesta inutile, fuori luogo, e del tutto inefficace a mascherare l’imbarazzo.

Non restava che voltarsi e tentare di far finta di nulla, sfuggendo quegli occhi, che ora guardavano dritti verso di lui. Continuando a cantare.

        - Even when I'm being good to you!
          Anche quando sono buona con te!

Assurdo.

Fissava la strada senza vederla, troppo concentrato sulla presenza al suo fianco, che lentamente scivolava sul sedile in direzione del suo orecchio.

                     - I don't want you to thank me! You can just…
                       Io non voglio che tu mi ringrazi! Puoi semplicemente…
Trattenne il respiro, sforzandosi di non deglutire troppo forte.

                                                                           - …Spank me!
                                                                             …Sculacciarmi!
                                                                     SCIAFF

Uno schiaffo deciso, palmo contro dorso, schioccato ad un paio di centimetri dalla sua guancia, che gli fece perdere per un attimo il controllo del volante.

          - Uh huuuuu!

Folle!

- Oh, dio…

La macchina sbandò appena, rientrando subito nella propria corsia con una brusca sterzata.

L’impressione dall’esterno doveva essere senza dubbio quella di un ubriaco al volante.

              - Please don't call a doctor! 'Cause there's nothing wrong with me!
                Per piacere non chiamare un dottore! Perché non c’è niente di sbagliato in me!
Oh beh. Su questo avrebbe avuto decisamente da ridire, in quel preciso momento.

Ad ogni nuova strofa, lo spazio tra loro si faceva più esiguo.
E pur senza avere il coraggio di voltarsi, John non poté fare a meno di chiedersi quanto ancora si sarebbe avvicinato.

         - I just like things a little rough! And you better not disagreee!
             A me piacciono semplicemente le cose un po’ rudi! E tu farai bene a non contraddirmi!
Magari solo un altro po’.

      -'Cause I don't like a big softie! NO! I like someone mean and bossy!
         Perché a me non piace un gran rammollito! NO! Mi piace qualcuno scortese ed autoritario!
Fino a…

                          - Let me speak to you frankly! You better-...
                            Lascia ch’io ti parli francamente! Farai meglio a-…

 

SCCCCCREEEEEEEEECCHHHH

 

L’intravide appena in tempo, con la coda dell’occhio.
Un alternarsi di bianco e grigio sul terreno, ed un fagotto giallo che interrompeva la sequenza. Proprio in mezzo alla carreggiata.
Il piede scattò d’istinto sul freno, inchiodando le ruote sull’asfalto, mentre le due cinture ben allacciate facevano il loro sporco dovere, bloccando l’inerzia dei loro corpi, che del tutto impreparati al contraccolpo furono scaraventarti senza grazia contro il parabrezza.

 

sToNK

 

Cercando da qualche parte il coraggio di alzare la testa, John restò immobile con la fronte china sul volante.
Quando il suo sguardo terrorizzato superò l’orizzonte del cruscotto, facendo forza sul collo dolorante, si scontrò con la rassicurante figura perfettamente integra di una vecchia signora, avvolta nel suo cappotto color canarino, distante solo qualche centimetro dal muso della vettura.
Quella fragile donna che doveva avere qualcosa come centododici anni, e sembrava intenzionata a viverne altrettanti, conficcò due minuscoli occhi iniettati d’odio nei suoi, mentre sollevava con enorme sforzo delle braccia rinsecchite il suo bastone da passeggio.

Watson ebbe appena il tempo di tentare di scusarsi, alzare le mani in segno di resa ed iniziare a scuotere la testa.

- No la prego signora! Non-!...

SBAM

Il lungo pezzo di legno crollò inesorabile sul cofano, lasciando in ricordo del loro brevissimo incontro una sottile ma ben visibile ammaccatura, per poi tornare a roteare in aria minaccioso, mentre dalla bocca grinzosa della sua proprietaria usciva una vocina stridula. E nient’affatto spaventata.

- Villani! Teppisti!

John lanciò uno sguardo disperato a quella piccola rientranza nella vernice grigia prima di chiudere ancora gli occhi, ed accasciarsi nuovamente in avanti.
L’impatto della fronte sul volante non fu totalmente indolore, ma la sua mente era già fin troppo impegnata con l’immagine distinta del volto di Sarah, in piedi di fronte alla sua Ford quasi nuova, che fissava su di lui gli stessi occhi iniettati d’odio.

Stupidamente, si ritrovò a domandarsi come mai fosse successo tutto questo proprio a lui.
E l’ovvia risposta lo portò a ruotare lentamente la testa, senza neanche prendersi la briga di sollevarla dal volante, lanciando verso il solo ed unico responsabile, sempre e comunque, di tutti i suoi guai un feroce sguardo omicida.

Ma il vigliacco fece finta di non accorgersene.
Preferì guardare da tutt’altra parte sistemando indietro i suoi riccioli scuri, che nel contraccolpo erano nuovamente scivolati sulla fronte, mentre dalla bocca usciva la sua solita voce pacata.
Terribilmente irritante.

 

- Le piace bere Cosmopolitan.

 

 

 

Note:

1. Iniziamo col dire ciò…
Questa è la prima ed ultima volta che mi arrischierò a fare una cosa del genere.
Al di là dell’enorme fatica e difficoltà che ha comportato, trasporre l’opera di Doyle in chiave moderna è un compito che spetta unicamente agli sceneggiatori BBC, e certo non a me, che amo pasteggiare lautamente del loro eccelso lavoro, senza null’altra pretesa. Quindi non leggete questa storia come un tentativo personale di modernizzare Uno Scandalo in Boemia, perché non era questa la mia intenzione quando mi sono messa a scriverla.
Pur mantenendo il contesto originale – dal quale non si può prescindere se si vuole raccontare l’incontro tra Sherlock Holmes ed Irene Adler- ho usato del racconto solamente ciò che mi era utile, tralasciando, accorciando ed ignorando tutto quello che non era necessario a portare avanti la mia idea.
In sostanza ho ricomposto  ed elaborato solo gli aspetti di cui ‘vedevo’ la versione moderna, senza preoccuparmi d’inserire tutti gli ingredienti originali.
Insomma…ho piluccato!
E non è stato facile. Perché non c’è niente di più difficile che tentare di sottintendere i passaggi di un giallo.
Per questo spero di non aver fatto troppa confusione, e prego che persino chi non ha letto Uno Scandalo in Boemia (cosa ci fate ancora lì?! Di corsa!) possa capirci qualche cosa.

2. Avrete sicuramente notato che ho operato un’inversione di nascondiglio dell’oggetto compromettente che Holmes è stato mandato a recuperare.
Anche nel racconto originale la Adler è stata perquisita sia addosso che nella sua abitazione senza che le due ricerche abbiano prodotto alcun risultato, e la deduzione di Holmes su quale delle due perquisizioni sia stata mal eseguita si basa principalmente sulla dimensione dell’oggetto da nascondere.
Da qui nasce la mia idea per l’inversione.
Se nel 1888  Holmes trova obiettivamente difficile nascondersi addosso una fotografia formato album, giungendo così alla conclusione che sia la casa, e non la donna, a celare lo scabroso scatto, nel 2011 al contrario i nostri mezzi di codificazione d’immagine e video sono diventati minuscoli, quindi Sherlock, pur facendo il medesimo ragionamento, giunge all’opposta conclusione, e bolla come inaccurata la perquisizione fatta sulla stessa Irene e non più quella fatta nella sua abitazione.

3. Spero che tutte/i abbiate beccato l’asterisco all’inizio della performance di Holmes. Il pezzo in cui si cimenta è una canzone di Madonna, intitolata Hanky Panky, che fa parte della colonna sonora del film Dick Tracy.
Ritengo sia inutile dirvelo ma… Ovviamente è una balla che la madre gli cantava questa canzone quando era piccolo! XD Per quanto siano molte le ipotesi fanon su una stravaganza estrema dei genitori Holmes, io non sono una fervente sostenitrice della teoria.
Sherlock sta entrando nel personaggio, e si sta costruendo mentalmente anche un passato plausibile, ricercando i motivi per aver scelto il mestiere d’attore.
Nella prima serie BBC questo suo aspetto di trasformismo ed abilità recitativa viene appena accennato, ma è invece un aspetto che ricorre spesso nei racconti di Doyle, ed in particolar modo nel caso Adler è il perno attorno al quale ruota l’intera storia, quindi è stato mio piacere –e fatica- mettere in mostra il suo talento, inscenando una sua trasformazione.
È proprio il trasformismo infatti il terreno sul quale i due avversari si affrontano in questa vicenda.
Se ci pensate bene, il tutto si riduce al sapere ‘chi è chi’, fin dall’inizio.
Il racconto si apre con un misterioso uomo mascherato, che non vuole rivelare la sua identità, e tutte le azioni d’avvicinamento di Holmes alla Adler avvengono sotto copertura. Dietro una maschera.
Infine, lei stessa infligge il suo colpo da maestra all’avversario sotto un’insospettabile travestimento.
Nella mia storia ho tentato di amplificare questo aspetto, sfruttando il diverso mezzo di comunicazione –telefilm VS libro- che mi ha dato in un certo senso un vantaggio, perché in un’opera televisiva c’è un’implicita presenza di finzione/recitazione che in un’opera letteraria è invece assente.
Se nel racconto abbiamo il personaggio Holmes che finge di essere chi non è, qui abbiamo un attore (Benedict Cumberbatch), che finge di essere Holmes, che a sua volta finge di essere un attore.
Se l’originale è un gioco di maschere, il mio è piuttosto un gioco di matrioske. Ogni volta che ne apri una pensi di essere arrivato all’ultima bambola, finché non scorgi una piccola fessura all’altezza del seno.
Non è un capriccio né un caso che io abbia trasferito la vicenda nel mondo del teatro.
Ho scelto di mettere in scena la mia commedia nell’unico luogo al mondo nel quale la finzione è realtà.

4. La Adler in originale è solo una cantante d’opera, ma io l’ho trasformata in un’artista più completa, assorbendo all’interno della sua professione anche il suo talento recitativo.
Un attore di Musical deve saper ballare, cantare e recitare allo stesso tempo. Mi è parso che fosse una perfetta trasposizione moderna del personaggio di Doyle, così come il Musical è in qualche modo la versione moderna dell’Opera. (Avrò comunque modo di parlare della Adler e della mia idea di lei molto più approfonditamente quando entrerà in scena).

5. Il misterioso personaggio che ingaggia Holmes per recuperare il suo filmino hard nella mia storia rimane sconosciuto, a differenza dell’originale. O meglio… rimane sconosciuto a Watson (e quindi al lettore) visto che invece Holmes sembra aver capito di chi si tratti.
Mi è parso meglio lasciarlo nell’ombra piuttosto che tirare in ballo Principi Alberti di Monaco ed altri figuri realmente esistenti come faccio di solito, perché in questo caso meno se ne dice più il ‘carato’ del personaggio aumenta. Potrebbe essere un Blair, oppure il re di Spagna, o chissà chi altro.
Se non lo dici, l’immaginazione può volare molto in alto. Se lo dici, è come sminuirlo.

6. Spero che nessuno di voi abbia pensato anche solo per un istante che Sherlock Holmes non sia in grado di allacciarsi da solo una cintura di sicurezza...
Sa benissimo come allacciarla, così come sa benissimo perché John vuole per forza farlo salire sulla macchina di Sarah, e tutto ciò che succede dopo, canzoncina compresa, non è altro che il suo modo di mettere il broncio.

7. Last but not least… i più attenti di voi forse avranno notato che la pettinatura scelta da Sherlock per la sua interpretazione è quella con cui l’Holmes canonico viene di solito rappresentato nelle illustrazioni.
Paradosso nel paradosso -e matrioska nella matrioska- Sherlock è più (fisicamente) simile al suo originale letterario quando finge di non essere se stesso, piuttosto che quando invece lo è.

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Capitolo 2
*** Vivace ma non troppo ***


Disclaimers: I personaggi da me trattati appartengono in primis a Sir Arthur Conan Doyle, che ha avuto la grazia d’inventarli alla fine del 1800, in secundis alla BBC ed ai suoi ottimi sceneggiatori che hanno deciso di riadattare l’originale in chiave moderna, in terzis (non so se esiste) agli attori Benedict Cumberbatch e Martin Freeman, che hanno dato loro le fattezze e l’interpretazione che mi hanno ispirato questa storia.

PreScriptum Premesso che ognuno i personaggi di un libro se li deve immaginare come preferisce, perché gran parte del bello sta proprio in questo (e preso atto che l’attrice cui è stato assegnato il ruolo della Adler nella seconda serie è già stata annunciata) mi permetto di darvi una piccola hint personale sull’aspetto di questa donna nel 21esimo secolo secondo me.
Io Irene Adler nel 2011 la immagino così, e l’ho immaginata così mentre la raccontavo.
Quando ho scelto questa foto -ritoccata da me medesima, come potrete facilmente notare dall’appiccicottume- non sapevo neanche che questa fosse un’attrice piuttosto famosa (recitava anche in Dr House…) ed a dire il vero, come spesso capita –luce, angolazione, fondotinta, visagista- ci sono alcune foto in cui si avvicina moltissimo alla mia idea, e altre in cui, come direbbe Johnny Stecchino, nun ce somiglia penniènte.
L’unica cosa di cui sono certa è che nell’ immagine che vi ho proposto lei rappresenta ciò che avevo in testa pensando ad una Irene Adler moderna (e nelle note vi spiegherò anche perché).
Tutto il resto è noia.
Buona lettura!

ProMemoria Non dimenticatevi la faccenda della traduzione dall’inglese bianco su bianco e degli asterischi cliccabili, mi raccomando.

 

 

  

 

Vivace ma non troppo

 

 

 

      
       TOC TOC

 

Il piccolo ingresso sul retro del Rose & Crown Pub non somigliava nemmeno vagamente all’entrata di un teatro, per quanto piccolo.
Dava più l’idea di essere un magazzino per gli attrezzi, o l’uscita secondaria dei locali cucina, con quella porta malmessa i cui acciacchi testimoniavano un uso tanto frequente quanto sgarbato.

Del resto l’intero edificio non presentava un aspetto migliore.
Era il tipico pub inglese tirato su in un vecchio palazzo ottocentesco costruito quasi del tutto in legno, e quindi particolarmente soggetto al deterioramento.
I proprietari non si davano una gran pena nel mantenere la struttura, convinti come molti che i segni del tempo siano tanto più affascinanti quanto più risultano marcati agli occhi dell’avventore. Poco male se s’imbatte in strati di polvere alti due dita depositati qua e là tra un vecchio arredo e l’altro.
Fa atmosfera anche quello.

Sherlock rifilò due colpi decisi a quel vecchio legno, per poi incrociare le braccia dietro la schiena, divaricando appena le gambe in una posa d’attesa.

Al suo fianco John finì d’infilarsi le chiavi della Ford in tasca, puntando il naso verso la logora locandina teatrale che resisteva appesa a quell’anta per qualche invisibile sortilegio.
I nomi degli artisti erano ormai stati cancellati dalle intemperie.
Solo il titolo dello spettacolo, scritto con vistosi caratteri rossi, campeggiava ancora sul lucido sfondo nero.

NINE.

Watson tese l’orecchio, tentando di cogliere un qualunque segno di vita all’interno dell’edificio, ma non appena si udì un distinto rumore di passi dietro la porta Holmes sollevò di scatto la testa, come se si fosse improvvisamente ricordato di una cosa importante, e poi si mise a correre nella direzione opposta a quella da cui erano venuti, sparendo dietro l’angolo del pub senza neanche dare a John il tempo di voltarsi.

- Sherlock! Dove stai andando!

- Devo prima fare una cosa.

La sua voce lo raggiunse a stento, coperta dal suono ben più distinto di una chiave che girava nella serratura.

- Aspetta! Non lasciarmi qui da solo! Dimmi almeno cosa devo!-...

Non riuscì a finire la frase. Dallo spiraglio che si era appena schiuso davanti a lui emerse la graziosa testa piena di boccoli rossi di una ragazza giovanissima, quasi una bambina, che alzò su di lui due enormi occhi verdi, rivolgendogli un allegro sorriso.

- Tu devi essere quello del provino, giusto?

Sbagliato.

- Ah! No!...Non sono io! Cioè… Non sono lui! Lui… sta arrivando! È andato un attimo a prendere una cosa! Io sono soltanto-…

Watson ci pensò un attimo, abbassando gli occhi a terra per sfuggire quello sguardo curioso.

- … il suo autista!

E nel pronunciare quelle parole fu pervaso da un’incredibile calma, tornando a fissare senza timore quel viso paffuto tempestato di lentiggini che accolse le sue parole con un altro grande sorriso, ed un nuovo e più intenso entusiasmo.

- Cavoli! Se ha già un autista dev’essere famoso!

In un certo senso…

Ma questo John non lo disse, si limitò a pensarlo tra sé e sé mentre ricambiava quella calorosa accoglienza con un’occhiata amichevole.

- Entra pure! Gli lasciamo la porta socchiusa!

Seguendo quel folletto rosso oltre la soglia Watson si ritrovò in un locale totalmente scuro, di cui non riusciva ad indovinare le dimensioni. Ma anche senza l’ausilio della vista percepì chiaramente d’essere appena entrato in un ambiente molto più grande di quello che poteva sembrare dall’esterno.

Gli occhi iniziarono presto ad abituarsi al buio, mettendo a fuoco la sua giovane guida, ferma qualche passo avanti a lui con un dito puntato verso il fondo della sala.

- Finiamo questa prova e poi vi faccio fare un giro del teatro ok?

Quasi come se qualcuno avesse sentito le sue parole, un riflettore si accese all’improvviso proprio nel punto da lei indicato, illuminando con un intenso fascio di luce l’esile figura immobile al centro del palco.

Era seduta su una sedia, a gambe divaricate.
Una cascata di capelli bruni ricadeva fin quasi a terra dal suo capo chino, coprendole interamente il volto e gran parte del busto.
Le braccia pallide, sottilissime, sembravano come schiacciate al suolo da una gravità opprimente, che le attirava verso il basso trascinando con sé anche il piccolo tamburello cavo che stringevano tra le dita.

L’intero corpo era così perfettamente inerte, e così ripiegato su se stesso, da fargli pensare per un istante che in quelle membra non ci fosse più vita.
E John istintivamente trattenne il fiato, lasciandosi abbagliare dalla luce.

In attesa.

              Cinque, sei sette, otto! *

 

Lei si mosse adagio.

E fu come se dai suoi movimenti scaturisse la musica.

Lenta. Ritmata. Scandita dai suoi passi senza peso, finalmente liberi dalle catene di quella gravità che fino a pochi istanti prima la tratteneva al suolo, costringendola al silenzio.

Molto lentamente sollevò la testa, liberando lo sguardo. E John lo sentì conficcarsi dritto nel suo, anche se era del tutto impossibile che potesse vederlo da quella distanza, completamente immerso nel buio. Ma la ragione esponeva inutilmente i suoi ottimi argomenti, zittita da quella danza assordante che riempiva gli occhi, ed annullava il pensiero.

Lei non cantava.
E non ne aveva bisogno.

Il suo corpo cantava per lei, pronunciando senza voce le sue parole.

                             So you little english devil…
                             Allora piccolo diavoletto inglese
Pareva proprio di sentirle, osservandola avanzare sul palco, portandosi dietro la musica.

               You want to know about love?
              Vuoi sapere qualcosa dell’amore?
Che cresceva ad ogni suo passo.
Accompagnato dal sibilo delicato dello strumento nelle sue mani.

SSSHHhh

                                           Saraghina will tell you
                                           Saraghina te lo dirà
Maestosa.

Non c’era nulla in quell’incedere apparentemente distratto che fosse fuori dal suo controllo.

                If you want to make a woman happy…
                 Se vuoi rendere felice una donna…
Elegante.

Anche nei movimenti improvvisi.
Quelli che non ti aspetti, e che t’incatenano al desiderio di scoprire dove hanno intenzione di condurti.

                                      …You rely on what you were born with
                                      … Affidati a quello con cui sei nato
Delicata.

Come le membra sottili che disegnavano nell’aria la sua storia.

                               Because it is in your blood.
                                Perché ce l’hai nel sangue.
Potente.

Ogni volta che sotto la pelle i muscoli si tendevano con forza, mostrando sotto la liscia guaina la vera natura del suo corpo armonioso.

Un’anima d’acciaio rivestita di porcellana.

                                      When you hold me don’t just hold me but hold… THIS!
                                      Quando mi stringi non stringermi soltanto ma stringi… QUESTO!
Sfacciata!

         Hahahahahaha!

E crudele.

Nessuna pietà in quello sguardo abbagliante, che costringeva a socchiudere gli occhi.

                                                        Be a singer!
                                                        Sii un cantante!
Canta per me.

                             Be a lover!
                            Sii un amante!
Muori per me.
Mostrami di che cosa sei capace.

                                          Pic the flower now before the chance is past!
                                          Cogli il fiore adesso prima che l’occasione sia passata!
Non avrai nessun’altra occasione.

                 Be italian!
                Sii italiano!
Trova il coraggio da qualche parte. Non abbassare lo sguardo.

 

                                          Live today as if it may…
                                                                    …become

                                                            your last!
                                          Vivi questo giorno come se potesse essere l’ultimo!

 

Esattamente com’era iniziata, di colpo la musica finì.
Tutti i riflettori della sala si accesero nello stesso momento, e John si ritrovò ai piedi del palco, del tutto incapace di ricordare come ci fosse arrivato.

Doveva aver camminato nell’oscurità senza neanche accorgersene. Verso di lei.

Assieme alla luce tornarono i sensi, ed assieme a loro emerse l’improvvisa sensazione di una presenza al suo fianco.

A fatica staccò gli occhi dal centro della scena, scontrandosi con il profilo di Sherlock, che chissà da quanto tempo si trovava in piedi accanto a lui.
Ad osservare.

Ma non ebbe il tempo di domandarglielo.

Alle loro spalle spuntò il terzo ed ultimo componente dell’esiguo pubblico, che come loro aveva ammirato in perfetto silenzio lo spettacolo, ed ora fissava il palcoscenico con occhi adoranti.

 

- IRENE!

 

Il suo nome rimbombò su ogni parete della sala mentre lei si voltava, posando lo sguardo sulle tre buffe figure ferme ai suoi piedi col naso all’insù.

Ora ch’era così vicina, John non ebbe più nessun dubbio.
Lo aveva intuito subito, fissando quella sagoma gracile e distante accartocciata su se stessa. Ma ora che vedeva chiaramente il suo viso, ed aveva il suo sguardo davanti, ne era certo.

Quella era la donna più bella che avesse mai visto.

 

Solitamente, la bellezza è negli occhi di chi guarda.

La sua invece era lì, addosso a lei
Sfacciata e composta allo stesso tempo.

Solo qualche ora prima, a Watson era parso così terribilmente sciocco l’uomo potente e misterioso che si era fatto incastrare tanto facilmente.
Adesso, non si sarebbe stupito neanche scoprendo che quella donna era l’amante di un re.

- Non è bravissima?!

L’allegra esclamazione della piccola ammiratrice ricevette come ricompensa un benevolo sorriso.

- E dovreste sentirla cantare! Ha una voce meravigliosa!

In due passi Irene fu sul bordo della ribalta e vi discese con un salto, fermandosi proprio di fronte a lui.

- Ha recitato anche a Broadway qualche tempo fa, lo sapevate?!

Neanche ora che l’aveva a qualche centimetro di distanza John avrebbe potuto dire quanti anni avesse.
La sua pelle senza un segno la faceva sembrare una ragazzina, eppure nelle sue movenze, nelle espressioni, ed in quegli occhi dal colore indefinibile c’era l’odore di una donna matura, che ha calcato un numero infinito di palcoscenici.

Il suo corpo minuto, rivestito solo da un paio di calze scure ed un corpetto che le fasciava il busto e le braccia, sembrava quello di un’adolescente.

Watson si accorse troppo tardi che la stava fissando in modo sfacciato, senza dire niente. E le parole uscirono senza un ordine preciso, mentre le porgeva maldestramente la mano rigida come legno, improvvisando una penosa presentazione.

- M-mi scusi tanto signorina! Ecco io-… sono John!

Di cosa si stesse scusando esattamente, non lo sapeva neanche lui.
Probabilmente era per aver tenuto qualche istante di troppo gli occhi su quella fascia, cercando di capire se ci fosse qualcos’altro sotto. Oltre i suoi seni.

Lei gli sorrise, stringendo la sua mano con una presa inaspettatamente decisa, ed allo stesso tempo gentile.

- Piacere di conoscerti, John.

Era proprio vero.
Aveva una voce splendida, anche quando non cantava.

Ed ancor più inaspettato della sua stretta, senza neanche una punta di malizia.

Riuscì a ricambiare quel sorriso forse un paio di secondi, e poi fu costretto ad abbassare la testa.

Accadeva di rado che non riuscisse a sostenere lo sguardo di qualcuno.
Ma ultimamente, stava succedendo fin troppo spesso.

Oro.
Era senza dubbio l’oro il colore dei suoi occhi.

Watson lasciò andare quelle dita quasi subito, ritirandosi con un gesto imbarazzato, e negli istanti successivi fu troppo impegnato a guardarsi la punta delle scarpe per accorgersi della rapida occhiata che lei scambiò con il suo spettatore più silenzioso prima di dar loro le spalle, dirigendosi verso una porticina sulla destra del palcoscenico.

Quando John tornò a sollevare lo sguardo, stava già sparendo dentro quel piccolo buco nero, e la bocca si dischiuse appena un po’, pronta ad emettere un sonoro quanto inopportuno sospiro.

 

sCIaFF

 

D’improvviso la base della sua nuca fu sferzata da un colpo secco, a mano aperta, abbastanza deciso da rovesciargli la testa in avanti, ma non abbastanza forte da scatenare una reazione di difesa.

Ed infatti John non reagì. Si limitò a girarsi sorpreso verso il punto da cui lo scappellotto era partito, massaggiandosi il collo ammaccato.

 

- Ahio!

 

Esclamò fissando con una smorfia risentita il responsabile di quel gesto violento, che senza degnarlo della minima attenzione manteneva lo sguardo fisso su quella piccola porta ormai vuota.

- AHIO!

Tanto per ribadire il concetto.

Ma Holmes non sembrava affatto interessato alle sue proteste, e dopo qualche istante si mosse nella direzione in cui puntavano i suoi occhi, sparendo rapidamente oltre la soglia.

Watson non lo seguì subito.
Rimase ancora un po’ con la sua espressione contrariata, la sua incredulità ed il suo collo umiliato, chiedendosi se fosse il caso di seguire una signora in quello che per posizione e dimensioni aveva tutta l’aria di essere uno spogliatoio, fino a quando una voce alle sue spalle non giunse a ricordargli che non era rimasto solo.


- Allora! Lo facciamo questo giro del teatro?

 

John si girò verso quel sorriso, mentre terminava di prendere la sua decisione.

- No ti ringrazio… io ora devo-…

Doveva, già.
Si scusò con un cenno del capo, senza riuscire a dire altro.
E poi s’incamminò dietro di lui.

 

                                       Come sempre.

 

 

 

 

 

 

 

Note:

1. La canzone che Irene balla e di cui spero abbiate scovato l’asterisco rivelatore è un brano che fa parte del musical NINE, ispirato al film di Fellini 8 1/2 .
All’inizio ero partita con l’idea di farle cantare un pezzo del musical RENT, ch’è la trasposizione moderna della Boheme di Piccini (per ovvie ragioni), poi però ho trovato questo pezzo particolarmente adatto ad Irene, perchè la figura della Saraghina nel film è quella di colei che insegna i segreti dell’amore e della sensualità a chi non ne ha mai avuto esperienza.
Lei per il ragazzo protagonista è la cosa più vicina ad un rapporto sessuale che abbia mai avuto, un po’ come –secondo me- la Adler rappresenta la cosa più simile ad un’attrazione ‘normale’ che Sherlock abbia mai provato in vita sua.
Non starò qui a farvi la parafrasi del testo, perchè non voglio essere noiosa più di quanto io già non sia, ma mi limiterò a sperare che vi siate accorti/e da soli/e quanto le strofe della canzone da me usate (che non sono tutte, ovviamente) siano adatte all’incontro tra Holmes e la Adler, e rappresentino allo stesso tempo un sunto ed un presagio di ciò che sta per accadere.

2. Questa nota è la prosecuzione ideale della n°4 dello scorso capitolo, in cui avevo brevemente accennato alla mia scelta di trasformare la Adler da semplice cantante ad attrice/cantante/ballerina.
In realtà ci sono altri motivi oltre a quelli già citati, solo che non potevo svelarli prima che lei fosse entrata in scena per non anticipare (e quindi sciupare) una parte della sua descrizione.
Come avevo già detto, in lei ho voluto accorpare tre arti piuttosto che una, e nessuna delle tre è stata scelta a caso.
Il canto è già un’idea di Doyle, e mi sono limitata a riprenderla. La recitazione è il fulcro del racconto, seppur non praticata per professione. Il ballo invece è un mio personale innesto, che pur non trovando riscontro nell’originale è l’unica delle sue doti artistiche che Irene mette apertamente in mostra.
Ho scelto la danza, e non il canto, né la recitazione, prima di tutto  per sottolineare il ruolo centrale della fisicità di Irene, evidenziando fin da subito su quale piano, e con quali armi si svolgerà lo scontro tra lei ed Holmes.
Ma l’ho fatto anche per un altro motivo.
Il corpo di una ballerina è una sorta di ossimoro vivente, che riunisce in sé fragilità e potenza.
Una danseuse a riposo sembra un uccellino affamato,  fragile come quel suo corpo tanto esile da dare l’impressione di potersi spezzare da un momento all’altro solo a guardarlo. Ma non appena lei si metterà a danzare chiunque l’osserva si accorgerà che quelle membra sottilissime nascondono sotto la pelle una muscolatura d’acciaio, indispensabile per poter sostenere l’enorme fatica del ballo.
Questa contraddizione tra ciò che appare fuori e ciò che invece c’è dentro secondo me rappresenta l’involucro perfetto per colei che possiede “il volto della più bella fra le donne, e la mente del più deciso fra gli uomini.” Anche Irene, come una ballerina, mostra caratteristiche esteriori femminili in opposizione ad un’interiorità virile, che svela solo al momento dell’azione.
Questa commistione di grazia e potenza è lo stesso parametro che mi ha guidato nella scelta del suo viso (vedi foto linkata all’inizio del capitolo).
Ho selezionato quell’immagine dopo una lunga ricerca, perché volevo una donna di una bellezza sfacciata (Irene Adler non può essere solo carina, o semplicemente affascinante, lei è la più bella fra le donne, mica cavoli! Eh.) che però avesse dei lineamenti complessi, non univoci. Non ‘troppo’ femminili.
Occhi intensi, ma non eccessivamente grandi, una bocca sottile, ed una mascella quasi mascolina, molto squadrata, spalle ampie, pochissimo seno. Ci sono una serie di componenti ‘forti’ e vagamente maschili nel viso e nel corpo di questa donna, che non per questo perde un atomo di sensualità e bellezza.
Non si può dare ad Irene Adler il volto di una bambolina, come ad esempio quello dell’attrice che l’interpreta nei film di Ritchie, con i suoi grandi occhioni languidi, le piccole labbra carnose e mille boccoli ad incorniciarle il viso.
Praticamente Barbie Victorian. O Mary Morstan.
Non va bene.

Irene è femmina, ed è bellissima, ma dev’essere di una bellezza regale, non certo graziosa.

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