'Cause nothin' lasts forever, even cold November rain.

di axlrosespack
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Niente che non fosse uguale a ieri, ci ha cambiati. ***
Capitolo 2: *** Ragazzo, perché hai abbandonato i tuoi rametti? ***
Capitolo 3: *** Ciao mamma, mi sono innamorata. ***
Capitolo 4: *** Dio mi ha concesso solo otto ore e mezza per essere felice. ***
Capitolo 5: *** Sentivo un vuoto disperso. ***
Capitolo 6: *** And it's hard to hold a candle, in the cold November rain. ***
Capitolo 7: *** Allora non finire mai di fumarla, perché un giorno la finirai e dovrai buttarla. ***
Capitolo 8: *** Quella sera sarebbe stata forse l’ultima prima di perderlo. ***
Capitolo 9: *** Chiudi quello che c'è di me come una goccia di sudore nella tua fascia rossa. ***
Capitolo 10: *** 'Cause nothin' lasts forever, even cold November rain. ***



Capitolo 1
*** Niente che non fosse uguale a ieri, ci ha cambiati. ***


Niente che non fosse uguale a ieri, ci ha cambiati.
 
 
September 25, 1979.
 
 
Guardavo dalla finestra la prima pioggia di Settembre scendere dal cielo, mentre sentivo la mia angoscia salire lungo la gola.
23:55.
Sdraiata sul mio sobrio letto a pensare: mancano cinque minuti al mio compleanno. Cos'è domani? E' il mio compleanno. Cos'ha di diverso quel giorno? Niente, scenderà solo della pioggia in più.
23:59.
M'infilo sotto le coperte, conto i secondi che mancano alla mezzanotte. Quattro, tre, due, uno, zero.
00:00.
Beh, tanti auguri, hai compiuto 16 anni, sei sempre la stessa stupida, buonanotte. Spengo la candela.
 
07:45.
Scendo le scale, come se dovessi farlo per forza.
Quella cucina buia, mio padre che legge il giornale, mia madre con una stupida tazza di cioccolata calda. Sul tavolo un posa cenere pieno zeppo di sigarette.
 
Tanti auguri! Sei diventata grande! - Se ne ricorda solo mamma.
 
Grazie, buongiorno. Non sono diventata grande, sarò sempre la stessa stupida finché starò qui. - Rispondo io.
 
Che simpatica. Non mangi niente? - Incoraggia mia madre.
 
Mi accompagni a scuola? - Questo era quello che desideravo.
 
Lo sai che devo lavorare, che cazzo di domande fai? Vacci a piedi, sono due passi. - A 43 anni, questa è mia madre.
 
Posso andare al concerto degli Iron Maiden? - Era forse un sogno.
 
Tu sei impazzita! Chi ti ci accompagna? Dove sono i soldi? Smettila per favore. - Mamma.
 
Il regalo per il compleanno sarebbe stato un passaggio a scuola, grazie. Buona giornata. - Io.
 
08:00.
Dove cazzo è il mio ombrello? - Parlo fra me e me.
Prendo un giornale, me lo metto in testa e corro.
Un chilometro separa la mia casa dalla scuola.
Corro cercando di ripararmi sotto i tetti delle case che si trovano in stradine piccolissime.
Arrivo davanti la scuola e fisso. Ci sono circa 1500 ragazzi. Chi bacia la propria ragazza, chi è buttato in un bar, chi fuma l'ennesima sigaretta, quasi tutti con una sigaretta in mano, chi si nasconde nei vialetti per farsi.
 
08:15.
Entro in classe.
Ciao, ciao, ciao! Tanti auguri, ti voglio bene. Auguri! Auguri! Auguri! - Voci dei miei compagni.
Grazie a tutti. - Rispondo io.
 
Dalle 08:20 in poi, fisso la finestra, per cinque ore.
Guardo la pioggia che scende, così angosciante, così rilassante.
 
13:15.
Esco da scuola, fuori diluvia. Non importa, è una giornata uguale alle altre.
Corro per le strade strette, cercando di ripararmi sotto i tetti delle case, di nuovo.
Street St. Louis, numero 17, quella è la mia casa.
Mi soffermo a guardare quelle due noiose case, 17 e 18. I vicini del numero 18.
Una grande quercia divide le due case. Poggiato alla quercia c'è un ragazzo, il ragazzo del numero 18.
Alle 13:30 è sempre lì, a buttare rami d'albero nel lago. A 17 anni è un ragazzo bellissimo, il più bello che abbia mai visto, forse. Sarebbe quasi la perfezione per una persona asociale come me. Ha i capelli rossi, lunghi. Indossa sempre la sua bandana rossa intorno alla fronte. Poggiato al tronco dell'albero con una gamba distesa e una in corrispondenza del petto. Ogni giorno sta sempre lì, con un rametto in bocca e con uno in mano, pronto a lanciarlo nel lago. Si chiama W. A. Rose. So solo questo di lui, non c'è mai stato un rapporto in più.
A me non interessa. E poi figurati se guarda una come me.
Penso solo che quel ragazzo abbia un sogno, difficile da realizzare, ma non impossibile.
 
Entro in casa. La porta cigola. Sempre le solite facce deludenti.
 
Vuoi mangiare? Il piatto è lì, sennò ti arrangi. - Incoraggia mia madre.
 
No. - Mi avvio verso le scale, per andare nella mia stanza.
 
Ah! Eccola qua! La solita! Va nella sua stanza su quello stupido letto e ci sta tutta la giornata. Usi questa casa come se fosse un albergo! Neanche il giorno del tuo compleanno riesci a stare insieme a noi. Vai, vai, che fai meglio e non farti vedere. E dopo ci sono i piatti da lavare. Pulisci la tua stanza che è una giungla e leva quei dannati vestiti da quella sedia che ci stanno dall'anno scorso. - Mia madre.
 
E' questo quello che volevi? Cosa ci sto a fare con voi? Mi butto sul divano come le mie sorelle che sembrano guardare un film horror? Stamattina ti ho chiesto di accompagnarmi a scuola, era per stare un po' insieme, visto tutto il tuo lavoro. E stare insieme significherebbe lavare i piatti? - Finisce sempre così.
 
Mio padre mi guarda con rabbia, quegli occhi cupi, e la sua personalità rovinata da quella barba e da quella sigaretta.
 
Vattene in camera tua. - Conclude mia madre.
 
Era quello che stavo facendo. E alla conclusione ci sei arrivata da sola. Trascorrete con allegria il resto della giornata, io vado a godermi la pioggia più disperata delle vostre facce, almeno mi consolerò. Grazie. - Concludo acidamente, o almeno credo.
 
Salgo le scale.
Non metto a posto la stanza, né tolgo i vestiti da quella dannata sedia.
Il mio letto sa cosa poggerà su di lui.
Metto uno dei miei LP degli Iron Maiden mentre guardo il cielo grigio e la pioggia rilassante.
 
23:55.
Tra poco non sarà più quella data.
Cinque, quattro, tre, due, uno, zero.
Cos'è cambiato? Un cazzo, ecco cos'è cambiato. Avevi ragione, alla stessa ora, con la stessa pioggia. Sono passati 16 anni, la pioggia non mi abbandona, neanche l'angoscia.
 
Alle 00:05 il ragazzo con la bandana rossa è ancora lì, poggiato all'albero, i suoi rametti non sono cambiati, neanche la sua espressione è cambiata, il suo sogno non è svanito.
Ah.
Dimenticavo.
Chi lo sa perché lo so.
Oggi è anche il compleanno di quel ragazzo.
Niente che non fosse uguale a ieri ci ha cambiati.

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Capitolo 2
*** Ragazzo, perché hai abbandonato i tuoi rametti? ***


Ragazzo, perché hai abbandonato i tuoi rametti?
 
 
1st October, 1979.
 
Il cielo piange lacrime acide anche stamattina, non vuole smetterla più.
 
13:15.
Esco da scuola, niente ombrello, è andato a farsi fottere.
Sembra che questo cielo scuro ce l'abbia con me, si è aggiunto anche lui.
Grandina.
Comincia a buttare rabbia su di me.
Cazzo.
Prima o poi la finirete di avercela tutti con me? 
E tu cielo, quanti urli maledetti hai ingozzato ieri sera dagli umani per incazzarti così?
Mi metto seduta su un muretto, mentre aspetto che il cielo si sfoghi sull'asfalto e vomiti tutta la rabbia che ha dentro.
 
13:45.
Non vuole smettere, è evidente.
E non smetterà.
Apposto. Tanto a casa è più scuro di quanto sia qui ora.
 
14:00.
Vedo una luce.
Sono i fari di una macchina.
Ora riesco a vederla meglio.
E' un pick up rosso, quasi sverniciato, messo maluccio.
Si ferma.
Sarà per me?
Si abbassa lentamente il finestrino, vedo una mano che fa movimenti come per dire "vieni".
Mi dirigo verso la porta, afferro la maniglia e salgo.
 
14:03.
Chi è la prima persona che mi ha considerata?
Sembra quasi luce nei miei occhi. Capelli lunghi rossi, la sua bandana intorno alla fronte.
Già, è il ragazzo del numero 18.
Ciao. - Lui.
Ehm, ciao. - Io.
I miei occhi involontariamente si alzano verso l'alto, come se volessero accarezzare con la vista il suo viso. Si abbandonano a quel bagliore verde che è nei suoi occhi, diventano quasi ciechi. L'innocenza di un bambino sulle sue gote. Labbra sottili al punto giusto. Magro, magrissimo. Di carnagione chiara. Le sue gambe sembravano fragili, innocenti anche loro. Indossava una maglietta di due taglie più grandi forse. Pantaloni di pelle, che anche non volendo, lasciavano libero sfogo a pensieri prigionieri di una mente brillante. 
Che cazzo piove? Vorrei saperlo. Odio la pioggia. Vaffanculo, oggi che avevo deciso di uscire. - Interrompe lui l'affascinante lavoro dei miei occhi ormai persi.
E' incazzato con chi è incazzato con se stesso. - Gli rispondo.
E' uno scioglilingua dolcezza? - Fa lui.
No, no, è quello che penso. - Rispondo io.
Oh va bene, anche se non ci arrivo. Comunque io sono William, ma puoi chiamarmi Axl. - Lui.
Ci arriverai. Dolcezza, abiti a dieci metri da me. Tu sei quello che conoscevo come il ragazzo dei 'rametti'. - Gli dico io.
'Ragazzo dei rametti'? (ridendo) Perché? Ecco, io non ti ho mai vista. - Lui.
Ti piace buttare innocenti rametti nel lago? Per questo, sapevo solo questo di te. Beh, probabilmente non mi hai mai vista perché eri troppo occupato a buttare rametti nel lago.  In ogni caso, io sono Francesca, ma puoi chiamarmi Francis. - Rispondo io.
Nome italiano? In ogni caso scusa, è che non ho nulla da fare. Tu vai ancora a scuola, io ci ho provato per due anni, poi ho mandato tutto a puttane. - Lui.
Perché oggi sei uscito - con le millemila goccioline di pioggia e centinaia di rametti da considerare, ti sei accorto di me? - Io.
Come hai detto tu, ci sono millemila goccioline di pioggia e centinaia di rametti, ma di vicina di casa che si chiama Francesca ce n'è una sola. - Lui.
Grazie William. - Io.
Perché mi chiami William? - Lui.
Perché sei diverso dagli altri. Oggi sei diverso dal ragazzo dei rametti che avrei chiamato Axl. - Io.
Fa come vuoi dolcezza. Uhm, numero 17 e numero 18. Siamo arrivati. Oggi hai interrotto la lunga fila di giornate uguali. Mi hai cambiato una giornata. - Lui.
Grazie per il passaggio William. Anche tu me l'hai cambiata. Si la numero 17. - Io.
Scendiamo.
Cazzo ti ho bagnato il sedile William! - Io.
Cazzo ora provvedi tu Francesca! - Lui.
Mi prendi in giro, William? - Io.
Se tu mi chiami William, io ti chiamerò Francesca. - Lui.
Va bene William! - Io.
Va bene Francesca! - Lui.
Ridendo, tutti e due.
Ciao, ci vediamo. - Lui.
Davvero, William? - Io.
Davvero, Francesca. - Lui.
 
13: 30.
Ciao. - Io, sorridendo.
Hai osservato il tuo cielo triste con un po' di ottimismo? - Mamma.
Direi che sono riuscita a catturare un sorriso sotto il cielo scuro, tra millemila goccioline  di pioggia e centinaia di rametti, tramite un finestrino. - Io.
Che roba hai fumato oggi? - Mamma.
Luce su buio. - Io.
Sei strana. - Mamma.
Solo perché oggi, sono felice? Per favore. -Io.
Non voglio ulteriori spiegazioni. Mangi? - Mamma.
Ovvio che no. Vado sopra. - Io.
Fa come ti pare. - Mamma.
 
Arrivo nella mia stanza.
Non ho voglia di ascoltare gli Iron Maiden, né di buttarmi sul letto a deprimermi.
Cazzo, perché non ci arrivi?
Oggi qualcosa è cambiato. La fotocopiatrice di giornate tutte uguali s'è bloccata, chissà se si romperà.
Perché io e il ragazzo dai capelli rossi eravamo così 'vicini' in quel momento? 
Sentivo una sensazione strana, proprio sullo stomaco. William mi faceva sentire diversa. Perché gli occhi, che sono il dono più grande per un singolo essere umano, abbandonano le loro cavità per  perdersi in quelli di un altro? Perché ho donato i miei occhi per una manciata di secondo al ragazzo dai capelli rossi? Non ne avevo alcun diritto.
Che vuol dire quel 'ci sono millemila goccioline di pioggia e centinaia di rametti, ma di vicina di casa che si chiama Francesca ce n'è una sola.' ?
E quei sorrisi spontanei che non mi sono mai usciti con nessuno?
Quell'umorismo strano che avevo? Perché ho regalato sorrisi in una giornata di pioggia?
Perché lui ha abbandonato i suoi rametti?
 
Cercavo di arrivare ad una conclusione logica, ma non ci riuscivo.
 
23:59.
Guardo fuori dalla finestra.
Piove.
Lui non c'è.
Io sono felice.
Cos'è successo?
E' rimasta intatta solo la pioggia che non c'abbandona mai.
 
Non me ne potrebbe fregar nulla, e invece.
Cerco di proteggere la mia felicità delle 14:03, non deve sciogliersi e piangere insieme alla mia fredda pioggia.
 
Ragazzo, perché hai abbandonato i tuoi rametti?

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Capitolo 3
*** Ciao mamma, mi sono innamorata. ***


Ciao mamma, mi sono innamorata.
 
Non sapevo dove mi trovavo esattamente in quel preciso momento.
Sentivo la stessa sensazione strana allo stomaco della sera precedente.
La base d'appoggio era umida e sentivo come delle spine pungere.
Avevo le gambe in corrispondenza del petto, abbracciate dalle mie braccia.
Guardavo nel vuoto, nero. Era tutto nero.
Qualcosa mancava.
Qualcosa che non rasserenava lo stomaco, qualcosa che però mi consolava, qualcosa di cui mi fidassi, l'unica cosa a cui mi ero abbandonata.
Non sentivo le goccioline d'acqua sbattere sulle mie preoccupazioni, sulle mie emozioni, sulla mia vita.
Già, mancava la mia pioggia.
Soffrivo di siccità, che non so se sia l'espressione giusta da usare, il mio stomaco soffriva la pioggia.
Mancava luce nella quale i miei occhi potessero perdersi, mancavano pensieri strani, sostituiti da pensieri vuoti.
Sentivo la sua mancanza.
-
Dopo ci sono arrivata.
-
Mi mancava lui.
Già.
William.
Sì, William era la pioggia.
 
(Tuono).
Apro gli occhi, di scatto la mia testa si allontana dal cuscino.
Fuori piove.
Sto meglio.
Ho sognato William.
Poggio di nuovo la testa sul cuscino e chiudo gli occhi.
Sono felice.
 
08:15.
Entro a scuola.
Fisso la finestra, il solito.
 
13:15.
Non piove.
Mi avvio verso casa.
Fatti circa dieci - undici passi, vedo il pick up rosso che si ferma davanti a me.
E' lui.
Si abbassa il finestrino.
Ci hai fatto l'abitudine a venire a prendermi, William? - Io.
Ieri ti ho detto che ci saremmo rivisti, ed eccomi qua. Oggi non piove, approfittiamone.  - Lui.
Va bene, William! - Io.
Va bene, Francesca! - Lui.
Ma vedi William, non vorrei poi, all'ora che ritorneremo, le urla di mia madre ficcate nella testa. - Io.
Quando tua madre vedrà chi ti ha accompagnata, ti accoglierà con un abbraccio. - Lui.
Quindi ti credi affidabile? - Io.
Sali e vedremo. - Lui.
Non desideravo altro in quel momento, comunque.
 
Salgo.
Era ancora più bello di quanto non fosse il giorno prima. Era come rivederlo per la prima volta.
William provocava queste sensazioni strane. Mi sentivo impotente di fronte alla sua naturalezza, bellezza, fragilità, innocenza. Era delicato nei suoi movimenti, sentivo la sua delicatezza attraversare i miei occhi. La sua innocenza sfiorare le mie lacrime che a poco a poco salivano lungo le cavità degli occhi. La sua voce calda. Immaginavo le sue labbra che si poggiavano sulle mie con estrema delicatezza, facendomi sentire inebriata.
 
Salve. - Io, ridendo.
Salve, dove desidera andare? - Lui.
Andiamo a bussare alle porte del Paradiso Will. - Io.
La cosa è alquanto complicata. (Ride) Mmh, e se andassimo a mangiare un Hot - Dog? - Lui.
Andata. - Io, ridendo.
Oggi non piove. - Lui.
Non siamo più incazzati con noi stessi. - Io.
(Lui annuisce alle mie parole).
Mangiamolo qui. - Lui.
Conosci il tipo che li prepara? - Io.
Non ho idea di chi sia. - Lui.
Fa lo stesso. - Io.
 
Parcheggia il suo pick up e viene ad aprirmi la porta.
Fai il gentiluomo? - Io.
Per te sarò William, questo nome fa tanto da gentiluomo. - Lui, ridendo.
Sono d'accordo. - Io.
 
Prendiamo i due Hot - Dog e ci allontaniamo.
Sediamoci. - Lui.
Si, ma laggiù. - Io.
 
E' un prato.
Ci sediamo uno vicino all'altro, con le gambe incrociate.
Le nostre spalle si sfiorano leggermente, divise da quel filo di vento che gironzola per il cielo.
Il vento discosta i lunghi capelli rossi di William, li rende leggeri nel vuoto.
 
Finiamo di mangiare.
Se ti chiedo una cosa, non mi prendi per un idiota vero? - Lui.
Certo che no, Will. - Io.
Rotoliamo nell'erba? - Lui.
Quale ragazzo chiederebbe una cosa simile? 
Perché allora a questo punto non dovrei donargli i miei occhi? 
E me lo chiedi anche? - Io.
(Lui sorride).
 
Ci mettiamo distesi e incominciamo a rotolare nell'erba.
Sorrisi nascosti nell'ombra del nostri corpi, sensazioni di libertà interiore.
Continuiamo così per circa dieci minuti.

Ci fermiamo, tutti e due sullo stesso punto.
Siamo uno di fronte all'altro coricati sull'erba.
I suoi occhi rendevano invidioso il verde di quel prato.
I suoi occhi rendevano invidiosa la luce del sole.
La sua leggerezza rendeva invidiosa quella dell'aria.
 
Ti amo William.
Sarebbero state le uniche parole di senso compiuto che sarei riuscita a dire in quel preciso momento.
 
Bene, mi gira abbastanza la testa. Appoggiamoci vicino a quell'albero. - Lui.
Certo. - Io.
 
Le nostre spalle rivolte all'albero.
L'hai mai fatto? - Lui.
No. Perché vuoi farlo per caso ora? - Io, ridendo.
Mi sarei aspettato uno schiaffo, sai? Ma tu sei diversa dalle altre. Avanti, dimmi qualcosa di strano. - Lui, ridendo.
Andiamo a bussare alle porte del Paradiso, abbastanza strano no? - Io.
Non ce n'è bisogno. - Lui.
Perché Will? - Io.
Siamo già in Paradiso. Qui. - Lui.
Allora se il Paradiso è il posto dove si vive in eterno felici, lui invidia questo posto. - Io.
Hai perfettamente ragione. - Lui.
Qui c'è aria per vivere e felicità per piangere. Ci siamo tu e io insieme, felici per la prima e ultima volta, forse, Will. - Io.
 
Comincia a piovere.
Ah! Piove! - Io.
Di nuovo. Prendi la mia bandana e mettila in testa. - Lui.
Non mi lamento per i capelli bagnati, non sono una perfettina. - Io, ridendo.
Mettila lo stesso. - Lui.
Come vuoi. - Io.
Avvolgo sul capo la sua bandana rossa e porto le gambe al petto.
Sotto l'albero giungono su di noi solo alcune goccioline d'acqua.
 
William poggia la sua testa sulla mia spalla.
Sento i brividi attraversare tutto il mio corpo.
La sua delicatezza sfiorare la mia maglietta e penetrare, fino a sentirla sulla pelle.
Sento il tocco dei suoi lunghi capelli sulle mie braccia.
Sento lui, finalmente, vicino a me. Realmente.
 
Stiamo rannicchiati così fino alle 21:00, senza dire nulla.
Dopo decidiamo di tornare a casa.
Per tutto il viaggio nessuno dei due spicca parola.
 
Arrivati alle due case, scendiamo.
Will questa giornata è dedicata a chi non è come la pioggia. - Io.
La ricorderò come si ricorda la nascita della felicità. - Lui.
Ciao William. - Io.
Ciao Francesca. - Lui.
 
Ci allontaniamo.
Salutami tua madre! - Grida lui da lontano.
Io rido.
 
Entro in casa.
Mi aspetto di tutto.
(Ricevo uno schiaffo).
E' mio padre.
Ebbene? - Mio padre.
Grazie papà, ma oggi non c'è gesto che possa smuovere la mia felicità. - Io.
 
Mio padre resta in silenzio.
 
Vado di sopra.
Trovo mia madre che ripulisce la mia stanza.
Ciao mamma, mi sono innamorata.

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Capitolo 4
*** Dio mi ha concesso solo otto ore e mezza per essere felice. ***


Dio mi ha concesso solo otto ore e mezza per essere felice.
 
Cosa? - Mamma.
Posso parlare con qualcuno? - Io.
Che sia io? - Mamma.
Certo. - Io.
Scovo due minuti dentro tutta questa polvere. - Mamma.
Ho trovato la pioggia vera, mamma. - Io.
Spiegati meglio. - Mamma.
Mi sono innamorata di qualcuno che non sia nessuno. - Io.
Tu ti sei innamorata? - Mamma.
Innamorarsi significa amare anche la cosa più stupida di una persona, amare l'aria leggera che la circonda, sentire il suo riflesso nell'essere te stesso, amare l'ultima parola che dirà alla fine di ogni discorso, consolarti con il suo ultimo respiro come se per te fosse la fine.
Significa questo?
- Io.
L'unica risposta che non c'entrerebbe un cazzo sarebbe 'no'. - Mamma.
Cosa mi è successo mamma? - Io.
Che se un giorno lui se ne andasse, ti sentiresti per sempre come un inutile goccia di pioggia caduta in una pozzanghera. - Mamma.
Niente dura per sempre, mamma. - Io.
Si dice così.  
E' una cazzo di domanda stupida che farebbero tutte le mamme idiote, ma chi è lui?
- Mamma.
E' più vicino di quanto immagini. - Io.
Vorresti dire che abita da queste parti? - Mamma.
Più vicino di quanto immagini. - Io.
Il - il figlio di William Rose? - Mamma.
(Annuisco).
Perché ne sei così sicura? - Mamma.
E' quello che mi chiedo anch'io. - Io.
E' una specie d'amore platonico il tuo, perché non ci hai nemmeno mai parlato. - Mamma.
Ho fatto molto di più. Gli ho donato i miei occhi senza neanche volerlo. - Io.
Mentre i miei occhi erano ciechi o pieni di troppa polvere, per vedere te uscire con lui? - Mamma.
In otto ore e mezza non ho capito se vi erano respiri non considerati fino all'ultimo o sguardi persi nei suoi occhi, tutto quello che mi circondava sembrava cadere e sciogliersi dinanzi alla sua innocenza. - Io.
Non credi di avergli dato troppo? - Mamma.
Non donerei i miei occhi neanche se fossi innamorata di un idiota da tutta la vita. - Io.
Parlare di lui, per te, è facile come buttare un bicchiere a terra. - Mamma.
Il suo viso non nasconde nulla. 
Il modo in cui i suoi capelli rossi puliti accarezzano la sua pelle e si poggiano su di essa come se avessero trovato aria per respirare. Le sue mani insicure, ansiose di fare qualcosa di precoce. I suoi pantaloni di pelle che lasciano immaginare cose dell'altro mondo. Il cotone delle sue magliette larghe, felice di cadere leggero sulla sua pelle ingenua. Il modo in cui si scosta i capelli, senza pensarci, tanto ricadranno sulla sua  fronte. I suoi occhi, forse porte di un mondo dove i mei sono riusciti ad accedere. 
E' tutto così stranamente perfetto in lui. E non riesco a spiegarmelo. - Io.
Mia madre mi fa una carezza sulla guancia.
Io le sorrido e mi siedo sul letto.  Sento una lacrima calda attraversare un pezzetto della mia gota destra.
Credo di dover usare il verbo 'amare'.
Amo quel ragazzo coi capelli rossi, l'innocente Will.
- Io.
Com'è stupido l'amore. Non ti fa ritrovare nei tuoi panni. - Mamma.
Queste sono lacrime di felicità, non preoccuparti. - Io.
Afferrato tutto al volo. - Mamma.
Grazie per aver capito. - Io.
Questa è buona parte del lavoro di una madre. - Mamma.
 
Squilla il telefono fisso.
Pronto? - Mamma.
Non riesco a sentire bene cosa dice la voce.
Va bene. - Mamma.
Mia madre mette a posto la cornetta.
Tua nonna sta male, dobbiamo andare da lei, subito. - Mamma.
 
Ero rimasta pietrificata a quelle parole.
 
Non dissi nulla. Nulla.
 
Perché di solito chi parla con me, due minuti e finisce per dire 'si va bene, vattene'. Mia nonna, no. Lei rimaneva con me sempre fino alla fine. Sembrava il rimedio alla malattia che credevo di avere fino a poco tempo fa. Raccontava di tutto, ma non mollava di fronte alla mia faccia. Era l'unica che voleva tenermi per i fili, seppure quasi spezzati.
Mia madre lo sapeva, in parte, anche se fingeva di non saperlo.
 
Mamma se ne va.
Comincio a guardare la pioggia, come ero solita fare, mi rilassava, almeno in quel momento.
Dio mi ha concesso solo otto ore e mezza per essere felice.

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Capitolo 5
*** Sentivo un vuoto disperso. ***


Sentivo un vuoto disperso.
 
03:05.
Vaffanculo. Le uniche lettere che riuscivo a pronunciare, e sembrava che lo dicessero i miei occhi.
Mi giro e rigiro tra le lenzuola di questo stupido letto da tre ore.
Ieri sera non siamo andati da nonna.
'Non ci possiamo andare adesso, andremo domani, la nostra presenza non cambierà le cose.' Queste erano state le parole di mio padre. 
'Ma perché non ora, perché? Ho bisogno di vederla, ti scongiuro, papà, papà.' Hai presente quando sembra che tutto ti piombi addosso? Ero senza speranze, lasciavo cadere tutto sulle mie braccia. Riuscivo solo a piagnucolare come una cretina e i miei polmoni non ne volevano sapere d'ingerire aria. Volevo fare qualcosa, ma sentivo un vuoto disperso, perché ero consapevole di non poter fare niente.
Andate tutti a farvi fottere, se domani i miei piedi non toccheranno il pavimento della casa di mia nonna, ci arriverò da sola in qualche modo. 
Sollevo il capo dal cuscino e la schiena dal materasso, la candela è spenta, un piccolo raggio di luce blu che proviene dalla finestra riflette sul mio viso; porto la mia mano destra nei capelli che li tira indietro e subito dopo ricadono lungo il viso.
Tanto fa tutto schifo. 
Chiudo gli occhi.
 
07:05.
Riapro gli occhi, senza essere stordita dal sonno.
Mi vesto e scendo in cucina.
Mi siedo su una sedia e aspetto che scendano gli altri.
 
09:17.
Da quanto tempo sei qui? - Mamma.
Da due ore e diciassette minuti. - Io.
E che ci fai qui? - Papà.
Andiamo da nonna. - Io.
Certo. - Mamma. 
 
09:45.
Due ore in macchina, era solo ansia.
 
11:45.
Finalmente.
Mio padre parcheggia la macchina e scendiamo.
Busso alla porta, nervosa, ansiosa o non so in che stato.
La badante di mia nonna apre la porta.
Levati di mezzo. - Io.
Non c'è molto da preoccuparsi mocciosa. - La badante.
Vado diritto urtandola.
Figlia di puttana. - Io.
 
Arrivo davanti mia nonna, la mia famiglia mi segue.
Nonna. - Io, con le lacrime agli occhi.
Chi sei tu? - Mia nonna.
Non mi era crollato il mondo addosso, qualcosa di più grosso, qualcosa che non esisteva, che poteva accadere solo a me. Mi sentivo come se mi trovassi in un ghiacciaio la cui superficie era di milioni di chilometri quadrati, mi sentivo come se mi trovassi in un deserto da tutta la vita.
Tremavo e sudavo, da ogni singola parte del corpo.
Nonna sono io, c-cos-c-ch-ma-non- io, sono io, non mi conosci nonna? - Stavo balbettando come una stupida bambina alla sua prima interrogazione. 
Non la conosco ragazzina. - Mia nonna.
Lasciatemi sola con lei. - Io, rivolgendomi a tutti. 
Cosa puoi fare tu? - Mamma.
Probabilmente nulla, ma posso dimostrarle che qualcuno ancora vuole starle accanto. - Io.
Mamma conosceva il rapporto che c'era tra me e mia nonna, fingeva solo di non saperlo.
Alzo le mani, come vuoi. - Mamma.
Si allontana mia madre con le mie sorelle e mio padre.
Non ho detto che i vermi devono marcire qui insieme a mia nonna. - Io, rivolgendomi alla badante.
Ho più diritto di starci io vicino alla tua cara nonna. - La badante.
Alza quei tacchi di merda e muovi quel culo, visto che lo usi solo come appoggio e sparisci da qui. - Io.
So che da oggi lei non ci servirà più. - Mamma.
Un motivo in più per muovere quel culo flaccido. - Io.
Ti ho sentito prima maleducata. - La badante, rivolgendosi a me.
Era scritto da qualche parte che non dovevi sentirlo? - Io.
La badante se ne va.
 
La stanza è libera.
Nonna, raccontami qualcosa. - Io.
Certo signorina. - Mia nonna.
Sorrido con le lacrime agli occhi.
Incomincia a raccontarmi di sua nipote.
Mia nonna parlava di me e non lo sapeva.
Non mi riconosceva.
Mi voleva bene.
Non smettere, nonna. - Io.
Non smetto signorina, ma se la vedrà le può dire che le voglio b-   - Mia nonna.
Aveva respirato a metà, si era fermato tutto.
Nonna, nonn - non - no - n - - - - - - -    - Ero patetica, non riuscivo a dire nulla.
Grazie nonna. - Sbatto con violenza la testa contro il divano.
Mamma! (Gridando, con la voce stridula, come piange un bambino appena nato.) - Io.
Stringevo con le unghie la stoffa che ricopriva il divano e avevo il viso inzuppato d'acqua, per non chiamarle lacrime di una cretina.
Lo sapevi già. - Mamma.
 
Il giorno dopo al cimitero.
 
Amavo andare al cimitero, amavo parlare con chi amavo, ma non l'avevo mai odiato come oggi.
Era tutto uno schifo. Uno schifo e basta.
La tomba che scendeva lentamente in quella fossa.
Quel prete che parlava come se non ci fosse nulla di diverso dagli altri funerali.
Quelle persone inutili con le loro facce dispiaciute inutili.
Quella pioggia inutile.
 
Finito tutto.
Andiamo, siamo rimasti solo noi. - Mamma, con la mia famiglia.
Io resto ancora qui. - Io.
Non possiamo aspettare tanto. - Mamma.
Allora non preoccupatevi per me. - Io.
Noi lo facciamo, anche se poco lo dimostriamo. - Mamma.
Allora non lo fate. - Io.
Escono dal cimitero.
 
Mi avvicino alla tomba di nonna e mi siedo per terra con le gambe incrociate.
Ciao nonna.
Io volevo raccontarti tante cose, ma Dio non ha voluto permettermelo.
Sai nonna, avevo trovato qualcuno che mi considerasse anche quando tu non c'eri.
Non mi lascerete tutti un giorno, vero?
Tu te ne sei andata.
Ma lui non se ne andrà vero?
Non ci sarà la siccità vero?
Lui è così bello nonna. E' innocente come questa pioggia. E' delicato come queste parole. 
Se ti dicessi che lo amo riusciresti a vedere le mie lacrime in mezzo a tutta questa pioggia, comunque, nonna.
Non ho avuto il tempo per dirti che mi sono innamorata di lui.
Guarda nonna, i miei capelli sono bagnati.
Perché non mi hai riconosciuto nonna?
Sono confusa.
Nonna tua nipote sa che le vuoi bene, non c'è bisogno che io glielo dica.
Ti voglio bene anch'io nonna. - Parlavo sotto la pioggia, mia nonna era lì.
 
Esco dal cimitero.
Papà. - Io.
Ho fumato una sigaretta. - Papà.
Grazie papà. - Io.
 
Arriviamo a casa.
Piove.
Dal finestrino riesco a vedere William poggiato alla quercia.
Entrano tutti in casa, io mi dirigo verso la quercia.
Il cielo è buio.
William. - Io.
Tu? - Lui.
Mi siedo vicino a lui e poggio le spalle alla quercia.
Che succede? - Io.
Scusa. - Lui.
Perché ti scusi? - Io
Vorrei essere al tuo posto, poter ingerire il dolore che senti ora. - Lui.
Perché vuoi tanto male William? - Io.
Non te lo meriti. - Lui.
Tu non dovresti volerlo. - Io.
In ogni situazione c'è sempre una via d'uscita, so che posso e che devo fare qualcosa per te. - Lui.
Il mio viso si gira verso di lui.
Siamo uno di fronte all'altro, i nostri volti non si sfiorano per un filo d'aria.
La debole luce blu contrastata dalla luce di un lampione illumina i nostri volti.
I miei occhi si muovono verso destra e verso sinistra, ora più che mai non vedono nulla.
Porto la mia mano destra sulla sua gota sinistra e l'accarezzo. 
Due volte.
Will. - Io.
Lui sorride e porta la sua mano destra sulla mia gota sinistra per eliminare quella lacrima di troppo.
Ci guardiamo per circa due secondi.
Io porto il mio corpo in avanti e lo avvicino al suo.
Lui fa lo stesso.
Porto la mia mano sulla sua nuca e avvicino il suo capo al mio, fino a quando i nostri volti non si ritrovano incrociati, uno di fianco all'altro.
Sento il suo mento sulla mia spalla sinistra e poggio il mio sulla sua. 
Le dita della mia mano sprofondano nei suoi capelli rossi, come per fare dei piccoli movimenti e sentono la presenza della nuca.
La sua mano era poggiata sui miei capelli, senza però fare movimenti, era come per proteggermi.
Un semplice abbraccio.
Mi sentivo me stessa.
Lui non mi vedeva, ma io sorridevo e lui lo sapeva.
Io non lo vedevo, ma lui sorrideva e io lo sapevo.
Pensavo solo al momento in cui si sarebbe allontanato dal mio corpo, avevo solo paura che mi lasciasse.
Tanto lo avrebbe fatto, prima o poi.
E mi sarei ripersa nella mia stessa vita.

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Capitolo 6
*** And it's hard to hold a candle, in the cold November rain. ***


And it's hard to hold a candle, in the cold November rain.

 
Non uscire per quasi un mese non era nei piani.
Ma mi sarei sentita comunque fuori dal mondo.
Quindi non cambiava nulla, né fuori né dentro.
William non avrebbe cambiato le cose.
Neanche lui riusciva a colmare il dolore per mia nonna, purtroppo.
Forse dopo un mese qualcosa era cambiato.
Lei mi sarebbe mancata comunque, per sempre.
 
November 5, 1979.
Avevo ripreso la vita di prima, buttata sul letto per mezza giornata.
E fuori pioveva.
 
Adesso basta. - Mia madre, spalancando la porta.
Di scatto mi alzo dal letto, io la guardavo sorpresa.
 
Ma dove sei finita? - Mia madre con le lacrime agli occhi.
Ma che.. .? - Io, come una rimbambita.
Eri un' altra un mese fa, e tu, quel ragazzo, io, cosa, perché ti comporti così? Eri cambiata e ora, ora cosa? Un cazzo e io un cazzo. - Mamma.
Erano parole sconnesse, senza collegamenti logici fra loro, non si capiva cosa voleva dire.
 
Capii, che stupida.
 
Nonna mi regalava più parole di quanto non facessi tu. - Io.
Lei aveva inspirato aria e si era bloccata, e anche le lacrime.
Si siede su quella stupida sedia nella mia stanza e comincia a piangere.
 
Non posso controllare le tue lacrime.
Smettila.
Odio chi piange.
Odio me stessa quando verso acqua dagli occhi.
Chi piange è stupido, vuol dire che non vuole cercare di andare avanti.
Le lacrime non hanno mai salvato nessuno.
Le lacrime non salvano nessuno. - Io, fredda.
E tu riprenditi quello che non volendo stai perdendo. - Mamma.
Vorrei solo quello. - Io.
Stiamo sbagliando a mettere la matita sulle righe. - Mamma.
Non ti prometterò nulla. Non ti dirò che tornerò quella che ero un mese fa. 
Le cose verranno da se, come la pioggia scende senza comandi di nessuno. - Io.
Una stupida vecchia non imparerà a non piangere più, anzi andando avanti lo farà ancora di più.
Solo che hai ragione, non c'è motivo di piangere. - Mamma.
Sorridiamo.
Hai paura ora? - Io.
Non farò il primo passo. - Mamma.
Le cose verrannò da se. - Io.
Everybody needs some time, on their own. - Io.
Lei sorride.
 
Ciao. - Mamma.
Si alza dalla sedia e si avvia verso la porta.
Grazie per qualcosa. - Io.
Sorride di nuovo e se ne va.
 
La porta si chiude e poggio di nuovo la testa sul cuscino.
Porto le mani alla nuca facendo incrociare le dita.
Passano le ore, senza pensare a nulla.
Pensieri vaghi.
Tutte cose stupide.
Di certo c'è solo una cosa, un giorno morirò e starò per sempre bene.
 
21:15.
Sento ancora sbattere la pioggia sull'asfalto.
Guardo attraverso la finestra.
Le goccioline che scorrono sul vetro lentamente.
E la pioggia fuori cade come se mi volesse dimostrare qualcosa.
Vicino alla quercia c'era William.
Qualcosa era caduto sul mio stomaco, o erano quelle stupide farfalle, come le chiamano quelle ragazzine stupide innamorate. 
Ah già, ma ora lo sono anch'io.
Sempre la stessa stupida.
Prendo una candela, la accendo e mi alzo dal letto, scendo giù, in cucina.
Mia madre alza lo sguardo, io la intravedo per mezzo secondo, apro subito la porta ed esco.
Mia madre avrebbe pensato qualcosa dopo, di sicuro.
Fuori non c'era luce, tenevo la candela con la mano sinistra e con la mano destra coprivo la fiamma, come a formare una cupola.
Cammino per cinque metri, mi avvicino alla quercia.
William è poggiato alla quercia, ha i capelli quasi bagnati.
Guardava il lago, o guardava senza guardare pensando.
Forse sente la presenza della mia ombra su di lui.
Gira il suo volto verso di me.
Qualche goccia d'acqua gli sfiorava il viso.
Si vedeva solo la sua fossetta sinistra, sorrideva a metà.
 
And it's hard to hold a candle, in the cold November rain. - Disse lui.
Una frase semplice, piena di troppo significato.
Ma non ci arrivavo.
Se la pioggia ci desse un attimo di tregua, non l'avrei presa. - Io.
Lui sorride.
Vieni qui. - Lui.
Aveva pronunciato due parole stupide, che non avrei sostituito con una frase fatta di parole da togliere il fiato.
Mi siedo di fronte a lui, sempre con le gambe incrociate.
Lui avvicina il suo volto e prende con la sua mano destra la mano in cui avevo la candela e poggia la mano sinistra sulla fiamma.
Non riuscivo a pensare a nulla.
D'un tratto sentii il leggero tocco del cotone della sua bandana sulla mia fronte.
Due secondi dopo -
Sentii come fuoco sulle mie labbra.
Erano le sue che sfioravano le mie.
Sentivo la loro delicatezza stonare le mie labbra, il calore, come acqua che spegne fuoco, ed innocenti, mi sentivo inebriata per una seconda volta.
Ero libera da ogni cosa, come se avessi appena finito di sgozzare una bottiglia di Jack Daniel's.
Non sapevo cosa significasse fare quel gesto, gli occhi si erano chiusi involontariamente.
William non sapeva che io stavo bene.
William continuò a tenere le sue labbra sulle mie per un minuto, le mie dipendevano dalle sue, movimenti sconnessi, voglia di qualcosa di proibito. 
Lo volevamo tutti e due ma sapevamo qual era il giusto da fare in quel momento.
Le nostre labbra soffrivano, e anche noi al nostro interno, volevamo di più quando ancora non era il momento.
Le nostre labbra si separano.
Silenzio per una manciata di secondi.
Lui sapeva tutto quello che avevo provato, solo di una cosa ero incerta.
Ti amo. - Disse lui.
Dal giorno in cui ti ho donato i miei occhi. - Io.
Lo giuro. - Lui.
Per sempre piccolo Will. - Io.
Lui sorride.
Non si sa dopo cosa sia successo, ma io sentivo lui e lui sentiva me.
Sweet child o' mine. - Disse lui.
E niente.
 

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Capitolo 7
*** Allora non finire mai di fumarla, perché un giorno la finirai e dovrai buttarla. ***


Allora non finire mai di fumarla, perché un giorno la finirai e dovrai buttarla.
Se avessi voluto dirlo, ero felice.
Io lo amavo, e questo è sicuro.
Lui mi amava... ...aspetta.
E allora cosa mancava?
Nulla.
Solo quattro parole, fine della storia. 'Ti amo'. 'Anch'io.'
Non sapevo che ore fossero quando aprii la porta per rientrare in casa.
Erano già tutti nei loro letti.
Però qualcosa mancava.
Sì.
Dovevo parlarne con mia madre, ecco.
Lo desideravo più di ogni altra cosa, e lei non si sarebbe rifiutata di ascoltarmi.
"Domani", pensavo tra me e me.
La casa era buia, nessuno mi vedeva, potevo sorridere quanto volevo.
Andai a dormire, felice.
08:13.
Sono davanti scuola.
Mi avvicino alla porta e noto un cartellone o qualcosa del genere.
'Si balla anche sotto la fredda pioggia di Novembre' c'era scritto sopra.
Più in basso: 'Ballo scolastico Autunno - Inverno 1979, 10 Novembre presso istituto..'.
Ah, il ballo scolastico, quello dove ci vanno le ragazze coi ragazzi con la speranza di diventare reginetta e re.
Bene, non m'importa, penso tra me e me.
Non c'ero mai andata e nemmeno m'interessava.
Entro a scuola.
13:15.
Esco da scuola.
M'incammino verso casa.
Cammino su un marciapiede, quando ad un certo punto sento qualcosa che fa pressione sul mio polso.
Qualcuno lo ha afferrato.
Vengo come trascinata verso quell'albero -dietro al marciapiede vi era un albero- o tirata per un braccio, non so quale delle due sia l'espressione giusta da usare.
Di conseguenza vengo scaraventata -lentamente- vicino all'albero e sento d'improvviso qualcosa sulle mie labbra.
La stessa dolcezza, la stessa delicatezza, la stessa disinvoltura, la stessa calma, il calore, il cuore che va in cancrena della sera precedente.
Lui discosta le labbra dalle mie facendo scorrere il suo viso lungo la mia gota sinistra, come per sfiorarla, delicatamente.
Fino a che le sue labbra non si avvicinano al mio orecchio e sento sussurrare: Ciao, piccola.
A quel punto avvicino le mie labbra al suo orecchio gli sussurro: Ciao.
Lui allontana il viso dalla mia gota sinistra e i nostri visi si ritrovano a distanza di un filo d'aria l'uno dall'altro.
Riesco a guardarlo negli occhi.
Da così vicino.
Sembro cercare aria nei suoi occhi solo per respirare.
Adesso sorride.
Il ciuffo di capelli rossi gli sfiora la fronte e lui con la mano lo riporta indietro.
E' una cosa stupida, ma amo quando si discosta dalla fronte quel ciuffo rosso ribelle che poi ricadrà nuovamente pochi istanti dopo.
Lui poggia le sue mani sui miei capelli come per fargli una carezza.
Io gli sorrido.
E' lo stesso venire a prenderti a scuola anche senza la macchina? - Disse lui.
Meglio. - Io.
Dovremo camminare a piedi. - Lui.
Poco importa se a piedi o in macchina, basta io sia con te. - Io.
Lui sorride.
C'incamminiamo.
La tue dita sarebbero felici d'incrociarsi con le mie, così da formare cinque abbracci? - Lui.
Lo aspettavano. - Io.
Un attimo dopo sento il leggero tocco di un suo dito sfiorare la mia mano.
Si incrociano contemporaneamente le altre quattro dita.
Le mie, intanto, si godono quella sorta di abbraccio.
Durante il cammino lui mi chiede qualcosa.
Perché si ostinano a dire che si può ballare anche sotto "la fredda pioggia di Novembre"? Voglio dire, che senso ha? E' ovvio che si può ballare anche sotto la piggia, seppure fredda, nonostante sia Novembre. - Mi chiede lui, probabilmente aveva prima notato un altro di quei cartelloni che avevo notato anch'io.
Perché loro non sanno cosa significa, ballare sotto la freddissima e tristissima pioggia di Novembre. (Ridacchio) Loro usano gli ombrelli! Scherzi a parte, sarà un modo per attirare più gente, anche se non c'è bisogno di utilizzare frasi incoraggianti poiché tutti sono eccitati al solo pensiero di diventare re e reginetta del ballo.
E', dunque, lo stupidissimo ballo scolastico di fine Autunno - inizio Inverno, una cosa per quelli 'chic'. - Gli dico io sorridendo.
Se si può ballare sotto questa freddissima e tristissima pioggia di Novembre proviamoci anche noi, allora. - Lui.
Non ci sono mai andata... e non mi interessa comunque... Insomma non gli darei tanta importanza. - Io.
Lui rimane in silenzio per qualche secondo e poi mi dice qualche altra cosa.
Proviamoci per scherzo, sono convinto che sarà divertente. - Lui.
Massì alla fine...
A momenti divento rossa senza alcun motivo. Mi fa un effetto così strano.
Ma non è una cosa stupida? - Gli dico io.
Me lo dirai stasera alla quercia se sei sicura che sia stupida? - Lui.
Gli sorrido.
Finalmente arriviamo.
Avendo ancora le dita incrociate alle mie, avvicina così le sue labbra all'angolo sinistro delle mie, chiude gli occhi e contemporaneamente lo faccio anch'io, sospirando; sento la candida innocenza se non l'amore che racchiude quel gesto.
Le nostre dita si lasciano e ci allontaniamo.
Ciao. - Io.
Perché stasera vieni, vero? - Lui.
Certo. - Io.
Entro in casa.
Trovo mia madre seduta su una sedia, disinvolta.
Ciao, avrei bisogno di qualcosa. - Io.
Certo. - Mamma.
Andiamo in camera mia. - Io.
Come vuoi. - Mamma.
Saliamo le scale e arriviamo di fronte alla porta di camera mia.
Apro la porta ed entriamo.
Io mi siedo sul letto e mia madre su una sedia, che è lì forse da sempre, come se avesse sempre aspettato, quest'ultima, che prima o poi qualcuno, o meglio, chi avrebbe dovuto, si sarebbe seduto .

Sospiro, così, non per caso però.

Io lo amavo. Già da tempo.
Poi pioveva e lui ha poggiato le sue sottili labbra delicate sulle mie.
Continuava a piovere e lui mi ha detto che mi amava.
Era come tutto incasinato nello stomaco.
Ero in stato si ebbrezza.
Lui mi ha considerata. Ha scelto me tra tanta pioggia e tanti rametti.
Ogni volta che sfiora la mia pelle ho un male che mi fa bene allo stomaco.
I polmoni sono consapevoli di cercare affannosamente aria quando guardo i suoi occhi, e io non mi preoccupo del resto del mio corpo in quei splendidi momenti perciò devono arrangiarsi.
E il modo in cui si discosta i capelli, tanto ricadranno sulla fronte.
E perché si mette i pantaloni di pelle? Glielo devo ancora chiedere, solo che i pensieri vanno a farsi fottere quando lui è con me.
E' così perfetto che è quasi incredibile.
Poi mi ha chiesto se potevamo provare a ballare sotto la fredda pioggia di Novembre e io gli ho detto che non sapevo se ci sarei andata a quello stupidissimo ballo.
E sentivo il leggero tocco dei suoi capelli sulla mia gota destra quando lui ha avvicinato le sue labbra alle mie.
Forse dopo scenderò alla quercia.
Me ne sono andata e lo amavo ancora.
Lui intanto se ne andava con una risposta da avere ancora.
William poi ha cambiato i piani della mia vita. - Dissi a mia madre.
E non ti piacerebbe avvolgere le tue braccia alle sue spalle, avvolgere la sua schiena, poggiare le mani su queste ultime, e ancora poggiare la tua testa in corrispondenza della sua nuca sotto le note di una canzone? - Mamma.
Oh, certo che mi piacerebbe, mamma. Scenderò più tardi da a lui. - Io.
E' incredibile... è... è riuscito a riunire anche i fili che si erano spezzati tra noi due figlia mia. Riesce a catturarti con un singolo gesto. Il modo in cui si "discosta i capelli" è letale nei confronti delle tue reazioni.
Non ricadere di nuovo in una pozzanghera, ti prego. - Mamma.
Grazie. - Io.
Lei sorride e si avvicina alla porta, la apre e scende.
Non sarebbe ancora più letale stringergli le mani o abbracciarlo per quattro minuti di una canzone? Non riuscirei a respirare e nemmeno me ne accorgerei.
Però.
Infondo uno stupido ballo si dimentica. - Pensavo tra me e me.
Mi alzo dal letto, decido di scendere da William.
Arrivo in cucina e mi avvicino velocemente alla porta.
La apro ed esco fuori.
Riesco a vederlo poggiato alla quercia con le gambe incrociate.
Mi avvicino di più, siamo a distanza di pochi centimetri.
Ti sembro una che può ballare William? - Io.
Ti sembro uno che può indossare un vestito elegante? - Lui.
Ci arrangeremo. - Io.
Lui aveva sorriso abbassando il capo e chiudendo gli occhi, lasciando vedere solo il ciuffo rosso che gli cadeva sulla fronte.
E' come se i miei occhi, ad ogni suo gesto, vedessero ogni volta qualcosa di nuovo, che non hanno mai visto.
E il suo sorriso dolce, poi... lo rende più innocente di un filo d'aria che attraversa il cielo disperdendosi.
Bene allora... io rientro. (Un sorrisino fin troppo evidente mi segna le labbra) - Io.
Le tue gambe non preferirebbero venire qui e fare un po' di compagnia alle mie? Vieni qui, tu non vuoi andartene. - Lui.
Faccio solo due passi e mi siedo vicino a lui.
Porto la mia mano sul suo viso accarezzandolo.
Sai Will, quando sono con te i miei occhi sentono e le mie orecchie vedono.
Anche al buio i miei occhi riescono a sentire i tuoi, e sentono il loro bagliore attraversarli.
E riesci a prendermi in modo così letale con semplici gesti. - Gli dico io. Quello che sentivo in parte.
Non amarti sarebbe come bestemmiare sotto la pioggia perché non vuole cessare di piangere, inutile. - Lui.
Così, lui poggia le sue labbra sulle mie, ma questa volta velocemente.
Come se avesse voluto fare solo quello in quel preciso momento.
Stacca e riattacca le sue labbra alle mie, rapidamente, quasi violentemente, ma senza far male.
Sembra non ci vediamo da un'eternità.
Ogni mia certezza viene contrastata da ogni ogni sua certezza.
Continuamo con quel perfetto sincronismo e dopo una manciata di minuti le sue labbra si allontanano.
Riuscirei ad odiarti solo per il fatto di amarti troppo. - Io.
Non riuscirei a non amarti. - Lui.
Neanche io. - Io.
Non ti lascerei come si butta una sigaretta finita in un tombino. - Lui.
Allora non finire mai di fumarla, perché un giorno smetterai e dovrai buttarla. - Io.
Non mi importava a che ora sarei rientrata a casa.
Non mi importata cosa avrebbe detto mia madre o mio padre.
Non mi importava della pioggia.
In quel momento c'eravamo io e lui, e un giorno tutto sarebbe finito.
Poteva essere anche l'ultimo.

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Capitolo 8
*** Quella sera sarebbe stata forse l’ultima prima di perderlo. ***


Quella sera sarebbe stata forse l’ultima prima di perderlo.

 
 
23:00.
Rientro in casa.
Mia madre era seduta su una sedia con una tazza di tè in mano.
 
Io sorrisi.
Sorrise anche lei.
Aveva già capito.
Mi permetti di ubriacarmi dopo quello stupidissimo ballo? - Io.
Non vorrai farlo perché quella sera dovrai ricordarla.
Ricorda che niente dura per sempre.
- Mamma.
Lo so.
Buona notte. - Io.
Non c'è bisogno che ti dica che ti voglio bene, un figlio dovrebbe saperlo. - Mamma.
Non dire niente, l'ho sempre saputo.  - Io.
 
Mi avvio verso le scale.
Salgo.
Mi metto nel letto.
Penso tra me e me: va tutto bene.
Sto coprendo mia nonna, anche se mi manca, ancora.

Mi chiedo solo perché.
Se è andato tutto bene fin ora, perché dovrebbe finire tutto bene?

Avevo questa sensazione strana.
La sentivo, forte.
Avrei perso, di nuovo.
 
Trascorsi quattro giorni, eccoci.
 
November 10, 1979.
 
Esco da scuola.
Comincio a camminare, dirigendomi verso casa e inciampando nelle piccole fosse delle strade di Lafayette.
Le strade di Lafayette sono strette e rotte.
Tristi nella loro piccolezza, tristi nell'essere calpestate da tutti.
Stanche di essere sfigurate dalla pioggia.
 
Street St. Louis, Lafayette, n. 17.
Entro in casa.
 
Metterai quella maglietta stasera? - Mamma.
(Avevo la maglietta degli Iron Maiden.)
Se potessi. - Io.
Non rifiuterai di uscire con me per comprarti qualcosa. - Mamma.
Nessuno ha mai infranto un tuo sogno?
Nessuno ha mai rovinato la tua serata perfetta?
Hai non messo quel vestito perché non ti sentivi a tuo agio?
Hai pianto perché quel ragazzo non è passato a prenderti?
Non voglio comprare nulla, dammi quello straccio che non ha oltrepassato la porta di casa tua quella sera.
 
19:00.
Ero in camera mia pensando a qualcosa.
Aprendo la porta entra mia madre.
Aveva una busta trasparente di plastica in mano, con dentro qualcosa di bianco.
Lui è macchiato dal dolore di quella sera che avrei voluto godermi. - Mamma.
Meglio. - Io.
Apre la busta e tira fuori il vestito.
Era semplice.
Semplicissimo.
Un abito bianco - panna.
Arrivava fin sopra il ginocchio.
Aveva le spalline ed era di cotone, con qualche ricamo.
Era perfetto.
Mai visto niente di più bello.
Forse anche troppo elegante per come mi vestivo io.
 
Mia madre stava per dire qualcosa e io la interruppi.
E' perfetto. E' semplice, lasciato in disparte per tanti anni.
Triste e macchiato dal tuo dolore.
E ora aspetta che qualcuno lo indossi.
Non dire niente. - Io.
 
Mi diede il vestito.
Mi girai di spalle a lei e lo infilai subito.
Non era attillato né troppo largo.
Scendeva senza problemi, come se fosse libero.
Va bene, davvero? - Mamma.
Certo che va bene. - Io.
Siamo a Novembre, farà anche freddo fuori. - Mamma.
Porterò la mia maglietta dei Led Zeppelin. - Io.
Ho una maglia in lanetta coi bottoni. - Mamma.
Andata anche questa. - Io.
Quando scenderai da lui? - Mamma.
Quando ne avrò voglia. - Io.
 
Mia madre si avvia verso la porta, la apre ed esce.
 
20:00.
Ho addosso il vestito e la maglia in lanetta che mi aveva portato mia madre poco prima.
Avevo messo delle scarpe basse, come quelle che portavano le ballerine di danza classica, erano di color panna.
Non mi truccai, e pettinai i capelli con la spazzola.
Scesi in cucina e mia madre mi fece solo un sorriso.
Uscii.
 
Lui era poggiato all'albero con la schiena.
Aveva un pantalone nero, una camicia e una giacca.
Niente di più semplice.
Si girò portandosi le mani nei capelli.
Era imbarazzato.
Non aveva mai indossato una cosa del genere.
Tutto lo rendeva ingenuo.
La camicia infilata nei pantaloni, che pur essendo così, fuoriusciva larga.
Tutto scendeva libero lungo il suo corpo esile.
E le sue mani insicure che si intravedevano fuoriuscendo dalle maniche della giacca.
Il suo sorriso fragile, tremante, quasi non voleva farsi vedere.
Si nascondeva sotto il rosso dei suoi capelli.
 
Sembriamo due stupidi. – Gli dissi io ridendo.
Ma noi siamo stupidi. – Lui.
 
Andai verso di lui e ci ritrovammo faccia a faccia.
Non mi ha lasciato portare la maglietta dei Led Zeppelin, mia madre. – Io.
L’avresti indossata solo tu al ballo quella maglietta. Andiamo. – Disse lui ridendo.
 
Lui prese la mia mano.
Sentii la sua, leggera, sottile, delicata.
C’incamminammo.
 
L’evento era nella palestra della scuola, non avevano tanto spazio.
Arrivammo davanti alla porta.
Era aperta.
Erano quasi tutti dentro.
Riconoscevo qualche compagno di classe e altra gente che vedevo per caso tutti i giorni all’uscita di scuola.
Quando entrammo non potevano mancare gli occhi su di noi.
Chi guardava, guardava con uno sguardo strano.
Forse non avevano mai visto William, anche se Lafayette era una città, piccola, ma comunque una città.
E delle ragazze che lo fissavano dalla testa ai piedi, sussurrando delle cose ad altre ragazze.
William era bello, non potevo negarlo.
 
Rimanemmo nella palestra per un quarto d’ora, c’era la musica alta, quasi fastidiosa.
Vorrei dirti una cosa. – Gli dissi io.
Usciamo fuori. – Lui.
 
Uscimmo e ci sedemmo vicino un albero, come il solito.
Tu non puoi vivere solo perché ora ci sono io o solo per i rametti d’albero, il tuo corpo fragile porta dentro una cosa troppo grande. – Io.
Ho scoperto che quello che vive in casa con me non è il mio padre biologico, me lo avevano fatto credere.
Quello biologico ha abbandonato me e mia madre quando avevo due anni, dopo avermi portato nella merda.
L’uomo che vive in casa mia mi ha sempre picchiato quand’ero piccolo, e mia madre stava seduta come se non avesse un figlio.
Non li conosco. Non c’è rapporto con quella donna, solo litigate con quell’uomo.
Non serve a nulla restare qui per il resto della vita.
Nemmeno ce la faccio. E non è solo per quello, ho bisogno di uno schifo di casa e di almeno due dollari in tasca.
Non voglio dipendere da loro, mi viene la nausea.
Se avessi lasciato Lafayette, non ci sarei mai tornato. L’unica cosa stupida da fare sarebbe trovare un altro stupido come me e strimpellare una chitarra, gridando una strofa di una canzone con una voce che fa schifo.
E un ragazzo, un amico d’infanzia, Izzy Stradlin, lo chiamavamo così, si è trasferito da poco a Los Angeles.
Un patito del rock che ogni tanto suonava una chitarra. Mettermi due dollari in tasca significa anche raggiungerlo e provare a fare qualcosa di stupido con altre tre persone.
Non è un sogno, è solo l’odio verso Lafayette, mi ha distrutto quand’ero piccolo. – Lui.
 
Avevo capito che dentro di lui si nascondeva qualcosa di grande, e che non era una cosa positiva.
Le sue parole erano state chiare e io non l’avrei fermato. Infondo due dollari possono servire, e come.
Io l’avevo capito Will, sappi che non mi metterò al posto di quei due dollari, sei colui che riesce a far andare in tilt qualsiasi cosa appartenga al mio corpo, quello di cui mi sono innamorata, l’unica persona che amerò alla fine di ogni respiro. – Gli dissi io.
Nessuno ci impedirà di stare insieme fino a quando potremmo. – Lui.
Si avvicinò, portando la sua mano vicino il mio orecchio e mi diede un bacio, forse il più ingenuo e delicato.
 
Rientrammo nella palestra e c’era una canzone.
Stairway to Heaven, una ballata dei Led Zeppelin.
I ragazzi l’avevano considerata come un lento, e abbracciati la ballavano.
Andammo anche noi.
There's a lady who's sure all that glitters is gold, and she's buying a stairway to Heaven…
Avevo poggiato la testa sulla sua spalla, e forse era la mia canzone preferita, forse perché lui se ne sarebbe andato, scese una lacrima.
 
Finita la canzone, decidemmo di andarcene.
Mentre tornavamo a casa facevamo gli stupidi, dicendo cose insensate e dandoci degli spintoni.
Sembrava ci fosse Stairway to Heaven come sottofondo.
 
Street St. Louis, n. 17 e 18.
Le luci delle nostre umili case erano spente.
La mia famiglia era andata a cena da qualche parente.
Quello non sta mai in casa, chissà dove avrà portato anche mia madre stasera. Vieni, la mia casa non fa tanto schifo. – Disse lui ridendo.
Dovresti vedere la mia. – Gli dissi io.
 
 
Entrammo in casa sua.
Era simile alla mia, un divano, una piccola cucina, un tavolo, quattro sedie e si saliva per arrivare alla sua stanza.
Io praticamente vivo nella mia stanza, possiamo anche salire. – Lui.
Per me è lo stesso. – Io.
Arrivati in camera sua, avevo visto il Paradiso.
C’era di tutto dai vinili ai poster: AC/DC, Scorpions, Aerosmith, Led Zeppelin, Doors, Stooges, Deep Purple, Kansas.
Ma è un Paradiso?– Io.
Questi sono i pochi soldi -che ha quello che dovrebbe essere mio padre- che gli ho fottuto, e li ho spesi per cose inutili proprio per fargli un dispetto. – Lui.
Per me li hai spesi benissimo. – Gli dissi io ridendo.
Devo ammettere che non mi disturba tenerli. – Lui.
 
William mise “Houses of the Holy” il quinto vinile pubblicato dai Led Zeppelin nel 1973.
La terza canzoneOver the Hills and Far Away”.
Ci sedemmo sul letto e cominciammo di nuovo a dire cose stupide, sparandoci i Led Zeppelin a tutto volume.
Facevamo gli stupidi coi cuscini, tanto che andai a finire seduta sul letto con la schiena vicino al muro e lui di fronte a me.
Eravamo vicinissimi.
Lui non poteva fare altro, e io non potevo fare altro.
Avvicinandosi piano mi baciò, portando le sue mani sulle mie braccia.
Continuammo così, quando poi sentii quel vestito che avevo addosso sfilare dal mio corpo.
 
Mentre i Led Zeppelin cantavano, noi, forse per l’ultima volta, facemmo quello che avremmo voluto fare quella sera, sotto la pioggia, quando lui mi baciò e le nostre labbra tremavano per il freddo, ansiose di fare qualcosa in più.
 
Ogni cosa poteva essere l’ultima per un semplice mortale, ogni cosa poteva essere l’ultima per me con William.
 
Quella sera sarebbe stata forse l’ultima prima di perderlo.

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Capitolo 9
*** Chiudi quello che c'è di me come una goccia di sudore nella tua fascia rossa. ***


Prima di leggere voglio dirvi una cosa.
Innanzi tutto scusate per l'attesa. So che sto prendendo il vizio di pubblicare ogni cent'anni. Il prossimo (cioè l'ultimo) lo pubbblicherò subito. *spera*
Questo capitolo è un 'intermezzo' diciamo. E' solo una specie di "specificazione". E' corto e anche bruttino direi. *si*
Se volete potete anche non leggerlo ecco. Questo è quanto.



 

Chiudi quello che c'è di me come una goccia di sudore nella tua fascia rossa.

 
November 11, 1979. 
 
Delicato come i fiori che cadono dagli alberi di Primavera, si poggia su un manto di pelle che vuole sentire il suo sapore, l'impatto forte come una tempesta. Occhi chiusi, poi l'immenso calore delle sue labbra.
 
Buongiorno. - Lui.
Cosa farò quando non vedrò più la tua ombra vicino alla quercia? 
Non voglio perderti come la pazienza, non ora. - Io.
Non qui. - Lui.
 
09:00.
I suoi occhi fissavano i miei, sembrava stesse tremando dentro; il suo corpo gracile non sopportava questo. Si avvicinò.
Stasera sarò lì ad aspettarti. - Lui.
Mi avvicinai a piccoli passi e portai le mie braccia intorno alla sua vita. 
Lui poggiò il suo mento sulla mia testa, senza muovere le braccia, guardando in alto.
Ci sarò. Lo giuro. - Io.
 
09:05.
 
Non m'interessava come avrebbe risposto la mia casa alla mia assenza.
C'era solo mia madre, seduta su una sedia, indifferente.
 
Ieri sera non mi hai vista tornare. - Io.
Non devi spiegarmi niente, io ho capito. - Mamma.
 
E che una come me avrebbe amato qualcuno che non fosse Robert Plant, l'avresti immaginata? - Io (ridendo).
Eri felice un tempo; poi perdesti tutto pendendo solo dai ricci del sig. Plant. E ora sei felice, grazie a qualcuno che della felicità ne sa meno di te, forse. - Mamma (ridendo).
Le foglie di Primavera saranno grezze e secche dopo stasera. - Io.
Mi dici spesso che 'niente dura per sempre'. - Mamma.
Ed è così. Ingiusto. Neanche stanotte tra respiri violenti e gioia secca alla mattina è durata per sempre. Ma sentivamo di doverlo fare ora, per non aspettare un giorno perso nel per sempre. - Io.
La lontananza dovrà essere l'ultima delle tue paure, altrimenti ti assorbirà come una siringa fa con il sangue. - Mamma.
Niente è lontano con lui, tutto è lontano senza di lui.
Sentimento, gioia, respiro, ansia, delicatezza non si fanno valere senza di lui. 
Gli occhi non si apriranno per guardare i suoi come facevano un tempo. Lo faranno solo per guardare la pioggia che cade attraverso la finestra.
Le lacrime rovineranno il tuo volto con rancore, disprezzo, dispiacere, dolore.
Morte non ci sarà, anche se la vorrai. - Io.
La pioggia di Novembre sarà l'ultima a morire. - Mamma.
Non mi ha mai abbandonata, e non lo farà. - Io.
 
Salgo in camera mia.
Ci rimango tutta la giornata.
E' come se avessi dimenticato tutto.
Dove vai piccolo Will? La pioggia sta abbandonando gli abitanti di Lafayette uno ad uno. 
Quasi mi dimenticavo di pensare.
 
Riuscivo solo a ripetere una frase: "E' passata la guerra, passerà anche questo."
 
21:00.
Era poggiato alla quercia, gambe vicino al petto e le braccia sulle ginocchia, tenendosi una mano con l'altra.
Guardi il vuoto Will? - Io.
Guardo la vita, senza la tua ombra. - Lui.
 
Cammino verso di lui, arrivo vicino alla quercia e mi siedo.
Il vuoto ha una sua caratteristica. E sai qual è? Che è vuoto, ecco. 
Io invece non ho nulla, non sono neanche vuota senza la tua ombra che veglia sulla mia vita. - Io.
Sai perché sento di amarti? Perché tu sei forte. Sedici anni. E non ti sei sgualcita come carta sotto la pioggia. - Lui.
Sono stata dimenticata dalle cose, e quando ho ritrovato la vita lei di nuovo si dimentica di me. - Io.
 
Lui si gira verso di me, portando la sua mano sulla mia guancia.
Ora.
Guardalo per l'ultima volta.
Accarezza la sua pelle delicata per l'ultima volta.
Senti il battito del suo cuore sul tuo petto, che trema come le foglie d'Autunno appena cadute.
Il rosso dei suoi capelli sarà l'unico che ti farà amare quel suo essere unico.
Senti il suo corpo esile tremare stretto al tuo.

Bacialo, per l'ultima volta.
 
Mi avvicino lentamente, portando la mia mano alla sua nuca.
I nostri sguardi s'incrociano, un millimetro separa le sue labbra dalle mie.
Solo le nostre anime in quella fredda notte tremano sotto la pioggia di Novembre.
 
E morte non ci sarà più. - Io, a un millimetro dalle sue labbra.
 
Ad occhi chiusi ero ancora viva, per sempre sarebbe durato quel bacio?
 
"Chiudi quello che c'è di me come una goccia di sudore nella tua fascia rossa."

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Capitolo 10
*** 'Cause nothin' lasts forever, even cold November rain. ***


'Cause nothin' lasts forever, even cold November rain.

 
 
November 17, 1979.

L’ansia mi assale. Sento il sudore scorrere sulla pelle, lentamente, come se avesse paura anche lui di fare un passo difficile, dai capelli fino al collo.
Sudo freddo.
Non ce la faccio.

“Come ci arriverò non lo so, ma domani quello che c’è di me qui sarà da un’altra parte
.
Non sono io quella che riuscirà ad alzarsi da questo letto domani. Non riuscirò ad accostarmi a quel ragazzino che conobbi in un giorno inutile. Non riuscirò a blandire quel viso leggiadro come feci un tempo felice; non riuscirò a spezzare l’aria che separa i nostri visi se non accompagnata da lacrime salate. Non ci saranno labbra speranzose per domani, ma solo labbra gelide, che non avrebbero mai voluto suggellare l’ultimo dei baci.

E come ogni sera, quel sentimento che chiamavo “amore”, mi portava con gioia a percorrere quei cinque metri che separavano la n° 17 da quella quercia alle 21:00.

Mi siedo per terra, vicino a lui.
Si volta.
Come non rimanere ammaliata guardando le sue iridi che s’illuminavan in quella fredda notte di Novembre.
Lui guardava nei miei, leggeva nei miei occhi l’amore trattenuto per paura di perderlo.

Tieniti stretta al mio corpo, ora più che mai. – Lui.

When I look into your eyes,
I can see a love restrained.
But darlin' when I hold you,
don't you know I feel the same.

 
Mi avvicino lentamente a lui, poggiando la testa sulla sua spalla.
Feci scivolare fra le dita i suoi capelli, tanto per sentire quella cosa che più amavo di lui.
Chiusi gli occhi, fingendo di morire in quel momento, insieme a lui.
Non c'era nulla che non fossero lacrime insipide.
E ricevere un tocco sulla fronte dalle sue labbra per rassicurasi un altro secondo insieme.

Il calore c'è, ma non riesco a sentirlo in questa notte gelida, sapendo che lascerai il posto all'aria.

E' difficile sentirlo, com'è difficile portare una candela nelle fredda pioggia di Novembre.
- Io.

Lui sorrise essendo triste, ripensando a quando aveva pronunciato quelle parole.
 

'Cause nothin' lasts forever
and we both know hearts can change.
And it's hard to hold a candle,
in the cold November rain.

 Le nostre inutili vite si sono incontrate per affrontare il dolore, e per conoscere l'amore. -Lui.

Come uno stupido gioco. Non serviva a nulla. Innamorarsi di lui ogni volta, vedendolo.
Occhi, che non trovano la via giusta e si perdono in quelli che dapprima t'illuminano ingannando le tue lacrime di felicità e poi lasciano spazio a lacrime aspre, perché fate questo?

We've been through this such a long long time,
just tryin' to kill the pain.

 

C'è un inizio, c'è una fine e se sei fortunato anche un per sempre.
Mi lasci qui a contemplare la pioggia, che triste cade e rimane intrappolata nelle strade rotte di Lafayette come gli amanti rimangono intrappolati nel cuore dell'altro.
- Io.
Ti porterei in quella città se non ti amassi. - Lui.
L'unico pericolo che c'è è quello di perderti. - Io.
 

But lovers always come and lovers always go
and no one's really sure who's lettin' go today,
walking away.

 
Fermare il tempo, amarti, essere consapevole che sei mia.
Dove andiamo? Dove andiamo adesso? Dove andiamo?
Non astenerti ad amarmi questa notte, fallo come tutte le sere, sono qui.
La pioggia già ricorda ciò che eravamo.
- Lui.
 

If we could take the time
to lay it on the line,
I could rest my head
just knowin' that you were mine,
all mine.
So if you want to love me,
then darlin' don't refrain
or I'll just end up walkin'
in the cold November rain.

 
Ognuno ha bisogno di po' di tempo per conto suo, ma se quell'essere che si trova in me sei tu, allora avrò sempre bisogno di te. - Io.
Il rumore dei sospiri che fanno compagnia alle lacrime si amplificano.
 

Do you need some time... on your own?
Do you need some time... all alone?
Everybody needs some time... on their own.
Don't you know you need some time... all alone.

 
Cerchi l'essenza che genera i battiti del tuo cuore quando non ce l'hai, e quando l'hai trovata giunge la sera piovosa che te la porta via, minacciandoti di morte.
Sei tutto quello che mi serve, dolcezza, fragilità, ingenuità, candidezza.
Chi riuscirà a guarire il mio cuore, se non la morte?
- Io.
 

I know it's hard to keep an open heart,
when even friends seem out to harm you,
but if you could heal a broken heart,
wouldn't time be out to charm you.

 
Non rispose. Da ragazzino sensibile qual era, portai la mia mano sul suo viso e asciugai la lacrima che cadeva.
Alzai la testa e il solito filo d'aria ci separava.
Non potevo far altro che lacerare il dolore poggiando le mie labbra sulle sue.
Quel bacio fu il più lungo. Il più lungo spezza-respiro. Occhi chiusi, senza conoscenza.
Movimenti delicati.
Ad un certo punto ci distaccammo e lui fece scivolare la sua fronte sulla mia, in modo da poterci guardare negli occhi.
Pose le sue mani ai lati dei miei due occhi, lasciando scivolare le sue dita fra i miei capelli.

- Non piangere stanotte, ti amo ancora tesoro. - Lui.
 

Sometimes I need some time... on my own.
Sometimes I need some time... all alone.
Everybody needs some time... on their own.
Don't you know you need some time... all alone.

 
Lui si alza, io insieme a lui.
William si allontana lentamente e lentamente comincia a scendere la pioggia di Novembre.
La sento fredda sulla pelle.
La pioggia si fa più forte.
Di lui è rimasta solo l'ombra, di me niente.
Ma posso ancora amarti. Fino a quando durerà la pioggia.

And when your fears subside,
and shadows still remain,
I know that you can love me,
when there's no one left to blame.
So never mind the darkness,
we still can find a way.

 

Le pozzanghere prendevano ad agitarsi come se fossero calpestate da qualcosa.
Il rumore dei passi che passavano sull'acqua si faceva sempre più forte.
 
Sembrava di rivedere il giorno in cui mi salvò sotto la pioggia.
Sebbene si fosse bagnato, sebbene stesse perdendo qualcosa che lo avrebbe portato lontano da me, ritornò.
Giunse veloce abbracciandomi.
Non avevo freddo, né paura.
Le mie labbra ebbero l'onore d'incontrarsi con le sue per l'ultima volta.
Il calore delle sue labbra mai provato era diventato l'acerrimo nemico della pioggia.
La pioggia cessò in Novembre.
Ora dillo, sotto questa pioggia, con tutto questo dolore, in questo momento,
'Cause nothin' lasts forever, even cold November rain.
 
Tante anime staranno piangendo in questo momento, non devo sentirmi l'unica.
 

Don't ya think that you need somebody.
Don't ya think that you need someone.
Everybody needs somebody,
you're not the only one,
you're not the only one.


 

Ebbene, sono giunta alla fine di questa, che oserei chiamare, "esperienza".
Già era un po' un film che mi ero fatta, un po' il mio sogno.
Andiamo, chi non s'immagina la storia d'amore con qualche membro della sua band preferita? E per giunta quando è così figo, poi.
Bene, a parte gli scherzi ora, volevo fare dei ringraziamenti.

Prima di tutto un ringraziamento speciale a Linda (saprai che sto parlando di te quando leggerai cara) perché è stata lei ad 'ispirarmi'.
Sì, un giorno fangirleggiando su Slash, Axl, Izzy, Duff e Steven su twitter scrissi una specie di twitlonger e lei disse che avrei potuto scriverci una fanfic.
Voglio ringraziarla per avermi sostenuta sempre, per avermi spronata ad andare avanti, in un certo senso.
E un grazie agli infiniti complimenti che mi ha fatto dall'inizio. Senza li lei questa ff non sarebbe nata, quindi gliela dedico, *sisi*
Grazie.

Voglio ringraziare anche la mia Alice - banana, ciau banny. *w*
Che mi ha aiutata nei momenti difficili, (lei sa cosa intendo) ha sempre recensito la mia ff, sempre capito quello che volevo esprimere.
E' l'unica ad aver capito cosa rappresenta davvero questa ff, è l'unica a consolarmi, insomma la dedico anche a lei.
Lei sa che è la persona più importante del mondo poi e che le voglio tantissimo bene.
Grazie.

E infine volevo ringraziare Irene (anche tu quando leggerai saprai che sto parlando di te lol) che ha recensito questa ff fin dall'inizio.
Sono rimasta affascinata, sorpresa, onorata, lusingata - e potrei aggiungere tanti di quegli aggettivi- dalle sue recensioni.
Sono così vere; tutto quello che pensavo mentre scrivevo lei lo riportava nella recensione.
E ovviamente la ringrazio per gli infiniti complimenti.
Grazie.

Ora, a parte le cazzate citate nella prima parte, questo non è un "fangirling" verso Axl Rose. No. Ben altro.
Una specie di amore platonico, strano, stupido. 
Nessuno, oltre Alice, lo capirà mai.
Lui è come dell'inchiostro indelebile su carta. Una macchia indelebile sul mio cuore.

Infine mi scuso con voi per gli errori grammaticali, frasi sgrammaticate, uso errato dei verbi -e chi più ne ha più ne metta-.

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