Once an Avenger, forever miserable

di OceanOfDarkness
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Issue #0 - Nel buio, un lampo ***
Capitolo 2: *** Issue #1, Part 1 - Business Only ***
Capitolo 3: *** Issue #1, Part 2 - Kickstart ***
Capitolo 4: *** Issue #1, Part 3 - Foolproof ***



Capitolo 1
*** Issue #0 - Nel buio, un lampo ***


Questa città è il mio rifugio. Conosco tutte le strade, tutti gli angoli appartati. Conosco la vita dei dimenticati e dei disperati, ed è a loro che penso mentre vago sotto queste lune artificiali, sicuro del fatto che io – io – avrò un posto dove dormire. Cibo. Luce. Acqua calda. Potresti fare molto per aiutarli. È la voce nella mia testa che si diverte a giocare con le mie certezze. Potrei, è vero. Ma solo se tornassi alla vita prima di tutto – prima dei tradimenti e degli scontri, dei dissidi e delle lotte, dei soldati morti per una giusta causa e di quelli caduti invano. Ma questo è sempre successo. Quante guerre hai vissuto? Quanti milioni di persone hai visto morire? Perché questa volta è diverso, ti paralizza, ti toglie il respiro? Perché quella guerra civile ha toccato tutti noi. Steve e Tony, certo. Il Capitano e Iron Man. Ma è troppo facile pensare solo ai leader, dimenticando i ragazzi che hanno lottato nell'ombra. Qualcuno non c'è più. Altri sono rimasti sfigurati nello spirito. È il passato. Abbandonalo. Il passato è la mia maledizione. La memoria del dolore, di un dolore lungo secoli che non scompare mai. Respiro. La strada è buia – più del solito. E silenziosa. Troppo per una trappola come si deve. Sento i passi alle mie spalle. Sorrido. Continuo a camminare. Chissà se hai ancora i riflessi pronti. Di sicuro i sensi non sono peggiorati: sento la pistola che viene estratta dalla fondina. Succede tutto così in fretta – di puro istinto – che non guardo il suo volto. Penso alla mano che regge la pistola, la afferro – il mio pollice preme il polso, la presa si allenta. Una frazione di secondo e la pistola è in mano mia, premuta contro la sua testa; lei – perché è una lei, lo vedi? - schiacciata contro un automobile, il braccio piegato dietro la schiena. Sa di essere immobilizzata, non si divincola.

Natasha.

La mia esitazione mi costa caro – Natasha è il tipo che approfitta sempre di ogni opportunità. Sfugge alla mia presa e tira fuori un'altra pistola. Sorride.

"Messicana". Mi ha sempre sorpreso il suo italiano limpido, senza accento. D'altra parte è il suo dovere. È una spia e non deve lasciare tracce.

"Non è una messicana, tesoro. Sono più veloce di te". Non abbassa l'arma né lo sguardo. Okay, giochiamo.

"Cosa vuoi?"

"Lo sai che con me non funziona così, Phil".

"Non chiamarmi Phil. Lo odio". Contraggo la mascella, d'istinto. Grave errore. Mai lasciar vedere ad una spia la tua irritazione.

"Scusa. Comunque hai ragione. Non è una messicana. Quella pistola funziona solo se la uso io".

Cazzo. Ecco cosa succede a uscire dal giro: ci si dimentica di tutti i giocattoli più belli. Sei un coglione. Lo so.

Porgo la pistola a Natasha cercando di non fare una faccia da imbecille. Lei non me lo fa pesare. Sorride sotto la cascata di capelli rossi. Cerco di non farmi assalire dai ricordi. Le missioni insieme. Quella volta che mi ha venduto ai coreani. Bei ricordi.

"Non stai mica pensando ai coreani?" - mi si legge in faccia, vero?

"Non solo. Posso offrirti qualcosa?"

"Certo". Mette giù la pistola. Ormai ha la mia attenzione, sa che la ascolterò fino in fondo.

 

Camminiamo fino a casa mia in silenzio: lei detesta i convenevoli e io non ho voglia di cominciare con le domande. Meglio lasciarle la prima mossa. Cammina a testa alta, mezzo passo dietro di me. Sospetto che conosca la strada, ma non è il caso di metterla alla prova. Mi accorgo che mi è mancata, in questi anni. Le piccole cose, s'intende. Come ora, che entra nell'ascensore e dà le spalle allo specchio. È sempre sul filo, Natasha: non sai mai quale dei suoi mille personaggi ti sta mostrando. Per questo ogni lampo di verità, di autenticità da parte sua è un premio enorme. Cretino, hai la bocca aperta. Non se ne è accorta, dai.

 

La luce nella stanza è fioca. Non so perché, crea un'atmosfera migliore. Fra me e Natasha un tavolo nero – lei mi guarda, io ricambio. Tocca a te, bella.

"Ho una proposta". Alleluja. Mi rilasso sulla sedia, le faccio cenno di continuare.

"Un gruppo di superumani di qui ha chiesto l'assistenza dello S.H.I.E.L.D. per lottare contro la criminalità organizzata. Noi non abbiamo agenti disponibili – nessuno di qualificato, perlomeno. Ci servi te".

"Per fare cosa?"

"Fare da ponte fra lo S.H.I.E.L.D. e questo gruppo italiano, coordinare la missione, allenarli, gestire le strategie...un po' di tutto".

"Perché io?"

"In molti ti rivorrebbero indietro, sai".

"Mi sembra strano. Mai stato bravo a farmi le amicizie giuste". Colgo una smorfia di disappunto sul suo volto. Non è così che doveva andare, a quanto pare. Bene. Insisto.

"Tu lo sai perché me ne sono andato, no?". Annuisce frettolosamente. "Anche se è passato del tempo io non dimentico. Tony ci ha traditi. Tutti quanti. Lo S.H.I.E.L.D. ha sempre cercato di servirsi di me. Non sono più un Vendicatore. Forse non lo sono mai stato. Non sono un agente S.H.I.E.L.D., non sono un vostro uomo".

Un sospiro. Natasha è impaziente. "Tutti sono riusciti a guardare avanti. Perché tu no?", mi dice. Ottima domanda.

"Non lo so, Natasha. Non lo so e non so se sono pronto a tornare. Non so perché dovrei tornare".

"Che alternative hai? Cosa fai qui?"

"Vivo una vita normale. O ci provo. Non è poco".

"Non ti manca quello che avevi?". Ci siamo. Il tasto dolente. Prendo un respiro di troppo prima di rispondere.

"Sì. Sì, mi manca. Ma sopravvivo anche senza". Le sfugge un mezzo sorriso. Non mi crede. E fa bene. Ci vuole un bugiardo per rompere una bugia. E io sto mentendo. Al di là del peso degli anni, delle guerre, dei ricordi, di tutto – sono felice che lei sia qui.

"Non voglio metterti pressione, daragòi". Fa una pausa studiatissima. Sa che adoro quando parla russo. "Perciò ti propongo questo: vieni con me. Incontriamo questi ragazzi, sentiamo cos'hanno da dire e decidi. Liberamente. Ci stai?"

"Ho scelta?"

"Sempre". Ma mentre lo dice forza un sorriso. Sa che non è vero, che ho già deciso. Fuck. Si ricomincia.

 

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Capitolo 2
*** Issue #1, Part 1 - Business Only ***


Fanculo gli austriaci e le loro moto di merda. Due ore ad arrancare dietro a Natasha, che si muove senza sforzo fra tornanti e accelerazioni – mentre io sono qui che sbuffo e impreco nella mia testa. Si vede la mano dello S.H.I.E.L.D., in ogni caso: prototipi KTM targati in codice, due belle bestie da corsa scomode quanto un letto di pietra. Spero per loro che ne valga la pena. Una cosa l'ho capita: devo rimettermi in forma.

"Rallenta, Nat" – siamo collegati per radio, mica parlo da solo. La posso quasi sentire sorridere. Non rallenta.

"Seguimi. Ci siamo quasi". Ah, quindi ora sono il bambino rompiscatole che si lamenta durante i viaggi?

 

Natasha imbocca una stradina fra gli alberi e a momenti la perdo di vista. Non ho il tempo di protestare: tre curve e poco lontano appare un castello. Un castello? Mi sa che questi ragazzi hanno letto troppi brutti libri. Spero che sia pieno di passaggi segreti, di quelli che si attivano con tre accordi di pianoforte o spostando un libro. Smontiamo dalle moto (trappole, altro che moto) e Natasha mi passa il travestimento più goffo che io abbia mai visto: un cappellino e degli occhiali da sole. E non sono neanche Rayban.

"Augmented reality, infrarossi, termovisione e qualche altro accessorio. Brevetto Stark".

"Li posso tenere quando abbiamo finito?"

Neanche mi guarda. È in modalita business only. Mi prendo una piccola rivincita fissandole intensamente il culo. Bel culo. Vorrei chiederle se gli occhiali hanno anche i raggi X, ma cavolo se sarebbe una battutaccia.

 

Veniamo accolti da un gruppo di persone. Tredici, conto al volo. Mi aspettavano – ovviamente. Sono in fila di fronte a noi, e mi sforzo di non sorridere: molti sono giovani, si vede. Non sanno dove guardare. Natasha mi dice i loro nomi da due soldi. Butterfly, Nightingale, Tricolore, Capitan Ombra, La Voce, Vulcan, Lampo, Sathanas, Metallico, Liberté, The Future, Boudicca, El Che. Tutti davanti a me, in costumini da due soldi, troppo sgargianti per essere veri. È una candid, penso, forse la battuta più scontata che potesse venirmi in mente. Sono dei dilettanti allo sbaraglio. Mi schiarisco la voce.

"Chi è il leader?". Si fa avanti una ragazza. Butterfly, mi ricorda – comprensivo – il display degli occhiali. Ha le cosce nude e due occhi grandi, sarà sulla ventina ma a me sembra fin troppo giovane. E non è la più piccola qui.

"Che cosa sapete fare?". Troppo aggressivo? Non sembra intimidita. Pianta i piedi e mi guarda dritto.

"Sappiamo lottare".

"Non vi basterà". E lo vedremo, se sapete lottare. "Non avete esperienza".

Non prende fiato, risponde con l'arrogante innocenza di chi non ha ancora vissuto.

"Impariamo in fretta. E non siamo tutti alle prime armi. Siamo buone spie, ci sappiamo difendere, sappiamo cosa fare e soprattutto perché. Siamo pronti".

"Dimostramelo". Il colpo arriva, ma alle spalle – sento un gomito conficcato nella schiena, vado giù. Natasha. Una capriola, sono in piedi e carico a testa bassa. Para due pugni, non il terzo. Di sinistro, dritto al costato. Non affondo il colpo per non romperle una costola. Si morde il labbro per non gemere. Non sono così fuori forma, dopotutto.

Torno a guardare i dilettanti. "Dovete sapere a cosa andate incontro. Dovete essere preparati. Aver paura di me ancora prima di quello che vi aspetta là fuori. Perché io vi cambierò. Vi farò male. E voi imparerete qualcosa. Allora vi colpirò di nuovo. E imparerete ancora. Volete sapere un segreto?" – prendi tempo, respira. Sei un leader, sei dalla loro parte. Ricordalo – "Non si è mai pronti. Mai. Se abbassi la guardia sei morto. Se non pensi alle conseguenze muore un tuo compagno, un amico, un innocente. Se non ti alleni a sufficienza mandi tutto a puttane."

"Noi non..." Butterfly si lascia scappare due sillabe e si ferma. Riesco a vedere le sue pupille che si dilatano – si morde le labbra e deglutisce. Silenzio. La ignoro.

"Davanti a voi avete una storia terribile. Ogni giorno nel mondo muore un eroe, e il mondo non se ne accorge. Tira avanti, non c'è tempo e non c'è voglia di fermarsi a piangere. Nessuno vi ringrazierà. Tutti vi ostacoleranno. Non è un gioco: le pallottole sono vere e lo saranno sempre. La domanda non è se io accetterò di lavorare con voi. Sono qui e sto spendendo il mio tempo: ho già deciso". Un fruscio alle mie spalle. Natasha si è mossa. Strano, non era una novità per lei – a meno che non dubitasse di me fino a questo punto. Da che pulpito.

"La vera domanda è: siete sicuri? Siete decisi come non mai nella vostra vita? Perché dal momento in cui ci accordiamo, non c'è ritorno. Non c'è via d'uscita. È servizio a vita, o morte". Tante teste chine davanti a me. Giusto così. Hanno una montagna da scalare. Tricolore guarda un punto oltre la mia testa. Ha le braccia lungo i fianchi, le gambe ben piazzate. Non ha paura. L'avrà.

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Capitolo 3
*** Issue #1, Part 2 - Kickstart ***


Nota: per ovvie ragioni di semplicità tutti i dialoghi sono in italiano, anche quelli che a rigor di trama dovrebbero essere in inglese. L'aspetto e ogni altra caratteristica di Natasha Romanoff, Joystick, Scorpion e Deadpool sono di esclusiva proprietà di Marvel Comics. I nomi e ogni altra caratteristica di personaggi creati sono inventati e, se presentano somiglianze con personalità reali, ciò è del tutto casuale.

 

"Non credere che mi faccia piacere essere duro. Ma sai meglio di me che illuderli è sbagliato". Natasha è girata, tiene il volto nascosto per non farmi vedere le sue reazioni. Respira profondamente prima di rispondere.

"Fra illuderli e qualsiasi cosa tu abbia fatto prima c'è un abisso, Ocean. Un abisso".

"Già. È il mio stile. Lo sapevate. E non sono cambiato. Non in questo".

"Ne riparleremo. Ora ti metto in contatto con Hill". Hill. Maria. Quasi mi ero dimenticato di lei. Non che sia un male. Maledetta spia. Cerco di mascherare l'irritazione, ma in ogni caso Natasha sta trafficando con un qualche congegno marchiato Stark Industries e non bada a me. Scatta sull'attenti quando sullo schermo appare il volto di Maria Hill. Mi scappa un mezzo sorriso. Lo schermo è pieno di scritte – di dati sull'ambiente, sulla temperatura, sull'interlocutore. Maria Hill, deputy director of S.H.I.E.L.D. – come se non lo sapessi. A volte Stark ci tratta come bambini. Idiota. Natasha parla in russo, troppo velocemente perché io riesca a seguirla. Ma si gira appena due o tre volte verso di me. Non la sento mai pronunciare il mio nome. Tocca a me. In piedi, di fronte allo schermo, guardo Hill negli occhi.

"Ocean".

"Hill".

"Bentornato". Attende una mia reazione che non arriva. "Romanoff mi stava raccontando del tuo piccolo show". Sorrido. Non sono compiaciuto – semplicemente solo un'idiota chiamerebbe Natasha Romanoff. "Non farmi pentire di averti richiamato". È il momento.

"Se non sei pentita ora, potresti esserlo fra poco. Come forse Romanova", e ci metto tutte le cattive intenzioni possibili per farle notare il suo errore, "ti avrà accennato, ho delle condizioni". Pausa. Bene così: ora è lei in silenzio.

"Per prima cosa, tecnologia di livello S.H.I.E.L.D. per tutto il team. Voglio il pacchetto completo, niente scherzi. Secondo, io non sono sotto il controllo dello S.H.I.E.L.D., non prendo ordini diretti e non accetto interferenze. Da questo momento in poi mi sento libero di condurre questa missione come meglio ritengo senza timore di ripercussioni". Abituato a studiare Natasha per ogni minimo segno di una reazione, Hill è un libro aperto. Contrae la mascella e dilata le narici. Sguardo fisso. Un vero militare. "Vai avanti", mi dice. Troppo buona.

"Nei vostri registri non deve figurare per nessun motivo il nome Ocean. Quella persona non esiste più e, se tornerà, lo farà senza preavviso. Il mio nome da ora in avanti è Ghost. Non chiedere il perché". Annuisce.

"Ora, parliamo del team di supporto..."

"Ti metto in contatto con Tony". Respiro a fondo, cacciando l'aria dentro i polmoni. Non parlo con Tony Stark da qualche anno e l'ultima volta che ci siamo visti la sua armatura è quasi andata distrutta. Non farlo arrabbiare. Fai il bravo politico.

"Tony". Chino leggermente la testa. Ricevo in cambio un sorriso finto.

"Tony, ho dei nomi. Persone che voglio qui". È immobile. Mi prendo un secondo per osservarlo. Non sembra invecchiato, e si trincera dietro espressioni costruite. Un politico, appunto.

"Carmilla Black – Scorpion. È un'agente S.H.I.E.L.D., no?". Annuisce. "Al momento Black è libera da altri incarichi. È tutta tua".

"Olivia Yanizeski". "Chi?". "Joystick. Dei Thunderbolts". Un lampo di sorpresa, smorzato immediatamente al punto da sembrare quasi un tic alle sopracciglia.

"Joystick sta scontando un periodo di riabilitazione post-detenzione e..."

"Appunto. Ve la tengo d'occhio io, la rendiamo utile e la reintegriamo fra i buoni".

"Non è così semplice, ammesso che io sia d'accordo". Non è d'accordo. "Ci sono permessi di trasferimento da firmare e far approvare, uffici da informare...lo sai come funziona. Vai avanti".

Mi scappa un mezzo sorriso. Non gli piacerà l'ultimo nome.

"Deadpool".

"Fammi capire. Tu vuoi affidarti a una spia, ad un'ex supercriminale e a un mercenario psicotico incontrollabile?"

"Pare che queste compagnie mi si addicano. Cos'è che dice il file S.H.I.E.L.D. su di me? Che sono un..." – fingo di non ricordare. È un bell'assist, Tony. Non sprecarlo.

"Sadico arrogante egomaniaco con disturbi della personalità". Sorrido. Anche lui, quasi.

"Tony, c'è stato un periodo in cui eravamo qualcosa che si poteva definire amici. Se io sono qui, parlando in tutta tranquillità con te e con Hill, è perché voglio sedermi a un tavolo, esaminare il passato e decidere cosa conta e cosa no. Sono il primo a volermi lasciare alle spalle le cose che ho visto e che ho vissuto".

"Non si direbbe". Non avevo finito. Stringo i pugni, fuori dal campo visivo di Stark. Stark il politico, l'affarista, o il supereroe?

"Abbiamo combattuto insieme. Io questo non lo dimentico. Non sarò mai stato un Avenger a tutti gli effetti, lo ammetto. Ma sono pronto, per il bene di questa missione, a fare un passo indietro su determinati atteggiamenti che posso aver tenuto nel passato. E a tendere la mano".

"Nessuno è più felice di me di sentire questo. Ma capisci la mia posizione. Se tu non riuscissi a controllare i tre che vorresti al tuo fianco, le possibili conseguenze sarebbero disastrose. Disastrose, capisci".

"Sono pronto a garantire io per loro".

"Garantirò io". Avevo dimenticato che Natasha fosse ancora qui. Non capisco – cosa vuole fare?

"Vedova, non credo che..."

"Lasciamelo fare, Tony. Ne vale la pena. Garantisco io per tutti loro".

"Bene. Domani avrete i tre pazzi e il materiale. Buona fortuna". Schermo nero. Tipico di Stark: andarsene pur di non mostrare una reazione. Questo pensiero mi trattiene appena un istante, ma è quanto basta a Natasha per uscire dalla stanza di corsa. Provo a seguirla, inutile: scomparsa. Tanto vale pensarci domattina.

 

Notte di sogni confusi. Un bel mix di memorie che non aveva senso da nessuna angolazione. La prima cosa che faccio appena mi alzo è mettere gli occhiali da sole. Un po' perché non ho una maschera e un po' perché, fra le altre cose, il display mi dice quanto manca all'arrivo del mio team. Due ore. Sbuffo e scendo le scale – le stanze sono al secondo piano, gli ambienti comuni al primo.

"Buongiorno". La voce di una ragazza. Mi giro e gli occhiali mi avvertono che è The Future. Devo ricordarmi di ringraziare Stark.

"Buongiorno, Future".

"Chiamami Melissa". Sorride. Ricambio. È bionda, un po' insipida. Il nasone non aiuta.

"E tu chiamami Ghost". Niente nomi veri, vorrei dirle. "Come mai The Future, in ogni caso?"

"Beh, perché sono giovane e perché penso che tutti i giovani debbano contribuire alla costruzione di un..."

Sbotto a ridere. "Quando vorrai raccontarmi la vera storia ti ascolterò volentieri. Come mai non hai la maschera?".

"Oh, sai, non penso che la dovremmo portare sempre. In fondo siamo un gruppo, no?"

"Se una cosa la sanno in due non è più un segreto. E la tua identità potrebbe interessare a qualcuno..."

"Vivo qui e non ho famiglia".

"Mi dispiace, non sapevo".

"Non potevi saperlo – e non ti preoccupare. La colazione ti aspetta nel salone e...Natasha mi ha detto di dirti di non cercarla".

"Ha detto così?"

"Mh-mh".

"Sai dov'è andata?".

Scuote la testa. Sorride per tutto il tempo, mentre camminiamo verso il salone. Mi lascia solo davanti ad un piatto di biscotti al cioccolato. Sì. Sono nel bel mezzo di un salone, dentro a un castello nel centro Italia, mangiando biscotti al cioccolato.

Un'ora e mezza ancora. Mi alzo e mi ritrovo davanti Melissa – mi stava aspettando?

"Mi chiedevo se ti andasse un po' di allenamento..."

Annuisco. Non che io non apprezzi i suoi tentativi – anzi. Ma spero che non sia sempre così. La seguo fino alla training room, che poi è uno stanzone con qualche attrezzo (due quadri svedesi alle pareti, pesi sparsi qui e là, un trampolino e un cavallo) e i tatami sul pavimento. Non siamo soli. Liberté – un omone di colore tutto muscoli – si sta accanendo contro un sacco da pugilato. Il suono dei suoi pugni rimbomba, è fin troppo ritmato.

"Senti se vuole allenarsi con noi". Melissa gli va accanto, lui fa subito sì con la testa.

"Okay, un piccolo esperimento di lavoro di squadra. Voi due contro di me. Pensate ad una strategia e adattatela se non funziona. Nessun colpo proibito". Mi riscaldo guardandoli di sfuggita. Fra i due è Liberté che dà gli ordini. Ottimo. Mi fanno cenno di essere pronti. Li aspetto, immobile. Melissa va subito qualche metro alle mie spalle – ad uno sguardo di Liberté si avvicinano entrambi. Ormai sono a un metro e mezzo. Stringo i pugni, guardando fisso davanti a me e ignorando Melissa dietro...o almeno così credono. Concedo loro un altro passo e colpisco. Un calcio, il mio piede sul petto di Melissa. Zero secondi per reagire, una capriola nella direzione opposta per evitare le mani di Liberté che spostano l'aria. Lo invito ad avvicinarsi, lui carica. Quanta inesperienza. I suoi pugni sono potenti e precisi, ma terribilmente lenti. Scarto lateralmente ogni volta – sinistra, destra, sinistra. Si concede un sorriso. È il momento: altri tre pugni, altri tre movimenti. Sinistra, destra, destra – sono di fianco a lui e quasi non mi vede. Pugno nelle costole, calcio destro al ginocchio, gomito destro sullo sterno. È giù. Melissa mi piomba addosso con un salto, ma io non sono più lì. A mezzo metro da lei, lo spazio che serve per un gancio sinistro. Si abbassa, è veloce e mi atterra, ma le cingo la vita con le gambe e la ribalto. Spalle a terra. Le afferro il braccio destro per...due mani gigantesche mi afferrano per le spalle e mi lanciano lontano. Atterro dignitosamente, rotolando subito in piedi. Fermi. Ansimano. Io no. Il display degli occhiali dice cinque minuti all'arrivo del team. Sorrido e lascio la stanza: basta lezioni, per il momento.

 

Due agenti S.H.I.E.L.D. scaricano del materiale dal jet atterrato sul retro del castello: una spianata minuscola, ma l'aereo può decollare e atterrare in verticale. Dovrò farmi dare i progetti, sembra utile. La prima a scendere è Joystick. Olivia. È di nuovo bionda, un bel miglioramento. E muscolosa, come il costume di pelle lascia intravedere fin troppo facilmente. Gran lottatrice. Dietro di lei Carmilla. Non la conosco, e mi sento idiota a notare solo i capelli verdi. Il costume le copre il volto fino al naso, ma lascia scoperta la pancia. Esibizionista. Nel frattempo Olivia mi bacia la guancia con le sue labbra enormi, poi torna al suo bagaglio. Siamo di poche parole. Meno male che quell'altro compensa. A proposito, dove...

Mi giro di scatto solo per vedere Deadpool che mi piomba addosso. Con un ginocchio sul petto mi inchioda a terra, con l'altro piede mi schiaccia il polso destro.

"Vaffanculo".

"Ocean, Ocean, Ocean. Ti sono mancato? Sì? No? Mi annoiavo a casa. Lavori, lavoretti, lavorucci. Logan. Odio Logan. E lui odia me, e quindi non mi fanno fare niente. Ora ci divertiamo, sì?"

"Deadpool".

"Sono io".

"Levati-di-dosso".

"Oh. Ooh. Certo".

Se qualcuno ride lo ammazzo. Non Deadpool, ovviamente. Lui non si può ammazzare. Il che lo rende ancora più irritante.

"Sai, è stato carino da parte tua lasciarti atterrare".

"Aspetta, io non..."

"Dico, essendo tu il protagonista e tutto quanto..."

"Eh?"

"...ed essendo quasi a fine capitolo, non ti rubo altro spazio. Vai pure avanti".

Non sono sicuro che colga il mio sguardo assente da dietro gli occhiali. Ora capisco perché Stark me li ha spediti a velocità record.

Una mano tesa mi risveglia da quest'incazzatissima ipnosi.

"Carmilla. O Scorpion. O Greenie. Come vuoi tu".

Ricambio la stretta. "Ghost. Piacere. Riesci a tenere a bada il matto per qualche minuto?"

Approfitto del break per rientrare nel castello. L'ampia tavolata del salone è coperta di strumentazione – schermi, occhiali, maschere, qualche arma. Prendo posto, gli altri sono già seduti: mancano Scorpion e Deadpool, arrivano immediatamente. Butterfly e Tricolore si alzano – uno sguardo d'intesa che dura un attimo, abbastanza per farmi capire che il discorso è preparato.

"Per prima cosa vorrei ringraziare ufficialmente lo S.H.I.E.L.D. e i suoi agenti per il supporto che ci hanno offerto". È Tricolore a cominciare, ha un vocione un po' anonimo e un costume che rivela la sua ammirazione per Capitan America. Comprensibile. Il mantello stona però. Non mi sembra il caso di interromperlo per spiegare che non sono un agente S.H.I.E.L.D..

"Da qualche mese abbiamo cominciato a lottare contro la criminalità che controlla questo paese. Piccoli gesti, magari, ma che hanno significato un cambiamento per un paese abituato a subire senza reagire". Deadpool tamburella freneticamente con le dita sul tavolo. Odia i populismi gratuiti. Non è l'unico.

"Nel frattempo abbiamo cercato quante più informazioni possibili sui nostri nemici, per cercare di prevedere le loro mosse e colpire più duro. Ora abbiamo qualcosa in mano" – Deadpool mi dà un calcio sotto al tavolo e ridacchia. Okay, il doppio senso l'ho capito anche io, ma perché non può stare fermo? – "ed è come un secondo inizio. Butterfly, a te per i dettagli".

Sorrido quando Butterfly fa un passo avanti. Se lo merita, dopo che l'ho maltrattata ieri.

"Nella notte di domani una nave da carico attraccherà a Bari. Porta metalli preziosi e risorse minerarie dall'est e stando a quello che si dice è una transazione fra un gruppo greco-macedone e il clan dei Semerano. I Semerano sono protetti dalle amministrazioni locali...se riuscissimo a fermare questa transazione, i loro programmi a lungo termine sarebbero pesantemente danneggiati. Solo noi possiamo farlo – e dobbiamo farlo. È fondamentale non farci notare, né al porto né sulla nave: serve un team piccolo. Suggerimenti?". Tocca a me.

"Io e Deadpool, di sicuro. E quattro dei vostri. Li conosci meglio di me, la scelta è tua". Annuisce. Forse riuscirà a non odiarmi.

"Oltre a Tricolore e me, direi Nightingale e Capitan Ombra. Se non ci sono obiezioni". Interessante.

"Quanto agli altri" – aggiungo – "Joystick e Scorpion vi alleneranno". "Bene. Si parte domani alle diciassette. Debrief". Giusto che sia Tricolore ad avere l'ultima parola.

"Sarà una passeggiata". Deadpool è in piedi di fianco a me.

"Speriamo". 

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Capitolo 4
*** Issue #1, Part 3 - Foolproof ***


Hey, Joe, ma dove vai con quella pistola in mano?

La voce calda di Jimi Hendrix riempie il jet. Ogni tanto mi scappa un respiro più lungo, più profondo, più importante. Mi aggiusto la maschera – è nuova: piccola e nera, non copre un granché ma mi piace. Ho tirato i capelli indietro, anche se non sono Clark Kent. Ora che ci penso è lo stesso stile di Loki. Non che ci sia rischio di fare confusione. Loki. Direi proprio che non è il momento per i ricordi. La punta di uno stivale affianco al mio piede mi riporta alla realtà. Nightingale sta facendo stretching. Incrocio il suo sguardo, piccoli occhi castani su pelle olivastra. Ci scambiamo un sorriso.

Me ne andrò lontano a sud, dove posso essere libero...

È Tricolore a pilotare. Era nell'esercito? Senza i giocattoli di Stark a darmi conferme posso solo tirare a indovinare. In un angolo del mio campo visivo Deadpool gesticola a tratti – non ci rende partecipi della sua conversazione. Meglio così.

"Destinazione raggiunta in quattro minuti e trenta".

Hey, Joe, è meglio se scappi ora...

Cala il silenzio.

"Noi pensiamo alle guardie, tu e Deadpool ci coprite. Va bene?". L'idea di vedere Butterfly in azione mi solletica. Annuisco. Sarà la terza volta che lo ripete.

 

L'atterraggio del jet è un istante di clunk metallici, ma poteva andare peggio. Con un po' di fortuna ci portiamo via il carico prima dell'alba. Abbiamo un'ora e mezza. Ci sono dieci capannoni davanti a noi, è il sesto che ci interessa – o meglio, il suo contenuto, scaricato da una nave greca poche ore fa. Io e Deadpool imbocchiamo un passaggio a sinistra, sul retro delle costruzioni. Un nuvolone copre la luna.

C'è una guardia dal nostro lato, a tracolla porta un fucile AKM. Non può notarci a occhio nudo. Raccolgo un sasso. Cinquanta metri dalla guardia – ancora troppo lontani. Deadpool è dietro di me, e ammetto che mi rende sicuro. Ci avviciniamo, ma è un rischio. Quaranta metri. Lancio il sasso in una lunga parabola che scavalca la guardia e atterra alla sua destra. Si gira, è distratto. Innervosito, pure. Scuote la testa mentre divoro lo spazio che ci separa. Quando finalmente mi vede è troppo tardi. Un passo più lungo e gli sono addosso – mano sinistra a stringere la canna del fucile, uno strattone verso di me, perde la presa per una frazione di secondo e si prende tre pugni secchi al costato. Mi faccio da parte e non guardo Deadpool che lo accoltella al petto. Missione compiuta.

 

No! Spari dall'interno del magazzino, urla confuse, gemiti di dolore! Deadpool sfonda la porta sul retro con un calcio ed è così idiota da prendersi in pieno mezzo caricatore. Tocca a me. Otto nemici. Mi rifugio con un salto dietro ad una cassa, prego che regga. Armati in cinque, tre ricaricano. Bella merda. Vengono da me – no, è Tricolore che spara adesso, vanno giù in due, va giù anche lui. Colpito alla spalla, mi dico. È vivo. Sfrutto l'occasione senza pensarci troppo. Quello più vicino a me ha quasi ricaricato il fucile, se riuscissi a...sì! Un colpo a mano aperta glielo sbalza di mano. Gli afferro il braccio, scivolo alle sue spalle e lo spingo contro una raffica frettolosa. Quello che gli spara spalanca la bocca e manda giù un sorso di saliva: è l'ultima cosa che fa, un proiettile mi sfiora l'orecchio e lo centra in mezzo agli occhi. Deadpool. Un coglione mi punta il fucile contro e anziché sparare si avvicina. Vuole che alzi le mani? È troppo vicino – il mio piede arriva al suo mento. Sweet dreams. Sono in tre. Nessuno di loro è armato. Al centro un uomo, pochi capelli neri e la pancia contenuta a stento da una maglietta. Le due guardie hanno un passamontagna e tanti muscoli. Quella a destra si muove, è un fulmine. Un fulmine con le tette. E lancia un coltello verso la mia testa. Lo afferro al volo per il manico e lo lancio indietro. È l'altra guardia a cadere. La donna si gira e comincia a correre mentre l'altro sta ancora a mezz'aria, punta la porta sul retro. Capitan Ombra le si para davanti, ma le gambe tremano e il costume grigio scuro è macchiato di sangue. Lei non va per il sottile – lo butta giù con un placcaggio e scappa nella notte. Deadpool tiene sotto tiro l'unico superstite, io corro ad assistere Ombra e gli altri.

Li trovo tutti riversi a terra, feriti. Respirano, ma è l'unica positiva. La gamba destra di Butterfly ha almeno due proiettili dentro, c'è sangue ovunque. Tricolore è ferito alla spalla e al fianco. Nightingale geme piano, si tiene la pancia con la mano rossa di sangue, ha una scheggia di legno conficcata sopra il ginocchio.

"Hey!" - Deadpool chiama e io mi giro di scatto, temendo il peggio. Invece è sempre lì, con la pistola puntata su quell'uomo grasso e sudato. "Lo sai chi è questo?". Scuoto la testa. "È il boss. Supermario". "Semerano. Cazzo. Bel colpo. Che ne facciamo?". Deadpool spara. Lo schizzo di sangue sul suo costume e il tonfo del corpo a terra sono la fotografia di una notte del cazzo.

 

I feriti sono sul jet – le casse recuperate dal magazzino finiscono su un secondo aereo portato qui da due agenti S.H.I.E.L.D., e nessuno parla. Anche Deadpool tace. Per due volte vorrei prenderlo a pugni e per due volte mi fermo ancor prima di cominciare. Arriviamo al castello ed evito ogni sguardo – non è colpa mia, non è colpa mia, non è colpa mia. Lascio che gli altri si prendano cura dei feriti, lascio Deadpool a qualsiasi cosa voglia fare e chiudo la mente. Scarico le casse, apro la prima.

 

Holy shit. Vibranio. Vibranio di Wakanda. Ancora più domande e dubbi di prima.

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